A Martina Femia - Athene Noctua · un’ortodossia cristiana profondamente critica nei confronti...
Transcript of A Martina Femia - Athene Noctua · un’ortodossia cristiana profondamente critica nei confronti...
Tertulliano interprete di Valentino Di
Federico Della Sala
Athene Noctua I nostri saggi
Numero
III
www.Athenenoctua.it
3
Indice
Introduzione .............................................................................................VI
Capitolo primo - La speculazione valentiniana 1.1. Introduzione allo Gnosticismo..........................................................10
1.2. I tratti distintivi della gnosi valentiniana ..........................................13
1.3. Il sistema valentiniano ......................................................................17
1.4. Il meccanismo dei due dispositivi in Valentino................................29
Capitolo secondo – Tertulliano tra ortodossia e montanismo
2.1. Vita, opere e contesto storico............................................................35
2.2. Il periodo protocattolico: il De Praescriptione Haereticorum...........40
2.3. Il periodo pre – montanista e l’Adversus Valentinianos...................52
2.4. La conversione al montanismo .........................................................74
Conclusioni ..............................................................................................79
Bibliografia..............................................................................................82
VI
Introduzione
La storia del cristianesimo non è unitaria ed omogenea, bensì è un processo
articolato e tortuoso, caratterizzato da profonde controversie di cui le eresie, ad
esempio, sono evidenti manifestazioni. E’ possibile affermare che la storia del
cristianesimo si articola nel rapporto tra il dono gratuito della Grazia e la facoltà
del libero arbitrio, sicché anche le più radicali risposte teologiche debbono
riconoscere, pure in minima parte, anche l’elemento opposto, che viene sempre e
comunque accolto, anche se in modo subordinato, di modo ché, chi opterà per
l’onnipotenza divina, dovrà riconoscere il ruolo relativo anche alla libertà
dell’individuo mentre chi opterà per il libero determinarsi della creatura non potrà
misconoscere il ruolo relativo della Grazia di Dio.
Le ricerche teologiche dei cristiani del II secolo d.C. erano tutte indirizzate e
finalizzate alla soluzione del dilemma che esiste nel rapporto tra Grazia e libero
arbitrio. Il protocattolicesimo cercava di conseguire un precario equilibrio tra
tradizione giudaico – cristiana e novità escatologica, subordinando la novità
carismatica all’interpretazione legalista di continuità tra Antico e Nuovo
testamento. Al contrario gnosticismo e marcionismo evidenziavano la violenta
opposizione tra vangelo di Grazia e antica legge giudaica, irrigidendo il dualismo
spirituale in dualismo ontologico.
Quanto appena esposto è rintracciabile e confermato in uno dei rapporti
polemici più intensi del II secolo d.C. : quello di Tertulliano interprete di
Valentino. Tertulliano, come vedremo in seguito, si erige ad alfiere di
un’ortodossia cristiana profondamente critica nei confronti dell’eresia gnostica.
Tertulliano, lettore attento di Ireneo, scrive l’Adversus Valentinianos con l’intento
di irridere i temi della speculazione valentiniana. La cristologia valentiniana, il
dualismo che sottostà all’intero sistema ontologico, la radicalizzazione
dell’elezione e il senso apocalittico sono i temi principali di Valentino che
Tertulliano interpreta e critica con maggior vigore.
Prima di definire i termini di questa controversa relazione è opportuno
introdurre il concetto di doppio dispositivo che permette di comprendere più a
fondo la paradossalità del dono di Grazia e del rapporto di questo con il libero
VII
arbitrio. Focault e Deleuze prima e Agamben1 dopo, definiscono ‹‹dispositivo››
quel meccanismo concettuale capace di operare anche a distanza di tempo dal suo
innesto e di agire impersonalmente anche senza la coscienza dei soggetti
praticanti. Il cristianesimo si fonda quindi su due differenti dispositivi: il primo,
escatologico, kenotico, carismatico, è emblematico della prospettiva paolina2.
Questo primo dispositivo annuncia il nuovo regno di Dio, che mette in crisi, quasi
sconfessando, la dimensione culturale tradizionale. Il Dio che si palesa nel
messaggio del Cristo non è più il “Dio tremendo dell’antico testamento”, bensì è
buono e giudicante. La speranza escatologica porta con sé un forte principio
anarchico e sovvertitore di ogni ordine tradizionale. La fede stessa è incentrata su
un messianismo kenotico di “un messia alla rovescia” che da Figlio di Dio muore
sulla Croce. L’avvento del Nuovo Regno per effusione carismatica dello Spirito
Santo porta alla nuova alleanza tra il Dio che dona la sua Grazia e un nuovo
popolo pronto ad abbandonarsi nella gratuità del suo dono. Il secondo dispositivo,
definibile come archeo – ontologico e politico, evidenzia un’anima
completamente diversa del cristianesimo. La speranza di fede e di carità, la
gratuità del dono non possono qui che ibridarsi con la cultura greco – romana per
appoggiarsi su una tradizionale ristrutturazione religiosa capace di custodire il
dirompente kerygma originario. L’intreccio di questi due dispositivi
assolutamente inscindibili e bisognosi l’uno dell’altro, nonostante le loro nature
differenti, caratterizza la molteplicità delle risposte teologiche offerte dai cristiani
del II secolo d.C. . I due dispositivi, lungi dall’essere concepiti come radicalmente
stabili, producono una perenne oscillazione sicché anche l’assolutizzazione di uno
dei due dispositivi conserverà comunque, seppur ridimensionato e subordinato,
anche il secondo dispositivo. Il rapporto tra dono di Grazia e libero arbitrio passa
attraverso il meccanismo del doppio dispositivo cosicché maggiore sarà
l’attenzione sulla gratuità del dono, maggiore risulterà l’importanza del
dispositivo escatologico. Maggiore sarà l’interesse per il libero arbitrio e le facoltà
di scelta degli individui, maggiore sarà l’utilizzo del dispositivo archeo –
ontologico. Eppur tuttavia anche la formulazione più ardita o in senso
VIII
escatologico, o in senso archeo – ontologico, non potrà mai fare a meno della
rispettiva controparte.
Ecco dunque che il grandioso mito gnostico di Valentino, lungi dal
rappresentare una mera esaltazione del solo dispositivo archeo – ontologico, come
farebbero pensare l’imponente impianto ontologico, la filiazione divina, la
suddivisione in tre specie umane, è rappresentativo dell’alchimia dei due
dispositivi. Ed anzi, paradossalmente, è proprio il dispositivo escatologico e
carismatico ad essere esaltato nella grandiosa speculazione ontologica dei
Valentiniani. Lo stesso Tertulliano può essere compreso solo alla luce di quanto
sostenuto sino ad ora, sicché ad essere esaltato nella sua teologia è il dispositivo
archeo – ontologico e politico, fondamentale per lo sviluppo della chiesa
protocattolica. La sua svolta montanista, cui approdano le intransigenti posizioni
moraliste da lui sostenute, rivelano, paradossalmente, l’impossibilità di distaccarsi
proprio dal dispositivo escatologico. Scopo di questa tesi è analizzare il rapporto
che Tertulliano instaura con la teoria valentiniana alla luce del meccanismo del
doppio dispositivo. Utilizzando questa metodologia è possibile esaltare gli aspetti
di questa appassionata controversia. È infatti indispensabile osservare che se gli
scritti neotestamentari sono soprattutto di carattere escatologico, la produzione del
II secolo evidenzia una mediazione del kerygma originario. In questo periodo si
assiste infatti ad una riduzione del potente messaggio cristiano. Tali riduzioni, che
partono da prospettive assai differenti, mediano eticamente, ontologicamente e
legalisticamente il carismatico e l’escatologico. In particolare i padri apologeti
iniziano a concepire la gratuità del dono in sostanziale continuità con l’Antico
Testamento e il messaggio dirompente di Cristo viene riformulato culturalmente
adattandolo alle categorie del mondo pagano per essere diffuso rapidamente. Le
risposte di Tertulliano e Valentino, seppur estremamente differenti l’una dall’altra,
rappresentano al meglio questo delicato passaggio. Il pleroma valentiniano e la
soluzione legalista di Tertulliano rispondono, diversamente, alla medesima
necessità. Il fatto che la riduzione archeo – ontologica e politica di entrambe gli
autori non elimini affatto la dipendenza dal kerygma primordiale è la conclusione
cui vuole approdare questa tesi. La necessità gnostica di utilizzare il dispositivo
archeo – ontologico non elimina affatto l’importanza del dispositivo escatologico.
IX
La necessità di Tertulliano, che dei Valentiniani è avversario dichiarato, di
utilizzare il dispositivo archeo - ontologico non elimina affatto il fondamento
carismatico.
11
1.1. Introduzione allo gnosticismo
All’inizio dell’era cristiana e per tutti i due secoli precedenti la venuta di
Cristo, il mondo mediterraneo orientale è pervaso da un profondo fermento
spirituale. La genesi stessa del cristianesimo e l’accoglienza del suo messaggio
escatologico sono manifestazioni evidenti di tale agitazione. La crisi spirituale
trovò la sua più ardita ed estrema rappresentazione nella moltitudine di sètte
gnostiche che iniziarono a svilupparsi e fiorire durante l’espansione cristiana.
Ma cosa si intende per gnosticismo? Hans Jonas, uno dei maggiori studiosi del
movimento, nell’opera Lo gnosticismo definisce la gnosi in questi termini:
“ Il termine ‹‹gnosticismo›, che è stato assunto come termine collettivo per disegnare una
molteplicità di dottrine settarie che sorsero all’interno o intorno al cristianesimo durante i primi
due secoli della sua travagliata storia, deriva da gnosis, nome greco che significa ‹‹conoscenza››. Il
significato di conoscenza nel senso di mezzo per raggiungere la salvezza o persino come forma
della salvezza stessa, e la pretesa di possedere tale conoscenza nella propria formulazione
dottrinale, sono caratteristiche comuni alle numerose sètte nella quali storicamente si espresse il
movimento gnostico.” 3
Una definizione di questo tipo spiega perché l’area gnostica possa essere
ampliata o ridotta a seconda del criterio utilizzato. Allo stesso tempo è
storicamente certo che i Padri della Chiesa considerarono lo gnosticismo come
un’eresia cristiana. Da un lato essi si limitarono a confutare quelle posizioni
dottrinarie, come il sistema valentiniano, che avevano adattato la figura del Cristo
ad insegnamenti eterogenei precedenti, dall’altro cercarono di colpire quelle sètte,
che avendo un comune fondamento giudaico potevano essere considerate come
scomode competitrici. Il fatto che i Padri della Chiesa assimilarono da subito la
portata del movimento gnostico alle eresie cristiane, non rende giustizia ad un
movimento, che indubbiamente nasce sulla scia del cristianesimo, ma che in modo
altrettanto evidente è frutto di un profondo processo di sincretismo religioso4.
Gnosis significa conoscenza di Dio, di un Dio radicalmente trascendente e non-
conoscibile naturalmente. In questo senso la conoscenza gnostica è legata
3 Hans Jonas, Lo gnosticismo, Società editrice internazionale, Torino 1991. p. 52. 4 Ivi, p. 53.
12
all’esperienza escatologica della rivelazione, ora custodita nella dottrina sacra e
segreta, grazie a cui viene tramandata; ma la conoscenza non è solo uno strumento
teorico di trasmissione: è la stessa gnosi conoscitiva a modificare la condizione
umana attuando la salvezza. In questo secondo senso la conoscenza ha anche, e
soprattutto, funzione pratica perché essa stessa coincide con la salvezza5.
Tuttavia è presente anche un rimando all’occidente greco come sarà
evidenziato successivamente. Ciò che è stato qui sostenuto viene, ad esempio,
colto anche da Spengler che, pur non occupandosi specificatamente di
gnosticismo, teorizza il singolare concetto di “pseudomorfismo”, secondo cui se
un nuovo e diverso materiale cristallino viene ad occupare lo spazio - cavità - di
uno strato geologico costituito da cristalli disintegrati, esso sarà inevitabilmente
costretto a ricalcarne lo stampo e di conseguenza a prendere la forma del cristallo
precede. In questo esempio il cristallo ormai disintegrato che lascia la sua forma
nello strato geologico è la tradizione greca, mentre il nuovo cristallo formatosi
nello stampo precedente è la nuova tradizione orientale tipica del fermento
spirituale dei primi due secoli d.C. 6.
È dunque evidente il sincretismo religioso su cui si innesta il principio
gnostico. Da un lato esso è inseparabile dall’avvento escatologico del Cristo,
dall’altro esso attinge al concetto di conoscenza mistica orientale pur rimanendo
necessariamente incastrato all’interno dell’orizzonte ontologico greco. Ciò che qui
deve essere evidenziato è la dipendenza della speculazione gnostica dal kerygma
cristiano. Se è vero che lo gnosticismo utilizza parte del precedente “materiale
filosofico” greco, è altrettanto vero che questa forma di conoscenza dipende e
deve la sua origine al messaggio escatologico e carismatico. Valentino e i
Valentiniani sono i più arditi sostenitori di questo meccanismo. Prima di
analizzare nello specifico il sistema valentiniano è opportuno definire meglio
l’intreccio gnostico tra l’escatologia del kerygma e l’ontologizzazione “platonica”.
Ciò è possibile esaminando il dualismo che caratterizza il grande mito
valentiniano: se è vero che il sistema di Valentino dipende maggiormente dalla
tensione escatologica, il risultato dualistico cui approda è paradossalmente in
5 Ivi. pp. 54 – 55. 6 Ivi, p. 57.
13
disaccordo con il monoteismo professato da Cristo, ma in continuità con
l’eccedenza del dono. La teologia di Tertulliano, nonostante dipenda
maggiormente dalla tensione archeo-ontologica, giunge al monoteismo in
paradossale continuità con il kerygma primordiale.
Possiamo definire il dualismo come il “limite” teologico che divide il
protocattolicesimo dalle correnti gnostiche. Il primo utilizza il dispositivo archeo-
ontologico per approdare all’escatologia monoteista, il secondo, al contrario,
adopera il dispositivo escatologico-carismatico per giungere ad un dualismo
ontoteologico.
1.2. I tratti distintivi della gnosi valentiniana
Valentino nacque nel II secolo d.C. ; l’esatta data di nascita e il luogo
rimangono assolutamente incerti. È possibile che Valentino sia nato o a Cartagine
o a Phrebonis, in Egitto. Sappiamo però che si trasferì ad Alessandria d’Egitto che
era un importante centro di diffusione della filosofia ellenistica neo e medio
platonica. Intorno al 140 – 160 d.C. soggiornò a Roma dove divenne diacono nel
periodo dei pontificati di papa Ignino e Aniceto. Venne espulso dalla chiesa
cattolica per la prima volta nel 143 sotto il pontificato di Pio I. Morì a Cipro
probabilmente intorno al 165 d.C. dal momento che Tertulliano cita un’opera di
Valentino uscita post mortem e databile 175 d.C. circa. Che l’insegnamento di
Valentino si sia diffuso durante il principato di Antonio Pio, che assunse l’impero
nel 138, è attestato dalla notizia di Tertulliano nel De Praescriptione
Haereticorum7. Valentino e la sua scuola rappresentano il culmine della
speculazione gnosticismo del II secolo d.C. . Il tratto distintivo di questa corrente
gnostica è costituito dal tentativo di porre l’origine delle tenebre, e quindi
l’origine della frattura dualistica dell’essere, all’interno della divinità stessa. Da
questa frattura dualistica prende origine la tragedia divina, che avrà termine solo
grazie al modello salvifico di cui si fanno portavoce i Valentiniani. Nella sua
declinazione più radicale lo gnosticismo valentiniano si trova a dover affrontare la
difficile convivenza tra dualismo platonico e unicità della divinità. Anche la
nascita della materia va dunque spiegata in termini di storia divina e, più
7 Tertulliano, Contro gli eretici, Città Nuova Editrice, Roma 2002. p. 36.
14
precisamente, in termini di errore o fallimento divini. Proprio questo dualismo
radicale è la minaccia più grande per la chiesa protocattolica. Il dualismo
valentiniano, esattamente come quello marcionita, malgrado rappresentino
un’esasperazione teologica di carattere ellenista del kerygma originario,
testimoniano, paradossalmente, un tentativo di fedeltà ad alcuni dei temi
neotestamentari. Negli gnostici il dualismo evidenzia l’eccedenza del dono divino
fino al punto che la stessa elezione diventa intimità ontologica con la divinità.
Da questo punto di vista la conoscenza assume uno stato ontologico di rilievo,
che va molto oltre la semplice importanza morale. La conoscenza riceve nella
dottrina valentiniana un fondamento metafisico tale da costituire l’unico e
sufficiente veicolo di salvezza. La salvezza di ogni singola anima diviene così un
evento cosmico garantito da una solida base metafisica. Per tale motivo ogni
illuminazione individuale mediante la conoscenza gnostica è in grado di annullare
metafisicamente il prodotto materiale dell’ignoranza. L’integrazione dell’Io
individuale nel regno divino è quindi importante non solo per l’individuo che
beneficia di tale assunzione, ma diviene emblematico di un processo cosmico di
reintegrazione della stessa sostanza divina andata perduta ed inquinata dalla
creazione materiale ad opera dell’ignoranza8.
Con la pretesa che la propria speculazione fornisca le basi per la conoscenza
mistica indispensabile per raggiungere la salvezza, i Valentiniani, come ci
tramanda Ireneo, potevano, respingendo tutto il rituale misterioso e sacramentale
cattolico, affermare:
“Non si deve compiere il mistero del potere ineffabile e invisibile per mezzo delle cose visibili
e corruttibili della creazione, né quello degli esseri impensabili e immateriali per mezzo delle cose
sensibili e corporee. La salvezza perfetta è la conoscenza stessa dell’ineffabile grandezza: perché
essendo venuti attraverso l’Ignoranza, il Difetto e la Passione, tutto il sistema generato
dall’Ignoranza è dissolto dalla conoscenza. […] per mezzo della conoscenza l’uomo interiore,
spirituale, è salvato perciò a noi è sufficiente la conoscenza dell’essere universale questa è la vera
salvezza.” 9
8 Ivi, pp. 191-192. 9 Ibidem.
15
Questa è la grande ‹‹equazione pneumatica›› del pensiero valentiniano:
l’evento umano individuale della conoscenza salvifica è l’equivalente opposto
dell’evento pre-cosmico dell’ignoranza divina, e nel suo effetto redentivo
appartiene intimamente al medesimo ordine ontologico.
Appare dunque chiaro che i due punti essenziali della gnosi di Valentino
corrispondono al duplice obiettivo della speculazione valentiniana : da una parte
quello di dimostrare il motivo intrinseco, assolutamente interno, della tragica
degenerazione divina senza introdurre alcun agente esterno, dall’altra parte di
giustificare la gnosi stessa come conoscenza elettiva destinata solo a coloro che
sono ontologicamente spirituali. Malgrado l’imponente mitizzazione speculativa, i
due aspetti ora evidenziati appaiono in paradossale continuità con l’annuncio di
grazia. Per ciò che concerne la tragedia divina i Valentiniani traducono in eoni,
trascendenti, decaduti, rivelati, assunti, la dottrina della giustificazione. Rispetto il
secondo punto il mito valentiniano è ancor più radicale. Il dono di grazia subisce
un processo di ontologizzazione tale che l’evento gratuito diviene eterno. L’uomo
spirituale, in quanto fatto della stessa sostanza trascendente del Padre e del Figlio,
è naturalmente graziato, eletto e redento.
Prima di analizzare in dettaglio il sistema valentiniano è però opportuno fare
almeno due precisazioni essenziali per contestualizzare lo gnosticismo
valentiniano. È fondamentale ricordare che Valentino è l’unico degli Gnostici che
ebbe tutta una serie di discepoli conosciuti per nome, tra cui i più noti sono
Tolomeo, Eracleone e Marco. Lo sviluppo di una vera e propria scuola di
formazione valentiniana è confermata sia da Ireneo che da Tertulliano che parlano
appunto di Valentino e dei ‹‹Valentiniani››. Tolomeo, Eracleone e Marco furono
effettivamente dei capiscuola ed insegnarono le loro versioni della dottrina
valentiniana. La divergenza, ed in alcuni casi la discordanza, dalla dottrina
valentiniana dimostrata dai capiscuola successivi è di fatto connaturata ed insita
nel metodo speculativo adottato da Valentino stesso. Gli sviluppi continuamente
differenti della dottrina originaria sono tali che le poche fonti dirette ed indirette
di cui disponiamo, altro non sono che molteplici rielaborazioni e versioni della
seconda generazione valentiniana. Ad esempio, solo della dottrina di Pleroma
sono disponibili almeno sette versioni riportate o riferite da Ireneo, Ippolito,
16
Epifanio e Teodoro. Proprio Ireneo ironicamente nota che: ‹‹Ogni giorno ciascuno
di loro inventa qualche cosa di nuovo, e nessuno è considerato perfetto se non è
produttivo in tal senso››10.
Questo problema porta alla seconda precisazione indispensabile prima di
introdurre il sistema valentiniano. La sovrabbondanza di versioni della medesima
teoria implica anche l’estrema problematicità a rintracciare le fonti che si rifanno
alla versione originale ed autentica di Valentino. La dottrina e il nome di
Valentino compaiono in molteplici testimonianze dell’epoca come nell’Apocrifo
di Giovanni o nel Vangelo della Verità, che secondo alcuni studiosi è stato redatto
proprio da Valentino. È però opportuno riferirsi soprattutto all’opera critica di
Ireneo di Lione, uno dei principali Padri della Chiesa11. Ireneo nasce a Smirne nel
130 d.C. e muore a Lione nel 202 d.C. . La sua opera principale è l’ Adversus
haereses, “Contro le eresie”, in cui il Vescovo di Lione sviluppa un’approfondita
critica allo gnosticismo valentiniano, confutando, ad esempio, l’esistenza di due
Cristi, uno di natura divina e l’altro di natura umana, il possesso ontologico della
Salvezza e riaffermando l’unicità di Dio e la finitezza delle sue creature.
