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1 LITURGIA LA PENTECOSTE giugno 2013 - anno 6 n. 2 www.liturgiaculmenetfons.it « CULMEN ET FONS » Associazione Culturale “Amici della Liturgia” in collaborazione con Editrice FEDE & CULTURA

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LITURGIA

LA PENTECOSTEgiugno 2013 - anno 6 n. 2www.liturgiaculmenetfons.it

«CULMEN ET FONS»

Associazione Culturale “Amici della Liturgia”

in collaborazione con Editrice FEDE & CULTURA

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La Pentecoste

don Enrico Finotti

giugno 2013 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

L’Anno della fede ci invita ad una più profondaconoscenza dei contenuti stessi della fede riassuntinel Credo e ad una più attenta considerazione delCatecumenato nel contesto dell’Iniziazione, qualeriferimento permanente per una continuariscoperta dell’identità cristiana. Questo è statol’intento dei due numeri pregressi della nostrarivista, che hanno trattato appunto del Credo e delCatecumenato1. Il tema della Pentecoste vuolecompletare il quadro teologico, ricordando che ilCredo, senza l’epiclesi pentecostale dello SpiritoSanto, rimane lettera morta e concetto senza vita,e anche l’itinerario catecumenale, senza l’interioremozione dello Spirito, scade in un percorsoburocratico, quasi un batter l’aria – come affermal’Apostolo (1 Cor 9, 26) -, privo di illuminazioneinteriore e reale conversione. Il mistero dellaPentecoste, al contempo soprannaturale e storico,è, dunque, evento imprescindibile e sempre attualeper una permanente riscoperta della fede. Anchel’Anno della fede, senza una sempre nuova irruzionedello Spirito, che rianima le ossa aride del popolodi Dio (Ez 37, 1-14), rimarrebbe una celebrazionesuperf iciale e sterile.

La Pentecoste, infatti, è quella potente epiclesi delloSpirito Santo, che sta alle sorgenti stesse dellaChiesa e che compenetra ogni successiva suaattività. E’ con la Pentecoste che lo Spirito Santodà vigore alla Chiesa in analogia con quantoavvenne agli inizi della creazione, quando ilSignore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo esoff iò nelle sue narici un alito di vita e l’uomodivenne un essere vivente (Gen 2,7). Lo Spiritopervade con la sua potenza soprannaturale laproclamazione viva dell’annunzio apostolico2;vivif ica con sicura eff icacia salvif ica i segni, leparole e i ministri dei Sacramenti; conduce conenergia soprannaturale la sacra Gerarchia eprotegge da ogni errore il suo Magistero; suscitala varietà dei carismi e ne garantisce la loroautenticità; custodisce infallibilmente e indefet-tibilmente il cammino del popolo di Dio f ino allaf ine dei secoli. La Pentecoste è quindi un fattopermanente ed interiore ad ogni manifestazionestorica della Chiesa: lo Spirito Santo, infatti, è ilmotore invisibile degli organi costitutivi dellaChiesa, l’agente principale delle sue celebrazioniliturgiche e il dolce ospite dell’anima di ognibattezzato che vive in grazia santif icante. L’in-segnamento, il sacramento e il ministero sonoquindi interiormente intrisi dal celeste balsamodello Spirito Santo.

La Pentecoste nell’Antico Testamento (il giornocinquantesimo)

Nell’Antica Alleanza emergono tre grandi festecomandate da Dio stesso: “Tre volte all’anno faraifesta in mio onore”(Es 23, 14)”…nella festa degliazzimi, nella festa delle settimane e nella festa dellecapanne…” (Dt 16, 16). Queste tre principali festefurono in qualche modo la profezia delle tre grandifeste liturgiche della Nuova Alleanza: la Pasqua, laPentecoste e il Natale. La Pasqua e la Pentecostecristiane mantengono anche una perfettacoincidenza di data con le antiche feste giudaiche,mentre il Natale potrebbe essere adombrato nellafesta delle capanne, come segno profetico delVerbo, che ha posto la sua tenda in mezzo a noi(Gv 1,14). La Pentecoste in particolare è la solennitàdel giorno cinquantesimo, che chiude le settesettimane dalla Pasqua. Anche l’estensione diqueste feste nelle relative Ottave è un’ereditàbiblica, che evidenzia nell’insieme del complessofestale l’eminenza di tali grandi solennità3.

La Pentecoste nella Chiesa antica (i beaticinquanta giorni)

La caratteristica della Pentecoste cristiana rispettoa quella ebraica sta nelle parole di Tertulliano: “Noiinvece, in conformità alla tradizione ricevuta,esclusivamente nel giorno della risurrezione delSignore dobbiamo guardarci non solo dal prostrarciin ginocchio ma da qualsiasi comportamento e daqualsiasi gesto cultuale che esprima angoscia edolore…Lo stesso facciamo anche durante il periododi Pentecoste; lo trascorriamo, a diversità degli altriperiodi dell’anno, con uguale solennità e viviamonella gioia”4 Mentre gli Ebrei celebravano soltantoil giorno conclusivo della festa delle settimane, icristiani celebrano come fosse un’unica festa labeata cinquantena. Il carattere festivo dell’interotempo pasquale costituiva la novità liturgica deicristiani: era il tempo della permanenza del Risortocon i suoi discepoli, che si sarebbe concluso con lagrandiosa e mirabile effusione dello Spirito Santo.Questa beata pentecoste emergeva sovrana sul cicloannuale e, insieme con la Quaresima che lapreparava, fu il primo nucleo del nascente Annoliturgico cristiano. L’assenza del digiuno, tantoimportante nell’antichità, e la preghiera in posizioneeretta, erano i segni eloquenti che connotavano lagrande e protratta festa pasquale. Per questo ancoroggi la Chiesa afferma: “I cinquanta giorni che sisuccedono dalla domenica di risurrezione alladomenica di pentecoste, si celebrano nella gioiacome un solo giorno di festa, anzi come la grandedomenica” 5.

La Pentecoste nel Medioevo (solennità conottava)

Alla f ine dell’epoca antica6 e nel corso dell’altoMedioevo si impone sempre più il carattere festivodel giorno di Pentecoste, considerato come festarilevante in se stessa in relazione al mistero che in

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IN QUESTO NUMERO

2 LA PENTECOSTE

don Enrico Finotti

6 LE DOMANDE DEI LETTORI

a cura della Redazione

10 BATTESIMO E SACERDOZIO

padre Giovanni Cavalcoli o.p.

12 L’ESIBIZIONISMO LITURGICO

padre Giovanni Cavalcoli o.p.

14 MURO CHE NASCONDE O FINESTRA?

mons. Loduvico Maule

15 NOTE GREGORIANE SULLA PENTECOSTE

prof. Mattia Rossi

17 I SANTI SEGNI

mons. Orlando Barbaro

Immagine di copertina: Pentecoste, Andrea Orcagna e

Jacopo di Cione,1362-1365, Firenze.

_______________________

LITURGIA “CULMEN ET FONS”

Rivista trimestrale di cultura religiosa a cura della Associazione

Culturale Amici della Liturgia via Stoppani n. 3 - Rovereto.

Registraz. Tribunale di Trento n. 1372 del 13/10/2008

Direttore Responsabile: Massimo Dalledonne.

Tipografia “Centro Stampa Gaiardo” Borgo Valsugana (TN)

Redazione: Liturgia ‘culmen et fons’ - Editrice FEDE & CULTURA

viale della Repubblica n. 15, 37126 - VR

REDAZIONE

d. Enrico Finotti, Sergio Oss, Marco Bonifazi, Ajit Arman, Paolo

Pezzano, Mattia Rossi, Giuliano Gardumi, Fabio Bertamini.

CONTATTI

Liturgia ‘culmen et fons’ - via Stoppani, 3 - 38068 Rovereto

(TN) - Posta elettronica: [email protected]

Telefono: 389 8066053 (dopo le ore 15.00)

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questo preciso giorno si compì. In tal modo ladomenica di Pentecoste si staglia nella suasingolarità rispetto alle altre domeniche di Pasquae si conf igura come giorno liturgico di granderilievo, oscurando in parte il suo carattere dichiusura della beata cinquantena e rallentando lasua relazione alla Pasqua7.

La Pentecoste oggi (il compimento della Pasqua)

La riforma liturgica del Concilio Vaticano IIevidenzia nella Pentecoste il carattere di terminedella cinquantena pasquale e privilegia il versanteantecedente rivolto verso la Pasqua che l’hainaugurata e che nel cinquantesimo giorno sicompirà in pienezza8. Tale prospettiva totalmentepasquale accentua la preparazione (novena) eoscura il suo alone celebrativo successivo (ottava).La scelta non fu pacif ica ed ebbe molte discussioni,tuttavia così fu stabilito9. La possibilità di prolungarela grande solennità nel lunedì e martedì seguenti,oltre che assecondare radicate tradizioni di taluneregioni della Chiesa, non estingue totalmente quellaesigenza di continuità con i secoli precedenti, cheebbero sempre in grande considerazione la solennitàdella Pentecoste con la sua ottava.

Alla luce di questa breve carrellata storica èopportuno approfondire per cogliere la ricchezzadi aspetti diversi e complementari, che si sonoalternati nella disciplina liturgica nel corso deisecoli. La Pentecoste ha un duplice carattere10: daun lato è festa di chiusura della cinquantenapasquale, dall’altro è festa di apertura verso il tempodella Chiesa nell’attesa dell’ultimo ritorno delSignore. Le scelte della tradizione liturgica si sonodiversif icate in base all’accentuazione dell’uno odell’altro aspetto. Se nell’epoca antica la Pentecosteera intesa come l’intera cinquantena, comeestensione festiva della Pasqua, nei secoli successivi,mediante la creazione dell’Ottava a ridosso del grangiorno conclusivo, considerato ormai come ungiorno solenne a se stante, la Pentecoste apparivacome l’inizio di una fase nuova della vita dellaChiesa aperta al futuro e proiettata verso il mondointero, tutta intenta nell’opera di evangelizzazione.La solennità porta quindi in sé stessa un duplicecarattere: il compimento del mistero pasquale el’inizio della missione evangelizzatrice nel mondo.Per questo, se è lecito scegliere un aspetto rispettoall’altro, non è saggio escluderne alcuno, maconsiderare piuttosto come i due versanti dellaPentecoste siano ugualmente portatori di aspettisingolari e complementari, ambedue interiori econsoni al mistero pentecostale. In questo giorno,infatti, si realizza la promessa del Risorto e discendelo Spirito Paraclito per l’opera di santif icazione chescaturisce dalla Pasqua; al contempo in questomedesimo giorno la Chiesa muove i primi passi versoi conf ini della terra e inizia quel percorso storicoche abbraccerà tutti i secoli ormai irreversibilmenteorientati al ritorno glorioso del Signore. Chiusurae apertura sono quindi elementi indissolubili e

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ugualmente importanti per capire la Pentecoste.In tal senso si dovrà accettare con pari rispetto, siala modalità antica - oggi nuovamente assunta - dichiudere la Pasqua col giorno cinquantesimo dellabeata Pentecoste, sia quella, che abbraccia moltisecoli, secondo la quale il giorno di Pentecoste siprolunga nella sua Ottava11.

