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LIPPOGRIFOAtti & documenti

QUALE COMUNIT? CONTRIBUTI ALLA CITT DI PORDENONE

DALLA REPUBBLICA DI PLATONEALLA MAPPA DEL DISAGIO GIOVANILE

QUALE COMUNIT? CONTRIBUTI ALLA CITT DI PORDENONE

5,00

LIBRERIA AL SEGNO EDITRICE

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COP. RIVISTA A&D 6 27-10-2005 19:57 Pagina 1

QUALE COMUNIT? CONTRIBUTI ALLA CITT DI PORDENONE

DALLA REPUBBLICA DI PLATONE ALLA MAPPA DEL DISAGIO GIOVANILE

LIPPOGRIFOAtti & documenti

Autori e collaboratori :

Sergio Bolzonello, sindaco di Pordenone.Cristian Carrara, portavoce Forum Nazionale dei Giovani.Sergio Chiarotto, preside Liceo Leopardi-Majorana, Pordenone.Livio Corazza, direttore della Caritas Diocesana, Pordenone.Elio De Anna, presidente della Provincia di Pordenone.Nicola Fadel, coordinatore provinciale Acli Pordenone.Lorenzo Garziera, segretario provinciale Cisl, Pordenone.Massimiliano Santarossa, redattore, Pordenone.Francesco Stoppa, psicologo del Dsm di Pordenone.Giorgio Zanin, presidente provinciale Acli Pordenone.Giovanni Zanolin, assessore alle Politiche sociali di Pordenone.

La giornata dellevento Due giugno: Quale Repubblica?tenutasi a Pordenone il 2 giugno 2005 stata organizzata dai Giovani delle Acli e dalle Acli provincialicon il Patrocinio del Comune di Pordenone.

In copertina: Particolare della loggia del palazzo comunale di Pordenone. Allinterno: Mappe di megalopoli immaginarie disegnate da Ado Scaini.Le fotografie dei palazzi di Corso Vittorio Emanuele sonodi Assunta Romor e Udo Khler e sono tratte dal libro Emozioni di Pietra.Edizioni Biblioteca dellImmagine.

Sostengono la pubblicazione de LIppogrifo:Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 Friuli Occidentale e Dipartimento di Salute Mentale di Pordenone;Comune di Pordenone,Amministrazione Provinciale di Pordenone; Coop Acli, Cordenons;Coop Fai, Porcia; Coop Service NoncelloCoop Itaca, Pordenone; Licei riuniti Leopardi-Majorana di Pordenone.

Questa pubblicazione stata realizzatacon il contributo della Fondazione Cassadi Risparmio di Udine e Pordenone

Per inviare contributi, riflessioni e impressioni, scrivere a:Redazione LIppogrifo c/o Studio Rigoni - viale Marconi, 3233170 Pordenone. Telefono e fax: 0434 21559.E-mail: [email protected] [email protected] distribuito dalla Libreria al Segno Editrice.

Libreria al Segno EditriceQuesta pubblicazione promossadallAssociazione Enzo Sarlivia De Paoli, 19 - 33170 Pordenone.

Coordinamento editorialee di redazioneMario S. Rigoni,Francesco Stoppa,Patrizia Zanet.

RedazioneFlavia Conte,Fabio Fedrigo,Piervincenzo Di Terlizzi,Roberto Muzzin,Lucio Schittar.

Progetto graficoe impaginazioneStudio Rigoni.

VideoimpaginazioneAnna Piva e Gianluca Betto.

StampaTipografia Sartor - Pordenone.Stampato nel mesedi ottobre 2005

Vicolo del Forno 233170 PordenoneTelefono 0434 520506Fax 0434 21334

Copyright del progetto editoriale:LIppogrifo by Studio Rigoni. vietata la riproduzione, senza citarne la fonte.Gli originali dei testi, i disegni e le fotografie,non si restituiscono, salvo preventivi accordicon la Redazione. La responsabilit dei giudizie delle opinioni compete ai singoli Autori.

La citt. La comunit. Sonoi temi centrali, da sempre,della nostra rivista. Siamoperci lieti di ospitare suqueste pagine lintelligenteiniziativa promossa lo scorso2 giugno dai giovani dellA-cli, i quali, prendendo lemosse da un vero classicodellargomento quale la Repubblica di Pla-tone, hanno ricreato sotto la loggia del Mu-nicipio di Pordenone il clima di unanticaagor e invitato alcune figure istituzionalilocali ad esprimersi sulla realt della nostrapolis. A quali logiche obbediscono, oggi, lapolitica, la gestione della Cosa pubblica, lascuola, la sanit? Quali diritti la nostra co-munit garantisce ai suoi cittadini pi svan-taggiati e che tipo di accoglimento riserva ainuovi venuti? Certo non basta un evento diquesto tipo per quanto assolutamente me-ritorio e capace, soprattutto, di rilanciareunidea di partecipazione politica dei citta-dini per ottenere una radiografia del no-stro livello di civilt. Tuttavia alcune grossee delicate questioni vengono poste, ribadite,aperte alla discussione.Alla pubblicazione di questi interventi se-gue poi uno studio di Giovanni Zanolinsulla violenza minorile in citt. Si tratta diun testo di grande interesse, i cui meritinon si misurano solo per la competenzacon cui stato pensato e steso, ma ancheper lassenza di ogni facile e ottimistica re-torica. Zanolin mostra come, pur restandofedeli a una cultura dellaccoglienza, si pos-sa (noi diremmo si debba) tenere una po-sizione critica e attenta, consapevole della

delicatezza e a volte dellagravit dei problemi chesorgono nellincontro traculture diverse. Lautore,Assessore alle Politiche so-ciali del Comune di Porde-none, non si limita a dia-gnosticare con lucidit la si-tuazione, ma ci mette a co-

noscenza di quanto si sta facendo e di quel-lo che si deve fare per affrontare un pro-blema quello della criminalit di giovaninon, o mal inseriti nel tessuto sociale chenel tempo, non possiamo nascondercelo,andr probabilmente ad amplificarsi met-tendo alla prova tutta la comunit.Chiudono questo Atti & documenti unaserie di racconti e un inedito dialogo plato-nico che la rivista, in anteprima, rende no-to al mondo Scherzi a parte, si tratta diuna deliziosa invenzione di PiervincenzoDi Terlizzi che convoca Socrate ad illu-strarci cosa dovrebbe essere una comunit:un luogo in cui il bene primario leduca-zione dei giovani, non il loro addestramen-to tecnico ma la loro formazione umana esoprattutto civile. E dove, in particolare, siimpara a cavarsela col proprio limite uma-no, abbandonando, in controtendenza, lafavola della perfezione per valorizzare, in-vece, la precariet che ci appartiene: Cimanca sempre poco, ma questo poco, chesempre vorremmo comprendere e che sem-pre ignoreremo, che la nostra superbia cifarebbe nascondere e la nostra saggezza cifa accettare, la cosa pi importante che cisia. Questo poco, questa nostra fallibilit, la cifra umana e il cuore della polis.

PRESENTAZIONE

Unagorsotto la loggia

La Redazione

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Voglio anzitutto esprimere ilmio personale ringraziamento aquanti delle Acli e dei Giovanidelle Acli hanno lavorato permesi con la mente e con le brac-cia per realizzare questo evento.Larte civica di elaborare e colla-borare insieme uno stile chetrova in questa rappresentazio-ne una sua esplicita manifesta-zione di successo e creativit.Un grazie che dunque invito a proseguirelungo questa strada. Do anche il benvenuto eringrazio in particolare le autorit che hannoaccettato linvito a condividere e contribuirecon la loro riflessione, in un momento pubbli-co, a quella che dunque unesperienza piancora che uno spettacolo originale, dove pub-blico e attori non hanno confini definiti e cia-scuno pu sentirsi coinvolto in ogni ruolo. Illuogo scelto, la loggia del Comune di Porde-

none, un evidente richiamoanche simbolico a tutto quelloche vuol essere il senso dellamanifestazione: il coinvolgimen-to attivo, in particolare dellegiovani generazioni, sui temi delcivile, del politico, del sociale. questo un campo che con le Aclidi Pordenone ci stiamo adope-rando a coltivare da parecchianni in maniera sempre pi at-

tenta e innovativa, con proposte di formazioneche speriamo contribuiscano alla creazione diunetica civile rinnovata, pi responsabile. Ed un impegno a cui desideriamo richiamarenon solo i presenti, ma soprattutto coloro chesono nella responsabilit di favorire i processisul piano educativo: genitori, insegnanti, edu-catori, uomini della comunicazione, uominipubblici Ciascuno pu e deve fare la propriaparte, per stimolare e rilanciare il protagoni-

Introduzione

Giorgio ZaninPresidente provinciale

Acli di Pordenone

Lidea di realizzare leventoDue giugno: Quale Repubbli-ca? nasce dalla volont di crea-re unoccasione di crescita attra-verso il confronto tra i cittadini echi li guida chiamando in cau-sa anche un terzo attore: la tra-dizione del patrimonio culturaleche ci contraddistingue, attra-verso i suoi testi filosofici e lette-rari che contengono spunti e te-mi di valore civile. Abbiamo riletto unopera, laRepubblica di Platone, per individuare dei bra-ni centrati su temi che fossero di attualit ancheoggi, come la mission del primo cittadino e ilruolo delle leggi, limportanza dellistruzione, ilruolo delle associazioni, della sanit, il sensodella giustizia. Per ciascun tema abbiamo invi-tato alcuni rappresentanti delle istituzioni coin-volte a rispondere in merito alla situazione at-tuale della nostra comunit.In questo modo crediamo di aver tracciato unalinea di continuit fra attualit e tradizione,

proprio perch le problematicheche caratterizzano la vita civiledi una comunit sono le medesi-me, pur cambiando il contestostorico. Ecco allora che la tradi-zione costituisce un luogo dispunti di riflessione e di pensie-ro e pu diventare un laborato-rio in cui i ricercatori sono i cit-tadini ed i rappresentanti istitu-zionali insieme.

Il metodo utilizzato quello del dialogo, inne-scato sui temi individuati attraverso notizie pre-se dai media locali e relative alle istituzioni perle quali gli interlocutori sono stati invitati a ri-spondere non tanto per dare una dichiarazio-ne dintenti, quanto piuttosto per spiegare daquali principi sono mossi nelloperare per la co-munit. Crediamo in tal modo di aver onoratola festa della Repubblica in modo originale eformativo allo stesso tempo, e ci auguriamo chequesta occasione se apprezzata possa con-solidarsi in prassi.

