HR76 PASSIONE PERICOLOSA

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Passione pericolosa Diana Palmer

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Diana Palmer

Passione pericolosa

Foto di copertina: Shutterstock

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

Dangerous HQN Books

© 2010 Diana Palmer Traduzione di Maura Arduini

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione Harmony Romance agosto 2010

Questo volume è stato stampato nel luglio 2010

presso la Mondadori Printing S.p.A. stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)

HARMONY ROMANCE

ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 76 del 27/8/2010

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 72 del 6/2/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

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Kilraven odiava il mattino. Quel giorno anche di più, per via della festa di Natale e della distribuzione dei regali. Come tutti i membri delle squadre di polizia, dei vigili del fuoco e della pubblica assistenza di Ja-cobsville, in Texas, anche lui aveva esposto il proprio nome sul grande albero di Natale nell'atrio della Cen-trale Operativa del 911. E quello era appunto il giorno in cui i regali, rigorosamente anonimi, dovevano essere scambiati. Kilraven sorseggiò il suo caffè nero, nella stazione di polizia, e pensò seriamente di svignarsela. Lanciò un'occhiata al Commissario Cash Grier, che gli sorrise distaccato e poi lo ignorò. Natale risvegliava tutta la sua infelicità. Gli riporta-va alla mente quel che era successo sette anni prima, quando di colpo la sua vita aveva smesso di avere un senso. Da allora gli incubi lo perseguitavano e popola-vano il suo sonno. Così, copriva i suoi turni e si offriva anche volontario per sostituire gli altri agenti della po-lizia locale, quando ce n'era bisogno. Detestava stare da solo. Ma ancora di più detestava le folle. E poi, quella era in ogni caso una giornata triste. Nella casa in cui aveva brevemente abitato a Jacobsville, in affitto, aveva tenuto con sé un grosso chow-chow nero. Pur-troppo si era reso necessario cercargli un'altra sistema-

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zione, perché non era consentito tenere animali nel-l'appartamento di San Antonio dove sarebbe presto ri-tornato. Così Bibb, il cane, era andato a vivere con un ragazzo, un vicino, che amava gli animali e aveva ap-pena perso il proprio amico a quattro zampe. Un segno del destino, si era detto Kilraven. Però il cane gli man-cava. Dunque, tutti si aspettavano da lui che sorridesse e socializzasse alla festa, e che accogliesse con entusia-smo il regalo, quasi certamente una cravatta che non avrebbe mai usato, o una camicia di due taglie più grandi o un libro che non avrebbe mai letto. Chi com-perava un regalo aveva un animo gentile, ma di solito compiaceva soprattutto se stesso. Erano rare le persone in grado di osservare qualcuno e trovare il regalo giu-sto, che arrivasse diritto al cuore. Lui era lì sotto copertura, come agente di polizia, in quella cittadina della provincia del Texas quasi al con-fine con il Messico. Ma per lavoro, per il suo lavoro vero, ogni tanto doveva vestirsi con giacca e cravatta. Lì a Jacobsville non gli era mai successo. Dunque, re-galargli una cravatta a Natale sarebbe stato solo uno spreco di soldi. Diavolo, era sicuro che sarebbe stata una cravatta. Lui le odiava, le cravatte. «Perché non mi leghi a un palo e non mi dai fuoco?» chiese al Commissario Grier, cupo. «La festa di Natale è divertente» ribatté lui. «Devi solo entrare un po' nel giusto spirito. Sei o sette birre, e starai benissimo.» Lo sguardo di Kilraven divenne ancora più cupo. «Io non bevo» ricordò al suo capo provvisorio. «Ma guarda che coincidenza!» esclamò Cash. «Ne-anch'io!» «E allora, perché andiamo alla festa, se nessuno dei due beve?»

