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settimana 1-8 aprile 2012 | n° 13-14 1 attualità L’atteggiamento dialogico a tutto campo, soprattutto alla base, è la cifra di un contributo originale alle «presidenziali» di questa primavera. Come leggere e interpretare il documento della Conferenza episcopale francese. I cattolici francesi a un mese dal voto Tracce della risurrezione La Pasqua è possibile leggerla nella “natura”, nell’arte e, soprattutto, nell’uomo salvato, amato, re- dento, perdonato, accolto, portato a pienezza di vita… Ma è nella liturgia della Chiesa che natura, arte e uomo riconciliato e vivente in Cristo possono intrecciarsi in una grande “danza pasquale”. Via Nosadella 6 40123 Bologna Periodico settimanale tariffa R.O.C.: “Poste Italiane s.p.a. - Sped. in A. P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB Bologna 1-8 aprile 2012 13-14 www.dehoniane.it attualità pastorale a Pasqua è meno esposta, rispetto ad altri grandi eventi del mistero cri- stiano – si pensi in particolare al Na- tale – a essere confusa con abitudini, pratiche e convinzioni che poco o nulla hanno a che fare con ciò che la fede ricono- sce e che la liturgia celebra. Ciò nonostante, non è mai inutile riportare l’attenzione al centro del mistero celebrato, la risurrezione di Gesù, il Crocifisso, passato da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1ss) e ora vivente per sempre, sorgente dell’effusione dello Spi- rito sull’umanità redenta. La fede nella risurrezione, in particolare, ha bisogno di essere continuamente rinno- vata e approfondita, perché in essa ne va di qualcosa di assolutamente decisivo: «Se Cri- sto non è risorto, vuota allora è la nostra pre- dicazione, vuota anche la vostra fede… se Cri- sto non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati… Se noi ab- biamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (cf. 1Cor 15,14-19). La fede, d’altra parte, ha bisogno di ma- nifestarsi e di realizzarsi nell’ambito della vita dei credenti e delle comunità. Si può e anzi si deve credere al Cristo risorto, confor- mandosi – o piuttosto lasciandosi confor- mare dallo Spirito – finché siamo in questa vita, alla morte di Cristo, «nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (cf. Fil 3,10); ma ci si può anche interrogare su che cosa potrebbe significare un’«esistenza da ri- sorti». Se, scrivendo ai Romani, Paolo vede il battezzato «inserito nella morte di Cristo», nell’attesa di essere unito a lui anche nella futura risurrezione (cf. Rm 6,5), nella lettera ai Colossesi sembra invece anticipare il fu- turo già nel presente: «con lui sepolti nel bat- tesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risu- scitato dai morti» (Col 2,12). L Bisogna evitare, certo, di cadere nella ten- tazione “gnostica” di pensare la risurrezione già pienamente avvenuta, riducendo così a nulla la speranza escatologica e magari fa- cendo, di questa pretesa “escatologia realiz- zata”, il pretesto per sottrarsi all’esigenza im- pegnativa e storicamente situata del vangelo. Con questo, però, la risurrezione non coin- cide solo con ciò che attendiamo al di là della nostra morte e della fine della storia. In Gesù, il Crocifisso-Risorto, la risurrezione è già en- trata nel nostro mondo, e nel suo Spirito già vi imprime la sua forza. Si tratterà di indivi- duare, allora, le linee di una “spiritualità della risurrezione” o di cercare i vestigia re- surrectionis, le “tracce” di una presenza del Risorto anche nella vita quotidiana del no- stro mondo, di ciascun credente e delle no- stre comunità. Nella primavera Un primo spunto è suggerito dalla con- comitanza della festa pasquale con la pri- mavera. Anche nel nostro mondo così forte- mente tecnologizzato è ancora possibile la- sciarsi afferrare dal fascino della “natura”. Fin dalle origini bibliche, e anzi prima an- cora, la festa pasquale è legata alla prima- vera, e la tradizione cristiana non ha man- cato di vedere, nel “risveglio” della natura dopo il sonno invernale, un segno – un ve- stigium, appunto – del “risveglio” di Cristo dal sonno della morte. Le assonanze lingui- stiche, del resto, sono rivelatrici, e nella pro- spettiva del linguaggio biblico non sarebbe sbagliato vedere in ogni risveglio, in ogni “al- zarsi” (l’atto “banale”, e spesso faticoso, che compiamo ogni mattina), una prima traccia della risurrezione. I ritmi quotidiani, e i ritmi della natura – almeno per chi vive in una parte del mondo dove i cambiamenti stagionali hanno ancora attualità Il papa in Messico e a Cuba p. 3 profili Shenuda, il papa copto p. 5 società 33 o Rapporto Unicef p. 7 etica Sentenza coppie gay p. 11 Il 24 marzo circa 20.000 umanisti-atei si sono radunati nella spianata del National Mall di Washington per chiedere la difesa dei loro diritti e la loro piena cittadinanza americana. Una ventina di associazioni hanno convogliato nella capitale la protesta contro le forme radicali della religiosità po- litica americana. Trasferire il contesto ame- ricano al nostro è assai poco produttivo. Con la crisi delle ideologie, tuttavia, anche gli atei “nostrani” hanno improvvisamente perso quel ruolo di avanguardie della co- scienza storica che era stato loro indebita- mente riconosciuto. Ma il credente sa di avere bisogno dell’inquieta ricerca dell’ateo e riconosce in se stesso alcune delle sue do- mande. Il vero pericolo in Europa non viene da loro, ma da quella deriva agnostica che è interessata alla religione e indifferente alla fede, che per essere laica è “ovviamente non religiosa”, che si astiene dall’impegno cri- tico e teorico sui problemi dei fondamenti. E che devasta il costume, l’ethos e la coscienza pubblici senza esserne consapevole. Salviamo gli atei 1 settimana 1-8 aprile 2012 | n° 13-14 > pag. 16 SETTIMANA 13e14-2012 v88:Layout 1 27/03/2012 15.12 Pagina 1

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attualitàL’atteggiamento dialogico atutto campo, soprattutto allabase, è la cifra di un contributooriginale alle «presidenziali» diquesta primavera. Comeleggere e interpretare ildocumento della Conferenzaepiscopale francese.

I cattolici francesia un mese dal voto

Traccedella risurrezioneLa Pasqua è possibile leggerla nella “natura”, nell’arte e, soprattutto, nell’uomo salvato, amato, re-dento, perdonato, accolto, portato a pienezza di vita… Ma è nella liturgia della Chiesa che natura,arte e uomo riconciliato e vivente in Cristo possono intrecciarsi in una grande “danza pasquale”.

Via Nosadella 6 40123 BolognaPeriodico settimanaletariffa R.O.C.: “Poste Italiane s.p.a. - Sped. in A. P.D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)art.1, comma 1, DCB Bologna

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a Pasqua è meno esposta, rispetto adaltri grandi eventi del mistero cri-stiano – si pensi in particolare al Na-tale – a essere confusa con abitudini,

pratiche e convinzioni che poco o nullahanno a che fare con ciò che la fede ricono-sce e che la liturgia celebra. Ciò nonostante,non è mai inutile riportare l’attenzione alcentro del mistero celebrato, la risurrezionedi Gesù, il Crocifisso, passato da questomondo al Padre (cf. Gv 13,1ss) e ora viventeper sempre, sorgente dell’effusione dello Spi-rito sull’umanità redenta.

La fede nella risurrezione, in particolare,ha bisogno di essere continuamente rinno-vata e approfondita, perché in essa ne va diqualcosa di assolutamente decisivo: «Se Cri-sto non è risorto, vuota allora è la nostra pre-dicazione, vuota anche la vostra fede… se Cri-sto non è risorto, vana è la vostra fede e voisiete ancora nei vostri peccati… Se noi ab-biamo avuto speranza in Cristo soltanto perquesta vita, siamo da commiserare più ditutti gli uomini» (cf. 1Cor 15,14-19).

La fede, d’altra parte, ha bisogno di ma-nifestarsi e di realizzarsi nell’ambito dellavita dei credenti e delle comunità. Si può eanzi si deve credere al Cristo risorto, confor-mandosi – o piuttosto lasciandosi confor-mare dallo Spirito – finché siamo in questavita, alla morte di Cristo, «nella speranza digiungere alla risurrezione dai morti» (cf. Fil3,10); ma ci si può anche interrogare su checosa potrebbe significare un’«esistenza da ri-sorti». Se, scrivendo ai Romani, Paolo vede ilbattezzato «inserito nella morte di Cristo»,nell’attesa di essere unito a lui anche nellafutura risurrezione (cf. Rm 6,5), nella letteraai Colossesi sembra invece anticipare il fu-turo già nel presente: «con lui sepolti nel bat-tesimo, con lui siete anche risorti mediantela fede nella potenza di Dio, che lo ha risu-scitato dai morti» (Col 2,12).

L Bisogna evitare, certo, di cadere nella ten-tazione “gnostica” di pensare la risurrezionegià pienamente avvenuta, riducendo così anulla la speranza escatologica e magari fa-cendo, di questa pretesa “escatologia realiz-zata”, il pretesto per sottrarsi all’esigenza im-pegnativa e storicamente situata del vangelo.Con questo, però, la risurrezione non coin-cide solo con ciò che attendiamo al di là dellanostra morte e della fine della storia. In Gesù,il Crocifisso-Risorto, la risurrezione è già en-trata nel nostro mondo, e nel suo Spirito giàvi imprime la sua forza. Si tratterà di indivi-duare, allora, le linee di una “spiritualitàdella risurrezione” o di cercare i vestigia re-surrectionis, le “tracce” di una presenza delRisorto anche nella vita quotidiana del no-stro mondo, di ciascun credente e delle no-stre comunità.

Nella primaveraUn primo spunto è suggerito dalla con-

comitanza della festa pasquale con la pri-mavera. Anche nel nostro mondo così forte-mente tecnologizzato è ancora possibile la-sciarsi afferrare dal fascino della “natura”.Fin dalle origini bibliche, e anzi prima an-cora, la festa pasquale è legata alla prima-vera, e la tradizione cristiana non ha man-cato di vedere, nel “risveglio” della naturadopo il sonno invernale, un segno – un ve-stigium, appunto – del “risveglio” di Cristodal sonno della morte. Le assonanze lingui-stiche, del resto, sono rivelatrici, e nella pro-spettiva del linguaggio biblico non sarebbesbagliato vedere in ogni risveglio, in ogni “al-zarsi” (l’atto “banale”, e spesso faticoso, checompiamo ogni mattina), una prima tracciadella risurrezione.

I ritmi quotidiani, e i ritmi della natura –almeno per chi vive in una parte del mondodove i cambiamenti stagionali hanno ancora

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profiliShenuda, il papa copto p. 5

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Il 24 marzo circa 20.000 umanisti-atei sisono radunati nella spianata del NationalMall di Washington per chiedere la difesadei loro diritti e la loro piena cittadinanzaamericana. Una ventina di associazionihanno convogliato nella capitale la protestacontro le forme radicali della religiosità po-litica americana. Trasferire il contesto ame-ricano al nostro è assai poco produttivo. Conla crisi delle ideologie, tuttavia, anche gliatei “nostrani” hanno improvvisamenteperso quel ruolo di avanguardie della co-scienza storica che era stato loro indebita-mente riconosciuto. Ma il credente sa diavere bisogno dell’inquieta ricerca dell’ateoe riconosce in se stesso alcune delle sue do-mande. Il vero pericolo in Europa non vieneda loro, ma da quella deriva agnostica che èinteressata alla religione e indifferente allafede, che per essere laica è “ovviamente nonreligiosa”, che si astiene dall’impegno cri-tico e teorico sui problemi dei fondamenti. Eche devasta il costume, l’ethos e la coscienzapubblici senza esserne consapevole.

Salviamo gli atei

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o Dare un senso al vivere

Si pensa più a chi muoreche a chi resta

Caro direttore, sono Monica, 55enne italiana, romana,

laica, cattolica, graziata dal Signore di unagrande e illuminante fede che mi riscalda ilcuore e l’anima e mi fa vivere ricca di senso, digioia, di amore.

In Italia, e soprattutto a Roma, molto delcattolicesimo e delle affermazioni che in taleambito si fanno vengono enfatizzate, analiz-zate, messe sotto i riflettori, interpretate atorto o a ragione. Sarà per questo motivo cheanche noi – popolo di Dio – ci sentiamo sem-pre punti sul vivo quando veniamo sollecitatida affermazioni del clero (in senso lato, ma so-prattutto dei nostri pastori), da una parte, egiornalistiche, dall’altra.

L’argomento è la morte di Lucio Dalla, il suofunerale in cattedrale a Bologna, il comporta-mento “perbenista” per cui tutto si può farebasta che non si dica.

In realtà, io lo prendo come pretesto di unariflessione più generale, che esporrò fra breve,ma non posso esimermi dal fare un rapido com-mento: i funerali di Welby no, al collega di donVerzè del San Raffaele morto suicida sì, a Ver-sace clamore, a Dalla tutti d’accordo, i sacra-menti somministrati in pompa magna anche aimafiosi, la Chiesa è grande e universale e cometale ha tante “anime” da accudire; lo stesso Si-gnore – come diceva un teologo protestante –ha tante sfaccettature quanti sono i suoi figliperché ognuno lo coglie per quello che gli èstato donato, ma queste diversità sono difficilida accettare, da difendere, da sostenere. Con-tinuo a credere che l’unica via vera, maestra e“stretta” sulla quale la Chiesa dovrebbe cam-minare è quella di Gesù Cristo, quella del-l’amore, della misericordia, della consolazione,dei sofferenti nello spirito, dei peccatori, deibeati delle beatitudini, quella della parte degliultimi contro tutto e contro tutti.

Il pretesto dei funerali di Dalla mi serve peruna riflessione sull’atteggiamento della Chiesae dei cattolici nei confronti della ritualizzazione

della morte e, quindi, sul tema più generaledella vita terrena e non.

In cattedrale a Bologna, durante il funerale,non si sono potute cantare le canzoni di Dallaper evitare “la spettacolarizzazione”: c’è chi hascritto che così non si è dato spazio nemmenoall’anima di Dalla perché le sue canzoni erano lasua anima. Giusto. Però hanno risuonato alungo le “campane a morto”.

Ma cos’è la morte? Riassumiamo quello chesi risponderebbe anche solo su “senso comune”di fede: la morte è un passaggio, la vita non fi-nisce qui, anzi, la vita sulla terra è un assaggio diquella ben più lunga e più ricca; siamo dellastessa natura divina e dopo saremo trasfiguratidi luce come Gesù sul Tabor ecc.

Ma ci crediamo che la nostra testimonianza èfatta di parole e soprattutto di fatti? E qual è latestimonianza dei nostri funerali, dei nostri ritiche ricordano il passaggio, dei nostri volti, deivolti dei sacerdoti chiamati a celebrare, dellemusiche che scegliamo per accompagnarcinella riflessione, qual è insomma l’atteggia-mento del popolo di Dio di fronte a questotema?

Mi permetto di parlarne in modo così “par-tecipato” perché ho vissuto sulla mia pelle, suimiei sentimenti, sulle mie emozioni – due annifa è morto mio marito – questa distorta, a mioavviso, interpretazione che in pratica è deltutto, ma proprio del tutto, contraria ad unvero sostegno per chi rimane.

Perché il vero problema è questo: chi ri-mane. Chi muore è già con il Padre. Ci crediamo,giusto? Se non aiutiamo chi rimane a darsi unsenso, a vivere veramente la grande potenzasalvifica e di amore di nostro Signore anche difronte alla morte, se non rendiamo manifestoanche nelle nostre azioni la verità di cui ci di-ciamo portatori e cioè che chi ha attraversato ilpassaggio rimane un vivente come Dio, e che vi-vrà ancora e per sempre in un luogo dove “nonci sarà più né lamento né pianto”, che avrà “unadimora presso il Padre” già preparata da Cristo,in una dimensione altra da noi ma pur semprepossibile di relazione con noi e con il nostro spi-rito, le “pecorelle” rimaste rischiano di per-dersi.

E ancora: se tuttoquesto non trova maila sua rappresenta-zione nei nostri riti enei nostri atteggia-menti che dovrebbero

rispecchiare la gioia e l’amore per chi “passa”,ma come potrà chi rimane darsi pace e serenità?

Invece, al contrario, noi ci addoloriamo erappresentiamo dolore per chi ci lascia e poi,generalmente, lasciamo a se stesso chi rimane.Perfino parlando con sacerdoti di fronte a mortigiovani il commento è stato “Beh, il dolore èper una vita spezzata”. Ma che vuol dire? La vitanon è un unicum, un unico flusso che si snodanell’eternità e che ha vari stati? Il vero dolorenon è per la mancanza che prova chi è rimasto,che rischia di togliere senso, fede, fiducia, spe-ranza? E allora non dovremmo focalizzare la no-stra attenzione su questo?

Ma forse dipenderà tutto non da quando simuore ma da come si è vissuto il tempo, poco otanto che sia, che ci è stato donato?

E allora la nostra predicazione e la nostra te-stimonianza non dovrebbe essere tutta incen-trata sull’essere, sul “vi dico queste cose perchéla gioia sia con voi e la vostra gioia sia piena”?sul vivere e godere ogni istante per quello cheè? Del gioire – e ora –, di quello che esperiamotutti i giorni, della natura, delle relazioni umaneimprontare sull’apertura e l’accoglienza dell’al-tro, dell’amore che diamo e riceviamo, degli af-fetti, della cultura, di tutto insomma.