Occorre anche considerare gli effetti conseguentialle due impostazioni liturgiche. La Pentecostesenza Ottava evidenzia certamente con piùprecisione il valore simbolico dei cinquanta giorni,essendo l’ultimo giorno della festa, ma al contempola solennità in se stessa perde importanza, tenden-do a diventare semplicemente l’ottava domenicadi Pasqua. Questo fatto lo si può costatarenell’odierna prassi pastorale in cui la Pentecostenon ha più l’evidenza delle grandi solennità, qualiPasqua e Natale. Ad uno sguardo superf icialesembra che le tradizionali tre solennità maggiorisiano ridotte a due (Pasqua e Natale) emergentinell’anno liturgico proprio in virtù dell’Ottava chele prolunga. La scelta del nuovo calendarioliturgico in tal senso ha contribuito ad una ridu-zione della Pentecoste, privandola di queglielementi di evidenziazione, che nel precedentecalendario erano certamente eff icaci nell’innalzareil grande giorno dell’effusione dello Spirito12.Infatti, quando nel calendario liturgico, dopo lariforma delle rubriche (1960), si stagliavano solennied uniche le tre Ottave (Pasqua, Natale, Pente-coste)13 era a tutti immediatamente evidente chetali feste costituivano i vertici assoluti e sovrani,emergenti su tutte le altre solennità e feste.

L’Ottava di Pentecoste14, che fu celebrata dallaseconda metà del secolo VI f ino al Vaticano II, oltrealla sua venerabile antichità e stabilità nei secoli,non era poi così estranea ad un retto simbolismoliturgico. Infatti, essa era un’ottava incompleta edaperta (dalla domenica al sabato)15. In tal mododa un lato si consacrava il valore non soltanto delleotto domeniche pasquali, ma anche delle ottosettimane pasquali, intendendo la settimana comeun tutto aderente alla domenica, che la iniziaquale suo primo giorno. Il fatto poi che l’Ottava diPentecoste, a differenza delle altre due Ottave(Pasqua e Natale) fosse incompleta, terminandoappunto al sabato, affermava il mistero della stessaPentecoste come un’ evento aperto e continuo, chesi sarebbe concluso unicamente al termine dellastoria, quando col ritorno del Signore nella glorial’Ottava di Pentecoste si sarebbe effettivamenteconclusa e con essa la consumazione piena delmistero pasquale. Il tempo per annum, infatti,rappresenta in qualche modo il tempo della Chiesapellegrina nel mondo, che sotto il continuoinflusso soprannaturale dello Spirito Santo, comein una perenne Pentecoste, avanza nei secoli,operando la santif icazione dell’umanità, f ino alcompimento del Regno di Dio. In tal senso avevaun signif icato quanto mai opportuno e correttoanche la denominazione delle domeniche del

tempo ordinario come domeniche dopo laPentecoste. Esse infatti, realizzano, soprattutto neisacramenti, quell’opera di santif icazione che ebbeinizio con la Pentecoste e che continua nel temposotto la perenne epiclesi dello Spirito Santo. Iltempo della Chiesa è, infatti, un tempo penteco-stale, che proprio dal mistero della Pentecosteattinge continuamente la grazia, che lo Spirito leinfonde, fluendo senza sosta dal Risorto, che staalla destra del Padre. Il ricorso ad un terminetecnico, come domeniche per annum e tempo perannum, rispetta certamente la dinamica dei primistadi dell’Anno liturgico, quando la serie indif-ferenziata delle domeniche celebrava la totalità delmistero senza sottolinearne aspetti particolari. Maciò potrebbe insinuare un carattere archeologicoin riferimento ad una fase antica destinata adessere superata nella logica dello sviluppo organicodell’Anno liturgico, caratterizzato proprio dallarelazione delle singole domeniche e tempi sacricon i misteri celebrati negli snodi portanti edeterminanti della f isionomia dell’Anno liturgicosempre più def inito e perfezionato.

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Queste rif lessioni hanno voluto mettere in lucecome scelte diverse stabilite dalla Chiesa nei secolinon sono in contraddizione, ma rappresentanomodalità liturgiche differenti e complementari,portatrici di aspetti diversif icati, che arricchisconola lettura simbolica della Pentecoste. In questa lucela comprensione della Pentecoste, come di ogni altrafesta, non si esaurisce nella disciplina liturgicavigente, ma si carica di una ricchezza che può esserecolta soltanto nelle successive tappe dello sviluppostorico ed anche dalla diversità dei riti legittima-mente ammessi dalla Chiesa. Stabiliti i termini dellaquestione si deve anche affermare con determina-zione che nell’attuale riforma liturgica la Chiesalatina ha fatto delle scelte che devono essere da tuttiaccolte e rispettate nella concreta prassi celebrativae non è lecito ad alcuno procedere a mutare quelloche le vigenti leggi liturgiche stabiliscono a propositodel modo di celebrare oggi la Pentecoste.

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1 Cfr. Rivista: Liturgia ‘culmen et fons’: Il Credo dicembre 2012 – anno

5 n. 4; Il Catecumenato, marzo 2013 – anno 6 n. 1.

2 ANDRONIKOF, vol. II, p. 81, nota (23): “Tutta la verità è resaaccessibile mediante la Pentecoste “; p. 155: “A partire dalla

Pentecoste, i discepoli ricevono non solo il potere spirituale di

accedere a tutto il mistero, ma anche quello di riconoscere il contenutoautentico delle parole del Lògos e quindi di proclamarle e di spiegarle”.

3 La Pasqua si estende per sette giorni (Es 23, 14-19. 34, 18; Lv 23,

5-8; Nm 28, 16-25; Dt 16, 1-8); la Pentecoste risulta di un solo giorno(Es 34, 22-23; Lv 23, 15-22; Nm 28, 26-31); la Festa delle Capanne

si estende per otto giorni (Lv 23, 33-36. 39-44; Nm 29, 12-39).

4 TERTULLIANO, La preghiera, ed. Paoline, 1984, p. 273.

5 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Preparazione e celebrazione

delle feste pasquali - Libreria Editrice Vaticana, 1992, p. 63, n. 111

6 RIGHETTI, vol. II, p. 312: “Il primo sviluppo della solennità pentecostale,

che ne accentuò l’autonomia liturgica, si ebbe dal costume che, sul

principio del IV secolo, comincia ad imporsi, quasi come legge, diriservare alla vigilia notturna di questa solennità il conferimento del

Battesimo a quelli che per qualche motivo non avevano potuto riceverlo

nella notte di Pasqua”.

7 CONSILIUM AD EXSEQUENDAM CONSTITUTIONEM DE SACRA

LITURGIA, Commentarius in annum liturgicum instauratum, 21 martii

1969, in Enchiridion Vaticanum, EDB, 1990, vol. S1, n.266: “Ma quandosi comunciò a celebrare la festa di Pentecoste unicamente come

l’anniversario della discesa dello Spirito santo sugli apostoli (nel VII

secolo) e l’unione vitale del giorno di pentecoste con il tempo pasqualeandò in dimenticanza, anche alla festa di pentecoste fu assegnata

un’ottava”.

8 ANAMNESIS, ed. Marietti, 1988, vol. 6°, p. 145: “Per porre in rilievola Cinquantina pasquale come un unico giorno di festa era necessario

– e così si è fatto – sopprimere l’Ottava che diventava un controsenso.

Il mistero pasquale viene in tal modo celebrato come un tutt’uno (morte,risurrezione, ascensione, invio dello Spirito), ma non si chiude

definitivamente, aperto com’è alle prospettive della parusia”.

9 BUGNINI, A., La riforma liturgica (1948-1975), CLV, Roma, 1983, p.316, nota 38.

10 RIGHETTI, vol. II, p. 312: “La festa della Pentecoste, se liturgicamente

segna il termine della Quinquagesima, in realtà non finisce il misteropasquale ma lo estende da Cristo alla Chiesa, la quale nella fiamma e

nella luce dello Spirito santo dovrà, con l’opera dei suoi apostoli,

sviluppare il regno universale di Cristo sulla terra”.

11 ANAMNESIS, ed. Marietti, 1988, vol. 6°, p. 140: “Tenuto conto

della psicologia umana, era perciò normale celebrare con

maggior solennità l’ultimo giorno della Cinquantina. E’ benecomunque sottolineare che con la Pentecoste non si chiude

definitivamente il Tempo pasquale nel senso che al mistero

pasquale di Cristo fa seguito quello della Chiesa”.

12 L’accentuazione della Pasqua e del Natale come solennità

maggiori e la riduzione della Pentecoste a esclusivo complemento

della Pasqua sono rese evidenti nel nuovo Calendario liturgico,che considera propriamente i due cicli: Pasqua-Pentecoste e

Natale-Epifania. I fulcri celebrativi dell’Anno liturgico sono allora

costituiti dalla Pasqua e dal Natale, mentre la Pentecoste vienetotalmente relazionata al ciclo pasquale, priva ormai di un ruolo

di presidenza su un ciclo specifico, che precedentemente era

costituito dalle domeniche dopo Pentecoste.

13 Con la riforma delle rubriche del 1960 ad opera di Giovanni

XXIII furono soppresse tutte le altre ottave e conservate

unicamente quelle relative alla tre maggiori solennità (Pasqua,Natale, Pentecoste). Ciò evidenziò con la massima efficacia il

primato, incontestato in tutta la tradizione, delle suddette solennità.