Il delirio del mito gnostico viene combattuto a favore dell’armonia tra Grazia e
Legge, tra fede e libertà razionale e responsabile. Nel corso di tutta l’opera è
chiaro l’intento di arginare il pericolo gnostico che, nel II secolo d.C. ,
rappresentava una concreta minaccia per le comunità protocattoliche. La
speculazione valentiniana era emblematica del rischio spirituale che poteva
portare un’eresia con un impianto dottrinale solido e ben articolato, capace di
affascinare molti cristiani. La confutazione messa in atto da Ireneo cerca di colpire
lo gnosticismo sul terreno delle Sacre Scritture e della teologia. Questo aspetto è
fondamentale perché proprio la radicale polemica di Ireneo sui temi teologici ha
permesso alla dottrina di Valentino di arrivare quasi intatta sino ai giorni nostri.
Successivamente anche Tertulliano, che attinge a piene mani dall’ Adversus
haereses per conoscere la gnosi valentiniana, finisce per contrastare e contestare
Valentino sui medesimi temi teologici trattati da Ireneo anche se, come vedremo
approfonditamente in seguito, in modo profondamente diverso. Per analizzare la
10 Ivi, pp. 194 -195. 11 Ibidem.
17
speculazione valentiniana è quindi preferibile rimanere fedeli alla ricostruzione di
Ireneo.
1.3. Il sistema valentiniano
I misteri ancestrali dei primordi vengono introdotti da queste parole solenni:
‹‹Lo spirito indistruttibile saluta gli indistruttibili! A voi svelo segreti senza nome,
ineffabili, sopracelesti, che non possono essere compresi […] dagli esseri
inferiori››12. Già dall’inizio è palese l’aura misteriosa ed esoterica che caratterizza
la produzione gnostica dei Valentiniani. In che cosa consiste questa dottrina
assolutamente elitaria e segreta?
Nelle altezze invisibili e senza nome c’è un perfetto Eone preesistente. Questo
viene definito con molteplici nomi: Pre – principio, Progenitore, Padre. Questo
Eone conserva molti dei tratti dell’Uno teorizzato da Plotino nelle Enneadi.
Questo eterno Eone, assolutamente unico, incorruttibile, totalmente trascendente e
sussistente per sé stesso, ovvero non generato da nessun altro Eone. Valentino
chiama questo principio primo Bythos (dal greco Βυθός), Abisso. Nessuno può
comprenderlo e per innumerevoli eternità rimane nel più profondo riposo. Con lui,
e più precisamente dentro di lui, è presente un’Ennoia chiamata a seconda delle
versioni Grazia o Silenzio (dal greco Σιγὴν). Per i Valentiniani si tratterebbe del
principio femminile interno alla sostanza primordiale. È altamente probabile che
l’Ennoia come principio femminile sia introdotto da Valentino per giustificare la
successiva generazione degli Eoni. D’altro canto il fatto di inserire un principio
femminile all’interno di Bythos garantisce l’assoluta unicità del pre – principio
senza far venir meno l’assoluta e perfetta compattezza dell’essere13. Dall’altra,
come vedremo successivamente, è proprio la generazione di Abisso e Silenzio a
produrre la frattura dualistica tra Pleroma e mondo esterno.
Bythos -Abisso-, ormai stanco di non poter essere ammirato se non da sé
stesso, pensò di proiettare fuori di sé tutte le cose, che vennero gettate sottoforma
di seme nel grembo di Silenzio. Essa concepì e generò Nous, la mente (in greco
nous è emblematico del principio maschile): l’unico Eone in tutto simile ed eguale
12 Hans Jonas, Lo gnosticismo, Società editrice internazionale, Torino 1991. pp. 195 – 196. 13 Ibidem.
18
al Padre, nonché il solo a comprendere la sua assoluta grandezza. Insieme a Nous
venne generata anche Aletheia, Verità, rappresentativa del secondo principio
femminile. Abisso e Silenzio, Mente e Verità costituiscono la prima Tetrade
fondamentale del Pleroma o regno divino.
Nous, comprendendo immediatamente il proposito con cui era stato generato,
assieme ad Aletheia originò una terza coppia di Eoni: Logos e Vita,
rispettivamente padre di tutte le cose venute dopo di lui e forma – madre di tutto il
Pleroma14. Da loro discende un’altra sizigia o coppia di Eoni: l’Uomo e la Chiesa.
Tutti insieme costituiscono la prima Ogdoade originaria. Questi Eoni, prodotti per
la gloria del Padre, vollero, a loro volta, celebrarlo con proprie creazioni ed
emanazioni. Da Logos e Vita si generarono altri dieci Eoni supplementari, mentre
da uomo e Chiesa discesero dodici Eoni, cosicché la somma complessiva di questi
con l’Ogdoade , costituisce una famiglia perfetta di trenta Eoni suddivisi in
quindici coppie. La pienezza della perfezione divina è così compiuta ed il Pleroma
definitivamente costituito.
Tralasciando i particolari di questo processo generativo è qui importante
sottolineare almeno un punto fondamentale che costituisce la base della
successiva crisi del Pleroma. Il primo decisivo aspetto è che il Pleroma, pur
rappresentando la perfezione del regno divino non deve essere concepito ed
interpretato come un insieme omogeneo; piuttosto, esso è definito e costituito da
una molteplicità totalmente dispiegata di caratteristiche divine, ordinate
gerarchicamente dal grado più alto a quello più basso15. Solo L’Unigenito Nous
ha la capacità di esplorare la grandezza del Padre, essendo direttamente generato
da lui. Per tutti gli altri Eoni, Abisso rimane assolutamente invisibile e
incomprensibile. Tutti gli Eoni sanno dell’esistenza di Abisso, ma solo Nous ha la
possibilità di ammirarlo completamente. Ai restanti Eoni non è concessa questa
possibilità.
Proprio in virtù di questa differenza conoscitiva Nous desidera comunicare la
grandezza del Padre anche ai livelli inferiori della gerarchia, ma viene
prontamente zittito da Silenzio per volontà stessa di Abisso, che vuole condurli
14 Ivi, p. 197. 15 Ibidem.
19
alla conoscenza mediante un processo di ricerca. Così facendo gli Eoni
desiderano ardentemente di poterlo conoscere e di rintracciare finalmente la radice
senza principio.
“ In verità il Tutto era alla ricerca di Colui dal quale essi provenivano. Ma il tutto era in Lui,
quell’Uno Incomprensibile, Inconcepibile, che è superiore ad ogni pensiero.” 16
Proprio nell’ardente desiderio di una conoscenza inaccessibile risiede il
principio della crisi del Pleroma. La sua perfezione deriva dall’armonia
dell’ordine gerarchico in cui ogni parte osserva scrupolosamente i propri limiti. Il
desiderio e la passione, sviluppatesi nelle vette più alte della gerarchia, prossime
al Nous, discesero fino a penetrare Sophia, l’ultima Ennoia generata nel Pleroma.
Sophia impazzì completamente, in apparenza per amor di conoscenza, ma in
verità per la folle presunzione di superare i propri limiti nel tentativo di conoscere
l’essenza. La passione coincide dunque con la ricerca angosciosa del Padre.
Tuttavia Sophia fallì in questo tentativo estremo cadendo in disgrazia ed in
agonia. Essendo penetrata per brama di conoscenza nelle profondità di Abisso,
Sophia avrebbe corso il rischio di essere completamente assorbita nell’essere
generale. Per salvare Sophia e la stabilità del Pleroma intervenne Horos, il Limite.
Il Limite trattenne Sophia, riportandola in sé, convincendola dell’inconoscibilità
del Padre.
La passione e il successivo ristabilimento di Sophia si concretizzano in un
effetto che si estende anche al di fuori del Pleroma. L’entità informe, che ha fatto
nascere nell’impossibile tentativo di cogliere il Padre è l’oggettivazione della sua
componente passionale. Alla vista di questa sua morbosa creazione, Sophia è
scossa da diverse emozioni: angoscia, paura, sorpresa, pentimento. Anche queste
emozioni, chiaramente dannose per l’equilibrio del Pleroma, vengono incorporate
nell’uniformità ed espulse oltre il Limite del Pleroma17.
La prima Sophia viene così definitivamente purificata e consolidata dal Limite
all’interno del regno divino. La sua intenzione e le sue emozioni, una volta
16 Ivi, p. 198. 17 Ivi, p. 199.
20
divenute effettive, non possono essere annullate in quanto prodotto divino. In tal
modo viene a generarsi una seconda Sophia, inferiore perché cacciata fuori dalla
perfezione del Pleroma dal Limite. Questo complesso intreccio espulso e separato
è una sostanza spirituale ipostatizzata che rimane tuttavia priva di forma essendo
‹‹un aborto prodotto senza concepimento››18.
Come è stato precedentemente espresso l’importanza della speculazione
valentiniana risiede soprattutto nella portata dualistica delle sue tesi. È dunque
opportuno considerare con estrema cura l’importanza di Horos, il Limite, e del
suo meccanismo dualistico che segue l’accadimento di Sophia.
Dall’analisi del dramma divino e del potenziale crollo del sistema del Pleroma,
appare evidente la doppia funzione di Limite: una stabilizzante, l’altra separatrice.
Nel primo caso Horos è chiamato Croce, nel secondo Limite. Le due funzioni
sono esercitate anche in due luoghi differenti del sistema valentiniano. La Croce è
il limite che divide Abisso dal resto degli Eoni. La Croce delimita l’ingenerato dal
generato e mantiene gli Eoni separati dall’essenza in cui potrebbero rischiare di
perdersi. È qui che la Croce incontra Sophia nel cieco e disperato tentativo di
conoscere Abisso ed è qui che Sophia viene ricondotta al livello gerarchico che le
spetta. Horos è però anche il Limite che separa e tutela il Pleroma da quello che
esiste all’esterno, cioè la sostanza passionale espulsa per salvaguardare il regno
divino dal rientro di un’eventuale perturbazione esterna. Come vedremo in
seguito, con il procedere del dramma divino il Limite acquisisce anche la funzione
di confine tra Pleroma e Cosmo. Non è comunque casuale che Horos faccia la sua
comparsa solo dopo la vicenda di Sophia19. È anzi proprio a causa di questa
anomalia che si rileva un cambiamento decisivo avvenuto nell’ordine divino
introducendo la funzione del Limite.
“ Il Pleroma non possiede più la sua integrità semplicemente e senza contrasto, ma soltanto in
opposizione ad una negatività posta all’esterno. Tale negatività è il residuo di una perturbazione
18 Ibidem. 19 Ivi, p. 200.
21
che attraverso la conversione della Sophia e la separazione che ha implicato, si è ipostatizzata
come regno positivo a sé.” 20
Per tale motivo il Limite non era concepito nella creazione originaria del
pleroma, ma si è reso necessario come principio di consolidamento
successivamente alla crisi divina. La necessità del Limite è quindi l’ennesima
radicalizzazione del dualismo che caratterizza l’intero sistema valentiniano ben
prima della comparsa di Horos.
L’ignoranza che generò Sophia all’interno del Pleroma, nonché la produzione,
anche se espulsa, della materia informe, preoccupava gli Eoni che rimproveravano
costantemente Sophia per il suo sbaglio. Per ristabilire l’armonia spirituale
all’interno della famiglia divina, gli Eoni pregano il Padre di creare un’altra
coppia formata da Cristo e da Spirito Santo. Questa ulteriore coppia ha duplice
funzione: da un lato quella di completare la missione del Limite ristabilendo una
vera serenità all’interno del Pleroma, dall’altro quello di prendersi cura del
residuo informe che, nonostante sia esterno al limite, preoccupava gli Eoni. Cristo
è quindi l’unico Eone che ha una missione sia interna al Pleroma sia esterna,
all’estremo confine del limite. All’interno ristabilisce la serenità richiesta dagli
Eoni, all’esterno è chiamato a dare forma all’informe. Per prima cosa Cristo
illumina gli Eoni sull’inconoscibilità del Padre. Cristo dona loro la gnosi,
ordinandoli così nei ranghi loro inizialmente assegnati, di modo che la
consapevolezza dell’unità spirituale e la comprensione delle loro diversità non
permetta il sorgere di aspirazioni individuali21.
Quale frutto di questa unione e della riacquisita consapevolezza, gli Eoni, tutti
insieme danno vita ad un prodotto divino addizionale, non in coppia: Gesù, nel
quale è simbolizzata l’unità riconquistata. Questo nuovo e solitario Eone deve:
“ […]portare nella sua persona la Pienezza al di fuori nel Vuoto, in cui il residuo della
perturbazione passata, nel frattempo formato da Cristo, attende ancora la salvezza.” 22
20 Ibidem. 21 Ivi, p. 201. 22 Ibidem.
22
Infatti, inizialmente è Cristo che si prende cura della sostanza residuale ed
informe. Per ristabilire la pace nel Pleroma egli è necessariamente costretto ad
operare anche sulla ‹‹triste condizione dell’aborto e l’angoscia della sua colpevole
madre››. L’intenzione e il desiderio di Sophia, ormai espulsi dal Pleroma e
separati da esso, diventano un nuovo essere personale e ugualmente divino:
Sophia inferiore o Achamoth.
Cristo, disteso sulla Croce (limite esterno del Pleroma), per mezzo del potere
divino impartisce a questa sostanza una forma. L’operazione così svolta porta alla
creazione di una sostanzialità, ma non vi è ancora traccia né di conoscenza né di
un cosmo formato ed organizzato. Cristo, dopo aver svolto questo compito, torna
infatti nel Pleroma lasciando viva in Achamoth la consapevolezza della sua
separazione dal regno divino e il desiderio in lei ardente di raggiungerlo.
Cristo, una volta svolto il suo compito, non deve più abbandonare il posto
all’interno della gerarchia divina e visto che l’imperfetta Achamoth non può
divenire perfetta se non tramite un permanente accoppiamento spirituale, la sua
formazione sul limite esterno della Croce, rappresenta tutto quello che Cristo può
fare per lei.
Divenuta cosciente per mezzo della formazione di Cristo, Sophia inferiore -
Achamoth - si mette disperatamente alla ricerca della luce perduta che non può
raggiungere, perché il Limite le impedisce di entrare nel Pleroma. Achamoth è
quindi costretta a rimanere nell’oscurità esterna in preda a tutte le sofferenze
esistenti. Sophia inferiore - Achamoth -, malgrado si trovi all’esterno del perfetto
regno spirituale, ripete, al suo livello, la scala di emozioni che sua madre provò
all’interno del Pleroma, con l’importante differenza che ora ‹‹tali passioni
assumono la forma di stati definitivi di essere e come tali possono diventare la
sostanza del mondo››23. La generazione del mondo avviene dunque per una
solidificazione psichico – materiale delle emozioni provate da Sophia inferiore.
Questo punto del dramma divino è forse uno dei più dibattuti anche all’interno
della sètta valentiniana:
23 Ivi, p. 203.
23
“Quanto questo punto fosse fondamentale nella speculazione dei Valentiniani è dimostrato
dalla considerazione del numero di varianti in cui la scala di passioni è stata sviluppata e dai
rispettivi corrispondenti assegnati a ciascuna di esse in termini di ‹‹sostanza››. Il fatto stesso che la
correlazione tra emozioni ed elementi non è stata fissata nei particolari ma varia da autore ad
autore, e forse anche nel pensiero di un medesimo autore, mostra quanto si sia a più riprese
meditato su tale soggetto.” 24
Dopo che Sophia inferiore ha provato tutte le passioni, supplichevole cerca la
luce di Cristo. Questo, impossibilitato ad abbandonare nuovamente il Pleroma, si
accorda con gli altri Eoni per mandare Gesù come consorte della Sophia esteriore,
per curarla dalle passioni e dissuaderla dalla folle ricerca del Cristo. Con lui
discendono anche gli angeli, emanati da Gesù come scorta divina nella discesa
verso l’esterno. Passato il Limite, Gesù incontra Sophia inferiore -Achamoth -
disperata nelle quattro primitive passioni: il timore, l’angoscia, la confusione e la
supplica. Gesù cura Achamoth donandole la gnosi, la conoscenza, separando da
lei le passioni, senza commettere l’errore di Cristo, abbandonando le emozioni a
loro stesse come era avvenuto precedentemente nella vicenda di Sophia superiore.
Le passioni, che non possono essere annullate in quanto prodotto effettivo della
divinità inferiore, vengono solidificate da Gesù in sostanze indipendenti.
Con l’avvento di Gesù il meccanismo dualistico che sottostà alla struttura
valentiniana viene addirittura radicalizzato. L’apparizione del Salvatore da un lato
permette la liberazione di Sophia inferiore -Achamoth- dalle sue sofferenze,
dall’altra si erige a fondamento di tutte le cose esterne. Gesù rende possibile ‹‹in
potenza›› la susseguente creazione demiurgica. Da affezioni incorporee
abbandonate da Cristo, Gesù trasforma le passioni in materia, impartendo loro la
capacità di entrare in composizione formando i corpi25. Questa
“materializzazione” della sostanza incorporea espulsa avviene secondo due
differenti direttrici: da un lato si forma una sostanza maligna, proveniente dalle
passioni, dall’altro viene generata una seconda sostanza, benigna, derivante dal
processo di conversione e preghiera.
24 Ibidem. 25 Ivi, p. 205.
24
Dall’unione di Achamoth, ormai purificata, e Gesù origina un nuovo frutto
spirituale a loro somiglianza da cui deriva l’elemento pneumatico nel mondo
inferiore.
Come abbiamo già notato esiste una forte correlazione tra passioni divine e
generazione elementare. Generalmente i Valentiniani concordano che dalla
conversione si genera l’anima del mondo, il Demiurgo e tutto ciò che di psichico
esiste in natura. Dalle passioni derivano, in gradi e misure differenti a seconda
delle versioni, tutti gli elementi materiali del cosmo. In conclusione è possibile
constatare che dall’esperienza di Sophia inferiore prendono origine tre tipi di
essenze: dalla passione deriva la materia, dalla conversione l’anima e dall’avvento
del Salvatore Gesù lo pneuma. Quest’ultima essenza non può essere quindi
soggetta ad alcun processo generativo da parte di Sophia inferiore, dal momento
che deriva dalla discesa dell’Eone Gesù nello spazio extra – pleromatico. Perciò
Sophia si impegna a formare solo l’essenza psichica, prodotta nell’atto della sua
conversione.
Come è stato precedentemente osservato da Sophia inferiore -Achamoth- non
deriva solo l’essenza psichica, ma anche il Demiurgo, padre e re di tutte le cose
psichiche e materiali. È infatti il Demiurgo ad aver creato il cosmo, guidato, pur
non sapendolo, dalla madre Sophia. Il Demiurgo crea sette cieli al di sopra dei
quali egli risiede. In questo senso il Demiurgo viene definito dai Valentiniani
anche come il ‹‹Luogo del mezzo››26 in quanto si trova in una posizione
intermedia tra la Sophia inferiore e il mondo terreno da lui formato. Risulta qui
doveroso ricordare che in altre versioni valentiniane ‹‹Luogo del mezzo›› sta ad
indicare la posizione intermedia della Sophia inferiore situata tra il Pleroma, da
cui è tenuta fuori, e il Demiurgo, suo figlio e re delle cose materiali.
Il Demiurgo valentiniano conserva quasi tutti i tratti del ‹‹Dio del mondo››
delle altre sètte gnostiche. Egli è assolutamente ignorante nel senso che ignora
completamente non solo l’esistenza del Pleroma, ma addirittura l’esistenza della
Sophia inferiore, sua madre. L’ignoranza del Demiurgo viene però enfatizzata dai
Valentiniani anche sotto un altro aspetto: la creazione del Demiurgo non è frutto
di una qualche forma di conoscenza, anzi egli è assolutamente inconsapevole di
26 Ivi, p. 206.
25
tutto quanto. Il Demiurgo che qui viene descritto è assolutamente ‹‹pazzo, e non
sa quello che fa e quello che produce››27.
Proprio sulla sua estrema ignoranza poggia la seconda caratteristica che il
Demiurgo valentiniano condivide con le altre interpretazioni gnostiche: l’orgoglio
e la presunzione di essere l’unico e supremo Dio. Però, necessitando di una
correzione rivelativa, il Demiurgo viene illuminato dalla gnosi grazie
all’intervento della madre e tramite la sua conoscenza viene portato alla scoperta e
alla consapevolezza di ciò che c’è ed è sopra di lui. Tuttavia il Demiurgo conserva
per sé il mistero del Padre e degli Eoni del Pleroma non comunicandolo ai suoi
profeti. Se ciò avviene per decisione di Sophia inferiore o meno non è specificato
in nessuna delle fonti, tanto che anche Ireneo rimane dubbioso nell’analisi di
questo punto. Quel che risulta evidente è che Sophia inferiore deve per questo
motivo ricorrere ad un agente esterno al mondo e della sua stessa specie divina.
Come nel caso del limite, anche qui è presente la necessità di una creazione ad
hoc per la risoluzione della tragedia divina. L’incarnazione degli Eoni di Cristo e
di Gesù porta alla creazione demiurgica del Gesù storico28. Prima di analizzare la
funzione del Gesù storico all’interno del processo salvifico che pone fine alla
tragedia divina, è opportuno soffermarsi su alcuni aspetti del sistema valentiniano
circa la generazione del cosmo e il Demiurgo.