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«A questo party non si serve alcol. E andiamo per-ché fa bene alle relazioni sociali.» «Detesto le relazioni sociali, e infatti non ne ho» sbuffò Kilraven. «Falso» replicò l'altro, divertito. «Hai un fratellastro che si chiama Jon Blackhawk. E anche una matrigna, da qualche parte.» Kilraven fece una smorfia. «Dura solo un'ora» disse Cash in tono più gentile. «È quasi Natale. Non vorrai dare un dispiacere agli or-ganizzatori, no?» «Sì» ringhiò lui, con voce profonda. Cash guardò il fondo della sua tazza di caffè. «Win-nie Sinclair resterà molto delusa, se non ti farai vedere. Tra poco ritornerai a San Antonio. Vederti alla festa la farà felice.» Kilraven spostò lo sguardo verso la vetrata. Fuori, nella piazza, il traffico scorreva regolare attorno a un gigantesco albero di Natale, stracolmo di luci colorate, completato da Babbo Natale, slitta e renne in grandez-za naturale. C'era un albero anche nella stazione di po-lizia, e le decorazioni erano, a dir poco, originali. Dai rami pendevano piccole manette, minuscole riprodu-zioni di armi da fuoco e modellini di auto di servizio. Per gioco, qualcuno aveva anche steso, tutt'intorno, il nastro giallo che le pattuglie usavano per delimitare l'a-rea del delitto. Kilraven non voleva pensare a Winnie Sinclair. Ne-gli ultimi mesi, lei era diventata una presenza a cui sa-rebbe stato difficile rinunciare. Ma Winnie non sapeva nulla di lui e del suo passato... Qualcuno però doveva averglielo accennato, perché a un certo punto il suo at-teggiamento era cambiato. I sorrisi timidi e gli sguardi rapiti che lui aveva colto all'inizio si erano eclissati, e lei era diventata molto gentile e formale, quando parla-

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vano in servizio, ma niente di più. Kilraven la vedeva raramente. Non era affatto sicuro che fosse una buona idea starle attorno. Ma siccome lei aveva smesso di dargli confidenza, era meno doloroso scegliere di non colmare quella distanza. Logico. Scrollò le spalle ampie. «Immagino che qualche canto di Natale non mi ucciderà» borbottò. Cash sogghignò. «Dirò al sergente Miller di cantarti il ritornello che ha composto espressamente per noi.» Kilraven gli lanciò un'occhiata. «Per favore, no. L'ho sentito.» «Non ha una brutta voce» replicò Cash. «No... per una carpa.» Cash scoppiò a ridere. «Bella battuta, Kilraven.» Corrugò la fronte. «Ma non hai un nome?» «Ce l'ho, ma non lo uso. E non te lo dico.» «Ci scommetto che in amministrazione lo sanno» rifletté Cash. «E anche alla banca.» «Non te lo diranno» promise lui. «Io porto la pisto-la.» «La mia è più grossa» ribatté Cash, piccato. «Ascolta, nel mio lavoro devo nasconderla» gli ri-cordò lui. «È dura tenere una Colt 1911 calibro 45 se-miautomatica nella cintura dei pantaloni senza che si veda.» Cash alzò tutte e due le mani. «Lo so, lo so. Ho la-vorato anch'io sotto copertura. Ma adesso non ho pro-blemi a portare anche armi più grosse.» «Meno male che non ti porti in giro una pistola a tamburo, come Dunn.» Kilraven sospirò, indicando con un cenno il Vice Commissario Judd Dunn che chiacchierava con un collega seduto sul bordo della sua scrivania, con attaccata al fianco una fondina di cuoio da cui spuntava una grossa Ruger Vaquero cali-bro 45.

