Aurelio Roncaglia - La Lingua dei Trovatori
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La lingua dei trovatori, di A. Roncaglia. Capitolo I. Riassunto a cura di Enzo Santilli. Opera trattata per soli fini didattici, tutti i diritti appartengono ai rispettivi proprietari. Info: [email protected] Pag. 1
LA LINGUA DEI TROVATORI (CAPITOLO PRIMO: NATURA E POSIZIONE DEL PROVENZALE)
Sommario 1. Il provenzale di fronte al francese ............................................................................................. 2
2. Ragioni della differenziazione linguistica tra il mezzogiorno e il nord della Francia ............... 4
2.1. Diverso sostrato prelatino ................................................................................................... 4
2.2. Anteriore e più profonda romanizzazione del Mezzogiorno............................................... 4
2.3. Diverso e meno intenso superstrato germanico .................................................................. 5
2.4. Sviluppo autonomo della vita meridionale e dislivello culturale tra sud e nord ................ 6
3. Zone di transizione sulle frontiere con il francese e con lo spagnolo ........................................ 7
3.1. Francoprovenzale e pittavino ............................................................................................. 7
3.2. Catalano .............................................................................................................................. 8
3.3. Guascone ............................................................................................................................ 9
4. Varietà dialettali e lingua letteraria ......................................................................................... 10
La lingua dei trovatori, di A. Roncaglia. Capitolo I. Riassunto a cura di Enzo Santilli. Opera trattata per soli fini didattici, tutti i diritti appartengono ai rispettivi proprietari. Info: [email protected] Pag. 2
1. Il provenzale di fronte al francese Il provenzale, o lingua d’oc, non potrebbe dirsi con ragione una lingua morta ma nemmeno viva a
tutti gli effetti. Sicuro è che questa lingua visse nel medioevo dall’XI al XIII secolo, quando una
brillante letteratura trovò in essa la sua forma espressiva e ne dilatò l’influsso assai oltre i confini
della regione geografica in cui veniva parlata. Furono eventi come la crociata contro gli Albigesi
(1209-1229), lo stabilimento dell’Inquisizione (1233) e della tortura come strumento di
persuasione (1252) a favorire la graduale sottomissione dei feudi meridionali alla Francia del nord
con la conseguente soppressione del provenzale a favore del francese. Come certificato di morte
(almeno a livello ufficiale) vero e proprio, nel 1539 Francesco I prescrive l’uso esclusivo del
francese come lingua della magistratura in tutto in territorio di Francia, facendo così decadere il
provenzale a rango di dialetto.
Nell’arco dei secoli, tuttavia, non sono mancati tentativi di restaurazione della fama del
provenzale. Nel cinquecento ci provò il guascone Sallustio du Bartas, nel seicento il tolosano
Pietro Goudelin, nel settecento l’abate Giambattista Favre di Somières e nell’ottocento la scuola di
Marsiglia e Giacomo Boë d’Agen. Ma il tentativo più riuscito fu sicuramente quello del 1854,
quando una serie di artisti fondò il movimento denominato I sette di Font-Ségugne, fra i quali
spiccava Federico Mistral. Mistral scrisse addirittura un vocabolario del francese moderno tanta fu
la sua dedizione alla causa, ma fattori come la rapida evoluzione dell’uso parlato, la resistenza di
altri dialetti fortemente caratterizzati, l’incomprensibilità di alcuni parlanti vicini alla Provenza e
soprattutto l’ostracismo delle autorità linguistiche francesi, fecero sì che questa rinascita fosse una
rinascita effimera. Tuttavia il lascito dell’opera di Mistral non andò perduto, tanto che dal 1951 il
provenzale può essere imparato a scuola come lingua facoltativa.
Oggi il sistema dei dialetti provenzali si estende per larga parte del sud della Repubblica Francese
da Nizza a Bordeaux, toccando località dell’Italia nordoccidentale e della Spagna settentrionale
seguendo però isoglosse che nel medioevo si spingevano molto più a nord, sensibilmente vicine
alla linea della Loira. Era quello un confine ben delineato sia fisicamente che
amministrativamente (fra le due provincie imperiali di Aquitania e Lugdunensis), religioso (fra
diverse diocesi cristiane) e politico (al tempo del regno visigoto) e che segnò praticamente il
limite dell’espansione franca verso il Mezzogiorno.