Presentazione

Nicola FadelCoordinatore Acli

del Progetto Due giugno

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QUALE COMUNIT?CONTRIBUTI ALLA CITT DI PORDENONE

smo civico delle giovani generazioni, da cui di-pende la costruzione del futuro.Avrei molte altre parole da aggiungere, visti glistimoli che lo spettacolo induce, ma preferiscofermarmi perch, con grande soddisfazione, so-no arrivate anche parole pi alte che ora vi leg-go: In occasione della rappresentazione dellaRepubblica di Platone, il Presidente della Re-pubblica esprime vivo apprezzamento alle As-sociazioni Cristiane Lavoratori Italiani di Por-denone per lalto significato civile di questa ini-ziativa, che nel giorno della festa della Repub-blica esalta i principi della Costituzione. Il co-mune impegno delle istituzioni e dellassocia-zionismo svolge un ruolo essenziale per raffor-zare nella coscienza collettiva la consapevolezzadi una rinnovata cittadinanza nazionale ed eu-ropea, di un nuovo umanesimo, fondamento diun futuro di pace, e di costruttiva integrazionetra i popoli delle nazioni. Agli organizzatori, al-le autorit, ai partecipanti e a tutta la comunitdi Pordenone, il Capo dello Stato invia un au-gurio cordiale. Carlo Azeglio Ciampi. Un altro messaggio di saluto ci giunto dal Pre-

sidente del Consiglio regionale, Alessandro Te-sini, che dice: Cari giovani delle Acli, cari gio-vani tutti, vi ringrazio per linvito rivoltomi, mapurtroppo impegni istituzionali in altra sedenon mi consentono di essere presente al vostroincontro. Vorrei comunque che vi giungesse ilmio plauso e il mio sostegno alliniziativa dicommemorazione della festa della fondazionedella Repubblica, che vi vede protagonisti. Per-ch si tratta di una giornata molto importanteper la vita democratica della nostra comunit.Certo che saprete ricordare nel giusto modoquesto evento, e dandovi appuntamento ad unaprossima occasione, vi saluto cordialmente,Alessandro Tesini.Prima di cominciare, un ringraziamento dove-roso anche nei confronti di quanti in questa se-de ci sono stati preziosi collaboratori: lAmmi-nistrazione comunale di Pordenone per il pa-trocinio complessivo e per la disponibilit del-lo spazio, e in particolare i due Assessori dellastessa amministrazione, Pagliaro e Cudin, checos convintamente ci hanno accompagnatolungo questo percorso.

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Io sostengo, Socrate, che la giustizia lutiledel pi forte. Sei daccordo? Lo far, Trasimaco, ma desidero comprende-re cosa intendi dire. Lutile del pi forte, tu di-ci, cosa giusta. Non vorrai certo sostenereunassurdit come questa, che se Pulidamante ilpancraziaste pi forte di noi e al suo organi-smo sono utili le carni di bue, tale cibo sia utilee insieme anche giusto pure per noi che siamopi deboli di lui. Sei proprio rivoltante, Socrate, e interpretinel modo che meglio ti permette di travisare ildiscorso. Non sai, riprese, che alcuni stati sono gover-nati a tirannide, altri a democrazia, altri ancoraad aristocrazia? Certo, dissi, lo so. Bene, in ciascuno Stato il governo che de-tiene la forza e ciascun governo legifera per ilproprio utile, la democrazia con leggi demo-cratiche, la tirannide con leggi tiranniche, e glialtri governi allo stesso modo. E una volta chehanno fatto le leggi, eccoli proclamare che ilgiusto per i sudditi si identifica con ci che invece il loro proprio utile; e chi se ne allonta-na, lo puniscono come trasgressore sia dellalegge sia della giustizia. In ci dunque consi-ste, mio ottimo amico, quello che, identico intutti quanti gli Stati, definisco giusto: lutiledel potere costituito. Questo potere detiene laforza: cos ne viene, per chi sappia bene ragio-nare, che in ogni caso il giusto sempre li-dentica cosa, lutile del pi forte. Ora s che ho compreso, dissi io, quello chevuoi dire! Anche tu dunque, Trasimaco, hairisposto che il giusto consiste nellutile. Soloche c in pi, in tali tue parole, quellespres-sione del pi forte. Non ancora affattochiaro che sia importante. chiaro invece chesi deve esaminare se sono vere le tue afferma-zioni. Poich sono daccordo anchio che ilgiusto qualcosa di utile, ma tu vi fai unag-giunta e lo definisci lutile del pi forte, cosache io ignoro, allora si dovr esaminare laquestione. Esaminala pure, rispose Trasimaco. Sbito, dissi io.

Dimmi: non affermi che anche obbedire aigovernanti giusto? Io s. E nei vari Stati sono infallibili i governanti?O possono anche commettere errori? Senzaltro, ammise, possono commetterne. Ora, quando si mettono a fare le leggi, nefanno alcune bene e altre no? Credo di s. E farle bene non significa fare il proprio uti-le? e farle non bene ci che non utile? Seidaccordo? S, disse lui. E qualunque disposizione prendano i gover-nanti, i sudditi sono tenuti ad eseguirla: non anche questo giusto? Certo! Ma allora, se stiamo al tuo discorso, giustonon vuole dire soltanto fare lutile del pi for-te, ma anche il suo opposto, ci che non gli utile. Perch?, chiese. Non siamo rimasti daccordo, dissi, che chigoverna, quando ordina ai sudditi di fare certecose, talvolta non ottiene ci che per lui il me-glio? e che qualunque sia lordine dato da chigoverna, giusto per i sudditi eseguirlo? Nonsiamo rimasti daccordo cos? Credo di s, rispose. Ma con ci, ripresi, hai ammesso, credilo,che anche agire contro lutile di chi governa ed pi forte cosa giusta, quando i governantiordinino, senza volerlo, cose per loro nocive e,come sostieni, sia giusto per i sudditi eseguirnegli ordini. E allora, mio sapientissimo Trasima-co, se ne dovr per forza dedurre che giustovuol dire fare lopposto di quanto dici. Perchai pi deboli si impone di fare proprio ci chenon torna utile al pi forte. chiaro, Trasimaco, che nessuna arte e nessungoverno procura il proprio vantaggio. Come sidiceva da tempo, esso procura e prescrive quel-lo del suddito e guarda allutile di questi, che pi debole, e non allutile del pi forte. Perquesto, caro Trasimaco, io dicevo che nessunovolontariamente consente a governare e ad oc-cuparsi dei guai altrui per raddrizzarli, ma che

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Dellarte di governare

Platone, Repubblica. Libro I, 338-339; 347

esige una mercede; perch chi intende esercita-re bene la propria arte, non fa n prescrive maici che il meglio per s, se le sue prescrizionisono conformi a quellarte; egli fa e prescriveci che il meglio per il suddito. Ed per que-sto, sembra, che chi consentir a governare de-ve ricevere una mercede: o denaro od onori op-pure un castigo, se non governa. Che vuoi dire, Socrate, con queste parole?,chiese allora Glaucone. Conosco le due merce-di, ma non ho capito in che cosa consiste il ca-stigo di cui parli e che hai considerato mercede. Non capisci allora, risposi, in che cosa consi-ste la mercede delle persone migliori, quella percui i pi onesti governano, quando consentanoa governare. Non sai che lambizione di onori edi denaro detta ed una vergogna? Lo so bene, disse. Perci, ripresi, non per denaro n per ono-ri che i buoni consentono a governare. Non vo-gliono n essere tacciati di mercenari esigendoapertamente una mercede per la loro attivit digoverno, n di ladri ricavandola loro stessi dinascosto dalla carica che ricoprono. E daltra

parte non lo fanno per onori, perch non ne so-no ambiziosi. Occorre che su di loro agiscanoancora gli stimoli della necessit e del castigo,se consentono a governare: di qui forse nascelabitudine di considerare brutto andare volon-tariamente al governo senza attendere che se nepresenti la necessit. E il massimo del castigo,se uno non consente a governare lui stesso, con-siste nellessere governato da uno che gli infe-riore: io credo che per timore di questo castigogovernano, quando governano, i galantuomini.E vanno allora al governo non perch lo stimi-no un bene per loro o perch pensino di tro-varvi un piacere, ma perch lo considerano ne-cessario e non hanno modo di affidarlo a per-sone migliori di loro e nemmeno simili. Se maiesistesse uno stato di persone dabbene, si fa-rebbe forse a gara per sottrarsi al governo, co-me adesso per accedervi, e vi risulterebbe evi-dente che in realt un vero uomo di governoper sua natura non mira al proprio utile, ma aquello del suddito: ogni persona prudente pre-ferirebbe avere vantaggi da unaltra che incon-trare noie per procurarli a lei.

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Il ruolo della Provincia

Elio De AnnaPresidente della Provincia di Pordenone

La riforma del Titolo V della Costituzione, av-venuta nel settembre-novembre del 2001, ride-finisce la Repubblica italiana che viene identifi-cata come una composizione dello Stato, delleregioni, delle aree o delle citt metropolitane,delle province e dei comuni. molto impor-tante questa definizione perch implica che cia-scuno di questi attori-protagonisti, con propriostatuto, determina quelle che sono le azioni nel-lambito delle proprie funzioni. Intendo direche nessuna legge regionale, anche che abbiavalenza pseudo-costituzionale, pu togliere lefunzioni che la Costituzione stessa conferisce aquesti Enti. Lo Stato ha poteri in determinaticampi: batte la moneta, per esempio, o gestiscela politica internazionale. Alle regioni sonoconferite gran parte delle funzioni; la nostra re-gione, essendo una regione a statuto speciale,ha addirittura alcune funzioni normative che al-tre regioni non hanno. Le province a loro voltahanno alcune funzioni che non vengono rico-

nosciute dal governatore di turno o da unamaggioranza di turno, ma che sono congenitenella propria esistenza e che nessuna legge co-stituzionale pu togliere loro. La Costituzionepu variare, ma non una legge costituzionale. Epoi ci sono i comuni.Oggi che la nostra Regione si appresta a riordi-nare il sistema delle autonomie (quando parlia-mo di sistema delle autonomie parliamo di pro-vince, di comuni e anche di comunit montane,sebbene non siano organi eletti) viene a configu-rarsi una struttura fondante e fondamentale trala regione che fa le norme e il comune che len-te di prossimit al cittadino, che eroga i servizi. In qualit di Presidente della provincia condi-vido questo impianto, ma aggiungo che anchele province sono organo o ente di prossimit,non per alcuni servizi, ma per alcune funzionial cittadino. Ritengo che un Comune, in que-sta Provincia, non possa tracciare un sistemadelle strade disconnesso dal sistema della via-bilit e dei trasporti; ritengo che un comune,anche se capoluogo, non possa fare da capofi-la per gli istituti di scuola media superiore(questi erano in capo ai comuni e poi sono pas-sati, per evidenti questioni di gestione, alleprovince). difficile pensare che su tematicheambientali non debba esistere un organismo di

Limpegno del Sindaco

Sergio BolzonelloSindaco di Pordenone

Ritengo che il ruolo di un Sindaco consista neltenere unita la comunit da un lato e nel lavo-rare per la comunit dallaltro. Ci significaadoperarsi per quanto riguarda le opere pub-bliche, ma anche per quanto riguarda il socialee la coesione della comunit. Credo inoltre chei due aspetti siano legati in particolar modo inuna realt quale un Comune come il nostro cheha 50.000 abitanti; probabilmente questa do-manda, se rivolta al sindaco di una citt di oltre100.000-150.000 abitanti, troverebbe una ri-sposta diversa dalla mia, ma per tutti i Sindacidi citt inferiori la risposta sicuramente lastessa: compito del primo cittadino tenere as-sieme tutti, in una coesione sociale molto fortee nello stesso tempo dare risposte importantied il pi immediate possibile relativamente allavita di tutti i giorni; e a maggior ragione in unacitt come la nostra la cui particolarit di avervissuto negli ultimi 15 anni una grossa trasfor-mazione. Il fatto che il 10% della nostra comu-nit sia fatto di popolo migrante comporta unaserie di problematicit (non nel senso che co-stituiscono un problema ma semmai che avvia-no un processo di integrazione) e di mutazioni

del vivere comune di tutti i giorni: in uno sce-nario di questo genere la coesione sociale di-venta il fattore pi importante, il collante dellacomunit. Ritengo che una comunit civile co-me la nostra non possa vivere bene se non d ri-sposte a tutti coloro che sono allinterno delproprio territorio. Dare risposte a 104 naziona-lit diverse, ciascuna con la sua unicit e pecu-liarit, e sostenere un processo di integrazionecol nostro modo di vivere non sicuramentecosa facile; ma questa una difficolt che va af-frontata e superata. Limportante per una persona che ricopre unruolo come il mio di non permettere che ilproblema del quotidiano diventi un alibi pernon affrontare in modo attento temi pi grandiche richiamano un orizzonte pi ampio. Credo che labilit di un amministratore pub-blico, di un Sindaco in particolare, sia quella diriuscire a coniugare una visione a lungo perio-do, che riesca a prendere in esame tutte le pro-blematiche in unottica di sistema, con la rispo-sta immediata alle esigenze giornaliere, come ilbuco dellacquedotto oppure il problema delleimmondizie non raccolte e cos via.