La creazione del mondo ad opera del Demiurgo introduce il grosso problema se
vi sia o meno un’esposizione platonica celata dietro l’impianto gnostico. Il fatto
che lo gnosticismo utilizzi, al pari dei Padri della Chiesa, gli strumenti filosofici
offerti dal patrimonio greco, non implica affatto che questo riutilizzo coincida tout
court con l’idea greca a cui si riferisce. È plausibile che Valentino conosca il
sistema filosofico platonico ed è altrettanto plausibile che da esso ne tragga
ispirazione. Rimane comunque evidente come pur ispirandosi a Platone, il
Demiurgo valentiniano sia profondamente diverso dal corrispettivo platonico per
scopo, natura e rilevanza. Su quest’aspetto risulta fondamentale l’analisi critica di
Ireneo che cerca di affrontare la delicata questione del rapporto tra Platone e
Valentino:
27 Ivi, p. 207. 28 Ibidem.
26
“Quando il Demiurgo volle inoltre imitare anche la natura senza limiti, esterna, infinita e senza
tempo dell’Ogdoade superiore (gli otto Eoni originari del Pleroma), ma non poteva esprimere la
loro immutabile eternità, essendo egli stesso un prodotto dell’imperfezione, incarnò la loro eternità
in tempi, epoche e gran numero di anni, nell’illusione che con la quantità di tempi avrebbe potuto
rappresentare la loro infinità. Così gli sfuggì la verità e seguì la falsità. Perciò la sua opera passerà
quando i tempi saranno compiuti.” 29
Il problema temporale espresso in questo passo rimanda con tutta evidenza al
ben più celebre brano del Timeo di Platone dove il filosofo ateniese descrive la
creazione del tempo come ‹‹l’immagine mutevole dell’eternità››30. Il fatto che lo
gnosticismo si formi in quel vuoto lasciato dalla tradizione greca non deve
ingannare sulla profonda differenza che distingue la struttura gnostica da quella
platonica. Lo spirito dell’imitazione valentiniana è assolutamente dissimile
dall’originale platonico sia per struttura che per fine. Se il rimando al Timeo è
infatti evidente, sono altrettanti i punti di estrema diversità. Il Demiurgo platonico
è assolutamente consapevole, re del mondo e del cosmo mentre il corrispettivo
valentiniano si trova in una posizione mediana tra Pleroma e mondo terreno che
crea solo dopo una rivelazione gratuita della madre Sophia, comunque esterna al
Pleroma. Che il Demiurgo platonico si basi su un forte dualismo è fur di
discussione, il corrispettivo valentiniano radicalizza il dualismo fino ad esaltare il
senso apocalittico del mito gnostico: il Demiurgo valentiniano è infatti costretto a
perire insieme all’intero cosmo materiale alla fine dei tempi. La creazione
demiurgica è, in Valentino, il peggiore degli inganni. Il Demiurgo crea l’illusoria
trappola dell’Eden, un cosmo assolutamente materiale e psichico, da cui lo
gnostico si allontana perché gratuitamente graziato e redento. Lo gnostico, al
contrario, rappresenta proprio quel principio anarchico e sovvertitore di ogni
ordine e gerarchia che spezza l’illusione della creazione demiurgica per rivelare la
grandiosa trascendenza del Pleroma.
Tornando al sistema valentiniano è ora opportuno affrontare l’ultimo passaggio
del mito gnostico; quello della Salvezza. Le tre essenze presenti in natura sono di
29 Ibidem. 30 Ivi, p. 210.
27
ordine materiale, psichico e spirituale, ma come è stato analizzato
precedentemente, solo le prime due potevano essere formate da Sophia inferiore
dal momento che lo pneuma è della sua stessa natura e discende grazie all’avvento
dell’Eone Gesù. Questa essenza entra e attraversa il mondo materiale tramite la
creazione del Demiurgo, che soffia ed instilla all’interno dell’uomo materiale
l’elemento psichico. L’elemento pneumatico, che la Madre aveva prodotto dalla
visione degli angeli e dall’unione con l’Eone Gesù, non poteva essere conosciuto
dal Demiurgo in quanto sostanza superiore alla propria natura. Sophia inferiore
decide quindi di depositarlo segretamente nel Figlio. Per mezzo di una produzione
inconsapevole il seme spirituale viene depositato nell’anima e nel corpo per essere
qui protetto fino a quando non diviene sufficientemente maturo per ricevere il
Logos. Lo pneuma, per così dire, alberga nel mondo preformandosi in vista
dell’effettiva formazione per mezzo della gnosi. È precisamente questo lo scopo
segreto che Sophia inferiore si propone di raggiungere tramite la creazione
demiurgica.
La gnosi viene infine portata sulla terra, unicamente per gli uomini spirituali
capaci di accoglierla, dal Gesù storico. A questo punto è interessante notare come
la passione del Gesù storico sia in realtà un grande stratagemma cosmico. La
passione reale è infatti il dramma fra Sophia superiore e inferiore. La passione
celeste è ciò che ha reso necessaria la salvezza, non ciò che positivamente ha
portato alla salvezza. Come è assolutamente apparente la passione di Gesù, così è
solo un inganno il peccato originale dell’anima umana. L’unico reale peccato,
prima del tempo e del mondo, è quello dell’Ennoia Sophia, persuasa di
comprendere Abisso, nonché causa sovvertitrice dell’intero ordine divino. La
creazione del cosmo e dell’uomo sono passaggi necessari e propedeutici alla
restaurazione dell’ordine divino e non una creazione benevola del Dio. L’oggetto
della salvezza è la divinità stessa, il suo scopo l’armonia celeste31.
La salvezza finale ha luogo solo quando tutti gli elementi pneumatici hanno
raggiunto la gnosi, perfezionandosi. Solo allora questi spiriti, ormai spogliati
dell’anima e della carne, torneranno con la Madre nel Pleroma che diviene ‹‹la
camera nuziale dove ha luogo il matrimonio della Sophia con Gesù e quello degli
31 Ivi, p. 211.
28
spiriti con gli angeli››. Con ciò la perfezione è definitivamente stabilita e la
violazione originaria completamente riparata. Materia ed anima, espressioni di
quella tragica caduta divina, organizzate nella creazione cosmica del Demiurgo,
cessano così di esistere.
“Come l’ignoranza di una persona, nel momento che essa viene a conoscere scompare
spontaneamente; come la tenebra si dissolve all’apparire della luce, così anche la Deficienza si
dissolve di fronte al fatto della Pienezza. Quindi da quel momento in poi, la Forma non è più
apparente, ma scompare nella fusione con l’Unità – perché ora le loro opere sono divenute uguali
l’una all’altra – nel momento in cui l’Unità perfeziona gli spazi.” 32
È qui opportuno soffermarsi tanto sulla figura del Gesù storico sia sulla
suddivisione in tre classi umane. Nel Cristo crocifisso, sofferente e morente, viene
rivelato il segreto del Dio trascendente di grazia. Il mito valentiniano coincide con
la rivelazione che “nulla di ciò che è umano è estraneo al Dio che ama”. È il Dio a
generare il Figlio, donato agli uomini gratuitamente per chiamarli alla verità
trascendentale, salvandoli dall’inganno demiurgico. Il dualismo teologico che
percorre tutto il sistema valentiniano porta ad un’antropologia divisiva che separa
gli uomini in tre differenti classi. L’opposizione neotestamentaria tra gli uomini
pervasi dallo Spirito Santo e gli uomini naturali viene esasperata nel sistema
valentiniano ove la natura pneumatica definisce una classe di uomini eletti e
redenti in quanto della stessa sostanza divina del Dio. La salvezza è quindi
predestinata per onnipotente volontà del Dio di grazia con cui lo gnostico
condivide ontologicamente la filialità. Ecco la grande differenza che preoccupa i
Padri della Chiesa protocattolica: la Salvezza, essendo predestinata, viene
raggiunta indipendentemente dall’osservanza dei precetti morali. L’obbedienza a
leggi morali viene concepita dai Valentiniani come un’esteriore osservanza di
precetti validi solo all’interno del paradigma demiurgico, illusorio ed ingannevole.
Inoltre, se l’uomo materiale rappresenta la miserabile nudità corporea destinata
alla morte, l’uomo psichico è invece identificato con la più elevata proprietà di
questa stessa creatura materiale, perennemente sospeso tra il nulla della materia e
32 Ivi, p. 212.
29
l’impossibilità di raggiungere la trascendenza dell’uomo spirituale o pneumatico.
L’uomo psichico esercita la sua libertà nell’atto di fede, ma il libero arbitrio viene
qui declassato a forza mediana rivolta verso l’altezza del Pleroma che non può
comprendere perché limitato dalla sua sessa natura inferiore e corporea. La fede
stessa viene degradata a relazione imperfetta e parziale, nonché ancora limitata
legalisticamente all’interno dell’ingannevole cosmo demiurgico. La fede cerca il
Dio di grazia senza avere mai la capacità di coglierlo e, soprattutto, di accoglierlo
in quanto sua filiazione. La gnosi è quindi grazia rivelativia che redime l’uomo
pneumatico e rivela la profonda intimità con la generosità del Padre. Lo gnostico
assume così i tratti dell’anarchico libero in quanto conosce la trappola della
finitezza e della creaturalità, illusorie ed alienanti subordinazioni demiurgiche
negatrici della filialità stessa con Dio.
“ Il cristiano uscito dal battesimo sorride superiore a tutto, capace di disprezzare il mondo,
libero perché ormai riunito a quel pleroma di grazia, che ontologicamente gli appartiene.”
1.3. Il meccanismo dei due dispositivi in Valentino
L’analisi sin qui svolta dell’intero sistema valentiniano rientra, come mostrato
all’inizio di questa ricerca, nel più vasto movimento gnostico. Sono molti i temi
trattati dai Valentiniani, che tornano con decisa frequenza anche nelle altre
dottrine gnostiche dell’epoca. Valentino e la sua speculazione rappresentano però
il tentativo più audace ed estremo di questo movimento. L’intero impianto
ontologico, la minuzia con cui sono descritti i passaggi della tragedia e della
salvezza divina, la complessa struttura cosmogonia e cristologia, nonché
l’immensa elaborazione simbolica sono testimonianza del monumentale sforzo
che i Valentiniani fecero per creare un sistema religioso, indubbiamente
complesso, ma assai solido e sviluppato.
Non è un caso che Valentino e la sua scuola vengano immediatamente presi di
mira dalle chiese apostoliche che proprio in quel momento andavano
espandendosi all’interno dell’impero romano. Lo gnosticismo di Valentino
rappresenta per i Padri della Chiesa il tentativo più pericoloso dell’eresia di
30
conquistare ampie fette di cristiani colti, affascinati dai segreti della teoria e dal
grandioso apparato che la compone33.
L’avversione dei Padri della Chiesa, come quella dimostrata da Ireneo prima e
da Tertulliano dopo, non è solo emblematica di un rischio, quello eretico,
tangibile ed effettivo. Il problema che costoro rilevano nel mito gnostico
valentiniano è una questione di ben più vasta portata, che riguarda gli gnostici in
particolare ed il cristianesimo primitivo in generale. La speculazione valentiniana
è presa come esempio lampante di un rischio più grande: l’escatologia,
sovvertitrice di ogni ordine, è qui ontologicamente estremizzata. Il dualismo
ontoteologico valentiniano non può che essere apertamente osteggiato dalla
teologia protocattolica e dai padri apologeti. È infatti innegabile che Valentino e le
sètte gnostiche, che in linea generale rappresenta, fanno abbondante uso di un
sistema ontologico sofisticato ed imponente, ma questo ha senso solo alla luce
della rivelazione storica del Cristo morto sulla croce e del kerygma originario. Il
messaggio escatologico, carismatico, kenotico del Cristo storico irrompe nella
storia degli uomini con una potenza dirompente. Il movimento gnostico si
sviluppa a partire dall’accadimento storico della venuta di Cristo. A differenza del
cristianesimo del II secolo d.C. però il mito gnostico rimane, paradossalmente,
legato ed in continuità con i maggiori temi del cristianesimo primitivo
caratterizzato da una profonda escatologia . Il complesso intreccio che sta alla
base dello gnosticismo non implica che il kerygma originario venga imbrigliato
all’interno di una struttura archeo – ontologica, piuttosto questo risulta rafforzato
ed esaltato proprio in virtù dell’apparato ontoteologico.
In effetti come si evince dalla valutazione del sistema valentiniano, al termine
del processo di salvezza, l’importanza dell’avvento escatologico di Gesù viene
addirittura estremizzato in un intimità ontologica e filiale dello gnostico con il Dio
di grazia. La stessa gnosi, lungi dall’essere un mero strumento conoscitivo, viene
innalzata a strumento redentivo ed elettivo. La stessa struttura valentiniana, che si
fonda sulla caduta divina a causa di un peccato avvenuto nel regno delle divinità,
porta ad una conclusione paradossalmente in continuità con quella contenuta nel
33 Tertulliano, Contro gli eretici, Città Nuova Editrice, Roma 2002. p. 16.
31
kerygma originario, dove si palesa un Dio assolutamente buono e generoso che
dona gratuitamente un figlio divino, redentore e salvatore.
Se l’avvento di Cristo annuncia la venuta di un Nuovo regno di Dio, la
speculazione valentiniana, pur inserendo il peccato in una grandiosa tragedia
divina interna al Pleroma, radicalizza il kerygma tramite il dualismo ontologico e
la divisione degli uomini in pneumatici, gli eletti del Nuovo regno, psichici, dotati
del solo libero arbitrio, e materiali, che scompariranno con tutta la materia a
seguito dell’apocalisse e della ritrovata armonia all’interno del Pleroma.
Insomma, l’evento di grazia non viene affatto negato dai Valentiniani, eppure
ontologizzato nel grandioso mito gnostico, dunque paradossalmente proclamato
come fondamento del mistero di Dio e della rivelazione di Cristo. E’ opportuno
fare un’altra precisazione circa la metodologia utilizzata dai Valentiniani. Che lo
gnosticismo sia un risultato sincretico di più componenti è dato certo. Che gli
gnostici riprendano l’originaria nozione giudaica di elezione appare
sufficientemente chiaro, ma il fatto che questa venga assolutizzata fino alla
filialità con Dio, provoca un movimento teogonico che genera un Figlio – Uomo,
non solo persino carnale, ma addirittura fragile, peccatore, mortale. Dall’altro lato
però la nozione di grazia viene inserita in un paradigma dualistico tale da risultare
addirittura separata, e quindi consumata all’interno di un sistema che rimane
platonico o neoplatonico.
La novità del dono finisce per coincidere con la riscoperta della propria filialità
con Dio e della propria natura “sovrastorica”, sicché l’eversiva gratuità di grazia
diviene reminescenza platonica, ricordo della propria nascosta identità. La
conseguenza diretta di questa relazione tra platonismo e gnosticismo ha portato i
Padri della Chiesa ad avvalorare l’idea che non solo gli gnostici avessero distorto
il messaggio di Cristo nelle loro speculazioni mitologiche, ma che questo risultato
fosse stato ottenuto anche con gli strumenti che la filosofia greca e pagana aveva
donato loro. Tertulliano in particolare è assai critico su questo punto e, come
vedremo in seguito, non nasconde una profonda avversione nei confronti della
filosofia colpevole di aiutare i Valentiniani nella loro distruzione del messaggio
originale di Gesù34. Al di là delle critiche che gli apologeti rivolsero agli gnostici,
34 Tertulliano, Contro gli eretici, Città Nuova Editrice, Roma 2002. pp. 35 – 37.
32
è qui importante sottolineare proprio il delicato intreccio dei due dispositivi
esposti in precedenza. Lungi dal distorcere il kerygma primitivo, i Valentiniani si
collocano in estrema continuità con la logica eversiva del dono, con il senso
escatologico e apocalittico dei primi scritti neotestamentari, nonché con
l’avversione a qualsiasi ordine gerarchicamente costituito. Il dualismo ontologico
su cui si struttura l’intero sistema valentiniano enfatizza l’avversione escatologica,
anarchica, carismatica del Dio gratuito del Nuovo Testamento.
Si potrebbero fare altri innumerevoli esempi di differenze sostanziali tra
dottrina valentiniana e cristianesimo, ma quello che a questo punto è importante
sottolineare è lo stretto legame che intercorre tra i due dispositivi e la speculazione
valentiniana, per poi confrontare, solo in seconda battuta, questo risultato con il
differente intreccio proposto dai Padri della Chiesa e, nello specifico, da
Tertulliano. È stato osservato come la storia del cristianesimo poggi sul
meccanismo del doppio dispositivo, kenotico-carismatico da un lato, archeo –
ontologico dall’altro: dopo una prima fase neotestamentaria, povera
filosoficamente e teologicamente, sul finire del II secolo d.C. si è reso necessario
l’utilizzo del dispositivo archeo – ontologico. Valentino e Tertulliano, gli gnostici
e i padri apologeti, utilizzano entrambe il dispositivo archeo – ontologico e
politico, ma le risposte cui approdano sono profondamente differenti, come
diversi sono gli scopi che determinano queste risposte. Così, malgrado la
mitizzazione speculativa ontoteologica cui i Valentiniani sottopongono il
kerygma, essi sono da considerarsi in paradossale continuità con l’annuncio di
grazia escatologico e carismatico. In Valentino si assiste ad una paradossale
ontologizzazione del dono di grazia in cui il dispositivo archeo – ontologico
s’intreccia con la dirompente forza del dispositivo escatologico e carismatico.
Come è stato osservato in precedenza il meccanismo dei due dispositivi prevede
l’inscindibilità dell’uno dall’altro: malgrado subordinato, un dispositivo non potrà
mai annullare l’altro. Ciò risulta evidente anche nel sistema valentiniano dove
questa continua e paradossale oscillazione tra l’eversione della grazia e il libero
determinarsi dell’uomo è un tratto distintivo di tutto il sistema teologico.
È chiaro che i Valentiniani, rimanendo in continuità con la novità escatologica,
prediligano l’onnipotenza del Dio di grazia rispetto al libero arbitrio, ma questo,
33
lungi dall’essere misconosciuto, diviene fondamento, pur mediato e subordinato,
dell’uomo psichico. In conclusione il mito speculativo gnostico traduce in eoni la
dottrina della giustificazione, radicalizzandone il dualismo e affiancando una
cristologia elaborata e complessa.
Se in Valentino l’accento è posto sul dispositivo escatologico e sull’importanza
della gratuità del dono di grazia, pur utilizzando anche il dispositivo archeo –
ontologico per la creazione del grande mito speculativo, in Tertulliano il discorso
cambia radicalmente. Come Valentino anche Tertulliano si cimenta con la
problematicità del rapporto tra dono di grazia e libero arbitrio, ma le risposte cui
approda portano a risultati completamente diversi da quelli ora esposti in
riferimento al sistema valentiniano. Tertulliano è uno dei padri apologeti più
rilevanti della storia della Chiesa tanto che lo sviluppo del concetto di trinità si
deve al suo imponente lavoro teologico. La sua proposta, indispensabile per la
formazione della chiesa protocattolica, non solo differisce da quella di Valentino,
ma vi si oppone su più fronti. Preme qui sottolineare come tale opposizione non è
caratterizzata da una mera avversione teologica, ma, al contrario, evidenzia ancora
una volta la molteplicità d’intrecci dei due dispositivi. Se l’avversione di
Tertulliano si riducesse ad un differente impianto teologico, si rischierebbe di non
rendere giustizia a questa appassionata disputa, molto più profonda in quanto
tocca i delicati temi della relazione tra grazia e libero arbitrio, della continuità tra
Antico e Nuovo Testamento, del rapporto con l’escatologia e il carisma del
kerygma e del sistema ontoteologico utilizzato.
Il radicale dualismo marcionita e valentiniano, l’escatologia portata sino alla
filialità ontologica con la divinità, il senso apocalittico ed eversivo, nonché la non
curanza dei precetti morali sono i maggiori temi cui Tertulliano dedica aspre
critiche e cerca di confutare. La novità del kerygma originario viene
ridimensionata e pensata in sostanziale continuità con l’Antico Testamento, il
senso apocalittico ed elettivo viene mediato in favore dell’importanza della Chiesa
in quanto struttura gerarchica e depositaria della verità di Dio, l’anarchia del
messaggio primordiale viene limitata legalisticamente all’interno di un ristretto
numero di precetti ed obblighi morali. È dunque chiaro come Tertulliano, almeno
in una prima fase, ponga l’accento sul dispositivo archeo – ontologico e politico,
34
pur non eliminando il corrispettivo escatologico. Il libero arbitrio diviene
fondamentale in quanto immagine e somiglianza della divinità, a scapito
dell’onnipotente volontà di Dio, ridimensionata e relativizzata. Con queste
premesse la relazione con i Valentiniani non può che risultare problematica. Certo
non è possibile affermare che nella produzione teologica di Tertulliano
l’escatologia e il carisma primitivo siano del tutto scomparsi. Indubbiamente essi
sono subordinati all’urgenza legalistica, ma nient’affatto svaniti.
È chiaro che lo scopo principale di Tertulliano, in quanto Padre apologeta, sia
difendere la Chiesa e la sua tradizione. È altrettanto evidente che questa difesa
poggi su una proposta teologica decisamente ridimensionata rispetto
all’entusiasmo eversivo della produzione neotestamentaria. Il fatto che
Tertulliano, sulla scia di Ireneo e Giustino, proponga una teologia del libero
arbitrio, della continuità tra legge e grazia, della disciplina pedagogica e morale,
non implica che la dimensione escatologica risulti completamente assente. In
Tertulliano la Legge è già grazia e non rivela, come per gli gnostici, un’identità
divina sovrastorica. La legge è grazia perché educa progressivamente la creatura
ad una profonda intimità con Dio. La legge, offerta una prima volta ad Adamo e
da lui smarrita, viene donata una seconda volta con la rivelazione di grazia di
cristo. Inoltre grazie al libero arbitrio la creatura può scegliere se obbedire o meno
alla Legge, può decidere se volgersi al bene o al male.
Certamente il libero arbitrio è un limite all’eccedenza del dono e distingue
nettamente il credente di Tertulliano, impegnato pedagogicamente in una
disciplina salvifica capace di redimerlo definitivamente, dall’eletto valentiniano,
poco attento a qualsiasi disciplina perché già ontologicamente in possesso della
Salvezza. Tuttavia, seppur ridimensionato, l’orizzonte escatologico non è
assolutamente scomparso: il libero arbitrio rimane il dono supremo che Dio ha
concesso alla sua immagine creata, la sola degna di riflettere la potenza del Dio
creatore. La forza della ragione è tale che la creatura può servirsene persino per
emanciparsi dalla stessa divinità. La grazia di Dio è dunque certamente ridotta, ma
nient’affatto eliminata.
35
Capitolo secondo
Tertulliano tra ortodossia e montanismo
2.1. Vita e contesto storico:
Quinto Settimo Fiorente Tertulliano nacque tra il 155 d.C. e il 160 d.C. a
Cartagine. Dalle fonti e dalle testimonianze pare che il padre fosse centurione al
servizio del proconsole d’Africa. Tertulliano ebbe un’educazione assolutamente
romana, studiando lettere e sviluppando una buona conoscenza retorica e
giuridica. Prima del 197 d.C., alcuni sostengono addirittura nel 190 d.C. , si
convertì dal paganesimo al cristianesimo, diventando prete. Circa a metà della sua
vita si allontanò dal cristianesimo cattolico per avvicinarsi al montanismo, di cui
entrò a far definitivamente parte intorno al 213 d.C.35 .
