New Ispanismo e ecdotica - CVC. Centro Virtual Cervantes · 2006. 10. 31. · di Roma e sotto...

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[1] ISPANISMO E ECDOTICA di Aldo Ruffinatto Com'è ben noto, per ecdotica o critica testuale s'intende un insieme di operazioni che tendono a ricostruire, nella misura del possibile e mediante tutti gli strumenti scientifici pertinenti, l'originale di un'opera. Gli strumenti scientifici pertinenti appartengono al cosiddetto metodo lachmanniano, per i testi classici, e all'applicazione diretta di questo metodo con alcuni aggiustamenti d'occasione, per i testi volgari. L'ecdotica come scienza al servizio dei testi volgari comincia a muovere i primi passi nella seconda metà del secolo scorso (con l'ormai leggendaria edizione del Saint Ale- xis curata da Gastón Paris e Léopold Pannier [Paris 1872]) e trova un primo periodo di grande fioritura all'inizio del nove- cento; per altro ben presto contrastato da uno dei suoi stessi praticanti, ovvero quel Joseph Bédier che nel 1928, in occa- sione della celebre querelle intorno alla stemma del Lai de l'ombre, si scagliava contro la presunta alcatorietà dello stemma, di un qualsiasi stemma, predicando la via del «bon manuscrit» come unica possibilità di attingere alla materia- lità di un testo realmente esistito. Di qui la polemica, nella filologia applicata ai testi romanzi, tra «lachmanniani» e «bedieriani» che negli anni successivi all'«argument de Bédier» si fa sentire prepotente- mente determinando anche una netta delimitazione di scuole; da un lato, quella tedesca, italiana e (seppure in margine, almeno per quel che riguarda i testi volgari) anglosassone, d'impronta decisamente lachmanniana; dall'altro, la scuola francese (con eccezioni) e quella spagnola, più chiaramente orientate verso Bédier. Ma se l'orientamento della scuola

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    ISPANISMO E ECDOTICA

    diAldo Ruffinatto

    Com'è ben noto, per ecdotica o critica testuale s'intendeun insieme di operazioni che tendono a ricostruire, nellamisura del possibile e mediante tutti gli strumenti scientificipertinenti, l'originale di un'opera. Gli strumenti scientificipertinenti appartengono al cosiddetto metodo lachmanniano,per i testi classici, e all'applicazione diretta di questo metodocon alcuni aggiustamenti d'occasione, per i testi volgari.

    L'ecdotica come scienza al servizio dei testi volgaricomincia a muovere i primi passi nella seconda metà delsecolo scorso (con l'ormai leggendaria edizione del Saint Ale-xis curata da Gastón Paris e Léopold Pannier [Paris 1872]) etrova un primo periodo di grande fioritura all'inizio del nove-cento; per altro ben presto contrastato da uno dei suoi stessipraticanti, ovvero quel Joseph Bédier che nel 1928, in occa-sione della celebre querelle intorno alla stemma del Lai del'ombre, si scagliava contro la presunta alcatorietà dellostemma, di un qualsiasi stemma, predicando la via del «bonmanuscrit» come unica possibilità di attingere alla materia-lità di un testo realmente esistito.

    Di qui la polemica, nella filologia applicata ai testiromanzi, tra «lachmanniani» e «bedieriani» che negli annisuccessivi all'«argument de Bédier» si fa sentire prepotente-mente determinando anche una netta delimitazione di scuole;da un lato, quella tedesca, italiana e (seppure in margine,almeno per quel che riguarda i testi volgari) anglosassone,d'impronta decisamente lachmanniana; dall'altro, la scuolafrancese (con eccezioni) e quella spagnola, più chiaramenteorientate verso Bédier. Ma se l'orientamento della scuola

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    francese appare in larga misura determinato da tutta unaserie di riflessioni critiche sul compito dell'editore di testivolgari e si colloca, pertanto, nell'ambito delle scelte medi-tate e motivate, non altrettanto si può dire per ciò che con-cerne la scuola spagnola, le cui tendenze bedieriane nonnascono tanto da spunti dialettici quanto piuttosto da senti-menti di venerazione nei riguardi del principe della filologiaispanica (Menéndez Pidal) che, com'è noto, non si era maiposto il problema. E, forse, nascono anche da un dato difatto, cioè a dire dalla preponderante unitestimonialità deipiù famosi documenti letterari delle Origini, dal Cid ali'Apo-lonio, dalla Razón de amor alla Santa María Egipciaca, e cosìvia.

