ASPETTI PSICODINAMICI DELLA PEDOFILIA · parafilia viene ad intendersi la fantasia o il susseguirsi...

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ASPETTI PSICODINAMICI DELLA PEDOFILIA Per provare a comprendere il perché, di un male sottile, che fa male a chi ancora sta imparando cosè veramente il male

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ASPETTI PSICODINAMICI DELLA

PEDOFILIA

Per provare a comprendere il perché, di un male sottile, che fa

male a chi ancora sta imparando cos’è veramente il male

INDICE

INTRODUZIONE E CENNI STORICI

(I) ELEMENTI DIAGNOSTICI

(II) LA SESSUALITA’ INFANTILE

(III) UNO SGUARDO SUL FENOMENO

(IV) IPOTESI INTERPRETATIVE

(V) APPENDICE – SÀNDOR FERENCZI (OPERE 1927/1933)

Cercare di far luce su di un fenomeno che con forza dilagante sembra essere divenuto

incontrovertibilmente endemico, cioè diffusissimo, cristallizzandosi in trame vieppiù

sottili ed intimamente connesse con il tessuto sociale e culturale di questa epoca, e

provare a farlo ponendosi dalla parte di costrutti teorici che dall’alto della loro

organizzazione concettuale riescano a circoscrivere, categorizzandone i contenuti

rappresentazionali ed i significati ad essi correlati, quegli elementi che si costruiscono

nel loro insieme in qualità di agito e che marginano inesorabilmente una esperienza

umana laddove gioca un ruolo prepotentemente seducente la sessualità, “violandola”

persino nella sua dignità, non è compito facile.

Non lo è perché in sostanza richiederebbe quasi di mettere da parte, anche se solo per

un momento, la possibilità di empatizzare con quella che è a tutti gli effetti una

profonda sofferenza, un disagio che lacera dal didentro e soffoca il soggetto in un grido

di disperazione che finisce per tingersi di vergogna, di stigma, di segregazione.

E quello che nasce e cresce come un malessere diviene, lentamente ed inesorabilmente,

l’anticamera dell’oblio.

E’ per questo che ritengo giusto affrontare con gli strumenti della critica quella che si

è con forza imposta come realtà inoppugnabile, provando ad osservarla non già da un

singolo, specifico punto di osservazione, bensì scoprendola fenomenologicamente in

una modalità il più possibile ateoretica affinchè sia campo di indagine la realtà stessa

che scaturisce dall’incontro delle due singole, individuali realtà, quella dell’abusante e

quella dell’abusato, in quanto le ripercussioni divengono vieppiù reciproche e

reciprocamente distruttive.

Ripercorrendo il filo storico alla ricerca di quel continuum che possa in qualche misura

offrire un parametro di lettura omogeneo ed obiettivabile, notiamo ad esempio che se

si fa un salto indietro nella Roma e nella Grecia antiche, si comprende come talune

disposizioni sul sesso non rivestano un carattere universale e come culture differenti,

seppur geograficamente limitrofe, possano ammettere comportamenti dissimili.

Nella città stato di Sparta, contraddistinta da pratiche sessuali libere, le donne

congiunte in matrimonio non avevano il vincolo della fedeltà e se la coppia non era in

grado di avere figli, esse potevano ottenere dal marito, di frequente più anziano di

parecchi anni, il beneplacito per intrattenere rapporti con un altro uomo. La gelosia,

così come era intesa ad Atene e altrove, era un fattore secondario a Sparta, dove si

voleva soprattutto che i figli nascessero da genitori sani e dotati. La libertà di costumi

delle spartane era però dettata dalla esigenza che non si scendesse al di sotto di un certo

standard demografico, per non alterare il rapporto numerico con altre popolazioni o

città nemiche.

Atene, al contrario, si distingueva per le norme sulla pederastia. Gli ateniesi ritenevano

che l’amore, anche fisico, che poteva vedere legato un adulto ad un giovinetto, fosse

un requisito favorevole alla diffusione del sapere e delle leggi della città. Ciò che

interessava del ragazzo non era la sessualità in sé quanto la sua plasmabilità, lo sviluppo

della sua personalità. E così la pederastia non era soltanto ammessa ma addirittura

considerata un corollario plausibile della relazione docente-discente. Gli ateniesi

pensavano che l’amore provato da un adulto saggio per un giovinetto consentisse di

trasmettere in maniera ottimale la saggezza acquisita con l’età (una saggezza che,

secondo l’opinione maschilista di allora, le donne non potevano trasmettere perché

dedite unicamente alla conduzione della casa e della riproduzione). Ma c’è da dire però

che gli ateniesi di allora rivolgevano le loro attenzioni soltanto a ragazzi puberi e

consenzienti, mentre il sesso con i fanciulli, ossia con soggetti prepuberi, quindi la

pedofilia come noi la intendiamo oggi, veniva punito con condanne rigide fino alla

pena capitale.

