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Avanzata araba in Europa 632: morte del profeta Maometto 634: l’Islam scatena un attacco senza precedenti che coinvolse contemporaneamente Europa ed Asia 638: cade Gerusalemme

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  • Avanzata araba in Europa

    632: morte del profeta Maometto 634: l’Islam scatena un attacco senza precedenti che coinvolse contemporaneamente Europa ed Asia 638: cade Gerusalemme

  • Espansione dell'Islam tra VII e VIII secolo

  • L’Europa durante il VII secolo. nel 632 avvenne un fatto apparentemente insignificante che nessuno, sia in occidente che in oriente, avrebbe pensato così importante e denso di conseguenze: quell’anno moriva il profeta Maometto. Appena due anni dopo, ossia nel 634 l’Islam scatenava un attacco senza precedenti che coinvolse contemporaneamente Europa ed Asia. In poco tempo Bisanzio dovette cedere gran parte dei suoi possedimenti, compresa Gerusalemme che cade nel 638; così anche l’Impero persiano. Nasce e si forma così, in breve tempo, la forza antagonista all’Europa e

    all’occidente: il mondo islamico.

  • Mentre i popoli germanici che invasero l’Impero romano d’occidente, chi prima chi dopo, si avvicinarono alla cultura dei vinti venendone sopraffatti gli islamici si presentano ai conquistatori con un ‘identità fortissima e con la volontà ferrea di sottomettere il vincitore alle loro leggi e, soprattutto, alla loro religione. Il fatto è che i germani, a parte le virtù guerresche, avevano poco da trasmettere: usi tribali, una religione primordiale e quasi nient’altro; l’Islam, invece, si faceva portatore di una cultura per nulla primitiva – anzi notevolmente evoluta – unita alla incrollabile convinzione della loro superiorità rispetto ai popoli sottomessi Viene così a crearsi una situazione del tutto nuova, di scontro frontale tra due civiltà inconciliabili – riscontrabile ancora adesso – e che rende il Mediterraneo, l’antico mare nostrum dei romani, una frontiera pericolosa ed instabile.

  • Egitto, Marocco, tutta l’Africa Settentrionale, la Spagna passano nelle loro mani. Quindi danno il via alla conquista della Francia e della Sicilia, roccaforti della cristianità e dell’Occidente. Sulla loro strada trovano solo la resistenza dei re Franchi – Carlo Martello che li sconfigge a Poitiers nel 732 – Pipino il Breve e suo figlio Carlo. È chiaro allora perché la Chiesa romana, di fronte all’incombente pericolo islamico, abbia deciso di rompere gli indugi e di unirsi a filo doppio con l’unico sovrano che si era dimostrato in grado di opporre una resistenza, Carlo Magno.

  • Carlo tentò di porsi come difensore dei cristiani spagnoli che vivevano sotto il dominio degli emiri musulmani arabi di al-Andalus: la motivazione religiosa, sicuramente presente, risulterebbe quindi secondaria rispetto a quella geopolitica, ossia la pericolosa vicinanza al territorio franco del Califfato

  • I poemi epici e in particolare la «chanson de Roland « di questo periodo affondano le radici nella realtà storica, precisamente nella nascita dello stato francese e nel definitivo forzato arresto degli Arabi protesi verso la conquista dell’Europa. Dopo che i Saraceni erano stati sconfitti per la prima volta da “Carlo Martello” nella battaglia di Poitiers, Carlo Magno allontanò definitivamente dall’Europa il pericolo rappresentato dagli Arabi con continue spedizioni in Spagna. Di ritorno da una di queste spedizioni, la sua retroguardia fu assalita e sterminata dai baschi, alleati degli arabi, a Roncisvalle (nel 778). In questa imboscata cadde anche il più forte dei paladini, il famoso Rolando (o Orlando), nipote del Re, a cui era stato affidato il compito di proteggere il grosso dell’esercito da eventuali attacchi nemici alle spalle. Avuta notizia dell’attacco, Carlo Magno ritornò indietro e sconfisse facilmente gli avversari, ma non fece in tempo a salvare il nipote