    Tutto ciò spiega, anche se non giustifica, la scarsa atten-zione dedicata in Spagna alla bontà o all'attendibilità deitesti quale traspare, ad esempio, dalle grandi e tradizionalicollezioni di classici spagnoli: mi riferisco, ovviamente, allaB.A.E. ed ai Clásicos Castellanos. E se è vero che nelle colle-zioni più recenti (Castalia e Cátedra, soprattutto, ma ancheEspasa Calpe) le cose vanno un po' meglio, ciò è dovuto prin-cipalmente al fatto che per queste ultime gli ambiti di colla-borazione si sono estesi ad editori e filologi esterni delegatiad assolvere l'oneroso e poco gratificante compito della rico-struzione testuale. Né valgono a colmare la lacuna i pur lode-voli sforzi di Lázaro Carreter (nell'edizione del Buscón), néquelli altrettanto lodevoli di Manuel Alvar (per altro sempreimpegnato con tradizioni a codex unicus), né l'intensa attivitàeditoriale di José Manuel Blecua (precisissimo nel registraretutte le testimonianze ma restio ad organizzarle in un quadrostemmatico), né le incursioni pseudo-lachmanniane di Franci-sco Rico nel testo del Lazarillo, né infine l'apparente ortodos-sia metodologica di Alberto Blecua (al quale si deve, com'ènoto, l'unico manuale di filologia testuale scritto in Spagnaper lettori spagnoli). Ho lasciato volutamente fuori campoquei filologi romanzi spagnoli, come, ad esempio, Martin deRiquer, che considerano il metodo lachmanniano addiritturapernicioso alla stessa stregua di una brutta malattia.

    Non stupisce, quindi, che i primi contributi specifica-mente ecdotici alla letteratura spagnola siano stati offerti da

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    studiosi non spagnoli e solo tangenzialmente ispanisti comeJohn D. Fitz-Gerald (editore nel 1904 della Vida de SantoDomingo de Silos di Berceo), Jean Ducamin (responsabile nel1901 di un'edizione prelachmanniana del Libro de buen amorcondotta sui tre manoscritti a noi pervenuti), Hermann Knust(curatore di un Conde Lucanor pubblicato a Lipsia nel 1900),E. Boehmer {Diálogo de la lengua, 1895), Foulché-Delbosc(Lazarillo, 1900), Carroll Marden (Libro de Apolonio, 1917),Raymond S. Willis (Libro de Alexandre, 1934), etc.

    Per ciò che concerne l'Italia, invece, fu scarso almenoall'inizio l'interesse dei filologi romanzi per le questionitestuali relative alla letteratura spagnola delle origini e deisecoli successivi; tant'è che bisogna risalire fino agli anniquaranta per trovare qualche occasionale incursione di filo-logi italiani nell'ambito ispanico, come, ad esempio, quellacompiuta da Salvatore Battaglia sul Cid (con introduzione,traduzione e note, Roma 1943) e quelle — meno note — diGianfranco Contini sul Cifar, sul Conde Lucanor e sul Laza-rillo (semplicemente prove di traduzione). Incursioni ben lon-tane da un qualsiasi progetto di edizione critica, ma signifi-cative in quanto manifestazioni di un certo interesse dellafilologia italiana anche per i testi letterari spagnoli oltre cheper le peculiarità fonetiche, morfologiche e sintattiche dellelingue iberiche.

