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Letture iconologiche San Giorgio e il drago di Carpaccio Augusto Gentili N ella mostra-studio Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all'Istria. L'autunno magico di un maestro (dal 7 marzo al 28 giugno a palazzo Sarcinelli di Conegliano, Treviso) il San Giorgio e il drago dell'abbazia di San Giorgio Maggiore a Venezia, firmato e datato 1516 da Vittore Carpaccio, sarà per molti una sorpresa. E infatti un dipinto poco visto: non sta in chiesa ma in una sala relativamente "riservata", un tempo Coro d'inverno o Coro di notte, poi detta Sala del conclave giacché per oltre tre mesi a cavallo tra 1799 e 1800 - occupata Roma dai francesi e garantita Venezia dagli austriaci - vi si tenne la tra- vagliata assemblea cardinalizia che portò all'elezione di papa Pio VII Chiaramonti. È anche un dipinto poco stimato: si colloca in quell'ultima attività di Carpaccio - diciamo dopo il 1510 - solitamente giudicata come periodo di crisi a fronte dei suoi cicli di teleri per la Scuola di Sant'Orsola e per la Scuola degli Schiavoni, nonché a fronte della nuova pittura di Giorgione già defunto, di Sebastiano del Piombo ormai romano, di Tiziano in vertiginosa ascesa; ed è generalmente liqui- dato come replica o variante del celebre San Giorgio e il drago eseguito ai primi del secolo per la fraternità dalmata. Se considerato nel suo momento e nel suo In questo articolo, dove non diversamente indicato, sono riprodotti l'intero e alcuni particolari del San Giorgio e il drago (1516) di Vittore Carpaccio, conservato a Venezia nell'abbazia di San Giorgio Maggiore. contesto, il nostro dipinto potrà invece recuperare tutto il suo spessore e la sua autonomia, offrendo - anche rispetto al suo indiscutibile "prototipo" - una serie di elementi di assoluta novità che rimandano al mona- stero benedettino di San Giorgio Maggiore e alla sua cultura religiosa. Il dipinto presenta in primo piano il duello di san Giorgio col drago, desunto nei tratti essenziali, come al solito, dalla raccolta di leggende di santi costituita nel 70

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Letture iconologicheSan Giorgio e il drago

di Carpaccio

Augusto Gentili

N ella mostra-studio Carpaccio.Vittore e Benedetto da Veneziaall'Istria. L'autunno magico diun maestro (dal 7 marzo al 28giugno a palazzo Sarcinellidi Conegliano, Treviso) il SanGiorgio e il drago dell'abbaziadi San Giorgio Maggiore a

Venezia, firmato e datato 1516 da Vittore Carpaccio,sarà per molti una sorpresa. E infatti un dipinto pocovisto: non sta in chiesa ma in una sala relativamente"riservata", un tempo Coro d'inverno o Coro di notte,poi detta Sala del conclave giacché per oltre tre mesi acavallo tra 1799 e 1800 - occupata Roma dai francesie garantita Venezia dagli austriaci - vi si tenne la tra-vagliata assemblea cardinalizia che portò all'elezionedi papa Pio VII Chiaramonti. È anche un dipinto pocostimato: si colloca in quell'ultima attività di Carpaccio- diciamo dopo il 1510 - solitamente giudicata comeperiodo di crisi a fronte dei suoi cicli di teleri per laScuola di Sant'Orsola e per la Scuola degli Schiavoni,nonché a fronte della nuova pittura di Giorgione giàdefunto, di Sebastiano del Piombo ormai romano, diTiziano in vertiginosa ascesa; ed è generalmente liqui-dato come replica o variante del celebre San Giorgioe il drago eseguito ai primi del secolo per la fraternitàdalmata. Se considerato nel suo momento e nel suo

In questo articolo, dovenon diversamente indicato,sono riprodotti l'interoe alcuni particolaridel San Giorgio e il drago(1516) di Vittore Carpaccio,conservato a Venezianell'abbazia di San GiorgioMaggiore.

contesto, il nostro dipintopotrà invece recuperaretutto il suo spessore e la suaautonomia, offrendo - ancherispetto al suo indiscutibile"prototipo" - una serie dielementi di assoluta novitàche rimandano al mona-stero benedettino di SanGiorgio Maggiore e alla sua

cultura religiosa.Il dipinto presenta in primo piano il duello di san

Giorgio col drago, desunto nei tratti essenziali, come alsolito, dalla raccolta di leggende di santi costituita nel

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Venezia custodisce due versioni del San Giorgio e il dragodi Carpaccio: una conservata nell'abbazia benedettina

di San Giorgio Maggiore, un'altra, più famosa e inequivocabilemodello, nella Scuola di San Giorgio degli Schiavoni.