All’interno della sètta dei montanisti pare che Tertulliano divenne ben presto
figura di rilievo e personaggio di spicco tanto da creare una propria corrente
all’interno del movimento religioso. Tertulliano morì circa nel 230 d.C. ma le
fonti sono scarse e le testimonianze discordi. Quello che sappiamo di lui proviene
direttamente dai suoi innumerevoli scritti. Proprio dall’analisi di questi testi è
possibile descrivere Tertulliano come figura assai complessa e poliedrica.
Tertulliano non può infatti essere definito né filosofo, né asceta, né retore36. La
peculiarità di Tertulliano è quella di percepire, facendo propri, molti fra questi
aspetti, senza peraltro abbracciarne uno in maniera totalitaria e definitiva. È però
possibile affermare con certezza che tutta la sua produzione ha carattere polemico
e apologeta. Tertulliano, fin dalla sua conversione al cristianesimo, si colloca su
posizioni profondamente moraliste e sviluppa un pensiero chiaramente ortodosso
ed intransigente. La polemica apologetica e anti - eretica viene affrontata da
Tertulliano in modo singolare, distinguendosi anche per questo motivo dagli altri
Padri della Chiesa. La sua intolleranza nei confronti di gnostici ed eretici lo porta
a strutturare l’opera apologetica su vari e differenti piani: ora giuridico, ora
satirico – letterario, senza mai affrontare l’avversario sul piano prettamente
35 Il pensiero di Q.S.F. Tertulliano, a cura di P. Zama, R. Barabba Editore, Lanciano 2010. p. 5. 36 Ivi, p. 7.
36
teologico. Questa personalissima scelta, lungi dal celare una eventuale e presunta
ignoranza di Tertulliano in materia teologica, è frutto di un pensiero consapevole
e apertamente polemico che nega sin dal principio all’avversario il diritto di
dibattere su un piano conoscitivo che giuridicamente - secondo Tertulliano -, non
gli appartiene. Questo punto verrà affrontato successivamente in maniera più
dettagliata. allo stato attuale serve unicamente a sottolineare ed evidenziare
l’assoluta specificità del pensatore cartaginese.
Il fatto che Tertulliano sia un personaggio assolutamente poliedrico trova
giustificazione seguendo due direttrici: la prima che indaga il contesto storico nel
quale egli vive e si forma, la seconda che analizza le vicende personali dell’autore
evidenziando tre singoli, differenti momenti: quello cristiano, pre – montanista ed
infine definitivamente montanista.
Per ciò che riguarda il primo aspetto è d’obbligo la contestualizzazione storica
di Tertulliano. Come detto in precedenza il II secolo d.C. è un periodo di grande
fermento spirituale. Il cristianesimo non è stato ancora accettato come religione
avente diritto di culto nell’impero romano, ciò nonostante vive un periodo di
relativa tolleranza. La parte orientale dell’impero romano, nello specifico le
regioni dell’Egitto, Palestina e Siria, sono pervase da un profondo rinnovamento
anche dal punto di vista culturale: il vento dell’ellenizzazione soffia ora dal vicino
Oriente verso le regioni del mediterraneo orientale; la filosofia neo e medio
platonica si diffonde rapidamente nelle scuole e nelle classi colte della
popolazione; la vicenda di Cristo, lungi dall’essere un fenomeno isolato
all’interno della piccola comunità cristiana, agita la gran parte della popolazione
orientale dell’impero. In questo periodo storico apparentemente caotico, ma
culturalmente e spiritualmente estremamente produttivo, come testimoniano il
fiorire di scuole, dottrine e sètte, la comunità cristiana, inizialmente perseguitata,
cerca di formare una propria e solida struttura37.
Tertulliano nasce in un contesto dove il tentativo cristiano di dare una struttura
capillare alla propria comunità ha già portato alla creazione e formazione di
importanti chiese come quella Romana e, appunto, quella cartaginese. Inoltre non
è un dato da sottovalutare il fatto che sul finire del II secolo d.C. la religione
37 Hans Jonas, Lo gnosticismo, Società editrice internazionale, Torino 1991, p. 51.
37
cristiana sia ormai ampiamente diffusa e strutturata in maniera autonoma.
Nonostante Tertulliano operi solo qualche decennio dopo la morte di Valentino,
ciò non implica che il contesto non sia già sufficientemente cambiato. Le chiese
apostoliche, che fin da principio si proclamavano autentiche ed uniche discendenti
degli apostoli e del messaggio di Gesù, debbono, sul finire del secolo, combattere
contro il pullulare di eresie e movimenti gnostici, originatisi dalla scia del
cristianesimo. Non è quindi casuale che i primi Padri apologeti, prima ancora di
convincere e tentare di convertire i romani pagani, abbiano il dichiarato intento di
difendere la religione cristiana, nella sua forma più autentica38. La missione
apologetica dei Padri della chiesa è dunque paradossalmente rivolta soprattutto
verso coloro che sono già cristiani, che vanno messi in guardia dal pericolo eretico
e gnostico ancor prima che dalla persecuzione pagana.
Le posizioni ortodosse, moraliste ed intransigenti dei Padri della chiesa
evidenziano solo la necessità di tutelare un patrimonio conquistato e che a fatica si
stava erigendo. Tertulliano, che occupa un posto importante tra i Padri apologeti,
non è estraneo a questo contesto e tutta la sua produzione è volta ad una strenua e
serrata difesa del cristianesimo con tutti gli strumenti e i mezzi necessari. Questo
può spiegare il motivo che porta Tertulliano ad essere figura assolutamente
poliedrica e di difficile collocazione. Egli, forse meglio di altri, riassume con la
sua opera, lo strenuo tentativo di rintracciare ed utilizzare tutti gli strumenti
disponibili atti a creare un’apologia perfetta. La passione giuridica, l’attenzione
letteraria e teatrale, lo studio delle dottrine degli avversari gnostici, l’adesione al
montanismo e l’avversione alla filosofia sono tutti tratti espressione di una chiara
volontà apologeta volta ad affinare tutte le proprie conoscenze , il proprio sapere
per la difesa dell’autentico cristianesimo.
Anche le vicende personali della vita di Tertulliano concorrono alla definizione
di persona poliedrica ed allo steso tempo di difficile collocazione. In effetti è
possibile schematizzare la vita di Tertulliano in tre periodi: il primo, dal 197 d.C.
al 207 d.C. circa, è il periodo dichiaratamente cristiano; il secondo, dal 207 d.C. al
212 – 213 d.C. circa, coincide con il primo contatto con la sètta montanista e il
terzo, dal 213 d.c. fino al 220 d.C. circa, corrisponde alla definitiva adesione al
38 Tertulliano, Contro le eresie, Città nuova editrice, Roma 2002. pp. 15 – 16.
38
montanismo39. Occorre specificare che questo costante avvicinamento al
montanismo, ed il conseguente abbandono delle posizioni cristiane, è frutto della
medesima missione apologetica che Tertulliano intende perseguire. Il passaggio
da cristianesimo a montanismo non deve essere quindi letto ed interpretato come
una frattura spirituale, ma come un iter coerente verso una apologia del messaggio
di Gesù sempre più radicale e polemica nei confronti di eretici e gnostici.
Il nemico principale di Tertulliano è Marcione, fautore di un dualismo radicale,
ma anche la scuola valentiniana che, come è stato spiegato precedentemente,
costituisce il tentativo più audace ed, allo stesso tempo riuscito, della speculazione
gnostica, viene apertamente criticata. E’ opportuno evidenziare che ai tre periodi
della vita di Tertulliano, cui si è appena fatto riferimento, corrispondono anche tre
diversi metodi di apologia e di critica. Nella prima fase Tertulliano combatte
l’avversario valentiniano sul piano giuridico, negando loro alcun diritto sulle
Sacre Scritture40. L’intera opera De Praescriptione Haereticorum è basata su
questo tipo di confutazione. L’idea di fondo che anima questo primo periodo è che
l’economia neotestamentaria, lungi dall’essere interpretata come novità eversiva
ed escatologica, venga interpretata come “buon consiglio”; monito suasivo che
esorto l’uomo a rivolgere il proprio libero arbitrio verso il bene. La grazia viene
così fatta dipendere dalla capacità etica umana, subordinando il messaggio
kerygmatico ad una vera e propria disciplina morale legalisticamente intesa. Il
dono supremo di Dio è aver concesso il libero arbitrio alla creatura umana, fatta
così a sua immagine e somiglianza. Si può quindi comprendere come l’intento di
Tertulliano sia profondamente diverso da quello di Marcione e di Valentino. Il
dispositivo escatologico viene ridimensionato e subordinato, senza per questo
scomparire, a quello archeo – ontologico e politico. Nello stesso periodo infatti,
Tertulliano sviluppa una ‹‹trinitas animae››, interpretabile moralmente e non
ontologicamente, proprio opponendosi ai Valentiniani. Ad essere qui esaltato è
l’elemento psichico, unico e naturale strumento umano capace tanto di avere fede,
quanto di volgersi al bene. La stessa critica radicale del dualismo marcionita e
valentiniano passa per una dura critica antiplatonica che dimostra l’immensa
39 Il pensiero di Q.S.F. Tertulliano, a cura di P. Zama, R. Barabba Editore, Lanciano 2010. pp.
10 – 11. 40 Tertulliano, Contro le eresie, Città nuova editrice, Roma 2002. pp. 10 – 11.
39
conoscenza e abilità teologica di Tertulliano. La rivelazione salvifica si risolve
nell’adesione ad una ferrea disciplina morale, in una continua esortazione
pedagogica alla libertà di scelta umana, fino ad adeguarsi al suo modello eterno e
divino.
Il Dio di grazia valentiniano e marcionita rivelava la sua natura come
eccedenza eversiva a qualsiasi ordine, il Dio protocattolico di Tertulliano
armonizza grazia e giustizia, dono e legge, rivelazione ed educazione. Risulta
evidente la profonda differenza che distingue Tertulliano da Valentino: il
dispositivo archeo – ontologico non porta affatto ad un’esaltazione dei temi
escatologici e neotestamentari. La sistematica razionalizzazione del dono di grazia
evidenzia anzi la subordinazione di questa al libero arbitrio; la grazia di Dio viene
certamente ridotta, ma nient’affatto eliminata.
Il dispositivo archeo – ontologico che Tertulliano utilizza non elimina la
rilevanza di quello carismatico: la bontà di Dio è tale che fa persino violenza a sé
stessa, ritirandosi dalla sua funzione di giudice per amore della sua creatura, anche
a costo di apparire impotente o severo. In conclusione la proposta protocattolica di
Tertulliano si basa sull’importanza della libertà di coscienza dell’individuo
dimostrando così come la grazia non contraddice affatto la Legge dell’Antico
testamento, ma, anzi, la compie dal momento che il dono deve perfezionarsi
nell’esercizio della disciplina di fede.
Nella fase pre – montanista Tertulliano scrive l’Adversus Valentinianos.
Questo scritto, che verrà analizzato in dettaglio, è utile non solo per comprendere
il passaggio di Tertulliano dal cristianesimo al montanismo, ma soprattutto per
comprendere nel dettaglio l’interpretazione della dottrina valentiniana. La
struttura dell’Adversus Valentinianos si rifà quasi completamente all’ Adversus
haereses di Ireneo da Lione. Le tematiche trattate e l’analisi del sistema
valentiniano si ispirano con estrema chiarezza allo scritto di Ireneo, ma
Tertulliano sviluppa una propria metodologia critica colpendo i Valentiniani con
gli strumenti della satira, dell’ironia e della letteratura41 dietro cui si cela un
imponente critica teologica. Proprio nell’adozione di questo metodo polemico è
possibile rilevare il cambiamento a livello spirituale che porta Tertulliano ad
41 Giuliano Chiapparini, Valentino gnostico e platonico, Vita e pensiero, Milano 2012. p. 29.
40
avvicinarsi al montanismo. L’ortodossia e l’intransigenza morale del periodo
protocattolico non scompaiono affatto, ma anzi vengono riproposti con maggior
vigore dietro la pungente satira teologica che ispira tutta l’opera.
In un terzo momento Tertulliano si converte definitivamente alla sètta
montanista, caratterizzata tanto dalle posizioni intransigenti professate dal
teologo cartaginese, quanto da una maggior tendenza escatologica rispetto alla
proposta protocattolica. La conversione al montanismo, in continuità con le
posizione moralistiche sostenute con veemenza del teologo cartaginese, è
l’inevitabile esito “di un’opzione rigoristica sempre più radicalizzatasi”. La
disciplina di fede cui Tertulliano approda nei due periodi precedenti diviene la
premessa teologica per un recupero della dimensione escatologica e carismatica
prima subordinata. Questo aspetto verrà analizzato in dettaglio successivamente,
ci basti qui notare che le opere di esaltazione del martirio come il De fuga in
persecuzione e le opere più moraliste come il De Monogamia o il De pudicizia
evidenziano un inevitabile riavvicinamento al paradigma escatologico –
carismatico42, senza tuttavia eliminare l’idea di una rigida disciplina di fede.
L’intera produzione di Tertulliano, dedicata alla difesa del cristianesimo contro le
eresie, porta come conseguenza paradossale alla conversione al montanismo, dove
ad essere ripreso è il dispositivo kenotico ed escatologico, e ad essere subordinato,
ma nient’affatto eliminato, quello archeo – ontologico. Occorre quindi analizzare
tutte e tre le fasi dell’interpretazione polemica dell’opera di Valentino per cogliere
il lento e paradossale cambiamento della posizione di Tertulliano.
2.2. Il periodo protocattolico: il De Praescriptione Haereticorum:
Il termine “eresia” proviene dal greco hairesis che sta ad indicare la “scelta
personale” di una determinata dottrina. L’eresia è quindi la scelta di una dottrina
religiosa all’interno dell’insegnamento cristiano. Gli eretici insegnano dunque una
dottrina che non è quella della Chiesa e conseguentemente che non è nemmeno
quella di Cristo, perché solo la Chiesa possiede la conoscenza del kerygma
primordiale.
42 Elémire Zolla, I mistici dell’occidente vol.I, Adelphi, Milano 2010. p. 264.
41
Tertulliano dedica l’intera vita a smascherare e combattere le eresie interne ed
esterne al cristianesimo. Nella fase della sua vita che va dal 197 d.C. al 207 d.C.
circa, Tertulliano è un convinto ed ortodosso sostenitore della Chiesa. Nell’opera
De Praescriptione Haereticorum l’autore sostiene che l’insegnamento cristiano
della chiesa derivi direttamente dagli apostoli e da Cristo per tradizione43. Si tratta
di un insegnamento che risale alle origini ed è comune a tutte le Chiese. Pertanto
siccome le Chiese hanno origine apostolica, sono tra loro sorelle come accade tra
la Chiesa di Roma e quella di Cartagine, tra quella di Atene e di Efeso. Lo scopo
fondamentale dell’opera è quello di difendere l’unione delle Chiese a partire dalla
loro tradizione apostolica.
Che cosa sia la tradizione cristiana è una riflessione che si sviluppa già nei
secoli precedenti a Tertulliano, ma solo con lui si approda ad una definizione
organica e complessiva, essenziale per tutta la patristica del II secolo d.C. . Gran
parte dell’opera De Praescriptione Haereticorum è incentrata sulla difesa della
tradizione contro l’eresia e lo gnosticismo valentiniano. L’intera confutazione
poggia su un assunto teorico fondamentale: la verità dell’insegnamento non può
essere in possesso di chi ignora o, peggio, distorce la tradizione. Prima di
Tertulliano anche Ireneo nell’ Adversus haereses aveva teorizzato l’esistenza di
una tradizione squisitamente apostolica che sta alla base e determina la veridicità
dell’insegnamento44.
“Dunque, la tradizione degli apostoli, che è stata manifestata in tutto il mondo, la possono
vedere in ogni chiesa coloro che vogliono vedere la verità, e noi possiamo enumerare nelle varie
chiese quei vescovi che sono stati istituiti dagli apostoli, e le loro successioni fino ai nostri
tempi.” 45
La tradizione coincide quindi con la trasmissione dell’autentica parola di Dio.
La fede è stata trasmessa dagli apostoli ai vescovi e ai loro successori. Ecco
palesarsi il secondo aspetto della tradizione: essa discende dagli apostoli fino ai
43 Tertulliano, Contro le eresie, Città nuova editrice, Roma 2002. pp. 6 – 7. 44 Giuliano Chiapparini, Valentino gnostico e platonico, Vita e pensiero, Milano 2012. p. 46. 45 Tertulliano, Contro le eresie, Città nuova editrice, Roma 2002. p. 7.
42
vescovi. In una chiesa attraversata da diverse correnti eterogenee e colpita dalle
eresie, bisogna essere in grado di orientarsi individuando chi conserva
autenticamente la parola e la fede in Dio. La stretta connessione temporale tra
apostoli e vescovi permette che il messaggio cristiano si conservi, trasmettendosi
intatto, per successione.
Tertulliano riprende la riflessione di Ireneo sopra descritta, ma il tema assume
nella sua trattazione una differente rilevanza. Tertulliano non è il primo apologeta
a formulare una dottrina organica e complessiva sulla tradizione, ma a differenza
di Ireneo, inserisce il concetto di tradizione all’interno di un sistema chiaramente
giuridico. Egli ha quindi cercato di dare una valenza giuridica al concetto di
tradizione. Tertulliano riprende a piene mani la formulazione di Ireneo circa
l’importanza della successione apostolica dei vescovi, utilizzando però lo
strumento tecnico – giuridico della ‹‹praescriptio›› o prescrizione, termine che
compare già nel titolo dell’opera facendo così chiaro riferimento al diritto
romano46.
Pertanto è necessario spiegare che cosa sono giuridicamente le prescrizioni e
fino a che punto tale norma legale entri nel discorso religioso dell’autore,
soprattutto per ciò che concerne la violenta polemica contro i Valentiniani.
Nel diritto romano, il pretore incaricato dell’amministrazione giuridica, e
quindi, della preparazione del processo, inviava al giudice la cosiddetta
‹‹formula››, la quale conteneva le condizioni indispensabili e necessarie cui
attenersi per il regolare svolgimento del processo. Questo procedimento prende
nome di ‹‹intentio›› tramite cui, per l’appunto, si “intendeva” un processo.
All’interno di questo quadro giuridico le ‹‹Praescriptiones›› erano delle clausole
che potevano essere utilizzate tanto dall’accusato, quanto dall’accusatore, per
favorire la propria posizione. Il loro intento è quello di sollevare delle obiezioni,
di modo che un nuovo principio giuridico si opponesse a quello dell’‹‹intentio››47.
Una delle prescrizioni più utilizzate in epoca romana era la ‹‹longi temporis
praescriptio›› ovvero la “prescrizione dovuta alla lunghezza del tempo trascorso”;
essa permetteva a colui che possedeva qualche bene, a parer di altri in modo
46 Ivi, p. 11. 47 Ibidem.
43
illegale, di respingere l’azione giuridica qualora egli avesse posseduto tale bene
per un determinato periodo di tempo fissato dalla legge.
Tertulliano utilizza proprio la norma della ‹‹longi temporis praescriptio›› per
applicarla alla polemica antieretica e anti – valentiniana. L’argomento che
Tertulliano intende affrontare, ricorrendo all’espediente delle prescrizioni, è il
seguente: a chi spetta legittimamente il possesso delle scritture? Agli eretici o agli
ortodossi? La grande differenza d’intenti e proponimenti con Ireneo sta proprio in
questa formulazione giuridica. Prima di affrontare gli eretici sul piano religioso e
teologico, Tertulliano intende, sin da principio, dimostrare che essi non hanno
diritto alcuno di basarsi sulle Sacre Scritture. Per questo motivo Tertulliano insiste
molto sull’anteriorità cronologica della Grande Chiesa in opposizione alla recente
fioritura gnostica. L’anteriorità temporale della Chiesa apostolica rispetto alle
sètte eretiche e alla scuola valentiniana non si risolve solo in un mero dato
cronologico; essa ha soprattutto valore storico e valenza giuridica, perché
testimonia tanto l’esistenza della tradizione cristiana quanto, soprattutto, il suo
legittimo possesso delle Scritture. Le chiese apostoliche e non quelle eretiche sono
le dirette depositarie della verità e del messaccio di Cristo. Solo in questo modo
Tertulliano può trasformare la polemica con gli eretici, da dottrinale come è in
Ireneo, in discussione di carattere storico e giuridico.
L’utilizzo del concetto di tradizione e l’impiego dello strumento giuridico sono
aspetti importanti su cui vale la pena soffermarsi. Il fatto che Tertulliano attinga a
piene mani dal diritto romano testimonia quanto sia rilevante l’impianto legalista
della sua teologia. Precedentemente è stato espresso come la facoltà del libero
arbitrio si strutturi in una vera e propria disciplina pedagogica di fede.
L’utilizzo dello strumento giuridico sottolinea come questa tendenza archeo –
ontologica sia indispensabile anche nella polemica antignostica. Il fatto stesso che
Tertulliano utilizzi la longi temporis praescriptio per definire una tradizione
cristiana dimostra come la forma giuridica, più che essere concepita come
strumento della confutazione, sia invece una necessità di carattere teologico. Il
concetto stesso di tradizione ripropone quel tentativo di armonizzare grazia e
legge cui si faceva riferimento precedentemente. Il kerygma viene mediato e
ridimensionato, pensato in continuità con la legge dell’Antico testamento.
44
La necessità giuridica di difendere la tradizione cattolica evidenzia anche la
necessità teologica di ridimensionare l’escatologica all’interno della tradizione
gerarchica della Chiesa. La novità del regno di Dio viene armonizzata nella
tradizione della chiesa cristiana.
Il motivo per cui Tertulliano utilizza lo strumento giuridico è chiaramente
spiegato anche dallo stesso autore. Affrontare gli eretici e i Valentiniani sul piano
teorico e dottrinale poteva, potenzialmente, aprire il rischio di una discussione
infinita e fine a sé stessa dal momento che la Grande Chiesa e le sètte minori non
avrebbero mai accettato l’una i presupposti degli altri 48. Era quindi urgente ed
indispensabile introdurre uno strumento metodologico esterno alla discussione
teorica-dottrinale, ma non indipendente da essa; metodo che Tertulliano, educato
sin da giovane alla conoscenza giuridica, non poteva che trovare nel diritto
romano. Per Tertulliano è dunque evidente che il metodo della prescrizione è
sufficiente a tutelare la Chiesa dalla minaccia eretica, la quale viene
semplicemente espulsa da ogni dibattito interno al cristianesimo. Tuttavia il finale
dell’opera contraddice questa apparente certezza e rimette in discussione la
validità aprioristica della prescrizione49.