Le principali differenze fra provenzale e francese sono:
La lingua dei trovatori, di A. Roncaglia. Capitolo I. Riassunto a cura di Enzo Santilli. Opera trattata per soli fini didattici, tutti i diritti appartengono ai rispettivi proprietari. Info: [email protected] Pag. 3
1. Conservazione di -a tonica libera, che il francese palatizza in /ɛ/
lat. MARE prov. mar fr. mer
2. Conservazione di -a finale atona di contro alla sua riduzione francese in -e prima
evanescente ed oggi muta
lat. PORTA prov. porta fr. porte
3. Assenza di dittongamento spontaneo delle vocali aperte ĕ ed ŏ, toniche libere, mentre il
francese le frange rispettivamente in ie e uo
lat. MĔL prov. mel fr. miel
4. Assenza assoluta di dittongamento delle vocali chiuse e ed o (derivanti dal latino) mentre il
francese le frange rispettivamente in oi ed eu
lat. TELA prov. tela fr. toile
5. Conservazione del dittongo au, tanto tonico quanto atono, mentre il francese lo riduce ad o
lat. AURUM prov. aur fr. or
6. Lenizione delle occlusive sorde intervocaliche limitata al primo grado mentre il francese
procede alla spirantizzazione o addirittura al dileguo
lat. RIPA prov. riba fr. rive
lat. VITA prov. vida fr. vie
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2. Ragioni della differenziazione linguistica tra il mezzogiorno e il nord della Francia
2.1. Diverso sostrato prelatino Le prime premesse della differenziazione in francese e provenzale sono certamente da cercare in
condizioni ancora prelatine. Mentre infatti nel settentrione dominavano di Galli, popolazione
celtica di stipite indoeuropeo immigrata in loco fra il IX e il VI sec. a.C., nel mezzogiosno si
trovavano popolazioni preindoeuropee solo parzialmente celtizzate: Liguri a sudest, Aquitani a
sudovest. Si attribuiscono perciò all’azione del sostrato celtico alcune mutazioni tipiche che si
verificano solo a nord, come la palatizzazione di a tonica in è, ed alcuni elementi del lessico che
ovviamente sarà molto più ricco di celticismi nel francese. Pochi suffissi sopravvivono dal ligure,
pochi vocaboli dall’aquitano, quasi nulla dal greco che però ha lasciato la sua impronta in svariati
toponimi (ad. es. Marsiglia da Massalìa, Nizza da Nìkaia, Monaco da Mònoikos); e seppur si tratta
di elementi di esigua quantità, questi risultano del tutto assenti in francese, eccezion fatta
ovviamente per quei grecismi che sono sì presenti in provenzale, ma che per via dell’azione della
Chiesa ritroviamo in tutte le lingue romanze.
2.2. Anteriore e più profonda romanizzazione del Mezzogiorno L’intensità d’azione del sostrato è ovviamente in ragione inversa all’intensità della
romanizzazione, la quale nel mezzogiorno iniziò assai prima e fu assai più forte che nel
settentrione.
Già nel 154 a.C. infatti Marsiglia chiedeva aiuto a Roma contro la pirateria ligure; sconfitti i
briganti Roma stabilì la colonia Narbo Martius (poi Narbona) nel 118 a.C., nel 106 a.C. veniva
occupata Tolosa e nel 49 a.C. venne definitivamente annessa anche Marsiglia. In queste zone la
romanizzazione fu rapida e intensa: in tutte le principali città vennero aperte scuole che
favorirono la diffusione della lingua e le città vennero amministrate in maniera talmente romana
da permettere alla Provincia Narbonensis di ottenere il diritto latino molto rapidamente, ovvero sin
dai tempi di Cesare e Augusto. Quando infatti Cesare parte alla conquista delle Gallie, la Provenza
era nella coscienza dei romani già parte della Repubblica, non un luogo da conquistare; non a
caso verrà esclusa dalla partizione che troviamo nel De Bello Gallico.
Di particolare importanza, anche dal punto di vista linguistico, ebbe il sistema stradale. Costruito
sul modello romano, efficiente e ben sviluppato, questo penetrava accuratamente la regione tanto
che le isoglosse che oggi costituiscono il limite fra francese e provenzale corrono ancora parallele
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alla strada che dividendo la Gallia in due parti congiungeva Augusta Pretoria (Aosta) a Burdigala
(Bordeaux).
2.3. Diverso e meno intenso superstrato germanico I germani con le loro invasioni hanno portato in tutte le regioni occidentali del vecchio Impero
romano gli influssi della loro lingua, ma con risultati diversi da regione a regione, sia per la
diversità delle stirpi immigrate sia per la loro numerosità e compattezza rispetto alle popolazioni
indigene.