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  • La Breccia di Orlando è una gigantesca spaccatura naturale, larga 40 e alta 100 metri, lungo il confine tra Francia e Spagna nei Pirenei. Secondo la leggenda, la Breccia fu creata da Orlando, quando cercò di distruggere la sua spada, Durlindana, per evitare che questa cadesse nelle mani dei saraceni dopo il massacro di Roncisvalle

    https://it.wikipedia.org/wiki/File:La_breche_de_roland_2.jpg

  • nella «Vita Karoli «EGINARDO biografo ufficiale di Carlo Magno tratteggia perfettamente l’accaduto illustrando la feroce combattività dei montanari baschi che, grazie alla perfetta conoscenza dei luoghi e alle tecniche di guerriglia in questo determinato ambiente geografico, sfruttando l’effetto sorpresa, riuscirono nell’impresa di metter in scacco e annientare completamente la retroguardia del più grande esercito del tempo, avendo la meglio su soldati di professione meglio preparati. Le tribù basche all’epoca facevano parte del Ducato di Vasconia, realtà politica consolidata e sostanzialmente indipendente capace di resistere sia ai visigoti sia agli stessi arabi e dunque poco propensi ad accettare soprusi esterni. I baschi si erano già convertiti al cristianesimo, ma avevano con il tempo intrapreso buoni rapporti con i potentati musulmani della pianura i quali avevano rinunciato a una conquista forzata della zona, che poteva di fatto considerarsi libera e non soggetta ad altre dominazioni. I baschi non avrebbero quindi sicuramente visto di buon occhio l’eventuale creazione di un avamposto franco a sud dei Pirenei, dal momento che gli stessi franchi avrebbero poi inevitabilmente esercitato uno stretto controllo sui passi montani, unica via di collegamento con i loro domini settentrionali, cuore dell’impero. La paura di questa prospettiva che avrebbe indubbiamente limitato la secolare autonomia del popolo basco, unita a un ferreo desiderio di vendetta per le depredazioni subite, spinse probabilmente i vascones all’attacco.

  • Mentre l’esercito sfilava in una lunga colonna, obbligato dalla natura e dalla ristrettezza dei luoghi, i Vascones, che avevano organizzato un’imboscata in cima alla montagna, si slanciano sulla colonna che scortava i bagagli e respingono i soldati che la proteggevano in una valle situata al di sopra e quindi ingaggiano il combattimento, uccidendoli fino all’ultimo uomo. Dopo di ciò, facendo man bassa dei bagagli e favoriti dal calare della notte, essi si sono dispersi con la più grande celerità. I Vasconi erano avvantaggiati in questa azione dalla leggerezza del loro armamento e dalla configurazione geografica dei luoghi. In questo combattimento Eginardo, prevosto della tavola reale, Anselmo, conte di palazzo e Orlando/Rolando (Rotland), prefetto della Marca di Bretagna, rimangono uccisi insieme a tanti altri.

    «VITA KAROLI» di EGINARDO biografo ufficiale di Carlo Magno

  • Nell'imboscata caddero il conte palatino Anselmo, il siniscalco Eggihardo (o Aggiardo) e il conte palatino Rolando (Orlando), duca della Marca di Bretagna. Il fatto d'armi (ben difficilmente si può parlare di vera e propria battaglia) era iniziato nel tardo pomeriggio di sabato 15 agosto 778 per arrestarsi al calar del sole, terminando l'indomani col totale annientamento della retroguardia dell'esercito franco e la razzia dell'intero bottino che i Franchi avevano conseguito a Barcellona e a Pamplona

  • La leggenda

    https://www.google.it/url?sa=i&rct=j&q=&esrc=s&source=images&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwiLmo68qZ7aAhVTnRQKHc1pD1sQjRx6BAgAEAU&url=https://www.washingtontimes.com/news/2016/mar/10/james-a-lyons-islamic-jihad-roots-lay-in-crusades/&psig=AOvVaw0styyBu-vL0ADQslfvVHVh&ust=1522852413852620

  • La vicenda di Roncisvalle inizialmente è stata resa celebre come poema epico trasmesso in forma orale, fino a quando nell’XI secolo un anonimo troviere codificò l’intera narrazione in un’opera scritta, la Chanson de Roland, inserita nel più ampio ciclo di racconti denominato carolingio, costituito per l’appunto da altre chansons. La persona che probabilmente raggruppò il testo in endecasillabi viene generalmente individuata nella figura del monaco Turoldo. Nella Chanson de Roland, ritenuta una delle più importanti opere della letteratura medievale non solo francese ma continentale, rispetto all’episodio reale i baschi vengono trasformati nei mori saraceni, i nemici della cristianità, e la disfatta dei franchi assume un ruolo centrale all’interno del quadro epico del ciclo carolingio, interamente dominato dalla contrapposizione tra il mondo civilizzato cristiano occidentale e quello barbaro e incivile dei miscredenti

  • Come si può facilmente vedere, l’episodio non era di per sé molto rilevante. Però queste imprese, assunsero il carattere di una guerra religiosa tra cristiani e musulmani e per questo motivo, dato anche il particolare periodo, intorno ad esse fiorirono una quantità di leggende. Chiaramente gli episodi furono ingigantiti dalla fantasia popolare fino a diventare il poema che conosciamo, permeato di nobili sentimenti quale l’amore verso la patria, la fedeltà al sovrano, la purezza degli ideali e la fede in Dio. Così un episodio diventa epopea.