Tertulliano ammette infatti che in successive opere dovrà trattare caso per caso
le varie sètte eretiche e gnostiche. Quest’ultima promessa d’intenti viene poi
effettivamente portata a termine negli anni seguenti con la stesura delle opere
contro Ermogene, Marcione e Valentino.
Sono però due i temi che vale la pena approfondire nel contesto del De
Praescriptione Haereticorum. Il primo aspetto concerne l’inizio del rapporto
conflittuale con i Valentiniani. Tertulliano, che come abbiamo dimostrato in
precedenza è un attento lettore di Ireneo, conosce, direttamente o indirettamente,
la sètta dei Valentiniani. Il fatto stesso che sul finire dell’opera affermi di voler
scrivere delle opere polemiche contro l’eretico Valentino, testimonia che già nella
prima fase della sua produzione Tertulliano conosce la speculazione valentiniana
e sa altrettanto bene che i risultati di questo sistema non possono che portare ad
una dichiarata ostilità.
48 Ivi, p. 15. 49 Ivi, p. 92.
45
È quindi indubbio che già nella prima fase della sua produzione Tertulliano
conoscesse i pericoli concreti della diffusione dello gnosticismo valentiniano e
conoscesse altrettanto bene la profonda differenza teologica che ispira la proposta
di Valentino, troppo eversivo e settario per la chiesa protocattolica. Pare quindi
probabile che dopo la stesura del De Praescriptione Haereticorum Tertulliano
cercasse di accrescere la propria conoscenza della dottrina valentiniana per
addentarsi nella polemica con maggior vigore. Lo studio di Ireneo, nemico giurato
di Valentino, ha permesso a Tertulliano di affinare la propria conoscenza e con
essa la portata critica e polemica. Come vedremo in seguito, la genesi dell’
Adversus Valentinianos deve indubbiamente tanto alla precedente opera di Ireneo,
ma il fatto che l’opera di Tertulliano si collochi nel periodo pre – montanista
dell’autore, porta ad interpretazioni e critiche assai differenti. Per dimostrare che il
rapporto conflittuale tra Tertulliano e Valentino abbia inizio già nel primo periodo
cristiano, è utile analizzare i seguenti passi del De Praescriptione Haereticorum.
“Che la filosofia è la materia della sapienza terrena, interprete temeraria della natura e della
disposizione divina. Pertanto, le eresie stesse sono subordinate dalla filosofia. Dalla filosofia
derivano gli eoni e non so che forme infinite di numero e la triade dell’uomo secondo Valentino:
era stato filosofo platonico.” 50
Questo è il primo passo del De Praescriptione Haereticorum in cui viene citato
direttamente Valentino. Ed inoltre gli aspetti importanti del brano sono molteplici
e tra loro collegati. Il primo dato che conferma come l’analisi della speculazione
valentiniana da parte di Tertulliano sia solo nella sua fase embrionale è la
presenza di “non so che forme infinite”. Tertulliano onestamente afferma che non
dispone ancora di tutte le nozioni sul sistema valentiniano, dati che, come
vedremo successivamente, verranno analizzati uno ad uno nell’opera successiva
dell’ Adversus Valentinianos.
Un secondo aspetto di cruciale importanza è il nesso evidentissimo tra filosofia
ed eresia. Il passo in questione compare nel VII capitolo dell’opera. Il fatto che
una constatazione così forte compaia già nelle prime pagine dell’opera introduce
50 Ivi, pp. 35 – 36.
46
un secondo tema fondamentale del De Praescriptione Haereticorum: la definitiva
condanna della filosofia come strumento dell’eresia. Dire che Tertulliano rigetta
completamente la filosofia non è però del tutto corretto. Tertulliano da giovane
aveva studiato tanto il diritto quanto la filosofia ed è inesatto affermare che la
filosofia venga criticata e definitivamente abbandonata. Da buon romano anche
Tertulliano si avvicina, pur non convenendo su molti aspetti, allo stoicismo come,
dimostrano i suoi trattati sulla materialità dell’anima. La filosofia criticata da
Tertulliano è piuttosto la filosofia platonica che nel II secolo d.C. vive un periodo
di importante ripresa e diffusione nelle filosofie neo e medio platoniche.
“Dalla filosofia deriva il dio di Marcione, un dio migliore del nostro grazie alla sua mitezza:
era un dio proveniente dallo stoicismo. E perché si dica che l’anima perisce, si osserva Epicureo; e
perché si neghi la ricostruzione della carne, si attinge all’insegnamento unanime di tutti i filosofi; e
quando si pone la materia sullo stesso piano di Dio, è la dottrina di Zenone; e quando si introduce
qualche nozione di un dio di fuoco, interviene Eraclito.” 51
Da questo secondo passo risulta chiaro l’atteggiamento assolutamente
ortodosso di Tertulliano. La sua polemica si sviluppa non solo sul piano teorico,
ma anche su quello sintattico. Si noti infatti che quando la parola “dio” è
affiancata ad una teoria filosofica essa compare in minuscolo, mentre quando
questa viene accostata al Dio della Grande Chiesa essa compaia in maiuscolo.
Ancora:
“ […] donde il male, e perché il male? E donde l’uomo, e in qual modo? E la questione che non
molto tempo fa propose Valentino: done Dio? Si capisce, dall’enthymesis e dall’ectroma. Povero
Aristotele! Ha insegnato loro la dialettica, architetta nel costruire e nel distruggere, versipelle nelle
affermazioni, forzata nelle ipotesi, incomprensibile nelle argomentazioni, produttrice di contese,
molesta anche a se stessa, pronta a riesaminare tutto per paura di aver trascurato del tutto qualche
punto.” 52
51 Ivi, pp. 36 – 37. 52 Ibidem.
47
Tertulliano fa qui riferimento all’enthymesis e all’ectroma che sono due termini
tecnici della dottrina valentiniana. Precisamente il Demiurgo proviene
dall’enthymesis, la saggezza esterna al Pleroma, mentre l’ectroma è l’aborto
espulso oltre il Limite. Il fatto che Tertulliano ne faccia brevemente riferimento è
testimone del fatto che i due aspetti citati lo abbiano colpito in negativo. Non a
caso ai Padri della Chiesa la teoria del Demiurgo appare come una pericolosa
duplicazione del Dio da cui deriva un’altrettanto rischiosa duplicazione qualitativa
del Cristo. È qui evidente una prima grande critica di ordine teologico.
Tertulliano, che come è stato espresso in precedenza sostiene la continuità tra Dio
di grazia e Dio della legge, non può accettare le posizioni dualistiche degli
gnostici. Il dualismo valentiniano è così radicale da proporre l’esistenza di due
Cristi, uno storico ed incarnazione materiale del secondo, pneumatico ed interno
al Pleroma. Tertulliano professa l’unicità di Dio e combatte il dualismo marcionita
tanto quello valentiniano, sconfessando qualsiasi frattura ontologica sostenuta
dagli eretici.
In questo passo viene anche sviluppata la polemica alla dialettica aristotelica,
utilizzata dagli eretici come strumento assolutamente retorico e ridondante per
convincere, tramite ragionamenti vuoti, della validità delle proprie dottrine.
“Cercate e troverete, infatti, non deve essere interpretato senza un metodo razionale. Ma il
significato di questa frase di Cristo si basa su tre punti: sul contenuto, sulla circostanza e sul modo.
Sul contenuto, nel senso, cioè, che si consideri che cosa si debba cercare, sì da considerare quando;
sul modo, sì da considerare fino a che punto può giungere un’interpretazione. Pertanto bisogna
cercare quello che Cristo ha insegnato, vale a dire, per tutto il tempo che tu non lo abbia trovato,
vale a dire, finché tu non lo abbia trovato. E una volta che tu hai cominciato a credere, tu lo hai
trovato. […] Dove sarà, infatti, un termine della ricerca? Dove sarà il punto fisso del credere?
Presso Valentino?” 53
Questo passo merita di essere analizzato in dettaglio perché rappresenta la
chiave di lettura dell’intero De Praescriptione Haereticorum. Questo brano
definisce l’oggetto della ricerca per l’autentico cristiano. Seguendo il consiglio del
Cristo ‹‹cercate e troverete››, Tertulliano cerca di salvare la ricerca da una
53 Ivi, p. 43.
48
condanna totale come avvenuto per la filosofia. Per questo Tertulliano insiste sul
fatto che, arrivati ad un certo punto, la ricerca si debba fermare, trovando così
l’oggetto della sua ricerca. L’oggetto della ricerca cristiana è la fede nel
messaggio del Cristo; non vi è nulla di più prezioso che si debba andare a
ricercare oltre. Pertanto la ricerca termina nel momento in cui essa approda ad una
coscienza di fede. Tertulliano sviluppa una metodologia dichiaratamente razionale
che termina nella fede cristiana.
La ricerca della conoscenza viene quindi ridimensionata nella scoperta della
fede. Inutile ribadire che la conoscenza gnostica si basa su posizione
completamente opposte come sta ad indicare l’ironica domanda conclusiva del
passo. Come si affermava precedentemente, l’atto di fede per Tertulliano ha una
rilevanza di prim’ordine rispetto a quanto sostenuto da Valentino. Come si evince
dal passo citato l’approdo alla dimensione spirituale della fede avviene tramite un
percorso razionale e di scelta individuale. È chiaro come a prevalere sia il libero
arbitrio umano, mentre l’avvento escatologico di grazia risulti ridimensionato,
senza per questo scomparire. Il dono escatologico di grazia coincide con la bontà
di un Dio che, gratuitamente e per mezzo della rivelazione di Cristo, offre alla sua
creatura la potenza della libertà di scelta. Il libero arbitrio è dunque il dono che
Dio ha concesso alla sua immagine creata, la sola degna di riflettere la potenza del
creatore stesso. Per questo Tertulliano sottolinea più volte l’importanza di porre
un limite alla propria ricerca, limite che, a suo dire, non è affatto presente nella
speculazione gnostica. La presenza di un limite razionale permette di approdare
alla dimensione di fede.
È qui teorizzato un primo abbozzo di quella “disciplina di fede” cui si faceva
riferimento poc’anzi. Il fatto che la libertà di determinarsi sia un dono divino non
porta, come avviene per gli gnostici, né ad una filialità con Dio né ad una
Salvezza ontologicamente posseduta. In Tertulliano Dio creatore e uomo creato
non sono affatto posti sul medesimo piano ontologico. Il fatto che la ricerca debba
limitarsi per giungere all’atto di fede testimonia di una differenza qualitativa tra
divinità e creato. L’uomo possiede la libertà di scelta per volontà divina, ma
questa, proprio perché finita, limitata nella creatura, deve abbandonarsi in un atto
di pura fede nella rivelazione.
49
Da questo momento e per quasi tutto il resto dell’opera, Tertulliano sviluppa la
sua confutazione giuridica a partire dal metodo delle prescrizioni fino ad arrivare
alla formulazione del concetto di tradizione apostolica e Grande Chiesa. In questa
parte centrale non sono presenti particolari riferimenti a Valentino, ma agli eretici
in generale. Valentino viene menzionato solo una volta insieme a Marcione nel
seguente frammento:
“ In qualunque modo si sia errato, tuttavia l’errore ha regnato per tutto il tempo che non vi
furono le eresie. La verità aspettava dunque di essere liberata dai Valentiniani e dai Marcioniti!
Nel frattempo, era errata l’evangelizzazione, errata le fede, errato il modo in cui migliaia e
migliaia furono battezzati […]. Dove era allora Valentino, seguace del platonismo? Sì, perché è
noto che essi non furono tanto antichi […].” 54
Questo passo è interessante sia dal punto di vista teologico che da quello
letterario. Tertulliano sta qui sostenendo l’ipotesi della tradizione apostolica
contro la recente speculazione gnostica. L’idea che la grande Chiesa sia anteriore
al fiorire delle sètte eretiche, avvalora la tesi giuridica circa il diritto di possesso
sulle Sacre Scritture. La risoluzione giuridica del diritto di possesso sulle Sacre
Scritture proietta il ben più rilevante tema della tradizione cristiana a livello
teologico. Qui preme analizzare il concetto di tradizione in riferimento al
meccanismo dei due dispositivi. Nella produzione neotestamentaria, caratterizzata
da una forte escatologica, un concetto di tradizione è difficilmente rintracciabile.
L’accento viene piuttosto posto sul tema dell’elezione e sul nuovo ed imminente
regno che spetta agli eletti graziati e gratuitamente redenti. Ben diversa è l’idea di
Tertulliano che sente la necessità archeo – ontologica e politica di giustificare e
difendere la Chiesa madre di tutti i fedeli.
Lo scopo di Tertulliano è quello di affermare una tradizione che leghi
indissolubilmente la parola redentrice del kerygma alla missione terrena della
Chiesa. È chiaro che in quest’ottica venga disperso il senso anarchico del
messaggio primordiale, sovvertitore di ogni ordine e gerarchia. Anzi è proprio
l’apologia dell’ordine della Chiesa ed essere sviluppato come punto essenziale ed
54 Ivi, p. 66.
50
indispensabile. Da sottolineare che anche rispetto a questo tema la dialettica tra i
due dispositivi non produce una mera assolutizzazione di uno dei due. Il
dispositivo escatologico e carismatico ne risulta certamente mediato e
ristrutturato, ma non scompare affatto. Anzi è proprio l’avvento di Cristo e la
diffusione del suo messaggio agli apostoli ad essere la necessaria base della
tradizione che Tertulliano si impegna a difendere.
L’aspetto rilevante in questo passo è però l’uso dell’ironia, addirittura del
sarcasmo, per l’esposizione della propria teoria. Questo dato è da tenere presente
per ciò che riguarda la produzione del successivo Adversus Valentinianos.
Sul finire del trattato Tertulliano utilizza il principio di anteriorità per colpire
giuridicamente i Valentiniani:
“Oltre a queste considerazioni mi servo, per il mio intento, anche di un esame delle dottrine
degli eretici, di quelle che esistettero allora al tempo degli apostoli e che furono dagli apostoli
smascherate e condannate. […] Insegnando a Timoteo, condanna anche coloro che proibiscono le
nozze: questa è la dottrina di Marcione e di Apelle, suo seguace. Ugualmente, si rivolge contro
coloro che dicevano che la resurrezione era già avvenuta: questo lo dichiarano i Valentiniani su se
stessi. E quando l’apostolo accenna a delle genealogie infinite, vi si riconosce Valentino, secondo
il quale quel non so quale Eone, dotato di un nome inaudito e molteplice, genera dalla sua grazia il
senso e la Verità, e questi analogamente procreano da sé il Verbo e la Vita, quindi anche questi
generano l’Uomo e la Chiesa.” 55
In questo passo Tertulliano fa riferimento ad una parte della produzione
neotestamentaria di Paolo. Nello specifico egli si riferisce alla prima epistola ai
Corinti, alla prima lettera a Timoteo e alla lettera ai Galati. In questi scritti Paolo
affronta molti temi cruciali del cristianesimo primitivo, da quello dei matrimoni e
della verginità a quello circa le ritualità necessarie per la celebrazione
dell’eucaristia, ma non solo. Paolo sviluppa anche i temi circa la legge, la
redenzione e la resurrezione. Riferendosi al materiale neotestamentario di Paolo,
Tertulliano cerca di creare una relazione temporale tra le nuove eresie e i pericoli
cui metteva in guardia l’apostolo. Così come esiste una tradizione che lega Cristo,
gli apostoli e la Chiesa, così esiste una continuità ideale anche tra i nemici di
55 Ivi, pp. 73 – 75.
51
quest’ultima. Marcione, Valentino e Apelle rappresentano, in modi differenti,
questa continuità tra l’antico e il nuovo. Le accuse che Tertulliano muove agli
eretici e agli gnostici sono già rintracciabili, secondo il teologo cartaginese, negli
ammonimenti paolini.
È curioso notare come i testi cui si riferisce Tertulliano sono tutti caratterizzati
da una marcata tensione escatologica, mentre, come si è visto, in Tertulliano
questa viene decisamente rivisitata. Valentino viene poi citato più volte con fare
sarcastico e accostato più volte a Marcione. L’ultimo frammento meritevole di
attenzione è il seguente:
“L’uno ha sconvolto le Scritture di proprio pugno, l’altro ha sconvolto il senso con la sua
interpretazione. Infatti, anche se Valentino apparentemente lascia intatto il testo scritturale di cui si
serve, non ha assalito la verità con un ingegno meno astuto di Marcione. Chè Marcione
dichiaratamente e apertamente si è servito non della penna ma del coltello, poiché ha fatto strage
delle Scritture per adattarle al suo sistema. Valentino, invece, le ha risparmiate, poiché non ha
adattato le Scritture al suo sistema, ma ha escogitato un sistema adattato alle Scritture.” 56
Il passo risulta importante perché Tertulliano non solo pone una differenza di
genere tra l’eresia marcionita e l’eresia valentiniana, ma perché lo fa proprio a
partire dal rapporto che gli eretici hanno con le Scritture. Effettivamente
Valentino non interviene direttamene sulle Sacre Scritture modificandone la
struttura o il messaggio di fondo. Egli crea piuttosto un sistema mitologico e
ontoteologico che conserva molti aspetti escatologico-carismatici. Valentino, a
differenza di Marcione, non modifica né “pugnala” le scritture; stando a
Tertulliano si rende piuttosto colpevole di aver creato un sistema scorretto capace
di adattarsi alla verità sacra contenuta nei testi57. Il fatto che il “nemico giurato” di
Tertulliano sia Marcione non implica che anche i Valentiniani vengano criticati
aspramente. L’avversione di Tertulliano non è data solo dal fatto che Valentino
crei un sistema ontoteologico profondamente diverso dal sistema proposto dalla
chiesa protocattolica, ma che i Valentiniani utilizzavano alcuni testi
neotestamentari come conferma delle proprie affermazioni circa la natura di Dio,
56 Ivi, p. 83. 57 Ibidem.
52
del Pleroma e di Cristo. Il ricorso alle scritture non si limita all’individuazione di
semplici coincidenze numerologiche, ma prende consistenza in un’imponente
esegesi allegorica.
Il fatto che i Valentiniani non utilizzino testi sacri, ma si limitino ad adattare le
loro teorie ad essi tramite l’esegesi allegorica, sembrerebbe estrometterli dalla
grande confutazione giuridica eretta da Tertulliano. Certamente l’autore del De
Praescriptione Haereticorum vede in questo sistema di adattamento un atto
giuridico illecito di appropriazione dei medesimi testi sacri cristiani, tuttavia la
posizione valentiniana, opposta a quella marcionita, è forse meritevole per
Tertulliano di ulteriori approfondimenti come dichiara nella conclusione del suo
trattato: ‹‹Ma ora noi abbiamo terminato di discutere in generale contro tutte le
eresie […].Per quel che resta, risponderemo ad alcuni anche su questioni
particolari, se la grazia di Dio ce lo permetterà››58.
È qui teorizzata, in fase embrionale, la stesura dell’ Adversus Valentinianos che
caratterizzerà il periodo pre – montanista di Tertulliano.
2.3. Il periodo pre – montanista e l’Adversus Valentinianos
L’ Adversus Valentinianos di Tertulliano, composto attorno al 206 d.C., è
costituito da una libera trasposizione di una parte consistente dell’Adversus
Haereses59. Tertulliano utilizza quasi esclusivamente il materiale messo a
disposizione da Ireneo, ma stila un libello polemico indirizzato ai Valentiniani
segnato da una critica ironico – sarcastica dietro cui si articola una attenta e
meditata confutazione teologica.
L’intento dichiarato non è solo quello di evidenziare gli sbagli della dottrina
valentiniana e correggerli, piuttosto è quello di denunciare l’insensatezza
dell’intero sistema e nello specifico alcuni aspetti radicali cui porta la
speculazione proposta da Valentino. L’Adversus Valentinianos è caratterizzato
dall’esasperazione degli aspetti che più si prestano ad ottenere una caricatura della
speculazione valentiniana60, ma l’intento è dichiaratamente teologico. Rispetto al
De Praescriptione Haereticorum, Tertulliano approfondisce il mito gnostico
58 Ivi, p. 92. 59 Giuliano Chiapparini, Valentino gnostico e platonico, Vita e pensiero, Milano 2012. p. 29. 60 Ivi, p. 47.
53
colpendo con gli strumenti della satira e del sarcasmo proprio gli aspetti di
maggior rilievo teologico.
I capitoli introduttivi dell’opera dimostrano come l’autore disponga anche di
altre fonti oltre a quella di Ireneo, ma il loro utilizzo è raro, se non in alcuni
preziosi passaggi.
Lungo tutta l’opera emergono a più riprese gli echi di un dibattito non ancora
sopito circa la natura eretica del Valentinismo. Come è stato già evidenziato
precedentemente in riferimento al De Praescriptione Haereticorum, Tertulliano è
assolutamente convinto che il sistema valentiniano rappresenti lo sviluppo del
“seme dell’eresia” che già aveva condannato l’apostolo.
L’ Adversus Valentinianos risale ad un periodo in cui le ansie ortodosse di
Tertulliano non lo avevano già spinto troppo al di là delle posizioni
protocattoliche, pur simpatizzando, benché non ne facesse ancora parte, per il
montanismo; sètta a cui aderì definitivamente solo intorno al 213 d.C. circa. Il
fatto che l’Adversus Valentinianos si collochi nel periodo pre – montanista di
Tertulliano è dimostrabile anche grazie a due riferimenti cronologici rintracciabili
direttamente nel testo. Nell’opera viene menzionato ‹‹Proclo, nostro››,
identificabile con il Proclo presente nell’opera antimontanista del presbitero
romano Gaio, La Ricerca e che compare anche nella testimonianza di Eusebio61.
Un secondo dato cronologico è rintracciabile nel capitolo sedicesimo, in cui viene
menzionata l’opera Adversus Hermogenem, scritta da Tertulliano sul finire del
periodo protocattolico. Di conseguenza l’Adversus Valentinianos è sicuramente
successivo al tale periodo.