E allora anche chi rimane solo, perché da unpunto di vista terreno soli si resta anche se inDio, potrà attraversare la propria sofferenza sa-pendo nel suo intimo che la vita c’è ancora, cheanche chi se n’è andato c’è ancora, misteriosa-mente come misteriosamente c’è Dio nei nostricuori, che si può ancora invocare l’aiuto del Si-gnore perché il Signore c’è sempre e, nono-stante possa sembrare che ci abbia fatto untorto, se veramente la richiesta di aiuto è sin-cera, profonda e la fiducia in lui totale, il Si-gnore «…comanderà ai suoi angeli di custodirtiin tutte le tue vie. Essi ti porteranno sulle loromani, perché il tuo piede non inciampi in alcunapietra…», sapendo infine che siamo amati dachi ci lascia come Dio ci ama.

Perché la consapevolezza di essere amati ègioia. La vita è gioia. Sempre. Dovunque.

Monica Cantiani

Domani

Trovo molto suggestivi alcuni inni proposti dalla Chiesa argen-tina per la liturgia delle ore. Questo, ad esempio, dove si intrec-ciano la pazienza amorosa di Dio e la mia temeraria pigrizia.

Cos’ho mai io che tu cerchi la mia amicizia?Che ci guadagni, Gesù mio,a passar le notti oscure dell’invernoalla mia porta coperto di rugiada?

Oh, quanto duro è stato il mio cuoreper non aprirti! Che folle deliriose il freddo gelido della mia ingratitudineha prosciugato le piaghe dei tuoi piedi puri!

Quante volte l’angelo mi diceva:«Affacciati adesso, anima, alla finestrae vedrai con quanto amore si ostina a chiamarti!».

e quante volte, bellezza suprema,rispondevo: «Domani gli apriremo»ma domani ancora risponderò così.

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A50 anni dal Vaticano II occorre che le comunità

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Rinnovamento nella fede e nellavita politico-sociale. È il messag-gio portato da Benedetto XVI nelviaggio in Messico e a Cuba, 23°pellegrinaggio, mentre si apprestaa toccare i sette anni di pontifi-cato. Nonostante che, in diversipassaggi, il papa abbia allargato laprospettiva a tutta l’America La-tina, è indubbio che i due paesitoccati avranno un ruolo premi-nente per il futuro di questo con-tinente.

Occasione del viaggio in Mes-sico era il bicentenario dell’indi-pendenza e i 20 anni dalle rela-zioni diplomatiche con la SantaSede; per Cuba l’occasione erasquisitamente mariana: i 400anni dal ritrovamento della statuadella Vergine della Carità del Co-bre, patrona dell’isola.

Il viaggio è stato il motivo perchiedere anche l’apertura alla re-ligione da parte di regimi politico-sociali che solo di recente hannointrodotto nella Costituzione lapiena libertà di culto (il caso delMessico) o che, come Cuba,stanno timidamente avanzandoverso la fine dell’ateismo.

Parlando di Cuba con i giorna-listi, in aereo, Benedetto XVI hanotato che l’epoca del marxismoè finita. Tanto è bastato a leggerele parole del papa come un’indi-cazione al regime cubano. Pron-tamente il ministro degli esteri deL’Avana ha risposto che il go-verno è pronto al dibattito. In re-altà si è trattato di un problema ir-rilevante. Infatti, Benedetto XVI èandato molto più in là rispetto asituazioni contingenti.

Il papa in MessicoNel viaggio c’è stata l’occasione

per trattare quei temi politico-so-ciali che stanno particolarmente acuore alla Chiesa. Prima di tuttola violenza che attanaglia il Mes-sico e, in secondo luogo, la riven-dicazione dello spazio di azionedella Chiesa stessa, sia in Messicoche a Cuba, come fattore di cre-scita civile e di progresso sociale.Agli episcopati dei due paesi ilpapa ha ricordato l’obiettivodell’Anno della fede: rinnovare inprofondità la pastorale affinché ilmessaggio di Cristo tocchi i cre-denti e ne ispiri le azioni.

In questa impostazione non sisono affrontati problemi ecclesialispecifici dei due paesi, pure esi-stenti. La nuova evangelizzazionedeve toccare l’America Latina, no-nostante qui viva oltre la metà dei

cattolici del mondo e dunquesembri superflua. Infatti, tropporilevanti sono i problemi che sichiamano violenza, criminalità,narcotraffico, democrazia da rea-lizzare, lotta alla povertà, spaziper le giovani generazioni, sanitàe rispetto per la vita e la famiglia.

Così a Leon, nello stato di Gua-najuato, culla della lotta nazionalemessicana per l’indipendenza –sia detto per inciso che è unostato non visitato da GiovanniPaolo II che pure in Messico hacompiuto diversi viaggi –, Bene-detto XVI nella messa del 24marzo ha sottolineato l’impegnodella Chiesa e di tutti i credenti a«superare la stanchezza dellafede» per recuperare «la gioia diessere cristiani».

All’Angelus ha toccato diverseproblematiche specifiche del Mes-sico odierno: l’emigrazione, la vio-lenza domestica, la criminalità eil narcotraffico, affidando a Cristoe a Maria la speranza di un futuromigliore grazie all’impegno coraledei credenti.

Ai vescovi ha ricordato che de-vono “coordinare” la loro azionepastorale locale in occasionedell’Anno della fede e con la Mis-sione continentale, lo slogan natodalla Conferenza generale del-l’episcopato latinoamericano adAparecida (Brasile) nel 2009. “Co-ordinare” significa avere atten-zione verso i presbiteri, i reli-giosi/e e i laici. Con una significa-tiva sottolineatura al fatto chedeve regnare «uno spirito di co-munione tra sacerdoti, religiosi elaici, evitando divisioni sterili, cri-tiche e diffidenze nocive».

Al card. Tarcisio Bertone, se-gretario di stato, è toccato rivol-gere un saluto ufficiale al ricevi-mento per i 20 anni dalle rela-zioni diplomatiche tra i due stati.Egli ha ricordato che la libertà re-ligiosa è tra i diritti fondamentalidelle persone: per tale motivo «èauspicabile che in Messico questodiritto fondamentale si consolidisempre di più, nella consapevo-lezza che questo diritto va moltoal di là della semplice libertà diculto. In effetti, pervade tutte ledimensioni della persona umana,chiamata a dare ragione della pro-pria fede e ad annunciarla e con-dividerla con altri – senza imporla– come il dono più prezioso rice-vuto da Dio».

In Messico, Benedetto XVI hatrovato grande entusiasmo, ster-minate folle e un atteggiamento

di estrema attenzione da partedelle autorità, a partire dal presi-dente della Repubblica, anche seil politico è giunto alla fine delsuo mandato di sei anni.

Il papa a CubaLa rivendicazione dello spazio

di azione della Chiesa e per laChiesa ha costituito il filo condut-tore della visita a Cuba, a 14 annidi distanza da quella di GiovanniPaolo II nel 1998. Cuba ha un al-tro presidente e un regime checerca di aprirsi, senza troppitraumi, anche se in precario equi-librio. Uno dei frutti più impor-tanti di quella visita – ha spiegatoBenedetto XVI al suo arrivo aL’Avana – fu «l’inaugurazione diuna nuova fase nelle relazioni trala Chiesa e lo stato cubano, conuno spirito di maggiore collabo-razione e fiducia, benché riman-gano ancora molti aspetti neiquali si può e si deve avanzare,specialmente per quanto si riferi-sce al contributo imprescindibileche la religione è chiamata a svol-gere nell’ambito pubblico dellasocietà».

Con questa premessa Bene-detto XVI è andato oltre: senzagiri di parole, il pontefice ha spie-gato, riferendosi alla crisi econo-mica in atto in “molte parti delmondo”, che «non si può prose-guire a lungo nella stessa dire-zione culturale e morale che hacausato la dolorosa situazione chetanti sperimentano. Al contrario,il vero progresso necessita diun’etica che collochi al centro lapersona umana e tenga contodelle sue esigenze più autentiche,in modo speciale della sua di-mensione spirituale e religiosa».Un invito che è stato salutato congrande calore dall’opposizione alregime e che segnala una transi-zione tutta da compiere, nellaquale la Chiesa intende svolgereun ruolo pacificatore.

Il messaggio religioso, espressonell’omelia del 26 marzo, è statoquello di mettersi alla scuola diMaria, che ha accettato il misterodell’incarnazione ed ha accolto lachiamata di Dio. Dunque, i cri-stiani devono diventare semina-tori del Vangelo nel mondo e te-stimoni della dignità inalienabiledi ogni persona e di ogni vitaumana.

Il 28 marzo, nella messa aL’Avana, davanti ad una grandefolla – la stessa folla che ha carat-terizzato il viaggio in tutte le

tappe della visita – Benedetto XVIha ripreso alcuni temi fondamen-tali del suo pontificato, prima ditutto la complementarietà trafede e ragione. Inoltre, il papa haricordato che la legge naturale,proclamata dalla Chiesa, indica laverità sull’uomo e «formulazionichiare e precise sulla vita e lamorte, i doveri e i diritti, il matri-monio, la famiglia e la società, indefinitiva sulla dignità inviolabiledell’essere umano». Premessa in-dispensabile questa per un’im-portante digressione sulla libertàreligiosa.

E, anche se a Cuba ci sono statiprogressi, tuttavia il papa ha ri-vendicato con forza il mandatopreciso della Chiesa di lavorare afavore dello sviluppo umano edella convivenza civile. Essa «nonsta reclamando alcun privilegio»,perché «pretende solo di esserefedele al mandato del suo divinFondatore, cosciente che, doveCristo si rende presente, l’uomocresce in umanità e trova la suaconsistenza». E qui abbiamo an-che la base della libertà vera diuna nazione.

Benedetto XVI non ha lesinatoindicazioni eloquenti: «Cuba e ilmondo hanno bisogno di cambia-menti – ha detto concludendo lalunga omelia –, ma questi ci sa-ranno solo se ognuno è nella con-dizione di interrogarsi sulla veritàe si decide a intraprendere il cam-mino dell’amore, seminando ri-conciliazione e fraternità».

«L’ora presente – ha conclusoil papa, congedandosi da Cuba il28 marzo – reclama in modo ur-gente che nella convivenzaumana, nazionale ed internazio-nale, si eliminino posizioni ina-movibili e i punti di vista unila-terali che tendono a rendere piùardua l’intesa e inefficace losforzo di collaborazione. Le even-tuali discrepanze devono essererisolte ricercando, senza stan-carsi, ciò che unisce tutti, con undialogo paziente e sincero e unavolontà sincera di ascolto che ac-colga obiettivi portatori di nuovesperanze».

Parole caute all’apparenza, maespressamente dirette agli StatiUniti per aprire davvero un’epocanuova e in particolare rivolte aglioppositori al regime cubano chevorrebbero cambiamenti decisi edecisivi, non contenti dell’attualegradualità.

Fabrizio Mastrofini

UNA VISITA SIGNIFICATIVA PER IL FUTURO DEI DUE PAESI

Il papa in Messico e a Cuba

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LETTERA PASTORALE DELL’ARCIVESCOVO DI AMALFI

Il 5 gennaio 1710 passò a Ravello dove vissei suoi ultimi giorni, continuando a servire in-stancabilmente il Signore e la sua Chiesa, conuna dedizione assidua, nonostante la soffe-renza causata da accresciute fragilità fisicheche lo portarono alla morte il 26 ottobre 1711.Proclamato beato dal papa Pio VI (1775-1799)il 19 novembre 1775, il suo corpo è veneratonella chiesa di S. Francesco a Ravello.

Facendo riferimento alla testimonianza deisuoi genitori che seppero iniziarlo a «una ge-nuina vita cristiana, dove la fede è intesa comeamicizia con Dio, dove la preghiera è stigma-tizzata come dialogo intimo, fiducioso con luie dove la carità è la risultante logica di tale fi-ducioso abbandono in lui», mons. Soricellipone in evidenza nella sua lettera pastorale ilruolo educativo dei genitori, invitandoli a pren-dere sempre più coscienza di «essere capaci ditrasmettere ai loro figli i veri valori umani e cri-stiani e di favorirne la crescita in una fede ma-tura, prima.

Rivolgendosi ai presbiteri, ai diaconi perma-nenti e alle religiose, riconosce che, nel conte-sto attuale, si è afferrati da un tale vorticoso “es-sere affaccendati” che si corre il rischio di ve-dersi assottigliare il tempo propizio per la spi-ritualità. Ecco perché è importante manifestaresempre un sereno e coerente atteggiamento diascolto e di comprensione, grazie al quale sipercepisce fino in fondo il reale bisogno di con-versione di chi si apre al flusso della miseri-cordia del Buon Pastore, avendo colto con fer-mezza che «l’amore di Dio vuole sconfinare,senza alcuna riserva, in chi lo cerca».

Un interessante riferimento fa mons. Sori-celli alla definizione di martire dell’obbedienzache il conventuale padre Antonio Gallo fece delbeato nel 1956 scrivendo una sua breve bio-grafia e aggiunge questo commento: «In realtà,l’obbedienza è stata una virtù da lui esercitata,dopo una faticosa conversione ad essa, come ècomune nell’età giovanile. È quanto avviene inAmalfi nei suoi otto anni di permanenza sottola direzione spirituale di padre Domenico Gi-rardelli da Muro Lucano. Affidando la sua vo-cazione al discernimento di quest’uomo dallospiccato tenore spirituale, egli riesce a crearequella giusta connessione tra preghiera eazione, che resterà una rotta costante nel suofuturo».

Facendo riferimento all’attuale momentostorico, che risulta contrassegnato da un ac-centuato soggettivismo, la lettera pastorale ri-leva che «la virtù dell’obbedienza sembra eclis-sata dall’atteggiamento diffuso del fai da te: uncomportamento questo che crea l’illusione diuna conquista di libertà personale, ma che inrealtà rappresenta un auto-condizionamento aqualsiasi scelta, scaglionato da pregiudizi e fri-vole emozioni, scadendo nel ripiego personalee nella chiusura al vero progetto di Dio».

Comprensibile, a questo punto, è il richiamoai giovani che avvertono forte esigenza di ot-tenere un impegno lavorativo e ai seminaristi

che, con gioia crescente, si preparano a servirela Chiesa con il ministero ordinato e, rispon-dendo con l’obbedienza a coloro che assistonoi loro primi passi formativi, non si sentonomortificati, ma percepiscono la volontà di Dioattraverso la vigilanza e la vicinanza dei proprisuperiori.

Definendolo come uomo di carità, mons. So-ricelli vede il beato Bonaventura come una fi-gura di sostegno e di incoraggiamento nella fa-tica pastorale «per essere Chiesa che riesce adavvertire il gemito del povero e, di conse-guenza, si sa chinare, come il Buon Samari-tano, sulle sue fragilità e sui suoi disagi». Pro-prio grazie alla carità, infatti, il beato manifestòun’avvincente presenza accanto agli ammalati,ai carcerati, alle esigenze anche materiali dellapovera gente, ma anche ai ricchi affetti dallapovertà del vizio e da altre gravità morali. Eccoperché l’arcivescovo invita tutti gli operatoripastorali che, nell’esercizio dei loro carismi,aiutano la Chiesa locale di Amalfi-Cava de’ Tir-reni, ad «avere quel volto accogliente, fami-liare, ospitale, come prefigurato dai documenticonciliari: siamo segno concreto del vangelosolo se, accanto alla preghiera, accanto alle no-stre programmazioni, esercitiamo la carità! LaCaritas diocesana, sempre vigile sulla rilevanzaconcreta dei fattori di povertà nel nostro terri-torio, continui a stimolare ciascuna comunitàparrocchiale all’esercizio della carità, creden-ziale privilegiata dell’essere battezzati».

Eugenio Fizzotti

Un anno per celebrareil beato Bonaventura da Potenza

vita ecclesiale

«L’anno giubilare in onore del beato Bona-ventura da Potenza (2011 – 26 ottobre – 2012),in occasione del 3° centenario della sua nascitaal cielo, rappresenta per la nostra Chiesa localedi Amalfi-Cava de’ Tirreni un vero evento digrazia che ci consente di corroborare ulterior-mente la quotidiana testimonianza di fede, spe-ranza e carità alla scuola del francescano con-ventuale che concluse il suo pellegrinaggio ter-reno il 26 ottobre 1711 in Ravello. Nella suavita terrena, infatti, emergono, con immedia-tezza, autentici sviluppi di umanità e spiritua-lità, concentrati intorno alla sequela evangelica:da essi affiorano stimoli eloquenti per daremaggiore spessore umano e spirituale al nostrovissuto quotidiano».

Iniziando così la sua recente lettera pasto-rale Orazio Soricelli, arcivescovo di Amalfi-Cava de’ Tirreni, invita tutti a considerarel’anno giubilare in onore del beato Bonaven-tura da Potenza come «una propizia occasioneper ridestare nella nostra coscienza di credentiquella vocazione alla santità intimamente con-giunta con la consacrazione battesimale e cherappresenta la motivazione più forte del nostropellegrinare, quasi un riscontro ancorato al-l’appello incessante del Signore: Siate santi per-ché Io sono Santo».

Nato a Potenza nei primi di gennaio del1651 da Lello Lavanga e Caterina Pica, il beatoBonaventura venne battezzato il quattro gen-naio in cattedrale con i nomi Carlo Antonio Ge-rardo. Grazie a un intenso clima familiare, in-centrato sulla laboriosità e sulla fede semplicee devota, fu iniziato alla fede in modo ottimalee la frequenza della chiesa dei francescani con-ventuali gli consentì di accostare il suo animoalla semplicità e povertà richiamata dal van-gelo e tenacemente incarnata nella vita di sanFrancesco d’Assisi. Compiuti i quindici anni,lasciò la sua famiglia per iniziare il noviziatotra i frati nel convento di Nocera Inferiore, as-sumendo il nome di fra Bonaventura da Po-tenza, vestì il saio il 4 ottobre 1666 ed emise laprofessione dei voti l’anno successivo.