  • Temi

    I valori che caratterizzano la Chanson de Roland sono: • la fedeltà al proprio signore in questo caso Carlo Magno, • la fede cristiana, in opposizione alla fede islamica (che tra l'altro nel testo risulta essere politeista); • l'onore, da tutelare a ogni costo e con ogni mezzo; • l'eroismo in battaglia. Alla celebrazione delle virtù militari nella dimensione del martirio cristiano – il cavaliere che muore in battaglia è equiparato al santo che rinuncia alla propria vita per la fede – corrisponde la quasi totale assenza del motivo amoroso. In quest'ottica le imprese di Carlo Magno e dei suoi paladini contro gli Arabi sono celebrate come delle vere e proprie guerre sante; questa opposizione ha fatto pensare a porre la datazione della Chanson ai tempi della prima crociata bandita da Urbano II. I paladini sono eroi, votati all'ideale della fede e dell'onore, coraggiosi, fedeli a Dio e al loro signore, abili con la spada, che salvaguardano i più deboli e li difendono onorevolmente.

  • Enrich Auerbach, importante critico letterario, definì l’opera

  • L’Arazzo di Bayeux modello per la «Tapisserie de Roland»

  • Ecco il re, la figura reale più positiva nella letteratura medievale. La sua barba è bianca e la sua testa è piena di fiori;

  • Carlo Magno è circondato da dodici paladini, come Gesù dai suoi apostoli. Nella tradizione epica erano dodici perché ciascuno era assegnato a servire l’imperatore un mese all’anno . Tutti moriranno a Roncisvalle.

  • personifica IL cavaliere: lealtà, fedeltà, dedizione alla morte per la causa che abbraccia, senso dell'onore, tenacia e rifiuto di ogni compromesso

  • E’ il fedele compagno, il fratello d’armi. Incarna la saggezza terrestre «fra Oliviero e Rolando c’è tutta la differenza che separa il giusto dal santo»

  • Uomo do Chiesa, saggio e compassionevole, svolge pienamente i suoi doveri religiosi. Assicura una sepoltura cristiana ai morti, prega, benedice ed assolve prima della battaglia.

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    In mezzo ai dodici paladini , a immagine degli apostoli di Cristo, è Giuda, colui che realizzerà il tradimento. Al contrario di Rolando, vassallo ideale, non è disposto a dimenticare i suoi interessi personali.

  • Antagonista di Carlomagno è l’incarnazione del «torto» è stato scelto per valorizzare le qualità di Carlomagno. Mentre l’imperatore ascolta i suoi vassalli e tiene conto dei loro Consigli, Marsilio non ascolta che un unico consigliere

  • …consigliere fidato di Marsilio, infido e bugiardo

  • Le vicende hanno inizio con la descrizione della situazione generale del conflitto in Spagna, a cui segue un'ambasciata pagana pronta ad offrire la pace a Carlo Magno. Si riunisce il consiglio cristiano e si scontrano due linee: da una parte abbiamo Gano di Maganza, futuro traditore, rappresentante di una nobiltà fondiaria che non ha bisogno di espandere i propri domini e che anzi preferirebbe il mantenimento della pace; dall'altra una nuova classe sociale in ascesa che ha nella virtù militare la propria principale espressione e che invece vuole fortemente che il conflitto vada avanti, rappresentata dall'eroe per eccellenza, il prode Orlando. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, tuttavia, Gano non è presentato come un vile traditore, e la sua opposizione a Orlando non è uno scontro tra due mondi inconciliabili che vedono la ragione e il torto separati da una linea netta; c'è piuttosto il riconoscimento di una nobiltà già dalla presentazione che indica quanto pur nel conflitto destinato inevitabilmente a risolversi a favore dei Franchi ci siano molte sfumature

  • La Chanson de Roland è divisa in tre parti: • la premessa, incentrata sul tradimento di Gano di

    Maganza, paladino della corte di Carlo;

    • la parte centrale, incentrata sulla morte eroica di Orlando e dei suoi cavalieri;

    • l’epilogo, incentrato sulla vendetta di Carlo Magno contro i Mori e Gano stesso

  • Re Carlo, il nostro imperatore grande, sette anni pieni è stato nella Spagna, e l'alta terra ha preso fino al mare. Non v'è castello che innanzi a lui rimanga, Né città o muro che debba ancora infrangere. Sol Saragozza, che sta su una montagna, tiene Marsilio, il re che Dio non ama, serve Maometto e Apollo prega e chiama: dalla rovina non si potrà guardare.