In quest’opera Tertulliano preferisce spingere la sua confutazione teologica
fino a mettere a nudo le assurdità dell’impianto valentiniano, ridicolizzandolo. È
lo stesso Tertulliano ad illustrare questa dichiarazione d’intenti: ‹‹Se riusciremo a
suscitare qualche volta il riso, otterremo lo scopo: molte cose son degne di essere
smentite così, perché non siano adornate da serietà››62. Del resto, la sètta
valentiniana si basa su un insegnamento esoterico che estremizza il piano
escatologico tramite un marcato dualismo ontoteologico, inoltre, i componenti
61 Riley M.T., Q.S.Fl. Tertulliano Adversus Valentinianos,Text, translation and commentary,
Dissertation, Stanford University 1971. 62 Fredouille J., Tertullien, Contre les Valentiniens, Paris 1980. pp. 91 – 92.
54
della sètta sia lasciavano spesso andare a comportamenti disdicevoli poiché
convinti di essere già ontologicamente salvati e redenti per filialità con Dio, ed è
quindi naturale che Tertulliano guardi con estremo sospetto alle loro dottrine, in
così evidente contrasto con l’orizzonte teologico dell’apologista. Il fatto che
Tertulliano preferisca deridere l’avversario per confutarlo teologicamente è
supportato anche da altre nitide affermazioni dell’autore. Nel sesto capitolo
dell’opera Tertulliano svela che il libello è in realtà un ‹‹ludus ante pugnam››63,
una finta scaramuccia come quelle dei gladiatori prima del vero e sanguinoso
scontro.
L’intento di deridere l’avversario implica che la struttura dell’opera si basi
anche su un sistema retorico e letterario oltre che dottrinale e teologico.
Escludendo i capitoli 1 – 6, in cui Tertulliano utilizza una forma proemiale, il
resto dell’opera si struttura in una concitata, a tratti addirittura violenta, narrazione
del sistema valentiniano. Occorre fare però due importanti precisazioni.
Per prima cosa si deve sottolineare il fatto che l’Adversus Valentinianos non è
un’opera indirizzata direttamente agli gnostici, ma alle comunità cristiane della
Grande Chiesa. L’intento è quindi quello di convincere, per mezzo della retorica e
del sarcasmo, il maggior numero di cristiani a diffidare dell’insegnamento della
scuola valentiniana.
Del resto, e questo è il secondo punto da tenere in considerazione, la derisione
teologica qui utilizzata può, in una certa misura, preannunciare la conversione al
montanismo come conseguenza settaria cui portano le posizioni moralistiche – in
questo caso addirittura violentemente sarcastiche – di Tertulliano. Il fatto che la
disputa di carattere teologico sui grandi temi del mito valentiniano vengano
proposti con gli strumenti della retorica e del sarcasmo, oltre ad evidenziare una
scelta “strategica” circa il metodo di confutazione, possono lasciar intravedere
anche l’imminente svolta montanista. È certamente riduttivo spiegare la
conversione di Tertulliano unicamente in base ad una scelta di carattere letterario
ed anzi l’estremizzazione di una simile ipotesi non renderebbe giustizia al
percorso spirituale dell’autore cartaginese. È però possibile ipotizzare che anche la
63 Ibidem.
55
scelta letteraria sia una delle conseguenze dell’avvicinamento di Tertulliano al
montanismo.
Un’ipotesi di questo tipo, senza avere la pretesa di essere esaustiva, può aiutare
a capire in che misura le posizioni intransigenti di Tertulliano approdino alla
conversione montanista. L’intera opera, che verrà analizzata di seguito, oltre a
sviluppare i temi della controversia, offre dunque anche un’ipotesi per spiegare
questa conversione. Con la successiva adesione alla sètta montanista Tertulliano si
dedicherà in modo nuovo ai temi della resurrezione della carne e del martirio,
abbandonando l’aspra critica contro l’eresia e contro Valentino. L’Adversus
Valentinianos è quindi l’opera maggiore per comprendere tanto l’avversione
ortodossa di Tertulliano allo gnosticismo, quanto il suo lento ed inesorabile
percorso verso una dimensione sempre più marcatamente escatologica, prima
meno rilevante nel periodo protocattolico.
Non deve quindi stupire che dopo l’Adversus Valentinianos Tertulliano non
metta più mano alla confutazione valentiniana, come non deve stupire che
l’esempio più alto della polemica antivalentiniana è rappresentato proprio
dall’esperimento letterario e retorico dell’Adversus Valentinianos stesso. La vera
novità rispetto ad Ireneo coincide con la trasposizione in declamazione del testo
dell’Adversus Haereses64. La veemenza polemica di Tertulliano necessita di una
narrazione convulsa basata sulla ricerca della ‹‹brevitas›› come frase coincisa e
pregnante. Tertulliano espone il mito valentiniano come se stesse sollecitando la
reazione di un pubblico immaginario, quasi si trattasse di un’opera teatrale in cui
il dramma di Sophia viene riletto con l’ironia prepotente e violenta dell’autore. La
serietà del dramma divino di Valentino, diventa qui strumento di una satira
spietata. Tertulliano riesce così nella novità di introdurre la satira, la teatralità e la
polemica retorica all’interno del contesto teologico e dottrinale della chiesa del II
secolo d.C.
Inoltre il fatto che l’autore metta alla berlina i propri avversari gnostici
evidenzia una tendenza solo apparentemente marginale. Se in precedenza, con la
stesura del De Praescriptione Haereticorum, Tertulliano si era addentrato nella
polemica antivalentiniana con gli strumenti giuridici del diritto romano per negare
64 Giuliano Chiapparini, Valentino gnostico e platonico, Vita e pensiero, Milano 2012. p. 47.
56
la legittimità del possesso delle Scritture, nell’Adversus Valentinianos, egli
raggiunge il risultato, ancor più radicale, di questa tendenza legalista e moralista
che procede di pari passo al suo avvicinamento al montanismo.
Per dimostrare ciò è opportuno svolgere un’analisi comparata di alcuni
frammenti dell’Adversus Haereses e dell’Adversus Valentinianos, in modo da
rendere emblematica questa tendenza evidenziando i punti di maggior tensione tra
la speculazione valentiniana e l’impianto teologico di Tertulliano. Nei successivi
frammenti ad essere enfatizzato è proprio il differente modo in cui i due
dispositivi s’intrecciano nei due autori.
Nel tentativo di dimostrare quanto sostenuto sino ad ora si farà diretto
riferimento al secondo capitolo dell’opera Valentino gnostico e platonico in cui
l’autore, Giuliano Chiapparini, riporta la traduzione di Rousseau-Doutreleau
dell’Adversus Haereses di Ireneo e all’opera Tertullien, Contre les Valentiniens di
J. Fredouille dove è riportata la traduzione francese dell’Adversus Valentinianos.
Sono di seguito riportati i passi più rappresentativi di ciò che è stato affermato
sino ad ora:
S1.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 28-29:
I Valentiniani affermano che i luoghi altissimi, che non si possono osservare né descrivere,
esiste un certo Eone perfetto, che viene prima di ogni cosa: chiamiamo costui sia Pre - Padre sia
Pre - Inizio sia Bythòs.65
S1.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 92-93:
Primo fra tutti, il poeta romano Ennio parlò semplicemente di “grandissimi cenacoli del cielo”
in quanto l’espressione indicava un luogo assai elevato oppure perché aveva letto in Omero che
Giove pranzava lì. Ma gli eretici è sorprendente quante altezze delle altezze ed elevatezza delle
elevatezze abbiano sospese in alto e spinte sempre più su e sviluppate in lungo e in largo per dare
una dimora ad ognuno dei loro dei. Anche per il nostro creatore dovrebbero essere stati disposti dei
“cenacoli” enniani sottoforma di una piccola abitazione. Dato che questi appartamenti instabili,
distribuiti a ciascun dio, sono costruiti uno sull’altro e sono raggiungibili attraverso tante scale
quante sono le eresie, è sorto un universo di appartamenti in affitto. Tutti questi piani collocati non
so dove nei cieli, si potrebbero confondere con il condominio di Felicle. Lì nella soffitta più in alto
abita anche il dio Valentiniani. Lo chiamano, in quanto sostanza, Eone perfetto; mentre in quanto
65 Ivi, p. 61.
57
persona Pre - Padre e Pre - Inizio, e pure Bythòs, termine che non si adatta per nulla a chi abita
così in alto.66
Come risulta dalla comparazione dei due passi, Tertulliano inserisce un’ampia
divagazione, prettamente ironica nei confronti della tendenza dei Valentiniani a
collocare le divinità in cieli sempre più alti e trascendenti. La successiva
immagine degli “appartamenti instabili e vacillanti” rende, in modo sarcastico
l’idea dell’instabilità metodologica che Tertulliano rileva nel sistema valentiniano.
Il fatto che l’autore africano sia, diversamente da Ireneo, concentrato anche a
denigrare l’avversario valentiniano è confermato anche dal singolare riferimento
al ‹‹condominio di Felicle››67, con cui si allude ad un enorme stabile costruito da
un certo Felicle a Roma nella zona tra il Pantheon e la Colonna Aurelia sul finire
del II secolo d.C. . La notizia della costruzione di questo “grattacielo
dell’antichità” sembra si sia diffusa velocemente in tutto l’impero, tanto da entrare
nell’immaginario collettivo dei cittadini romani.
L’immagine suggestiva qui evocata offre un primo spunto di critica teologica.
Vi è qui un netto rifiuto dell’astrazione metafisica, della fuga nel puramente
astratto e trascendente. Per Tertulliano il dono di grazia ha un peso rilevante nella
misura in cui esso viene donato all’uomo pronto ad accoglierlo razionalmente e
che, tramite il libero arbitrio, è capace di amministrarlo legalisticamente
all’interno di una disciplina di fede. Rimane quindi netta la separazione tra il Dio
e l’uomo che accoglie il suo dono. Per Tertulliano, contrariamente, gli gnostici
identificano Dio e creatura in un vero e proprio delirio che divinizza l’uomo fino a
concepirlo come della medesima sostanza del Padre. L’esasperazione
trascendentale, che in Valentino determina la natura elettiva degli gnostici, per
Tertulliano diviene misconoscimento della distanza che separa Dio e creatura e
che sola permette di spiegare la gratuità del dono.
S6.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 32-33:
[…]questi eoni, prodotti per mostrare la gloria del Padre, intendono anch’essi recare gloria al
Padre con qualcosa di proprio, producono produzioni a coppie: il Logos e la Vita, dopo Uomo e
66 Ivi, p. 62. 67 Ibidem.
58
Chiesa, producono altri dieci eoni, i cui nomi dicono siano i seguenti: Bythios e Mescolanza, Mai -
Vecchio e Unione, Auto - Cresciuto e Voluttà, Mai - Mosso e Commistione, Unigenito e Felicità.
Questi sono dieci eoni che dicono di essere stati prodotti da Logos e Vita.68
S7.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 96-99:
[…]a questo punto mi trovo costretto ad illuminare, a partire da un’adeguata esemplificazione,
che cosa comportino questi nomi: nelle scuole di Cartagine c’era un retore latino del tutto insulso,
di nome Stella del Mattino. Mentre parlava di un uomo coraggioso, disse: “Vengo a voi, cittadini
illustrissimi, dalla battaglia insieme con la mia vittoria, insieme con la vostra esultanza,
accresciuto di importanza, pieno di gloria, baciato dalla Fortuna, pronto per il più grande trionfo”.
E subito gli allievi gridarono: “A servizio di Stella del Mattino, evviva!”. Hai sentito parlare di
Fortunata, Hedonè, Achinetos e Theletos: grida “A servizio di Tolomeo, evviva!”. Questo sarà
quell’arcano Pleroma, pienezza di una divinità suddivisa in trenta parti. Potremmo vedere quali
siano le caratteristiche di questi numeri, dei quattro, otto, dodici. Nel frattempo col numero trenta
viene a mancare tutta quanta la fecondità: negli eoni la forza, la capacità e il desiderio di procreare
sono stati castrati, quasi non rimanessero ancora altre combinazioni di numero e qualche altro
nome da giardino d’infanzia. Perché, infatti, non vengono procreati anche cinquanta o cento?
Perché non si sentono nominare anche delle “Balie–pulisciculetto o dei Fratelli-di-latte”?69
Bisogna evidenziare come il passo di Ireneo, volutamente trascritto solo
parzialmente per non riproporre per esteso il sistema valentiniano analizzato in
precedenza, è decisamente più attento all’esposizione di questa dottrina. Appare
evidente la volontà di Ireneo di descrivere puntualmente l’esagerata gerarchia
delle coppie divine. Tertulliano, al contrario, Ripropone un’ironica critica
teologica volta a colpire, anche personalmente, i Valentiniani.
L’obiettivo polemico principale è criticare Tolomeo, uno dei capiscuola della
sètta valentiniana. Tertulliano, con il solito sarcasmo, paragona Tolomeo al retore
‹‹Stella del Mattino››70. Fredouille suggerisce che, il modo migliore per tradurre il
nome nel linguaggio moderno, sia ‹‹Fosforo››71, ma una simile interpretazione
non renderebbe giustizia all’ironia dell’autore che accosta l’insulsaggine di questo
retore al nome altisonante, al fine di poter denigrare il caposcuola valentiniano.
68 Ivi, p.69. 69 Ivi, pp. 71 – 72. 70 Ibidem. 71 Ibidem.
59
Inoltre sul finire del passo, Tertulliano abbandona il piano dell’ironia per
lasciarsi andare ad una retorica invettiva, atta a sminuire, anche volgarmente,
l’intero sistema. L’effettivo problema della dottrina numerologica72 e della sua
estensione viene, attraverso questa violenta e pungente derisione, nient’affatto
banalizzato, ma anzi colpito duramente. Tertulliano, che come è stato osservato
più volte è il nemico principale di Marcione, non accetta la l’opposizione tra
Vangelo di grazia e Legge al punto da farli marcionamente dipendere da due
divinità nettamente differenti. Una critica simile viene mossa anche rispetto al
sistema valentiniano colpevole di scindere in un’infinità di Eoni l’unicità di Dio.
Per Tertulliano Dio è unico e il monoteismo che egli propone non prevede né
differenze qualitative tra Antico e Nuovo testamento, come è nel caso di
marcione, né esasperati sistemi numerologici emblematici di una complessa
filiazione divina, come avviene nella dottrina valentiniana.
S19.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 40-41:
[…](Narrano) che essa, essendosi impiegata in un’impresa impossibile e irrealizzabile, partorì
un essere senza forma di natura femminile quale era in grado di partorire.73
S19.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 100-103:
[…] dopo tentativi inutili e dopo aver perso la speranza, essa cambiò d’aspetto; per il pallore,
credo, per la consunzione e l’incuria. A dire il vero si doleva del fatto che le era stato negato il
Padre non meno certamente di averlo perduto. Perciò, in quella tristezza da sé sola, senza il
concorso del marito, restò incinta e partorì una femmina. Ciò ti sorprende? Anche ad una gallina è
toccato di partorire da sé, ma si dice pure che esistono soltanto avvoltoi femmine.74
Ireneo e Tertulliano si stanno qui riferendo alla passione e tragedia di Sophia,
incapace di comprendere il Padre e per questo motivo caduta in disgrazia. Anche
in questo caso risulta palese la diversa metodologia critica proposta da i due Padri
della Chiesa. Il primo, ancora una volta, cerca di attenersi ad un modello sobrio
per un’analisi dettagliata ed esaustiva capace di dimostrare l’inconsistenza e la
falsità della dottrina gnostica.
72 Ibidem. 73 Ivi, p. 84. 74 Ivi, p. 85.
60
Il secondo, non meno interessato di Ireneo a dimostrare teologicamente
l’inganno valentiniano, irride l’avversario gnostico con l’introduzione di metafore
ed immagini pittoresche e folcloristiche come avviene con il simpatico, ed allo
stesso tempo inusuale, esempio della gallina a cui è toccato partorire da sé in
solitudine. Questo frammento è meritevole d’attenzione perché Tertulliano, in
questo frangente, porta all’estremo la propria satira e comicità proprio in
concomitanza con il momento di massima tragicità del sistema valentiniano.
È qui interessante evidenziare, oltre alla critica dottrinale, l’aspetto letterario
teatrale che caratterizza l’opera. L’espediente satirico di invertire il picco di
massima tragicità della speculazione valentiniana con una breve e irridente battuta
è, forse, uno dei più riusciti dell’intera opera.
S27.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 44-45:
[…](Spiegano) che, dopo che essa fu relegata all’esterno del Pleroma degli eoni e sua Madre fu
ricollocata accanto al proprio compagno, di nuovo Unigenito produsse un’altra coppia secondo la
previdente preveggenza del Padre, affinché nessuno degli eoni fosse sottoposto a delle passioni
come lei, cioè Cristo e Spirito Santo.75
S27.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 104-105:
Pertanto, dopo l’esilio Enthymesis e il ritorno di sua madre Sophia presso il compagno, di
nuovo quel tal Monoghenes, quel Nous del tutto tranquillo, dato che a partire da una provvida
preoccupazione del Padre doveva consolidare tutto quanto ed il Pleroma andava rafforzato se non
fissato, affinché un sommovimento di quel genere non potesse sopravvenire nuovamente, mise alla
luce una nuova coppia, Cristo e Spirito Santo, che considererei del tutto indecorosa visto che è
composta da due maschi. O Spirito Santo sarà una femmina ed il maschio viene penetrato dalla
femmina?76
E’ evidente che si fa riferimento alla generazione della coppia Cristo e Spirito
Santo. In questo passo Tertulliano rimane fedele alla narrazione analitica di Ireneo
se non per l’ultima uscita finale polemica e squisitamente moralista. Dopo aver
criticato la presunta omosessualità dei due eoni Valentiniani, Tertulliano utilizza
pesantemente il sarcasmo con rimandi volgari a sfondo sessuale. L’autore
75 Ivi, p. 93. 76 Ivi, p. 94.
61
probabilmente ignora il fatto che Spirito nella lingua ebraica è, invece, di genere
femminile77. Al di là degli aspetti puramente letterari, questo passo è importante
per almeno un’altro motivo. Qui, come in altri passi, risulta evidente
l’intransigenza etico – morale di Tertulliano.
Il teologo cartaginese risolve il dono di grazia e la novità del Vangelo nella
riproposizione di quella legge che sola può garantire la libertà umana. Questa
disciplina salvifica esposta da Cristo per “reformare et inluminare” la Lgge, e
nient’affatto per abrogarla, si risolve in una maturazione morale dell’individuo.
Sono da leggere in questi termini tutti i trattati teologici che Tertulliano dedica
alla monogamia, al martirio, al pentimento come il De spectaculis, il De
exhortatione castitatis, il De corona o il De Monogamia e tanti altri. È dunque
chiara l’idea teologica che si cela dietro all’accusa della presunta omosessualità
dei due Eoni Valentiniani.
S34.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 48-49:
[…] il quale è indicato anche col nome di Salvatore, Cristo e Logos, in base al nome di suo
Padre, e il Tutto, a motivo del fatto che esiste grazie a tutti gli eoni; inoltre (afferma che) in suo
onore come guardie del corpo furono emessi per lui anche degli angeli uguali per nascita.78
S34.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 108-111:
Lo chiamano Sotèr, Cristo e Discorso, dalla denominazione paterna, e, infine, Tutto, in quanto
conosciuto con il meglio di ognuno: Cornacchia di Esopo, Pandora di Esiodo, Pasticcio di Accio,
Mistura di Nestore, Miscellanea di Tolomeo. Quanto più facile sarebbe stato, per questi tanto vacui
inventori di nomi, chiamarlo Centone di Pancarpo prendendo spunto da certi buffoni osci. Inoltre
per adornare anche dal di fuori una così importante statuina, come guardie del corpo producono
per lei degli angeli di egual genere: se si intende uguali fra loro, si può accettare; ma se li si
intende della stessa sostanza di Sotèr, in che cosa egli potrà essere superiore alle guardie del corpo
dato che sono uguali a lui?79
Con la consueta vivacità, Tertulliano offre in questo passo riguardante la
creazione dell’eone Gesù due immagini satiriche tra le più riuscite di tutta l’opera.
La narrazione analitica di Ireneo non viene modificata, ma arricchita da
77 Ibidem. 78 Ivi, p. 102. 79 Ivi, p. 103.
62
Tertulliano. Viene riproposta la polemica contro Tolomeo, caposcuola
valentiniano, ironicamente complice di aver descritto il suo Gesù con l’ausilio
delle atellane, commedie originariamente recitate in dialetto osco. Tertulliano non
solo dipinge il Gesù valentiniano con i tratti di un personaggio teatrale e comico,
ma lo ricollega anche al ‹‹sigillarium››80, statuetta raffigurante una divinità,
solitamente venduta nei mercati di Roma in occasione delle feste Sigillari o dei
Saturnali. Tertulliano usa il termine in senso ovviamente dispregiativo suggerendo
l’accostamento dell’elenco di denominazioni degli Eoni Valentiniani a quello,
peraltro caotico e confusionario di un mercato romano dove sono esposte
disordinatamente statuette di vacue divinità pagane.
Aspetto teologicamente pregnante, già affrontato nel corso di questa indagine,
è la critica che Tertulliano rivolge alla filialità divina della speculazione
valentiniana. Come detto in precedenza, il rapporto filiale non solo nega l’abisso
che divide Dio e creature, ma entra addirittura in errore, come nel caso degli
angeli qui segnalato da Tertulliano. Se gli angeli rappresentano un grado inferiore
della gerarchia divina valentiniana come possono essere della medesima sostanza
di Sotèr?