14 RIGHETTI, vol. II, p. 316: “In origine, con la festa di Pentecosteil ciclo pasquale era chiuso; di un’Ottava non troviamo parola

prima della seconda metà del secolo VI…E’ vero che le

Costituzioni Apostoliche inculcano di celebrare dopo Pentecostehebdomadam unam, ma non sembra che questa pratica si sia

molto diffusa… L’Ottava pentecostale venne aggiunta…per

ricopiare la grande settimana di Pasqua”.

15 RIGHETTI, vol. II, p. 318: “Circa il termine dell’Ottava, vi fu in

tutto il medio evo grande disparità di usi liturgici. Roma e la

maggior parte delle Chiese gallicane solevano in origineconchiudere la settimana di Pentecoste nel sabato successivo,

com ’era più esatto; altre invece nella Domenica, sull’esempio diPasqua. In seguito, questo secondo costume generalmente

prevalse, finché l’ufficio del giorno ottavo fu soppiantato dalla

introduzione della nuova festa in onore della SS. Trinità”.

Chiesa di S. Maria del

Carmine in Rovereto

12 maggio 2013

VESPRI MAGGIORI

DI PENTECOSTE

accompagnati dal

Coro Liturgico

“Beato Antonio Rosmini”

filmato e libretto

dei Vespri visionabili in

www.liturgiaculmenetfons.it

sulla pagina del CORO

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Le domande dei lettori

a cura della Redazione

1. L’estensione dei sussidi per la catechesi el’abbondante antologia non facilitanol’apprendimento di una sintesi sulle diversequestioni di fede. E’ possibile avere unacatechesi breve che dia ai ragazzi gli elementiessenziali delle varie parti del catechismo?

Ecco una proposta di breve catechesi sullaPentecoste:

1. Quali sono le più grandi feste della Chiesa?

Pasqua, Natale e Pentecoste sono le tre solennitàmaggiori dell’Anno Liturgico e nessun’ altra puòcompetere con la loro eminente posizione.

2. Perché sono le feste più grandi?

Perché celebrano i tre momenti fondamentalidella nostra redenzione: l’Incarnazione del Figliodi Dio (Natale), la sua Morte e Risurrezione(Pasqua), il dono dello Spirito Santo (Pentecoste).

3. Come si celebrano?

La tradizione liturgica della Chiesa sottolineaqueste tre grandi feste con modalità specif iche:le ferie preparatorie, la veglia notturna e l’ottavaseguente. Le ferie maggiori preparano la festa conelementi propri nella messa e nell’uff icio; la vegliacelebra con solennità il mistero che continua poinella messa dal giorno; l’ottava estende per ottogiorni il clima festivo della grande solennità.

4. Ma vi sono anche differenze tra queste tre grandifeste?

Certo. Mentre il Natale e la Pasqua sono preceduteda un tempo preparatorio (Avvento e Quaresima)e seguite da un tempo festivo (Tempo natalizio epasquale), la Pentecoste ne è priva, in quanto è lafesta di chiusura del tempo di Pasqua. Con lariforma liturgica è pure stata soppressa l’ottava diPentecoste per chiudere effettivamente il tempopasquale col giorno stesso di Pentecoste (ilcinquantesimo giorno dalla Pasqua), mentre èstata valorizzata la sua preparazione caratteriz-zando i giorni che intercorrono tra l’Ascensione ela Pentecoste (la novena).

5. Come celebrare oggi la Pentecoste secondo leindicazioni liturgiche della Chiesa?

La disciplina liturgica vigente raccomanda:

- la celebrazione solenne dei Vespri nei giorni fral’Ascensione e la Pentecoste, nei quali risuonal’inno Veni, creator, Spiritus:

“In realtà nel Messale e nella Liturgia delleOre, soprattutto nei Vespri, tale «novena»è già presente: testi biblici ed eucologicirichiamano, in vario modo, l’attesa delParaclito. Pertanto, quando è possibile, lanovena della Pentecoste sia fatta consisterenella celebrazione solennizzata dei Vespri”.1

- la celebrazione della Veglia di Pentecoste,secondo il lezionario e i formulari previsti per lamessa di vigilia della solennità:

“Sia favorita la celebrazione protratta dellamessa della vigilia di Pentecoste, che nonriveste un carattere battesimale, come nellaveglia pasquale, ma di intensa preghierasull’esempio degli apostoli e dei discepoli,che perseveravano unanimi in preghiera,con Maria, madre di Gesù, nell’attesa delloSpirito Santo”.2

- la celebrazione della Messa del giorno diPentecoste con grande solennità, nella qualerisuona la bellissima “Sequenza aurea”3: Veni,Sancte Spiritus.

- la eventuale celebrazione della Confermazione:è questo, infatti, il giorno più adatto nel quale ilmistero celebrato coincide perfettamente con

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l’evento sacramentale che si attualizza nelsacramento della Cresima.

6. Come comporre i pii esercizi relativi allaPentecoste con le celebrazioni liturgiche?

Vi è il costume diffuso di preferire, sia nellaNovena come nella Veglia di Pentecoste,celebrazioni di creazione privata ad opera di gruppiecclesiali o attinte da vari opuscoli acquistati inlibreria. Pur essendo vero che attualmente laChiesa non impone gli atti liturgici previsti, ma liraccomanda, è bene attenersi al meglio orientan-dosi verso una graduale, ma convinta e determi-nata assunzione degli atti liturgici della Chiesa. Inparticolare i Vespri delle ferie maggiori e la Vegliacol lezionario e l’eucologia previsti da messalerivestono un carattere più nobile e off ronocontenuti più sicuri in ordine alla realizzazionedel mistero della Pentecoste. Vale anche la classicaraccomandazione: “Bisogna che i pii esercizi,tenendo conto dei tempi liturgici, siano ordinati inmodo da essere in armonia con la sacra Liturgia,da essa traggano in qualche modo ispirazione, ead essa, data la sua natura di gran lunga superiore,conducano il popolo” (SC 13). Con l’attuazione diun rito liturgico classico si crea una tradizione che,invece, con riti avventizi, lasciati alla creativitàsoggettiva, rischia di non aver stabilità e qualità,consegnando la Pentecoste alla f luidità dicontingenze sempre mutevoli.

2. La “Novena dello Spirito Santo” un tempoera celebrata con grande partecipazione.Oltre alla Messa quotidiana con breve omeliasi potrebbe proporre qualche forma più tipicache caratterizzi maggiormente i giorni dipreparazione alla Pentecoste?

La riforma liturgica ha certamente arricchito laPentecoste sul piano rituale e in particolareassumendo, ciò che il popolo di Dio già faceva dasecoli, la novena dello Spirito Santo. Essa entrauff icialmente nella liturgia delle ferie cheintercorrono tra l’Ascensione e la Pentecoste,colorando ogni elemento sia nella Messa comenell’Uff icio divino. Quella intensa preghiera cheMaria e i discepoli realizzarono chiusi nel cenacolonei giorni che seguirono all’Ascensione delSignore, oggi è entrata uff icialmente nella liturgiadella Chiesa e offre al popolo cristiano una grandericchezza biblica, patristica ed eucologica.Possiamo riconoscere in questo il frutto dellasofferta scomparsa dell’Ottava. Infatti, ciò checostituiva il contenuto dei giorni dell’Ottava èpassato nelle ferie precedenti alla Pentecoste,educando in tal modo gli animi ad una intensa,pertinente ed eff icace preparazione spirituale allagrande solennità. Il canto dei classici innidell’Uff icio, si pensi al Veni Creator, si ritrovanoquanto mai al loro posto potendo assolvere con

coerenza la funzione che è loro propria: invocarela discesa dello Spirito Santo. Questo è un casotipico di come l’intuito di fede del popolo cristianonon raramente preceda le stesse scelte uff iciali dellaChiesa, sia nella maturazione del dogma, comenella determinazione dei riti liturgici. Ciò èriconosciuto dalla Chiesa che nel Direttorio pietàpopolare e liturgia afferma: “Dalla riflessione orantesu questo evento salvif ico è sorto il pio eserciziodella novena di Pentecoste, molto diffuso nel popolocristiano”4.

Queste scelte liturgiche della Chiesa hannocertamente aperto la strada ad una esplicitazionerituale più qualif icata in preparazione allaPentecoste, tuttavia resta ancora molta strada dapercorrere in vista di una composizione sempre piùadeguata tra i contenuti della liturgia e le formepartecipative del popolo di Dio. La libertà cheattualmente la Chiesa consente nell’impostarequeste ferie, usando convenientemente dell’abbondante materiale liturgico, offre l’opportunitàper celebrare, ad esempio, dei Vespri che possanoveramente colpire l’attenzione del popolo di Diocon elementi rituali e simbolici adatti a richiamarel’importanza di queste ferie tanto importanti. Lacomposizione dei Vespri con elementi desunti epurif icati della pietà popolare potrebbe realizzareuna celebrazione fortemente evocativa del misteroe adatta a portare il popolo cristiano ad una specif icaed eff icace preparazione alla Pentecoste. L’uso dellucernale e il simbolo del fuoco, che arde nelbraciere, potrebbe dare una sapore del tutto

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intonato al mistero della Pentecoste e offrire unacaratteristica singolare a questi solenni vespri chetrovano nell’inno Veni creator un elemento digrande solennità e di intensa invocazione da tuttiormai tradizionalmente condivisa. Si tratta di evitaredue pericoli: l’assenza di ogni celebrazione e lasostituzione facile con celebrazioni mediocri,eff imere e spesso commerciali, comunque diprivata composizioni e quindi estranee al carattereliturgico.

3. La Veglia di Pentecoste sembra trovare unconsenso crescente, ma succede di tutto contotale creatività: si va da una celebrazione, aduno spettacolo, ad una conferenza, a delletestimonianze, ecc. Cosa ci offre oggi la liturgiadella Chiesa?

Una raccomandazione ricorrente in vari libriliturgici e documenti della Chiesa è quella relativaalla Veglia di Pentecoste, fatta ad immagine dellaVeglia pasquale e celebrata nelle ore serali dellavigilia. Le indicazioni della Chiesasono esplicite:

“Sul modello della Veglia pasquale,si introdusse nelle diverse chiese laconsuetudine di iniziare con unaveglia altre solennità: tra questeprimeggiano il Natale del Signoree la Pentecoste”5. “…Signif icativaimportanza ha assunto, specie nellachiesa cattedrale ma anche nelleparrocchie, la celebrazione pro-tratta della Messa della Vigilia, cheriveste il carattere di intensa eperseverante orazione dell’interacomunità cristiana, sull’esempiodegli Apostoli riuniti in preghieraunanime con la Madre delSignore…”6.