Terminati gli studi filosofici e teologici, ef-fettuati ad Aversa e a Maddaloni dal 1667 al1671, passò ad Amalfi, dove venne accolto dalvenerabile padre spirituale Domenico Girar-delli da Muro Lucano, che lo aiutò a crescere ead approfondire nell’autenticità la sua sceltavocazionale. Ordinato diacono nella cattedraledi Amalfi il 6 marzo 1672 e presbitero il 23marzo 1673, svolse il ministero fino al 1680 inmodo zelante e fecondo, pronto a farsi tutto atutti, per tutti guadagnare a Cristo.

Obbedendo ai superiori, dal 1680 al 1710visse nei conventi di Napoli, Maranola, Giu-gliano, Sorrento, Ischia, di nuovo a Napoli, siaprima che dopo l’esperienza come maestro deinovizi a Nocera Inferiore, esprimendo semprela profonda convinzione che la vita, comequella di Gesù, va donata senza riserve. E fuproprio in questo periodo che in lui si manife-starono, con molta frequenza, fenomeni so-prannaturali come l’estasi e la lievitazione.

PRIMO MAZZOLARI

Dietro la crocee

Il segno dei chiodi

Edizioni Dehoniane Bologna

Via Nosadella, 640123 BolognaTel. 0514290011Fax 0514290099

Prosegue l’edizione critica degli scritti di Mazzolari.Le due opere, presentate insieme, testimoniano la

piena maturità del parroco di Bozzolo. Pubblicate adistanza di anni, entrambe sono raccolte di brevi testisulla passione, morte e risurrezione di Gesù, apparsi informa di articoli su settimanali cattolici. Un commentoevangelico e liturgico ai giorni della Settimana Santa.

«PRIMO MAZZOLARI»pp. 424 - € 33,00

www.dehoniane.it

Edizione critica a cura di Saverio Xeres

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dieranno il mes-saggio del radica-lismo evangelicoal cuore dellaChiesa copta or-todossa e davantiall’intera societàegiziana. Eremitanei pressi del mo-nastero per al-cuni anni, nel1962 venne elettovescovo incari-cato dell’educa-zione cristiana e

del seminario teologico copto e as-sunse il nome di Shenuda, dalsanto del IV secolo autore di unariforma della vita monastica inEgitto.

Nel decennio di episcopatoShenuda poté dare consistenza enuove strutture al percorso edu-cativo e agli studi teologici dei gio-vani egiziani, accompagnandocon solide basi spirituali e cultu-rali il risveglio di una Chiesa che,assieme al paese, stava cono-scendo profondi rivolgimenti.

Chiusala disputa cristologica

Divenuto “papa e patriarca”proseguì nel suo zelo pastorale, dicui vorrei sottolineare solo alcuniaspetti, a cominciare dall’impegnonel dialogo ecumenico e attin-gendo a vividi ricordi personali.

Nel 1973 firmò, assieme aPaolo VI, una dichiarazione co-mune sulla cristologia che, al-meno teologicamente, pose fine a1500 anni di dispute attorno allanatura di Cristo e sciolse incom-prensioni, fraintendimenti e de-rive che avevano allontanato pro-gressivamente le due Chiese: inquell’occasione per la prima voltasi incontrarono il successore disan Pietro alla sede di Roma e ilsuccessore di san Marco, disce-polo di san Pietro, alla cattedra diAlessandria. Da allora, la parteci-pazione della Chiesa copta orto-dossa al Consiglio ecumenicodelle Chiese, ai dialoghi bilateralicon altre Chiese e ai vari consigliregionali di Chiese cristiane costi-tuisce un elemento di grande ric-chezza nel cammino comuneverso quell’unità che Cristo stessoha chiesto al Padre per i suoi di-scepoli.

Un secondo evento significa-tivo del ministero di Shenuda III è

stata la forte tensione con il go-verno egiziano presieduto da Sa-dat, dovuta a profonde divergenzesull’atteggiamento da tenere neiconfronti di Israele e dei Fratellimusulmani, tensione culminatacon la condanna di Shenudaall’“esilio” nel monastero di el-Amba Bishoi, le cui mura si toc-cano con quelle di el-Syrian doveShenuda aveva iniziato la vita mo-nastica. Il patriarca rimase lì con-finato per oltre tre anni, quandoMubarak decise di lasciarlo nuo-vamente libero di esercitare il suoministero, nel quadro di una ri-conciliazione nazionale perseguitadopo l’attentato mortale a Sadat.

Quegli anni di esilio monasticofurono un crogiolo non solo per latempra spirituale di Shenuda, maanche per l’intera Chiesa copta,che seppe resistere nella fede enella fiducia in Dio, rifiutando dieleggere un nuovo patriarca e ge-stendo il governo pastorale dei fe-deli attraverso alcuni vescovi (unodei quali perirà accanto a Sadatnell’attentato) in piena comu-nione con il patriarca esiliato.

Le udienze generalial Cairo

Abbiamo personalmente po-tuto assistere a una delle prime“udienze generali” che Shenudaconcesse dopo il rientro al pa-triarcato e il ricordo e l’emozionerestano indelebili ancora oggi. Ilpatriarca era infatti solito – ed èuna tradizione che ha mantenutofino a poche settimane primadella morte – tenere ogni merco-ledì una collatio con i fedeli nellamoderna cattedrale del Cairo: peralcune ore 5/6.000 persone di ognietà e condizione si ritrovano perascoltare l’insegnamento del loropatriarca il quale, dopo una rifles-sione su un tema spirituale, ri-sponde ad alcune domande tra letantissime che gli pervengono sufoglietti di carta raccolti durantel’udienza. Difficoltà familiari, in-terrogativi etici, preoccupazioniper i figli o il lavoro, consigli per lapreghiera e la pratica cristiana, ri-chieste di intercessione per le ne-cessità più varie trovano ascolto,una chiave di lettura e una paroladi conforto a conferma della fededei più semplici. Alla fine, unapreghiera e una benedizione rin-via i fedeli alle loro case, mentre ilpatriarca si attarda a parlare con

qualche persona segnata da unasofferenza più grave o recente: unabbraccio e qualche dolce per unpaio di orfani, una benedizioneper una donna che non ha più no-tizie del marito emigrato per la-voro, un ascolto attento di chi glipresenta l’angoscia per il figlioscomparso da casa...

Vorrei ancora ricordare la sol-lecitudine del patriarca Shenudaper i copti emigrati all’estero: sicontano ormai 200 parrocchiecopte in America settentrionale(erano quattro nel 1971 all’ele-zione di Shenuda) e oltre 50 in Eu-ropa; anche in Italia vi sono duediocesi – a Roma e a Milano – chesi prendono cura dei fedeli copti.Shenuda nutriva una particolaresollecitudine verso queste fami-glie di emigranti, visitava le co-munità presenti fuori dall’Egittoogni qualvolta ne avesse la possi-bilità e garantiva loro assistenzaspirituale e provvista pastorale.

Non posso infine dimenticareil caloroso incontro che, assiemead alcuni fratelli, ebbi con lui allasede patriarcale al Cairo, accantoalla cappella che contiene le reli-quie dell’evangelista Marco resti-tuite dal patriarcato di Veneziaalla Chiesa copta: a Bose avevamoappena edito – tra i primissimi te-sti della nostra casa editrice – Pa-comio e i suoi discepoli, la rac-colta del corpo di regole e di pre-cetti monastici che costituisconol’eredità più significativa del mo-nachesimo cenobitico egizianodei primi secoli. Gli facemmodono di una copia e attirammo lasua attenzione sulla dedica a lui ealla sua Chiesa posta in chiusuradella prefazione: non sembrò farcaso al suo nome, ma gli occhi gliscintillarono nel percorrere le pa-gine con i testi che narravano ilsorgere di quella vita monasticache tanti anni prima lo aveva at-tirato al deserto: uno sguardo diprofonda intensità nel quale miparve di cogliere un desideriomai sufficientemente appagato diintimità con il Signore, di ascoltodi ciò che lo Spirito dice allaChiesa, di dialogo amoroso conl’Amante del cuore. Un dialogoche ora, per papa Shenuda, è di-ventato incessante comunioned’amore trinitario.

Fr. Enzo Bianchipriore di Bose

Dal 1971 Shenuda è stato aivertici della Chiesa coptad’Egitto. Tra le sue scelte:centralità della vita monastica,dialogo ecumenico, tensionicon il potere politico, curapastorale per i fedeli nel paesee in diaspora.

Enzo Bianchi ricorda Shenuda III

Quando, il 14 novembre 1971, ilnome del vescovo Shenuda (3agosto 1923 – 17 marzo 2012)venne estratto a sorte dalla ternadi candidati scelti dalla Chiesacopta per succedere a Cirillo VIcome “papa di Alessandria e pa-triarca della predicazione di SanMarco e di tutta l’Africa”, il papa evescovo di Roma era Paolo VI, ilpatriarca ecumenico di Costanti-nopoli era Athenagoras, a Moscaera appena stato eletto il patriarcaPimen, mentre Michel Ramseyera arcivescovo di Canterbury eprimate della Comunione angli-cana. La Chiesa cattolica muovevai primi passi nell’attuazione dellariforma liturgica e del dialogo ecu-menico promossi dal Vaticano II,mentre in Egitto Sadat era succe-duto solo da un anno al presidenteNasser...

Questi semplici dati ci forni-scono un’idea di cosa può aver si-gnificato il ministero del patriarcaShenuda III e le sfide che ha do-vuto affrontare in oltre quaran-t’anni di servizio primaziale resoalla più numerosa comunità cri-stiana presente nei paesi arabi: laChiesa copta ortodossa.

Scuole domenicalie monasteri

Nel 1954 il ventunenne Nazeer,nativo di Assiut, era entrato nelmonastero di el-Suryan nel de-serto di Scete, ricevendo il nomedi Antonio: da anni era attivo nelmovimento dei giovani impegnatinelle scuole domenicali, autenticaforza motrice del rinnovamentoche la Chiesa copta conosceràsotto la guida del patriarca CirilloVI. Sono anni in cui la vita mona-stica ritrova il suo slancio, attornoa figure carismatiche che farannorivivere l’intensità della vita spiri-tuale dei padri del deserto e irra-

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Genova, piazza della Vittoria.Già alle 8 sotto l’arco di trionfosventolano tricolori, variopintebandiere di Libera e alcuni stri-scioni. I pullman continuano adarrivare da tutt’Italia, a decine, so-stano appena il tempo per farscendere scolaresche, scout, asso-ciazioni…

Il quotidiano di Genova, Il se-colo XIX, ha preparato per questaoccasione un’edizione specialeche mostra in copertina quellache si può ormai definire l’iconadella lotta alla mafia: la celebrefoto di Falcone e Borsellino in-sieme, sorridenti e, in sovrim-pressione, i nomi (824) delle vit-time accertate di mafia. In realtàquesto terribile elenco è moltopiù lungo. I due giudici morirono,insieme a tutti gli agenti dellaloro scorta, a tre mesi di distanzal’uno dall’altro.

“Non molliamo!”Vent’anni sono passati, e que-

sta data per molti è divenuta ide-almente una sorta di orologiodella storia. Un “conto alla rove-scia”: il tempo per le mafie si stafacendo sempre più corto. «Nonmolliamo!»: è stato il grido concui don Ciotti ha concluso il suodiscorso alla fine della Giornatadi Genova. Preghiera e incorag-giamento. Ma anche un mandato:ciascuno faccia la propria parte.

Da quei giorni di sgomentoquasi disperato di 20 anni fa sonocambiate davvero tante cose. An-che se la mafia è sempre potente,ramificata, complessa, sfuggentee polimorfa, è però cambiato l’at-teggiamento di tanti cittadini co-muni.

Vent’anni fa la mafia sem-brava ai più invincibile, una sortadi cancro inesorabile e inarresta-bile innestato nel corpo sociale.Invece è nata una ribellionenuova, si è assistito e si sta assi-stendo ad un cambiamento cul-turale grazie al lavoro di tantis-sime persone che non hanno cre-duto alla favola della mafia“eterna” e non hanno ceduto allosconforto e alla disperazione. Gra-zie a Libera, in prima linea, contutti i suoi sempre più numerosiaderenti, ma anche a tante altrepersone, religiosi e laici, impe-gnate nel sociale.

Il cambiamento viene dallabase. Ecco perché i giovani sonoquelli che formano la parte piùgrande e colorata e allegra di que-sto lunghissimo corteo. Li vedi

con le bandiere di Libera, ma an-che con tanti striscioni “creativi”,fantasiosi, con disegni o con slo-gan. Tutti vogliono dire lo stessono alla criminalità organizzata,alla corruzione (e questo è un ca-pitolo a parte, importantissimo:un ulteriore passo avanti nella viadella legalità).

Dobbiamo ricordare la morte eil male che i mafiosi han semi-nato in tanti anni ma, grazie allapresenza di tanti giovani, è subitofesta. Sventolio di bandiere, gliapplausi, cori improvvisati (tantevolte viene intonato l’inno nazio-nale – è la festa dei 150 anni del-l’unità d’Italia).

Celebrare l’unità d’Italia aiutaanche a ricordare che le mafienon sono più solo un affare meri-dionale, e neppure che le mafiedel nord non sono un “prodottoimportato” dal sud. Il nord Italiaconosce ormai bene il fenomenodell’illegalità e della corruzione.Ormai siamo davvero uniti. Unitinelle responsabilità del male, maanche uniti contro le mafie.

È bello vedere ripetuta in millemodi, scandita in coro o scrittadovunque, la parola più bella – Li-bera –, così carica di significatiimportanti. Per la libertà in varieparti del mondo si sta morendo,le strade si tingono di sangue,persone seppelliscono altre per-sone. Parola impegnativa, Libera.Ma è proprio questa parola a fareda filo d’oro capace di unire tuttinella bellezza della diversità.

Abbiamo riaffermato il nostrono alle mafie, che non è parola ge-nerica: è corruzione, evasione fi-scale, abusi edilizi, cementifica-zione (che in Liguria – ricordadon Ciotti –, insieme alla Lom-bardia, detiene un triste primatoitaliano), narcotraffico, smalti-mento di rifiuti tossici…

Tutti qui per stringerci intornoai circa 500 parenti delle vittimedi mafia, rappresentanti di moltialtri che non sono fisicamentepresenti. Ma che ci sono lo stesso.Un corteo imponente.

Non si può non pensare, percontrasto, a quello sciagurato G8,alla scuola Diaz: anche là si “di-mostrava”, anche là c’erano tantigiovani, e le forze dell’ordine. Lacittà era la stessa. Questo corteo,che è un esercito pacifico di piùdi 100.000 persone, dimostra chesi può essere anche indignati, ad-dolorati e determinati ma assolu-tamente civili e rispettosi dellacittà che lo ospita e dei suoi abi-

tanti, e delle forze dell’ordine.Tanti caduti per mano mafiosaerano proprio come questi gio-vani poliziotti, questi carabinieri.Diversi di loro, fermi accanto allecamionette e alle volanti, di tantoin tanto applaudono. Tutti uniti.Tutti dalla stessa parte.

Una nuova stagioneIl momento centrale della gior-

nata è quello, che pare intermi-nabile (e di fatto per molti lo è),della lettura degli oltre 900 nomidelle vittime innocenti delle ma-fie, semplici cittadini, magistrati,giornalisti, appartenenti alleforze dell’ordine, sacerdoti, im-prenditori, sindacalisti, esponentipolitici e amministratori localimorti per mano delle mafie, «mada questo terribile elenco – sotto-linea don Ciotti – mancano tan-tissime altre vittime, impossibilida conoscere e da contare».

Giornata della memoria: gior-nata di lutto, di dolore, di silen-zio, di preghiera per chi crede.Ma fare memoria senza rinno-vare insieme l’impegno personalee collettivo per isolare i mafiosi,denunciare crimini e criminali,adottare una condotta traspa-rente, leale e onesta nel nostroquotidiano, sarebbe un’azionesterile e ripiegata su se stessa.

Libera ormai da 17 anni cele-bra questa Giornata il 21 marzo:il primo giorno di primavera(quest’anno è stata anticipata asabato 17 marzo per favorire lamassima partecipazione). Datasimbolica: un inverno, non solometeorologico, ci stiamo la-sciando alle spalle, e ci sta davantila rinascita.

Un cenno va fatto anche allaveglia di preghiera in San Lo-renzo, la splendida cattedrale diGenova, il 16 marzo, dove ancheil card. Bagnasco, insieme a donCiotti, ha voluto abbracciare ide-almente tutti i familiari delle vit-time. A proposito della Chiesa edi quella blasfema pseudo-reli-gione che professano molti ma-fiosi, devoti a santi e spesso pre-senti in prima fila alle messe, donCiotti ha chiarito: «I mafiosi sonofuori dalla comunità dellaChiesa», così come sono fuoridalla Chiesa «anche i loro com-plici». Poi, nel discorso conclu-sivo ha fatto sue – perché diven-tassero nostre – le parole di Save-ria Antiochia, madre di Roberto,il poliziotto massacrato dai killerdi Riina e Provenzano: Quando ti

uccidono un figlio sparano anchesu di te. Parole come macigni.

Don Luigi ha parlato di un al-tro pericolo: l’indifferenza, il si-lenzio che diventa connivenza:«Il cambiamento ha bisogno oggipiù che mai di ciascuno di noi (…)La forza della mafia non sta den-tro la mafia, sta in quelle alleanze,in quelle connessioni, in quellecollaborazioni, in quell’area gri-gia, fatta di parti di corpo sociale,fatta di segmenti della politica edel mondo imprenditoriale. Lezone grigie ci sono ancora anchenella Chiesa, dove c’è una mera-viglia di persone forti, generose,impegnate, ma ci vuole più radi-calità, più fermezza. Guai! Viprego: guai a disattivare il radardell’intelligenza critica. Spero chetanto dolore abbia fatto germo-gliare, e faccia germogliare ilseme del coraggio e della respon-sabilità: coltiviamolo, con pas-sione e amore».