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«Lui appartiene alla Single Action Shooting Society» gli ricordò Cash, «e hanno una gara oggi pomeriggio. È il nostro tiratore più bravo.» «Dopo di me» disse Kilraven compiaciuto. «È il nostro tiratore più bravo tra i residenti» si cor-resse Cash. «Tu sei il tiratore più bravo che emigra.» «Non andrò lontano. Solo a San Antonio.» Gli occhi grigi di Kilraven si fecero più scuri. «Sono stato molto bene qui. Con meno pressioni.» Cash suppose che le pressioni ridotte fossero dovute all'assenza di quei cattivi ricordi che Kilraven non ave-va ancora affrontato, e cioè lo sterminio della sua fa-miglia sette anni prima in uno scontro a fuoco. Un epi-sodio che riportava alla mente un caso recente, un as-sassinio che era ancora oggetto di investigazione da parte dell'ufficio dello sceriffo, con l'aiuto di Alice Mayfield Jones, l'esperta di medicina legale di San An-tonio fidanzata con un rancher del luogo, Harley Fow-ler. «Hai detto a Winnie Sinclair di suo zio?» chiese Cash in tono sommesso, in modo che nessun altro po-tesse sentire. Kilraven scrollò la testa. «Non sono sicuro che sia giusto, a questo punto delle investigazioni. Suo zio è morto. Nessuno minaccerà Winnie, o Boone o Clark Sinclair per questo. Non so nemmeno quale possa es-sere il collegamento con la vittima del nostro omicidio. Finché non lo scopro è inutile far star male anche Win-nie.» «Qualcuno è andato a sentire di nuovo la conviven-te?» «Non hanno avuto molta più fortuna di quando sono andati la prima volta» ribatté Kilraven. «È così fatta di coca che non sa più neanche che ora è. Non ricorda nulla che ci possa essere di alcuna utilità. Nel frattem-

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po gli agenti hanno battuto uno a uno i negozi allineati sotto al palazzo dove abitava la vittima del nostro omi-cidio, cercando di scoprire se qualcuno lo conosceva. Un delitto con un quadro confuso. Molto confuso.» «C'era stato un altro caso, una ragazza giovane che venne trovata in condizioni analoghe, sette anni fa» ri-cordò Cash. Kilraven annuì. «Sì. Poco prima che...» Esitò. «Poco prima che perdessi la mia famiglia» disse dopo un at-timo. «Le circostanze erano simili, ma non troviamo nessun possibile collegamento. La ragazza andò a una festa e scomparve. Anzi, i testimoni dicono di non a-verla neppure vista alla festa, e il suo appuntamento risultò fittizio.» Cash lo studiò con attenzione. «Kilraven, la ferita non si chiuderà, finché non riuscirai a parlare di ciò che è successo.» Negli occhi di Kilraven balenò un lampo. «A che cosa serve parlarne? Io voglio il colpevole.» Voleva la vendetta. Era scritto nei suoi occhi, nel modo in cui serrava la mascella, in tutto il suo atteg-giamento. «So che cosa si prova» incominciò a dire Cash. «Col cavolo» lo zittì Kilraven. «Col cavolo che lo sai!» Si alzò e se ne andò senza dire un'altra parola. Cash, che aveva visto le foto dell'autopsia, non si of-fese. Era dispiaciuto per il collega più giovane. Ma non c'era niente che nessuno potesse fare per lui. Kilraven alla festa ci andò. Si mise in piedi vicino a Cash, senza guardarlo. «Mi dispiace di aver perso il controllo» gli disse, in modo burbero. Cash si limitò a sorridere. «Non me la prendo più con chi è di cattivo umore.» Sogghignò. «Sono diven-tato buono.»