prossimit al territorio quale un Ente provin-ciale. Il sistema di questa regione (ma anchedelle altre regioni) un sistema che rischia diessere fortemente introverso nel federalismo.Un presidente di regione, Adriano Biasutti,defin federalismo introverso il passaggio difunzioni dallo Stato alle regioni, le quali nonsono la struttura fondante della nostra Repub-blica. La nostra Repubblica infatti ha unastruttura fondante tra le province e i comuni;la storia millenaria dellItalia si basa tra i co-muni e le province, poi sono state costituite leregioni: oggi c il rischio che nel trasferimen-to dei poteri dallo Stato alle regioni si accentuiancora di pi un federalismo introverso e chevenga scardinata una struttura in grado di ga-rantire adeguatezza del sistema nei confrontidei cittadini. In questo passaggio di competen-ze il rischio che le regioni conferiscano fun-zioni ai comuni per poi riprendersele in capo

una volta verificato che queste funzioni nonpossono essere espletate soprattutto nei pic-coli comuni. E proprio perch compito dellaregione non pu essere quello di avere azioniamministrative, si passa dalla funzione eserci-tata dalla regione alle cosiddette agenzie. Inquesto modo nata lagenzia dellArpa, natao nascer lagenzia delle strade, nata e na-scer lagenzia della cultura, e cos via. Na-scer insomma una serie di agenzie che fini-ranno per esautorare i cittadini, che conferi-scono attraverso il voto la funzione ammini-strativa e di controllo in trasparenza a Sindacie Presidenti di provincia. Il Presidente diunAgenzia infatti viene nominato direttamen-te dal Governatore o dal Consiglio regionale;non una persona eletta dalla gente e pertan-to non risponde alla gente ma a chi lha nomi-nato. Questo il pericolo, a mio avviso, nelprocesso di riordino delle autonomie.

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A quanto si dice, se io sono giusto senza sem-brarlo, non me ne viene vantaggio, ma evi-denti pene e castighi. Se invece sono ingiusto,purch goda fama di giusto, mi si annunziauna vita degna di un dio. Ora, come mi di-mostrano i sapienti, lapparenza simpone aforza anche sulla verit ed il fattore decisi-vo della felicit. Questo devo quindi fare: co-me facciata avere unillusoria prospettiva divirt, ma dietro essere come lastuta e versa-tile volpe. Per mi si pu obiettare non facile es-sere cattivi e non farsi mai scoprire. Ma nessunaltra grande iniziativa rispondere-mo senza inconvenienti. Per non farci sco-prire organizzeremo congiure e consorterie; nmancano poi maestri di persuasione che inse-gnano i modi di ben parlare nelle piazze e neitribunali. Con questi mezzi ora persuaderemoora ricorreremo alla forza e cos soverchieremogli altri senza pagarne la pena. Ma non si pu rimanere celati agli di n usa-re con loro la violenza. E se essi non esistonoo non si danno pensiero delle cose umane,perch dovremmo essere noi a preoccuparcidi non farci scoprire? E se invece esistono ehanno cura di noi, la conoscenza che ne ab-biamo non ci viene da altro se non dalla tradi-zione orale o dalle leggende e dai poeti autoridi genealogie. Ma sono proprio questi poeti adirci che gli di si lasciano persuadere, con sa-crifici, dolci preghiere e offerte a mutare dav-viso. A questi poeti si deve prestar fede o suambedue i punti o su nessuno; e se lo faccia-mo, dobbiamo commettere ingiustizie e poifare sacrifici adoperando i beni acquistati conil male. Se saremo giusti, resteremo impunitidagli di, ma perderemo i guadagni derivanti

dallingiustizia; se ingiusti, guadagneremo e,pur colpevoli di prevaricazioni e di errori, conpreghiere persuaderemo gli di s da cavarcelasenza castighi. Ma le ingiustizie commesse in questo mondole sconteremo nellAde, noi stessi o i figli deifigli. E laltro calcolando risponder: Miocaro, molto possono a loro volta le cerimoniedi iniziazione e gli di liberatori. Cos attesta-no gli stati pi grandi e i figli di di che sonodiventati poeti e interpreti degli di. Quindiper qual motivo dovremo ancora preferire lagiustizia allingiustizia, se potendo fare ingiu-stizia di nascosto, potremo poi agire a nostrotalento da vivi e da morti nei nostri rapporticon gli di e con gli uomini? Teniamo presente tutto ci che s detto, So-crate, e chiediamoci con che mezzo chi di-sponga di un potere che gli venga dal suo spi-rito o dal denaro o dal suo fisico o dalla nobi-le nascita pu indursi a rispettare la giustizia,anzich mettersi a riderne. Del resto se uno capace di dimostrare la falsit delle nostre pa-role e riconosce come massimo bene la giusti-zia, sente molta indulgenza e non sadira congli ingiusti. Sa bene per che, salvo il caso dichi per una sua divina natura prova ripugnan-za a commettere ingiustizia, o se ne astieneperch divenuto saggio, degli altri nessuno giusto perch lo voglia, ma biasima gli atti diingiustizia soltanto per vilt o vecchiaia oqualche altra debolezza, perch insomma incapace di farli. E che sia cos chiaro: il pri-mo di tali individui cui si presenti la possibi-lit di commettere ingiustizia il primo acommetterla nella misura che pu. Di tuttoquesto il motivo proprio quello che ha datolavvio a tutta questa nostra discussione, So-

Dellarte di essere giusti...anche verso gli stranieriPlatone, Repubblica. Libro II, 365-366

La comunit religiosa e il dovere dellimpegno

Livio CorazzaDirettore Caritas Diocesana

Possiamo renderci conto che non siamo gli uni-ci, noi qui a Pordenone, a vivere come un pro-blema la questione dellimmigrazione. Appren-diamo dalla stampa che in Francia e in Olandahanno bocciato la Costituzione europea perchi cittadini percepiscono la paura dellidraulicopolacco. Sembra esserci una paura diffusa cheil benessere acquisito sia messo in discussioneda alcune categorie di persone. Si corre cos ilrischio di fare degli immigrati un capro espia-torio, qualcuno al quale addossare la responsa-bilit dei nostri problemi. Questi possono esse-re anche connessi a dei cambiamenti sociali; mail rischio di scaricare le nostre responsabilitc, e talvolta vengono esasperate dagli organidi stampa.A chi chiede: Che cosa deve fare la comunitreligiosa? rispondo: Quello che devono faretutti. Don Milani diceva: Il problema deglialtri uguale al mio; sortirne insieme fare po-litica, uscirne da soli invece egoismo. Insomma, lo affermo un po provocatoriamente,la comunit religiosa deve fare politica. Mi si po-trebbe dire: Daccordo che oggi lanniversariodel referendum e fra poco ce n un altro; mi pa-re che Ruini facesse abbastanza politica;prendete questa come una battuta. Intendo direfare politica nella misura in cui ci significaoperare tutti per il bene comune, educare perchciascuno nel proprio ambito si assuma le proprieresponsabilit. Questo ne sono convinto uncompito affidato anche alla comunit religiosa. Credo che iniziative come questa di oggi abbia-no un grande significato politico, perch richia-mano alla responsabilit. A tal proposito, Gio-

vanni Paolo II identifica la responsabilit con lasolidariet, dichiarando che la solidariet non un vago sentimento buonista, ma nasce quandotutti si sentono responsabili di tutti. In merito alla questione dellintegrazione, iopenso che questa parola non significhi omolo-gazione, assimilazione o sperare che tutte lepersone un domani mangino polenta e parlinoin dialetto. Questa non integrazione. Ricordoche qualche tempo fa un amico imprenditoremi ha detto: Don Livio, devi aiutarmi, dob-biamo fare un corso di dialetto per gli extraco-munitari perch quando gli chiedo di passarmila carriola o la malta no i capisse. Credoche probabilmente dovremmo organizzare an-che un corso di italiano per gli italiani. necessario promuovere il senso di responsa-bilit di ciascuno e dare, al tempo stesso, se-gnali di pacatezza. In tal senso vedo molti rap-presentanti delle istituzioni della nostra citt,della nostra Provincia, fungere da modello edoffrire il proprio contributo. Le istituzioni of-frono un segnale positivo e contribuiscono asostenere la pace sociale quando si impegnanoa lavorare insieme, rispettandosi e senza illude-re i cittadini che il modo migliore di risolvere iproblemi sia quello di semplificarli (tutti i dro-gati in galera, gli immigrati fuori dai piedi, ecos via).Dico queste cose con lamarezza di un porde-nonese che da ragazzo giocava a nascondinodietro il campanile e che oggi coglie le moltetentazioni e tensioni presenti, le quali tuttavia,anzich risolvere, contribuiscono ad esasperarei problemi. In questo scenario la comunit reli-giosa cristiana non chiamata direttamente atrovare case o altre risorse (queste sono solu-zioni a singole situazioni su cui sicuramente cisi impegna); ma certamente la comunit religio-sa, in termini ampi, chiamata ad assumersi ilcompito di fare cultura e di fare politica, nelsenso pi alto del termine, consapevole che lacarit politica come diceva Paolo VI laforma pi alta di carit.

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crate, e che si pu esprimere cos: Illustreamico, tra tutti voi che vi dite esaltatori dellagiustizia (a cominciare dagli eroi primitivi deiquali rimangano discorsi per finire agli uomi-ni dei nostri tempi) nessuno mai biasim lin-giustizia n lod la giustizia per ragioni diver-se dalla reputazione, dagli onori e dai doniche ne conseguono. Ma nessuno mai, n in

poesia n in prosa, ha indagato abbastanzaqual leffetto della giustizia e dellingiusti-zia, ciascuna considerata per s e per il suopotere, dentro lanima di chi la possiede, na-scosta agli di e agli uomini; n ha dimostratocon il suo discorso che lingiustizia il mag-giore di tutti i mali dellanima, la giustizia in-vece il massimo bene.

