Avere due lunghe ali d’ombra e piegarle su questo tuo male; essere … · 2014-03-05 ·...

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Libri: recensioni Recenti Prog Med 2011; 102: 409-410 Ecco, dunque, la poesia a dar lo- ro parola: immaginario connubio tra Erato ed Esculapio che potrebbe es- sere un incontro d’amore: improvvi- sa scintilla, consonanza a volte mi- steriosa. O, piuttosto, matrimonio di convenienza? Qualcosa che arric- chisce l’un l’altro soggetto, riscat- tando ciascuno – l’arte e la scienza – dalla propria solitudine? E se fosse, invece, un gesto di riparazione, su- blimare la quotidianità dell’imper- fezione nell’eternità del bello? Inte- grare l’esprit de géométrie con l’esprit de finesse? Tuttavia, se da una parte c’è la fiducia, essenziale negli scrittori, che il mondo esista – per dirla con Mallarmé – per sfociare in un libro, dall’altra permane la consapevolez- za che ad ostacolare quell’impresa sia la Musa dell’impotenza: la no- stra irredimibile vulnerabilità. Per- ché – dopo aver toccato con mano la capacità creativa del linguaggio (la letteratura), in quel momento acca- de che autore e lettore (medico e malato) non possano più confidare nell’innocenza del mondo. Lettera- tura e medicina vivono ambedue nella stretta di questa sorte, remota e contraddittoria: accettare che i li- miti della creazione umana siano invalicabili, a differenza dell’infini- ta creazione del tutto, eppure spin- gersi quotidianamente verso quei confini, contando sui temerari ta- lenti della speranza. Ad essa – alla speranza, a que- sto “rischio da correre”, come la de- finì il Bernanos – è difficile non ri- chiamarsi, leggendo altre due con- fessioni venute alla luce nelle ulti- me settimane: Volevo essere una farfalla, di Michela Marzano (edi- zione Mondadori) è un richiamo alla fiducia per chi soffre di anores- sia; la fiducia di uscire dal tunnel. «Raccontare la mia storia – ha com- mentato l’Autrice – è diventata un necessità. Perché l’anoressia non è una cosa di cui ci si deve vergogna- re. (Essa) porta allo scoperto quello che fa veramente male dentro: la paura, il vuoto, l’abbandono, la vio- lenza, la collera. È un modo per pro- teggersi da tutto ciò che sfugge al controllo, anche se a forza di pro- teggersi si rischia di morire. Un’esperienza multiforme, spesso sorprendente, costantemente doloro- sa, suscitatrice di compatimenti e in- certezze; fra le quali una che dà il ti- tolo al libro: «La vita è un esperi- mento, una prova. Una prova d’or- chestra e neanche l’ultima». Ne è conferma la sintesi di Maurice – pro- tagonista ed alter ego dell’Autore di un altro toccante documento: “Voce da una nube” (Welch) solitudine di un diciottenne immobilizzato in cor- sia: «… Una volta ancora, fui inca- pace di comprendere i significati, in- capace di spiegare una sola cosa di quello che vedevo o sentivo. Mi ac- corsi che stavo tremando; quindi, con quel tono di voce saldo e compassato che si riserva alle catastrofi, dissi al- l’infermiera: “Non conosco il senso di niente”». Il senso di niente: forse per- ché – come inquietano i versi di Ma- grelli – «la malattia conduce il corpo lontano, troppo distante da essere udito?». Lontano, sulle “panche di crudissimo legno” evocate da Alda Merini, altra grande malata? «Viene il mattino azzurro / nel nostro padi- glione: / sulle panche di sole e di cru- dissimo legno / siedono gli ammalati, / non hanno nulla da dire / odorano anch’essi di legno, / non hanno ossa né vita, / stan lì con le mani / inchio- date nel grembo / a guardare fissi la terra». La perdita dell’innocenza: malattia e invenzione letteraria Perché assistiamo a questo cre- scente incremento di letteratura (saggistica e narrativa) su malattia, medici e ospedali? Fra i titoli più re- centi sono firme italiane e non: cro- nache di ardui vissuti quali quelle di Valerio Evangelisti con il racconto “Day Hospital”, o di Denton Welch con il romanzo Voce da una nube (edito da Casagrande); esperienze autobiografiche come “Volevo essere una farfalla” di Michela Marzano e La vita è una prova d’orchestra di Elena Loewenthal, pubblicato da Einaudi. Sono soltanto alcuni esem- pi; per essi – e per i molti altri – il co- mune denominatore potrebbe essere un desiderio di testimonianza: per- ché e in che modo la malattia appar- tiene alla consapevolezza della no- stra finitudine; e perché raccontarla con i suoi codici e tempi, con commo- zione e rispetto, significhi tentare di ricomporre i pezzi dell’esistenza. Scrive la Loewenthal: «Ho indossato il camice da volontaria e sono entra- ta in silenzio nel mondo della malat- tia. Per più di un anno ho frequenta- to ospedali e sale d’attesa, case dove vivono malati, istituti di recupero. È stata un’esperienza durissima. Ma forte e dolce al tempo stesso». 453 «I medici, forse, non hanno idea di quanto pesino le loro parole. Che uno le prende in mano come fossero un oggetto prezio- so e fragilissimo…» (Elena Loewenthal) «Dentro di me un dolore cominciò a so- vrastare tutti gli altri… Quando si fece in- tollerabile gridai per richiamare le infer- miere… Mi dissero di non essere sciocco e di smetterla di agitarmi» (Denton Welch) Avere due lunghe ali d’ombra e piegarle su questo tuo male; essere ombra, pace serale intorno al tuo spento sorriso Antonia Pozzi