Si sa che la Chiesa f in dalla piùremota antichità ebbe una Vegliaanche a Pentecoste e che essa erafondamentalmente una riduzionedi quella pasquale, una sedesupplementare per conferire isacramenti dell’Iniziazione cristia-na per coloro che non avevanopotuto riceverli nella notte diPasqua. Tale Veglia, celebrata inseguito al mattino della vigila diPentecoste, come del resto avvenneper la Veglia pasquale, fu soppressacon la riforma delle rubriche del1960. La riforma liturgica riprendel’invito a celebrare questa Veglia,naturalmente in tempi e con criteridel tutto rinnovati in analogia allaVeglia pasquale. L’attuale Messavigiliare, infatti, off re un riccolezionario (quattro lezioni dall’An-

tico Testamento con relativi salmi e orazioni) percelebrare un’autentica Veglia di Pentecoste, non piùal mattino, ma nell’ora più consona dopo i primivespri. E’ vero che si tratta al momento di un’offertadi materiale utile e di una raccomandazione, ma lastrada è aperta e coloro che desiderano curare laliturgia di Pentecoste ne hanno mezzi e indicazioniopportune7.

Anche se non viene esplicitamente affermato, laVeglia potrà essere arricchita da un adeguatolucernale, essendo celebrazione notturna e, inanalogia con la liturgia battesimale della Vegliapasquale, si potrà pensare ad una liturgia crismale,che mediante una solenne professione di federinnovi nei fedeli il dono dello Spirito Santo ricevutonel sacramento della Confermazione. Le classichequattro parti della Veglia pasquale possono cosìrispecchiarsi anche nella Veglia di Pentecoste:liturgia della luce, liturgia della parola, liturgiacrismale, liturgia eucaristica. La libertà cheattualmente la Chiesa permette con indicazioni

alquanto generali potrebbe offrirel’occasione per determinare con piùprecisione e competenza una Vegliadi Pentecoste che possa stareall’altezza qualitativa della Vegliapasquale ed edif icare così i fedeli conuna ritualità degna della solennitàdel mistero celebrato. Il pericolo chepuò insidiare la pastorale odierna èquello, da un lato di lasciar perderequeste indicazioni liturgiche abbas-sando la Pentecoste ad una normaledomenica priva della tipicità dei ritiprevisti dalla tradizione, dall’altrolato di sostituire alla Veglia celebra-zioni fragili di composizione privatae continuamente variabili secondogli umori del momento, che sareb-bero prive del valore e dell’eff icaciapropri di un’azione liturgica. L’im-pegno serio e qualif icato di alcunecomunità-pilota potrebbe offrire neltempo una forma liturgia piùdeterminata e degna della nobiltà ecaratura di un vero atto liturgico, chela Chiesa potrebbe in futuroassumere e approvare per l’edif ica-zione dell’intero popolo di Dio.

4. La celebrazione dellaConfermazione nel giorno stessodi Pentecoste è certamente l’ide-ale, ma questa coincidenza è danoi rara. Talvolta il sacramentoè celebrato in feste per nienteadatte al mistero suo proprio esi sente il disagio. Cosa dire?

E’ bene fare una premessa ricor-dando le famose parole di Tertul-liano: “Ogni giorno è del Signore,

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ogni ora e ogni tempo è buono per il battesimo: ladifferenza riguarda la solennità, non la grazia”(Tertulliano, Sul battesimo, 19, 1-3).

Come la notte di Pasqua è, secondo l’anticatradizione della Chiesa, la sede più opportuna perconferire i sacramenti dell’Iniziazione cristiana e inparticolare il Battesimo, così il giorno di Pentecosteè quello più consono per impartire la Confer-mazione ai fanciulli già battezzati f in dalla nascita.Ciò è espresso proprio nel rituale vigente dellaConfermazione, quando nell’interrogazione rivoltaai cresimandi si dice: Credete nello Spirito Santo,che è Signore e dà la vita, e che oggi, per mezzo delsacramento della Confermazione, è in modo specialea voi conferito, come già gli Apostoli nel giorno diPentecoste? Il giorno di Pentecoste è quindi ilgiorno storico nel quale si compì quell’evento digrazia che è la discesa con potenza dello SpiritoSanto e che viene reso attuale per ciascunomediante il sacramento della Confermazione. LaPentecoste è la festa naturale e la cornice piùappropriata per la celebrazione dellaConfermazione in quanto vi è laperfetta corrispondenza tra il ricor-do del mistero pentecostale e la suaattuale realizzazione nell’eventosacramentale celebrato.

Anche il Catechismo Tridentinoaveva stabilito: “Vige nella Chiesa diDio la consuetudine, scrupolosa-mente rispettata, di amministrarequesto sacramento soprattutto neldì di Pentecoste, perché proprio inquesto giorno gli apostoli furonorafforzati e confortati dall’effusionedello Spirito santo. Così ricordandoil grande fatto, i fedeli potrannoriflettere meglio sui grandi misteri,che a proposito di questa sacraunzione vanno considerati” perciò:“I fedeli dovranno essere istruitiintorno alla natura, all’eff icacia,alla nobiltà di questo sacramento(cresima), sia nel giorno di Pen-tecoste, specialmente designato perla sua amministrazione, sia in altrigiorni, che ai Pastori apparirannoadatti” 8.

Si tratta di superare quellamentalità pragmatica che tende acelebrare i sacramenti, eccetto ilcaso di necessità, slegati dai giorniliturgici propri stabiliti nell’Annoliturgico. In particolar il Battesimosolenne, la Confermazione e laprima Comunione9 hanno unlegame naturale col tempo pasqualee si dovrebbe superare decisamenteil costume superf iciale di celebraretali sacramenti in feste o giorni

completamente estranei al mistero proprio di questisacramenti. Si pensi alla Confermazione o alla primaComunione celebrate in feste mariane o feste diSanti o anche in tempi liturgici con tematichefortemente caratterizzate e non idonei ad accoglieree commentare adeguatamente il mistero di questisacramenti.

Per quanto riguarda la Confermazione potremo direche - eccetto il caso della presenza del Vescovo,ministro originario di questo sacramento, che pernecessità visita le parrocchie in diversi momentidell’Anno liturgico - la Confermazione vengaconferita dai suoi Vicari il più possibile nello stessogiorno di Pentecoste o almeno nel tempo pasquale.

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1 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Direttorio su pietà popolare e

liturgia - Libreria Editrice Vaticana, 2002, p. 130, n. 155.

2 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Preparazione e celebrazione

delle feste pasquali - Libreria Editrice Vaticana, 1992, p. 67, n. 118.

3 RIGHETTI, vol. II, p. 315.

4 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Direttorio su

pietà popolare e liturgia - Libreria Editrice Vati-

cana, 2002, p. 131, n. 155.

5 PRINCIPI E NORME PER LA LITURGIA DELLE

ORE, n. 71

6 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Direttorio su

pietà popolare e liturgia - Libreria Editrice

Vaticana, 2002, p. 131, n. 156.

7 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Direttorio su

pietà popolare e liturgia - Libreria Editrice

Vaticana, 2002, p. 130 - 132, n. 155 – 156.

8 CATECHISMO TRIDENTINO, ed. Cantagalli,

Siena, 1981, p. 233 e 246.

9 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Preparazione

e celebrazione delle feste pasquali - Libreria

Editrice Vaticana, 1992, p. 65, n. 114: “E’ oppor-

tuno inoltre che i fanciulli facciano in queste

domeniche la loro prima comunione”.

Immagini

In copertina: Andrea Orcagna e

Jacopo di Cione, tempera e oro su

tavola, Pentecoste, 1362-1365, Firen-

ze;

a pagina 4, 6 e 7: particolari dell’im-

magine di copertina;

a pagina 8, 9, 10, 17 e 18: Giovanni

da Milano, tempera e oro su tavola,

formelle linee del Polittico di Ognis-

santi, 1360 circa, Firenze.

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giugno 2013 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

Come è noto, il Concilio Vaticano II ha avutoun taglio ecumenico che testimonia dello sforzodella Chiesa di accogliere per quanto possibile leistanze dei f ratelli separati, per esempio deiprotestanti. Ciò appare tra l’altro in campoecclesiologico con la ormai famosa dottrina delsacerdozio comune dei fedeli, fondato sul Bat-tesimo, la quale ispira l’ecclesiologia del “Popolo diDio” che pone in evidenza il ruolo dei laici e lachiamata universale alla santità. Appare anche nellanuova visione della liturgia eucaristica, nella qualeemerge più di un tempo la parte del comune fedele,comprese le donne, all’offerta del divin sacrif icio,atto certamente del celebrante, ma nel contempodell’intero popolo sacerdotale della Nuova Alleanza.

Come però per altri grandi temi edorientamenti del Concilio, anche a questo riguardosi sono avuti ormai da qualche decennio, alcunigravi f raintendimenti, per i quali questoavvicinamento alla visione protestante ha f inito perlasciar penetrare gli errori protestanti nella stessaconcezione cattolica. Voglio qui fermarmi breve-mente ad uno di questi fraintendimenti, piuttostograve, quello che si verif ica nella teologia di EdwardSchillebeeckx, il quale esagera talmente l’importanzadel Battesimo nei confronti del Sacramentodell’Ordine, che f inisce per dare al Battesimo unpotere che riduce quello dell’Ordine niente più chead uno sviluppo autonomo del Battesimo, senza chequesti riceva alcunchè da parte del Sacramentodell’Ordine.

Più precisamente lo Schillebeeckx, in base aquesti falsi presupposti, prospetta quella sua teoria,ormai nota da anni e successivamente condannatadalla Congregazione per la Dottrina della Fede neglianni ’80, secondo la quale “in caso di necessità” lacomunità cristiana, in forza del suo “diritto all’euca-ristia”, avrebbe la facoltà per non dire il dovere dieleggere tra i suoi membri un “ministro” col poteredi consacrare l’eucaristia, in altre parole di dirMessa, in forza del suddetto supposto poteresacerdotale virtualmente contenuto nella grazia delBattesimo.