Ora possiamo affermare che Asclepio invent lamedicina per coloro che per naturale disposi-zione e regime di vita hanno corpi sani, ma por-tano nelle loro persone una malattia limitata auna parte sola? che la invent per costoro e perquesta loro condizione? E possiamo affermareche, pur scacciando le malattie con farmaci e in-cisioni, egli prescrive il loro regime di vita abi-tuale, per non portare danno alla vita dello Sta-to; possiamo affermare che non cerca di rende-re lunga e penosa la vita alluomo che ha corpiaffetti da malattie organiche, ricorrendo a regi-mi curativi fondati su graduali evacuazioni e in-fusi, per non fargli procreare dei figli che, come ben naturale, saranno simili ai genitori; non ri-tiene di dover curare, come persona non utile na s n allo Stato, chi non pu vivere il tempofissatogli dalla natura. un uomo di stato, rispose, per te Asclepio... chiaro, dissi; e pure i figli suoi: non vedi cheanche a Troia si dimostrarono prodi in guerra efecero della medicina luso che dico? Non ri-cordi che anche a Menelao ferito da Pandarosuggendone il sangue, sparsero linimenti sullapiaga e che in sguito egli non ebbe bisogno dibere o mangiare nulla oltre a quello che aveva-no prescritto ad Eurpilo, convinti che per risa-

nare uomini sani e regolati nel tenore di vita pri-ma del ferimento bastavano i farmaci, anche sel per l avessero dovuto bere il ciceone? Maquando si trattava di un individuo naturalmen-te malaticcio e intemperante, credevano che vi-vere non giovasse n a lui n agli altri; e che perpersone come queste non ci dovesse neppureessere larte medica, e di non doverle curare,nemmeno se fossero state pi ricche di Mida. Molto accorti, disse, tu giudichi i figli diAsclepio! Merita dirlo, risposi, per quanto i poeti tragi-ci e Pindaro non siano daccordo con noi e af-fermino che Asclepio , s, figlio di Apollo, mache fu loro a indurlo a guarire un riccone ma-lato e gi in punto di morte; e che appunto perquesto venne colpito dal fulmine. Per noi,coerenti con le nostre parole di prima, nonprenderemo per buone tutte due queste loro af-fermazioni, ma diremo che, se era figlio di undio, non era sordido avaro; e se lo era, non erafiglio di un dio. Benissimo, disse. E di questaltro punto chedici, Socrate? Non bisogna avere nello Statomedici bravi? Tali dovrebbero essere, secondome, tutti quelli che hanno avuto come pazientiquanti pi sani e quanti pi malati possibile.

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Dellarte di assistere e curare

Platone, Repubblica. Libro III, 407-408

La Citt e lAltro

Francesco StoppaPsicologo presso il Dipartimentodi Salute Mentale dellAss6 Friuli Occidentale

fondamentale definire quali siano le condi-zioni che, allinterno della polis anche dellanostra , concorrono alla umanizzazione dellecure e tutelano la salute dei singoli cittadini.La cosa importante, e preliminare a tutto il di-scorso che si pu fare su questo tema, la posi-zione che una comunit decide di tenere rispet-to alle contraddizioni che scaturiscono dal suointerno. Ci sono delle criticit che accompa-

gnano la vita di ciascuno e della societ (la vio-lenza o la morte, la vecchiaia o ladolescenza:come si vede, tutti eventi legati al corpo), e traqueste la malattia, una realt che istintivamentetutti vorremmo allontanare da noi, concentrarealtrove. Tra i vari motivi per cui ci angoscia, cil fatto di rappresentare unanomalia troppostridente coi nostri ideali di progresso, di pro-duttivit, di crescita e, pi in generale, di feli-cit. Compromette il nostro funzionamentostandard, lorganizzazione del nostro mondo.Per qualsiasi comunit c dunque una scelta difondo da fare: che valore dare al disagio? Gesti-re la malattia in modo che crei meno disturbipossibili al tessuto sociale oppure prendersenecura, darle ascolto, imparare qualcosa di fonda-mentale proprio da lei? , se si vuole, un pro-

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blema pi generale, perch una polis degna diquesto nome quella che sa trattenere al suo in-terno le proprie contraddizioni e non espellefuori di s ci che percepisce come problemati-co, che si tratti dellaltro, del diverso, lo stranie-ro, come di quellincongruenza che la malattia.La nostra una societ che pensa di cavarselacon la tolleranza. Ma la tolleranza non che lafaccia buona dellarroganza, latteggiamento dichi si sa superiore (il bianco sul nero, il ricco sul-lindigente, il medico sul paziente), di chi si ri-tiene immune da determinate contraddizionidellesistenza. Che bello: facciamo qualcosa perchi sta male, per il disabile, il pi sfortunato! bene sapere che non c traccia di civilt in tuttoquesto. Ed importante capire che se c qual-cuno o qualcosa da riabilitare, bene, si tratta del-la comunit, che va riabilitata, riaddestrata adassumersi la propria competenza nelle cura di sa partire proprio dalla cura e non dalla gestio-ne del disagio e della malattia. Il bene, quindi,non pensato o fatto per loro (i portatori di unqualsivoglia handicap), ma per tutti noi.Vorrei farvi un esempio, qualcosa che mi ca-pitato da poco nel mio lavoro. Sapete che inquesti giorni hanno preso avvio anche nella no-stra Provincia i Piani di zona, che rappresenta-no unimportante scommessa per la presa in ca-rico, da parte di tutta la comunit, del disagiopresente nel territorio. Si tratta di commissionimiste (sanitari, amministratori, familiari degliassistiti, volontari) che costruiscono tavoli di la-voro per unanalisi dei bisogni socio-assistenzia-li e per una progettazione comunitaria di rispo-ste possibili. Bene, si parlava, in una di queste commissioni,di barriere architettoniche, di trasporti, diquanto in generale poteva essere fatto per mi-gliorare le condizioni di vita dei portatori dihandicap allinterno della nostra citt. La cosainteressante che, allora, emergeva, che allarga-re i marciapiedi o ridurne il dislivello dalla stra-da non sarebbe fondamentale solo per le perso-ne che si devono muovere su carrozzelle, ma sa-rebbe utile anche a tutti i genitori per facilitareil transito delle carrozzine dei loro bambini.Che attrezzare i locali pubblici a ospitare servi-

zi igienici adeguati ai disabili renderebbe taliservizi migliori per chiunque. Che prevedereuna fermata dellautobus pi vicina al distrettosocio-sanitario, anche se ci comporta una leg-gera deviazione dalla strada principale (dove cisono i negozi), sarebbe cosa importante non so-lo per gli handicappati ma anche, ad esempio,per le persone anziane.Cosa significa tutto questo? Che una citt pro-getta e riprogetta se stessa, si reinventa e noncessa di incivilirsi solo se lo fa per il bene di cia-scuno, e non perch esistono dei disabili coi lo-ro problemi, e quindi, insomma, bisogna pen-sare anche a loro. Per poi, soddisfatti alla bellemeglio i loro bisogni, riconosciuti i diritti delleminoranze, ripartire in quarta, e con la coscien-za a posto, con la speculazione edilizia e la di-struzione dellambiente! chiaro, allora, che daquesto punto di vista la malattia non un bub-bone ma un bene prezioso, una condizione uma-na che ci insegna a vivere insieme in manierarealmente civile. A costruire una citt che rendapossibile la vita non solo ai disabili ma a ciascu-no di noi e ai nostri figli. A ben vedere, lesisten-za della malattia ci permette di pensare: ai nostriideali di sviluppo e di progresso. In altri termini,a quale repubblica, quale citt vogliamo. Certoquando abbiamo cominciato a pensare alla salu-te dei cittadini (ma sta per succedere lo stessoanche per la scuola e leducazione) in termini diaziendalizzazione, abbiamo mantenuto il dibat-tito nella logica dei costi-benefici, nella logicadellutile e del profitto. Dovremmo chiederci sevi sia, a questo livello, ancora qualcosa di politi-co. La tutela della salute, allora. Non si tratta so-lo di fornire prestazioni sempre pi efficienti,specialistiche, rapide, perch la salute, psichicao fisica, , per lessere umano, condizione delsuo livello di partecipazione creativa alla vitadella polis. Il malato di oggi lindividuo, colui,che in virt del mito moderno della libert edella sicurezza personale come beni assoluti, hasmarrito ogni riferimento alla comunit, allAl-tro, a qualcosa di trascendente che gli permettaunidentit complessa, diversa da quella virtualee bidimensionale di utente-consumatore. Unodei sintomi oggi pi comuni, lattacco di panico,

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non che unagorafobia (cio unangoscia per lepiazze, i luoghi aperti) che si genera nellepocain cui non ci sono pi agor, in cui alle piazze so-no subentrati i centri commerciali.Alla luce di quanto detto, diventa decisivo par-lare della formazione degli operatori addetti al-lassistenza, alla cura, alla riabilitazione dei citta-dini in difficolt, psichica o fisica. A cosa vannoaddestrati? Innanzitutto allascolto di questo in-dividuo che deve ritrovare lAltro, il suo interlo-cutore, dentro e fuori casa, che pu curarsi e ri-soggettivarsi solo recuperando la sua cifra di sin-golarit. Per cui una Medicina che segrega la

persona dietro alla prestazione standardizzata,che ne spezzetta lunit tramite la risposta spe-cialistica, che non sa proprio vedere, oltre al sin-tomo, una domanda di senso, costruisce rimedipi o meno efficaci ma non produce salute. Dal-tronde c qualcosa di un po grottesco nel fattoche siamo ancora qui a parlare e a occuparci diumanizzazione degli ospedali, dei servizi, deglioperatori. Come se la cifra umana non dovessenaturalmente entrare a far parte dellorganizza-zione dei nostri presdi di cura, o essere lindi-spensabile bagaglio culturale di chi ha il compi-to di occuparsi della salute dei cittadini.

Scuola e Comunit

Sergio ChiarottoPreside del Liceo Leopardi-Majorana

particolarmente emozionante per un preside,un preside di liceo classico, poter esprimeredelle riflessioni partendo da Platone, e vederela citt e unassociazione che si interrogano sulproprio destino, sul destino della Repubblica,

che non ci che noi festeggiamo il 2 giugno,ma prima di tutto la vita che dobbiamo vive-re in comune partendo da questo antico testoche sa di scuola. Mi sento onorato a nome del-la scuola, perch la scuola, i testi classici, lacultura che vengono interrogati per dare una ri-sposta ai problemi del nostro vivere assieme.Provo a rispondere allora da professore, citan-do nuovamente Platone, il Platone delle Leg-gi, il libro dedicato a come si devono fare leleggi per una citt; un capitolo intero di quel li-bro dedicato alleducazione, alla scuola, par-

Glaucone, quando tu incontri gente che lodaOmero e sostiene che questo poeta ha educatola Grecia e che merita di essere studiato per am-ministrare ed educare il mondo umano, e chesecondo le regole di questo poeta si organizza esi vive tutta la propria vita, questa gente bisognabaciarla e abbracciarla, e riconoscere che Ome-ro il massimo poeta e il primo tra gli autori tra-gici; ma si deve anche sapere che della poesia bi-sogna ammettere nello Stato solamente la partecostituita da inni agli di ed elogi agli onesti. Sevi ammetterai la sdolcinata Musa lirica o epica,nel tuo Stato regneranno piacere e dolore anzi-ch legge e quello che nel giudizio comune sempre sembrato essere il migliore criterio. verissimo, disse. Ecco, ripresi, ora che abbiamo ricordato lapoesia, siano questi i motivi addotti a difesaper giustificarci di averla allora bandita dalloStato per il suo carattere. Ce lo imponeva la ra-gione. E poi, perch non ci rinfacci anche unacerta durezza e villania, diciamole ancora chetra filosofia e arte poetica esiste un disaccordoantico. Resti detto tuttavia che, se la poesiaimitativa rivolta al piacere dimostrasse conqualche argomento che deve avere il suo postoin uno Stato ben governato, noi saremmo benlieti di riaccoglierla, perch siamo consci di su-bire noi stessi il suo fascino. Ma unempiettradire ci che ci sembra vero. Non ne senti an-che tu il fascino, specialmente quando la gustiattraverso Omero?