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Libri: recensioni

Recenti Prog Med 2011; 102: 409-410

Ecco, dunque, la poesia a dar lo-ro parola: immaginario connubio traErato ed Esculapio che potrebbe es-sere un incontro d’amore: improvvi-sa scintilla, consonanza a volte mi-steriosa. O, piuttosto, matrimoniodi convenienza? Qualcosa che arric-chisce l’un l’altro soggetto, riscat-tando ciascuno – l’arte e la scienza –dalla propria solitudine? E se fosse,invece, un gesto di riparazione, su-blimare la quotidianità dell’imper-fezione nell’eternità del bello? Inte-grare l’esprit de géométrie conl’esprit de finesse?

Tuttavia, se da una parte c’è lafiducia, essenziale negli scrittori,che il mondo esista – per dirla conMallarmé – per sfociare in un libro,dall’altra permane la consapevolez-za che ad ostacolare quell’impresasia la Musa dell’impotenza: la no-stra irredimibile vulnerabilità. Per-ché – dopo aver toccato con mano lacapacità creativa del linguaggio (laletteratura), in quel momento acca-de che autore e lettore (medico emalato) non possano più confidarenell’innocenza del mondo. Lettera-tura e medicina vivono ambeduenella stretta di questa sorte, remotae contraddittoria: accettare che i li-miti della creazione umana sianoinvalicabili, a differenza dell’infini-ta creazione del tutto, eppure spin-gersi quotidianamente verso queiconfini, contando sui temerari ta-lenti della speranza.

Ad essa – alla speranza, a que-sto “rischio da correre”, come la de-finì il Bernanos – è difficile non ri-chiamarsi, leggendo altre due con-fessioni venute alla luce nelle ulti-me settimane: Volevo essere unafarfalla, di Michela Marzano (edi-zione Mondadori) è un richiamoalla fiducia per chi soffre di anores-sia; la fiducia di uscire dal tunnel.«Raccontare la mia storia – ha com-mentato l’Autrice – è diventata unnecessità. Perché l’anoressia non èuna cosa di cui ci si deve vergogna-re. (Essa) porta allo scoperto quelloche fa veramente male dentro: lapaura, il vuoto, l’abbandono, la vio-lenza, la collera. È un modo per pro-teggersi da tutto ciò che sfugge alcontrollo, anche se a forza di pro-teggersi si rischia di morire.