Nella Gallia meridionale si stanziarono all’inizio del V secolo i Visigoti, e qui nel 425 fondarono il
loro regno con capitale Tolosa. Nel 433 i Burgundi si stanziarono nella parte centrorientale della
regione e nel 486 i Franchi occuparono quella del nord. Linguisticamente vi era già una notevole
differenza: se Visigoti e Burgundi appartenevano al ramo orientale del ceppo germanico, i Franchi
appartenevano a quello occidentale. Franchi che, numerosissimi rispetto alle altre tribù, avrebbero
naturalmente di lì a poco prevalso sulle altre, sconfiggendo e annettendo i territorio di Visigoti e
Burgundi rispettivamente nel 507 e nel 534. Se i Burgundi si sottomisero potendo così conservare
le loro terre, i Visigoti emigrarono in Spagna (pur mantenendo le terre galliche della Settimania),
dove rimasero fino alla conquista araba del 711. Dal 536, dunque, tutto il Mezzogiorno con la sola
eccezione della Settimania restò nelle mani dei Franchi i quali vi stabilirono sì la loro sovranità,
senza però fissarvi stanziamenti importanti. Il massiccio centrale era una difesa naturale ad ogni
tipo di penetrazione, anche linguistica, quindi se a nord l’azione del superstrato germanico si
tenne assai forte, nel Mezzogiorno essa si fece sentire debolmente. La stessa cosa, tra l’altro, era
avvenuta ai tempi delle migrazioni celtiche.
I germanismi sono comunque abbastanza numerosi anche in provenzale, ma i più non sono
esclusivi della lingua visto che si deve tener conto di quelli che sono stati trasmessi a tutto
l’occidente neolatino in alcuni casi già in epoca romana (linguaggio militare, colori ecc.). Una
seconda categoria di germanismi comprende quelli che il provenzale ha in comune solo con
francese e che si possono quindi attribuire alla dominazione franca. Ci sono poi quelli che comuni
a francese e provenzale si presentano nelle due lingue i due forme diverse: franca al nord, gotica
al sud. Un quarto ed ultimo gruppo in cui raggruppare questi elementi lessicali è quello che
racchiude i germanismi esclusivi del provenzale, o comuni al provenzale e allo spagnolo,
ascrivibili perciò al solo superstrato gotico. Complessivamente questi ultimi, che sono anche i più
peculiari e interessanti, sono quelli minori in numero.
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La Francia meridionale conobbe anche un’invasione araba (soppressa poi da Carlo Martello nella
celebre battaglia di Poitiers del 732) e gli arabi riuscirono a permanere in Settimania solo per
qualche decennio pertanto più che di superstrato qui si parlerà di parastrato, o più semplicemente
di prestiti, venuti per lo più dalla Spagna.
2.4. Sviluppo autonomo della vita meridionale e dislivello culturale tra sud e nord
Pur sottomesse all’autorità dei Franchi, le regioni meridionali continuarono a godere di
un’autonomia assai larga, a volte rivendicata senza successo con le armi, a volte riconosciuta dagli
stessi dominatori come quando Carlo Magno creò per uno dei suoi figli il regno d’Aquitania. La
coscienza di questa autonomia era alimentata dal forte dislivello culturale che divideva le due
regioni, sin dall’epoca merovingia.
A partire dai tempi di Carlo Magno la Francia del Nord venne migliorando la sua posizione
culturale con la nascita di scuole episcopali e monasteri, e fu infatti col tramontare della dinastia
carolingia che tale distacco si riaccentuò: i duchi del Sud erano pienamente in grado di gestire i
propri affari ed i poteri che gli provenivano dai loro possedimenti li rendevano non meno potenti
del re di Francia, se non addirittura più potenti. Il frazionamento feudale favoriva l’indipendenza
dell’aristocrazia locale, e tale autonomia politica permise ai conti di Tolosa e Provenza di
acquisire poteri immensi per tutto quell’arco che va dall’VIII al XII secolo. La distinzione
linguistica, assieme a quella sociale e politica, rimase per tutto questo tempo altrettanto netta.
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3. Zone di transizione sulle frontiere con il francese e con lo spagnolo
3.1. Francoprovenzale e pittavino Si è già detto di come le isoglosse che dividevano francese e provenzale non fossero nettamente
marcate, ma distribuite in fasce molto larghe. Queste fasce di si allargano alle estremità formando
vere e proprie zone di transizione, di forma più o meno triangolare, che possono vantare una
propria individualità linguistica: l’area francoprovenzale ad est e quella pittavina ad ovest.