Certo. Non giusto che cos essa rientri, quando sisia giustificata o in una lirica o in qualche altrometro? Senza dubbio. Ai suoi patroni (non poeti, ma amanti di poe-sia) concederemo allora di difenderla in prosa edi dimostrarci che non solo piacevole, ma an-che utile alle costituzioni politiche e alla vitaumana; e li ascolteremo benevoli. Avremo incerto modo tutto da guadagnare, qualora appaianon soltanto piacevole, ma anche utile. Certo che ci guadagniamo, disse. Ma se non saranno capaci di dimostrarlo, ca-ro amico, ci comporteremo come talvolta fa chi innamorato di una persona. Se non ritiene uti-le quellamore, se ne distacca per quanto malvo-lentieri. Cos anche noi, in cui il sistema educa-tivo delle nostre belle costituzioni politiche hafatto nascere lamore per un simile genere dipoesia, saremo ben disposti a dichiararla ottimae verissima. Finch per non riuscir a giustifi-carsi, noi lascolteremo, ma continuando a ripe-terci il discorso che stiamo ora facendo, e que-sto scongiuro. E staremo attenti a non ricaderein quellamore puerile e volgare. Noi sentiamocomunque che non ci dobbiamo attaccare se-riamente a tale genere di poesia, giudicandolaseria e capace di cogliere la verit. Chi lascoltadeve invece stare bene in guardia e temere perla sua intima costituzione, e seguire le norme danoi date sulla poesia.

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Dellarte di educare

Platone, Repubblica. Libro X, 607-608

tendo da unaffermazione: Da quando i bam-bini nascono, per noi nasce lobbligo di edu-carli e questo obbligo, diceva Platone, non tanto o solo della famiglia. Pi importante ancora lobbligo che la cittha di educare i propri figli, ma educarli a cosa?Per esempio, ad usare i mezzi di comunicazio-ne di massa e ad affrontare le scelte scolastiche.Provo a citare un brano: Ogni giovane, manon solo, anche un vecchio, vedendo o ascol-tando qualcosa di insolito e di strano, non cor-rerebbe immediatamente per mostrare il suoassenso a quella cosa di cui dubbioso, ma, ar-restandosi come se fosse giunto ad un incrociodi tre strade e non sapendo assolutamente qua-le strada prendere, sia che viaggi da solo o incompagnia di altri, interrogher se stesso e glialtri sul suo dubbio e non si muover prima diaver valutato con sicurezza dove conduce quel-la strada.Questo il metodo della cultura della scuola;anche il discorso sulla poesia va letto in questadimensione: la poesia da rigettare di cui parla-va Platone pu essere paragonata a Beautiful oal Grande Fratello, cio alle suggestioni, alleemozioni, alle illusioni di facili percorsi, di im-mediate felicit, di immediati guadagni chevengono offerti dai nuovi Omero.La scuola propone unaltra metodologia, la me-todologia della riflessione, la metodologia deldubbio, la metodologia della ricerca. Mi vienein mente quanto disse Kant a proposito dellIl-luminismo, questo movimento della libert, delliberalismo: lo definiva il libero pubblico usodella Ragione. Questo il compito della scuo-la per aiutare i giovani a fare la loro scelta, peraiutarli a ragionare, a riflettere, a pensare, a evi-tare le suggestioni immediate, a evitare la ricer-ca dellutile immediato.La scuola fatica, la scuola difficolt; quandopresento la scuola ai ragazzi che vengono il pri-mo giorno, dico due concetti fondamentali:Noi non vi offriamo una scuola facile, noi vioffriamo una scuola impegnativa, seria; noi vipromettiamo laccoglienza e la disponibilit.

Platone fa unaffermazione forte: ogni scuoladeve costruire il proprio Ginnasio al centro del-la citt; un centro fisico e simbolico perch lacitt deve considerare la scuola, leducazione,come qualcosa di importante. Lo dico con mol-to rammarico, non tanto per questa citt, doveunattenzione c, anche se non definitiva; iopenso a quello che successo in questo nostroPaese, in questi ultimi mesi: c stato un grandedibattito sulla crisi di governo, sugli obiettivi,sulle prospettive future ma non abbiamo senti-to da nessuno dei politici di destra o di sinistraporre il tema della scuola come un tema su cuidiscutere, su cui impegnarsi per il governo didestra o per quello di sinistra; e questa discus-sione del tutto mancata pure in presenza diun governo che sta facendo una riforma epoca-le della scuola. Io invito pertanto la citt, la co-munit, la cittadinanza a vivere leducazione ela scuola come luogo delleducazione comuni-taria, come un centro fondamentale del suo vi-vere. Voglio ricordare che la scuola il luogodove i ragazzi vivono assieme; io sono certa-mente convinto che la famiglia un momentoimportante, ma la scuola il luogo dove i ra-gazzi vivono assieme, portando i valori della fa-miglia e confrontandosi fra di loro.Desidero prendere un secondo spunto dal temadegli extracomunitari, dei malati, degli handi-cappati: spesso nella scuola questi soggetti sonovissuti come un problema e spesso gli stessi ge-nitori ritengono che la presenza di uno stranie-ro o di un handicappato nella classe disturbi glialtri ragazzi e sia un limite per il lavoro in aula.Voglio dirvi il contrario, non per ragioni uma-nitarie o per bont, ma perch la presenza di unhandicappato in una classe mobilita delle ener-gie, delle risorse e un senso di comunit straor-dinari nella classe stessa. Dovreste vedere comediventano le classi che per cinque anni sannoportare avanti un ragazzo con delle difficolt:quando i ragazzi si muovono, quando i ragazzi,anche di fronte ai problemi di comprensione,diventano essi stessi coloro che spiegano alcompagno ci che ha illustrato linsegnante; e

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in questo spiegare, imparano di pi. Quelleclassi non solo sono classi di ragazzi pi buoni,ma sono anche classi che hanno imparato dipi. Lo stesso vale per gli stranieri: quando danoi arrivano degli stranieri, prima di tutto de-vono imparare litaliano, poi devono essere abi-tuati attraverso un linguaggio semplice a capirei concetti fondamentali della matematica e dellatino. Un insegnante che si trova costrettoad adattare il suo modo di insegnare ad un ra-gazzo straniero, insegna meglio anche a tutti glialtri; come ha detto il dottor Stoppa: lattenzio-ne alla presenza del malato e ai suoi problemidel malato unattenzione ai problemi di tuttala comunit e rende pi vivibile la citt per tut-ti, non solo per il malato.Sulla scuola potremmo parlare allinfinito, mavoglio ribadire alcuni concetti. Leducazione il compito massimo che ha una comunit; noiuomini, in quanto esseri umani, non possiamo

far crescere i bambini spontaneamente: educar-li un dovere assoluto di ogni comunit. Lascuola il luogo principale delleducazione, un luogo che deve vedere impegnata la comu-nit civile e sociale. Di fatto oggi la scuola illuogo dove alle volte i problemi della comunitsono percepiti in maniera pi immediata: i pro-blemi dei diversi, dei malati, ma anche delle ra-gazze anoressiche, cos come quelli dei ragazzicon handicap.La scuola il luogo dove, per risolvere i pro-blemi di chi ha difficolt, riusciamo a trovare lestrategie e i modi pi adeguati per far impararemeglio tutti. Questo auspico per Pordenone eper questo nostro Paese: una comunit che,nella scuola e fuori della scuola, avesse questivalori e questo metodo di lavoro e si convinces-se che lavorare per i pi deboli e con i pi de-boli non solo rispondere a valori etici, ma an-che costruire una comunit migliore.

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Noi non fondiamo il nostro Stato perch unasola classe tra quelle da noi create goda di unaspeciale felicit, ma perch lintero Stato godadella massima felicit possibile. Abbiamo cre-duto di poter trovare meglio di tutto la giusti-zia in uno Stato come il nostro, e, viceversa,lingiustizia in quello peggio amministrato; edi poter discernere, attentamente osservando,ci che da un pezzo cerchiamo. Ora, noi noncrediamo di plasmare lo Stato felice rendendofelici nello Stato alcuni pochi individui sepa-ratamente presi, ma rendendo felice linsiemedello Stato. Subito dopo esamineremo lo statoopposto a questo. Cos, per esempio, suppo-niamo che, mentre siamo intenti a dipingereuna statua, si presenti uno a criticarci e affer-mi che alle parti migliori della figura non ap-plichiamo i colori pi belli, adducendo il mo-tivo che gli occhi, che costituiscono la partemigliore, non sono colorati in vermiglio, ma innero; ci sembrerebbe di rispondergli bene conqueste parole: Amico, non credere che noidobbiamo dipingere gli occhi tanto belli chenon sembrino neppure pi occhi; e cos per lealtre parti. Devi osservare invece se, colorandociascuna parte con la tinta conveniente, ren-diamo bello linsieme. Cos anche ora non co-stringerci ad assegnare ai guardiani una feli-cit tale da renderli qualunque altra cosa cheguardiani. Sappiamo anche noi rivestire gliagricoltori di abiti fini, tuffarli nelloro, invi-tarli a lavorare la terra per diletto; sappiamoanche noi far coricare al posto donore, accan-to al fuoco, i vasai per bere e mangiare, met-tendo loro vicino la ruota da vasi, ma con la fa-colt di lavorare secondo la voglia che ne ab-biano; e in simile modo rendere beati tutti glialtri per fare felice lo Stato intero. Per credoche lagricoltore non sar pi agricoltore n ilvasaio vasaio; e non ci sar pi nessuno chemantenga il suo posto, condizione questa del-lesistenza dello Stato. Ma per gli altri la que-stione meno importante: per lo Stato non affatto un male grave se dei ciabattini si fannomediocri, si guastano e pretendono di essereciabattini anche se non lo sono. Se per deiguardiani delle leggi e dello Stato non sono ve-

ri guardiani pur sembrando di esserlo, tu vedibene che mandano in piena rovina lo Statotutto e che, daltra parte, soltanto da loroche dipendono la buona amministrazione e lafelicit. Si deve dunque esaminare se dobbia-mo istituire i guardiani per far loro godere lamassima felicit possibile; o se, guardando al-lo Stato nel suo complesso, si deve farla gode-re a questo; e costringere e convincere questiausiliari e guardiani e cos pure tutti gli altri aeseguire meglio che possono lopera loro pro-pria; e se, in questa generale prosperit e buo-na amministrazione statale, si deve lasciare cheogni classe partecipi della felicit nella misurache la natura concede. Ma s, rispose, mi sembra che ci sia corretto. Esamina ora se siano ricchezza e povert aguastare anche gli altri artigiani e a renderliperci cattivi. In che senso? Ti sembra che un pentolaio arricchito vorrcontinuare a esercitare larte sua? No, certamente, rispose. E non diventer pigro e sciatto pi di quelloche ? Molto di pi. Non diventa un pentolaio peggiore? Sicuramente, rispose, molto peggiore. Daltra parte, se la povert gli vieta di prov-vedersi con i suoi mezzi gli strumenti o altri og-getti che servono allarte sua, lavorer in modopi scadente le opere sue, e insegnando far,dei suoi figli o di altri allievi, artigiani inferiori. Certo! Entrambe dunque, povert e ricchezza, ren-dono inferiori le opere artigiane e inferiori gliartigiani stessi. evidente. Ebbene, a quanto sembra, abbiamo scopertoaltre cose che i nostri guardiani devono sorve-gliare in ogni modo perch a loro insaputa nonsi insinuino nello Stato. E quali sono? La ricchezza e la povert, risposi; luna pro-duce lusso, pigrizia e moti rivoluzionari, laltragrettezza e scadente lavorazione, oltre ai motirivoluzionari.

