Associazione Franco Casetta - Num. 1

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Ringrazio la Provvidenza di avermi fatto Cristiano e Italiano, di avermi dato modo di testimoniare con il sangue l’af- fetto sviscerato che nutro per la mia Patria. A tutti raccomando di non pian- gere la mia morte, perché offenderebbero i miei sentimenti di oggi e la mia memo- ria di domani, lo mi sento orgoglioso di poter dare la mia opera e la mia vita per la Patria, per un migliore e immancabile avvenire del mio Paese. Se con il cambiare dei tempi fosse possibile, desidererei che le mie spoglie riposassero a Canale, nella tomba di famiglia, unendomi così oltre alla vita a coloro che, nella vita, mi furono vicini e legati ad affetto più vivo. Se mi facessero i funerali, li desidero umili, senza fiori, possibilmente con la “mia spoglia avvolta nel tricolore, ben alto e visibile il mio cappello Alpino di Fiamma Gialla. Non si faccia l’appello del mio nome, che non conta, ma si legga ad alta voce, di fronte a Dio ed agli uomini il mio Giuramento Militare, cui per mantenermi fedele sono lieto e contento di morire. Sia il mio sangue un richiamo per tutti i connazionali ad unirsi per ricostruire quello che è rovinato e co- struire quello che ancora non si è fatto. A tutta la mia famiglia, i miei parenti, gli amici e compagni il mio grazie, le mie scuse, il mio saluto più affettuoso”. Viva l’Italia Canale, 31 Maggio 1944 – ore 2- 3,45 V. Brig. Franco Casetta della Regia Guardia di Finanza CENNI BIOGRAFICI: Franco Casetta, nato a Canale il 10 Maggio 1919, assassinato dai fascisti a Canale il 6 Agosto 1944. Egli nacque in una famiglia molto stimata e crebbe con un’educazione profondamente cristiana. Dopo la Licenza Ginnasiale, nel 1940, si arruolò volontario della Guardia di Finanza raggiungendo il grado di Vice Brigadiere. L’Armistizio dell’8 Settembre lo colse di stanza con la sua Compagnia in Albania, dove non si sottomise ai tedeschi, ma con tutta la Compagnia si unì alla Resistenza Albanese con l’intento preciso di rientrare in Italia. All’inizio del 1944 rientrò in Italia ed immediatamente si unì ai primi Partigia- ni che operavano in Val Casotto con le Formazioni Partigiane del Comandante Mau- ri con il nome di Battaglia “Tenente Fran- co”. Rientrò poi a Canale nel mese di Luglio su sollecitazione dei fratelli Nino ed Enzo Faccenda ai quali era legato da una salda amicizia. Entrò quindi nella 23^ Brigata Canale. Nel pomeriggio della Domenica 6 Agosto 1944 un’auto, con a bordo Gianni Alessan- dria, Pietro Mancuso, Franco Casetta, Nino Faccenda e Giuseppe Barbero, lasciò la base partigiana sita nella frazione Sanche di Vezza d’Alba per recarsi ad una importante riunione ai Piloni di Montà dove sarebbe stata discussa l’entrata della Brigata Canale nelle Formazioni Giustizia e Libertà e l’assegnazione del comando della Brigata al Casetta. Giunti a Canale si fermarono in via Tori- no davanti alla casa di Giovanni Toso per accordarsi con lui in quanto rappresentan- te del C.L.N. della zona. In quello stesso istante sopraggiunse alle loro spalle un camion di militari fascisti; ne nacque un conflitto a fuoco durante il quale Gianni Alessandria venne colpito a morte, Mancuso venne ferito e fatto prigioniero (fu poi impiccato a Carignano il 7 Set- tembre). Barbero e Faccenda riuscirono a dileguarsi forzando il portone della casa di Toso. Franco Casetta, corse lungo il viottolo verso il Rio, ma fu ferito ad una gamba e quindi arrestato. Dopo un pestaggio lo trascinarono in Via Torino dove fu giustiziato. Egli lasciò un testamento datato 31 mag- gio 1944 che pare essere una tragica neme- si e che ora vi leggo: “…Con mente serena e animo tranquillo, pensando di poter incontrare sul campo morte onorata, per la causa che ho sempre ritenuta giusta e santa, o di dover confessa- re la mia fede di italiano di fronte ad un plotone di esecuzione, prego Iddio innanzi- tutto di concedermi la stessa forza e lo stesso coraggio con cui sono caduti tanti Eroi e tanti Martiri d’Italia in tutti i tem- pi. Chi era Franco Il presente giornaletto interno viene redatto in occasione della festa di fine annata 2009-2010 dell’Associazione Franco Casetta per ricordare le tante iniziative che abbiamo organizzato, o collaborato, in questa densa e importante annata dell’Associazione. 13 GIUGNO 2010 Associazione Franco Casetta Il posto che ci ospita, grazie alla grande ospitalità dei nostri Giusi e Laura è la splendida e storica Chiesa di San Michele de Anteridio la più ‘storica’ chiesa del Roero dedicata all’Arcangelo; chiesa debitamente “orientata” (l’abside rivolto ad oriente secondo i canoni antichi), e che sovrastava l’abitato di Anterixio prima che fosse raso al suolo dagli astigiani verso la metà del 1200. Di essa si hanno notizie già a partire dal 1041 quando l’imperatore Enrico III (il Nero) conferma il suo affidamento alla chiesa di Asti. Nel 1065 questa chiesa viene citata nella donazione di Adelaide di Susa al vescovo di Asti. Com- plesse e documentate vicende testimoniano i suoi successivi passaggi di proprietà al Monastero dei Santi Apostoli, di nuovo al vescovo ed ai canonici di Asti cui viene donata dal Papa Lucio III, ecc. All’inizio del 1200 si citano i suoi rettori: i presbiteri Oberto di Anterisio (1207) e Anselmo di Anterisio (1216). Ma dopo la distruzione di Anterisio quella chiesa subisce un progressivo degrado, tanto che il vescovo di Asti, durante la visita pastorale del 1717, la interdice, ne ordina l’abbattimento e la rico- struzione che verrà realizzata nelle forme architettoniche attuali dagli abitanti del luogo nel 1729. Nel 1919 la chiesa di San Michele “de Anterisio” è stata dichiarata monumento nazionale. Associazione Franco Casetta 1 Anno 1 num. 1