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Kilraven si voltò a guardarlo. «Ah, sì?» Cash lo fulminò con lo sguardo. «È stato un inciden-te.» «Che cosa, il secchio di acqua saponata o la spugna in bocca?» Cash fece una smorfia. «Non avrebbe dovuto insul-tarmi proprio mentre lavavo la macchina. Non ero stato nemmeno io ad arrestarlo, ma uno dei nuovi.» «Ha pensato che tu eri in cima alla piramide, e non gli era piaciuto che la gente lo vedesse portar via dal-l'ambulatorio del dentista ammanettato, su una mac-china della polizia» gli fece notare Kilraven. «Naturale, dal momento che il dentista era lui. Ave-va drogato una delle sue pazienti più carine con il gas esilarante, e l'infermiera l'ha sorpreso ad approfittare di lei.» «Il che spiega come mai, da un grosso studio di cit-tà, si era trasferito in un piccolo ambulatorio di provin-cia» considerò Cash. «Era qui solo da un mese, l'estate scorsa.» «Ha fatto un grosso errore, a insultarti in casa tua.» «Sono sicuro che l'ha capito anche lui» replicò Cash. «Non hai dovuto ripagargli il vestito...?» «Gliene ho comperato uno nuovo, molto carino» ri-batté il commissario. «Il tribunale stabilì che doveva essere di pari prezzo rispetto a quello che gli avevo ro-vinato con l'acqua e il sapone.» Sorrise, con espressio-ne angelica. «Non disse che doveva avere lo stesso co-lore.» Kilraven fece una smorfia. «Dove diavolo l'hai sco-vato, un vestito a scacchi gialli e verdi?» Cash gli venne vicino. «Ho le mie conoscenze, nel-l'industria dell'abbigliamento.» Kilraven sogghignò. «Il dentista lasciò la città il giorno stesso. Credi che sia stato per via del vestito?»

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«Ne dubito molto. Piuttosto, credo che siano state le prove che avevo trovato a suo carico» replicò lui. «Mi è bastato accennargli che avevo preso contatto con due delle sue vittime precedenti.» «E che avevi suggerito a entrambe il nome di un bravo detective di Houston, se non sbaglio.» «I detective sono utili.» Kilraven continuò a guardarlo. Lui si strinse nelle spalle. «Be', non credo che mi verrà mai in mente di rivol-gerti la parola mentre lavi la macchina» concluse Kil-raven. L'altro si limitò a sorridere. La Centrale Operativa del 911 traboccava di gente. L'albero di Natale alto tre metri era adorno di luci of-ferte dal personale. Una miriade di led multicolori si accendevano e si spegnevano in continuazione. Al di sotto c'era il tesoro, un cumulo di pacchetti di mille co-lori. Tutti anonimi. Kilraven li guardò e si prefigurò il suo, indesiderato. «Sarà una cravatta» borbottò. «Prego?» chiese Cash. «Il mio regalo. Chiunque mi abbia fatto qualcosa, sarà di certo una cravatta. È sempre così. Ne ho dei cassetti pieni.» «Non si può mai dire» ribatté Cash, in tono filosofi-co. «Potresti restare sorpreso.» Tra le note dei canti natalizi, il personale della Cen-trale Operativa diede il benvenuto agli invitati con un breve discorso a proposito del duro lavoro svolto du-rante l'anno, e di tutti i risultati ottenuti. Il capo del personale ringraziò tutti i componenti dei servizi di emergenza, a partire dal Pronto Soccorso, le squadre di vigili del fuoco e di polizia federale, il dipartimento dello sceriffo e la polizia di stato, i Texas Rangers e