  • . Il re Marsilio si trova in Saragozza. È in un giardino andato, sotto l'ombra: sopra un pietrone di marmo blu si corica; gli stanno attorno più di ventimila uomini. Egli si volge ai suoi duchi e ai suoi conti: «Signori, udite che disgrazia ci è sopra. L'imperatore che tien la Francia dolce in questa terra è venuto a sconvolgerci. Io non ho esercito che battaglia gli muova, né ho tale gente che mandi in rotta i suoi. Or consigliatemi come saggi miei uomini Nessun risponde un motto, eccettuato del castel di Valfonda Blancandino. …

  • E dice al Re: «Su via, non vi perdete! In contra a Carlo Magno, altero e forte, spedite méssi con promesse e doni. Voi gli darete orsi e lioni e cani, palafreni, e destrieri e settecento cammelli e mille astor fuori di muda; d’oro e d’argento quattro cento muli onusti e carra da carcar cinquanta, sí che possa pagarne i suoi soldati. Nel dí festivo di santo Michele lo seguirete, e dei cristian la legge accoglierete; suo vassallo fido diverrete per bene e per onore. E s’ei vi chiede ostaggi, e voi mandate o dieci ostaggi o vénti. A sicurtade mandate un nato de la vostra donna!

  • E disse il Re: «Baroni, a Carlo andrete. Egli è ora intento ad assediar Cordova; palme d’olivo, a simbolo di pace e di umiltà, recategli. Se il vostro senno saprà concluder l’amistanza, d’oro e d’argento gran massa averete E gran dominî e terre al piacer vostro».

    E gli direte ancor che, pria che cada questo mese, mi avrà con mille fidi a la sua Regia, e mi farò cristiano e suo vassallo, per amore e fede.

    E i Pagani: «Ben dice il Signor nostro»

  • Sotto un pino, lunghesso un bel rosaio è un sedil d’oro schietto: ivi di Francia dolce sta il reggitor. Bianca ha la barba,bianchi i capelli: nobili le membra, fiero l’aspetto. Chi di lui richiede tosto conosce il Re senz’altra guida. E di Marsilio ecco i messaggi. A terra scesi, salutan per amore e fede….

  • Carlo si risvegliò di buon mattino; sentí la Messa e il Mattutino; poi, standosi sotto un pino, i suoi baroni fece chiamar per tener parlamento: ché nulla ei suol deliberar senz’essi.

    Charlemagne entouré de Roland et d'Olivier

    Cathédrale romane de Strasbourg Musée de l'Oeuvre, Notre-Dame Vers 1200

  • Dice l’Imperador: «Messeri, il Rege di Saragozza a gran dovizia doni m’offre per suoi messaggi… Ma a tornarmene in Francia anche mi invita, ove mi seguirà ne la mia sede di Acquisgrana, e la più salutar legge nostra accogliendo, si farà cristiano e mio vassallo. ……………….

  • «Cavallieri di Francia», indi soggiunge l’Imperador, «fra’ miei Baroni quello che a Marsilio recar debbe il messaggio eleggetemi voi». Risponde Orlando: «Sarebbevi pur Gano, il mio padrigno; non avete il più destro a la bisogna». Dicono i Franchi: «Non sappiam chi meglio sceglier. Se piace al Re, bene è ch’ei vada!»

  • Gran dolor punge Gano. Ei spoglia l’ampio manto di pel di martora e rimane nella serica cotta. Ha il vòlto altero,celesti gli occhi, giuste membra e largo il petto. A maraviglia ognun d’intorno lo guarda, tanto è bello. Ei vòlto a Orlando: «A che, gran folle, tanta ira ti accieca? Non ti rimembre ch’io ti son padrigno? Per le tue mali arti al Saracino io vado, ma, se vuol Dio ch’io ritorni, gran dannaggio ne avrai. Tanto gastigo te ne darò, che sconsolato andrai per tutta la tua vita».