Tra i familiari c’è anche il ni-pote di Placido Rizzotto, il sinda-calista di Corleone rapito e uccisoda Cosa nostra il 10 marzo 1948 egettato nelle foibe di Rocca Bu-sambra. Il suoi resti sono stati ri-trovati in questi giorni e alla fa-miglia sono stati promessi fune-rali di stato. Ma sono ancora tantii familiari che aspettano verità egiustizia.

Laura Ferrari

GIORNATA DELLA MEMORIA DELLE VITTIME DI MAFIA

Con le bandiere di “Libera”

Edizioni Dehoniane Bologna

A CURA DI ROBERTO REGGI

ReTraduzione interlineare

in italiano

Del Primo e del Secondo libro dei Re ilvolume offre testo ebraico, traduzione

interlineare (da destra a sinistra seguendola direzione dell’ebraico) e testo della Bib-bia CEI (a piè di pagina con a margine ipassi paralleli). Non si tratta di una ‘tradu-zione’, ma di un ‘aiuto alla traduzione’: unutile sostegno per affrontare le difficoltàdell’ebraico e introdursi nel testo biblico inlingua originale.

«BIBBIA E TESTI BIBLICI»pp. 160 - € 15,30

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parte dei servizidi base e del di-ritto di crescerebene. Esclu-dendo questibambini che vi-vono negli slum,non solo li pri-viamo della pos-sibilità di svilup-pare il propriopotenziale, mapriviamo anchele loro società dibenefici econo-

mici che derivano da una popola-zione urbana in buona salute eben istruita».

Le città offrono a molti bam-bini scuole, ospedali e parchigioco ma, al tempo stesso, pre-sentano anche una serie di dispa-rità in termini di salute, istru-zione e opportunità. Le opportu-nità per chi vive nelle aree urbanenon sono accessibili in modo uni-forme.

In Egitto, nel biennio 2005-2006, il 25% dei bambini nellearee urbane ha frequentato lascuola materna, contro il 12%dei bambini nelle aree rurali, maappena il 4% dei bambini ap-partenenti alla fascia del 20%delle famiglie urbane più povereha frequentato la scuola ma-terna. A Delhi, in India, poco piùdel 54% dei bambini degli slumfrequentava la scuola primarianell’anno scolastico 2004-2005,rispetto al 90% dei bambini nelresto della metropoli. In Bangla-desh, secondo dati del 2009, ledifferenze sono ancora più pro-nunciate al livello di istruzionesecondaria: il 18% dei bambinidegli slum frequenta la scuola se-condaria, rispetto al 53% dellealtre aree urbane e al 48% dellezone rurali.

Le famiglie più povere fannofatica a pagare le tasse scolastiche:una recente ricerca condotta aSan Paolo (Brasile), Casablanca(Marocco) e Lagos (Nigeria) ha ri-scontrato che il 20% delle fami-glie più povere spende oltre unquarto del reddito per mantenerei figli a scuola.

Si stima, inoltre, che siano ben67 milioni i bambini in età scolareche nel 2008 non hanno frequen-tato un solo giorno di lezionenella scuola primaria. Il dato an-cora più preoccupante è che oltre

la metà, il 53%, sono bambine.Le disparità non mancano an-

che relativamente alle condizionidi salute. Nel 2010, infatti, quasiotto milioni di bambini sonomorti al di sotto dei 5 anni di età,in gran parte per malattie cura-bili, come la polmonite e la diar-rea. Secondo alcuni studi, sonoparticolarmente a rischio i bam-bini che vivono in insediamentiurbani non ufficiali.

In Bangladesh una ricerca del2009 ha rilevato che il tasso dimortalità dei bambini sotto i cin-que anni negli slum è del 79% piùalto che nelle aree urbane, e il44% più elevato che nelle aree ru-rali. A Nairobi circa i 2/3 della po-polazione vive in insediamentinon ufficiali sovraffollati, dove iltasso di mortalità 0-5 anni è a unlivello altissimo (151 decessi ogni1.000 nati vivi), principalmente acausa di polmonite e diarrea.

In uno studio condotto in 8città indiane tra il 2005 e il 2006,è stato rilevato che il 54% deibambini nelle fasce urbane piùpovere denotava un arresto nellacrescita (indicatore di denutri-zione cronica), rispetto al 33% delresto della popolazione urbana.Uno studio del 2009 condotto in 3slum di Nairobi ha riscontrato chei bambini nelle baraccopoli dellacapitale kenyota hanno il 270% diprobabilità in più di incorrere inun arresto della crescita rispettoai bambini delle aree urbane be-nestanti.

Ogni anno, poi, l’inquinamen -to dell’aria in ambiente domesticoè responsabile di quasi 2 milionidi decessi tra i bambini sotto i cin-que anni, in oltre metà dei casiper via della polmonite.

In tutto il mondo il 96% dellapopolazione che vive nelle areeurbane ha accesso all’acqua pota-bile, rispetto al 78% di coloro chevivono nelle aree rurali. Tuttaviala copertura idrica non tiene ilpasso della crescita della popola-zione urbana. Nei distretti urbanipiù poveri, ottenere un litro di ac-qua potabile costa fino a 50 voltepiù che nei quartieri benestanti.Aumentare l’accesso all’acqua po-tabile è d’importanza vitale per ri-durre la mortalità infantile.

Voci dall’ItaliaPer Unicef, dunque, è essen-

ziale concentrarsi sull’equità, rag-

giungendo i bambini più poveridovunque essi vivano, e chiedecon forza ai governi di mettere ibambini al centro dei piani urba-nistici e di ampliare e aumentarei servizi per tutti, colmando le di-sparità tra i bambini nelle aree ur-bane.

Nell’ambito delle buone prati-che, il Rapporto dà grande spazioall’iniziativa internazionale “Cittàamiche dei bambini”. «Oggi, cisono più di 300 sindaci italiani no-minati “Difensori dell’infanzia”con l’impegno di realizzare i “9passi per costruire una città amicadei bambini” – ha ricordato il pre-sidente di Unicef Italia, GiacomoGuerrera –. Noi dobbiamo inve-stire di più nelle città, focaliz-zando maggiormente l’attenzionenel fornire servizi ai bambini chepiù hanno bisogno».

Le problematiche evidenziatedal Rapporto sembrano lontane,eppure anche le periferie delle no-stre città rappresentano una sfida.«In tutto il mondo si ingrossano icentri urbani che diventano me-galopoli – ha commentato la re-sponsabile di Unicef Campania,Margherita Dini Ciacci –. Le fa-miglie e i bambini che si spostanoin città peggiorano le loro condi-zioni. Vivono in quelle periferiedel malessere che conosciamo an-che qui, vicino a noi. Napoli non èuna città amica degli adolescenti edei bambini, vero capitale umanodell’umanità. Partiamo dai figlidei rom, degli immigrati di se-conda generazione, dei disabiliper dare una speranza. Non cisono spazi di aggregazione, di so-cializzazione, di formazione lavo-rativa, ecco perché in tanti eva-dono la scuola».

Di parere simile è anche il pre-sidente di Unicef Italia. «La situa-zione dei nostri bambini è strito-lata da parecchi mesi fra l’articolo18 e lo spread – ha commentatoGuerrera –. Di bambini non siparla più. Dobbiamo rimetterli alcentro dell’attenzione. I problemieconomici ci sono, nessuno lonega, e dobbiamo tirare la cinghiaun po’ tutti. Ma non dobbiamo farsì che i sacrifici maggiori pesinoproprio sui bambini, sui più de-boli, su coloro che hanno mag-giormente bisogno del nostroaiuto».

Sabrina Magnani

societàSecondo l’ultimo RapportoUnicef, essi vivono soprattuttoin metropoli e megalopoli,godendo di alcune opportunità,ma subendo anche leconseguenze negative dellediseguaglianze che dominanoquesti contesti.

Bambinisempre più urbanizzati

«Oggi il 50% della popolazionemondiale vive in aree urbane, edentro la metà di questo secolo ar-riverà a oltre due terzi. QuestoRapporto è dedicato ai bambini eai ragazzi che vivono negli am-bienti urbani di tutto il mondo.Sono più di un miliardo, e il loronumero continua ad aumentare».Inizia così l’annuale Rapportosulla condizione dell’infanzia chel’Unicef ha presentato in variecittà italiane e straniere a metàmarzo e che quest’anno, per lasua 33ª edizione, ha focalizzatol’attenzione sui bambini e i ra-gazzi che vivono nei centri urbanidal momento che sono i luoghi incui la “bomba demografica” è de-stinata a manifestarsi con mag-giore intensità.

Ogni anno, infatti, la popola-zione urbana aumenta di circa 60milioni di persone. L’Asia ospitala metà della popolazione urbanamondiale, nonché 66 delle 100zone urbane che crescono più ra-pidamente. Circa un terzo dellapopolazione urbana mondiale giàoggi vive negli slum – in Africaquesta percentuale sale al 60% –dove si concentrano povertà,emarginazione e discriminazione.Ed è calcolato che entro il 2020quasi 1,4 miliardi di persone vi-vranno negli slum.

Forti disparità «Quando pensiamo alla po-

vertà, le immagini che tradizio-nalmente ci vengono in mentesono quelle dei bambini nei vil-laggi rurali», ha affermato il di-rettore dell’Unicef, Anthony Lake,presentando il Rapporto a Cittàdel Messico. «Oggi, invece, sem-pre più bambini vivono neglislum e nelle baraccopoli. Sono trai più svantaggiati e vulnerabili almondo, privati della maggior

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Il “counseling” pastoraleUNA PROFESSIONE D’AIUTO PREZIOSA PER LE COMUNITÀ CRISTIANE

Proviamo a delineare i contorni di questa nuova professione d’aiuto,iniziando dal significato etimologico.

Il termine counseling indica un’attività professionale che tende adorientare, sostenere e sviluppare le potenzialità della persona, favo-rendone atteggiamenti attivi, propositivi e stimolando le capacità discelta.

Il counselor si occupa di problemi contestualmente circoscritti (fa-miglia, lavoro, scuola), legati al qui e ora della persona.

Che cos’è il “counseling”?Il sostantivo counseling deriva dal verbo inglese to counsel, che ri-

sale a sua volta al verbo latino, traducibile in consolare, confortare, ve-nire in aiuto. L’infelice traduzione italiana di counseling con il ter-mine “consulenza” è discutibile in quanto un altro termine, consul-ting, ha in inglese il medesimo significato. Anche la traduzione conil sostantivo “consiglio” diventa problematica, perché c’è differenzatra il consigliare/suggerire e l’attività di counseling che si svolge conun esperto, mentre la prima può avvenire all’interno di una qualsiasirelazione paritaria.

Sembra che il termine counseling sia destinato a non trovare nelvocabolario italiano il suo corrispondente e che qualunque traduzione

– quella di “consulenza” è la più utilizzata – metta in luce solo parte delsignificato di questa nuova professione d’aiuto. Ecco perché diventanecessario comprendere più da vicino cosa sia il counseling.

Chi è il “counselor”?Prima di cercare di comprendere la specificità del counseling pa-

storale, è importante definire chi sia il counselor in generale e qualesia il suo compito. Rollo May, padre fondatore del counseling insiemea Carl Rogers, individua tre compiti del counselor partendo dall’ana-lisi di ciò che caratterizza la personalità umana. A partire dalla do-manda: che cos’è un essere umano?, afferma che «un uomo è qual-cosa di più del corpo che possiede, del lavoro che svolge, della posi-zione sociale che occupa e una donna è qualcosa di più dell’esseremadre, dell’avere del fascino o dello svolgere un certo lavoro. Si trattasolo di alcuni aspetti con i quali noi esprimiamo noi stessi. La totalitàdi questa espressione è il riflesso esterno di quella struttura internache noi chiamiamo, in modo alquanto vago, “personalità”. […] Vale adire, che ciò che caratterizza la personalità è la libertà, l’individualità,l’integrazione sociale e la tensione religiosa».1

Dal primo principio della personalità – la libertà – l’autore affermache compito del counselor è aiutare la persona nel suo processo di

Per molti il termine counseling suona strano, e ancor più sentir parlare di counselingpastorale. Eppure esiste. E, se in America ed Europa è già diffuso da tempo, anche in Italiacomincia a prendere piede, attraverso scuole di formazione e pubblicazioni. Scopo delcounseling è rendere la persona sempre più consapevole di se stessa e delle proprie scelte.

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di sé o sentissero l’esigenza di essere aiutati a sciogliere qualchenodo nel loro percorso vocazionale.

L’esperienza del Centro studi fu gradualmente ridimensionata e,in seguito, ci si concentrò sulla relazione d’aiuto personale e sulcounseling pastorale. L’intento dell’Istituto studi e ricerche di pasto-ral counseling è diventato quello di formare operatori professionaliche conoscano bene le regole della buona comunicazione, possie-dano competenze relazionali adeguate (skills of counseling), abbianouna chiara visione della realtà e dell’uomo in prospettiva cristiana.La Scuola di pastoral counseling cammina su tre linee operative pre-cise: cura dell’essere, del sapere e del saper fare. Il percorso triennale,infatti, prevede l’accompagnamento personale, il corso di studi conesami e il tirocinio monitorato.

n Ci può fornire una definizione di pastoral counseling e indicare icontributi che tale attività può dare all’interno della realtà eccle-siale?

In generale, possiamo dire che il counseling pastorale è una rela-zione d’aiuto che costituisce una vera e propria diaconia ecclesiale.È un’attività al servizio della persona che, basandosi sulle compe-tenze relazionali e comunicative, con chiaro riferimento alla visionecristiana della persona e del mondo, accompagna la persona nei mo-menti critici della vicenda umana: perdita del lavoro, situazioni fa-miliari complesse, momenti di fatica vocazionale, malattia ecc.

Il counselor pastorale è colui che accompagna il fratello all’internodi una comunità cristiana attraverso un percorso strutturato che haun inizio e una fine, ha un luogo e un orario di incontro e può pre-vedere anche un compenso se esercitato come professione di aiuto.

È una diaconia ecclesialePer comprendere più da vicino che cosa sia il pastoral counseling,abbiamo coinvolto chi da anni si occupa di consulenza pastorale,attraverso incontri diretti con persone e lezioni in materia. Abbiamochiesto pertanto un’intervista a mons. Guglielmo Borghetti, docentee già direttore dell’Istituto studi e ricerche di pastoral counseling,oggi vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello (GR).

nMons. Borghetti, nel 2002 lei ha fondato, con il sostegno e l’auto-rizzazione dei vescovi dello Studio teologico interdiocesano, l’Isti-tuto studi e ricerche di pastoral counseling che ha la sua sede legale eoperativa a Camaiore (Lucca). Com’è nato questo progetto?

La storia è complessa e articolata. Si sono intersecate due storie.A Camaiore già esisteva lo Studio teologico interdiocesano, affiliatoalla Facoltà teologica dell’Italia centrale di Firenze, presso il quale in-segnavo antropologia filosofica, psicologia della religione e psicolo-gia pastorale. Dal 1983, inoltre, ora come rettore, ora come direttorespirituale – e quindi come incaricato della formazione permanentedei preti giovani – ho avuto sempre le “mani in pasta” nei problemidi formazione dei sacerdoti.

Nel 1999 sono stato nominato preside dell’Istituto teologico in-terdiocesano di Camaiore e, dopo poco, è emersa l’idea di creare insinergia, seppur distinto, un Centro studi di pastorale con l’intento– forse un po’ ambizioso – di realizzare un laboratorio di studio e diricerca dove operatori pastorali e studiosi approfondissero i vari am-biti dell’agire pastorale per ideare e proporre progetti di ricerca.

Contemporaneamente nacque anche un Centro di consulenza perla vita consacrata per offrire la possibilità di accogliere sacerdoti, re-ligiose e religiosi che desiderassero fare un percorso di conoscenza

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consapevolezza, accettando la responsabilità delle proprie scelte e deipropri comportamenti.

Dal secondo principio – l’individualità – emerge che compito delcounselor è quello di assistere il cliente nella ricerca del suo vero sé.

Dal terzo principio – l’integrazione sociale – sievidenzia che «è compito del counselor aiutare ilcliente ad accettare di buon grado la responsabilitàsociale, dargli il coraggio che lo libererà dalla coa-zione del senso di inferiorità, e aiutarlo a orientarei suoi sforzi verso scopi socialmente costruttivi».

Infine, dal quarto principio della personalità – latensione spirituale – ricaviamo la seguente guida: «ècompito del counselor, nell’aiutare il cliente a libe-rarsi dalla morbosità del suo senso di colpa, aiutarloanche coraggiosamente ad accettare e affermare latensione spirituale insita nella natura umana».2

Questi aspetti ci permettono di comprendere cheil counselor, attraverso l’ascolto e l’empatia, vuolecreare uno spazio protetto di comunicazione in cuila persona possa comprendersi meglio, trovare inprima persona la soluzione ai propri problemi esi-stenziali, scolastici, professionali, familiari e spiri-tuali, conquistando così una visione più ampia e po-sitiva di sé. Difatti, scopo del counseling è rendere lapersona sempre più consapevole di se stessa e dellesue scelte.

La specificità del “counseling”Attualmente, in Italia, tre sono le scuole che si occupano di coun-

seling pastorale e sono il Centro camilliano di formazione di Verona,la Scuola triennale di pastoral counseling di Camaiore (Lucca) e il Te-resianum di Roma.

Cerchiamo di rintracciare alcuni aspetti fondamentali che defini-scono l’attività di counseling pastorale.