S59.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 64-65:
[…] e non fu in grado di raggiungerla in quanto impedita dal Limite. Inoltre che in
quell’occasione il Limite, impedendola nel suo slancio irruente in avanti, esclamò: “I-a-o”; da
questa circostanza dicono che sia sorto il nome “I-a-o”. Poiché non era stata in grado di
oltrepassare il Limite per il fatto che si trovava unita strettamente con la passione, e poiché era
stata lasciata fuori da sola, sia stata sottoposta ad ogni genere di passione, molteplice per genere e
aspetto […].81
S59.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 114-115:
Tuttavia ci provò e forse l’avrebbe raggiunta, se il medesimo Horos, che era arrivato tanto
opportunamente per la madre di costei, non fosse accorso tanto inopportunamente per la figlia,
così da gridarle pure contro: ‹‹Iaò!››, come se dicesse ‹‹Occhio, gente! ›› oppure ‹‹In nome di
Cesare! ››. Perciò si trova “Iao” nei loro scritti. Così, impedita di proseguire e non essendo in
grado di superare in volo la Croce, cioè Horos, dato che non aveva interpellato il Laureolus di
80 Ibidem. 81 Ivi, p. 128.
63
Catullo, come un donna abbandonata, dato che era implicata in quella sua passione molteplice e
intricata, prese ad essere afflitta ad ogni sua manifestazione: […].82
Entrambi i frammenti si riferiscono all’improvvisa comparsa del Limite
all’interno del Pleroma valentiniano. Nel passo, Tertulliano rimane
profondamente fedele all’esposizione di Ireneo. Tuttavia, al di là della consueta
ironia tipica della narrazione di Tertulliano, sono inoltre presenti due allusioni
sarcastiche celate nell’impianto simbolico del sistema valentiniano sopra
riportato. Il primo aspetto si riferisce al termine ‹‹Iaò›› che per i Valentiniani
rappresentava ben più di una semplice esclamazione letteraria. Probabilmente
‹‹Iaò››83 rappresentava una vera e propria formula nel contesto segreto e
misterioso della dottrina. Questo è supportato dal fatto che Ireneo non sembra
cogliere questo aspetto, mentre Tertulliano non solo coglie la forma simbolica
dell’esclamazione, ma la ironizza, trasformandola in un’esclamazione di carattere
militare quasi se il Limite valentiniano esclamasse a Sophia ‹‹altolà! ››.
In secondo luogo Tertulliano menziona Laureolus84, una delle opere più
conosciute del mimografo Catullo. La trama di questa commedia si sviluppava
intorno alla figura di un protagonista che finisce miseramente sulla croce. È chiaro
che Tertulliano in questo modo deride uno dei capisaldi della dottrina
valentiniana, quello del limite inteso come Croce, ovvero come difesa
impenetrabile del Pre - Principio o Abisso.
S77.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 78-81:
Pertanto, dicono che egli è Padre e Dio di quanto si trova fuori dal pleroma, dal momento che è
l’artefice di tutte le cose, sia psichiche sia iliche; (spiegano), infatti, che egli, dopo aver separato le
due entità, che erano mescolate assieme, e dopo aver prodotto dei corpi a partire da elementi non
corporei, fece sia le realtà celesti sia le realtà terrene; (aggiungono) che il Demiurgo delle realtà
iliche e psichiche, di quelle di destra e di sinistra, leggere e pesanti, di quelle che tendono verso
l’alto e di quelle che tendono verso il basso; infatti, dicono che il Demiurgo abbia costituito sette
cieli, sopra i quali si trova […].85
82 Ivi, p. 129. 83 Ivi, p. 130. 84 Ibidem. 85 Ivi, p. 155.
64
S77.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 122-125:
Poiché sento dire che le immagini di quei tre sono così importanti, chiedo: non vuoi ora che io
sorrida delle immagini del loro assai stravagante pittore? Del fatto che Achamoth, che è una
femmina, sia immagine del Padre? Che il Demiurgo, ignaro della Madre e ancor più del Padre, sia
immagine di Nous, cui il Padre non era affatto sconosciuto? Che gli angeli, che sono dei servi,
siano raffigurazioni di padroni? Ciò è come dipingere un mulo, prendendo a modello un asino, e
ritrarre Tolomeo, prendendo a modello Valentino. Comunque, il Demiurgo, collocato fuori dai
confini del Pleroma, nella vergognosa solitudine di un esilio eterno, fondo una nuova provincia,
cioè questo mondo, dopo aver eliminato la commistione e dopo aver separato le due diverse
componenti di quella sostanza, che era stata espulsa, cioè delle realtà psichiche e iliche. A partire
da elementi incorporei struttura dei corpi, pesanti e leggeri, che vanno verso l’alto e volgono in
basso, celesti e terreni. Quindi porta a compimento quella scena composta da sette cieli ponendovi
sopra il suo trono.86
Tertulliano, distinguendosi in questo excursus da Ireneo, definisce la natura
assolutamente contraddittoria della dottrina appena illustrata. Achamoth, pur
essendo femmina, rappresenta un maschio, il Demiurgo, pur non conoscendo né la
Madre né il Padre, rappresenta nel mondo esterno proprio Nous, l’unico che
conosce il Padre ed infine gli angeli, che Valentino specifica essere delle guardie
del corpo con funzioni servili, sono della medesima sostanza di chi li comanda.
Tertulliano nota che Achamoth, il Demiurgo e gli angeli rappresentano in modo
deformato il Padre, Nous e gli altri eoni. In questo passo risulta evidente la
polemica antiplatonica di Tertulliano. Egli fa dipendere il dualismo gnostico
direttamente dal dualismo platonico tra l’anima che, in quanto puramente
immateriale, partecipa della divinità e corpo, materiale, inattendibile e mortale. Lo
stesso dualismo platonico si riflette anche nella cristologia del mito speculativo
valentiniano sicché Achamoth, il Demiurgo e gli angeli finiscono per
rappresentare, dualisticamente ed in grado inferiore, il Padre, Nous e gli altri Eoni.
S61.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 66-67:
Dicono che questo è stato il modo per comporre e portare all’esistenza la materia grezza, dalla
quale è composto questo mondo. Infatti, tutta l’anima del mondo e del Demiurgo ha tratto la
propria origine da quel ritorno, mentre le cose rimanenti hanno avuto inizio da quella paura e da
86 Ivi, p. 156.
65
quel dolore. Infatti, dalle lacrime di essa è derivato tutto ciò che di umido esiste, dal riso tutto ciò
che è luminoso, dal dolore e dalla sorpresa gli elementi corporei del mondo.87
S61.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 114-117:
Suvvia! Ora imparino i Pitagorici, sappiano gli Stoici e Platone stesso da dove la materia, che
essi pretendono non sia nata abbia tratto origine ed esistenza in vista di tutta l’attuale struttura del
mondo; e ciò non lo escogitò nemmeno Mercurio, il famoso Trismegisto, maestro di tutti coloro
che studiano la natura. Hai sentito del ritorno, un genere particolare di passione; si afferma che da
esso sia formata tutta l’anima di questo mondo e anche del Demiurgo stesso, cioè del nostro Dio.
Hai sentito della sofferenza e del timore; da essi ha avuto inizio tutto il resto; infatti, dalle lacrime
di Enthymesis sono derivati tutti gli elementi liquidi.88
I due passi si riferiscono entrambe ad un tema rilevante come quello della
generazione della materia. Per i Valentiniani la materia non era eterna, ingenerata,
innata, come invece ritenevano i neopitagorici, gli stoici e i medio - platonici.
Anzi, come è stato rilevato nel capitolo precedente, la materia viene a generarsi a
seguito di una tragedia divina all’interno del Pleroma. Se per Marcione la
creazione del mondo è un vero e proprio inganno pensato dal Dio dell’Antico
Testamento, per i Valentiniani la generazione della materia è opera del Demiurgo,
parzialmente ignaro, in quanto la madre Sophia gli tiene nascosto l’elemento
pneumatico che egli adopera inconsapevolmente nella sua produzione. È
importante notare come anche Tertulliano sia persuaso che i Valentiniani
identifichino nella figura del Demiurgo il Dio dell’Antico Testamento.
Effettivamente, come afferma Chiapparini nella sua indagine, il dualismo
valentiniano presuppone che vi sia un divino, Abisso, contrapposto al Dio
dell’Antico Testamento, inteso come “diabolico demiurgo cosmico”89. La somma
divinità non può operare direttamente a contatto con il mondo, ma ciò è anzi
compito di una divinità minore. Sorge qui l’innovativa ed inaudita scissione tra il
Dio di Abramo e il Dio di Gesù Cristo. Il primo presiede alla formazione del
mondo, ma appare limitato ed imperfetto, il secondo si rivela come buono ed
eccedente.
87 Ivi, p. 132. 88 Ibidem. 89 Ivi, p. 350.
66
C’è qui da osservare che se da un lato questo radicale dualismo porta ad una
svalutazione del Demiurgo, dall’altro lato egli mantiene comunque i tratti
dell’ordine e della giustizia che ne fanno un vero e proprio esecutore della volontà
superiore. Inoltre l’inconsapevolezza del Demiurgo valentiniano è garanzia della
sua innocenza ed esclude ontologicamente la possibilità che esso si ribelli alla
volontà del Pleroma.
S97.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 90-91:
Peraltro,dicono che fra i tre elementi esistenti, quello ilico, che chiamano anche di sinistra,
viene necessariamente distrutto, per il fatto che non è in grado di accogliere nessun soffio di
incorruttibilità; affermano, invece, che l’elemento psichico, che definiscono anche di destra, dal
momento che sta in mezzo fra quello spirituale e quello ilico, va dalla parte verso cui si è pur
mostrato proclive […].90
S97.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 132-133:
Così pure assegnano un esito differente per ognuna: per quella materiale, cioè carnale, che
chiamano anche di sinistra, (ritengono che) sia indubbia la distruzione; invece, per quella psichica,
che chiamano anche di destra, (affermano) che il destino è dubbio, dal momento che oscilla fra
materiale e quella spirituale ed è destinata dalla parte verso cui si è inclinata di più […]91
Questi due passi si riferiscono alle tre nature umane teorizzate ed esposte nel
sistema valentiniano. Nei due passi non ci sono sostanziali differenze tra Ireneo e
Tertulliano. È qui interessante soffermarsi però sulla descrizione dell’uomo
psichico. Come si evince dal passo di Tertulliano l’uomo psichico si trova a metà
strada tra il destino apocalittico dell’uomo materiale e l’uomo spirituale,
ontologicamente redento perché della medesima sostanza della divinità. L’uomo
psichico è inoltre emblematico del libero arbitrio tant’è che è capace di inclinarsi
tanto verso “destra”, quanto verso “sinistra”, ovvero tanto verso il bene, quanto
verso il male. Come è stato osservato più volte nel corso di questa analisi anche
nel momento in cui l’accento è posto sulla gratuità del dono di grazia, il libero
determinarsi dell’uomo, seppur subordinato, mantiene un ruolo relativo. Questo
90 Ivi, p. 186. 91 Ivi, p. 187.
67
passo evidenzia perfettamente quanto sostenuto ora. Valentino, che
indubbiamente sostiene con maggior vigore l’onnipotenza del Dio di grazia, non
elimina la libertà umana, ma subordina il libero arbitrio a funzione mediana tipica
dell’uomo psichico. Dal passo si evince chiaramente che il libero arbitrio
valentiniano non è affatto teologicamente eliminato, ma solo ridimensionato
all’interno delle tre stirpi umane. Gli uomini psichici, tra i quali i Padri della
Chiesa, possono accedere alla salvezza, ma ad un rango inferiore. Tale accesso è
inoltre garantito solo tramite una buona condotta etica. La disciplina di fede
teorizzata da Tertulliano è certo molto diversa, ma è interessante notare come,
seppur in misura minima, anche Valentino inserisca il libero arbitrio all’interno
del mito gnostico. Chiaramente gli uomini psichici, per timor di Dio, approdano
ad una fede “semplice” malgrado si attengano ad una disciplina salvifica, al
contrario degli uomini spirituali che accedono alla conoscenza perfetta.
S102.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 132-133:
Dicono anche che egli non ha assunto in sé nemmeno una piccola quantità dell’elemento
materiale grezzo; infatti, affermano che la materia grezza non è adatta ad accogliere la salvezza.92
S102.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 134-135:
Invece, in lui non ci fu nulla di materiale, perché è estraneo alla salvezza, come se egli fosse
stato necessario ad altri piuttosto che a quanti hanno bisogno di salvezza; e tutto ciò col risultato,
rendendo la nostra condizione carnale estranea a Cristo, di privarla anche di ogni speranza di
salvezza.93
Questi due passi sono teologicamente molto rilevanti. Sia Ireneo che
Tertulliano riportano il fatto che per i Valentiniani la resurrezione non contempla
la materia, il corpo. Effettivamente Valentino nega con forza la resurrezione della
carne dal momento che questa è frutto di una degenerazione di un errore divino.
La materia resta dunque esclusa anche nel Salvatore, composto di sostanza
psichica e spirituale. I Valentiniani erano infatti convinti che il divino non potesse
mescolarsi intimamente con la materia. Gli eletti Valentiniani si salvano tornando
all’unità del Pleroma in quanto spirituali e non certamente perché materiali. Il
92 Ivi, p. 194 93 Ibidem.
68
corpo viene visto platonicamente come “prigione”, come mero involucro entro cui
la sostanza spirituale cresce fino a maturazione. La stessa passione di Cristo viene
spiegata partendo da tali presupposti. Nell’Adversus Valentinianos è infatti
spiegato come la parte spirituale di Cristo si distacchi dal corpo prima
dell’incontro con Pilato. La parte “eonica” ormai distaccata permette a Cristo di
non soffrire la passione terrena, materiale ed imperfetta. A Tertulliano preme
sottolineare questo punto poiché propone una teologia completamente opposta.
Per Tertulliano non solo l’anima è materiale, ma nella resurrezione a
resuscitare è anche la materia, il corpo. Il Padre apologeta dedica un intero trattato
alla resurrezione della carne. Il fatto che Tertulliano non condivida affatto le
posizioni valentiniane è ribadito dal paragrafo successivo dove il padre africano
ribadisce il concetto appena esposto: ‹‹quindi là in primo luogo quegli uomini
stessi, cioè gli interiori, vengono spogliati: esser spogliati significa deporre le
anime, di cui si erano rivestiti, e restituirle al loro Demiurgo››.
Tertulliano sostiene l’idea che la carne sia uno dei pilastri della salvezza. Egli
infatti afferma che: ‹‹se l'anima diventa tutta di Dio è la carne che glielo rende
possibile! La carne vien battezzata, perché l'anima venga mondata; la carne viene
unta, perché l'anima sia consacrata; la carne viene segnata della croce, perché
l'anima ne sia difesa; la carne viene coperta dall'imposizione delle mani, perché
l'anima sia illuminata dallo Spirito; la carne si nutre del corpo e del sangue di
Cristo, perché l'anima si sazi di Dio››.
D’altra parte difficilmente Tertulliano potrebbe sostenere una tesi differente.
La necessità archeo-ontologica e politica di definire una disciplina salvifica
contempla non solo una rigidità spirituale, ma anche uno sforzo fisico, corporeo;
dunque materiale. L’accrescimento spirituale della disciplina di fede passa anche
per una dimensione di prova. Il Dio di Tertulliano ama i suoi figli mettendoli alla
prova, temprandoli e in questa rigida disciplina di fede anche il corpo fa la sua
parte guadagnando, al pari dell’anima, anch’essa materiale, la resurrezione.
D’altro canto una disciplina senza sforzo, fisico e spirituale, farebbe sì che la
bontà divina cessi d’essere un dono autentico, diventando piuttosto elezione
fortuita, casuale, violenta ed impersonale redenzione.
69
S105.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 92-95:
Sostengono, invece, che essi in tutto e per tutto verranno salvati, non a motivo della propria
condotta, ma per il fatto di essere spirituali di natura. Come, infatti, l’elemento choico non è in
grado di partecipare della salvezza, così a sua volta l’elemento spirituale non è in condizione di
subire distruzione, qualunque possa essere stato il genere di azione in cui si siano trovati
coinvolti.94
S111.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 142-143:
Tuttavia, costoro rivendichino pure la loro nobile razza in base a una vita in balia delle passioni
e al compiacimento per le proprie cattive azioni; assecondano Achamoth con questi loro errori, dal
momento che anch’essa si fa strada commettendone. Infatti, presso costoro si insegna anche che,
poiché si devono onorare le coppie superne, va praticato e celebrato sempre il mistero dell’unione
con una compagna, cioè una donna.95
Molto interessanti sono anche questi due passi perché offrono una
testimonianza della condotta di vita dei Valentiniani. Nei precedenti passi è stata
evidenziata l’avversione di Tertulliano ad una troppo forzata eccedenza del dono;
un’eccedenza tale da risultare addirittura causale ed impersonale redenzione. Ad
una simile idea Tertulliano oppone la fede come disciplina.
Il fatto che gli gnostici si sentissero degli eletti in profonda intimità con Dio,
tanto da essere della medesima sostanza del Padre, apriva loro ad una salvezza che
Tertulliano stesso definisce come “dovuta”, ontologicamente e spiritualmente
certa. Una simile condizione portava i Valentiniani ad assumere anche
atteggiamenti amorali dal momento che le azioni terrene non avrebbero mai
inficiato la loro Salvezza.
La distanza teologica da Tertulliano è quindi immensa. Sostenendo una vera e
propria disciplina pedagogica di fede, Tertulliano propone un atteggiamento
perennemente esortativo che porta il fedele a scegliere il giusto per non cadere in
peccato. L’impianto rigido e legalista cui sottopone la pratica di fede porta a un
moralismo intransigente e severo. L’entusiasmo escatologico dei Valentiniani
giustifica solo parzialmente la dissolutezza di alcuni componenti della sètta. Come
94 Ivi, p. 198 95 Ivi, p. 205.
70
vedremo successivamente i montanisti, veri e propri entusiasti “folli di Dio”,
propongono, contrariamente agli gnostici, una ferrea disciplina morale in
sostanziale continuità con quanto affermato dall’ortodosso Tertulliano.
S120.A - Ireneo, Adversus Haereses. Rousseau-Doutreleau pp. 102-103:
Ci sono, peraltro, coloro che dicono che egli ha prodotto pure Cristo, suo figlio, ma chiamato
anche Cristo psichico; spiegano che di costui egli ha parlato per mezzo dei profeti; che è costui che
è passato attraverso Maria, come l’acqua passa attraverso un canale.96
S120.B – Tertulliano, Adversus Valentinianos. J. Fredouille pp. 134-137:
Adesso do conto di Cristo nel quale certuni inseriscono Gesù con tanta spigliatezza quanta è
quella con cui introducono il seme spirituale nella componente psichica con un soffio,
inventandosi un non so qual ripieno sia per gli uomini sia per i loro dei; affermano che anche il
Demiurgo possiede un suo Cristo, figlio naturale e, quindi, psichico, prodotto da lui stesso,
annunciato per mezzo dei profeti […]. 97
I due testi si riferiscono alla presenza nel sistema Valentiniani di due Cristi,
uno di natura divina, l’altro di natura psichica e corporea, creato dal Demiurgo e
presentatosi al mondo nella persona del Gesù storico morto sulla croce. Nel corso
di quest’analisi è stato trattato più volte il tema del dualismo gnostico; è chiaro
che anche l’esistenza di due Cristi sia una conseguenza del dualismo radicale
proposto da Valentino. In ogni caso è qui opportuno soffermarsi su un aspetto del
dualismo che sino ad ora era stato descritto solo marginalmente: quello
dell’esegesi allegorica e neotestamentaria. Tertulliano, poco dopo il passo
riportato, scrive che:
“ Invece, fu sottoposto alla passione il Cristo psichico e corporeo, formato per riprodurre il
Cristo che sta in alto, cioè quello che, nel dare ad Achamoth una formazione relativa all’essere e
non relativa alla conoscenza, aveva trovato appoggio nella Croce, cioè in Horos. Così costringono
tutto in immagini, evidentemente Cristiani immaginari pure loro stessi.” 98
96 Ivi, p. 220 97 Ivi, p. 221 98 Ivi, p. 226.
71
È qui chiaro il dualismo valentiniano che evidenzia la simmetria tra la
passione storica di Cristo e la passione spirituale dell’Eone Cristo, posto sul limite
Horos, o Croce, per illuminare Sophia. Quello che è importante sottolineare, oltre
al dualismo, più volte preso in considerazione, è l’esegesi allegorica valentiniana.
Nel De Praescriptione Haereticorum Tertulliano aveva affermato che i
Valentiniani, diversamente da Marcione, non “pugnalavano” le Sacre Scritture,
ma, piuttosto, le utilizzavano per confermare le loro dottrine false ed eretiche.
Questa constatazione confuta sul piano dell’esegesi il sistema valentiniano. Solo
dopo l’analisi di alcuni passi dell’Adversus Valentinianos è però possibile cogliere
l’importanza teologica di questa critica.
Come risulta sufficientemente chiaro dall’analisi di questo passo e degli altri
prima riportati, accanto alla presenza di significative connessioni filosofiche è da
sottolineare anche la fondamentale componente cristiana della riflessione
valentiniana. L’utilizzo delle Scritture da parte dei Valentiniani è un aspetto
davvero rilevante, a maggior ragione se si considera che l’esegesi valentiniana si
concentra su testi che sarebbero stati poi riconosciuti come canonici dai Padri
della Chiesa. Come osserva attentamente Tertulliano i Valentiniani sono dei
“cattivi” esegeti perché solo apparentemente usano i tesi di Paolo e di Giovanni
per ricavarne contenuti teologici. È anzi vero l’esatto contrario: i discepoli di
Valentino partono da una dottrina predefinita cercando di rintracciare delle
conferme nelle Sacre Scritture. L’esegesi valentiniana, che Tertulliano bolla
semplicemente come eretica e falsa, rimane tuttavia un aspetto interessante di
quell’intreccio ontoteologico ed escatologico che caratterizza la speculazione
gnostica. Se è possibile affermare che il sistema valentiniano si basa su una
visione creazionista e su una concezione di Dio come trascendente, al punto da
subordinare la Scrittura alla dottrina predefinita, è anche possibile sostenere che
tale subordinazione non dipende interamente da una necessità dottrinale, ma anche
da una tensione escatologica.
L’esegesi valentiniana è dunque parte integrante sia del meccanismo
ontoteologico che caratterizza l’imponente mito gnostico, sia della ricerca
escatologica a cui questo sistema mira. Secondo i Valentiniani l’esegesi allegorica
permette di confermare teologicamente il proprio sistema ontologico, ma, al
72
tempo stesso, di creare una stabile relazione con gli scritti neotestamentari e di
carattere escatologico.
Il confronto tra questi passi dell’Adversus Haereses e dell’Adversus
Valentinianos ha dimostrato ciò che si è sostenuto ed affermato sin da principio.