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tutti i reparti investigativi. Con un cenno indicò i tavoli del rinfresco, e invitò gli ospiti a servirsi. Poi vennero distribuiti i regali. Kilraven si stupì delle dimensioni del proprio. Do-veva trattarsi di una cravatta molto grande, oppure il pacchetto era stato confezionato proprio per camuffar-la. Non sapeva che cosa aspettarsi. Rigirò tra le mani quel largo pacchetto quadrato con evidente curiosità. Winnie Sinclair, esile e bionda, lo sorvegliò con la coda dell'occhio. Aveva i capelli sciolti sulle spalle, perché qualcuno le aveva detto che a Kilraven non pia-cevano le code di cavallo, o i ciuffi. Indossava un abito rosso molto castigato, con la scollatura alta. Avrebbe voluto saperne di più su quell'agente così enigmatico. Lo sceriffo Carson Hayes le aveva detto che una parte della famiglia di Kilraven era morta in un fatto di san-gue qualche anno prima, ma non era riuscita a fargli dire di più. Ora anche loro, nella Contea di Jacobs, a-vevano a che fare con un brutto omicidio... il secondo per la verità. In ambienti investigativi girava voce che una donna di San Antonio conoscesse la vittima, e che per questo fosse morta. Un'altra voce, ancora più insi-stente, diceva che anche un vecchio caso si stava per riaprire. Qualunque cosa succedesse, subito dopo Natale Kil-raven sarebbe partito per tornare al lavoro originario, nella sede federale di San Antonio. Da giorni Winnie era inquieta e silenziosa. Aveva disegnato il nome sul regalo segreto per Kilraven, ma aveva quasi l'impres-sione che ci fosse scritto anche il suo, da qualche parte. Di sicuro, i colleghi sapevano quello che provava per lui. Aveva passato ore a cercare di decidere che cosa re-galargli. Non una cravatta, aveva pensato. Tutti regala-vano cravatte, fazzoletti o rasoi. Invece, il suo regalo

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doveva avere qualcosa di particolare, qualcosa che non si potesse trovare sugli scaffali di un negozio. Alla fi-ne, aveva deciso di mettere a frutto il suo talento arti-stico, e gli aveva dipinto un ritratto molto realistico di un corvo, in una cornice di perline variopinte. Non sa-peva perché. Sembrava il soggetto ideale. I corvi erano solitari, intelligentissimi e misteriosi. Proprio come Kilraven. L'aveva fatto incorniciare nel negozio di cor-nici della città. Non era male, aveva pensato. Sperava che lui lo apprezzasse. Naturalmente, non intendeva ammettere che era stata lei a regalarglielo. I regali do-vevano restare anonimi. E comunque, lui non poteva indovinare perché non gli aveva mai detto che dipin-geva. La sua vita si era riempita di magia, da quando vi era entrato Kilraven. Winnie proveniva da una famiglia molto facoltosa, ma né lei né i fratelli se ne facevano vanto. Le piaceva lavorare, e guadagnare per mante-nersi. Aveva una piccola Volkswagen rossa, comperata con il suo stipendio, che lavava e lustrava di persona. Era il suo orgoglio. All'inizio aveva temuto che Kilra-ven potesse sentirsi intimidito dal suo ingente patrimo-nio familiare. Ma lui non aveva mai mostrato risenti-mento, o peggio ancora invidia. Anzi, una volta lo a-veva visto vestito per una conferenza a cui gli era stato chiesto di partecipare. La sua raffinatezza era evidente. Sembrava a proprio agio in qualunque ambiente. Quando lui fosse partito, sarebbe stata molto infeli-ce. Ma forse era la cosa migliore per tutti. Era pazza di lui. Cash Grier diceva che Kilraven non aveva ancora affrontato i suoi demoni, e che quindi non era ancora pronto per una nuova relazione. Questa considerazione l'aveva riempita di tristezza e aveva anche modificato il suo atteggiamento nei confronti di Kilraven. Non che fosse servito a sminuire quel che provava per lui.