Un’esperienza multiforme, spessosorprendente, costantemente doloro-sa, suscitatrice di compatimenti e in-certezze; fra le quali una che dà il ti-tolo al libro: «La vita è un esperi-mento, una prova. Una prova d’or-chestra e neanche l’ultima». Ne èconferma la sintesi di Maurice – pro-tagonista ed alter ego dell’Autore diun altro toccante documento: “Voceda una nube” (Welch) solitudine diun diciottenne immobilizzato in cor-sia: «… Una volta ancora, fui inca-pace di comprendere i significati, in-capace di spiegare una sola cosa diquello che vedevo o sentivo. Mi ac-corsi che stavo tremando; quindi, conquel tono di voce saldo e compassatoche si riserva alle catastrofi, dissi al-l’infermiera: “Non conosco il senso diniente”». Il senso di niente: forse per-ché – come inquietano i versi di Ma-grelli – «la malattia conduce il corpolontano, troppo distante da essereudito?». Lontano, sulle “panche dicrudissimo legno” evocate da AldaMerini, altra grande malata? «Vieneil mattino azzurro / nel nostro padi-glione: / sulle panche di sole e di cru-dissimo legno / siedono gli ammalati,/ non hanno nulla da dire / odoranoanch’essi di legno, / non hanno ossané vita, / stan lì con le mani / inchio-date nel grembo / a guardare fissi laterra».

La perdita dell’innocenza:malattia e invenzione letteraria

Perché assistiamo a questo cre-scente incremento di letteratura(saggistica e narrativa) su malattia,medici e ospedali? Fra i titoli più re-centi sono firme italiane e non: cro-nache di ardui vissuti quali quelle diValerio Evangelisti con il racconto“Day Hospital”, o di Denton Welchcon il romanzo Voce da una nube(edito da Casagrande); esperienzeautobiografiche come “Volevo essereuna farfalla” di Michela Marzano eLa vita è una prova d’orchestra diElena Loewenthal, pubblicato daEinaudi. Sono soltanto alcuni esem-pi; per essi – e per i molti altri – il co-mune denominatore potrebbe essereun desiderio di testimonianza: per-ché e in che modo la malattia appar-tiene alla consapevolezza della no-stra finitudine; e perché raccontarlacon i suoi codici e tempi, con commo-zione e rispetto, significhi tentare diricomporre i pezzi dell’esistenza.Scrive la Loewenthal: «Ho indossatoil camice da volontaria e sono entra-ta in silenzio nel mondo della malat-tia. Per più di un anno ho frequenta-to ospedali e sale d’attesa, case dovevivono malati, istituti di recupero. Èstata un’esperienza durissima. Maforte e dolce al tempo stesso».

453

«I medici, forse, non hanno idea di quantopesino le loro parole. Che uno le prendein mano come fossero un oggetto prezio-so e fragilissimo…» (Elena Loewenthal)

«Dentro di me un dolore cominciò a so-vrastare tutti gli altri… Quando si fece in-tollerabile gridai per richiamare le infer-miere… Mi dissero di non essere sciocco edi smetterla di agitarmi» (Denton Welch)

Avere due lunghe ali d’ombra

e piegarle su questo tuo male;

essere ombra, pace serale

intorno al tuo spento sorriso

Antonia Pozzi

Recenti Progressi in Medicina, 102 (11), novembre 2011454

Se sentiamo il dolore, abbiamo do-lore; se non sentiamo dolore, nessu-no osservatore esterno può ragione-volmente opporsi all’assunto che noinon abbiamo dolore. Al pari del si-gnificato d’un testo, quello dellanarrazione di un malattia non risie-de solo nel testo stesso né nel letto-re/ascoltatore, ma è, piuttosto, unprodotto sociale; le narrazioni «met-tono al congiuntivo la realtà».

La parola: la stessa spinta cheha animato Valerio Evangelisti inuna lucida, tagliente cronaca dellasua battaglia contro il linfoma (DayHospital). Così la riassume nel suodiario: «22 settembre 2010. Quellamattina fui dimesso dal Day Hospi-tal dell’Ospedale Sant’Orsola di Bo-logna, reparto di Ematologia. Ladiagnosi era confermata: remissio-ne completa. Ogni quattro-cinquemesi avrei dovuto sottopormi a vi-site di controllo. La successiva eraprevista per il 12 gennaio 2011.Sembrava, insomma, che io cel’avessi fatta. La chemioterapia midava ancora fastidi secondari, tipoil torpore ai piedi cui avevo fattol’abitudine […]. Niente più flebo,niente più iniezioni: avevano finitodi bucherellarmi! So tuttavia checontinueranno a farmi punture, pe-riodicamente. Da bambino ne ave-vo paura, adesso non le avvertonemmeno. A mio parere, hannocambiato il tipo di aghi. Sembreràdemenziale, ma so che mi manche-rà il Day Hospital. Un luogo tuttosommato confortevole, dove c’è gen-te che si prende cura di te. Un’enor-me vetrata dava su un giardino al-berato. Ho visto le piante coperte dineve, poi la neve sciogliersi, e da ul-timo il cielo scurirsi. Spettacolo do-loroso vedere una mamma passarecon una bimba attaccata alla flebo,e intenta, malgrado questo, a gioca-re. Il pensiero istintivo è stato cheavrei volentieri scambiato la miapossibilità di vivere con quella del-la bimba. Pensiero stupidissimo, loso. La vita è una partita a dadi».