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Giornaletto interno dell'Associazione redatto in occasione della festa di fine annata 2009-2010 dell’Associazione Franco Casetta per ricordare le tante iniziative che abbiamo organizzato, o collaborato, in questa densa e importante annata dell’Associazione

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Page 1: Associazione Franco Casetta - Num. 1

Ringrazio la Provvidenza di avermi fatto Cristiano e Italiano, di avermi dato modo di testimoniare con il sangue l’af-fetto sviscerato che nutro per la mia Patria. A tutti raccomando di non pian-gere la mia morte, perché offenderebbero i miei sentimenti di oggi e la mia memo-ria di domani, lo mi sento orgoglioso di poter dare la mia opera e la mia vita per la Patria, per un migliore e immancabile avvenire del mio Paese. Se con il cambiare dei tempi fosse possibile, desidererei che le mie spoglie riposassero a Canale, nella tomba di f­amiglia, unendomi così oltre alla vita a coloro che, nella vita, mi furono vicini e legati ad affetto più vivo. Se mi facessero i funerali, li desidero umili, senza fiori, possibilmente con la “mia spoglia avvolta nel tricolore, ben alto e visibile il mio cappello Alpino di Fiamma Gialla. Non si faccia l’appello del mio nome, che non conta, ma si legga ad alta voce, di fronte a Dio ed agli uomini il mio Giuramento Militare, cui per mantenermi fedele sono lieto e contento di morire. Sia il mio sangue un richiamo per tutti i connazionali ad unirsi per ricostruire quello che è rovinato e co-struire quello che ancora non si è fatto.

A tutta la mia famiglia, i miei parenti, gli amici e compagni il mio grazie, le mie scuse, il mio saluto più affettuoso”. Viva l’Italia

Canale, 31 Maggio 1944 – ore 2-3,45 V. Brig. Franco Casetta della Regia Guardia di Finanza

CENNI BIOGRAFICI:

Franco Casetta, nato a Canale il 10 Maggio 1919, assassinato dai fascisti a Canale il 6 Agosto 1944.

Egli nacque in una famiglia molto stimata e crebbe con un’educazione profondamente cristiana. Dopo la Licenza Ginnasiale, nel 1940, si arruolò volontario della Guardia di Finanza raggiungendo il grado di Vice Brigadiere.

L’Armistizio dell’8 Settembre lo colse di stanza con la sua Compagnia in Albania, dove non si sottomise ai tedeschi, ma con tutta la Compagnia si unì alla Resistenza Albanese con l’intento preciso di rientrare in Italia.

All’inizio del 1944 rientrò in Italia ed immediatamente si unì ai primi Partigia-ni che operavano in Val Casotto con le Formazioni Partigiane del Comandante Mau-ri con il nome di Battaglia “Tenente Fran-co”. Rientrò poi a Canale nel mese di Luglio su sollecitazione dei fratelli Nino ed Enzo Faccenda ai quali era legato da una salda amicizia.

Entrò quindi nella 23^ Brigata Canale.

Nel pomeriggio della Domenica 6 Agosto 1944 un’auto, con a bordo Gianni Alessan-dria, Pietro Mancuso, Franco Casetta, Nino Faccenda e Giuseppe Barbero, lasciò la base partigiana sita nella frazione Sanche di Vezza d’Alba per recarsi ad una importante riunione ai Piloni di Montà dove sarebbe

stata discussa l’entrata della Brigata Canale nelle Formazioni Giustizia e Libertà e l’assegnazione del comando della Brigata al Casetta.

Giunti a Canale si fermarono in via Tori-no davanti alla casa di Giovanni Toso per accordarsi con lui in quanto rappresentan-te del C.L.N. della zona. In quello stesso istante sopraggiunse alle loro spalle un camion di militari fascisti; ne nacque un conflitto a fuoco durante il quale Gianni Alessandria venne colpito a morte, Mancuso venne ferito e fatto prigioniero (fu poi impiccato a Carignano il 7 Set-tembre). Barbero e Faccenda riuscirono a dileguarsi forzando il portone della casa di Toso. Franco Casetta, corse lungo il viottolo verso il Rio, ma fu ferito ad una gamba e quindi arrestato. Dopo un pestaggio lo trascinarono in Via Torino dove fu giustiziato.