    Non è un caso, quindi, che proprio a Napoli abbia tro-vato respiro editoriale il primo tentativo di edizione criticadi un testo classico spagnolo esperito da uno studioso ita-liano, per altro estraneo alla scuola napoletana: mi riferiscoal Lazarillo edito da Alfredo Cavaliere e pubblicato in quellacittà nel 1955 per i tipi del Giannini. E poco importa che sitratti soltanto di un tentativo (in molte parti discutibile comecredo di aver dimostrato in un mio recente articolo sullaprinceps del Lazarillo uscito nella «Revista de Filología Espa-ñola»); ciò che conta, infatti, è il suo aspetto programmatico,cioè a dire, l'applicazione della strategia lachmanniana a unclassico della letteratura spagnola che fino a quel momentonon era ancora stato sottoposto ad una rigorosa indaginetestuale.

    Sulla stessa strada, anche se non specificamente sui

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    binari lachmanniani, si avvia a breve distanza di tempo (e,più precisamente, alla fine degli anni cinquanta) un filologo,questo sì di scuola napoletana e destinato a diventare unodei massimi rappresentanti dell'ispanismo italiano: Mario DiPinto. A lui dobbiamo un'accurata edizione della Razón deamor e delP£/ena v Maria, condotta sì sulle tracce di Menén-dez Pidal, ma con meditate aperture all'emendazione conget-turale e con sapiente orchestrazione dell'apparato critico;insomma, con tutti i crismi di un'edizione rigorosamentescientifica.

    Tuttavia, per poter parlare di ecdotica in senso stretto,occorre risalire agli anni sessanta e cambiare latitudine.Sotto il cielo toscano, infatti, e guidato dal maestro per eccel-lenza della filologia romanza italiana (Gianfranco Contini),un suo giovane discepolo (Giorgio Chiarini) pubblica nei pre-stigiosi «Documenti di Filologia» della Ricciardi la primaedizione critica del Libro de buen amor (Milano-Napoli 1964);un'edizione destinata a creare non poco scalpore nell'am-biente fino ad allora relativamente tranquillo della filologiaspagnola. Com'è a tutti ben noto, le osservazioni di Chiarinisulla genealogia testuale di quest'opera e soprattutto la suasintetica ma determinata difesa della tesi monoredazionale,si scontrarono con le teorie che, parallelamente, ma all'insa-puta di Chiarini, stava elaborando il buon Corominas sullostesso testo. Quest'ultimo, in quanto fervido sostenitore dellatesi biredazionale, considerò l'operato di Chiarini comeun'indebita invasione di campo compiuta da un giovane dalui ritenuto inesperto e incompetente; ma non potendo o nonsapendo smantellare il profilo stemmatico disegnato dal suoavversario che predicava l'esistenza di un archetipo, s'in-ventò una soluzione di compromesso di stampo quasiandreottiano. Archetipo e doppia redazione non contrastano— affermava Corominas — perché Juan Ruiz nell'elaborarela sua seconda versione del Lba si sarebbe servito di unacopia della sua opera già inquinata da errori, senza preoccu-parsi di porvi rimedio.

    Non c'è tempo per ricordare tutti i termini di questapolemica, né per menzionare gli ampi margini di interventoancora disponibili in merito alla querelle sulla singola o dop-

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    pia redazione del Lba; quel che, invece, mi preme sottolinareè il grande impulso offerto dall'ecdotica alle discussioni teo-riche. Ne fa fede negli stessi anni sessanta la cauta ma pre-cisa presa di posizione di Pino Di Stefano a favore delladimensione sincronica del Romancero (che è appunto deter-minabile in sede di critica testuale) in alternativa - se nonin contrapposizione — alla prevalente dimensione diacronicapredicata dal tradizionalismo menendezpidaliano. E anche sei veri e propri esercizi ecdotici sul Romancero verrannoofferti da Di Stefano soltanto molto più tardi (alla fine deglianni ottanta con l'edizione critica del Romance de don Tris-tan, e con osservazioni stemmatiche in rapporto ad altriromances), non bisogna dimenticare che lo stesso Di Stefano,prima di esporre la sua teoria sincronica sul Romancero,aveva già dato prova della sua sicura competenza nel settorespecifico della critica testuale d'impronta lachmanniana conla pubblicazione, nel 1966, di una splendida edizione del Pal-merin de Olivia.