Da questi incontri tra lettera-tura e medicina, tra narrazione emalattia, tra immaginazione e re-altà, sembra giungerci un suggeri-mento preliminare: ispiratore di ri-

sposte che, affrancate dalla tuteladelle certezze, accettino la sfidadella possibilità. È forse un casoche gli itinerari del medico e delloscrittore (del malato e del lettore)procedano entrambi lungo i pas-saggi canonici della ricerca, dellaparola e dell’incontro? Una ricercaumanissima e perciò rischiosa esofferta. Risuonano – i nostri pas-si – negli interrogativi alti di Luzi:«Dove mi porti, viaggio, verso laguarigione? Da me stesso o da chealtro male?»

Chiara Fedeli

Anestesia pediatrica: una bibbia

Nel novembre 2009, la Facoltàdi Medicina dell’Università di Har-vard è stata colpita da un grave lut-to: la scomparsa di Robert MoorsSmith, già primario di anestesiapresso il Children Hospital di Bo-ston, considerato unanimemente co-me il padre dell’anestesiologia pe-diatrica, dottrina e pratica sublima-te – per merito suo e della sua Scuo-la – dal convincimento che «i bam-bini sono molto di più che “adulti infase di crescita”». A tale principioSmith ha ispirato l’intera sua atti-vità di docente e clinico, contri-buendo anche alla valorizzazionedella disciplina fino a promuoverlaal rango di autonoma specialità: ac-cademica e professionale.

Il suo trattato, “Anesthesia for

E per imparare a vivere si deveavere il coraggio di dare un senso aquesta sofferenza. Certo, per uscir-ne non esistono formule magiche…Ma esiste qualcosa che è più fortedelle semplici formule: la forza delleparole».

La parola disvela, umanizza, re-cupera l’ascolto di se stessi e dell’altro.

È quanto ci ricorda Eugenio Bor-na: «Non ci sono… emozioni e modidi essere che non abbiano bisogno diinterpretazione (di ermeneutica): in-tesa a cogliere e a portare alla lucedel senso i significati nascosti nellavita: nella vita segnata dalla malat-tia e nella vita non malata». Un’astadrittissima – insegnava già Seneca– quando è immersa nell’acqua ap-pare a chi guarda curva o spezzata.Ciò che conta non è solo che cosaguardi, ma in che modo la guardi. Edunque, «la strada della ri-umaniz-zazione della medicina deve partiredalla stessa antropologia medica; inparticolare, se non riconosciamo che– oltre ad una intelligenza strumen-tale – possa esserci un’intelligenzache si interroga sui fini e sul sensodella quantità, noi cospiriamo con-tro la realtà, diffondendo un atteg-giamento di manipolazione nei con-fronti dell’uomo stesso» (Galimber-ti). Poiché nessuna statistica elabo-rata meccanicamente dall’osserva-zione medica è in grado di fornireuna comprensione adeguata delladefinizione di “cattiva salute”, datoche il dolore – osservò Wittgenstein– ha a che fare con l’autopercezione.

Per uscire dalla sofferenza… «non esisto-no formule magiche; ma esiste qualcosache è più forte delle semplici formule: laforza delle parole» (Michela Marzano)

«La vita è una partita a dadi» (Valerio Evan-gelisti)