Il francoprovenzale come dominio linguistico a sé fu individuato per la prima volta nel 1873
dall’Ascoli, seppur fin da subito altri studiosi obiettarono che fosse impossibile tracciare nette
frontiere fra francese, provenzale, e francoprovenzale. A favore della teoria di Ascoli c’è
comunque un fattore storico non poco importante, visto che l’area da lui individuata per ragioni
linguistiche corrisponde quasi esattamente a quella occupata dai Burgundi.
Quanto al pittavino (oggi considerato alla stregua di un dialetto francese), i suoi caratteri
particolari furono spiegati col sovrapporsi di influssi alterni da nord e sud. A causa di vicende
politiche infatti la regione fu solidale con il Nord fino a tutto l’VIII secolo, poi nei secoli IX-X
s’organizzò in unità autonoma orientata verso il Sud, riprendendo infine a gravitare verso Nord
dopo il 1000 finché la corona di Francia non la ricongiunse direttamente a sé nel XIII secolo. Studi
filologici hanno ipotizzato addirittura che gli sparsi indizi di un’antichissima tradizione letteraria
della zona siano potuti fungere da vera e propria koiné che avrebbe preceduto e influenzato lo
sviluppo delle due letterature d’oc e d’oïl.
Il tratto linguistico essenziale per distinguere queste quattro entità linguistiche ci viene fornito dai
diversi esiti di a tonica libera in evoluzione spontanea e condizionata da palatale precedente,
come mostrato di seguito:
pura preceduta da palatale PORTARE MANDUCARE Francese e ie porter mangier Francoprovenzale a ie portar mangier Pittavino a e portar manger Provenzale a a portar manjar
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3.2. Catalano Un altro dominio linguistico adiacente al provenzale cha avuto sorte opposta è il catalano. La
Catalunya non ha mai badato troppo al limite naturale dei Pirenei ed ha sempre avuto
un’orientazione più francese che ispanica. Le affinità che si sono naturalmente venute a creare e
sviluppare nel XII e XIII secolo fecero sì che molti trovatori nativi della Catalunya non
disdegnassero di usare il provenzale come lingua letteraria esclusiva. Nel corso dei secoli tuttavia
ci sono stati diversi movimenti che hanno cercato di sottrarre il catalano alla subordinazione dal
provenzale, come quando nel XIV secolo divenne lingua ufficiale della monarchia aragonese
accompagnata da una fiorente produzione letteraria. A quest’epoca però seguì quella del declino,
dal momento in cui nel 1479 Aragona e Castiglia si unirono scegliendo come lingua ufficiale il
castigliano e relegando di fatto il catalano a varietà dialettale. Negli anni ’30 del ‘900 il catalano
si vide nuovamente riconosciuta la sua indipendenza ufficiale, poi soppressa dal regime franchista,
ma conserva comunque ogni elemento di indipendenza e dignità linguistica.
I fattori che avvicinano il catalano al provenzale piuttosto che allo spagnolo sono:
1) Mancata dittongazione di ĕ in ŏ:
MĔL cat. e prov. mel – sp. miel
2) Caduta di ŏ finale:
AMICUM cat. e prov. amic – sp. amigo
3) Conservazione dei nessi iniziali pl-, cl-, fl-:
PLORARE cat. e prov. plorar – sp. llorar
CLAVEM cat. e prov. clau – sp. llave
FLAMMA cat. e prov. flama – sp. llama
4) Esito dei nessi -cl- e -l + j- > -l palatale:
OC(Ū)LUM cat. ull – prov. uelh – sp. ojo
CONSILLUM cat. consell – prov. conselh – sp. consejo
5) Esito del nesso -dr- > -ir-:
QUADRUM cat. e prov. caire – sp. cuadro
Staccano invece il catalano dal provenzale e lo ricongiungono allo spagnolo la monottongazione
del dittongo au e la palatizzazione in -nn-.
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Indipendentemente da quali tratti avvicinino più o meno il catalano alla famiglia galloromanza o
iberoromanza, è indubbio che questa lingua rappresenti un ponte fra provenzale e iberoromanzo.