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Mentre continuava a guardarlo, lui aprì il pacchetto. Era in piedi un po' discosto dai colleghi della sua squa-dra, con la testa bruna china e gli occhi intenti. Alla fi-ne, il nastro e la carta vennero via. Lui prese il quadro e lo guardò, socchiuse gli occhi, così immobile che sembrò aver smesso persino di respirare. Di colpo, alzò gli occhi color argento, e li puntò dritti in quelli scuri di Winnie. Lei si sentì fermare il cuore nel petto. Lui sapeva! Impossibile! Le rivolse un'occhiata capace di fermare il traffico, poi si voltò e abbandonò la festa, tenendo il quadro per un angolo con la sua mano grande. Non fece ritorno. Winnie sentì male al cuore. Lo aveva offeso. Ne era certa. Lo aveva visto: era furioso. Ricacciò indietro le lacrime, mentre sorseggiava il punch, mordicchiava qualche pasta e faceva finta di divertirsi un sacco. Kilraven riuscì ad arrivare a fatica alla fine del tur-no. Poi salì in auto e guidò senza fermarsi fino a San Antonio, all'appartamento del fratellastro, Jon Bla-ckhawk. Jon stava guardando la replica di una partita di cal-cio. Si alzò per aprirgli al porta, con indosso i pantalo-ni della tuta e niente di più. I capelli, folti e corvini, e-rano sciolti e gli arrivavano a metà schiena. Kilraven lo guardò male. «Fai pratica di travesti-mento indiano?» Jon rispose con una smorfia. «Mi sono messo in li-bertà. Entra. Non è un po' tardi per fare visita a un fra-tello?» Kilraven alzò la borsa che aveva tra le mani, l'ap-poggiò sul tavolino da caffè e tirò fuori il quadro. Gli scintillavano gli occhi. «Hai detto a Winnie Sinclair del corvo.» Jon guardò il quadro e trattenne il fiato. Non solo

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raffigurava un corvo, il soggetto favorito da Melly, ma aveva come cornice le stesse perline arancioni e rosse. Si rese conto, in ritardo, di aver ricevuto un'accusa. Alzò gli occhi scuri sul fratello. «Non ho neanche par-lato, con Winnie Sinclair. Mai, che io ricordi. Come faceva a saperlo?» Gli occhi grigi di Kilraven mandavano ancora lampi. «Qualcuno deve averglielo detto. Se scopro chi è stato lo strozzo.» «Solo un'idea...» rifletté Jon, «non mi hai detto che ti ha inviato i soccorsi in una lite domestica anche se tu non avevi ancora chiamato?» Kilraven si calmò un po'. «Sì» ricordò. «E mi ha salvato la pelle. Quel tipo aveva un fucile e con il fuci-le teneva in ostaggio la figlia, e la moglie che gli aveva chiesto il divorzio. Winnie mi ha mandato una mac-china, che è arrivata a sirena spiegata e con i lampeg-gianti accesi e io ho potuto approfittare del diversivo per neutralizzare quel pazzo.» «Come lo sapeva?» chiese Jon. Kilraven corrugò la fronte. «Gliel'ho chiesto. Mi ha risposto che se lo sentiva. La vittima dell'aggressione, quando aveva telefonato per chiedere aiuto, non aveva parlato di un fucile. Aveva solo detto che il marito da cui era separata era entrato in casa e la minacciava.» «Anche nostro padre aveva questo genere di intui-zioni» gli ricordò Jon. «Gli avevano salvato la vita in più di un'occasione. Le chiamava le sensazioni inquie-te.» «Come la sera in cui la mia famiglia è stata decima-ta» disse lui, lasciandosi cadere sulla poltrona, di fron-te alla televisione muta. «È andato a fare il pieno di gas perché il giorno seguente doveva andare fuori città per l'FBI. Avrebbe potuto andare in un altro momento, e invece scelse quello. Quando tornò...»