Egli lasciò un testamento datato 31 mag-gio 1944 che pare essere una tragica neme-si e che ora vi leggo:

“…Con mente serena e animo tranquillo, pensando di poter incontrare sul campo morte onorata, per la causa che ho sempre ritenuta giusta e santa, o di dover confessa-re la mia fede di italiano di fronte ad un plotone di esecuzione, prego Iddio innanzi-tutto di concedermi la stessa forza e lo stesso coraggio con cui sono caduti tanti Eroi e tanti Martiri d’Italia in tutti i tem-pi.

Chi era Franco

Il presente giornaletto interno viene redatto in occasione della festa di fine annata 2009-2010 dell’Associazione Franco Casetta per ricordare le tante iniziative che abbiamo organizzato, o collaborato, in questa densa e importante annata dell’Associazione.

13 GIUGNO 2010 Associazione

Franco Casetta

Il posto che ci ospita, grazie alla grande ospitalità dei nostri Giusi e Laura è la splendida e storica Chiesa di San Michele de Anteridio la più ‘storica’ chiesa del Roero dedicata all’Arcangelo; chiesa debitamente “orientata” (l’abside rivolto ad oriente secondo i canoni antichi), e che sovrastava l’abitato di Anterixio prima che fosse raso al suolo dagli astigiani verso la metà del 1200. Di essa si hanno notizie già a partire dal 1041 quando l’imperatore Enrico III (il Nero) conferma il suo affidamento alla chiesa di Asti. Nel 1065 questa chiesa viene citata nella donazione di Adelaide di Susa al vescovo di Asti. Com-plesse e documentate vicende testimoniano i suoi successivi passaggi di proprietà al Monastero dei Santi Apostoli, di nuovo al vescovo ed ai canonici di Asti cui viene donata dal Papa Lucio III, ecc. All’inizio del 1200 si citano i suoi rettori: i presbiteri Oberto di Anterisio (1207) e Anselmo di Anterisio (1216). Ma dopo la distruzione di Anterisio quella chiesa subisce un progressivo degrado, tanto che il vescovo di Asti, durante la visita pastorale del 1717, la interdice, ne ordina l’abbattimento e la rico-struzione che verrà realizzata nelle forme architettoniche attuali dagli abitanti del luogo nel 1729. Nel 1919 la chiesa di San Michele “de Anterisio” è stata dichiarata monumento nazionale.

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Canale 25 Aprile 2010 — Estratto della presentazione dell’Associazione da parte del nostro Angelo Quinterno. Parlo a nome della neo costituita ASSOCIAZIONE “FRANCO CASETTA” che è diretta emanazione del gruppo spontaneo di supporto dell’Associazione partigia-na TONIO FERRERO nato circa due anni or sono. L’Associazione TONIO FERRERO, tuttora esistente, a norma di statuto raccoglie fra le sue fila gli ex combat-tenti della 23^ Brigata Partigiana Canale. Il gruppo spontaneo di supporto, nato da circa due anni, ha deciso dopo vari incontri, di costituirsi ufficialmente in associazione, di dotarsi di uno statuto e di un organo di amministrazione al fine di regolarizzarsi e di adottare una struttura in grado di reperire risorse per realizzare le iniziative volte a tramandare e rinvigorire la memoria della lotta partigiana e dei principi di democrazia e liber-tà. La costituzione ufficiale è avvenuta il giorno 9 gennaio presso la biblioteca comunale ed ha visto la partecipazio-ne di 24 persone che hanno sottoscritto l’atto fondativo. I motivi principali che hanno portato molte persone a frequentare e costituire la neonata associazione, sono quelli della condivisione dei principi e degli ideali di libertà e democrazia che hanno caratterizzato la lotta partigiana, mantenere viva l’eredità storica dei suoi pro-tagonisti, preservarla, difenderla, per tramandarne alle generazioni future i valori. Libertà e democrazia sono i principi fondanti del nostro convivere civile, ben espressi nella nostra carta costituzionale, che rappresenta la mi-gliore sintesi di tutto quanto conquistato nel corso della lotta di liberazione dell’Italia dall’oppressione nazi fasci-sta.

L’invito ad aderire è stato rivolto sia a coloro che hanno avuto parenti testimoni attivi della Lotta per la Libera-zione sia a coloro che hanno come propria convinzione personale la tutela della memoria legata a quel passaggio fondamentale della nostra storia repubblicana che è rico-nosciuto nella storiografia ufficiale come RESISTENZA. L’associazione è aperta a tutti coloro che intendono con-dividerne i principi fondativi, è apolitica ed apartitica, ma pone come fondamento ineludibile la condivisione dei principi di cui ho appena sopra accennato.Il gruppo è variegato e frequentato da molte persone, anche non di Canale, che hanno appr ezzato lo sforzo profuso per la tutela della memoria storica e le iniziative intraprese in questo senso che sono state numerose, partecipate e mol-to costruttive. L’Associazione porta il nome di Franco Casetta, parti-

giano originario di Canale e trucidato dai fascisti in Canale il 6 agosto 1944 nella zona di via Torino. Perché Franco Casetta: perché è un canalese, perché è morto per mano fascista; perché è morto a Canale; per la sua statura morale.