3.3. Guascone Meno fortunata storicamente ma con funzione ugualmente transitoria fra iberoromanzo e
galloromanzo è la situazione del guascone. Considerata oggi come un dialetto, il suo spessore in
epoca medievale ha permesso a questa lingua di godere di piena autonomia linguistica. Già
attorno al 1200, nel suo celebre discordo plurilingue, Raimbaut de Vaqueiras utilizza questo
idioma per comporre una strofa, strofa che costituisce di fatto il più antico documento letterario
in guascone. Le sue caratteristiche più evidenti sono il passaggio dal v- a b- (bos, boste, bs), il
passaggio di f- iniziale ad h- (hos, hossetz, hera, haissos, hresqua) e la rotracizzazione della doppia
-ll- intervocalica (bera < bella, noera < noella, hiera < fibella).
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4. Varietà dialettali e lingua letteraria Ma il caso guascone è un caso limite. Nessun altro dialetto del sistema provenzale possiede né
possedette mai una così spiccata individualità. Ad ogni modo le parlate odierne del rimanente
territorio occitanico posso essere suddivise in varietà linguistiche, a seconda delle caratteristiche
che presentano e delle zone in cui sono parlate:
1) provenzale, parlato nella contea di Provenza da Avignone a Marglislia, dalla Camargue a
Nizza;
2) alpino-delfinatese, a settentrione del precedente fra l’Alvernia e le Alpi;
3) linguadociano-guiennese, fra la Garonna e il Rodano e comprendente fra l’altro il
narbonese e il tolosano;
4) alverniale-limosino, a settentrione della precedente e intorno al Massiccio Centrale.
La differenza principale fra queste parlate, riscontrata oggi dai parlanti così come nel medioevo
dai documenti comparati, riguarda soprattutto la palatizzazione alla maniera spagnola della
geminata liquida -ll- > -lh- (bella > belha, pron. beglia) che si riscontra nelle zone occidentali,
assente invece nell’area centro-orientale.
Va considerato l’importante fattore della molteplicità degli esiti di alcuni lemmi in opere
trobadoriche medievali. Simili giustapposizioni di forme possono attribuirsi all’opera dei copisti in
quanto essi ovviamente avevano la necessità di rendere un determinato testo accessibile ai propri
lettori, perciò le opere dei trovatori appaiono con patina diversa, e non solo graficamente diversa,
nei vari canzonieri: nei manoscritti copiati in Italia non mancano gli italianismi, né i catalanismi
nei manoscritti catalani e questa era pratica ampiamente seguita in tutta l’area provenzale, non
solo per motivi pratici, ma anche stilistici. Infatti la lingua dei trovatori ammetteva anche
un’effettiva varietà di soluzioni fonetiche e morfologiche. Uno stesso trovatore aveva perciò a
disposizione, per un medesimo nesso, per un medesimo vocabolo, molti esiti diversi, ognuno dei
quali aveva evidentemente radici nella parlata di determinate località o determinati strati sociali,
ma tutti erano ammessi con uguale diritto di cittadinanza nella lingua poetica, sicché la scelta tra
l’uno e l’altro potesse esser dettata esclusivamente da esigenze di rima. Questa varietà di forme
concorrenti, se testimonia il carattere sopradialettale della lingua trobadorica, non ne infima però
la sostanziale unità. La lingua trobadorica si colloca pertanto al di sopra della molteplicità
dialettale, come frutto di livellamento, selezione ed elaborazione consapevole, ossia come lingua
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comune e specificatamente letteraria. Basti notare per rendersi conto il differente uso del
guascone di due poeti guasconi di nascita come Macabru e Raimbaut.
D’ordinario ogni letteratura ha la sua base naturale nell’uso parlato di una determinata regione.
Chiedersi quale dialetto abbia fornito la base all’antico provenzale è dunque perfettamente
legittimo, anche se si tratta di una domanda alla quale non si può, con tutta probabilità, dare una
risposta. L’etichetta provenzale infatti non fa riferimento alla varietà che porta lo stesso nome, ma
a tutta la lingua nel suo complesso da quando gli venne affibbiato dagli italiani, in quanto la
Provenza era la regione più vicina all’Italia. Maggiori titoli in tal senso potrebbero forse essere
attribuiti al limosino, ove si tenga nella dovuta considerazione l’importanza dell’abbazia di San
Marziale a Limoges, come centro culturale che esercitò una diretta influenza sui primi trovatori,
inclusi Bernard de Ventadorn e lo stesso Guglielmo IX. Di fatto, non è possibile stabilire con
certezza se alla base della lingua trobadorica vi sia uno strato limosino, già purificato per altro
dagli idiotismi più crudi e aperto anche a forme diffuse in altre regioni soprattutto se si deve
accettare l’interregionalità che tutto il registro linguistico provenzale del poeta trobadorico era
naturalmente propenso ad adoperare.