    Sta di fatto che proprio negli anni sessanta il contributoitaliano alle edizioni critiche di testi spagnoli passa dallafase embrionale ad una fase di notevole sviluppo, se nonquantitativo, per lo meno qualitativo. Oltre ai già menzionatiLibro de buen amor e Palmerín de Olivia, escono: nel 1965,la commedia Virtudes vencen señales di Vélez de Guevara,ottimamente curata nel suo aspetto editoriale da Maria Gra-zia Profeti (l'accoglie nella sua collana pisana l'amico scom-parso Guido Mancini); nel 1967 il Diálogo de la lengua diJuan de Valdés nell'edizione critica — tuttora insuperata —di Cristina Barbolani de García (approdata all'ispanistica eall'ecdotica in virtù del magistero sublime e ribelle di OresteMacrì); e ancora nello stesso 1967, vengono date alle stampele Poesie di Carvajal nella veste editoriale sapientementecucita da Emma Scoles per i tipi delle Edizioni dell'Ateneodi Roma e sotto l'egida di Aurelio Roncaglia, direttoredell'«Officina romanica» (bella e prestigiosa collana dellacasa editrice citata).

    Sempre negli anni sessanta (saremmo quasi tentati diparlare, anche per ciò che concerne ecdotica e ispanismo, di«favolosi anni 60»), l'intensa attività didattica e scientifica di

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    Alberto Varvaro, tra i filologi romanzi il più attento alle«cose spagnole», confluisce nell'utilissimo Manuale di filolo-gia spagnola medievale in tre volumi, usciti tra il 1965 e il1971; l'ultimo dei quali contiene un'antologia di testi delmedioevo spagnolo, in alcuni casi condotta direttamentesulle testimonianze manoscritte con proposte o abbozzi diedizione critica. E il magistero di Varvaro non tarda a darei suoi frutti. È del 1971, infatti, l'edizione critica del Martiriode San Lorenzo di Gonzalo de Berceo curata da PompilioTesauro (lo stesso Tesauro pubblicherà poi, nel 1983, un'al-tra validissima edizione, quella del trecentesco Libro de mise-ria de omne). E continua a dare i suoi frutti in anni successivicon altri allievi eccellenti: Antonio Gargano, curatore nel1981 della bella edizione del Triunfo de amor di Juan de Flo-res, appena uscito dalla tirannia e dalla lacunosità di uncodex unicus grazie all'apparizione di un nuovo codice nellaBiblioteca Nacional de Madrid. E, in anni più recenti, Carlade Nigris, è attenta ed esperta curatrice dell'edizione criticadelle Poesie minori di Juan de Mena (Liguori, 1988). Un'edi-zione che lo stesso Varvaro aveva già impostato all'iniziodegli anni sessanta con le sue Premesse ad un'edizione criticadelle poesie minori di Juan de Mena (Liguori 1964), destinate,appunto, alle future escursioni editoriali su questo aspettodella produzione letteraria dell'autore del Laberinto de for-tuna.

    E giacché Varvaro, con il suo terzo volume del Manualedi filologia spagnola medievale, ci ha portati agli inizi deglianni settanta, conviene ricordare che questo decennio si aprein modo superbo con l'edizione «neolachmanniana» dellaPoesia de Fray Luis de León curata da Oreste Macri perAnaya (Salamanca 1970), il cui imponente apparato esegeticoe critico comprende più di duecento pagine introduttive e unaltro centinaio, posto a continuazione delle settanta paginedel testo. Tra l'altro, la benefica influenza del maestro si fasentire, nello stesso decennio, in studiosi come Marco Mas-soli, Laura Dolfi ed Enzo Norti Gualdani.