Questa visione dello Schillebeeckx a sua voltasuppone una sua concezione del sacramentodell’Ordine per la quale non si dovrebbe più parlaredi “Sacerdozio”, termine secondo lui legato adun’idea superata della sinassi eucaristica, per laquale il celebrante off rirebbe un sacrif icio“espiatorio”, secondo un modello primitivo e nonpiù attuale del culto divino.

Così pure per Schillebeeckx il concetto di unSacerdozio gerarchizzato con al vertice il Vescovo,non sarebbe di istituzione divina, ma sarebbe ilfrutto, tuttora irragionevolmente persistente, di unadattamento del “ministero ecclesiale” – così e solocosì dev’essere chiamato il sacerdozio – alla strutturapiramidale dell’organizzazione politica dell’ImperoRomano (vedi l’episodio evangelico del centurione).

Su questa linea di abolizione o relativizzazionedella gerarchia ecclesiastica e di appiattimento deiministeri ecclesiali, col pretesto dell’uguaglianza deifratelli sotto un unico Maestro, lo Schillebeeckxchiama poi il celebrante non col tiolo di “sacerdote”,ma semplicemente di “presidente dell’assemblea”, sulmodello della struttura democratica ed elettiva delleassemblee popolari della vita politica.

Questo modello, come è noto, è stato assuntodalla teologia della liberazione, per la quale la Messa,non più chiamata “Messa” e non più intesa comesacrif icio, alla maniera protestante, chiamata “Cena”o “assemblea o sinassi eucaristica”, non comportanessuna “transustanziazione” operata dal celebrantecon le parole della consacrazione, del resto modif i-

LITURGIA E DOGMA 1

Battesimoe Sacerdozio

padre Giovanni Cavalcoli o.p.

docente di Teologia Sistematica

Accademico Pontif icio

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www.liturgiaculmenetfons.itLITURGIA CULMEN ET FONS - giugno 2013

cabili a piacimento dal “presidente”, a seconda dellecircostanze, ma semplicemente una “trans-ignif icazione”1 del pane del vino2, in linea con laconcezione generale scillebexiana della liturgia,passata nella teologia della liberazione, per la qualela liturgia non è azione che viene dall’alto, econduce verso l’alto, il sacro che si libra sulprofano e lo consacra, non è fons et culmen totiusvitae christianae, ma semplice simbolo e f igura,nell’attualità storico-sociale della cultura e dellavita moderna, del processo evangelico di libera-zione del popolo di Dio dall’oppressione delle classidominanti della società e della Chiesa, conparticolare riferimento al potere romano.

Questa visione distorta dello Schillebeeckxsuppone, tra l’altro, la dimenticanza di due coseessenziali: prima, il rapporto fondamentale fraBattesimo e Sacerdozio rispetto all’origine stessadei due Sacramenti; seconda, il modo col quale lagrazia viene conferita nel sacramento in generale.

Innanzitutto, prima cosa da ricordare è cheil primo Sacramento istituito da Cristo è ilSacramento dell’Ordine nella sua pienezza, ossial’Episcopato, con l’istituzione dei Dodici e i poteriad essi conferiti, soprattutto l’annuncio delVangelo, battezzare, consacrare il pane e il vino,rimettere i peccati e governare il popolo fedele.

Quindi è vero che il Battesimo contienevirtualmente ed implicitamente tutti gli altriSacramenti come loro condizione, radice e germeoriginario; tuttavia questa meravigliosa e divinavirtualità del Battesimo si trova nel battezzato inuno stato meramente potenziale. Ora, comesappiamo, ciò che è in potenza non può portarese stesso all’atto se non in forza di un agente che ègià in atto. Per questo non ha senso l’idea diSchillebeeckx che dei semplici battezzati o almassimo cresimati abbiano in se stessi, per lasemplice grazia del Battesimo, la possibilità o lafacoltà di stabilire, sia pure ad actum o ad tempus,un ministro del Sacramento dell’Eucaristia.

Cristo ha dato innanzitutto ai Vescovi, nellapersona degli Apostoli, il compito sia di battezzareche di consacrare l’Eucaristia. Se poi succes-sivamente nella prassi della Chiesa è sorta lapossibilità che anche un laico battezzi o unpresbitero amministri il Sacramento della Cresima,ciò deriva dal fatto che i Vescovi hanno resopartecipi del loro Sacerdozio altri ministri, come idiaconi e i presbiteri.

La stessa predicazione uff iciale e pubblicadel Vangelo f ino al sec.XIII era riservata ai Vescovi.Fu il Concilio Lateranense IV del 1215 che prescrisseai Vescovi di scegliersi collaboratori nell’annunciodel Vangelo e fu così che S.Domenico di Guzmànebbe l’idea di fondare un Ordine di Predicatori,appunto uff icialmente dediti all’evangelizzazione,quello che poi è stato chiamato Ordine Dome-nicano.

In tal modo la prima cosa che hanno fattogli Apostoli è stata quella di evangelizzare ebattezzare, così da fondare la comunità cristiana,la Chiesa locale. Dopodichè hanno cominciato ascegliersi tra questi fedeli battezzati e cresimati iloro collaboratori nel ministero in gradi diversi aseconda delle necessità e delle capacità di ciascuno.

Ma non ha nessun senso pensare comeSchillebeeckx che il semplice battezzato ocresimato abbia in sé l’energia soprannaturalesuff iciente per elevare se stesso, sia pure perdesignazione di altri, alla dignità di presbitero cosìda avere il potere di consacrare l’Eucaristia.

Né la comunità, allo stesso modo, secomposta di semplici fedeli, ha alcun potere diconferire una grazia ministeriale che essa nonpossiede. Nessuno può dare quello che non ha. E’un principio evidente che l’effetto non può esseresuperiore alla causa. Il battezzato ha in sé la graziadel presbiterato solo potenzialmente, nonattualmente. Solo il Vescovo possiede virtualmentenella pienezza del suo Sacerdozio anche ilPresbiterato: quindi solo lui3 può far passare all’attoquella potenzialità di Presbiterato che si trova inpotenza nel semplice cresimato.

Aff inchè dunque questa potenzialità possaattuarsi, ossia, aff inchè possa aversi l’effetto delPresbiterato, occorre un Sacerdote che abbia inmaggior misura ciò che il Presbitero possiede, taleda causare l’esistenza del Presbiterato in un’altrapersona ben disposta. Occorre cioè un Sacerdoteche abbia in pienezza il Sacerdozio, e questi non èaltro che il Vescovo.

In secondo luogo, dobbiamo ricordare cheogni Sacramento viene dato o amministrato oconferito o confezionato (conf icere sacramentum)mediante ben precise parole e segni f isici, istituitio da Cristo stesso o dalla Chiesa in suo nome, senzai quali il Sacramento col suo conseguente potere,non esiste o, come si dice, è invalido, nullo.

Ora il Sacramento del Presbiterato vieneconferito dal Vescovo con un apposito rito senzail quale non c’è nessuna ordinazione. Per questo ilcredere che una semplice scelta o decisione dellacomunità dei fedeli sia suff iciente a dare ad unsemplice battezzato o cresimato il potere diconsacrare l’Eucaristia, vuol dire scambiareun’azione sacra quale può essere la costituzione diun Presbitero con una qualunque azione profanao secolare con la quale per esempio un’assembleadi docenti elegge il preside dell’istituto scolasticoo un partito politico sceglie il suo rappresentantein Parlamento. Questo vuol dire ignoraretotalmente il carattere sacro, soprannaturale, di fededel Sacramento del Sacerdozio ed è una vera epropria eresia.

Anche qui siamo davanti ad uno degli aspettipiù gravi dell’attuale crisi non della ma nella Chiesa,

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giugno 2013 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

un fatto denunciato ormai da molti anni: laperdita di coscienza da parte di fedeli, di teologie di Sacerdoti stessi della dignità delSacerdozio.

A questo punto non c’è troppo dameravigliarsi di fenomeni impressionanticome quello della pedof ilia o di altre formedi corruzione morale e dottrinale neiSacerdoti. Il rimedio decisivo non è processarei colpevoli e neppure consolare le poverevittime innocenti.

Questo sarà anche bene, ma il rimediorisolutore sarà ridare al Popolo di Dio la veraconoscenza della dignità del Sacerdote. UnSacerdote innamorato del suo ministero nonha tempo per pensare ad altre cose che nonsiano il suo servizio di carità o siano incontrasto con esso o di ostacolo ad esso; o saquanto meno resistere alle sottili tentazioni oseduzioni che oggi vorrebbero intimorirlo ofarlo deviare verso i sentieri della perdizione.

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1 Paolo VI nell’enciclica Mysterium Fidei del 1975 non

disapprovò l’idea della “transignificazione”, purchè – precisò

– non venga contrapposta a quella tradizionale della

transustanziazione, che è dogma di fede. Purtroppo invece

Schillebeeckx pretende di sostituire questo dogma con la

sua teoria della transignificazione, la quale peraltro suppone

una gnoseologia fenomenista antropocentrica incompatibile

col realismo cristiano. Cf il mio articolo IL CRITERIO DELLA

VERITA’ SECONDO SCHILLEBEECKX, Sacra Doctrina, 2, 1984,

pp.188-205

2 Per Schillebeeckx, il gesto di Gesù di offrire il calice all’ultima

Cena non è l’offerta del proprio sangue, ma semplicemente

l’offerta di un “bicchiere di vino” fatta dal Martire prima di

dare la propria vita per la causa della giustizia e della pace.

3 Alcuni sacramentalisti ipotizzano la possibilità che il Vescovo

deleghi anche un Presbitero per ordinare un altro Presbitero.

In ogni caso, anche qui non è violato il principio di causalità,

in quanto il Presbitero ordinante verrebbe ad essere

partecipe dello stesso potere ordinante del Vescovo.

LITURGIA E DOGMA 2

L’esibizionismoliturgico

padre Giovanni Cavalcoli o.p.

docente di Teologia Sistematica

Accademico Pontif icio

L’ormai ben nota tendenza a intendere lacelebrazione eucaristica non come espressione delrapporto dell’uomo con Dio, ma come espressionedell’uomo o come manifestazione di Dio non è senzarapporti con una concezione generale della vitacristiana e delle sue radici teoretiche.

In questa liturgia che si è diffusa negli ultimidecenni e che abusivamente si richiama alla riformadel Vaticano II, l’azione personale del celebranteemerge sproporzionatamente rispetto alla suafunzione di mediatore del Sacro, il che lasciachiaramente intendere che dietro a questoatteggiamento c’è una certa concezione dell’uomoed un’altra particolare concezione di Dio.