    La rabbia di Gano

  • Allora dice il Re: «Gano, venite a tôr bastone e guanto. Avete udito la vostra elezion?» E Gano: «Sire,questo ha voluto Orlando: ond’è che in fino a morte io l’odierò.» L’Imperadore allor gli porge il destro suo guanto. Lungi esser vorrebbe il Conte. Nel prenderlo, gli cade a terra. I Franchi esclaman: «Dio, qual reo presagio! Orrende sventure a noi verran per questa andata»

  • Così insiem calvalcando, il Saracino e il Cristiano giuraron l’uno a l’altro di procurar di Orlando la ruina; e sì per vie diverse cavalcando furono a Saragozza Presso un pino è un conopeo di alessandrine sete sopra il seggio regal. Qui siede il Sire che la Spagna governa, e intorno ha vènti mila de’ suoi. Silenziosi aspettano,con ansietà, novelle. Ed ecco a un tratto con Ganellone Blancandin venire.

  • Dice il Pagano: «Assai gran meraviglia a me fa Carlo che è canuto e vecchio .Ha, ch’io sappia, ben più di dugento anni! Per tante terre è ito a far conquista, di acuti spiedi tanti colpi ha preso, tanti gran regi ha vinti e morti in campo! Quando mai di far guerre ci sarà sazio?» E Gano: «Non sarà, sin viva Orlando:

  • «Gano, bel cavalliere», il re Marsilio chiede, «per quali vie potremo avere Orlando morto?» E Gano: «Io ve lo insegno. A le gole di Cisra e lunghe ed arte sarà l’Imperadore: a le sue spalle lascierà il prode Orlando ed Oliviero di cui tanto si fida, al retroguardo,con vènti mila suoi Franchi. Mandate voi incontro a loro bene cento mila de’ vostri Saracini, e certamente sbaragliati li avrete al primo scontro. Pur dei vostri cadran, ma a un nuovo assalto non camperà Orlando E sarà questa sì gran prodezza, che rumor di guerra più non verrà a turbare la vostra vita»

    Il piano

  • Una sedia d’avorio è lì da presso. Ordina il Re che il libro de la legge di Trevicante e di Macone sia ivi recato. Sopra egli vi giura di combatter, se il trova a retroguardo, il Conte e i fidi suoi: giura, potendo, bene a morte fedire il prode Orlando. Gano risponde: «Ben sia il nostro patto!» Viene al fin la reina Bramimonda. Dice ella al conte: «Molto v’amo, sire, poi che al mio Re piacete e a la sua gente. Questi due braccialetti a la mogliera vostra voglio mandar: son d’oro fine, con rubini e ametiste. Ha minor pregio tutto il tesor di Roma, accolto; il vostro Imperador non ne ha di più rari».

    «Il tradimento ebbe così suggello»

  • «Messere, Iddio creator vi salvi! a voi le chiavi ecco di Saragozza; ecco ricchezze, eccovi vènti ostaggi. Abbiate cura che sian guardati! Il re Marsilio, io ve ne faccio testimonio, o Sire, sarà con voi, passato il mese, in Francia. Si farà poi cristiano, e a mani giunte fede vi giurerà d’umil vassallo, e in vostro nome reggerà la Spagna».

  • Il sogno funesto È in Francia, nel sacel suo d’Acquisgrana. Il braccio destro un fiero orso gli azzanna. Ecco uscir de le Ardenne un lionpardo che lo assal con gran furia; un veltro snello sbuca dal fondo de la sala; ratto è presso il Re; morde a l’orecchio l’orso, rabbiosamente il lionpardo assale. Dicono i Franchi che la pugna è atroce, ma la vittoria pende incerta. — Carlo profondamente dorme, e non si desta.

  • Passa la notte: l’alba radiosa appare. Il Re fiero cavalca. I corni mandan per l’oste alte note squillanti . «Miei signori baron», dice il re Carlo, «noi siam tra valli e gole anguste. A guardia di chi darem le retrovie?» Risponde Ganellone: «A Orlando, il mio figliastro: chè dei vostri baroni è il più balioso».