Dellarte di condividere lavoro,benessere e responsabilit

Platone, Repubblica. Libro IV, 419-422

Le nuove forme del lavoro

Lorenzo GarzieraSegretario provinciale della Cisl

Affrontando le problematiche che riguardano ilmondo del lavoro, possono rappresentare degliutili punti di riferimento alcuni slogan utilizza-ti dagli amici delle Acli nel corso delle loro nu-merose iniziative. Temi come il glocal, la welfa-re comunity o la flessibilit sostenibile, diventa-no quindi preziose coordinate attraverso cuimuoversi.Un primo dato significativo che siamo passa-ti, nel giro di trentanni, dalla stagione del lavo-ro della cosiddetta grande fabbrica, a quellodella piccola e piccolissima fabbrica. Per usarealtri termini: avvenuto un passaggio dal lavo-ro con la elle maiuscola a quello con la elleminuscola. In questa transizione ci troviamotutti a dover affrontare le sfida del lavoro checambia, del lavoro che non c. Esaminare i da-ti della nostra Provincia rende pi concretaquestaffermazione, ma soprattutto rende pivisibili le sfide che dovremo affrontare insiemenei prossimi anni. I lavoratori occupati sono133.000, 2900 le aziende, delle quali 1000 so-no quelle cosiddette agricole. Ne consegue chele aziende del settore industriale, del commer-cio e dei servizi, sono grossomodo 2000. A que-sto punto il dato sul quale dobbiamo averechiaro riferimento, anche dal punto di vista deiproblemi legati al lavoro, al lavoro che cambia,al lavoro che non c, che il 90% delle 2000imprese del settore industriale e dei servizi hameno di 9 dipendenti. Siamo quindi di frontead una struttura produttiva, commerciale e deiservizi, che ha una dimensione media, per nondire piccola, e a volte a livello di singolo lavora-tore-dipendente. Esaminando nel dettaglio co-sa succede nella provincia di Pordenone: ognianno vengono avviati 26.000 lavoratori, e diquesti il 70% viene avviato con i cosiddetticontratti atipici, a tempo determinato, interina-le, e solo il 30% viene assunto a tempo indeter-minato. Questa levidente trasformazione deiprocessi che hanno caratterizzato la nostra in-dustria, ma anche levidenza di un contesto,dal punto di vista delle dinamiche del lavoro, incui difficile realizzare processi di stabilizza-zione del proprio rapporto di lavoro. Laltrodato che importante dal punto di vista degliavviati il seguente: dei 26.000 complessivi le

donne rappresentano oltre il 40% del totale,mentre gli extracomunitari raggiungono il25%; vale a dire che, se non ci fossero le don-ne e gli extracomunitari, noi difficilmente man-terremmo il tessuto economico e sociale dellanostra Provincia. A queste categorie di lavora-tori manca, evidentemente, una sufficiente tute-la. C quindi la necessit di fare assieme unabattaglia culturale dal punto di vista della sta-bilizzazione dei rapporti di lavoro, ma bisognaanche far s che tutti i lavoratori che perdonoun posto di lavoro siano accompagnati nel pe-riodo di riqualificazione e reinserimento.Oggi purtroppo la situazione ben diversa: so-lo i lavoratori del settore industriale ed i lavo-ratori delle medie imprese del settore commer-ciale e delledilizia hanno tutele attraverso lacosiddetta cassa integrazione ordinaria, la cassaintegrazione speciale e la mobilit. Sui 1200 la-voratori che vengono posti in mobilit nella no-stra provincia, il 50% licenziato da piccolissi-me aziende e non ha nemmeno lindennit didisoccupazione straordinaria; quindi per il pe-riodo in cui aspetta un altro posto di lavoro,non ha, evidentemente, sostegno al reddito. doveroso tener conto che molti di questi sonopadri di famiglia, persone che devono pagare ilmutuo o laffitto della casa. La nostra Regione,in realt, qualche passo in questo senso lo stafacendo: c un disegno di legge dellassessoreCosolini che estende la tutela degli ammortiz-zatori sociali anche ai lavoratori delle piccole edelle piccolissime imprese, lo stesso Assessoreha avanzato poi una proposta di disegno di leg-ge che tende a risolvere la questione legata allegaranzie per quanto riguarda i cosiddetti lavo-ratori discontinui che devono accedere al mu-tuo per lacquisto della prima casa.Lultima questione importante da affrontare quella delle lavoratrici-madri e qui appare uti-le riferirsi allultima ricerca che ha fatto lasses-sore Pagliaro: 4 donne su 10 che hanno il pri-mo figlio non rientrano al lavoro; c da chie-dersi perch. chiaro che esiste una rigiditdei sistemi organizzativi non solo a livelloaziendale e a livello di ente, ma anche dei ser-vizi pubblici e per quanto riguarda il sostegnoalle famiglie.Quindi doveroso intraprendere una grossasfida culturale che significa monitorare tutte lelavoratrici che vanno in maternit. Esiste unalegge universalistica nel nostro Paese, che pre-vede lindennit nel periodo di maternit pertutti i lavori atipici, per le impiegate nel settoreagricolo, per le manager e tutte le lavoratrici in

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genere. Quello che manca la possibilit di ga-rantire un rientro certo al lavoro, mantenendopercorsi di carriera professionale e soprattuttoconsentendo alle lavoratrici, e questo indub-biamente laspetto pi ostico del processo cul-turale, di adeguare gli orari del lavoro e quellidei servizi a quelle che sono le esigenze delle la-voratrici-madri.In questo quadro, liniziativa promossa dalleAcli utile ed importante, perch non si limitaa ribadire la festa della Repubblica, ma offre lospunto per sottolinearne il carattere democrati-co ed incentrato sul lavoro.

I giovani e i padri

Cristian CarraraPortavoce del Forum Nazionale dei Giovani

Desidero esprimere alcuni pensieri sul tema delvolontariato, in particolare rispetto al rapportotra il volontariato giovanile e la societ doggi,ovvero come le istituzioni e i giovani si rappor-tano tra di loro. Chi ha letto la dichiarazionedel Capo dello Stato in occasione della Giorna-ta della Repubblica, si accorge di come lui ab-bia messo al centro il tema dei giovani. LItalia il Paese con il pi basso ricambio generazio-nale nei posti di potere, ovvero in quelli chevengono definiti i posti della classe dirigente, intutti i settori: della scuola, delleconomia, dellapolitica. Lauspicio di Ciampi appunto que-sto: lItalia si rinnova non solo rinnovando le-conomia, non solo rinnovando la politica, marinnovando i ruoli dirigenziali del Paese.Allora il tema centrale oggi, a mio parere, questo: i giovani si impegnano nel volontariatocon attenzione alla partecipazione civile, ma importante che anche gli adulti il monito diCiampi ben chiaro si impegnino a crearenuovi spazi, permettendo alle nuove generazio-ni di crescere e contribuire effettivamente alrinnovamento della societ. Questo il sensodellesistenza del Forum nazionale dei Giovaniche ha come obiettivo principale quello di spin-gere affinch si creino degli spazi in tal senso.Se si considera let media di chi fa le leggi og-gi, lItalia il Paese con let media pi alta; ilmessaggio non vuole essere che let significhiessere pi o meno saggi oppure che gli adulti egli anziani debbano farsi da parte. Questo era

probabilmente il modo in cui pensavano i gio-vani 30-35 anni fa; oggi hanno molto pi sensoi moniti che molti politici lanciano, e cio che necessario un patto tra le generazioni. Patto trale generazioni significa mettere assieme personedi et diverse, mettere assieme ragazzi che han-no ventanni con chi invece ha fatto unespe-rienza di vita molto pi lunga e ha degli altri va-lori da portare. Oggi, per, non siamo ancora aquesto livello: si parla di patto tra le generazio-ni, ma non c un luogo in cui i giovani si pos-sono esprimere ufficialmente con le altre ge-nerazioni ed avere cos voce.E la questione da considerare questa: ad oggi,quando si parla di politiche giovanili, di politi-che per i giovani, si tende a considerare il gio-vane come oggetto e mai come soggetto o comeinterlocutore inter pares (adulti e giovani); que-sto il grande problema da affrontare, un pro-blema di tipo culturale: non a caso uno deglislogan del Forum nazionale dei Giovani chele politiche dei padri vengano fatte assieme aifigli; normalmente si tende a pensare che i solipadri debbano produrre le politiche per i figli,creare e costruire il mondo che verr. Credoche ci non sia un male, ma credo anche cheoggi il rinnovamento passi attraverso lunione,attraverso la messa in comune di esperienze di-verse: il futuro e il vero rinnovamento passanoattraverso la scelta di attuare delle politiche gio-vanili che inizino a concepire i giovani comesoggetti e non pi come oggetti. Allora il ruolodel volontariato e dei giovani che si impegnanoacquisirebbe una responsabilit ancora mag-giore: se non vengono pi percepiti come og-getti, ecco che il formarsi, il crearsi delle com-petenze per i giovani ha un ruolo ancor pi im-portante; non pi dimostrare un impegno, ma prendere in mano con gli adulti, con gli an-ziani, con tutte le generazioni, le citt in cui vi-vono, le societ in cui si trovano a vivere contutti i rispettivi problemi.

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UNA CITTCHE CAMBIA

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Riflessioni sul nuovodisagio minorile in Citt

Giovanni ZanolinAssessore alle Politiche sociali

del Comune di Pordenone

Nella elaborazione e stesura di queste notemi sono avvalso di molti contributi.

Desidero ringraziare in particolare la dottoressa Miralda Lisetto,coordinatrice dellAmbito sociale urbano. Ho tratto dal suo interventointitolato Le reti dei servizi che lavorano coi minori a Pordenone,presentato il 22 aprile in un convegno del Lions Club di Pordenone,

preziose indicazioni generali ed i tre graficiche visualizzano le reti. In particolare il secondo ed il terzo hanno con

tutta evidenza al centro il bambino (B) ed i vari servizied interventi si inseriscono nel processo di crescita, indicato dai cerchi

concentrici attorno alla B.Nello stesso convegno la dottoressa Michela Fiorot,

assistente sociale del Comune di Cordenons, ha presentatoun lavoro sullquipe minori dellAmbito urbano contenentele tabelle qui pubblicate. Devo alla dottoressa Fiorot molte

delle considerazioni sullquipe minori.Debbo poi alla dottoressa Tiziana Da Dalt,

responsabile del Servizio Immigrazione del Comune di Pordenone,molte delle considerazioni sui minori immigrati.

Ringrazio le professoresse Anna Pinto e Giuliana Cinelliper i preziosi giudizi sullinserimento scolastico dei giovani immigrati

e sulla relazione delle loro famiglie con le scuole.Mi sono state preziose, infine, molte considerazioni

di altre assistenti sociali:Donatella Miniutti, Patrizia Corazza e Carlotta Galli.

Alcuni aspetti e conseguenze del rapporto fracriminalit e disagio giovanile a Pordenone mipaiono fortemente sottovalutati ed invece meri-tano considerazione. Vi sono oggi condizioni di disagio giovanile chenon avevamo mai riscontrate prima a Pordeno-ne e che lasciano aperto uno spazio alla crimi-nalit. In parte lo stesso disagio generato dal-la criminalit, che sa bene inserirsi nella condi-zione sociale del territorio e trarne profitto. Ilpericolo di uno sviluppo del rapporto fra disa-gio e criminalit non pu essere ignorato.

Nuove condizioni di disagio: i giovani immi-grati La composizione etnica la grande no-vit della questione giovanile in citt. Abbiamouna percentuale sempre pi elevata di adole-scenti che provengono da moltissimi paesi. Lecomunit maggiori di adolescenti sono quellaghanese, alla quale tendono ad aggregarsi altrigiovani le cui famiglie provengono dallAfricaequatoriale, e quella albanese. C una rilevan-te differenza fra gli uni e gli altri.