L’uomo costruisce case perché vive,

ma scrive libri perché si sa mortale

Daniel Pennac

Strumenti ed idee 455

Infants and Children”, vide la lucenel lontano 1959, scritto tutto sol-tanto da lui e così le successive edi-zioni, fino alla quarta, del 1980. Laquinta inaugurò il tempo delle ste-sure a più mani e, dal 1990, i colla-boratori furono numerosi, tuttaviasempre scelti e coordinati dall’auto-revole pioniere. La cui impronta –l’ispirazione – resta, immutabile,come pregio peculiare, anche inquest’ultima recente (ottava) ripro-posta: Smith’s Anesthesia for In-fants and Children. A cura di Pe-ter J Davis, Frankliyn P. Cladis,Etsuro K. Motoyama. Pagine1376. Elsevier/Saunders: Phila-delphia 2011. Dollari 229. ISBN13:978-0-3230-6612-9. Organizzatoin 42 capitoli, con il contributo diben 108 Autori – di vario, integratoretroterra culturale – questo auda-ce bibliosauro si pone, ancor ogginell’era dell’e-book, quale pietra mi-liare della materia; gli argomentisono trattati a dovere: estensiva-mente e in profondità, e un ampio,dettagliato indice di oltre 50 pagineaiuta il lettore a reperirli agevol-mente. Non altrettanto facile (oc-corre segnalarlo per debito di obiet-tività) risulta la consultazione delleliste bibliografiche: per risalire aidati completi della fonte è necessa-rio ricorrere alla rete. Si tratta diun’innovazione di cui non si avver-te l’opportunità, considerandonel’onere supplementare in termini diimpegno di tempo e di finanze. Afronte di questo difetto, lode – inve-ce – ad un pregio inedito: l’estesoimpiego del colore; quasi in ogni pa-gina (e sono più di mille e trecento!)ci si imbatte in una figura o in unatabella a colori; non solo, tutta lanervatura grafica del libro risultaprogettata e realizzata in un’otticapolicromatica. Ne discende, oltreche un arricchimento estetico, an-che una più immediata fruibilità.

Sulla scia di tale intento di ammo-dernamento, il DVD allegato alleprecedenti edizioni non poteva noncedere il passo alla più versatile eattuale gamma di ausilii web. Agliacquirenti sarà, infatti, sufficienteregistrarsi sul sito dell’Editore atti-vando il codice che correda la lorocopia del libro, per ottenere accessoad un opulentissimo web di ulterio-ri informazioni, chiarimenti e det-tagli, particolarmente utili a chi ab-bia necessità di approfondire le co-noscenze su non poche aree iper-specialistiche: quali, ad esempio, laventilazione respiratoria del bam-bino, la cardiopatia pediatrica,l’anestesia regionale. Pure le ap-pendici non si trovano nella copiacartacea: sono disponibili online.Includendo sia una sinossi di far-macoterapia pediatrica con notiziepreziosamente esaustive (indicazio-ni, dosaggi, effetti collaterali), siaun indice delle sindromi che com-portano interventi di anestesia, es-

se risultano di grande utilità. Comeanche gli esercizi di verifica me-diante quesiti a risposta multiplache, formulati avvedutamente, co-stituiscono un esempio paradigma-tico di sussidio didattico.

Si ha, insomma, una sensazione– presto confermata – di un vasto,coraggioso aggiornamento, oltreche nella forma, altresì negli Auto-ri e nei contenuti. Si leggano, a que-sto proposito, i nuovi capitoli sullosviluppo comportamentale, sul-l’anestesia nella pratica neonatolo-gica e quello – ampio, lucidissimo,massimamente attuale – sulle car-diopatie congenite: costituisconouna testimonianza – addiritturaemozionante – di coerente fedeltà al“credo smithiano” da parte dei suoivalenti epigoni: incrementare il ba-gaglio culturale non soltanto deglispecialisti contro il dolore dei bam-bini, ma altresì il sapere di tutti co-loro che, medici e chirurghi, hannoa cuore la salvaguardia delle gene-razioni a venire.

Quando, più di mezzo secolo fa,Robert Moors Smith diede alla lucequesta creatura, essa non tardò ameritare l’epiteto di “Bibbia” del-l’argomento. Ben vi figurava, comeoggi (con gli indispensabili cambia-menti), un importante capitolo sul-la storia dell’anestesia pediatrica,a firma dell’ideatore dell’opera edel suo primo collaboratore MarkRockoff, capitolo il cui livello diqualità ne fa, a nostro avviso, unalettura basilare per la formazionedel medico. Ed infatti vi è in nucelo spirito e il metodo dell’interaopera: un panorama di un’area distudio in costante espansione,mantenendo la prospettiva di qual-cuno che si è votato alla presa incarico del singolo paziente, primaancora di studiare definizioni ecreare nominalismi.

Franco D’Angelo

Vivi con i bambini

e imparerai ad amare

Georg Walter Groddeck

Pablo Picasso. Madre con bambino malato.Pastello su carta, Barcellona, Museo Picasso