Abbiamo in sostanza un’inversione di valori:nella vita e nella propria visione di fondo e quindidi conseguenza nell’azione liturgica ciò cheinteressa, ciò che conta, ciò che vien preso sul serio,il “sacro” è il proprio io che appare che nellamodernità e nel contesto sociale; Dio e le cose,divine, certo, continuano ad occupare un postonella coscienza del celebrante, ma non comeinteresse supremo, non come cosa estremamenteseria ed importante, ben superiore ad ogni altrovalore, non come fons et culmen totius vitaechristianae, ma bensì come modo di esprimere lapropria personalità, di ottenere consensi, di rendersisimpatici, di esternare la propria genialità o la propriainventiva nel buon umore, nella bonarietà, nellabattuta, nelle spiritosaggini, nell’ironia, nel volarein spensieratezza e leggiadria tra le cose divine comela farfalla volteggia allegra da f iore a f iore. Questicelebranti capovolgono il proverbio popolare chedice: “Scherza con i fanti e lascia stare i santi”. Peressi infatti vale l’inverso: “Scherza con i santi e lasciastare i fanti”.

Essi naturalmente non sono apertamentenemici della religione; ma a somiglianza di Hegel eGentile mettono la f ilosof ia al di sopra dellareligione, il profano sta sopra il sacro, l’uomoprimeggia su di Dio. Non negano ovviamentel’esistenza di Dio, ma nella loro vita e nel loro mododi celebrare il loro io sembra essere più importantedi Dio.

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Essi vedono la liturgia come espressioneesterna mitologica e convenzionaledell’Autocoscienza dello Spirito, della quale essisono apparizione e manifestazione nell’oggi dellastoria. Il culto religioso, per il quale l’uomo eleva ilproprio spirito a Dio nell’offerta del sacrif icio è vistoda loro come accondiscendenza al comunerealismo ingenuo che concepisce Dio come lassùin cielo.

Ma ciò che per loro ha importanza è la “fede”come coscienza dell’immanenza di Dio che nelcuore dell’uomo si manifesta come Assoluto. Laliturgia per loro non è che la rappresentazionescenica ed eziologica, immaginaria e simbolica,della presa di coscienza dell’immanenza dell’As-soluto nell’io empirico del celebrante e dellacomunità dei fedeli. Quello che conta in questaliturgia non è Dio ma l’io. Dio è una proiezioneimmaginaria dell’io come Io assoluto o comeAutocoscienza assoluta.

Se ammettono Dio come Assoluto, allora l’ione è l’apparizione empirica; ma tale riconoscimentodel primato di Dio si ferma alle dichiarazioni verbalio alla recita fredda delle formile liturgiche dellaMessa o dell’uff icio divino: nella realtà essi fannodi se stessi l’Assoluto e Dio diventa relativo all’io.Dal tono stesso della loro voce si sente che preganotanto perchè devono pregare, ma non danno segnodi essere convinti di quello che dicono né lo diconocon la necessaria devozione.

O se danno colore o calore a quello chedicono è perché confondono l’azione liturgica conuna rappresentazione teatrale e capita che chi lacelebra in questo modo tenda a vedere tutta la vitacome una specie di teatro o di teatrino, per nondire un cabaret, dove non si è a contatto con larealtà e tanto meno con cose serie, ma tutto si risolvenell’inventiva di un’immaginazione arguta ebrillante: non si distingue più la liturgia dalla “sacrarappresentazione”.

L’importante, quando non ci si abbandonaalla sciatteria, è recitare bene in conformità con igusti del pubblico e le esigenze della modernità.Regola implicita è il successo mondano e conside-razione inconfessata è il rispetto umano. LaScrittura direbbe di questi celebranti: “Questopopolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore èlontano da me”.

Questa falsa impostazione e pratica dellaliturgia che si è affermata largamente, ha delleradici profonde, che hanno fatto presa in questiultimi decenni; è l’effetto di una visione distortadella via cristiana e della concezione del rapportodell’uomo con Dio.

La cura di questo male non può limitarsi alladenuncia delle irregolarità o degli arbitri o agenerici richiami alla devozione, alla pietà ed alrispetto delle norme liturgiche o tanto meno alla

discussione f ra Messa di Paolo Vi e MessaTridentina: tali questioni, per quanto importanti,sono del tutto secondarie rispetto alla gravità delproblema che ci sta davanti.

Il guasto, il marcio si trova ormai nell’intimodell’uomo, nelle coscienze, ormai abituate ad unasistematica disobbedienza alla verità ed alla realtàoggettiva, per una scelta deliberata del proprio io -il famoso cogito cartesiano - come principio dellaverità, dell’essere, e quindi del bene e di tutti i valori:quella che Nietzsche chiamava con prometeicaaudacia la “trasvalutazione di tutti i valori”. Essanon ha affatto prodotto il “superuomo”, ma losquallido e criminale nichilismo della postmo-dernità.

Occorre pertanto una profonda inversionedi rotta a livello non solo individuale ma collettivoed ecclesiale. Se non fosse che la Chiesa è santa,verrebbe fatto di dire che è la Chiesa stessa che si èallontanata dal sentiero della verità, tanto è diffusoil morbo che ci ammorba.

Eppure in realtà la Chiesa, proprio perchésanta, ha in sé le risorse per liberarsi da questestorture. Occorre un poderoso atto di onestà e diumiltà, nella sequela di Cristo nel suo Vicario oggideciso come sappiamo, ad una vasta e radicaleopera di riforma, tanto che molti parlano di“rivoluzione” di Papa Francesco.

Non è tanto questione dello IOR o di qualchepedof ilo, è questione di una profonda conversione,di un radicale rinnovamento dello spirito, untornare sulla retta via del sincero amore per la veritàe di un deciso orientamento verso il bene.

E da dove cominciare se non dalla liturgia?Il Concilio Vaticano II ha giustamente cominciatoda questo aspetto decisivo della vita di fede, cosìcome in una vasta riforma si deve cominciare dalrecupero dei principi, perché gli stessi principi sonointaccati. Siccome però essi si riprendono da soli,occorre tornare ad essi e sul loro fondamentoriformare tutto il resto.

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giugno 2013 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

La “memoria” dei cristiani, il Volto e la Sindone

Nel secolo 4°, nell’area geograf ica dove ancora siparlava l’antica lingua aramaica, divenuta poi ilsiriaco, avvenne un fatto singolare. Quei cristianinon solo parlavano la lingua “materna” di Gesù, maavevano anche conservato la memoria visiva di Luitramandandola con fedeltà piena diamore.

Essi presero a modello l’Uomo dellaSindone, il Mandílion custodito adEdessa, capitale morale della Chiesasira-orientale, tenendo conto dell’ar-te del tempo per i ritratti a colori,come si è accennato sopra per l’oasidel El Fayum in Egitto.

Tappe della Sindone prima del 13°secolo: Gerusalemme; nel 544Edessa, oggi Urfa in Turchia, dovela Sindone era ripiegata in modo damostrare solo il Volto; nel 944, daEdessa, la Sindone è trasferita aCostantinopoli dove sarebbe statadistesa, permettendo la visione interadel corpo.

Nel 1147 Lodovico VII di Francia, invisita a Costantinopoli venerò laSindone. Nel 1204 nell’occupazione e nell’indegnosacco di Costantinopoli ad opera dei Crociati, moltereliquie furono disperse. Esistono testimonianzescritte di Crociati che affermano di aver visto “laSindone del Signore”.

L’Icona classica è quindi quella del Signore. Il suoVolto di Risorto è rappresentato per essere venerato.Dall’Icona di Cristo discendono le altre Icone: dellaMadre di Dio, sempre raff igurata con il Figlio; gliApostoli, i Santi, le grandi Feste e i misteri dellaVita del Signore.

Concludendo dobbiamo ribadire che l’Icona èoggetto di preghiera e di culto. Essa non si “guarda”,

LITURGIA BIZANTINA

Muro che nasconde ofinestra spalancata?L’icona e l’Iconostasi(seconda parte)

mons. Ludovico Maule, docente di Liturgiadecano del Capitolo Cattedrale di Trento

alla maniera di una quadro, come frettolosamentepossono fare i visitatori e i turisti nelle chiese enei musei velocemente condotti e sospinti dalleguide.

L’Icona, per il suo profondo signif icato, chiede diessere “letta”, una lettura attenta, secondo ilsignif icato etimologico del latino legere, chesignif ica “raccogliere le lettere a una a una “, letteredi una parola, di un discorso. L’educazione aquesto modo di “leggere” porta allacontemplazione e alla comprensione della Paroladivina che sempre trova il suo posto sull’Icona.

Dopo che si è educato alla lettura dell’Icona nonserviranno altre spiegazioni ed entrando in chiesa,o nell’angolo della propria casa, pregare davantiall’Icona sarà come un colloquio di amici.

Ecco qualche rapida indicazione: L’oro dellosfondo ci aiuterà a capire che siamo davanti allaluce di Dio, luce trasformate da accogliere congratitudine e impegno alla sequela.

L’apparente “ripetitività del Soggetto” e dell’uso deicolori, non è mancanza di abilità o di inventivadell’iconografo, ma fedeltà a trasmettere nel colorequanto la Scrittura insegna (Nicea II).

La “bidimensionalità” dell’Iconae la prospettiva inversa voglionofar sì che la Figura quasi siprotenda verso l’orante che stadavanti, e la luce dell’oro can-cella, per così dire, lo spazio e iltempo. E’ la luce increata, la lucedel Risorto che ci raggiunge.

Le iscrizioni ci aprono acontemplare e comprendere ilMistero che ci sta davanti.

Il linguaggio delle sante Iconepuò apparire diff icile se non siconoscono le Scritture e se nonsi è stati aiutati nella lettura, madopo l’opportuno insegnamentotutto diventa “facile” e brillal’insegnamento degli antichiConcili: il Concilio di Nicea II, nel787 e il Concilio di Costantino-

poli dell’anno 800 che affermano: “Quantol’Evangelo ci parla con la Parola, l’Icona ce loannuncia con i colori e ce lo rende presente”.

Così, per la fede cristiana, l’Icona si pone qualecomplemento indispensabile della Parola, non èun “muro”, ma una f inestra. Nelle sante Iconecontempliamo “quello che Cristo è, dunque quelloche noi saremo, perché così Egli, nella forza delloSpirito Santo, già ci sta facendo”.