In primis, il counseling pastorale è un ministero, ossia un servizioprestato a quanti necessitano di un aiuto o di un sostegno umano e spi-rituale. Come ha scritto padre Angelo Brusco, direttore del Centro di

formazione di Verona, il counseling pastorale è «una delle modalità at-traverso cui gli operatori pastorali si fanno veicolo dell’amore di Cri-sto, rispondendo ai problemi presentati dalla gente, e occupa un po-sto specifico nella pastorale, accanto alla predicazione, alla celebra-

zione liturgica e all’insegnamento. La pratica delcounseling pastorale non è legata all’ordinazione».3Dunque, il ruolo di counselor pastorale può esserericoperto da sacerdoti, religiosi e laici.

Strettamente connesso a questo aspetto è il se-condo: il counseling pastorale è un ministero dellacomunità credente, per cui il counselor è colui chevive un percorso cristiano di fede. «Lo sviluppodell’ecclesiologia promosso dal concilio VaticanoII ha messo in luce il valore comunitario del-l’azione pastorale. Anche se attuato da una singolapersona, il ministero è veicolo dell’attenzione e del-l’amore dell’intera comunità. All’operatore pasto-rale che esercita il counseling è quindi richiesto unreale radicamento nella comunità di cui fa parte».Difatti, il counseling pastorale è definito come uniter cristiano, all’interno del quale si fa esperienzadi Dio: «È un processo religioso attraverso il qualela persona fa esperienza di Dio che redime, risana,riconcilia e promuove la crescita verso la pienezzadella vita».

Emerge, pertanto, che il counseling pastorale haun fondamento teologico di riferimento che può essere messo in evi-denza secondo modalità differenti. «È la teologia professata dal con-sigliere che determina gli obiettivi che egli si prefigge nella relazionedi aiuto e anche le modalità da lui scelte per raggiungere tali mete».

Comprendiamo quanto sia fondamentale una buona conoscenzadel dato biblico e teologico da parte dell’operatore pastorale e il con-tinuo aggiornamento sui temi specificatamente teologici, in partico-lare su tematiche di morale; così come egli deve essere attento a svi-luppare e a mantenere vive le qualità psicologiche utili a questa pro-fessione (come l’ascolto empatico, la tecnica della riformulazione, l’at-tenzione ai bisogni…).

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L’aggettivo pastoral indica che la persona sceglie quel tipo di orien-tamento perché condivide con l’altro, il counselor, la prospettiva cri-stiana sulla vita.

In linea di principio, sarebbe quanto mai utile che, tutte le per-sone che lavorano all’interno del mosaico delle relazioni d’aiuto –dal medico all’avvocato, dal sacerdote all’insegnante – possedesseroquelle competenze comunicativo/relazionali che facilitano il cam-mino della vita e la ricerca delle soluzioni ai vari problemi esisten-ziali.

Sarebbe auspicabile che anche tra i presbiteri e i religiosi cre-scessero l’attenzione e la preparazione all’arte del counseling; ciònon significa che tutti i sacerdoti e i religiosi debbano diplomarsiper esercitare la professione di counselor, bensì che avessero dime-stichezza con le abilità di counseling (skills of counseling); già sa-rebbe un grande dono se all’interno delle comunità cristiane ci fosseun pastoral counselor di riferimento, sacerdote, laico, religioso.

nNumerose sono le critiche che si sollevano nei confronti del coun-seling pastorale. Qual è la differenza tra counseling pastorale e dire-zione spirituale?

La distinzione c’è ed è molto chiara. L’obiettivo della direzionespirituale o dell’accompagnamento spirituale è la cura dell’homoDei, è aiutare il soggetto a vivere l’esperienza di fede e a discernerela volontà di Dio sulla sua vita, attraverso l’educazione all’ascoltoorante della parola di Dio.

Il pastoral counseling non ha questo obiettivo, bensì quello di ac-compagnare l’altro nel suo percorso di vita, qui e ora, per aiutarlo adistricarsi nei momenti critici, negli snodi problematici della sua vi-cenda umana. Il counselor aiuta ad aiutarsi alla luce di una buonacompetenza delle dinamiche psicologiche e di una visione dell’uomoben precisa. L’intervento di counseling non è un intervento psico-logico, né psicoterapeutico anche se si avvale e richiede una buonaconoscenza delle dinamiche psicologiche; è un intervento che la-

vora sulla complessa vicenda dell’humanum ponendosi accanto allapersona in delicato ascolto e fecondo silenzio.

A me è capitato spesso, alla fine o anche durante un percorso dicounseling pastorale strutturato, di invitare la persona a cercarsi unbravo direttore spirituale con il quale completare il suo recupero dipienezza di vita. Tra le due attività rimane una sostanziale diffe-renza di fine e di metodo.

n Secondo lei, come mai in Italia – in particolar modo all’internodella confessione cattolica – l’attività di counseling trova maggior re-sistenza rispetto al mondo protestante, ben più aperto e disponi-bile? Quali sono le dinamiche interne che rallentano tale apertura?

In linea generale, possiamo dire che in Italia il rapporto tra cat-tolicesimo e scienze umane ha avuto una storia complessa e a voltefaticosa; del resto, le scienze psicologiche non si sono poste agli inizicome una risorsa per una visione integrale dell’uomo, ma hannodiffuso una potente impostazione antropologica riduzionista. Perquesto, a ragione, ci sono state forti resistenze. La ritrosia presenteall’interno del mondo ecclesiale cattolico nei confronti del counse-ling è data in buona parte, secondo me, dalla non conoscenza dellanatura e della finalità di esso più che da una presa di posizione mo-tivata.

Oggi è sicuramente più chiaro parlare di psicoterapia e di psi-chiatria, per così dire, in funzione pastorale che di counseling. Sonoconvinto che, nel momento in cui si diffonde quella che a me piacechiamare una “cultura del counseling”, molti tabù, molte perplessitàe diffidenze scompariranno, perché si comprenderà che dentro alcounseling c’è una risorsa enorme di relazionalità sana e di comu-nicazione autentica, premesse indispensabili per una testimonianzadella vita buona del Vangelo.

n Può indicare tre qualità che il counselor pastorale deve possedereper svolgere al meglio la sua professionalità?

Ist. studi e ricerche di pastorale counseling

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Sulla base dell’esperienza, penso di poter dire che il counselor pa-storale debba avere tre passioni fondamentali: la passione perl’uomo, per Dio e per la pienezza della vita.

n La teologia morale potrebbe essere molto utile al counselor pa-storale che spesso si trova di fronte a casi di morale (lutti, paura dellamorte, divorzi, problemi educativi, solitudine, dubbi, malattie, pro-blemi finanziari). Che rapporto c’è tra teologia morale e counselingpastorale? All’interno del vostro percorso di formazione prevedeteuna formazione morale?

Personalmente auspico un rapporto sempre più fecondo tra teo-logia morale e counseling pastorale; quest’ultimo è, tutto sommato,educazione a fronteggiare adeguatamente gli snodi dell’humanum.Mi pare siano ancora scarsi gli studi sistematici su questo raccordo.Se la teologia morale deve illuminare l’ethos concreto della personaradicata e fondata in Cristo, il teologo morale ha bisogno della ric-chezza dell’esperienza dell’umano rilevata e rivelata nei percorsi dicounseling. Nel nostro percorso di studio si lascia molto spazio altema dell’antropologia e dell’antropo-prassi.

n Il 25 giugno 2010 papa Benedetto XVI l’ha nominata vescovo di Pi-tigliano-Sovana-Orbetello. Conciliare il suo nuovo e importante mi-nistero con quello presso l’Istituto non dev’essere facile. Quali pro-getti avete in cantiere per sviluppare sempre più l’attività del pasto-ral counseling?

Oggi il direttore dell’Istituto è don Patrizio Carolini, già vicedi-rettore. Io cerco di mantenere i contatti con l’Istituto compatibil-mente con la mia nuova situazione; faccio parte del gruppo gestore,sono socio fondatore e continuo, come posso, la mia attività di stu-dioso, di docente e di diffusore della “cultura del counseling”. Perfar conoscere questa attività, abbiamo inserito all’interno del sitodell’Istituto una rivista on line, in cui si accolgono i contribuiti dichi si occupa di counseling pastorale. Si lavora soprattutto per dif-fondere la cultura del counseling pastorale all’interno della realtà ec-clesiale; solo conoscendo ci si libera da pregiudizi infondati.

È anche per questo che ho accettato volentieri l’intervista; è im-portante che i nostri periodici cattolici comincino a parlare di coun-seling pastorale.

a cura di Barbara Marchica

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L’utilizzo delle scienze umane, in particolare delle tecniche psico-logiche, diventa mezzo e strumento per incontrare l’altro, ma scopofondamentale della relazione d’aiuto è l’altro, stare con l’altro. È riu-scire a creare uno spazio sacro di incontro, che non dipenda esclusi-vamente dalle tecniche psicologiche utilizzate, ma dalla predisposi-zione interiore ad incontrare l’altro. Si potrebbe anche dire, in ter-mini spirituali, che l’incontro di counseling pastorale deve essere se-gnato soprattutto da questo incontro tra anime. Se l’altro è sempli-cemente visto come “cliente”, come estraneo, come individuo biso-gnoso di aiuto, l’incontro è compromesso, perché si rischia di caderenell’uso sterile delle tecniche, perdendo di vista la persona che si hadavanti.

Scopo del counselingIn conclusione, possiamo affermare che il counseling pastorale ha

come obiettivo quello di aiutare l’altro, all’interno di una visione for-temente cristiana, ad affrontare quello che sta vivendo (dubbi, situa-zione familiare complessa, difficoltà lavorative, solitudine..). Scopo delcounselor pastorale, dunque, è aiutare l’altro a riscoprire la sua dimen-sione interiore, quale risorsa importante per trovare da sé la soluzionealle proprie difficoltà. In quest’ottica si comprende come le qualità in-teriori/spirituali siano strettamente connesse alla vita concreta e comela fede stessa necessiti di una concretezza di espressione, liberandosidalla pericolosa dicotomia fede-vita, diffusa in molti credenti.

Barbara Marchica

1 May R., L’arte del counseling, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1992, 15.2 Idem, 27. 32.3 Brusco A., “Il counseling pastorale”, in Evangelizzare, marzo 2011, 410- 415.

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Una recente sentenza della Cortedi Cassazione (Sezione prima ci-vile, n. 4184 del 16 marzo 2012), aproposito di matrimonio tra omo-sessuali, ha destato attenzione daparte dei media, perché avrebbeintrodotto “novità” sulla eventua-lità che in Italia sia possibile, in fu-turo, il matrimonio tra personedello stesso sesso.

La sentenza – lunga e articolata– scaturisce da un ricorso propo-sto da due omosessuali che, dopoaver contratto matrimonio neiPaesi Bassi, avevano chiesto la tra-scrizione del matrimonio all’uffi-ciale di stato civile del comune diLatina. Il ricorso viene rigettato invarie sedi di giudizio e il procedi-mento finisce in Cassazione, laquale, con propria sentenza, oltrea rigettare il ricorso, fa una serie diconsiderazioni giuridiche chesono state diversamente interpre-tate da chi ha interesse alla mate-ria. Interpretare la sentenza comenovità sarebbe una forzatura peralcuni, mentre per altri conter-rebbe elementi che potrebberoaprire la strada al matrimonio trapersone dello stesso sesso in Italia.

Che cosa ha detto la sentenzadella Cassazione? Prima di tuttoche per sposarsi validamente inItalia occorre la diversità di sessodegli sposi. Se non esiste una leggeesplicita che richiede questo pre-supposto, da una serie di conside-razioni che non lasciano dubbi diinterpretazione, il matrimonioesige due individui di sesso di-verso: così l’ufficiale di stato civile,che celebra il matrimonio, chiedeesplicitamente ai nubendi se vo-gliono diventare «marito e mo-glie»; inoltre, la diversità di sessoper contrarre matrimonio è un po-stulato (presupposto) che si fondasu antichissime tradizioni cultu-rali (ordine naturale) che impedi-scono il costituirsi di famigliesenza questa condizione.

Il matrimonio celebrato neiPaesi Bassi, per la Corte di Cassa-zione, non è trascrivibile perché,secondo la legge italiana, tale ma-trimonio non solo è nullo, ma ine-sistente.

Nella prima parte della sen-tenza nulla, dunque, di nuovo.

Non più “di natura”Ma le considerazioni della

Corte vanno oltre. Si fa esplicitoriferimento alla legislazione euro-pea e si collega tale legislazione a

quella italiana. L’intento è chiaro:se in alcuni paesi europei il ma-trimonio tra persone dello stessosesso è stato approvato, ci do-vranno pure essere ragioni che nehanno fondato l’approvazione.

In Europa il matrimonio traomosessuali è possibile nei PaesiBassi, in Belgio, in Spagna, in Nor-vegia, in Svezia, in Portogallo, inIslanda. Nelle Americhe tale ma-trimonio è possibile in Canada, in6 stati USA, ad Aruba e nelle An-tille Olandesi, a Città del Messico,in Argentina e, infine, in Sudafrica.

Al di là delle raffinatezze giuri-diche, la battaglia legale si svolgesu un asse che introduce un nuovoconcetto di matrimonio. Non piùquello “di natura”, ma quello che èevoluto nella cultura contempora-nea. Di certo, nella mente dei co-stituenti italiani non erano pre-senti – nelle “formazioni sociali” –famiglie dello stesso sesso. Si trat-terebbe, comunque, di una rein-terpretazione del dettato costitu-zionale italiano. Ci si può chiederesu quali basi la Corte europea deidiritti dell’uomo abbia offerto que-sta “nuova” interpretazione.

Le considerazioni sulla que-stione specifica pongono la do-manda quando e come una leggepuò ritenersi giusta. Nella tradi-zione cattolica – ma non solo – sifa appello al cosiddetto “diritto na-turale”: quella serie di principiuniversalmente accolti dai qualipuò scaturire una legge giusta.Esiste però una tendenza della “fi-losofia del diritto”, chiamata“scuola positivista”, la quale af-ferma che la legge è un fenomenosociale e, come tale, rispecchia letendenze sociali di una determi-nata cultura.

Nel tempo, le forme di convi-venza cambiano e l’unica rispostadella legge è regolamentare le re-lazioni tra persone. La legge dun-que, in ultima istanza, dipendedalla volontà del legislatore che in-terpreta le esigenze dei popoli. Ifautori di questa dottrina sonomolti nella storia. Dagli epicurei(fondamento del diritto sono ilpiacere e l’interesse) al filosofoHobbes (la legge è utile alla con-servazione della vita e al rispettodei contratti), fino a Rousseau e so-prattutto a Kant (l’unica legge uni-versale è la libertà; la legge devesoltanto garantire che la libertà diun singolo non leda i diritti e la li-bertà dell’altro).

La sentenzaRitorniamo alla sentenza e se-

guiamo il ragionamento del rela-tore. Il principio di base è che l’ar-ticolo 2 della Costituzione italianadichiara: «La Repubblica riconoscee garantisce i diritti inviolabili del-l’uomo, sia come singolo sia nelleformazioni sociali ove si svolge lasua personalità, e richiede l’adem-pimento dei doveri inderogabili disolidarietà politica, economica e so-ciale».

Nelle “formazioni sociali” di cuiparla l’articolo deve comprendersianche l’unione omosessuale, in-tesa come stabile convivenza didue persone dello stesso sesso.Tale “diritto” è tutelato anche dal-l’art. 3 della Costituzione, primocomma che dichiara: «Tutti i citta-dini hanno pari dignità sociale esono eguali davanti alla legge,senza distinzione di sesso, dirazza, di lingua, di religione, diopinioni politiche, di condizionipersonali e sociali».

Se la discriminazione dev’es-sere comunque esclusa, la sen-tenza va oltre, perché dichiara chespetta al Parlamento disporre diuna «disciplina di carattere gene-rale» per le unioni omosessuali,per individuare le forme di garan-zia e di riconoscimento della paridignità. Anche se la stessa sen-tenza aggiunge che «deve essereescluso che l’aspirazione al rico-noscimento giuridico delle unioniomosessuali possa essere realiz-zata soltanto attraverso un’equi-parazione delle unioni tra omo-sessuali al matrimonio».

Commentando questo primopassaggio, il punto rilevante è se leunioni di persone dello stessosesso faccia parte delle “forma-zioni sociali” garantite dal diritto.A questo proposito, i favorevoli atale interpretazione fanno riferi-mento alla giurisdizione dellaCorte europea dei diritti dell’uomoche ha interpretato un’“evolu-zione” del concetto di matrimonio,allargandolo «a un nuovo e piùampio contenuto, inclusivo anchedel matrimonio contratto da duepersone dello stesso sesso».

La sentenza della Corte di Cas-sazione è sulla linea di questa cul-tura. Arriva a dichiarare, nell’im-pianto ora appena descritto: «Icomponenti della coppia omoses-suale, conviventi in stabile rela-zione di fatto, se, secondo la legi-slazione italiana, non possono far

valere né il diritto a contrarre ma-trimonio né il diritto alla trascri-zione del matrimonio contratto al-l’estero, tuttavia – a prescinderedall’intervento del legislatore inmateria –, quali titolari del dirittoalla “vita familiare” e nell’eserciziodel diritto inviolabile di vivere li-beramente una condizione di cop-pia e del diritto alla tutela giuri-sdizionale di specifiche situazioni,segnatamente alla tutela di altri di-ritti fondamentali, possono adire igiudici comuni per far valere, inpresenza appunto di “specifiche si-tuazioni”, il diritto ad un tratta-mento omogeneo a quello assicu-rato dalla legge alla coppia coniu-gata e, in tale sede, eventualmentesollevare le conferenti eccezioni diillegittimità costituzionale delle di-sposizioni delle leggi vigenti, ap-plicabili nelle singole fattispecie,in quanto ovvero nella parte in cuinon assicurino detto trattamento,per assunta violazione delle perti-nenti norme costituzionali e/o delprincipio di ragionevolezza».