Concentrando l'attenzione sulla prima, un'analisi puntualepermette non solo di restituire autonomia e importanza a

un'opera ritenuta forse minore, ma anche di cogliere elementiinediti della cultura religiosa del monastero che la ospita.

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La vicenda si completacon le quattro storiette della predella,che rappresentano come in una stripfumettistica momenti narrativamente

successivi al duello

XIII secolo da Jacopo da Varagine, la celebre Legendaaurea, poi diffusa in un numero sterminato di edizionia stampa, soprattutto in volgare col titolo Legendariode sancti. Ridotti al minimo i dettagli orrorifici di restiumani e animali, e quasi nascosta dietro un albero laprincipessa con l'agnellino dell'innocenza, della man-suetudine e del sacrificio fortunosamente evitato, ilclou della vicenda sta nel confronto tra due potenzeincompatibili e inconciliabili: il cavaliere cristiano ela bestia diabolica, il cavallo dall'occhio languido e ildrago dall'occhio infuocato e iniettato di sangue.

La vicenda si completa con le quattro storiette dellapredella, che rappresentano come in una strip fumet-tistica momenti narrativamente successivi al duello.La leggenda attraversa ora l'epoca storicamente defi-nita delle persecuzioni di Diocleziano e Massimianonei confronti dei cristiani. Giorgio affronta il gover-natore Daziano, romano e pagano, e senza mezzitermini lo accusa di idolatria e demonolatria: si puòcomprendere che costui non la prenda bene. Dopo ilconsueto rifiuto di adorare gli idoli, Giorgio è condan-nato a subire una serie di efferate torture, che restano

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del tutto inefficaci poiché l'eroe è ogni volta immedia-tamente sanato per intervento divino: i bastoni unci-nati gli fanno il solletico, il calderone di piombo fusosembra dargli il sollievo di un bel bagno caldo. Vieneallora chiamato Atanasio, mago di corte, perché glipropini una pozione, ma Giorgio beve per due voltedal calice mortale senza alcuna conseguenza. Comein tante altre storie di martiri cristiani, c'è un solomodo per eliminarlo, la decapitazione: perché così,tagliando la testa pensante, si distrugge la sede dellastraordinaria potenza del santo mago cristiano.

In questo dipinto, però, non c'è solo la storia diGiorgio, ma ci sono tante altre cose. A destra c'è lalapidazione di santo Stefano, ben definita seppur in-scenata nello sfondo con piccole figure: grazie all'at-tributo anticipato della spada sollevata si distingueanche Saulo di Tarso, che presto arriverà alla celebreconversione sulla via di Damasco e diventerà poi sanPaolo, ma che per ora è un pagano, persecutore dicristiani, e sta con gli altri incaricati di custodire levesti dei lapidatori. La chiesa di San Giorgio Maggioreè intitolata anche a Stefano fin dalla "translatio" del

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Benedetto per un attimotentenna, vorrebbe quasi

abbandonare la vitacontemplativa e ritornare alla vita

mondana; ma poi decidedi gettarsi in un cespuglio

spinoso

corpo avvenuta secondo tradizione nel 1110 sotto Or-delaffo Falier. In facciata stanno le due statue specu-lari di Giorgio e Stefano, opera di Giulio Del Moro; inchiesa c'è nel transetto a sinistra l'altare di Stefanocon la Lapidazione di Jacopo e Domenico Tintoretto.Giorgio e Stefano, insieme, sono titolari della chiesa eprotagonisti del dipinto di Carpaccio.

In alto al centro c'è un colle con una macchia bo-scosa, un rustico capanno, un pastore col bastonee il cane, un gregge compatto e ordinato. Non è undettaglio di contorno, di "ornamento" pittoresco: ilbuon pastore, che vive nella solitudine campestre go-vernando attentamente il suo gregge, è immagine delmonaco benedettino che, in piena adesione al celebremotto del fondatore, cura il proprio raffinamento spi-

rituale senza per questo trascurare la mis-sione pastorale e il governo dei fedeli.

Nello sfondo a sinistra compaiono duefigure di eremiti. Quello che sta più inalto è ovviamente Gemiamo: raffigurato,in linea con la vastissima tradizione ico-nografica d'ambiente veneziano/veneto,come un vecchio dalla lunga barba can-dida, coperto di una tunica e impegnatonella lettura del suo libro. Di quello piùin basso, in un punto molto sciupato, sivede tuttavia che il corpo è completamentenudo, che ha l'aureola sul capo dall'ampiatonsura e che è disteso bocconi tra i ce-spugli. Si tratta di un episodio ben notodella storia e dell'iconografia di Benedetto:che, durante la sua esperienza nell'eremodi Subiaco, subisce inevitabilmente la ten-tazione della lussuria, sollecitata da unvago ricordo femminile che il diavolo gliinsinua nei percorsi della meditazione. Aquesto punto Benedetto per un attimo ten-tenna, vorrebbe quasi abbandonare la vitacontemplativa e ritornare alla vita mon-dana; ma poi decide di gettarsi in un ce-spuglio spinoso, vincendo in questo modocoi dolori del corpo i dolori della mente.