I giovani ghanesi e dellAfrica equatorialeIl Servizio sociale del Comune registra diffi-colt in particolare per i minori stranieri, so-prattutto se ricongiunti in adolescenza. Questacondizione accomuna in verit tutte le naziona-lit. Il ricongiungimento familiare in adolescen-za avviene in un periodo di rottura e contesta-zione ma, appena giunti in Italia, viene chiestoai ragazzi di adeguarsi alle aspettative dei geni-tori che li hanno richiamati. Sono aspettativeche quei giovani nella quasi totalit dei casi nonpossono soddisfare.I ragazzi ghanesi ricongiunti, in particolare, vi-vono in una situazione di isolamento. Difficil-mente riescono ad apprendere la lingua italianaper poter affrontare le scuole superiori. Nellescuole medie tendono a formare dei gruppettichiusi, socializzano poco con i compagni nonghanesi. Le preoccupazioni degli insegnanti ri-guardano il futuro di questi ragazzi, che nonriescono ad affrontare i corsi di studio superio-

ri e a volte non ottengono la licenza media. I ra-gazzi soffrono per la mancanza di amicizie e lepoche relazioni. Sono molto fragili.Le scuole denunciano la pi grave difficoltnellaccoglienza dei ragazzi stranieri, in partico-lare se ricongiunti. La comunicazione e i con-tatti con le famiglie dorigine sono praticamen-te inesistenti e vi una forte richiesta di media-zione rivolta dalle scuole ai Servizi sociali delComune. Dirigenti, direttori didattici ed inse-gnanti chiedono di trovare assieme al Comunele strade per coinvolgere le famiglie immigratenella vita della scuola. Gli insegnanti in parti-colare non riescono a parlare con le famiglie eultimamente si sono resi conto che i genitoriimmigrati non sanno che esistono strumenti dicomunicazione come il libretto personale.Spesso le segnalazioni della scuola al Serviziosociale del Comune riguardano comportamen-ti non conformi. Se ne ricava limpressione chenon vi siano abilit nel reggere tali comporta-menti. Le insegnanti vorrebbero personalequalificato (educatori) che possa supportarle, omeglio che possa togliere il problema dallaclasse. Nelle scuole elementari i bambini viva-ci diventano capri espiatori, non si cerca di an-dare al di l del comportamento ed entrare inrelazione. Non ci si chiede perch quel bambi-no agisce cos, cosa si possa fare per permet-tergli di migliorare, se il bambino si senta ac-colto oppure no. Viene solo rimandata al bam-bino la sua inadeguatezza. La scuola non ha af-finato nuovi strumenti per laccoglienza di unaclasse multiculturale e per efficaci percorsi diintegrazione. La scuola difficilmente segnala problemi cogni-tivi e di apprendimento se non sono collegati aquelli comportamentali. Se un bambino ha dif-ficolt linguistiche o cognitive ma buono enon disturba in classe, non viene segnalato. Ilbambino viene isolato e il problema sar rileva-to solo dopo molto tempo. Al Dipartimento di neuropsichiatria infantiledella ASS6 vengono inviati moltissimi bambinie ragazzi stranieri dalla scuola, ma gli psicologi

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rilevano spesso solo la mancanza di relazionecon gli insegnanti. La scuola ricorre alle altreistituzioni (Comune ed Azienda sanitaria in pri-mis) solo quando non sa pi come intervenire.Ma occorre chiedersi se le istituzioni (Enti lo-cali, scuola, sanit, giustizia) abbiano affinatonuovi strumenti per rilevare il bisogno in unu-tenza multiculturale, oppure se siano rimasteancorate a vecchie modalit di osservazione.Ad esempio, a scuola bambini e ragazzi nonvengono valorizzati per le loro appartenenzeculturali diverse. I bambini ed i ragazzi, anchese hanno un vocabolario italiano povero, parla-no perfettamente la loro lingua madre. La scuo-la per non valorizza questa abilit. Non succe-de mai che gli insegnanti dicano: un bambi-no bilingue, quindi ha delle abilit in due codi-ci linguistici differenti. Dicono invece: Ha unvocabolario povero (solo un vocabolario? Inverit ne ha due, quindi sa pi degli altri. Se Ilfurlan ti fas plui sior, come si afferma in unacampagna pubblicitaria pagata dalla Regione,perch non dovrebbe farlo il ghanese?), biso-gna farlo frequentare pi italiani, cos miglio-ra. Grave anche se i genitori, spinti dallapreoccupazione che il figlio non impari bene li-taliano, non insegnano la lingua madre e parla-no con il figlio in un italiano tra laltro vacillan-te. Il vissuto del bimbo di un genitore che nonsa parlare bene. I genitori gli appaiono deboli:negano valore a ci che sanno e non riesconoad impadronirsi di ci che ha valore: la nuovalingua. lintera funzione genitoriale a veniresvilita, senza tra laltro che il vocabolario nevenga arricchito. Si tratta di un fenomeno cheriguarda di pi il Ghana o comunque i paesi dicolonizzazione anglofona.Molte famiglie ghanesi considerano il figlio giadulto quando frequenta le scuole medie e pro-babilmente pensano che non serva parlare congli insegnanti. Se emergono problemi, vengonoconsiderati una questione da risolvere tra inse-gnante e ragazzo. La scuola viene vissuta comeuna istituzione che non serve sia aperta allacondivisione con la famiglia. Le preoccupazio-ni delle famiglie riguardano piuttosto il mondodel lavoro: molti ghanesi non capiscono perchi ragazzi non possano andare a lavorare subito,non comprendono perch esista lobbligo sco-lastico. Queste famiglie hanno la necessit diaccumulare reddito, sia per se stesse che perquanti sono rimasti in Africa e guardano al ra-gazzo come ad un forte lavoratore che potreb-be contribuire al reddito famigliare. Non com-prendono perch debba continuare a studiare,

tanto pi per il fatto che non riesce bene ascuola. Alcune famiglie si aspettano invece checi siano possibilit di istruire i giovani e di farloro frequentare le scuole superiori, ma rara-mente gli adolescenti ghanesi hanno le abilitper affrontare adeguatamente le scuole supe-riori. Ne nascono severe delusioni. Si innescano poi dei delicati meccanismi fami-liari allarrivo delladolescente in Italia. Per lefamiglie lobiettivo del ricongiungimento si-curamente quello di ricevere un aiuto nella ge-stione della vita famigliare. Si aspettano che ilfiglio non dia problemi, ma anzi che sia ricono-scente. Il ragazzo, che cresciuto con altri, al-larrivo in Italia trova di frequente un genitorenaturale che si rifatto una vita con un com-pagno o una compagna e non con laltro geni-tore naturale. Spesso trova dei fratelli piccolinati in Italia, che non parlano la sua lingua eper i quali il futuro molto pi roseo ed agevo-lato. Ragazze e ragazzi provenienti dal Ghana sirendono conto che i piccoli socializzati a scuo-la in Italia hanno molte pi possibilit di loro distudiare e di fare un mestiere diverso dallope-raio. La famiglia costruisce il proprio futuro edefinisce i propri rapporti sociali a partire dalsoddisfacimento di piccoli desideri e dalleaspettative di riscatto sociale. I ragazzi ricon-giunti invece sono qui solo per dare una mano.Ma a chi? A qualcuno che a volte non ricono-scono come familiare e che hanno conosciutoallarrivo in Italia.I genitori chiedono al Servizio sociale comuna-le che i figli adolescenti vengano educati, chie-dono magicamente che non diventino ma-leducati come gli italiani. Dai colloqui del Ser-vizio sociale del Comune con i genitori ghanesiemerge sempre una preoccupazione: hannopaura che i figli apprendano dalla nostra societdei costumi sbagliati, come i tatuaggi, i pier-cing, i vestiti succinti, le bestemmie, o peggioancora. Osservano grandi contraddizioni neinostri sistemi educativi: la societ di accoglien-za tratta i bambini piccoli come dei grandi. Adesempio ai bimbi di un anno vengono spiegatemolte cose, scelta questa che per le loro abitu-dini educative non utile e non viene condivi-sa. Ai bambini non serve spiegare un rifiuto, ilrifiuto basta a se stesso e non c bisogno dispiegazioni, perch i bambini in fondo non so-no in grado di capire. I grandi, al contrario,vengono trattati da piccoli. Le mamme italianelavano e stirano e fanno i letti anche ai ragazziadolescenti, che i genitori ghanesi avrebberospedito a lavorare da un pezzo. Gli adolescenti

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italiani vengono coccolati come bimbi piccoli(per loro sono incomprensibili frasi come Te-soro, hai mangiato abbastanza? Ti sei messo lamaglietta pesante, che fa freddo?). In sintesi igenitori ghanesi in questi primi anni di vita inItalia non approvano i metodi educativi degliitaliani, non ne capiscono le motivazioni che so-no lontanissime dai loro interessi ed obiettivi enon si fidano delle nostre istituzioni educative.Le famiglie per si rendono conto che non so-no in grado di seguire i figli dal punto di vistadidattico e richiedono servizi di supporto, co-me ad esempio i doposcuola, dove i figli possa-no trovare un supporto per fare i compiti.Infine vanno segnalati tre importanti elementi:in generale le femmine si adattano molto me-glio dei maschi, riescono a comprendere e adinserirsi nei nostri meccanismi sociali; i ragazziafricani provenienti dalle grandi realt urbanesono molto diversi da quelli che provengonodalle aree agricole; bambini e ragazzi che han-no frequentato scuole private (religiose) sonomolto pi istruiti di quelli che hanno frequen-tato la scuola pubblica.Il ruolo di aiuto cui sono chiamati gli adolescen-ti si esplica talvolta, fuori della scuola, nella sor-veglianza e nella difesa dei bambini e delle ra-gazze. Ci spiega il formarsi di gruppi di adole-scenti che in alcune occasioni hanno reagito du-ramente agli apprezzamenti ed agli insulti deimembri della babygang nel centro cittadino, tralaltro dimostrando di essere fisicamente assaipi forti e preparati di albanesi ed italiani. Nellavita della scuola e grazie a questa funzione pro-tettiva verso bambini e ragazze, gli adolescentighanesi si sono incontrati ed hanno fraternizza-to con gli adolescenti delle altre nazionalit del-lAfrica equatoriale presenti a Pordenone.I pochi ragazzi provenienti dagli altri paesiequatoriali ed australi dAfrica hanno storiemolto diverse da quelle dei ghanesi. Pordenoneha la fortuna di avere, fra gli immigrati extraco-munitari, una larga maggioranza di persone pro-venienti da un paese, il Ghana, che negli ultimiventicinque anni non ha vissuto guerre, conflit-ti, deportazioni, stragi e neppure terrificanti epi-demie. un paese poverissimo ma ha goduto dinotevole stabilit e sta percorrendo un suo ori-ginale percorso politico e per certi versi demo-cratico. Ma lAfrica stata ben altro, in questitrentanni. I bambini ed i ragazzi che vengonodalle due repubbliche del Congo, o dallAngola,o dal Burkina Faso, o dalla Nigeria hanno allespalle storie incredibili di violenza e fame, che inalcuni casi hanno raccontato nei centri Lakrus e

a cui gli operatori stentano perfino a credere.Questo servizio di ascolto delle loro storie sta-to ed molto importante e tende sempre a met-tere a disposizione dei ragazzi strumenti peresprimersi. Ad esempio il gruppo rap pi inte-ressante in citt formato da ragazzi africaniprovenienti da pi paesi e sta producendo il suoprimo CD nel Centro di produzione PeppinoImpastato del Deposito Giordani.In questi primi anni il disagio dei ragazzi gha-nesi ed africani a Pordenone non sfociato incriminalit. Troppo storditi e deboli per elabo-rare la loro situazione, lo erano anche per im-maginare se stessi fuori dalle regole e dalla le-galit. Questa perci la fase in cui ancorapossibile fare un buon lavoro sociale ed educa-tivo. Va loro spiegata la realt in cui si trovano,vanno messi nelle condizioni di registrare alcu-ni successi scolastici, va rafforzata la loro auto-stima, va fatto capire loro che li pensiamo comeutili al futuro della nostra citt. Soprattuttovanno molto ascoltati. Stiamo lavorando sullescuole e sulla formazione, offriamo loro oppor-tunit nello sport, in cui potrebbero raggiunge-re risultati molto importanti, cerchiamo di farliesprimere coi pi vari linguaggi della comuni-cazione, soprattutto la musica.