Il gruppo ha ritenuto giusto intitolare l’Associazione a Franco Casetta sia perché fu uno dei martiri delle bande partigiane e della Brigata Canale sia per le sue qualità umane che trapelano dalle parole che ho appena letto. Rivolgo un invito a tutti coloro che si riconoscono nei valori della Resistenza, a partecipare alle iniziative organizzate dal gruppo, perché è fondamentale che la nostra storia non sia dimenticata e tanto meno manipolata per biechi fini politici e di consenso. Chi scelse di stare dalla parte della libertà non può essere confuso, pur nel rispetto umano della morte, con chi

combatté per la negazione della mede-sima. A proposito dell’importanza della conoscenza del valore della memoria, concedetemi di citare alcune righe tratte da un articolo de La Stampa del 23 aprile nel quale a proposito di que-sti argomenti si afferma –“ come la storia di ogni altra Nazione, la nostra ha ospitato orrori ed eroi, la deporta-zione dei briganti meridionali nelle fortezze alpine, ma anche il sacrificio di tanti giovani morti con l’Italia sulle labbra. Meriterebbero di essere ricor-dati con più rispetto: per la lingua e la memoria di un Paese che non farà mai i conti con il suo passato fina a quando continuerà a oscillare fra il revisioni-smo e la retorica”. La nostra libertà deriva dalla nostra storia, se oggi ce l’abbiamo è grazie alla lotta partigiana, è quindi nostro dovere mantenerne viva la memoria, per fare sì che la libertà che ci è stata data e che è nata dal sacrificio di gio-vani combattenti morti con l’Italia sulla bocca, non sia considerata come un fatto acquisito, ma come una cosa che ci dobbiamo meritare e che abbia-mo l’obbligo di tutelare anche mante-nendo vivo il ricordo dei fatti e della nostra storia. Viva il tricolore, viva l’Italia, viva la Costituzione, viva la Resistenza e viva la libertà.

9 gennaio 2010 Fondazione

del l ’Assoc iaz ione

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25 apr i le a Canale Michele Calandri,oratore ufficiale

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27 gennaio 2010, Giornata della Memoria, Biblioteca Comunale di Canale d’Alba. Nicoletta Fasano, Monica Dogliani, Prima-rosa Pia: riflessione, storia, emozione fuse magicamente in una serata al femminile che ha dato modo di parlare da una prospettiva diversa di questa ricorrenza L’occasione è stata promossa dal Polo Cit-tattiva per l’Astigiano e l’Albese, in colla-borazione con l‘Associazione “Franco Ca-setta” e la Biblioteca Comunale di Canale d’Alba. A quasi un decennio dalla sua istituzione, quale senso dare oggi alla Giornata della Memoria? Con questo interrogativo la dott.ssa Nicoletta Fasano dell’ Istituto Stori-co della Resistenza di Asti ha dato inizio alla serata dedicata alla presentazione del libro “Oltre la cenere” (Paoletti D’Isidori Capponi Editori) di Monica Dogliani e An-drea Ronchetti. La risposta alla domanda iniziale non né semplice né scontata e neppure univoca. Purtroppo il parlare di Auschwitz, di campi di concentramento e di sterminio si svuota di significato e diventa un momento di pura retorica se non è accompagnato da una co-noscenza storica sul periodo. Spesso, inve-ce, ci si ferma all’ identificazione emotiva con le vittime che, se è accompagnata dalla difficoltà di mettere in relazione, problema-tizzare e collegare avvenimenti che sembra-no scollegati tra loro, non permette di com-prendere davvero e di non banalizzare quan-to è accaduto. Se poi tutto ciò è unito alla difficoltà di ricordare del mondo post-moderno, appare paradossale aver dedica-to una giornata alla memoria in una società priva di memoria. Ma per fare memoria occorre fare i conti con la storia. Lo sterminio, Auschwitz… sono il punto di arrivo di un pensiero non solo tedesco ma

europeo tra fine ‘800 e inizio del ‘900. Memoria, ricordo… in alcune situa-zioni la Giornata della Memoria diventa un modo per pacificare le coscienze, per calare, in fondo, un velo (im)pietoso su questo periodo terribile della storia assegnando il ruolo dei cattivi ad altri. Visione, in fondo, rassicurante che ha quasi la funzione di allontanare da sé percezioni negative, nella speranza che non possano più ripetersi simili situazio-ni perché il mondo è ormai diverso ed i cattivi di allora non ci fanno più paura, proprio come l’uomo nero di quando eravamo bambini. La domanda, adesso, è un’altra: cosa è sfuggito? Il nazismo non è il punto di partenza ma di arrivo di un clima dichia-ratamente e apertamente razzista non solo in Germania ma in tutta Europa. Un momento storico dove, per legge, si decreta la criminalizzazione della diver-sità e le responsabilità sono molteplici. Prendendo la situazione degli Ebrei ita-liani, tranne quelli della comunità roma-na, gli arresti avvengono tutti ad opera di connazionali. Si parte dallo zelo di im-piegati degli uffici anagrafici che – senza porsi troppe domande – non esitano a censire l’appartenenza ad una religione, ad un gruppo etnico, la diversa abilità o lo stato di infermità mentale. Basta davvero un giorno per ricordare o serve solo, al contrario, per generare un senso di allontamento e repulsione al bombardamento mediatico di fine gen-naio? O forse le Giornate della Memo-ria possono considerarsi utili solo nella misura in cui consentono di compren-dere prima, e distruggere poi, quei meccanismi di discriminazione delle diversità che, negli ultimi tempi, sembrano riaccendersi con un rinno-