    La vendetta di Gano

  • Si compie il destino di Orlando

  • «Verso la Francia il loro re cavalca, ne le pieghe del suo mantel celando il dolor suo»

  • I preparativi dei nobili saraceni

  • E a Saragozza, nello stesso volger di tempo, Marsilio chiama a corte baroni, conti, visconti ed emiri; l’immagine di Maometto garrisce sulla torre e tutti pregano. E poi via, a marce forzate, fino a veder le insegne dei cavalieri Franchi. Il nipote del re si accosta a Marsilio col destriero e gli chiede: «Sire permettetemi di colpire Rolando a morte». Glielo concede il re, donandogli il suo guanto

    Si coprono d’usberghi saraceni per la più parte di triplice maglia, di Saragozza i forti elmi si allacciano, cingono spade di acciaio di Vienne; han begli scudi, spiedi di Valenza e gonfaloni bianchi, azzurri e rossi. Lasciano i muli e tutti i palafreni, sui destrieri cavalcano serrati Chiaro fu il giorno e splendido fu il sole: non armatura c’è che non sfavilli, squillano mille trombe e par più bello.

  • Grande è il rombo, l’udirono i Francesi. Disse Olivieri: «Credo, sire amico, coi Saraceni ci sarà battaglia». Dice Rolando: «Dio ce lo conceda! Qui per il nostro re dobbiamo stare». Badi ciascuno di menar gran colpi: mala canzone di noi non si canti! Torto ai pagani, diritto ai cristiani. Di me non si dirà turpe novella». [...]

    Oliviero vede l’avanzata saracena

  • «Suonate il corno, compagno Rolando. Carlo l’udrà, che sta passando ai valichi; io ve lo giuro, torneranno i Franchi». «Non piaccia a Dio – risponde Rolando – che si dica di me che per qualcuno o per pagani suoni il corno mio! I miei quest’onta non avranno mai. Quando sarò nella battaglia grande sferrerò mille e settecento colpi; di Durendal sanguinerà l’acciaio. Son prodi i Franchi e forte colpiranno; non scamperanno a morte quei di Spagna» . Dice Rolando: «Si accresce l’ardore. Non piaccia a Dio, ai suoi santi, ai suoi angeli che per me perda Francia la sua gloria! Preferisco morire che aver onta. Perché bene colpiamo ci ama il re».

  • «Pari di Carlo, qui l’Imperadore ci ha lasciati: per lui morir dobbiamo, e per la fe’ di Cristo. Or lo vedete,battaglia avremo ed aspra. Innanzi a voi son i Pagani. Le peccata vostre confessate contriti, a Dio pregando mercé. Nel nome suo io ve ne assolvo per la salvezza de le anime vostre. Se voi morrete, dal martirio assunti sarete a l’alta pace»

    La benedizione dell’arcivescovo Turpino

  • Con la mia Durendal acerbi colpi io menerò, sin che di sangue rossa non sia la lama infino a l’or de l’elsa. I Pagani fellon si pentiranno d’esser venuti a queste gole. Tutti quivi morran, ven faccio sacramento».

  • «Assai forte è la pugna! Perché il Re l’oda darò fiato al corno».

  • Fiera e a veder mirabile è la pugna. Orlando ed Olivier meravigliosi

  • Orlando disse: «Suonerò l'olifante. Carlo l'udrà, che sta passando i valichi. Io ve lo giuro che torneranno i Franchi»

  • Orlando ha messo l'olifante alla bocca, lo preme bene, con gran forza lo suona. Son alti i poggi, e lunga è assai la voce : a trenta leghe ne giungeva il rimbombo. L'ode re Carlo, tutte le truppe l'odono. Dice il sovrano: «Battaglia fanno i nostri!». Allora Gano diede questa risposta: «Se altri parlasse, parrebbe gran menzogna!».

    Il conte Orlando con pena e con affanno con gran dolore, or suona l'olifante. Fuor della bocca gli sgorga il sangue chiaro, e al suo cervello la tempia ecco si schianta L'eco del corno che suona va lontano: la sente Carlo, che sta passando i valichi, e l'ode Namo, e l'ascoltano i Franchi. Disse il sovrano: «Sento il corno d'Orlando! Mai suonerebbe, se non stesse lottando».

  • Per una lepre tutto il dì va suonando, e si fa baldo davanti ai suoi compagni. Gente non c'è pronta a cercarlo in campo. Via, cavalcate Perché state fermandovi? La Terra Avita é ancor lontana

    Gano risponde: «Non c'è battaglia affatto! Ormai voi siete vecchio, fiorito e bianco: dicendo questo, voi sembrate un infante. Certo l'orgoglio conoscete d'Orlando: fa meraviglia che Dio lo soffra tanto

  • Il conte Orlando ora ha la bocca piena tutta di sangue e schiantate ha le tempie; e l'olifante suona con grande pena. L'ode re Carlo. e i Francesi lo sentono. Disse il sovrano: “Quel corno a lungo geme!” Risponde Namo : «Fa sforzo il prode certo! C'è una battaglia, per quello ch'io ne penso. Chi vi trattiene gli ha fatto tradimento. Vestite l'armi s'alzi il grido di guerra, e i vostri nobili compagni soccorrete! Udite bene che Orlando si dispera!».