    Ancora negli anni settanta, all'attività del restauro, forsetroppo insistito nella ricerca di una perfezione formale asso-luta, si dedica Giovanni Battista De Cesare con la sua edi-

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    zione del Libro de Apolonio (Milano 1974), mentre nellostesso 1974 si esercita ecdoticamente sul Corbacho MarcellaCiceri, ispanista, filoioga apparentemente senza maestri, macertamente non priva in quest'ambito di supporti o di con-forti domestici. Nel successivo 1975 dedicano la loro atten-zione alla Lozana Andaluza, Giovanni Allegra e BrunoDamiani, offrendo di questo curioso divertissement cinque-centesco un'edizione, almeno nelle intenzioni, critica (PorruaTuranzas, 1975); e, in margine alle edizioni della Celestina,con invidiabile competenza metodologica agisce Emma Sco-les riscontrando nell'edizione di Salamanca del 1570 variantidi notevole qualità e tali da conferire a questa testimonianzala qualifica di recentior non deterior, anche se non è possibilestabilire con certezza se tali varianti risalgano direttamenteall'originale o all'iniziativa autonoma di dotti umanisti.

    Vale, inoltre, la pena di ricordare che proprio negli annisettanta l'intenso impegno ecdotico messo in mostra dagliispanisti italiani riesce a superare i confini del nostro paeseper approdare nel più pertinente mondo ispanico; infatti,oltre alle già citate edizioni di Macrì e di Allegra-Damiani,ospitate rispettivamente da Anaya e da Porrúa Turanzas,anche Aldo Ruffinatto con la sua edizione critica della Vidade Santo Domingo de Silos di Berceo trova riparo in terraspagnola e, più precisamente, a Logroño dove ha sede l'Insti-tuto de Estudios Riojanos, responsabile della rivista «Ber-ceo» e di molte altre iniziative editoriali collegate alla cul-tura della Rioja. Questa edizione esce pochi mesi prima diquella curata da Brian Dutton per i tipi della Tamesis BooksLimited e nell'ambito del suo progetto di pubblicazione delleObras completas di Gonzalo de Berceo. La citazione dellaparallela edizione Dutton è d'obbligo perché anche in questocaso, seppure in tono minore rispetto alla polemica tra Chia-rini e Corominas, traspaiono evidenti segni di conflittualitàsoprattutto nel settore specifico dell'emendazione congettu-rale e in quello subordinante della metrica del mester de cle-recía nel XIII secolo: alla teoria della sistematica dialefesostenuta da Ruffinatto, in armonia con Fitz-Gerald, si con-trappone, infatti, l'accettazione da parte di Dutton della pro-posta di Erik Staaf che ammetteva, in talune circostanze, il

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    ricorso alla sinalefe. Una questione tutt'altro che marginalecome ben sanno i metricologi che si trovano ad agire nel pro-blematico ed ingannevole mondo della poesia spagnolamedievale.

    Un'altra accesa polemica, ma questa volta direttamenteinnestata dal recensore contro l'editore, contrassegna l'ul-timo esercizio ecdotico praticato da un ispanista italianonegli anni settanta; mi riferisco all'edizione critica deiSonetti di Alvar Gómez de Castro elaborata da Inoria PepeSarno e pubblicata presso Bulzoni nel 1979. Mentre, per ciòche concerne l'aspetto conflittuale, rinvio all'aspra recen-sione di quest'opera scritta da Carlos Romero nella «Rasse-gna Iberistica».

    E se è vero che, per un verso, le polemiche non fannobene alla salute dei contendenti, è altrettanto vero che moltospesso proprio dalle polemiche deriva la fortuna di un deter-minato fenomeno culturale. Nella fattispecie, l'ecdotica,umile e disprezzata ancella degli studi ispanici, conoscefinalmente il suo momento di gloria all'inizio degli anniottanta quando assurge alla dignità di tema monografico diun Convegno Nazionale dell'Aispi, e, più precisamente, delConvegno di Verona celebrato nel giugno del 1981.