Le “novità”La sentenza della Cassazione in-

troduce oggettivamente elementidi “novità” non per le situazioni difatto, ma in quanto accoglie la con-vivenza stabile tra persone dellostesso sesso come vita familiare equindi, appellando al principiodella non disparità, offre alle cop-pie omosessuali il diritto ad esi-gere una tutela simile a quellodelle coppie eterosessuali.

La tesi che si oppone a questainterpretazione contesta il princi-pio da cui derivano a catena leconseguenze. La domanda finalerimane: con quale autorità e ap-pellando a quali principi si di-chiara che le unioni omosessualifanno parte della “formazioni so-ciali” e perché – di conseguenza –ci sarebbe discriminazione non re-golarizzando, in qualche modo, leunione di fatto omosessuali?

La discussione – al di là dellecomplicanze tecniche – rimanesempre la stessa. Esiste un “dirittoesigibile” all’unione omosessuale onon rimane soltanto l’obbligodella non discriminazione?

Il vulnus di tutto il ragiona-mento è la concezione del matri-monio che è stato esteso a formeche non prevedono più la diversitàdei sessi.

Vinicio Albanesi

eticaCosa dice esattamente larecente sentenza della Corte diCassazione. Il vulnus di tutto ilragionamento è la concezionedel matrimonio che è stataestesa a forme che nonprevedono più la diversità deisessi.

Il matrimonio “omo”non è possibile in Italia

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Il quadro del “Seminatore al tra-monto” di Vincent Van Gogh, cheriprende un momento della para-bola evangelica, ha fatto da sfondoideale al convegno nazionale pro-mosso dall’Ufficio Cei per l’educa-zione, la scuola e l’università dal ti-tolo Per una scuola da abitare”, chesi è celebrato a Verona dal 19 al 21marzo 2012 e a cui hanno parteci-pato i direttori degli Uffici dioce-sani e regionali di pastorale dellascuola e dell’educazione, i loro col-laboratori, i presidenti e i respon-sabili del variegato e ricco mondodell’associazionismo professionalelaicale impegnato nella scuola edelle aggregazioni e istituzionidelle scuole cattoliche.

Il direttore dell’Unescu Cei, donMaurizio Viviani, ispirandosi a talequadro, ha indicato come finalitàprincipale del convegno quella diriaffermare l’impegno della Chiesaper l’educazione soprattutto nelmondo della scuola e di essere se-minatori di fiducia e di speranza,cioè di “abitare” oggi come ieri ilmondo della scuola. Il convegno èstato strutturato in quattro sessionidi lavoro.

Prima sessione. Nella prima – Lepriorità nell’educazione oggi –Gianni Ambrosio, vescovo di Pia-cenza-Bobbio e presidente dellaCommissione episcopale Cei perl’educazione cattolica, la scuola el’università, ha indicato le linee pro-grammatiche del rapporto traChiesa ed educazione alla luce de-gli Orientamenti pastorali del de-cennio, ribadendo quanto impel-lente e indispensabile sia investirein educazione anche sotto il profilopastorale, in modo da intercettarele domande di senso che proven-gono dai diversi ambiti e luoghi divita in cui vivono gli uomini oggi eripensare un nuovo modo di pre-senza significativa. Uno di questi èe resta la scuola, perché nella scuolala Chiesa incontra l’uomo, ogniuomo, e lo incontra ogni giorno. Lacomunità cristiana, interpellata dal-l’educazione della persona, deveporsi in dialogo con tutti i soggettipresenti nel territorio e cercare unamediazione pedagogica efficace. Ilvescovo Ambrosio ha ribadito la ne-cessità di costruire una propostaeducativa significativa che superi laframmentazione tra fede e vita, at-traverso un’elaborazione culturaleaperta al vangelo e all’umano, peruna scuola che diventi tempo eluogo di speranza e di piena uma-nizzazione della persona.

L’urgenza di questa proposta siè rivelata ulteriormente necessariagrazie alla precisa e dettagliata ana-

lisi di don Armando Matteo, autoredel volume La prima generazioneincredula e docente alla Pontificiauniversità urbaniana, il quale, af-fermando che «la nostra è una so-cietà che ama più la giovinezza chei giovani» e che si caratterizzacome “narcisista”, cioè abitata daadulti perennemente innamorati dise stessi e quindi non bisognosi dieducazione, ha concluso che, «seper un adulto il massimo bene e ilbene massimo è la giovinezza,come potrà pensare che un giovaneabbia potenzialità da scoprire e daspendere, luoghi umani da rag-giungere, mete oltre la giovinezzada toccare?».

Seconda sessione. Nella secondasessione – Lo “status quaestionis”della pastorale della scuola, da doveripartire – Sergio Cicatelli, direttoredel Centro studi della scuola catto-lica di Roma, presentando una sin-tesi della ricerca sugli uffici dioce-sani di pastorale della scuola, ha fo-tografato l’attuale situazione circale persone coinvolte, l’organizza-zione, le iniziative, l’attenzione allascuola cattolica e all’associazioni-smo, evidenziando che la pastoraledella scuola non è ancora omoge-nea sul piano diocesano e regionale,ma si presenta episodica e saltuaria,così come fatica a divenire organicaed estroversa, cioè azione quoti-diana di una Chiesa missionariaverso il mondo della scuola.

Giuseppe Mari, della Cattolica diMilano, ha offerto alcune piste con-crete di lavoro per riscoprire la di-mensione educativa e vocazionaledella scuola, per affrontare critica-mente le sfide circa l’emergere del-l’individualismo e per riconoscerel’orizzonte della persona come ine-ludibile. Inoltre, ha sottolineatol’istanza profonda di libertà nellafedeltà dell’amore e la rivisitazionedel concetto di laicità all’interno delnesso tra fede e società.

Terza sessione. La terza sessione– Educare oggi nella scuola con i na-tivi digitali – è stata caratterizzatada un’analisi delle relazioni genera-tive nell’epoca della comunicazioneglobale. La relazione offerta da An-drea Porcarelli, dell’università di Pa-dova, ha ribadito la necessità dieducatori capaci di diventare«guide autorevoli e testimoni credi-bili nel cammino della vita, per ge-nerare cittadini responsabili nellacittà globale, ove il senso di appar-tenenza si configura con modalitàdiverse, artefici del dialogo interge-nerazionale e promotori instanca-bili di rigenerare il tessuto di uma-nità sempre esposto e fragile».

Luca Diotallevi, dell’UniversitàTre di Roma, dopo aver presentatole principali caratteristiche del-l’istituzione scolastica nelle trasfor-mazioni sociali, ha affermato chein Italia l’istruzione scolastica at-tuale, laica e controllata dallo stato,è in crisi per le complesse e pro-fonde trasformazioni sociali inatto. Egli ha indicato nell’impegnoa scoprire la ricchezza della Costi-tuzione e nell’azione di un’offertascolastica plurale due possibili so-luzioni, grazie anche alla riscopertae al rilancio del pensiero del Vati-cano II, soprattutto della Dignitatishumanae: la libertà di educazioneche suppone la libertà religiosa e ilrilancio del ruolo insostituibile deilaici, come bene espresso nell’Apo-stolicam actuositatem e nella Gau-dium et spes.

Quarta sessione. La quarta ses-sione – Rigenerare la pastoraledella scuola – ha visto protagonisticoloro che per vocazione e profes-sione sono i principali protagonisti,cioè gli studenti (rappresentati dalMSC e MSAC), i genitori (Age,Agesc), i docenti (AIMC, UCIIM) ele aggregazioni e federazioni dellascuole cattoliche (FISM, FIDAE).

I presidenti nazionali di tali ag-gregazioni hanno evidenziato lastraordinaria ricchezza e potenzia-lità presente nelle aggregazioni,come contributo a realizzare unascuola educativa in dialogo contutti gli altri soggetti educativi pre-senti nel territorio.

Unanimemente è emerso l’au-gurio che sempre più le comunitàcristiane, le diocesi e le parrocchiescoprano questa potenziale ric-chezza come strumento efficace diazione pastorale di una Chiesa mis-sionaria nel mondo della scuola, ca-pace di educare non solo alla “vitabuona” del Vangelo, ma anche“nella” fede in Cristo, capace, cioè,di offrire un progetto educativo si-gnificativo, in dialogo con tutti co-loro che abitano la scuola.

In conclusione, i partecipanti alconvegno, grazie anche a due se-rate speciali (visita alla cantina diMonteforte d’Alpone e alla biblio-teca capitolare di Verona) e allamessa nella basilica di San Zeno,hanno acquisito preziose consape-volezze che l’impegno per l’educa-zione e la scuola può diventare un“cantiere di lavoro laicale” e luogodi testimonianza della speranza cri-stiana. La pastorale della scuola edell’educazione potrebbe contri-buire a porre la questione del-l’uomo e della verità e avviare la ri-flessione sulla valenza culturale ededucante offerta dalla prospettiva

di fede anche nell’ambito del-l’esperienza scolastica, nel rispettodelle esigenze della ragione, senzapregiudizi e precomprensioni. Ènecessaria altresì un’elaborazionedella “visione cristiana dell’educa-zione” come ambito teoretico dibase entro cui inserire le specificitàdei vari soggetti ecclesiali, quali igenitori, i presbiteri, i catechisti, glianimatori, gli insegnanti, gli edu-catori, e poi l’insegnamento dellareligione cattolica, le scuole cattoli-che, le associazioni professionalilaicali impegnate nella scuola, glioperatori pastorali impegnati nel-l’educazione: il tutto in una rifles-sione critica tra “evangelizzazioneed educazione”, tra “pastorale ededucazione”.

Il convegno ha ribadito che lapastorale della scuola e dell’educa-zione è e resta sempre azione diChiesa. Quindi, ascoltare la scuola,per la Chiesa è ascoltare il mondo,è ascoltare l’uomo che vive ilmondo della scuola e della forma-zione professionale, è continuarenell’impegno affinché le questioniscolastiche educativo-formativetrovino spazio e accoglienza dentrola riflessione e l’azione pastoraledelle comunità cristiane, non comequalcosa di straordinario, saltuario,episodico, occasionale, ma come at-tenzione costante, cura quotidiana,passione e progetto.

don Edmondo Lanciarottaresp. past. scolastica Triveneto

Una scuola da abitare

vita ecclesiale

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14Sono molti i soggetti, in campocattolico, interessati all’ambitoscolastico. Il convegno haribadito che l’impegno nelsettore educativo è e restasempre azione di Chiesa.

Edizioni Dehoniane Bologna

LILIA BONOMI

Dolori inutiliLe emozioni

che fanno male

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L’Ufficio catechistico nazionale della Cei haorganizzato, all'interno dei lavori dell'ultimaconsulta nazionale (Roma, 12-13 marzo), unatavola rotonda sul tema “Catechesi e famiglia”.Ai relatori intervenuti, suor Giancarla Barboncoordinatrice della rivista Evangelizzare, donDioniso Candido biblista, responsabile del set-tore Apostolato biblico della Cei, e il prof.Marco Tibaldi, laico, teologo docente all'ISSRdella Facoltà teologica dell'Emilia-Romagna, ilcompito di delineare, a partire dall'angola-zione della catechesi, una mappa delle princi-pali questioni che ruotano attorno a questo af-fascinante quanto urgente tema di lavoro pa-storale.

Le coordinate bibliche sono state fornite dadon Candido che ha preso in esame soprat-tutto il Primo Testamento.

La ScritturaSi possono rilevare tre aspetti della cate-

chesi familiare secondo altrettanti fotogrammibiblici. Il primo è desunto dalla domanda cheil bambino fa al proprio padre in relazione alrito del riscatto dei primogeniti (Es 13,14-16).In questo caso, la catechesi nasce come rispo-sta ad un’interrogazione che viene “dal basso”,non sollecitata o promossa dal genitore. È lavita della famiglia, il suo contesto esperien-ziale che fanno nascere delle domande a cui ilgenitore deve rispondere.

Un secondo spezzone ci viene presentato apartire dalla vicenda di Anna, una donna fe-rita dalla sua sterilità che il marito mostra dinon comprendere appieno (1Sam 1). È peròcapace di affidare il suo dramma al Signoreche si “ricorderà di lei” concedendole il donotanto atteso di un figlio. Da questa vicenda –ricorda don Candido – ricaviamo il fatto che,per la Scrittura, un figlio non è mai il fruttosolo dell'amore dei genitori ma è espressa-mente un dono di Dio, che va riconosciuto evalorizzato come tale. Questa esperienza hacertamente segnato il racconto e la “catechesi”che Anna avrà fatto a Samuele, a partire dallecircostanze della sua nascita. La famiglia di El-kanà e Anna non è certo una famiglia ideale,per questo in essa si possono riconoscere an-che tanti nostri contemporanei.

In questa linea va anche il terzo episodiopreso in esame. Si tratta della costruzione di“una casa” per Dio (2Sam 7,11). Davide, or-mai installatosi nella “sua” città, vuol fare una“casa” al Signore che si trova ancora sotto latenda. Il progetto può sembrare “edificante”ma cela un pericolo: voler confinare Dio en-tro un “luogo” fisico e mentale ben preciso,con l'implicita pretesa di de-limitarlo. Confine ironia, Dio risponde per mezzo del pro-feta Natan, facendo sapere a Davide che saràlui stesso a fargli una casa, cioè una famiglia.Dio si rivela così interessato alla costruzionedi una famiglia dinamica, aperta, non deli-mitata da relazioni autoreferenziali o mani-polatorie.

Suor Giancarla Barbon ha delineato i prin-cipali modelli di catechesi familiare.

I modelliLa forma più diffusa è la catechesi alle fa-

miglie. Si tratta di alcuni incontri che la co-munità parrocchiale propone per i genitori, inoccasione dei sacramenti dell'iniziazione o sualtre tematiche. Il rischio è che siano episodicie poco incisivi per la realtà dell'adulto. Perquesto, in alcune diocesi, come a Brescia o aCremona, sono stati strutturati dei camminiannuali in linea con il rinnovamento dellaprassi dell'iniziazione cristiana.

Il secondo modello è la catechesi nelle fa-miglie in cui si cerca, come è stato fatto datempo, ad esempio nella diocesi di Trento, difar vivere tutto l'itinerario catechistico all'in-terno della realtà familiare.

Il terzo modello è la catechesi con le fami-glie, che le considera come soggetto attivodella catechesi e non solo come destinatarie.

Infine, la catechesi familiare è, a giudiziodella Barbon, il modello più innovativo, inquanto valorizza le caratteristiche proprie del-l'esperienza familiare, nonostante i profondie continui mutamenti della famiglia di oggi.Si parte dalla valorizzazione dei gesti, della ri-tualità, delle relazioni quotidiane piuttosto cheda modelli teologici assunti acriticamente, adesempio la famiglia come “Chiesa domestica”(LG 11), che rischiano di dare per scontata unarealtà familiare che di fatto non esiste più. Vaconsiderato, a questo proposito, che la fami-glia non è l'unico soggetto che si occupa dieducazione alla fede, poiché questo processocoinvolge una pluralità di figure.

I formatori sono chiamati ad aiutare gli uo-mini e le donne del nostro tempo a riscoprireil vangelo presente nella quotidianità, rimet-tendo al centro dell'attenzione proprio ciò chepuò apparire più scontato, come la differenzae complementarietà tra paternità e maternità,luogo in cui si può manifestare “l'accettazioneincondizionata di Dio”.

Il magisteroMarco Tibaldi ha delineato il tema “Cate-

chesi familiare e nuova evangelizzazione” allaluce della rilettura di alcuni testi del magistero.Non si può parlare di famiglia senza parlare diChiesa e viceversa; tra le due si dà, infatti, unfecondo rapporto, come ha ricordato efficace-mente Giovanni Paolo II: «Così tra la grandeChiesa e la “piccola Chiesa” si realizza ognigiorno, in forza della presenza dello Spirito,uno “scambio di doni”, che è reciproca comu-nicazione di beni spirituali» (Presentazione delDirettorio di pastorale familiare, 1993).

Esiste quindi una circolarità costitutiva tragrande Chiesa e piccola Chiesa in cui l'una puòimparare dall'altra ciò che attiene alla proprianatura. In prima battuta, la Chiesa offre allafamiglia cristiana il suo modello: «Infatti,come un tempo Dio venne incontro al suo po-

polo con un patto di amore e fedeltà, così orail salvatore degli uomini e sposo della Chiesaviene incontro ai coniugi cristiani attraversoil sacramento del matrimonio» (GS 48). Comefar comprendere oggi questa ricca simbologia?A giudizio di Tibaldi, occorre una precisa pe-dagogia della fede, che metta in luce il carat-tere evangelico di tutta la Scrittura (DV 16; VDnn. 39-41). Per molte persone che si sono al-lontanate ma anche per molti vicini, infatti, ilDio dell'Antico Testamento è a tratti violentoe incomprensibile. Di contro, se non si riescea far percepire la bontà e la fedeltà di Dio, nonsi possono fondare le note caratteristiche delmatrimonio cristiano.

Nello stesso tempo, anche la “Chiesa do-mestica”, la famiglia, è un modello per la“grande Chiesa”, in quanto capace di manife-stare «a tutti la genuina natura della Chiesa»(GS 48). Uno dei principali apporti che la fa-miglia di oggi può dare alla Chiesa è la rifles-sione sulla ridefinizione dei ruoli, in partico-lare quello della paternità. Il compito origina-rio della famiglia di essere “immagine e somi-glianza” del creatore (Gen 1,27) si declina sto-ricamente in modelli che oggi stanno subendouna profonda e spesso traumatica revisione:«Quello che manca è il “principio paterno” sucui si fonda la norma, la legge, l’autorità».1 Lastrada da percorre è la ricerca di una paternitàfondata sull'autorevolezza, intesa a partire dalsenso etimologico di augere: la capacità di farcrescere l’altro, di farlo diventare auctor, pro-tagonista della propria esistenza. Il padre bio-logico può riscoprire nella figura del padre spi-rituale, inteso come colui che accompagna enon dirige un processo di crescita nello Spi-rito, un efficace modello.