Il destino ultimo che ci attende è di potercontemplare in eterno il Volto buono del Signore.E’ dunque opportuno, f in da ora, imparare acontemplarlo nelle Icone.

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PREMESSA – Sant’Ambrogio, nella sua ExpositioEvangelii secundum Lucam, ricorda: «I cinquantagiorni sono da celebrare come la Pasqua ed essisono tutti come un’unica domenica». El’antifonario romano-antico (il codice Roma, Arch.San Pietro B 79, f. 122) def inisce il giorno diPentecoste come «Pascha Pentecosten». Risultaevidente che, nei primi secoli cristiani, la Pentecostenon veniva considerata come una festività osolennità, ma semplicemente come l’ultimo giornodel lungo tempo di Pasqua. Anche oggi, laPentecoste, è la chiusura del tempo pasquale, maesiste una sottile differenza liturgico-musicale: noi,oggi, la consideriamo una festività con un propriopreciso repertorio di canti, mentre allora no,rientrava nell’unico repertorio pasquale.

E’ stato dimostrato come l’idea di istituire laPentecoste come una festa distinta dalla Pasquanacque nel IV secolo1. Entro la f ine del secolo, poi,vennero istituite le due feste: l’Ascensione alquarantesimo giorno dopo la Pasqua e laPentecoste al cinquantesimo. La prova storica dellacontemporaneità delle due feste è la comunanza,in entrambi i Propri, del Ps. 67: nell’Ascensione alsecondo Alleluia Dominus in Sina (quello chesostituisce il graduale nel tempo pasquale), nellaPentecoste all’offertorio Conf irma. Alla Pentecoste,come la veglia pasquale e, successivamente accadràanche per l’Ascensione, venne anteposta una Vigiliae, sempre in analogia con la Pasqua, le venneposposta un’Ottava il cui repertorio gregorianovenne complessamente assemblato in più stadi.

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INTROITO – L’introito della solennità di Pentecostepone l’accento, sin da subito, su una dimensioneuniversalistica della salvezza pasquale: «SpiritusDomini replevit orbem terrarum, alleluia, et hocquod continet omnia, scientiam habet vocis, alleluia,alleluia, alleluia» (“lo Spirito del Signore riempiel’universo, alleluia, e, abbracciando ogni cosa,conosce ogni voce, alleluia, alleluia, alleluia”). Ilrepertorio gregoriano del tempo pasquale ci avevagià abituato a questa dimensione laudativainsistendo a dismisura non tanto sulla risurrezionein sé, quanto, piuttosto, sulla funzione salvif ica che

essa assume dinanzi all’universo intero: «IubilateDeo omnis terra» (introito della III domenica dopoPasqua), «Misericordia Domini plena est terra»(introito della IV), «Iubilate Deo universa terra»(offertorio della V), «…nuntiate usque ad extremumterrae» (introito della VI). E l’introito SpiritusDomini si inserisce, completandolo in unadimensione trinitaria, in questo quadro.

Anche la musica delle prime parole sembra tradurrequesta universalità partendo dal punto più gravedel brano (la prima nota su «Spiritus», incipitmelodico ricavato dall’omonima antifona delrepertorio dell’Uff icio), per arrivare all’estremoacuto su «orbem» formando un ideale abbraccioin musica dei due antipodi melodici del brano. Ilprosieguo del brano, poi, è un perenne tessere sulregistro acuto, con rapide discese melodiche alregistro intermedio, per poi, però, risalire pron-tamente e indugiarvi lungamente sulle parole«scientiam habet vocis», lo Spirito che “conosceogni voce”.

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ALLELUIA E SEQUENZA – Alleluia, come noto, signif ica“lodate il Signore” (allelu, lodate + Yah, Dio). Talesuddivisione è rintracciabile anche nella strutturamusicale di quasi tutti gli alleluia: le sillabe allelu-sono, generalmente, poco ornate, mentre sullasillaba f inale -ia sfociano lunghissimi vocalizzi dettijubilus. Gli jubilus, che in alcuni casi sono costituitianche da centinaia di note, diventano ben prestodiff icilmente memorizzabili. Da qui, nacquero lesequenze. La loro origine è narrata da NotkerBalbulus, un monaco del monastero di San Gallonato nell’840 nell’odierna Zurigo. Egli, che derisodagli amici per un difetto di pronuncia, dovuto allamancanza di un dente, si aff ibbiò il soprannomedi “balbulus” (balbuziente), fu l’autore del LiberHymnorum, la prima raccolta di sequenze. Notker,nella prefazione del suo Liber, dichiara che ebbe,f in da giovinetto, grandi diff icoltà a ricordare lelunghissime catene di note, le longissimae melodiaeche caratterizzavano lo jubilus dell’alleluia: viste,allora, tali diff icoltà salutò con gioia le novitàapportate da un monaco francese in fuga dopo ladistruzione dell’abbazia di Jumièges, ad opera deiNormanni, nell’anno 851: quel monaco aveva consé un Antifonario in cui vi si potevano leggere«aliqui versus» in corrispondenza delle sequenze:il melisma, cioè, era suddiviso in sillabe.

L’espediente è chiaro: per facilitare la memoriz-zazione degli jubilus alleluiatici, vennero inseriti deitesti che, poco a poco, divennero autonomi nellaloro composizione testuale e musicale. A partire dalXII secolo, si tentò di avvicinare la sequenza allaforma dell’inno (facilmente memorizzabile e dalloscopo catechetico) introducendo la composizionein versi e la rima. A questo stadio avanzatoappartengono le sequenze che il Concilio di Trentomantenne (è stato calcolato che, nelle varie

LITURGIA E CANTO

Note gregoriane sullaPentecoste

prof. Mattia Rossi

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tradizioni manoscritte tardomedievali, si è arrivatia raccogliere circa cinquemila sequenze), e cheancora oggi noi conosciamo, come il Veni SancteSpiritus, sequenza di Pentecoste.

Da questo piccolo raffronto, innanzitutto, èpossibile notare la derivazione dell’incipit:

Il Veni Sancte Spiritus è stato attribuito,probabilmente verisimilmente, a StephanLangton (1150 ca.-1228), cardinale e arcivescovodi Canterbury. E’ scritto in versi trocaici in diecistrofe secondo la forma AA, BB, CC… La melodiadel Veni Sancte Spiritus è certamente tra le piùevocative e conosciute di quel macroconte-nitoreche va sotto il nome di “canto gregoriano” anchese, da un punto di vista strettamente musicale ecompositivo, non si tratta più di gregorianoautentico.

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COMMUNIO – Discese. Piccola chiosa sull’antifonadi comunione Factus est repente. Anche questacomposizione è strutturata attraverso unaconnotazione fortemente trinitaria e simbolica:il brano che narra la discesa dello Spirito Santosugli apostoli si apre con la stessa formulad’intonazione del Puer natus, il brano dellakenosis, della discesa sulla terra di Cristo.

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1 A. TURCO, Il Graduale romanum: Pasqua, Quaresima,

Avvento-Natale, «Studi gregoriani», XV (1999), pp. 39-

85.

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7. DEL BATTERCI IL PETTO

Oggi, di fronte ad una cultura profondamentesecolarizzata e ad una vita vissuta all’insegna diun relativismo e sincretismo sempre piùaccentuato, c’è il rischio di perdere il senso delpeccato in riferimento a Dio e di colpa inriferimento ai nostri comportamenti più o menorispondenti alla morale evangelica. Lo percepiamoquando ci fermiamo qualche istante per fare unaverif ica sulla nostra vita attraverso l’esame dicoscienza serale, - sempre che lo facciamo – oquando ci accostiamo al sacramento dellaconfessione o riconciliazione e siamo presi dalladiff icoltà di non saper cosa dire. La tendenza èquella di nasconderci dietro “a così fan tutti”tralasciando più o meno consapevolmente laresponsabilità personale delle nostre azioni.

La liturgia ci viene in aiuto sia nei ripetuti momentipenitenziali della celebrazione eucaristica che nellapreghiera di compieta, che conclude lacelebrazione quotidiana della liturgia delle ore.

Nella tradizione questo momenti penitenzialierano accompagnati da un gesto semplice masignif icativo: il battersi più volte il petto. A questoriguardo il Guardini richiama l’iconograf ia di SanGirolamo il quale viene rappresentato in atto dipercuotersi il petto tenendo un sasso nella mano.Cerchiamo di capire il signif icato simbolico diquesto segno anche solo fermandoci alla modalitàdella sua esecuzione.

Prima di tutto la mano viene rivolta verso se stessi,un gesto comune nell’indicare la propria persona,- quante volte accompagniamo l’affermazione“sono io” con un movimento della mano rivoltaverso di noi. Vedete, normalmente la liturgia,soprattutto quella eucaristica, adopera la primapersona plurale: essa sottolinea la dimensionecomunionale del nostro essere cristiani. Lacomunione, però, non annulla mai l’individuo,anzi è tale solo se vissuta in modo dialogico,soprattutto in termini di responsabilità, sia nelbene che nel male. Ecco quindi il richiamo delgesto.

Quindi ci si percuote battendo con forza sul petto,dovremmo veramente farlo così, per richiamare ilsacrif icio e la fatica che deve accompagnare il nostroimpegno di conversione – non dobbiamo maidimenticare che Gesù è morto per i nostri peccati - .Inf ine ci percuotiamo il petto, il luogo del cuore dadove, come dice Gesù, escono le cose buone come lecose cattive, il cuore verso il quale deve rivolgersi ilnostro impegno di conversione. Ed allora ripren-diamo questo segno, facciamolo nelle celebrazionicomuni, facciamolo anche nei momenti di preghierapersonale, facciamolo in questo modo e con questospirito. Certo ci aiuterà.