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«Tu e metà del corpo di polizia locale eravate già sul posto» ricordò Jon con un brivido. «Vorrei che te lo avessero risparmiato.» Gli occhi di Kilraven avevano un'espressione terribi-le. «Non riesco a togliermelo dalla mente. Vivo con quell'immagine, notte e giorno.» «Anche papà. Ha continuato a bere fino ad ammaz-zarsi. Pensava che forse, se non fosse andato a fare il pieno di gas, loro sarebbero state ancora vive.» «Oppure sarebbe morto anche lui.» Ricordò la le-zione di Alice Mayfield Jones della settimana prima. «Alice Jones me ne ha dette di tutti i colori, su quel se.» Sorrise, amaro. «Immagino che abbia ragione. Non si può cambiare quel che è già successo.» Guardò Jon. «Ma darei dieci anni della mia vita per mettere le mani sugli esecutori.» «Li prenderemo» disse Jon. «Te lo prometto, che li prenderemo.» Poi chiese: «Hai già cenato?». Kilraven scrollò la testa. «Non ho fame.» Guardò il quadro dipinto da Winnie. «Ti ricordi come Melly u-sava i suoi pastelli?» chiese piano. «A soli tre anni si vedeva già che aveva talento...» Si interruppe di colpo. Gli occhi scuri di Jon si addolcirono. «È la prima volta in sette anni che ti sento pronunciare il suo nome, Mac» disse in tono gentile. Kilraven fece una smorfia. «Non mi chiamare co-sì...!» «Mac è il diminutivo perfetto per McKuen» conti-nuò Jon, testardo. «Porti il nome di uno dei più famosi poeti degli anni Settanta, Rod McKuen. Ho un libro di sue poesie, qui da qualche parte. Molte sono state mes-se in musica.» Kilraven guardò le librerie traboccanti di libri. C'e-rano contenitori di libri anche in un angolo. «Come fai a leggerli tutti?» chiese sconcertato.

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Jon lo fulminò con lo sguardo. «Potrei farti anch'io la stessa domanda. Anche tu hai molti libri. E di sicuro hai una montagna di videogiochi.» «Compensano l'assenza di vita sociale» confessò Kilraven con un sorriso imbarazzato. «Lo so.» Jon fece una smorfia. «Il passato ha segna-to tutti e due. Da allora faccio fatica a usare la pistola, quando ci sono di mezzo delle donne.» «Anch'io» confessò Kilraven. Studiò il quadro. «Mi ha fatto infuriare» disse, indicandolo. «La cornice di perline è proprio uguale a quelle che disegnava Melly.» «Era una bambina dolce e bellissima» sussurrò Jon. «Non è giusto cacciarla così in fondo ai tuoi ricordi da perderla per sempre.» Kilraven tirò un lungo respiro. «Immagino di no. Il senso di colpa mi ha mangiato vivo. Forse Alice ha ra-gione. Forse è un'illusione pensare di avere il controllo sulla vita e sulla morte.» «Già.» Jon sorrise. «Ho degli avanzi di pizza, in fri-gorifero, e dell'acqua tonica. C'è una partita fantastica, in TV. La prossima estate ci sarà la Coppa del Mon-do.» «Bene. Per chiunque tenga, la mia squadra perderà, come al solito» replicò lui. Si sistemò sul divano. «Chi gioca?» chiese, indicando con un cenno lo schermo. Quando lasciò la festa per tornare a casa Winnie a-veva il cuore stretto dall'angoscia. Aveva fatto infuria-re Kilraven, proprio appena prima che lasciasse Jacob-sville. Le possibilità di rivederlo di nuovo, già basse, si erano azzerate. «Che cosa diavolo ti è successo?» chiese sua cogna-ta Keely vedendola entrare in cucina. Era impegnata a preparare dei popcorn.