vato vigore? Forte l’ulteriore interrogativo della dott.ssa Fasano: quante sono le vittime dei campi di concentramento che si trovano sui fondali dei nostri mari che ospitano i corpi di quei tanti che, spinti dal desiderio – e anche dal diritto – di aspirare ad una vita dignitosa, trovano invece spesso la morte e l’umiliazione? Un intervento senza giri di parole inframezza-to dalla lettura di brani toccanti, da parte della stessa autrice, tratti dal libro “Oltre la cene-re”. Un testo drammatico ma mai angosciante che affronta, con una solida base storica, l’intreccio di varie personalità con le loro luci ed ombre. Siamo alla fine del 1944 ad Au-schwitz–Birkenau, luogo terribile di morte, rischiarato comunque, dalla luce della speran-za prima e della vita che ricomincia, poi, alla fine della guerra. La lettura dei brani è accompagnata da un silenzio irreale ed emozionante che sembra portare il pubblico in una strana dimensione “altra” che genera domande, interrogativi irrequieti in cerca di risposta. Il libro ha subi-to riscosso un buon riscontro di critica e pubblico per la sua capacità di indagare nell’ animo umano con delicatezza, senza facili compiacimenti e ammiccamenti ai letto-ri. Ma quello che più stupisce e la rara capaci-tà di legare questi aspetti all’analisi storica del periodo. Alla revisione del testo ha contribuito Prima-rosa Pia, figlia del superstite Natale Pia kz 115658 Mauthausen-Gusen, nipote di altri deportati, tutti partigiani vittime del rastrella-mento avvenuto nella zona di Nizza Monferrato.

27 gennaio 2010 Giorno del la Memoria “Oltre la cenere”

6 marzo 2010

65° anniversar io de i Combatt iment i de l Marzo '45 - Santo Stefano Roero

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Cinque dei sette reduci che hanno preso parte alla Battaglia di Santo Stefano

Antonio Vetrò,oratore ufficiale

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T i to lo b r an o i n tern o

15 maggio 2010 Incontro sul l ’Archiv ist iva

Nella responsabilità e prospettiva di occuparci dell’archivio messo insieme con particolare cu-ra, dedizione e attaccamento dal nostro presi-dente Paulin abbiamo organizzato, presso l’abi-tazione dello stesso curatore, un pomeriggio dedicato al tema dell’archivistica e momorialisti-ca storica.

Fine e preparato relatore è stato il dott. Bocca-latte, vicepresidente dell’Istituto Storico della Resistenza di Torino.

Con parole comprensibili, anche da noi poco avvezzi della materia, ci ha dato validi e inte-ressanti informazioni sulle modalità e procedure di gestione di un Archivio.

La valutazione che ha dato dell’Archivio e so-prattutto la piena disponibilità ad esserci di supporto sono conferma e sprone per affronta-re il delicato e importante scopo che ci siamo proposti.

Mario Segre, (Torino 1904-Auschwitz 1944) fu uno dei docenti del liceo classico Govone di Alba su cui da tempo si sono appuntate le ricer-che d'archivio dell'Associazione ex allievi: inse-gnante di latino e greco nei licei, docente di epi-grafia e antichità greche all'Università di Milano, archeologo e studioso di fama inter-nazionale, ebbe stroncata la carriera e la vita a seguito delle leggi razziali fasciste del 1938. Si era laureato a Genova nel 1926, e ad Alba si trovò a insegnare tra il 1929 e il 1931: seguire la sua biografia umana e intellettuale è stata l'oc-casione «a portata di mano» che un pubblico numeroso - specie di studenti - ha potuto avere per meglio meditare il senso del Giorno della memoria.

Lo storico Fabio Levi, primo dei relatori a pren-dere la parola insegna storia contemporanea all'Università di Torino, è stato molto efficace nello stabilire subito un tono franco: «Le perso-ne vanno giudicate per quello che fanno, non per

il ruolo che ricoprono». A Levi spettava di ricostruire il quadro storico e sociale in cui si svolse la vicenda particolare di Mario Segre, un ebreo piemontese inserito nella vita pub-blica e civile - così come era per moltissimi italiani di origine ebraica negli anni del fasci-smo, prima delle fami-gerate leggi razziali.

Il secondo, oratore è stato Riccardo Bot-toni, dell'Istituto nazionale per la Storia del mo-vimento di liberazione in Italia - e docente in quel liceo Carducci di Milano dove nel 1931 finì a insegnare Mario Segre. Bottoni ha letto testimonianze e portato dati per raccontare il destino tragico di Segre e della sua famiglia: tutti finirono per essere deportati ad Au-schwitz e nessuno si è salvato.