San Benedetto si getta tra i rovi scacciandoil demonio, San Benedetto con tre monaci, xilografia

in Jacopo da Varagine, Legendario de sanctì,volgarizzato da Nicolo Manerbi, Venezia,

Matteo de Codeca, 1494, cap. XXI, f. LXr.

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Vittore Carpaccio,Trittico di santa Fosca (1514):

San Pietro Martire, Venezia,Museo Correr; San Sebastiano,

Zagabria, StrossmayerovaGalerija Starih Majstora;

San Rocco, Bergamo,Accademia Carrara.

Vittore Carpaccio,San Paolo apostolo(1520),

Chioggia (Venezia),San Domenico.

La Legenda aurea, che al solitofornisce i termini essenziali dellastoria e della sua edificante con-clusione, dovette in questo casofornire anche il modello figura-tivo dell'anacoreta masochistacon una delle impagabili vignette

che illustrano le edizioni veneziane quattro-cinque-centesche.

Siamo in una sede benedettina: non avremmo bi-sogno di particolari spiegazioni né per Benedetto, cheè, per così dire, il padrone di casa, né per Gerolamo,che è il modello primario di ogni eremita e natu-ralmente anche il modello storico di Benedetto; maquesta doppia presenza permette una sottolineaturamolto importante, di storia e di metodo. Gerolamo eBenedetto. Il quadro, ricordiamo, è datato 1516. Dal1514 al 1516 l'abate di San Giorgio Maggiore è Gero-lamo Spinola, ovviamente genovese. Ma proprio nelcorso del 1516 viene nominato il nuovo abate, che èBenedetto Marin, decisamente Veneto. Allora la pre-senza di Gerolamo e Benedetto nel dipinto di Car-paccio non serve soltanto quale riconoscimento dellospessore culturale della prestigiosa sede benedettina,ma, con un'intelligente variazione sul tema tradizio-nale dei santi eponimi, inserisce l'elogio immediato ela memoria a venire dei due abati che si erano susse-guiti nella commissione. •

IN MOSTRA

Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all'lstria. L'autunno ma-gico di un maestro è ii titolo della rassegna che Conegliano (Treviso)dedica al pittore italiano vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo, au-tore di opere che testimoniano la sua conoscenza di usi e costumidella Serenissima di quel periodo, grande narratore di teleri dedica-ti alle storie di santi. Nel percorso espositivo, a cura di Giandome-nico Romanelli, troviamo tra gli altri il San Giorgio e /'/ drago (1516)del monastero veneziano di San Giorgio Maggiore, il Trittico di san-ta Fosca (1514), riunito per la prima volta dopo cinquant'anni, SanPaolo apostolo (1520), la Pala di Pirano (1518). Una carrellata di ol-tre cinquanta lavori tra dipinti, pale d'altare, disegni, stampe realiz-zati negli ultimi dieci anni della sua vita (1515-1525) che annovera-no anche l'eredità artistica del figlio Benedetto. La mostra, apertadal 7 marzo al 28 giugno a palazzo Sarcinelli (via XX Settembre132, telefono 199-151114, orario 9-18, venerdì 9-21, sabato e do-menica 9-19, chiuso lunedì; www.mostracarpaccio.it), può' inoltreessere l'occasione per scoprire i tesori custoditi nel ricco territoriodel comune Veneto, eccellenti simboli del patrimonio creato ai tem-pi di Carpaccio, attraverso visite guidate rivolte a famiglie, scuole,singoli e gruppi. Catalogo Marsilio Editori.

Questo articolo riprende in parte, con aggiunte e variazioni, un saggio della raccolta di A.Gentili, La bilancia dell'arcangelo. Vedere i dettagli nella pittura veneziana del Cinquecen-to, Roma 2009, pp. 101-103. Le principali notizie storiche sono ricavate da A. M. Zanetti,Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia, Venezia 1733, p. 31 (con di-verse ristampe); da F. Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia e di Tor-cetto, Padova 1758, pp. 470-473; e dall'ampia documentazione raccolta ne! volume IV diE. A. Cicogna, Inscrizioni veneziane, 6 voli., Venezia 1824-1853.

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