  • L'imperatore fa suonare i suoi corni. Scendon di sella i Francesi, ed indossano usberghi ed elmi e spade ornate d'oro. Han begli scudi e spiedi grandi e forti, bianchi e vermigli e azzurri gonfaloni. Tutti i baroni sopra i destrieri montano, per tutti i valichi spronano con gran forza, e l'uno all'altro parlano in questo modo: “Se mai vedessimo Orlando ancor non morto insieme con lui daremo tanti colpi” Però a che vale? Ché tardato han troppo”

  • Sono alti i poggi, assai alti son gli alberi. Quattro pietroni qui splendono di marmo. Sull’erba verde vien meno il conte Orlando. Un Saracino a lungo lo riguarda, si finge morto, e steso sta fra gli altri: sporcato il corpo e il volto s’è di sangue. Si mette in piedi e a correre si dà. Fu bello e forte e di grande coraggio. Per il suo orgoglio fa una pazzia mortale: afferra Orlando, ne prende il corpo e l’armi, e dice: «È vinto il nipote di Carlo! Ecco la spada che porterò in Arabia!» La tira, e il conte rinvenne così alquanto.

  • Colpisce Orlando sopra un pietra bigia, e più ne stacca di quanto io vi so dire. La spada stride, non si rompe o scalfisce, ma verso il cielo d’un balzo va dritta. Quando s’accorge che a infranger non l’arriva piano tra sé a piangerla comincia: “Ah! Durendala, come sei sacra e fine! Nell’aureo pomo i santi ne han reliquie: San Pietro un dente, del sangue San Basilio, qualche capello monsignor San Dionigi, e un pezzo d’abito anche Santa Maria. Di voi i pagani non hanno a impadronirsi: solo i cristiani vi debbono servire. Nessuno v’abbia che faccia codardia!

  • «Ah, Durendal, sei bella e chiara e bianca! Come riluci e splendi contro il sole! Carlo era nelle valli di Moriana e Iddio gli mandò un angelo dal cielo perché ti desse ad uno dei suoi conti: a me la cinse il re gentile, il grande. Con essa conquistai Angiò e Bretagna, con essa conquistai Poitou e Maine, conquistai Normandia, la Terra Franca, e conquistai Provenza ed Aquitania….. . Con essa conquistai terre e paesi che tiene Carlo, che ha la barba bianca. Per questa spada sento pena e angoscia. Meglio morire che darla ai pagani. Non date a Francia, Dio padre, quest’onta!».

  • II conte Orlando è steso sotto un pino: verso la Spagna ha rivolto il suo viso. A rammentare molte cose comincia: tutte le terre che furon sua conquista, la dolce Francia, quelli della sua stirpe, il suo signore, Carlo, che l'ha nutrito: né può frenare il pianto od i sospiri Ma non vuol mettere nemmeno sé in oblio: le proprie colpe ripete e invoca Dio: «O vero Padre, che mai non hai mentito, tu richiamasti San Lazzaro alla vita e fra i leoni Daniele custodisti; ora tu l'anima salvami dai pericoli per i peccati che in vita mia commisi!». Protende ed offre il guanto destro a Dio: dalla sua mano San Gabriele lo piglia.

  • Sopra il suo braccio or tiene il capo chino: a mani giunte è andato alla sua fine. Iddio gli manda l’angelo Cherubino e San Michele che guarda dai pericoli. Con essi insieme San Gabriele qui arriva. Portano l'anima del conte in Paradiso