Bottoni ha anche voluto sottolineare la ric-chezza degli archivi del liceo Govone di Alba, invitando gli studenti della scuola a farsi storici essi stessi, a interrogare i documenti in prima persona. L'Associazione ex allievi

diretta da Lorenzo Paglieri sta da tem-po scandagliando quel giacimento; il suo presidente Ettore Paganelli ha individuato studen-ti che di Mario Segre furono allievi - e ricordato studenti albesi ebrei che dovette-ro subire le leggi razziali, come Guido Sa-cerdote.

Il fratello di Mario, Umberto Segre - più inquieto e politicizzato, antifascista dichiara-to riuscì a salvarsi dallo stermìnio: all'in-contro di Alba hanno presenziato sua figlia Vera con il marito Paolo Mugnano. La loro testimonianza, in chiusura, ha rafforzato l'immagine di una persona di cultura, intelli-gente e pacifica, uccisa dall'ignoranza e dalla violenza.

Stralcio articolo del Dott. Edoardo Borra

30 gennaio 2010, incontro con gli studenti delle scuole superiori albesi sul tema delle leggi razziali e della deportazione nei campi di sterminio nazisti e nel ricordo del Prof. Mario Segre

Associazione Franco Casetta — 4

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Un’ intera generazione che non ha più fatto ritorno nelle vallate cuneesi, giova-ni dai 20 ai 25 anni che hanno bruciato la loro breve esistenza nell’arco di mesi orribili all’interno della disastrosa ed inutile campagna in Russia.

A tutti questi ragazzi, e alle loro fami-glie, è stato dedicato il libro di Giorgio Ferraris: “Alpini dal Tanaro al Don” presso il Comune di Montà all’interno degli incontri di sensibilizzazione pro-mossi dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese, in collaborazione con l’Associa-zione Franco Casetta.

L’autore, maestro elementare, già consi-gliere regionale e Presidente della Co-munità Montana Alta Val Tanaro, si è da sempre appassionato a questa vicenda non solo dal punto di vista storico ma, soprattutto, umano. Figlio di un reduce, alpino del Battaglione Mondovì, ha vis-suto in prima persona il disagio del pa-dre, uomo provato, nel raccontare la sua esperienza di quei tristi giorni. La serata è stata introdotta da Silvano Valsania, sindaco di Montà, che ha saputo sapien-temente toccare i punti salienti del libro ponendo domande all’ autore e propo-nendo spunti di riflessione per il nume-roso pubblico presente. Gli interventi del moderatore e dell’autore sono stati in-tervallati da canti, rievocanti la guerra, proposti dalla Corale di Santo Stefano Roero.

Un libro dedicato ai giovani di allora, ragazzi che non si erano mai allontana-ti dai loro paesi, che non conoscevano nulla della vita, della politica e della guerra e nulla avevano contro le popo-lazioni che avrebbero dovuto combat-tere. In massima parte erano contadini e quello era il loro sapere: la propria terra che subito balzava come termine di para-gone quando ai loro occhi apparivano le immen-se e monotone pianure straniere che stavano calpestando, tanto diverse dalle loro terre ma accomunate dalla misura del lavoro e della fati-ca. Proprio su questo passaggio occorre soffer-marsi e riflettere facendo un paragone con i ventenni di oggi, sicuramente diversi ma uniti a quei coetanei di allora da speranze, sogni, desi-deri e aspettative che sono state cancellate insieme ai corpi e, spesso, alla memoria. Invece proprio questo confronto è in grado di non far trasformare il ricordo in retorica e di avvicinarlo, in modo da renderlo comprensibile, anche a tutti coloro che non hanno vissuto quelle terribili esperienze.

Il libro, suddiviso in due parti, prende avvio da un inquadramento storico generale della vicenda per poi passare ad analizzare in modo più speci-fico le sorti della Cuneense anche tramite le lettere dal fronte, le testimonianze dei soprav-vissuti ed un ricchissimo apparato fotografico.

Al termine della guerra c’era nelle persone la voglia di scordare questa parte di guerra che precedeva la rivolta partigiana, quasi con un senso di vergogna perché i nostri soldati risulta-vano gli aggressori di una terra straniera. Quin-di, se si trovavano molte lapidi dedicate ai parti-giani, più rare erano quelle rivolte agli alpini. In

realtà si trattava di giovani che, per la maggior parte, erano stati obbligati per dovere ad allon-tanarsi dai propri affetti molto spesso senza capire gli intrecci ed i risvolti politici e che, nelle zone di guerra, si comportarono in modo civile con la popolazione che già aveva subito vessa-

zioni indicibili da parte della milizia nazista. Per questo, nella parte finale del libro, vengono ricordati i vari monumenti e luoghi della memo-ria dedicati ai caduti.