Il Vaticano II, infine, descrive la famigliacome «intima comunità di vita e d'amore co-niugale» (GS 48). L'intimità è un segno carat-teristico dell'indole propria della Chiesa defi-nita anche come sacramento «dell'intimaunione con Dio e dell'unità di tutto il genereumano» (LG 1). La famiglia così può fornirealla Chiesa un esempio incarnato e quotidianodi cosa sia l'intimità, intesa prima di tuttocome capacità di essere a contatto con se stessie con l'altro. Ciò implica l'integrazione tra di-mensione affettiva e cognitiva, nonché la con-siderazione positiva delle proprie fragilità,nella persuasione che è lì che si manifesta inmodo tutto particolare la forza del Risorto.

Nel dibattito che è seguito alle tre relazioni,si è molto sottolineata l'importanza di indivi-duare un annuncio cristiano a misura di fa-miglia, capace di aiutarla a riconoscersi comeluogo che, in forza del sacramento del matri-monio vissuto e testimoniato, fa spazio allagrazia di Dio nella vita quotidiana, soprattuttodei piccoli.

Marco Tibaldi

1 Vegetti Finzi S. - Battistin A.M., L’età incerta. I nuoviadolescenti, Mondadori, Milano 2001, 192.

Catechesi e famigliala difficile coabitazione

TAVOLA ROTONDA ALL’ULTIMA CONSULTA NAZIONALE UCN

catechesi

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Il “suicidio assistito” di Lucio Ma-gri (nel novembre scorso) ha, perqualche tempo, sollecitato una ri-flessione che ha trascurato, o me-glio oscurato, alcuni elementi fon-damentali che potevano essere af-frontati parlando di morte. Uno diquesti – come ha scritto nell’occa-sione Vito Mancuso1 – è «il senti-mento di gratitudine verso la vitain tutte le sue manifestazioni». Unaltro è quello della paura della vec-chiaia, che viene negata, rifiutata,ritardata con tutti i mezzi possi-bili. Ritornare a parlare di mortepuò quindi essere utile se si vienestimolati da libri e film che ne par-lano con saggezza e ne affrontanogli aspetti emotivi più profondi equotidiani, vicini all’esperienza ditutti noi e propri della cultura allaquale apparteniamo.

È quanto si può sperimentareleggendo il saggio del filosofoUmberto Curi, Via di qua,2 le sto-rie raccolte da Concita De Grego-rio in Così è la vita3 o assistendo adue splendidi film quali Departu-res del giapponese Yojiro Takita(premio Oscar 2009 come migliorfilm straniero) e A simple life dellacinese Ann Hui (presentato allamostra del cinema di Venezia2011).

Come “dies natalis”Nel suo saggio Umberto Curi

cerca le tracce che la riflessionesulla morte ha lasciato non sol-tanto nella filosofia, ma anche esoprattutto nel teatro, nella lette-ratura e nella poesia, disciplineche avrebbero potuto e dovutopermetterci di «imparare a mo-rire», perché vi è un legame ine-liminabile tra la vita e la morte:un legame – scrive Curi – evi-denziato dal cristianesimo in cui«l’atto del morire introduce oltreil limite della morte stessa, nelsenso che, alla luce della pasqua,la morte diviene il transito versola vera vita, diventa il vero diesnatalis». Imparare a morire «nonvuol dire sforzarsi di addomesti-care la morte, ma piuttosto recu-perare la morte come momentocruciale della vita, come ciò checoncorre a definirne il senso (cf.pp. 222-227).

Nella stessa direzione, ma rac-cogliendo episodi, incontri, let-ture, si dirige il libro di Concita DiGregorio che sottolinea come lamorte naturale non venga più rac-contata, preferendo parlare di essaquando, a seguito di episodi diviolenza, può essere trasformatain spettacolo. Da qui la necessità,

sentita dalla De Gregorio, di darevoce soprattutto alle voci di donnee di bambini, che sono i più di-sponibili a lasciarsi “incantare”dalla morte e ad avvicinarla pro-prio per il suo essere contigua allavita.

Nello stesso tempo, il libro Cosìè la vita si lancia contro l’osses-sione contemporanea della giovi-nezza e contro il terrore dell’im-perfezione e del decadimento fi-sico: «La scomparsa della vec-chiaia – scrive la De Gregorio – èuna faccenda etica che dice moltodel nostro tempo. Cancellare i se-gni della vecchiaia, fissare artifi-cialmente sul corpo un eterno pre-sente significa fermare la vita ecancellarne la storia: se non c’èieri né domani sul viso, finirà pernon esserci anche nella mente enell’anima» (p. 76).

La morte è anche racconto, nonsoltanto del dolore, ma anche –scrive Michele Serra – «della vitadelle persone morte, dell’amoredato e ricevuto, delle tracce forti einconfondibili lasciate da ciascunessere umano, delle parole spese,dell’ordine seminato perché attec-chisse».4

Il racconto della vitaDue splendide forme di rac-

conto legate alla morte sono i filmcitati in apertura. Departures (par-tenze) descrive l’arte di ricom-porre le salme per «accompa-gnarle nel viaggio» finale. Daigo,il protagonista, è un violoncellistache, rimasto senza lavoro dopo loscioglimento dell’orchestra, ri-sponde all’annuncio di un’agenziafunebre. Gli inizi non sono facili,ma gradualmente il giovane ri-mane affascinato e colpito dallasapienza, dalla pietà e dal rispettoche esprimono i gesti del ritualecon cui il maestro lava, veste concura, dipinge i volti dei defuntialla presenza dei parenti. Quellungo cerimoniale, che precede ilbreve momento dell’inceneri-mento, diventa l’occasione per ri-flettere sulla vita della personache si sta accompagnando nel mo-mento finale.

Per Daigo il continuo contattocon la morte è lo strumento perconoscere meglio se stesso e spe-rimentare emozioni e sentimentipoco frequentati e per scoprire ilsuo passato. Daigo, infatti, è statoabbandonato dal padre quandoera ancora bambino e, quando ri-ceve la notizia della sua morte,vorrebbe ignorarlo. Viene con-vinto dalla moglie e dagli amici a

dargli l’ultimo saluto. Scopre al-lora che, dopo la sua partenza,aveva vissuto da solo in povertà.

Mentre lo prepara per la sepol-tura, replicando i gesti di cura e didevozione imparati, scopre che ilpadre stringe nel pugno il sassoche gli aveva regalato quando erabambino e che doveva esprimereil proprio stato d’animo. Daigocomprende, quindi, che il padreera sempre stato con lui, nono-stante la sua decisione, mai com-presa, di lasciare la famiglia. Quelsasso verrà ora depositato sul ven-tre di Mika, la moglie di Daigo,che attende il primo figlio. Questogesto – uno dei tanti momenti distraordinaria emozione che ci re-gala il film – esprime l’inscindibilefilo che lega la vita alla morte e latangibile trama di ricordi che nonscompaiono con la perdita di unapersona.

Il film Departures ci porta in unmondo e in un rituale poco cono-sciuti, ma aiuta a comprenderemeglio quanta bellezza e calore vipuò essere nel momento dell’ul-timo saluto e quale splendida oc-casione possa diventare per unariconciliazione, per dire parolemai dette e per lasciarsi andare ademozioni tenute a freno.

Una vita sempliceIl riassunto dei temi finora af-

frontati si trova in un altro emo-zionante film, A simple life, chesta conquistando in queste setti-mane il pubblico italiano. Direttoda Ann Hui, il film si ispira aduna storia vera. Racconta diChung Chun-Tao (detta Tao), unavecchia domestica che ha cre-sciuto quattro generazioni dellafamiglia Leung, il cui ultimo rap-presentante, il single Roger, è unproduttore cinematografico conti-nuamente in viaggio. Quando ri-torna a casa trova sempre Tao adaspettarlo con la cena e i vestitipronti. Per lui Tao è poco più diun oggetto di casa e, quindi,quando viene colpita da un ictus,trova normale farla ricoverare inuna casa di riposo.

Anche in quella condizioneperò la donna diventa un punto diriferimento per tutti gli ospiti: perquesto motivo Roger, gradual-mente, comprende l’importanzadella vita di Tao. Egli capisce in-fatti che quella donna, con sem-plicità, ha donato se stessa per lacura delle persone per le quali halavorato, senza chiedere nulla incambio. Roger cerca di restituirein parte quello che ha ricevuto, fa-

cendo visite quotidiane, portandoin giro la donna sulla carrozzina,aiutandola nella riabilitazione e ri-cordandola con gli amici e i pa-renti. Fino al giorno della suamorte Tao diventa per Roger unaparte importante della famiglia euna presenza costante, che conti-nuerà nel ricordo anche dopo lasua scomparsa. Quella vita sem-plice ha fatto breccia nell’anima diun uomo che ha sempre pensatosoprattutto alla propria afferma-zione sociale, che non ha avutotempo per affetti stabili e che oravive da solo, in quanto tutti i pa-renti si sono trasferiti negli Usa.

La malattia e la conseguente in-validità di Tao mettono Roger difronte alla realtà della vecchiaia,del tempo che passa inesorabile edel venire meno delle certezzesulle quali ha fatto affidamento.Al tempo stesso, il sereno atteg-giamento di Tao di fronte alla ma-lattia gli fa capire l’importanza delcontatto con le persone, del-l’ascolto e della necessità di pren-dersi cura degli altri. Tao, infatti,anche nella casa per anziani, nonlesina gli aiuti, le attenzioni e lapreoccupazione per rendere quelluogo un posto pieno di vita.

La regista è molto brava nel de-scrivere, da un lato, il lento scivo-lare della donna verso la fine e,dall’altro, il progressivo coinvolgi-mento di Roger che, per la primavolta, è costretto a fare i conti conla condizione di sofferenza realedelle persone. Anche in questofilm, come nel precedente, il pro-tagonista compie un percorso ditrasformazione, di purificazione edi elevazione, grazie al contattocon la malattia e con un corpo chesta avviandosi verso la fine e,nello stesso tempo, si realizzaquello scambio, quel passaggio diaffetti e di amore che non lo la-sceranno più solo.

Il messaggio che Tao ha saputolasciare è la serena gratitudineverso ogni momento dell’esi-stenza, nell’accettazione della pro-pria condizione, nell’impegno perun lavoro ben fatto e nella curaper le persone che si ritroverannodavanti al suo corpo, grate peraverla conosciuta,

Luciano Grandi

1 Cf. La Repubblica, 1° dicembre 2011.2 Curi U., Via di qua, Bollati Boringhieri,

Torino 2011.3 De Gregorio C., Così è la vita. Imparare

a dirsi addio, Einaudi, Torino 2011.4 La Repubblica, 2 novembre 2011.

LIBRI E FILM RIFLETTONO SULL’ULTIMO PASSAGGIO DELLA VITA

La morte non va rimossa

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Page 15: attualità pastorale Tracce della · PDF fileMa è nella liturgia della Chiesa che natura, ... tazione “gnostica” di pensare la risurrezione già pienamente avvenuta, riducendo

MAZZOLARI P., Dietro la croce – Il segnodei chiodi, ed. critica a cura di S. Xeres, EDB,Bologna 2012, pp. 418, Ä 33,00.

I due testi mazzolariani, usciti a dodicianni di distanza l’uno dall’altro, vengono or-mai sistematicamente riportati in coppia amotivo del tema che li unisce. L’ampia pre-sentazione dello storico Saverio Xeres ne ri-costruisce le vicende (pubblicazione, strut-tura, contenuti, contesto storico-biografico,temi principali, stile letterario, fonti). È sem-pre un’emozione accostare gli scritti del par-roco di Bozzolo, soprattutto questi nei qualiegli medita la passione del Signore (ne Il segnodei chiodi egli commenta tutti i giorni dellasettimana santa) con un’intensa partecipa-zione dell’animo che coinvolge il lettore. (BS)

MONASTERO DELLA VISITAZIONE DISALÒ - CABRA P.G., I personaggi biblici delTempo pasquale (Lectio Brevis s.n.), Queri-niana, Brescia 2012, pp. 136, Ä 9,50.

Sedici personaggi del Nuovo Testamentopossono ben accompagnare il cammino pa-squale dei discepoli di Gesù. La lettura dei te-sti biblici, accompagnata dai classici mo-menti della lectio divina (lectio, meditatio,oratio, contemplatio, per la lettura spirituale)concorre a creare un tessuto evangelico digrazia pasquale, saporoso di vita nuova, chedalle persone storiche del tempo di Gesù edella prima Chiesa raggiunge l’oggi dei cre-denti. Molti gli uomini, ma altrettante ledonne, che con la loro vita trasfigurata dauna fede amorosa sono di traino per la vitabuona del vangelo da trasmettere anche allanostra generazione. (RM)

GELARDI A., I magnifici sette, I sacramenti,EDB Junior, Bologna 2012, pp. 48, Ä 2,50.

I bambini che si preparano a ricevere laprima comunione o si accostano alla primaconfessione sentono parlare di “sacramenti”,un concetto non facile da trasmettere e dacomprendere. Il testo si propone di spiegarecon parole semplici i “segni efficaci della gra-zia”. L’autore, dehoniano, ha al suo attivovari sussidi per spiegare ai piccoli parole egesti che incontrano nel loro cammino difede. La catechesi dei “magnifici sette” vienecondotta a partire dalla parola di Dio, ri-sponde al perché ci è stato dato quel segno,spiega come si fa e con quali parole vengonoconferiti. Uno strumento agile e facile da uti-lizzare da parte di chi cura la formazione cri-stiana dei bambini. (BS)

CARFAGNA A. - ROSSI DE GASPERIS F.,Luoghi di rivelazione. Dove sulla terra si apreil cielo (cf. Gen 28,10-21/Gv 1,50-51). Conun’appendice di F. Annibali, Lettura pasto-rale della Bibbia – Bibbia e spiritualità s.n.),EDB, Bologna 2012, pp. 256, Ä 23,00.

Un’ottima guida della Terra del Santopropone una lectio divina sulla terra, una lec-tio terrae, in tre tappe: il battesimo di Gesù,la sezione del pane di Marco, il Monte degliUlivi. La pagina biblica, letta sui luoghi –vera geografia/sacramento di salvezza – ri-suona nella sua più piena vocalità e sinfoni-cità. Il gesuita, che ha vissuto dal 1977 al2011 a Gerusalemme, scrive il folgorante ca-pitolo iniziale di sintesi della teologia dellaBibbia. Assumendo in pieno il livello crea-zionale, il Dio della storia e della salvezza ini-zia a portare a compimento in Gesù la pro-messa di un’alleanza nuova inaugurata daGeremia già nel VI secolo. L’alleanza conti-nua anche oggi la sua realizzazione el’Israele attuale deve essere interpretato an-che nella sua valenza teologica, e non sol-tanto devozionale o in termini di diritto in-ternazionale, come parte del compimento ditale alleanza nuova. Fondamentale il para-grafo di pp. 52-72: solo riscoprendo l’alle-anza nuova Israele potrà diventare la Terradell’alleanza e della pace. Una riflessione teo-logica forse unica nella Chiesa cattolica e nelcristianesimo attuale (Sinodo delle Chiese

orientali compreso!), di cui dobbiamo rin-graziare in modo particolare p. Rossi De Ga-speris. Le note accorate di una pellegrinachiudono il prezioso volume, perla di unacollana iniziata già da molto tempo dai dueautori presso le EDB. Una biblioteca per ipellegrini (e per tutte le guide della Terra delSanto!). (RM)

MARCIANÒ S., Prima di tutto l’uomo. Me-ditazioni sacerdotali, Àncora ed., Milano2012, pp. 127, Ä 12,00.

Nel nostro tempo la crisi dell’umano di-venta la rivelazione più tangibile e toccantedell’esclusione di Dio dall’orizzonte dellavita e della storia. Con questa crisi anche ipreti devono fare i conti. In questa prospet-tiva si inserisce il volume, il cui autore è l’at-tuale arcivescovo di Rossano-Cariati, nato daun cammino di esercizi spirituali, rivolti alclero della diocesi di Palermo. Il testo è unaraccolta di meditazioni tratte dalla letteraagli Ebrei. Le riflessioni invitano a leggerenella vocazione presbiterale il luogo straor-dinario di irruzione della grazia di Dio chetrasforma, rigenera e trasfonde nuova gioia,anche se talora deve fare i conti con com-portamenti devianti o rinunciatari. La tesi difondo è che il prete è «prima di tutto unuomo», con tutte le potenzialità e le fragilitàdell’essere umano. Un invito ai presbiterinella logica della preghiera di s. Agostino:«Non uscire da te, entra in te stesso… è nellatua umanità che abita la verità». (MP)

CHIEREGATTI A., Osea. Lettura spirituale(Collana Arrigo Chieregatti s.n.), EDB, Bolo-gna 2012, pp. 136, Ä 14,00.

Parroco e docente di psicologia, l’autoretraccia con mano delicata un percorso spiri-tuale all’interno del libro profetico che più diogni altro ha concorso a dipingere il ritrattodel rapporto fra Dio e l’umanità in termini diamore sponsale. L’antico profeta biblicoparla con il suo annuncio e con la propriavita. Le nozze con una prostituta sono “sa-cramento” della tensione amorosa di Dio,che nulla lascia d’intentato per recuperare asé in una vita d’amore la propria sposa, po-polo restio a rimanere nella condizione di li-bertà offerta dall’unico amore vero. La tra-duzione dei testi biblici è dell’autore, che giàvanta parecchi titoli nella collana a lui dedi-cata. (RM)

SANTOPIETRO G., Senso della vita e incon-tro con Dio, coll. “Fede e annuncio”, EDB, Bo-logna 2012, pp. 148, Ä 14,00.