    Qui, filologi romanzi e ispanisti italiani affrontanoalcune grosse questioni della filologia testuale, in generale,e dell'ecdotica collegata ai testi ispanici, in particolare; e leaffrontano in termini tutt'altro che tradizionali: CesareSegre, nella relazione d'apertura dedicata ai Romances,oppone alla teoria destrutturante pidaliana la necessità diriferire la diacronia delle lezioni alla sincronia dei testi(dando in tal modo vigore ed offrendo l'indispensabile avallofilologico ad alcune tesi già sostenute da Pino Di Stefano eda Cesare Acutis); subito dopo, Aldo Ruffinatto cerca didimostrare l'aleatorietà delle proposte di Alberto Blecua inmerito alle varianti documentate dalla tradizione mano-scritta delle opere di Garcilaso, varianti considerate da Ble-cua «redazionali»; Giorgio Chiarini, infine, denuncia le ango-sce metodologiche dei filologi romanzi lachmannianicostretti ad agire nell'inquieta età «postmoderna». Nel set-tore delle comunicazioni, poi, altri ispanisti italiani e altri

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    filologi romanzi impegnati in lavori ecdotici su testi ispaniciparlano delle loro esperienze.

    A mio avviso, il Convegno di Verona segna una tappa fon-damentale nel percorso italiano della filologia testuale d'am-bito spagnolo e, nel contempo, offre un sigillo di garanziaagli sviluppi di questa disciplina negli anni ottanta. Anni chesi aprono con l'edizione Vuolo del Libro de los Engaños(Napoli, Liguori 1980), e proseguono con i già citati lavori diGargano sul Triunfo de amor (1981) e di Tesauro sulla Mise-ria de omne (1983); mentre, contemporaneamente, Paola Eliaaffronta il suo primo esercizio ecdotico pubblicando le Letrasdi Fernando del Pulgar (Pisa, 1982). Nella seconda metà diquesto decennio, poi, si profilano altri importanti contributitestuali: quello coordinato da Caravaggi sui Poeti Cancioneri-les del sec. XV (L'Aquila-Roma 1986), la già citata edizionedi Juan de Mena curata da Carla de Nigris (1988), il testo cri-tico delle poesie di Lope de Stúñiga offerto da Lia VozzoMendia (Napoli, 1989), e, infine, l'importante edizione dellePoesie di Juan de la Cruz realizzata da Paola Elia (L'Aquila-Roma, 1989).

    La nostra breve passeggiata ecdotica sta per concludersi,ma non senza aver prima ricordato che anche gli anninovanta si aprono sotto i migliori auspici per questa disci-plina: ne fanno fede il monumentale lavoro di Maria Rossosulla Poesia de Garcilaso de la Vega, ospitato negli Anejos delBoletín de la Real Academia Española (Madrid 1990), la bellaedizione critica delle Coplas de la Pasión del ComendadorRomán curata da Giuseppe Mazzocchi (Firenze 1990), ilsapiente lavoro testuale imbastito da Marcella Ciceri intornoal Cancionero di Antón de Montoro (Salamanca 1990), e lapregevole edizione dei Testi giudeospagnoli medievali realiz-zata da Laura Minervini; inoltre, a quel che mi consta, altrigrossi lavori ecdotici su testi ispanici sono in cantiere, atestimonianza della ormai costante operosità dei «severicustodi della funzione fatica», come li (e ci) definiva CarmeloSamonà, con grande rispetto ma forse anche con un pizzicod'ironia.

    Una considerazione prima di chiudere: probabilmente ilnome di qualcuno che ha lavorato magari anche intensa-

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    mente nello stesso campo mi è sfuggito e di ciò chiedo umil-mente scusa tanto agli interessati quanto agli uditori. Nonho, invece, citato alcuni grossi nomi della filologia ispanicacome quelli di Margherita Morreale o di Lore Terracini peril semplice motivo che queste nostre amiche e compagne diviaggio, pur avendo offerto con i loro lavori filologici e lin-guistici un notevole contributo alla realizzazione di impor-tanti edizioni critiche, non hanno mai tentato in proprioesperimenti di stampo lachmanniano. E soltanto di ciò mi èstato chiesto di parlare in questa sede.

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  • CampoTexto: AISPI. Ispanismo e ecdotica.