Della Cuneense tornarono solo un alpino su dieci circa e molte furono le famiglie che non ebbero neppure il conforto di aver notizie certe sulla fine dei loro congiunti. Si cominciò a parla-re di dispersi e, in effetti, qualcuno – fino alla metà degli anni ’50 – ritornò dai campi di prigio-nia russi… ma furono pochissimi. Degli altri non si seppe più nulla anche per la grande difficoltà dei reduci, accompagnata dal un senso di colpa - simile a quello provato dai sopravissuti dei campi di concentramento, a portare queste notizie terribili alle famiglie dei compagni d’arme che conoscevano. Spesso, infatti, era più forte la necessità di lasciare sopravvivere la speranza di pensare ad un possibile ritorno in una casa dove tutto ancora parlava di loro piuttosto che distruggere questo sogno con la descrizione di una fine certa e orribile.

22 febbraio 2010

Gl i A lpin i dal Tanaro a l Don

22 apri le 2010

Fino a quando cadrà la neve

La sua testimonianza è dunque veramente unica perché unisce tra loro le principali tragedie del Novecento: la peggiore guerra dell’umanità e le peggiori atrocità compiute dall’uomo nel corso dei secoli, abbinate al conflitto fratri-cida della Resistenza italiana ed europea.

Natale Pia ancor oggi, anziano, mostra quella forza di contadino delle nostre terre avvezzo a superare con pacatezza ogni difficoltà, forza che gli ha consentito, dopo aver visto e sopportato atrocità e privazioni d’ogni tipo, di ritornare per ben due volte al suo paese, ai suoi affetti più cari. E’ stata la figlia Primarosa, nominata il 27 gennaio 2008 “Erede dell’ANED” Associazione Nazionale Ex Deportati Politici nei Campi Nazisti per il suo impegno nella divulgazione della Shoah, a voler raccogliere le sue testimonianze in un libro dopo che, per anni, Natale ha parlato ovunque, nelle scuole, nei circoli, nelle occa-sioni ufficiali, nelle tante visite ai Lager.

Alla sua storia si intreccia dolorosamente quella di Vittorio Benzi, fratello della fidanza-ta Margherita che diverrà poi sua moglie. Il giovane, dopo la breve vicenda partigiana, catturato e deportato con Natale, non so-

L’antivigilia del 25 aprile sono stata fra i commos-si spettatori a Cisterna d’Asti dell’azione teatrale “Fino a quando cadrà la neve” liberamente tratta da “La storia di Natale”, racconto autobiografico sottotitolato “Da soldato in Russia a prigioniero nel lager”, di Natale Pia di Montegrosso. Una serata davvero coinvolgente per adulti, giovani e bambini come sempre avviene per quelle organiz-zate dall’Associazione Museo Arti e Mestieri di un tempo in collaborazione con la Regione Piemonte, con la Scuola Polo di San Damiano, con l’Ecomu-seo delle Rocche del Roero, con l’AIMC di Asti, con l’ISTRAT e altri enti.

Fabio Fassio, Dario Cirelli, e Carlo Nigra della Casa degli Alfieri, in collaborazione con il Teatro degli Acerbi e con la regia di Luciano Nattino, che fa una breve presentazione, ripercorrono per noi con efficacia l’avventura umana di Natale Pia, classe 1922, per tutti Natalino, dagli anni della seconda guerra mondiale, precisamente dal gen-naio 1942 al gennaio 1943, da quando, giovanis-simo artigliere, partecipa alla campagna di Russia con la drammatica ritirata.

Tornato in Piemonte con la convinzione di essere stato fortunato ad uscire da tale tragedia, dopo l’8 settembre collabora alla lotta partigiana nell’a-stigiano e viene catturato dai tedeschi. Ripercor-rendo nuovamente il passo del Brennero, è de-portato a Mauthausen - Gusen, uno dei peggiori sottocampi.

pravviverà agli orrori di Gusen morendo proprio lì il 22 marzo 1945 giorno del suo diciottesimo compleanno. L’azione parte da quegli anni terribili di indicibili sofferenze. La scena è volutamente povera, spoglia, ciò che importa è la gestualità dei tre attori che, grazie anche alle proiezioni video di Federica Parone, in un continuo flashback, passano dalla Russia al lager restituendoci attraverso le parole di Pia il ricordo dei tanti dolori fisici e morali subiti senza tuttavia mai perdere il rispetto di sé e degli altri. E dopo gli applau-si, meritatissimi, agli attori, al termine Tizia-na Mo, della Scuola dell’Infanzia di Cisterna, invita sulla scena proprio Natalino raggiunto anche da Primarosa. Commozione e strette di mano con gli occhi lucidi e naturalmente foto con la bandiera dei reduci chiudono una speciale serata della memoria.

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Sabato 17 aprile 2010 nell’aula magna della Scuola Enologica di Alba, è stato organizzato un incontro per ricordare l’importante missio-ne britannica del 1945, con compiti segretis-simi, descritta nel libro “I Banditi di Cisterna”, scritto dall’inglese William (Bill) Pickering e tradotto da Chiaffredo (Dedo) Bellero.

L’incontro ha aperto il programma delle cele-brazioni del 25 aprile di Alba, con particolare invito agli studenti delle Scuole Superiori.