Che senso ha la vita? Dove siamo diretti?C’è una vita oltre la morte? Diceva V. Franklche la religione è il «più umano dei feno-meni umani, ossia la volontà di significato».In questo volume, l’autore, missionario OMIe teologo, riporta una varietà di citazioni edi testimonianze (teologi, filosofi, scienziati,medici, psicologi, sociologi, antropologi,poeti, artisti, giornalisti) sulla questione delsenso della vita. Il lettore avrà modo di con-frontarsi su tante angolature da cui viene af-frontato il problema, nell’ascolto attentodelle “ragioni del cuore” e aperto al misteroche ci trascende. In questo modo si incon-trerà il Dio amore, sorgente di comunione,di vita e di senso. (MP)

PIACENTINI B., I Salmi. Preghiera e poesia.Postfazione di Adrian Schenker (La Parola ela sua ricchezza 14), Paoline, Milano 2012,pp. 816, Ä 37,00.

Già religioso della Piccola Famiglia del-l’Annunziata (fondata da don G. Dossetti),l’autore ha vissuto più di un decennio in Me-dio Oriente, apprendendo le lingue biblichee l’arabo e appassionandosi al libro deiSalmi. Incoraggiato da vari studiosi (com-preso il domenicano Schenker, autoritàmondiale nel campo dei Salmi), egli pro-pone una traduzione personale del testo bi-blico, con brevi annotazioni di traduzione

LIBRI

letterale e più ampi spunti di riflessione ese-getico-teologico-spirituale. Dopo un’ampiaintroduzione in cui presenta i dati letterari epoetici del Salterio, proponendo anche dellelinee di lettura cristiana, l’autore traduce ecommenta le cinque raccolte/libri di cui sicompone il Salterio, per soffermarsi infinesu alcune annotazioni critiche con emenda-menti (sezione tecnica dedicata ai problemidi critica testuale). Libro di poesia e di pre-ghiera, grido dell’uomo e sfogo del credente,il Salterio accompagna il cammino della vita,che presenta innumerevoli aspetti sconcer-tanti ma anche appassionanti. Il salterio èspecchio dell’uomo e riflesso di Dio: do-mande e questioni irrisolvibili si mescolanoa schegge di mistica pura e di completo ab-bandono al Dio della vita. (RM)

GRESHAKE G., Vivere nel mondo. Questionifondamentali della spiritualità cristiana,Queriniana, Brescia 2012, pp. 256, Ä 21,00.

Come possiamo e dobbiamo vivere dacristiani nel mondo? Rispondendo a questadomanda, l’autore, uno dei più noti teologidi lingua tedesca, propone una riflessione si-stematica su alcuni atteggiamenti fonda-mentali della vita cristiana e sui luoghi econtesti in cui siamo invitati a vivere la fede:la questione del senso della vita, l’ascoltodella chiamata di Dio, il senso della vita quo-tidiana e della festa, “dove” e “come” pos-siamo trovare Dio nella nostra vita e nelmondo, come l’essere umano deve compor-tarsi con il proprio limite e, infine, la pre-ghiera. Il testo offre un taglio spirituale nel-l’affrontare questi temi fondamentali e co-stituisce un aiuto prezioso per realizzare lapropria identità cristiana. (MP)

MANICARDI L., La vita religiosa: radici e fu-turo. EDB, Bologna 2012, pp. 158, Ä 14,50.

Che la vita religiosa classica attraversi, al-meno nel mondo occidentale, una profondacrisi è davanti agli occhi di tutti e può crearerassegnazione e sgomento. L’autore di que-

ste pagine, vicepriore e maestro dei novizipresso la comunità monastica di Bose, ri-tiene, con sano realismo e con una lettura sa-pienziale di questa fase della storia, che lacrisi «non impedisce il futuro», anzi che loprepara «affinando, bruciando, purificando,eliminando…». Nel frattempo occorre riba-dire e vivere gli elementi “irrinunciabili”della vita religiosa: la Parola e la sequela, ivoti, la vita comune, l’autorità nella comu-nità… senza dimenticare che, nella secondametà della propria esistenza, bisogna rimo-tivare le proprie scelte. L’autore, inoltre, par-lando di “vita religiosa”, si chiede se non siapiù opportuno ed evangelico accentuare ilsostantivo “vita” piuttosto che l’aggettivo “re-ligiosa”, dimostrando come la sequela di Cri-sto sia una strada di umanizzazione piena.La lettura del testo è gradevole, sostanziosoil contenuto, diretto il linguaggio, convin-cente l’argomentazione. (BS)

ISKIROVA D., L’amore cristiano nella Let-tera a Filemone (Quaderni di esegesi 1), Ed.Domenicana Italiana, Napoli 2010, pp. 96, Ä8,00.

Licenziata in teologia biblica alla Grego-riana e dottore di ricerca presso l’Universitàcattolica di Ru�romberok (Slovacchia), laquarantaseienne domenicana slovacca ana-lizza il biglietto di Filemone e giunge allaconclusione che Paolo non è interessatotanto al problema della schiavitù e del suosuperamento a livello sociale e giuridico,quanto all’inveramento dell’amore di Dionell’amore cristiano che deve impiantarsinella comunità cristiana (al tempo, quellache si riuniva nella casa di Filemone), rin-novando a fondo le relazioni umane e so-ciali. Filemone resta padrone e Onèsimoschiavo, ma ora quest’ultimo è fratello inCristo, e questo è il livello a cui opera e cheinteressa a Paolo. I vv. 15-17 sono quelli de-cisivi. Testo scientifico, col greco originale,ma abbordabile e opportuno per un com-mento a un testo biblico non molto consi-derato. (RM)

CONVEGNO ANNUALEDELLA RIVISTA

5 maggio 2012via Piamarta 9BresciaPer informazioni e [email protected]. 030.3772780

Mensile di approfondimento e opinione

dei Missionari Saveriani

� Come affrontare le “tempeste”

climatiche e finanziarie

� Cristiani / Capaci di futuro in questo mondo incerto?

� Dall'esperienza femminile: una proposta oltre la crisi

� Dopo le primavere arabe / Uno sguardo su Medio Oriente ed Europa

� Cina, futuro del mondo?

PIÈCE TEATRALE

DRITTO NEGLI OCCHI I tanti volti dei nessuno

Regia Marisa Veroni

4 MAGGIO 2012, ore 21

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n. 13/14 - 1/8 aprile 2012

settimanale - anno 47 (67)Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane s.p.a. - Sped. inA.P. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”direz. e redazione: v. Nosadella 640123 Bologna - tel. 051/3392611 - fax 331354Per verifiche e abbonamentiufficio abbonamenti/amministrazione:tel. 051/4290077 - fax 4290099v. Scipione dal Ferro 4 - 40138 Bolognac.c.p. 264408 intestato a:Centro Editoriale Dehoniano spa - BolognaStampa: Italiatipolitografia - FerraraReg. Trib. di Bologna n. 3238 del 22-12-1966Articoli, lettere, materiali vari inviatial giornale non si restituiscono.

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associato all’unionestampa periodica italiana

Abbonamenti 2012ordinario annuo . . . . . . . . . . . . . . . E 61,00una copia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . E 1,60copie arretrate . . . . . . . . . . . . . . . E 1,60

Via aereaEuropa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . E 128,00Resto del mondo . . . . . . . . . . . . . . E 138,00

L’editore è a disposizione degli aventi dirittoche non è stato possibile contattare, nonchéper eventuali e involontarie inesattezze e/oomissioni nella citazione delle fonti iconogra-fiche riprodotte nella rivista.

sito web: www.dehoniane.it

Dir. resp.: Lorenzo PrezziCaporedattore: Bruno ScapinRedazione: Mauro Pizzighini,

Marcello Matté, Elio P. Dalla ZuannaPaolo Tomassone

con approvazione ecclesiastica

A T T U A L I T À P A S T O R A L E

> segue da pag. 1

una certa visibilità – possono co-stituire una sollecitazione a guar-dare a Colui che sempre da capo ècapace di respingere la tenebra edi creare vita dove gravano segnidi morte, come ha fatto in mododefinitivo, risuscitando il suo Fi-glio Gesù.

In una pagina particolarmentetoccante del suo libretto Oscar ela dama in rosa, E.-E. Schmitt rac-conta il momento culminantedella “scoperta” di Dio da partedel protagonista – Oscar, ap-punto, un ragazzino destinato amorire di leucemia di lì a pocheore –, proprio nel momento del-l’alba (immaginata, qui, in pienoinverno, negli ultimi giorni del-l’anno): «Quando mi sono sve-gliato… ho girato la testa verso lafinestra per guardare la neve. E al-lora ho indovinato che venivi. Eramattino. Ero solo sulla terra. Eratalmente presto che gli uccellidormivano ancora… e tu cercavidi fabbricare l’alba. Facevi fatica,ma insistevi. Il cielo impallidiva.Tingevi l’aria di bianco, di grigio,di azzurro, respingevi la notte, ri-svegliavi il mondo. Non ti fer-mavi. È stato allora che ho capitola differenza tra te e noi: tu sei untipo infaticabile! Uno che non sistanca. Sempre al lavoro. Ed eccoil giorno! Ed ecco la notte! Ed eccola primavera! Ed ecco l’inverno!…Ho capito che eri qui. Che mi ri-velavi il tuo segreto: ogni giornoguarda il mondo come se fosse laprima volta. Allora ho seguito iltuo consiglio con impegno. Laprima volta. Contemplavo la luce,i colori, gli alberi, gli uccelli, glianimali. Sentivo l’aria che mi pas-sava nelle narici e mi faceva re-spirare. Udivo le voci che salivanonel corridoio come nella volta diuna cattedrale. Mi trovavo vivo.Fremevo di pura gioia. La felicitàdi esistere. Ero incantato».

L’insistenza creatrice di Dio,per così dire, trova nella risurre-zione di Gesù il suo sigillo defini-tivo: «respingevi la notte, risve-gliavi il mondo»: sono parole chepotrebbero stare benissimo in uninno pasquale capace di cogliere(come sa fare la letteratura cri-stiana sin dall’antichità, e comepotrebbe fare una spiritualitàdella risurrezione) la sintonia pro-fonda tra i ritmi della natura e il“miracolo” della risurrezione diCristo.

Nell’uomoMa ci sono miracoli che rin-

viano alla risurrezione anchenella “fioritura” dell’uomo. LaScrittura lo paragona a un fioredel campo, che presto fiorisce e al-trettanto rapidamente appassisce(cf. Sal 103,15s): e tuttavia questonon è tutto; e non solo perchél’immagine “vegetale” è anche labase della risposta che Paolo dà aiCorinti, piuttosto incerti quanto

alla risurrezione, e curiosi (stolta-mente curiosi, secondo l’apostolo)circa il “come” della risurrezione(cf. 1Cor 15,35s). A questa curio-sità, Paolo risponde con l’imma-gine del seme, che sembra sugge-rire anzitutto l’incomparabilità,l’impossibilità di un confronto traciò che viene “seminato” (il nostrocorpo mortale) e ciò che sarà rac-colto, nel giorno della risurre-zione, tra la fragilità di quantoviene deposto nella terra e la ric-chezza gloriosa dell’uomo trasfi-gurato nella risurrezione.

Un’anticipazione di questa tra-sfigurazione la possiamo trovarenelle molteplici espressioni del-l’arte. Se c’è un luogo particolar-mente idoneo a suggerire qual-cosa di ciò che potrà essere il“corpo risorto”, questo, mi sem-bra, è dato precisamente dall’arte,in quanto essa in molti modi pla-sma una materia – plastica, visiva,sonora o come che sia – anche fa-cendola uscire dal quotidiano (eperò non “smaterializzandola”),perché in essa si manifesti lo spi-rito; appunto; come possiamotentare di immaginare la condi-zione di un corpo non svuotatodella corporeità, ma reso capacedi “dire” con pienezza, senza piùombre o cedimenti, la realtà diDio come cuore e compimento ditutto.

In ogni caso, la “fioritura” del-l’uomo che si lascia raggiungeredallo Spirito del Risorto non èconfinata solo al giorno ultimo.La lettura dei testi evangelici of-fre tracce sorprendenti, ad esem-pio tutte le volte che utilizzal’equivalente di verbi quali «sor-gere», «(far) alzare», «alzarsi» –gli stessi verbi con i quali i testidel Nuovo Testamento espri-mono la risurrezione – per situa-zioni significative, che vanno dal«sorgere» di malati raggiuntidalla guarigione (cf. Mt 8,15; Gv5,8) al «sorgere» di Maria che,dopo l’annuncio dell’angelo, va avisitare la cugina Elisabetta (Lc1,39), all’«alzarsi» del discepoloraggiunto dalla chiamata del mae-stro (cf. Mc 2,14; Mt 9,9).

Si potrebbero moltiplicare gliesempi: e non si tratta, ovvia-mente, di sovraccaricare teologi-camente verbi che gli autoriusano nel loro significato abi-tuale; è questione, piuttosto, di la-sciarsi aprire gli occhi dal grandemistero pasquale, per rendersiconto che ad esso rinviano tutte lesituazioni che dischiudono spe-ranza, fanno fiorire l’uomo,creano futuro, generano vita chesi contrappone alla tanto depre-cata “cultura di morte”…

Nella guarigione o almeno nelsollievo procurato al malato; nellariconciliazione e nel perdono chedischiudono un nuovo cammino;nel “perduto” ritrovato grazie al-l’accoglienza misericordiosa (Lc15,24.32: il figlio «perduto e ritro-

vato» è allo stesso titolo «morto eritornato in vita»: unirsi alla gioiadi Dio per il peccatore ritrovato si-gnifica entrare nello spazio dellarisurrezione); nella luce, anche te-nue, accesa lì dove sembra che do-mini soltanto la tenebra; nellasperanza che tiene duro «controogni speranza»… lì, e in molte al-tre situazioni di questo genere, siincomincia a vivere da risorti, lì cisi lascia raggiungere dallo Spiritodel Dio che «dà la vita ai morti echiama all’esistenza le cose cheancora non esistono» (cf. Rm4,17-18).

Il più delle volte, “eventi di ri-surrezione” come quelli ai quali siè accennato hanno gli stessi ca-ratteri della risurrezione di Cristo,celebrata nel mistero pasquale: simanifestano, cioè, soltanto al cre-dente attento, che si lascia inter-pellare dal Signore e sfiorare daltocco dello Spirito. Il Signore nonha fatto, della sua risurrezione, un“caso mediatico”: si è lasciato ri-conoscere – non senza difficoltà –dai discepoli, dalle donne, daquanti, pur non esenti da limiti epeccati, avevano potuto vedere,condividendo i giorni terreni delloro Maestro e Signore, il dispie-garsi quotidiano di ciò che poiavrebbero scoperto in pienezzainaudita il mattino di Pasqua. Peri credenti di oggi, quello stessomattino di Pasqua diventa ilpunto di partenza per incomin-ciare a riconoscere e a compiere,negli spazi quotidiani della vita, itanti piccoli e grandi segni di unarisurrezione che prepara ilmondo alla sua trasfigurazionedefinitiva.

Nella liturgiaTracce di risurrezione nella

“natura”, nell’arte e, soprattutto,nell’uomo salvato, amato, re-dento, perdonato, accolto, portatoa pienezza di vita… C’è un luogoche, per i credenti, raccoglie tuttoquesto e lo anticipa secondo unasua modalità peculiare, ed è la li-

turgia della Chiesa: in essa la na-tura, le espressioni dell’arte e so-prattutto l’uomo riconciliato e vi-vente in Cristo possono intrec-ciarsi in una sorta di grande“danza pasquale”: non un giro-tondo superficiale, ma il grande edrammatico “gioco rituale” cheracchiude nel simbolo il passag-gio, in Cristo, da morte a vita, daschiavitù a libertà, da tenebra aluce, da chiusura egoistica a donopieno e senza riserve. Celebratalietamente nella comunità cre-dente raccolta dal Risorto, la suaPasqua potrà diventare lievitonuovo della vita quotidiana e spe-ranza per un mondo chiamatoalla trasfigurazione, fino alla Pa-squa beata della nuova creazione.

Daniele Gianotti

1 Prendiamo l’espressione, e anche al-cuni spunti che trattiamo con una certa li-bertà, da Standaert B., Spiritualità arte divivere: un alfabeto, Vita e Pensiero, Milano2007, 250-258; cf. anche Id., Lo spazio Gesù.Esperienza, relazione, consegna, Àncora,Milano 2004, 249-260.

2 Agostino usa l’espressione vestigium,“traccia”, in riferimento al mistero del DioTrino, e invita a cercare in tutta la realtàcreata (e in particolare nell’anima) i vesti-gia Trinitatis, le “impronte trinitarie”. La ri-cerca è stata sviluppata con particolare vi-gore da Cunningham D.S., These Three AreOne. The Practice of Trinitarian Theology,Blackwell, Malden (MS) 1998.

3 Schmitt E.-E., Oscar e la dama in rosa,RCS Libri, Milano 2004, 83s.

4 Standaert cita come esempio un passodi Clemente Romano, Ai Corinzi 24-26, nelquale l’autore – della fine del I secolo – col-lega la risurrezione con i ritmi del giorno edella notte, delle stagioni e della semina (cf.Standaert B., Spiritualità arte di vivere, 252).

5 Non è un caso, del resto, che l’annun-cio pasquale unisca strettamente la procla-mazione del Risorto con il perdono dei pec-cati: cf. Lc 24,46-48.

6 Un bell’esempio si legge nel ricordo diuna scena del lager narrata da V. Frankl,quando lo scrittore-psicologo cercò, inun’ora particolarmente drammatica, nelbuio di una baracca, di parlare ai compagnidi detenzione per aiutarli a conservare il co-raggio e a cercare un senso anche nell’as-surdo che stavano vivendo: cf. Frankl V.,Uno psicologo nei lager, Ares, Milano 41982,135-139.

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