  • COME MUORE UN CAVALIERE

  • L’uomo davanti alla morte è il titolo di uno dei saggi di Philippe Ariès, all’interno del più ampio Storia della morte in Occidente, enciclopedia storiografica del rapporto dell’uomo occidentale con la morte. La morte è per noi un’interdizione tanto quanto per i medievali era un naturale elemento della vita. Regolare e normale, quasi ovvia, parte di un ciclo che necessariamente termina con la morte. Tanto quanto inizia con la vita. Proprio per questo non è fonte di angoscia o ansia, ma anche perché in quanto elemento di norma è essa stessa normata, con le sue regole e riti. La morte medievale, per niente spaventosa, ma, con le parole di Ariès, addomesticata, ha una serie di componenti che emergono da quei cantari che sono enciclopedie morali dell’epoca, come i poemi epici per l’antichità, e che ci permettono di comprendere lala mentalità di quegli uomini per noi così lontani. La domanda che si pone Ariès ed alla quale rispondiamo è: come muore un cavaliere? Il cavaliere della chanson de geste evidentemente non rappresenta la totalità degli uomini del Medioevo ma sicuramente ne rappresenta il modello al quale tutti questi tendevano, colui che ne realizzava aspirazioni ed ideali. Per questo il modo in cui un cavaliere muore esemplifica il rapporto che vigeva fra l’uomo e la morte durante il Medioevo. Per affrontare la questione prenderemo ad esempio la più celebre morte del Medioevo: quella di Orlando nell’omonima Chanson.

  • Primo elemento: la morte non giunge all’improvviso, non irrompe di sua sponte nella vita dell’uomo, ma si annuncia, lascia tempo a questo di prepararsi e regolare i propri conti con gli uomini e con Dio, infatti Orlando sente la morte stargli presso. Il sentore che avverte il cavaliere non è magico o soprannaturale, è intimo, è una coscienza data dalla familiarità con la morte, che fa parte dell’uomo e non gli è esterna, gli è presso. Ovviamente regolare i conti con Dio è la prima urgenza per un uomo del Medioevo ed infatti è la prima cosa che fa Orlando, già assolto dai suoi peccati prima della battaglia dall’Arcivescovo-guerriero Turpino, che ha assolto l’intero esercito. A Dio d’accogliere i suoi compagni chiede / e per sé prega poi l’angelo Gabriele. Il cavaliere pensa a tre cose in una sola preghiera: Dio, i suoi compagni e sé stesso. Perché questo è l’uomo medievale: non un individuo scisso dalla società come quello moderno, ma una persona dai confini sfumati che accoglie in sé i propri compagni, e per estensione tutta la società, ma anche Dio ed il ricordo di ciò che individualmente era.

  • Così quindi muore un cavaliere e così vorrebbe morire l’uomo medievale, o immagina di morire. Nel proprio letto, con le mani giunte in preghiera, ricordando Dio, i propri cari, sé stesso e con i peccati assolti. L’uomo medievale se ne va preso da un sonno per niente traumatico o sconvolgente ma assolutamente familiare, e la morte veramente viene come una vecchia amica.

    L’uomo davanti alla morte, da «Storia della morte in Occidente, Di Philippe Ariès»

  • Il ritorno di Carlo e il compianto su Rolando Arriva Carlo a Roncisvalle e non c’è un palmo di terra che non accolga un corpo morto, di cristiano o di pagano. «Che i morti non vengano mangiati dalle fiere» ordina Carlo. I Franchi poi corrono a briglia sciolta dietro ai pagani in fuga. E mentre scende la sera, l’imperatore scende da cavallo e chiede a Dio di far sì che la notte ritardi, e il giorno duri; un angelo gli dice: sarai esaudito. Il sole si ferma in cielo, c’è tempo per la vendetta: i Franchi tagliano la strada ai pagani, li falciano. Davanti al fiume Ebro, li costringono nella corrente, e quelli, pesanti d’armature, quasi tutti annegano. Prima di tornare a Roncisvalle, stabiliscono i Franchi un campo. E nella notte limpida, Carlo sogna i suoi soldati: In riva all’Ebro, Marsilio ripudia i suoi dei, Maometto, Apollino e Tervagante, e chiede loro: «Dove eravate mentre i Franchi ci scannavano?»

  • " Quando il re vede scendere la sera, si china a terra e prega Iddio Signore di far che il sole si arresti per lui e la notte ritardi e il giorno duri. Ed ecco un angelo che suole con lui parlare Questo comando rapido viene a dargli: "Carlo, cavalca! Luce non ti manca. Puoi vendicarti della razza malvagia." Per Carlomagno Iddio compì un prodigio, perché il sole in cielo immobile rimase."

  • Poi, giunto a sera il dì, si trasse sotto le regali volte de la sua stanza, e il travagliato corpo posò l’Imperadore. Quivi da la parte di Dio san Gabriele gli apparve e comandò: «Carlo, raccogli del reame gli eserciti; convienti marciare inverso Bira, a dare in Infa,ove invocato sei con alte grida, soccorso al re Vivian contra i Pagani» Grave, a lo stanco Re, giunge l’invito. «Signore!» esclama «come perigliosa è la mia vita». E per dolore ed ira piange e tormenta la sua bianca barba.