I giovani albanesiLa comunit albanese di Pordenone di circa1000 persone e perci composita. necessa-rio distinguere la prima ondata di immigrazionealbanese, quella dei grandi sbarchi in Puglia, daquelle successive. In un primo momento si sonoriversate in Italia persone molto problematiche,in cerca di ricchezza facile, col miraggio televi-sivo dellItalia. Poi sono cominciati ad arrivarelavoratori veri, persone che conoscevano il va-lore del lavoro. La grande maggioranza delle fa-miglie albanesi residenti in Pordenone ha oggiuna sua grande compattezza interna e, nella tra-dizione sociale e culturale dellAlbania, attribui-sce alla famiglia un grande valore, mette la fa-miglia avanti rispetto alle istituzioni, alle regoleed alle leggi. Sono comportamenti sociali inparte diversi dai nostri, ma si accompagnano aduna buona comprensione dei nostri meccanismisociali ed istituzionali e ad una conoscenza ele-vata della nostra lingua. Le famiglie insegnanoai figli che la scuola importante e che a scuolabisogna studiare e fare bene. Molte bambine eragazze albanesi sono brave a scuola. I maschisentono il loro ruolo maggiormente in crisi, rie-scono meno ad accettare le gerarchie sociali ita-liane, che trovano una loro rappresentazione

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nella scuola. Hanno infatti un rendimento sco-lastico mediamente negativo e si registrano pro-blemi comportamentali. Bigiano frequentemen-te la scuola, non ne rispettano le regole e a vol-te dimostrano indifferenza e noia. Hannoper le capacit ed abilit sociali per affron-tare le scuole superiori. I genitori, in particola-re le mamme, tendono sempre a difendere i fi-gli. Ad esempio, se saltano la scuola ed paleseche il ragazzo va al parco, loro inventano bugieper giustificare il figlio: la famiglia albanese fafronte comune contro le istituzioni. Sono com-portamenti legati alla storia, anche a quella re-cente, dellAlbania che, solo maturando espe-rienze diverse, potranno mutare nel corso dimolti anni.Per valutare alcune caratteristiche ed alcunicomportamenti sociali degli albanesi in Italia, edei giovani in particolare, bisogna tener contosia delle caratteristiche culturali proprie di quelpaese e di quel popolo, sia del caos che segui-to al crollo del regime e della guerra in Kosovo,che hanno distrutto e lacerato molte famiglie.Ci sono molte famiglie che hanno vissuto lu-scita dal comunismo e la guerra in modo assaitraumatico. Lesperienza di una violenza senzalimiti e ragioni ha segnato molte persone. Alcu-ne hanno assunto lidea che la competizione so-ciale non possa avere regole e che per raggiun-gere la ricchezza, sullesempio di quanto hannovisto fare a trafficanti di armi e di droga e agliscafisti, non ci sia bisogno alcuno di giustifica-zioni, di considerare dimensioni etiche e tempilunghi di accumulazione: bastano la forza, laviolenza e lillegalit. Ci ha lasciato largo spa-zio ad attivit criminali in molte parti dItalia equel che si registra a Pordenone, pur essendopreoccupante per i nostri standard (talvolta in-vero singolari) di percezione dellillegalit, davvero poca cosa rispetto ad altri territori. Al-cuni dei giovani che fanno parte delle bandegiovanili hanno alle spalle storie di guerra, nonhanno famiglia, oppure hanno parenti lontani,o escono da famiglie socialmente problemati-che in quella Albania disastrata, figuriamoci aPordenone.Fenomeno particolare e da seguire, infine, cheun piccolo gruppo di ragazzi albanesi, sia inreazione al passato comunista del loro paesedorigine, sia soprattutto in ragione del conflit-to in Kosovo e delle milizie l presenti, manife-sti posizioni politiche neonaziste. il primo ca-so di sia pur modeste attivit politiche dei gio-vani immigrati che registriamo a Pordenone. Africani ed albanesi sono comunit e gruppi

profondamente diversi ed inevitabile che sisviluppi una forte competizione fra loro. Cos cidice lanalisi del fenomeno condotta ormai datre decenni in Francia e nel Regno Unito. Avre-mo dunque in futuro tensione, bisogna accetta-re questa realt e prepararsi a gestirla.

Ragazzi del Sud Un altro elemento nuovoper Pordenone (ma non affatto nuovo per altreregioni e grandi citt del nord Italia) la pre-senza in provincia, ma soprattutto in citt, difamiglie che provengono dal Sud dItalia e chehanno alle spalle storie di relazione con orga-nizzazioni criminali. Abbiamo avuto per tutti gli anni Sessanta e Set-tanta del secolo scorso molte ragazze e ragazzidel Sud a Pordenone. Il loro era un viaggio disperanza, affidavano ad esso lidea del riscattodalla povert, il lavoro aveva un significato po-sitivo, era agognato. Certo, in alcuni casi il trau-ma provocato dal trasferimento della famigliaper venire a Pordenone per lavorare era pesan-te, anche gli stili di vita erano spesso diversi.Ma in quei due decenni sono stati pochissimi icasi di ragazzi che trasformavano quel disagio equei traumi in forte aggressivit e criminalit.Le famiglie del Sud che arrivavano a Pordeno-ne erano caratterizzate da grande compattezza,dallindiscussa autorit dei genitori, dalla gran-de fede cattolica e contribuivano, in breve, allanostra stessa compattezza sociale.Ora invece registriamo il fatto che un numerocertamente minoritario ma consistente delle fa-miglie che provengono dal Sud scelgono Por-denone come rifugio, in seguito a fatti gravi av-venuti nelle citt e terre dorigine. Questo av-viene frequentemente sia per vie istituzionali, inrelazione alla legislazione premiale, sia sponta-neamente, perch Pordenone viene vista comeuna zona di rifugio, nella quale ci si pu rico-struire una vita. Ho constatato che spesso Por-denone viene consigliata a queste famiglie.Quando giungono qui, per, non sono in gradodi trasformare il cambio di residenza in un cam-bio di vita e stili di vita. Ne hanno talora confu-samente voglia, ma non dispongono dei neces-sari mezzi culturali. Conoscono poco della no-stra realt, sono abituati a fare i conti con isti-tuzioni inefficienti o solo formalmente esistenti,per cui ad esempio per un cambiamento di vitadi questo tipo non chiedono un vero aiuto alComune, perch pensano che anche qui, comenelle realt da cui provengono, il Comune siaunistituzione che fa poco, o dalla quale si puavere solo per relazione col politico che in quel

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momento comanda e, siccome qui non hannorapporti con i politici, pensano di non averemediatori con le istituzioni, visto che per otte-nere qualcosa nella loro esperienza a nulla valeil diritto, ma solo la mediazione politica. Dal lo-ro orizzonte infatti assente la dimensione deldiritto, la societ un luogo di competizione incui le uniche regole sono quelle dettate dal piforte. Sono poi le scuole, generalmente, a vive-re con estremo disagio linserimento di queibambini e ragazzi, che non studiano, sonoprofondamente irrequieti, non riconoscono ilruolo degli insegnanti, non hanno mezzi cultu-rali sufficienti rispetto alle classi in cui sono in-seriti. Ho ascoltato, in questi anni, molti rac-conti di bambini e fanciulli che hanno subitominacce del tipo: Se fossimo al mio paese, unocome te lavrei gi accoltellato!. Ho chiesto adalcune maestre che hanno iniziato ad insegnarenegli anni Sessanta ed ora stanno concludendooppure hanno da poco concluso la loro carrieradi fare un confronto fra i bambini del Sud cheallora giungevano a Pordenone e questi di oggi:imparagonabile. Cos acceduto, nel Mezzo-giorno dItalia, in questi anni? Che ricaduta so-ciale, specie rivolta ai giovani, hanno avuto lepolitiche assistenziali che attraverso la previ-denza (le pensioni) ed i falsi lavori hanno man-tenuto centinaia di migliaia di famiglie in unacondizione di lunga sopravvivenza, senza la co-struzione di nessuna esperienza di autonomiaculturale, sociale, personale?Il Sud molto cambiato: mentre le vecchie po-litiche assistenziali venivano messe in discussio-ne e non offrivano pi certezze per il futuro,non si sviluppava una nuova economia che po-tesse dare risposte alle domande di lavoro, red-dito e sicurezza della gente e dei giovani in par-ticolare. In questo deserto, il riferimento di red-dito e di modelli di vita rimasto in piedi nelMezzogiorno solo la criminalit. Come da piparti si sottolinea, questione giovanile e que-stione criminale nel Mezzogiorno dItalia han-no assunto nuova gravit. Basti pensare che nel-la guerra di camorra in atto a Napoli e nellen-troterra, da alcuni mesi, la gran parte delle vit-time e la gran parte dei killer sono minori.

Le conseguenze di politiche assistenzialisbagliate Non solo il Sud paga gli errori del-lassistenzialismo. Lerogazione di denaro afronte di disagio sociale ha caratterizzato perdecenni anche le politiche sociali del Comunedi Pordenone. Lassenza di pratiche educative edi contratti sociali (sussidi in cambio di com-

portamenti socialmente accettabili e verificabi-li) ha mantenuto per decenni nellassistenza unnucleo di famiglie, che si concentrano nei mag-giori agglomerati di case popolari. Non credosia un caso se i figli di persone storicamente as-sistite dal Comune sono oggi lossatura dellospaccio di droga in quelle zone. chiaro cheper decenni ci siamo limitati a contenere i fe-nomeni, preoccupati pi della quiete e di evita-re disturbo ai residenti nelle vicinanze, comequei genitori che ad ogni protesta o pianto deiloro bambini allungano prima un dolcetto e poiuna banconota. Non abbiamo inciso sulle cau-se vere del disagio, sulle dinamiche famigliari,sulleducazione dei figli. Si tratta di considerazioni svolte gi a iniziomandato, che hanno condotto ad una riduzionedellintervento assistenziale storico, alla chiusu-ra di pratiche e canali assistenziali ormai croni-cizzati, ad un rinnovamento profondo dei no-stri assistenti sociali ed alla sostituzione di qua-dri storici con nuovi giovani, alla piena as-sunzione di responsabilit degli assistenti socia-li che, proprio perch debbono lavorare sueducazione e contratti sociali, non debbono es-sere condizionati da interventi politici, spettan-do alla politica solo gli indirizzi generali.

Le famiglie sempre pi deboli Ovviamenteuno degli aspetti che pi incidono sul disagiogiovanile la condizione delle famiglie. Abbia-mo famiglie sempre meno unite, bambini checrescono con padri o madri talvolta del tuttoassenti o evocati solo in negativo. I risultati so-no intuibili: le difficolt a giocare fino in fondoil ruolo genitoriale si riversano sui giovani,creando difficolt di identificazione e ruolo. In-vocare il ruolo centrale della famiglia, in questocaso, non pu essere un fatto ideologico: biso-gna capire che cosa si fa, non per tenere insie-me famiglie che non ce la fanno a stare unite eche anzi, costrette alla coabitazione, creano an-goscia e disagio nei bambini. Bisogna far gioca-re comunque a padri e madri il loro ruolo fon-damentale p