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«Niente. Perché?» cercò di bluffare lei. «Non mi incanti.» Keely, di un paio di anni più gio-vane, l'abbracciò. «Forza Winnie. Dimmi che cosa c'è.» Lei scoppiò in lacrime. «Ho regalato a Kilraven un mio quadro. Non poteva sapere che era mio. E invece l'ha capito subito! E mi ha guardata, come se mi odias-se.» Tirò su con il naso. «Ho rovinato tutto!» «Il quadro del corvo?» collegò Keely. «Ma era splendido.» «Pensavo anch'io che fosse venuto bene» ribatté lei. «Ma lui mi ha guardato come se volesse farmi a pezzi e poi ha abbandonato la festa e non è più tornato.» «Magari non gli piacciono i corvi» suggerì la cogna-ta in tono gentile. «A qualcuno fanno paura.» Winnie rise, e ringraziò Keely con un cenno per il fazzoletto di carta che le aveva messo tra le mani. Si asciugò gli occhi. «Kilraven non ha paura di niente.» «Immagino di no. Però a volte si distrae.» Keely corrugò la fronte. «Non gli hai mandato un agente d'appoggio durante una sparatoria, poco tempo fa? Ne parlavano al lavoro. Una delle ragazze è parente di Shirley, che lavora con te alla Centrale Operativa del 911» le ricordò. Winnie fece una smorfia. Si tolse la borsa dalla spal-la, la buttò da parte e si sedette al tavolo. «Sì, gliel'ho mandato io. Non so neanche perché. Avevo solo il pre-sentimento che sarebbe successo qualcosa di brutto se non avessi fatto niente. La donna che aveva chiamato non aveva parlato di un fucile, e invece l'aggressore aveva un'arma carica, ed era ubriaco. Non gli importa-va niente di uccidere la moglie e la figlia. Kilraven ci è capitato proprio in mezzo.» A entrambe tornò in mente l'incidente successo in precedenza, quando Winnie, per la prima volta addetta

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allo smistamento, si era dimenticata di riferire la pre-senza di un'arma, nella lite domestica in atto. Anche quella volta era stato coinvolto Kilraven, che poi le a-veva tenuto una paternale. Da quella volta lei era molto più attenta. «Come lo sapevi?» insisté Keely. «Non me lo spiego neanch'io.» Winnie rise. «È tutta la vita che ho questo genere di intuizioni, e so cose che non avrei alcun motivo di sapere. Mia nonna a volte metteva in tavola dei piatti in più anche se nessuno le aveva detto che sarebbe venuto qualcuno a casa. E la gente arrivava proprio quando lei se lo aspettava. La sua seconda vista, la chiamava.» «Una specie di dono. Ho sentito dire che la moglie di Cash Grier, Tippy, ce l'ha.» «Be', ce l'ho anch'io.» Winnie si strinse nelle spalle. «Non so. Ho come delle sensazioni, e di solito sono brutte.» Alzò lo sguardo sulla cognata. «Una ce l'ho da stamattina, e non riesco a mandarla via. Non so nean-che se c'entri la reazione di Kilraven al mio regalo. Mi chiedo...» «Chi sta arrivando lungo la strada?» chiese Boone Sinclair, arrivando alle loro spalle. Depose un bacio veloce sulle labbra di Keely. «Aspettiamo qualcuno?» domandò, rivolto anche a Winnie. «No» rispose Keely. «Nemmeno io» disse Winnie. «Non è Clark?» Boone scrollò la testa. «È volato a Dallas questa mattina, per incontrare a mio nome degli acquirenti per il bestiame.» Corrugò la fronte e andò alla finestra. «Auto vecchiotta» osservò. «Ben tenuta, ma sempre vecchia. Con due persone a bordo.» Il suo viso si irri-gidì quando dal sedile di guida scese una donna, che fece il giro per andare dalla parte del passeggero. Era illuminata dai fari di posizione, perché ormai era l'im-

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brunire. Boone la riconobbe da come camminava. La donna parlò con qualcuno all'interno dell'auto, che le passò una cartella dal finestrino. Sorrise, fece un cenno e si girò verso la casa. Esitò, ma solo per un istante, prima di avviarsi verso i gradini dell'ingresso. Boone poté finalmente vederla bene. Era l'immagine sputata di Winnie, pensò. Il suo viso si indurì anche di più. Keely capì che stava succedendo qualcosa dall'e-spressione di tutti e due. Winnie guardava fuori dalla finestra, accanto a Boone, con gli occhi che mandava-no lampi. Esplose, prima ancora che Keely potesse fare una domanda. «Lei!» esclamò. «Come osa presentarsi qui! Con quale coraggio!»

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