8. I GRADINI

C’è un elemento architettonico, o una collocazioneterritoriale che caratterizza i luoghi di culto sia dellereligioni antiche che dello stesso cristianesimo:questo luogo deve esser posto in alto, al di sopradelle comuni case. In luoghi montagnosi si cerca illa cima del monte, nelle pianure si costruiscono quasidelle montagne artif iciali – vedi ziggurat mesopo-tamiche o i templi aztechi – e tutto questo perché dasempre i cieli sono considerati la dimora di Diomentre la terra, in basso, la dimora degli uomini. Lanecessità di salire, con la conseguente fatica, non èsolo un fattore f isico, ma esprime anche un camminointeriore che eleva il mio spirito, che si orienta ad unincontro capace di redimere e rinnovare la propria

GOCCE DI LITURGIA

I santi segni(terza parte)

mons. Orlando Barbaaro

Patriarcato di Venezia

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giugno 2013 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

vita. Nelle chiese antiche ma anche in quellemoderne è rimasto un segno di tutto questo: igradini. Ad alcune chiese si accede attraversoun’ampia gradinata, ad altre attraverso pochi o unsolo grandino, ma il signif icato non cambia, e celo richiama il salmo 24: “Chi salirà il monte delSignore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha maniinnocenti e cuore puro”. Ma i gradini non terminanoall’ingrasso, essi proseguono anche all’internodell’edif icio, si sale per accedere al presbiterio,all’ambone e all’altare, quasi risentendo le paroleche Javhè pronuncia verso Mosè dal rovetoardente: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi,perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!»(Es 3,5). E’ il luogo dove avviene il mistero, doveGesù sotto la forma della Parola e del Pane di vitaci illumina e riscalda il nostro cuore col fuocoinestinguibile del suo amore. Ed allora, quandosaliamo quei gradini, pensiamo all’elevazioneinteriore che signif ica ascesi, nel senso etimologico,del termine: salire. Cerchiamo di valorizzare ilpresbiterio, lo spazio dove si celebra il mistero, nontrasformiamolo semplicemente in spazio utile,magari per ammassare le persone che nonriusciamo a far stare nell’aula. La collocazioneelevata del presbiterio non indica separazionequanto diventa invito ad alzare lo sguardo: “ Alzogli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Ilmio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo eterra”. (/Sal 120 [121],1-2)

9 . IL PORTALE

Tra l’esterno e l’interno di un edif icio di culto, diuna chiesa, c’è il portale. Non una semplice porta,anche se in alcune recenti costruzioni le assomigliamolto, ma un vero elemento architettonico, quasia dirci che la sua funzione non è solo quella dipermettere l’accesso al luogo sacro, ma anchequello di aiutare il fedele a passare da uno statusdi esperienza ad un’altra, dall’esperienza quotidianadella vita all’esperienza religiosa, esperienza cheaiuta a dare senso e valore alla prima. Dice ilGuardini: “Fai attenzione: quando entri,involontariamente alzi il capo e gli occhi. Losguardo si volge all’alto e abbraccia la vastitàdell’ambiente; il petto si dilata e l’anima pure.L’ambiente vasto e alto della chiesa è similitudinedell’eternità inf inita, del cielo in cui abita Dio. Certo,i monti sono ancora più elevati, e incommensu-rabile l’azzurra distesa. Però è tutta aperta, non halimite né f igura. Qui invece lo spazio è riservatoper Dio. Lo sentiamo nei pilastri che si drizzanoverso l’alto, nelle pareti ampie e robuste, nella voltaelevata: sì, questa è la casa di Dio, l’abitazione diDio in una maniera speciale, interiore.”1 Un esempiomolto signif icativo lo abbiamo nella Basilica di SanMarco: Nel decoratissimo arco esterno del portalecentrale, come in molte opere medievali e oltre,sono rappresentate sia le stagioni che i mestieri, iltempo e il lavoro, elementi fondamentalidell’esperienza quotidiana. Attraverso il portale siaccede al “pronao” una sorta di portico che preparaulteriormente lo spirito del fedele ad entrareall’interno della chiesa, inf ine oltrepassando ilsecondo portale ci accoglie uno splendido mosaicocon questa iscrizione: “Io sono la porta: se uno entraattraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà etroverà pascolo” (Gv 10,9). Visivamente ecco ilsenso di questo diaframma che da una parte uniscedall’altra divide, unisce l’esperienza elementare cheoccupa ogni istante della nostra vita quotidiana almistero rivelato ma nello stesso tempo divideinoltrandoci in un’esperienza unica e fondante,aiutandoci a fare esperienza di un incontropersonale e comunitario con chi, di questaesperienza quotidiana è il senso e la forza peraffrontarla. Ed allora quando oltrepassi questasoglia fallo lentamente, concentrati su quanto staiper fare, non entrare distrattamente magaricontinuando a chiacchierare, lascia fuori perqualche istante le umane preoccupazioni, ledissipazione del mercato, ritroverai tutto dopo,quando uscirai, ma lo ritroverai illuminato di unaluce nuova.

10. IL CERO

Ferma per qualche istante il tuo sguardo su unoggetto che richiama momenti di intimità o difesta: il cero o la candela accesa. Quando dueinnamorati si ritrovano per una cena intima, spessoalla luce elettrica si preferisce una candela accesa,

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quasi che quella luce soffusa ed il calore di quellaf iamma sia più consono ad esprimere il senti-mento che li lega. Quando festeggi il compleannosei solito porre sopra il dolce alcune candeline,magari del numero dei tuoi anni, esse rappresen-tano il tempo che inarrestabile procede nella suacontinua corsa “consumando” la vita proprio comequella f iamma che lentamente consuma la cera.Tutte questi elementi che fanno parte della nostraesperienza entrano a pieno titolo nella simbologialiturgica. Il cero posto sull’altare ci richiamal’intimità di una cena della quale siamo chiamatiad essere commensali direttamente da Gesù:“Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostolicon lui, e disse: «Ho desiderato ardentemente dimangiare questa Pasqua con voi” (Lc 22,14/b-15).Il calore di quella f iamma riscalda il nostro cuorenell’ascolto della sua Parola: “«Non ci ardeva forseil cuore nel petto mentre conversava con noi lungoil cammino, quando ci spiegava le Scritture?».(Lc32) e ci illumina per la missione. Ma quella candelache si consuma è anche il richiama a chi “umiliòse stesso facendosi obbediente f ino alla morte ealla morte di croce”. (Lc 1,8), sacrif icio che sirinnova ogni volta che celebriamo l’Eucaristia.Certo, tra tutti i ceri, emerge primo il cero pasqualeche rappresenta simbolicamente il Cristo Risorto.Il suo incedere nella chiesa buia all’inizio dellaveglia ci dà il senso di una nuova creazione che,illuminata dalla sua luce, riappare a noi quasirigenerata. Il canto dell’”Exsultet” che ne esalta lequalità, “Ti preghiamo dunque, Signore, che questocero, offerto in onore del tuo nome per illuminarel’oscurità di questa notte, risplenda di luce che maisi spegne. Salga a te come profumo soave, siconfonda con le stelle del cielo. Lo trovi acceso lastella del mattino, quella stella che non conoscetramonto: Cristo, tuo Figlio, che risuscitato daimorti fa risplendere sugli uomini la sua luce serenae vive e regna nei secoli dei secoli”.(Lit. della VegliaPasquale) e prosegue nella sua immersionenell’acqua nuova, primizia del battesimo duranteil quale il cero viene consegnato ai neof iti o aigenitori per i bambini con queste parole: “Avoi,[genitori, e a voi, padrino e madrina,] è aff idatoquesto segno pasquale, f iamma che sempre dovetealimentare. …”(Dalla Lit. del Battesimo). Ed alloraquando partecipi ad una celebrazione liturgica,f issa il tuo sguardo sul cero e lasciati coinvolgereda questo segno che nella sua semplicità, ha tantoda dirti.

11. L’ACQUA BENEDETTA

“ In principio Dio creò il cielo e la terra. La terraera informe e deserta e le tenebre ricoprivanol’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”.(Gen1,1-2). Con questi due versetti inizia la grandestoria, la storia della salvezza racchiusa nei testiispirati della Sacra Scrittura. Accanto all’elementoterra ecco l’altro elemento primordiale, l’acqua, quiindicata come luogo della presenza dello Spirito.

Da questo momento l’acqua assume sia a livelloscritturistico come liturgico il simbolo di un Dio cheagisce attraverso il suo Spirito. D’altra parte nonpoteva non essere così dal momento che l’esperienzanormale della vita trova nell’acqua l’elementofondante: dove c’è acqua c’è vita, dove non c’è acquac’è morte. L’uso simbolico che ne fa la liturgia èstrettamente legato all’esperienza elementare,richiamando con il suo uso ciò che caratterizzanola storia ed i gesti personali. Dopo il concepimentoogni uomo o donna trascorre i primi nove mesi nelgrembo materno immerso nelle acque (liquidoamniotico), ecco all’ora che l’esperienza dellarinascita spirituale, della rigenerazione battesimale,avviene attraverso l’immersione nel grembo dellaMadre Chiesa, ben rappresentato anche dalla formatondeggiante del battistero. Nonostante la modernatecnologia abbia via via creato detergenti sempre piùsof isticati, l’acqua rimane l’elemento fondamentaleper la pulizia personale. Dice Guardini: “E con l’“acqua santa”, con l’acqua benedetta, noi bagniamonel segno della Croce fronte e petto, spalla e spalla;con l’elemento originario, misterioso, limpido,semplice, fecondo,che è simbolo e strumento dellavita soprannaturale, la grazia”.2 Quella grazia che ciè data dal sangue e dall’acqua, simbolo dello Spirito,che fuoriescono dal costato traf itto di Cristo. Nessunelemento quanto l’acqua ci rappresenta, visto che ilnostro corpo è composto per ben il 65%, ecco allorache le poche gocce d’acqua versate assieme al vinonel calice, durante la S. Messa, rappresentano lanostra unione con Cristo: “L’acqua unita al vino siasegno della nostra unione con la vita divina di coluiche ha voluto assumere la nostra natura umana”(Dalla liturgia eucaristica). Ed allora riprendiamola vecchia abitudine, quando entriamo in Chiesa, di“segnarci” con l’acqua benedetta; teniamone un po’anche a casa – basta chiederla al Parroco – e magarifacciamoci con essa un segno di croce prima diaddormentarci, è un modo bello per riconciliarci conil Signore e per metterci sotto l’ombra rasserenantedella sua grazia. Adoperiamo il rito dell’aspersioneall’inizio della celebrazione eucaristica, specialmentenelle domeniche di quaresima, è sicuramente unmodo più eff icace per celebrare l’atto penitenziale.

------------------1GUARDINI R., Lo spirito della liturgia I santi segni,

Morcelliana XI ed. 2007, p. 148

2 Idem p. 156

3 Idem p. 159

4 Idem p. 160

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