In effetti, al di là delle differenze metodologiche, il confronto tra Ireneo e
Tertulliano, entrambi interpreti della dottrina valentiniana, permette di delineare
con maggior chiarezza la complessa dialettica tra dispositivo escatologico e
dispositivo archeo – ontologico che si palesa dietro l’ironia, la comicità, la critica
teologica e la tagliente invettiva di Tertulliano. Il montanismo, sètta a cui aderirà
pochi anni dopo la stesura di questo trattato polemico – sarcastico, ha già
indubbiamente influito sulle posizioni teologiche di Tertulliano. L’aspra critica
nei confronti della speculazione valentiniana e il deliberato utilizzo del metodo
appena esposto fanno presagire una svolta assolutamente inaspettata, eppure
inevitabile, verso una dimensione maggiormente escatologica. L’Adversus
Valentinianos non solo permette di cogliere il grande intreccio che anima la
controversia tra Tertulliano e i Valentiniani, ma consente di stabilire un’ipotesi
circa la conversione dell’apologeta al montanismo. Se in Valentino l’orizzonte
escatologico viene sviluppato all’interno di un grandioso sistema ontoteologico,
nella proposta apologeta di Tertulliano l’entusiasmo escatologico viene mediato
all’interno della disciplina di fede. Se Valentino mantiene l’eccedenza del dono di
grazia, estremizzandola in un dualismo radicale, Tertulliano preferisce
salvaguardare il libero arbitrio, fatto ad immagine di Dio, concependolo in
sostanziale continuità con la legge. Sarebbe però scorretto pensare che Valentino e
Tertulliano si limitino ad assolutizzare uno dei due dispositivi. Se è vero che
l’escatologia valentiniana è decisamente più presente che in Tertulliano, non si
può dire che il dispositivo archeo – ontologico e politico ne esca completamente
svilito. Esso è sicuramente subordinato, ma nient’affatto eliminato. Valentino
riconosce un ruolo relativo anche al libero arbitrio che, seppur insufficiente, è
sostanzialmente la qualità posseduta dall’uomo psichico. Inoltre il fatto che i
Valentiniani avessero fondato una scuola dove venivano insegnate le dottrine
segrete apre ad una forma, seppur primitiva e subordinata alla novità elettiva della
gnosi, di organizzazione gerarchica. Lo stesso si può dire anche di Tertulliano: se
73
è vero che egli sviluppa una teologia protocattolica fondata sul libero arbitrio,
sulla disciplina salvifica, sulla trinità morale e sulla risoluzione della grazia nella
legge, è altrettanto vero che il dispositivo escatologico e carismatico non ne esce
completamente svilito. Esso è sicuramente subordinato, ma nient’affatto
eliminato. La grazia di Dio, seppur razionalizzata e legalizzata in una disciplina
pedagogica di fede che educa il libero arbitrio, compare ancora con una certa
insistenza nella novità escatologica della Chiesa Madre e nell’infinito amore della
divinità, capace di ritirarsi dalla sua funzione di giudice pur di donare la libertà
alle sue creature. Questa dialettica complessa emerge con evidenza nell’
dell’Adversus Valentinianos dove la teologia di Tertulliano si confronta con quella
valentiniana.
Per ciò che concerne l’eventuale relazione tra l’Adversus Valentinianos e la
conversione al montanismo l’analisi si fa più complessa. Come è stato ricordato
precedentemente si tratta solo di un’ipotesi capace di spiegare solo parzialmente la
grande svolta spirituale di Tertulliano. L’idea che qui sostenuta è che l’Adversus
Valentinianos offra l’esempio più ardito dell’intransigenza teologica di
Tertulliano. Ciò non vuol dire che non esistano opere caratterizzate da una
maggior intransigenza morale e da una radicale ortodossia; l’Adversus
Valentinianos offre però l’esempio critico più veemente e vibrante, ove le rigide
posizioni di Tertulliano vengono esasperate dal registro linguistico e dallo stile.
Solo in questo senso l’espediente letterario diviene testimone di una radicale
ortodossia, in alcuni tratti addirittura esasperata ed irriverente. Come si è cercato
di dimostrare nell’analisi dell’opera la scelta letteraria non nasconde affatto la
grandiosa critica teologica di Tertulliano. È possibile che proprio nel serrato
confronto con la dottrina valentiniana, Tertulliano sviluppi una certa attenzione a
quell’orizzonte escatologico che sino ad allora aveva subordinato al grandioso
impianto ontoteologico ed ortodosso.
Per essere più chiari, è possibile ipotizzare che proprio la satira a sfondo
teologico applicata da Tertulliano abbia portato l’autore a confrontarsi con i temi
escatologici e carismatici esposti da Valentino e che proprio questo contatto così
vibrante ed intenso abbia spinto Tertulliano ad una differente rielaborazione del
materiale escatologico.
74
2.4. La conversione al montanismo:
Il montanismo fu un movimento religioso che si sviluppò nel II secolo d.C. , in
concomitanza con la diffusione del cristianesimo. Il nome deriva da quello del suo
fondatore Montano; questi sosteneva di avere visioni profetiche e di parlare per
voce dello Spirito Santo. Il montanismo appare come un movimento di resistenza
escatologica rispetto alla razionalità ontoteologica e all’istituzionalizzazione del
kerygma proposto dai Padri apologeti e dalla corrente protocattolica. Il
montanismo ripropone l’eccedenza eversiva della grazia, l’abbandono del vecchio
mondo e delle sue strutture corrotte, l’imminente ed estatico ritorno escatologico
alla fine dei tempi; lo stesso Montano affermava di avere spesso visioni profetiche
sull’imminente ritorno in terra di Cristo. Questo movimento religioso ebbe la sua
massima espansione proprio nel II secolo d.C., nell’epoca in cui visse per
l’appunto Tertulliano. Seppur tra i Padri della Chiesa vi fossero teologi ortodossi
che avevano dichiarato eretico tale movimento, in linea generale veniva tollerato
dalle chiese protocattoliche.
Il montanismo non sviluppò una vera e propria dottrina religiosa; il movimento
poggiava sugli stessi fondamenti dell’esperienza cristiana modificandone tuttavia
precetti e comportamenti. Questa rappresenta una delle grandi differenze che
contraddistingue il montanismo dalle altre correnti eretiche. I contrasti con il
cristianesimo sorsero perché i montanisti proponevano una libertà assoluta come
diretta fruizione di Dio. La chiesa gerarchicamente istituzionalizzata veniva
quindi concepita come mero inganno di potere. Un altro motivo di contrasto era
costituito dalla partecipazione femminile ai riti religiosi. Per i montanisti le donne
non solo potevano partecipare al rito comune, ma spesso erano fondamentali nelle
rivelazioni e nelle profezie. Questo secondo punto è confermato ed avvalorato dal
fatto che due tra i più importanti profeti montanisti erano donne: Massimilia e
Priscilla.
L’unico vero punto di contrasto dottrinale si basa quindi sull’importanza
dell’estasi. I montanisti erano convinti che i loro profeti, una volta entrati in estasi,
profetizzassero per bocca del Verbo, ne derivano, conseguentemente, verità in
grado di integrare l’insegnamento apostolico. Il dispositivo kenotico e cristiano
75
trova nei montanisti la sua formulazione più radicale. I montanisti vengono
descritti come dei veri e propri “folli di Dio”, capaci di rinnegare patria, famiglia,
chiesa pur di abbandonarsi con entusiasmo nel dono redentivo di grazia. Per i
montanisti non esiste più nessuna struttura rassicurante e di identificazione se non
all’interno dell’annuncio liberatorio dello Spirito Santo. È evidente quindi
l’opposizione dei montanisti al protocattolicesimo,: opposizione che porta alla
denuncia delle chiese in quanto negatrici della gioia carismatica dell’annuncio e in
quanto struttura legalizzata che svuota l’imminente nascita del Regno di Dio.
All’ortodossia morale proposta dai padri apologeti viene opposta così
l’eccedenza escatologia, l’ascetismo e l’esperienza estatica. Ciò appare evidente
se si analizzano le posizioni dei montanisti rispetto ai temi del peccato,
matrimonio e martirio99.
I discepoli di Montano sono assolutamente persuasi, in contrasto con le
posizioni protocattoliche, che il peccato equivale alla rinuncia del dono di Grazia.
A coloro che lasciavano la grazia divina non era concessa alcuna forma di
redenzione, in contrasto con l’idea protocristiana che consente ai pentiti di essere
redenti dalla chiesa stessa. Per ridurre al minimo la possibilità di peccare, i
montanisti adottavano rimedi, in alcuni casi estremi ed intransigenti; ad esempio
praticando la castità, evitando i secondi matrimoni e, delle volte, addirittura i
primi. Osservavano periodi di digiuno; non accettavano nella sètta chi
commetteva peccati quali omicidio o adulterio e denunciavano violentemente
coloro che fuggivano dalle persecuzione. Nei confronti di quest’ultimo aspetto,
alcuni di essi giungevano addirittura a lodare il martirio come forma di coraggio
estremo e presa di coscienza della propria e totale subordinazione al kerygma
originario.
Il fulcro del montanismo è lo spirito millenarista100 e profetico; l’idea
costantemente sottolineata nei vari rituali religiosi dell’imminente ritorno di Gesù
sulla terra alla fine dei tempi. L’attesa per il ritorno del Figlio porta in sé
l’inevitabile conseguenza della totale svalutazione del mondo storico, destinato, di
99 Gaetano Lettieri, Il nodo cristiano, Edizioni Carocci, Roma 2009. pp. 124 - 126 100 Ivi, p. 127.
76
li a poco, a scomparire definitivamente. Le intolleranti posizioni moralistiche sono
motivate e giustificate dal millenarismo montanista.
Come detto in precedenza Tertulliano aderisce al montanismo intorno al 213
d.C. circa. Secondo diverse fonti Tertulliano non impiegò molto a diventare figura
di spicco della sètta, tanto che pare abbia creato un movimento autonomo, i
tertullianisti, che sopravvissero come sètta autonoma sino ai tempi di Agostino.
Le principali opere del periodo montanista di Tertulliano ricalcano le
fondamentali tematiche della sètta, descritte sopra. Per ciò che riguarda il tema del
martirio Tertulliano scrive il De fuga in persecutione e rispetto al matrimonio il
De Monogamia e il De pudicitia. Altra opera interessante di questo periodo è il
De pallio, scritto in cui Tertulliano dichiara le ragioni che lo hanno portato alla
conversione montanista, abbandonando la chiesa protocattolica.
Le motivazioni riportate nel De pallio sono in realtà riprese in quasi tutti gli
scritti di questo periodo. È quindi importante soffermarsi sul motivo di questa
conversione. Precedentemente è stato dimostrato come Tertulliano faccia parte di
quei Padri apologeti che risposero alle grandi correnti dualistiche del II secolo
d.C. . La proposta di Tertulliano, sulla scia di Ireneo e di altri padri, è quella di
mediare l’orizzonte escatologico. L’accento viene posto sulla disciplina di fede e
sul libero arbitrio e ad essere relativizzato è proprio la gratuità del dono. Con la
conversione al montanismo Tertulliano approda a conclusioni paradossalmente
opposte alle precedenti. Come è stato possibile questo improvviso ritorno
escatologico? L’Adversus Valentinianos può forse aiutare a spiegare questo
delicato passaggio. Come si rileva da quest’opera lo posizioni moralistiche di
Tertulliano sono estremizzate al punto di sfociare in una vera e propria invettiva
satirico – teologica. Come è stato appena osservato il montanismo, pur non
condividendo con il protocattolicesimo la struttura archeo – ontologica e politica,
ha in comune con la teologia di Tertulliano la rigidità e l’intransigenza sul piano
morale. È dunque possibile che le posizioni moralistiche del periodo ortodosso di
Tertulliano vengono estremizzate al punto tale da assistere ad un ritorno
dell’orizzonte escatologico. La nuova dialettica che si viene a formare tra i due
dispositivi può essere l’esito settario della stessa intransigente disciplina di fede,
ora radicalizzato, proposta da Tertulliano nel precedente periodo ortodosso. I
77
nemici del teologo cartaginese non sono più solo gli eretici Valentiniani, ma la
stessa chiesa protocattolica. È pur vero che Tertulliano continua a chiamare la
Chiesa con l’appellativo di Madre, ma è altrettanto innegabile la polemica nei
confronti della gerarchia ecclesiastica e clero, colpevoli di non aver colto la vera
essenza del kerygma cristiano e di praticare quei comportamenti, negati dal
movimento montanista. È inoltre possibile ipotizzare che la conversione al
montanismo non sia emblematica solo dell’esito settario a cui porta la rigida
disciplina di fede. Come appare dall’analisi dell’Adversus Valentinianos,
Tertulliano è sempre stato attento a come l’orizzonte escatologico e le tematiche
neotestamentarie influenzassero le risposte teologiche tanto dei suoi avversari,
quanto degli altri Padri apologeti. È dunque plausibile sostenere che la
conversione al montanismo rappresenti un riavvicinamento al piano escatologico
senza, però, che una simile svolta possa decadere nel dualismo marcionita e nel
mito speculativo gnostico. Il riavvicinamento alle tematiche neotestamentarie,
come evidenziano gli scritti montanisti sul martirio, sull’estasi, sui profeti, non
mettono affatto in crisi i due capisaldi teologici che Tertulliano aveva difeso
strenuamente nella sua produzione spiccatamente protocattolica: l’unicità di Dio e
la necessità di una disciplina pedagogica di fede. Il montanismo offre quindi a
Tertulliano la possibilità di avvicinarsi ad una dimensione kenotica, escatologica e
carismatica senza mettere in discussione le sue conquiste ontoteologiche. I
montanisti, a differenza di Marcione, sono monoteisti e, a differenza dei
Valentiniani, mantengono una rigida disciplina salvifica.
Altro aspetto interessante è il fatto che Tertulliano applica, una volta convertito
al montanismo, la stessa metodologia polemica dell’Adversus Valentinianos nei
suoi nuovi scritti critici. Nelle opere montaniste di Tertulliano balza subito
all’occhio l’irriverenza e l’ironia contro preti e vescovi dell’epoca. Appare
doveroso evidenziare il fatto che anche nella svolta montanista la dialettica tra i
due dispositivi non porta alla scomparsa del dispositivo archeo . ontologico. Che
l’accento venga ora posto sul piano escatologico e carismatico non implica
l’annullamento del secondo dispositivo che, seppur subordinato, rimane
comunque presente. La produzione teologica circa i matrimoni, il martirio, la
monogamia testimoniano che la disciplina di fede non è nient’affatto scomparsa,
78
ma, tutt’al più, riconvertita all’interno di una nuova dimensione escatologica. Il
fatto che trattati come il De pudicizia o il De fuga in persecuzione vengano scritti
in concomitanza ai trattati, in parte perduti, sull’estasi non fa che avvalorare
questa ipotesi. Certo la svolta montanista non permette certo di accostare
Tertulliano all’escatologia esasperata ed eretica di Marcione e di Valentino. Il
dono gratuito di Dio rimane comunque fruibile soltanto quando l’uomo è capace
di educarsi razionalmente verso il bene. In questo senso il modello del martire,
miles cristiano proprio perché incapace della violenza del miles romano, evidenzia
tanto la necessaria freddezza razionale della disciplina salvifica, quanto
l’indispensabile ascetismo escatologico.
L’analisi sino qui svolta del percorso spirituale di Tertulliano evidenzia quanto
sostenuto nella tesi iniziale. L’analisi di Tertulliano offre la possibilità di
dimostrare la paradossale e complessa dialettica tra i due dispositivi nonché
l’intrigato intreccio che ne deriva. La disputa teologica con Valentino offre la
possibilità di indagare come le risposte dei cristiani del II secolo d.C. siano tra
loro profondamente differenti. È proprio l’appassionata controversia qui esposta
che permette di evidenziare con maggior chiarezza il complicato intreccio dei
dispositivi che sottostà ed influenza la teologia di entrambe gli autori. La disputa
con Valentino permette inoltre di abbozzare, in tal senso, un’ipotesi sulla
successiva conversione al montanismo, dimostrando non solo la paradossalità che
caratterizza il rapporto tra dono di grazia e libero arbitrio, dispositivo
escatologico-carismatico e dispositivo archeo – ontologico, ma anche come questa
dialettica provochi una perenne oscillazione in uno o nell’altro senso. Se nella
prima fase della sua vita Tertulliano legalizza l’eccedenza di grazia in una
disciplina di fede capace di educare il libero arbitrio, al termine della sua vita, con
l’adesione al montanismo, questa stessa disciplina è ora la base necessaria in vista
dell’imminente avvento del Regno di Dio, annunciato dai profeti montanisti e
comunicato dallo Spirito Santo durante l’estasi.
79
Conclusioni
L’analisi del sistema valentiniano, del percorso spirituale di Tertulliano,
nonché la valutazione, per quanto possibile approfondita della relazione che
intercorre tra i due autori, può essere emblematica della complessità e della
molteplicità delle risposte teologiche dei cristiani del II secolo d.C..
L’appassionata relazione tra Valentino e Tertulliano non può che aiutare a
comprendere l’intricato nodo sui cui si articola l’intera storia del cristianesimo. Il
tentativo protocattolico di conseguire un precario equilibrio tra tradizione
giudaico – cristiana e novità escatologica, subordinando la novità carismatica
all’interpretazione legalista di continuità tra Antico e Nuovo testamento, passa per
un tortuoso processo. La produzione teologica di Tertulliano si fa testimone di
questa difficoltà. La dialettica tra ontoteologia ed escatologia non si esaurisce in
un netto e statico sistema dottrinale. Nella figura di Tertulliano ciò è risultato
chiaramente evidente sia in relazione al periodo protocattolico dell’autore, sia in
riferimento al successivo periodo montanista.
Al contrario gnosticismo e marcionismo evidenziavano la violenta
opposizione tra vangelo di Grazia e antica legge giudaica, irrigidendo il dualismo
spirituale in dualismo ontologico. Anche in questo caso però è da osservare come
a prevalere sia la continua oscillazione tra meccanismo ontoteologico ed orizzonte
carismatico – escatologico. Nemmeno la risposta valentiniana si esaurisce in una
netta presa di posizione, ma, al contrario, si articola in una costante dialettica tra i
due dispositivi-
È stato infatti documentato e quindi dimostrato come Valentino sia il
rappresentante più ardito di un intero movimento, quale quello gnostico, basato
tanto sull’estremizzazione del dispositivo archeo – ontologico, quanto su una
ripresa radicale dell’orizzonte escatologico, apocalittico e carismatico. Il kerygma
primordiale non viene affatto abolito dall’impalcatura ontologica gnostica. La
salvezza, ad esempio, rimanere strettamente connessa al messaggio kenotico di
Cristo ed anzi viene escatologicamente estremizzata in un possesso non solo
spirituale, ma addirittura ontologico.
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L’analisi di Tertulliano, attento interprete di Valentino, offre invece la
possibilità di indagare la dialettica del doppio dispositivo a partire da presupposti
differenti. La suddivisione in tre fasi della vita religiosa dell’autore cartaginese
descrive il suo travagliato percorso spirituale che partendo da posizioni ortodosse
e protocattoliche termina nell’adesione al montanismo. Lo studio delle questioni
teologiche proposte da Tertulliano, nonché l’analisi degli strumenti utilizzati nelle
diverse opere, partendo da quelli giuridici e retorici, evidenzia la complessità
dell’intreccio tra i due dispositivi. L’analisi del percorso spirituale di Tertulliano
offre la possibilità di soffermarsi su almeno due aspetti rilevanti.
Il primo punto su cui soffermarsi è il rapporto tra ontoteologia ed escatologia
nella produzione protocattolica. È indubbio che l’escatologia venga
ridimensionata all’interno di un sistema ontoteologico che mira ad armonizzare le
componenti più sovversive del kerygma, ma, come risulta dall’analisi svolta,
l’escatologia non viene affatto annullata. Anzi, proprio l’interpretazione
tertullianea della speculazione valentiniana offre una pietra di paragone per
dimostrare come Tertulliano siamo comunque attento ai risvolti escatologici ed è
questo il secondo aspetto fondamentale. La dialettica tra le due forze sino a qui
descritte raggiunge in Tertulliano picchi di indubbio interesse analitico. La
conversione al montanismo rappresenta in tal senso un marcato riavvicinamento al
paradigma kerygmatico ed escatologico, prima subordinato, senza tuttavia scadere
nelle grandiose correnti dualistiche del II secolo d.C. . Con la conversione al
montanismo Tertulliano può mantenere il rigido sistema disciplinare proposto nel
periodo protocattolico, ma, al tempo stesso, può riprendere le tematiche
neotestamentarie prima marginali. Non solo, il montanismo rappresenta in questo
senso la risposta più ardita di mantenere vive le basi escatologiche senza far venir
meno i capisaldi della teologia protocattolica. Se è indubbiamente vero che
l’ascetismo, l’esaltazione del martirio, l’attenzione per l’estasi e le profezie sono
tratti distintivi della sètta montanista, è altrettanto vero che l’enfasi escatologica
non sconfina né nel dualismo marcionita né nel mito gnostico valentiniano.
La conversione al montanismo è una conseguenza settaria dell’intransigenza
morale di Tertulliano, ma è anche emblematica di una tendenza di avvicinamento
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ad una dimensione maggiormente escatologica che non metta in discussione né
l’unicità di Dio, né la disciplina di fede.
Lo scopo della tesi, partendo dalla presentazione della speculazione di
Valentino e dall’interpretazione di questa operata da Tertulliano, non è solo quello
di esporre ed analizzare l’intensa e polemica relazione tra i due, ma di poter
asserire come in fine le conclusioni complesse e peraltro differenti a cui giungono
i due autori, siano emblematiche di una dialettica comune ad entrambe, pur
articolandosi in modo diverso nelle proposte dei due autori.
Il Cristianesimo ha bisogno contemporaneamente di entrambi i due dispositivi
e la sua storia si basa e fonda sul funzionamento di questo meccanismo, che
poggia sull’intreccio fra il dispositivo archeo – ontologico e quello kenotico –
escatologico. Il rapporto tra dono di Grazia e libero arbitrio passa attraverso il
meccanismo del doppio dispositivo cosicché Valentino e Tertulliano
rappresentano, in modi profondamente differenti, le possibili risposte a questo
delicato problema.
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