Nell’occasione sono stati ricordati gli ex allievi della Scuola Enologica di Alba che sono stati perseguitati dal Fascismo: Rolfo Virginio (processato dinanzi al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato e prima detenuto a Ro-ma per sei mesi in carcerazione preventiva), Costa Mario e Busso Pasqualino (barbaramente assassinati nel 1944) ed i partigiani Mario e Fausto Canino e Piero Mal-fatto, che hanno attivamente partecipato alla Resistenza.

L’iniziativa è stata organizzata dal nostro Lorenzo Paglieri con il Comune di Alba, la Scuola Enologica di Alba e con il patrocinio dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia (INSMLI) di Milano e degli Istituti Stori-ci della Resistenza di Cuneo ed Asti.

La ricerca è frutto di un lavoro dell’As-sociazione culturale per la memoria della Resistenza “Franco Casetta” e dell’Unione ex allievi della Scuola Eno-logica di Alba.

Le relazioni sono state curate dello storico Alessandro Cerrato, con inter-venti degli ex allievi della Scuola Enolo-gica Lorenzo Tablino e Marta Rinadi, e testimonianze dei partigiani Piero Mal-fatto e Paolo Pasquero, e dei familiari degli ex allievi.

17 apr i le 2010— Alba — “I Bandit i d i C isterna”

partecipa con gli altri alla liberazione di Asti e poi di Torino.

Viene quindi richiamato dagli alleati a Firenze, dove incontra Rossana, una bella ragazza che diventerà sua moglie e abiteranno nei dintorni di Manchester, dove vivono tuttora.

Nel 1991 pubblica a Londra, in collaborazione con il giornalista Alan Hart, The bandits of Cisterna, nel quale racconta le proprie avventu-re di guerra, dall’Africa settentrionale allo sbarco in Sicilia, e poi Anzio, Roma e su, oltre la linea gotica, paracadutato tra i Partigiani.

Sull’aereo per Roma lo divora. Rivede, con il loro nome e cognome, tanti personaggi del cuneese, del torinese e dell’astigiano (il portaordini in bicicletta Maggiorino Settimo, il traghettatore del Tanaro Berutti Pietro) e vi ritrova anche suo padre Francesco ( il Gris), sua madre ( la Gri-sa), e i suoi due fratelli , anch’essi tra i Partigiani di Cisterna e poi Rino Rossino, Medaglia d’oro, tanti amici di San Damiano d’Asti, la gente di Cisterna e la cronaca vera della tragica e sfortu-nata morte del Maggiore Hope.

Negli U.S.A. Chiaffredo Bellero traduce il libro in italiano, lo arricchisce di note e precisazioni , e già nell’agosto riporta il manoscritto in Italia, dopo aver chiesto e ottenuto la necessaria auto-rizzazione per la pubblicazione in Italia.

Sulla piazza di San Damiano d’Asti, paese della sua giovinezza, incontra qualcuno che gli fa il nome del dott. Alessandro Cerrato, Difensore Civico del Comune. Racconta la storia del libro e gli chiede consiglio circa un possibile editore.

L’Istituto Storico della Resistenza di Asti, a cui si rivolse Cerrato, già a conoscenza dell’esistenza e del valore storico del libro decide immediata-mente di esserne l’editore. La presentazione avvenne ufficialmente il 10 giugno 2006 alla presenza di Bill Pickering e Dedo Bellero .

Chi erano i Banditi?... Nella notte del 4 febbraio 1945 le Langhe erano coperte di neve. Altissima. Arriva sopra Mombar-caro un aereo inglese a luci spente. Sotto, i Parti-giani accendono fuochi per segnalare la loro posi-zione. I Tedeschi, che ne sentono il rombo, ac-cendono essi pure dei fuochi per confondere il pilota, che tuttavia riesce a catapultare fuori i 6 militari in una zona controllati dai Partigiani. E’ una missione britannica con compiti segretissimi. Tra di essi c’è il maggiore sudafricano Adrian Hope, e un inglese giovanissimo, volontario di guerra, il radiotelegrafista William ( Bill ) Pi-ckering.

Dopo una permanenza di qualche giorno a Mone-siglio, Bill accompagnerà Hope a Cisterna d’Asti, dove è accampato un gruppo partigiano della 6° Divisione autonoma Asti al comando del colonnel-lo Toselli, ma lui dovrà proseguire per Milano insieme al capitano irlandese Keany, anche lui volontario.

Tra Villafranca, Montafia, Cinaglio, proprio negli stessi giorni della battaglia di Cisterna (6-8 marzo 1945), vengono attaccati dai Tedeschi. Keany muore e il radiotelegrafista Bill viene riaccompa-gnato da una staffetta partigiana al castello di Cisterna dove i Partigiani hanno vinto la grande battaglia, ma hanno perso Rino Rossino, fucilato dalla rabbia fascista sulla piazza del paese perché non ha voluto tradire gli amici.

Nel gruppo, chiamato dai Fascisti e dai Tede-schi, i Banditi di Cisterna, Bill si trova a suo agio, fa conoscenza con la vita locale, partecipa alle puntate offensive contro il ponte della ferro-via a Villafranca e contro la guarnigione repubbli-china della stazione di Vaglierano, mettendo a frutto le sue conoscenze nell’uso degli esplosivi.

Diventa a tutti gli effetti anche lui un “ Bandito” e

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