Nella letteratura greca emerge spesso il tema dei vantaggi dell’amore per i giovinetti

rispetto all’amore eterosessuale; al contrario le testimonianze sull’omosessualità

femminile non sono consistenti perché questa non era accreditata quale strumento di

formazione del cittadino. Nei Tiasi comunque, i collegi cioè in cui le fanciulle

ricevevano un’educazione prima del matrimonio, i rapporti sessuali tra le ragazze erano

approvati. Famoso fu il Tiaso diretto da Lesbo, che nelle sue liriche descrive il suo

amore per le fanciulle che educava. L’insegnamento che Saffo dava alle giovani che le

venivano affidate assomigliava molto alla forma di iniziazione dei pedagoghi maschi

nei confronti dei giovinetti.

Nell’antica Roma omosessualità e pederastia erano diffuse, senza però quella

giustificazione pedagogica e filosofica tipica dei greci. La pedofilia, invece, era

ufficialmente deplorata, come in Grecia, sebbene la prostituzione maschile e femminile

fosse largamente diffusa e le prostitute fossero generalmente schiave e giovanissime.

Nel corso del Medioevo e nei secoli a seguire vi fu sempre una notevole promiscuità

tra adulti e bambini, anche per la condivisione degli spazi sia di giorno che di notte.

Quasi nessuno dormiva da solo e tanto meno i bambini che rimanevano spesso nel letto

o nella stanza dei genitori, o in quella di altri parenti e servitori, anche quando erano

ormai grandicelli. Ne consegue che essi potevano non soltanto assistere o intuire le

effusioni sessuali degli adulti, ma anche essere facilmente oggetto di attenzione e

molestie da parte di qualche membro della famiglia (famiglie allargate di cui facevano

parte anche zii e cugini, servitori e nonni) o di qualcuno che fosse ospite della casa per

periodi più o meno lunghi.

Tale consuetudine rimase fino all’ inizio del Seicento e oltre, non soltanto nel popolo,

ma anche tra i membri della nobiltà.

Verosimilmente il matrimonio di un ragazzo di quattordici anni non era la regola, ma

il matrimonio di una ragazza di tredici era invece abituale. Un certo disagio però

doveva esistere se nella seconda metà del Seicento si incominciò a guardare con

riprovazione a questo tipo di tradizioni e, proprio alla corte di Francia, dove tali

comportamenti erano divenuti una legittima pratica, ebbe origine una letteratura

pedagogica ad uso dei genitori e degli educatori, che aveva lo scopo di tutelare

l’innocenza infantile. Si raccomandava di non far dormire più bambini nello stesso

letto, di evitare di coccolarli, di sorvegliare le loro letture, di non lasciarli soli con i

domestici. Si incominciava a paventare che certi scherzi, certe licenze e certi linguaggi,

potessero travalicare i confini del gioco e lasciare delle tracce negative nella psiche

ancora in formazione.

Si stava gradualmente diramando un nuovo atteggiamento nei confronti della sessualità

dei bambini e degli adolescenti, che raggiunse il culmine due secoli più tardi.

Nell’Inghilterra vittoriana e puritana il timore del sesso portò ad adottare misure molto

restrittive. Per evitare che i ragazzi si masturbassero vennero addirittura realizzate delle

gabbie che venivano applicate di notte sugli organi genitali, per poi essere chiuse

ermeticamente e riaperte soltanto al mattino. Il massimo ritrovato della tecnica fu però

un apparecchio che in corso di erezioni spontanee faceva suonare un campanello per

richiamare l’attenzione dei preoccupati genitori. Inutile dire che oggi queste trappole

del sesso verrebbero considerate una forma di maltrattamento, così come oggi

consideriamo negativamente lo sfruttamento che ancora nel Seicento e nel Settecento

in varie parti d’Europa veniva fatto di molti trovatelli, allevati come schiavi da chi li

trovava e sfruttati sia per i lavori manuali che a scopo sessuale.

Come abbiamo visto, pur non dilungandoci in una disamina approfondita e dettagliata,

in tema di sessualità si è lasciato molto, troppo spazio, nel percorso storico, alla cultura

sociale, relegando l’eticità ma soprattutto il valore intrinseco sul piano della maturità

dell’essere umano che la sfera della sessualità comporta, ad un piano assolutamente

marginale.

E’ facile allora comprendere sin da ora perché, in un panorama culturale che oggi

sembra quasi frammentarsi, quasi stesse implodendo, sulla spinta di un soggettivismo

a tratti incontrollabile, tale comportamento stia assumendo proporzioni così marcate e

sfumature altrettanto crescenti.

I

Il DSM IV classifica tale disturbo all’interno del capitolo delle parafilie, laddove per

parafilia viene ad intendersi la fantasia o il susseguirsi di impulsi e comportamenti

sessuali di tipo insolito che sono ricorrenti e producono eccitazione sessuale.

Tali impulsi e comportamenti devono verificarsi per almeno sei mesi e devono causare

un significativo disagio o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di

altre aree importanti.

Le fantasie sessuali specifiche e l’intenso bisogno di attività e pratiche sessuali sono

solitamente ripetitivi e angoscianti per chi le prova.

Una fantasia particolare, con le sue componenti consce ed inconsce, è l’elemento

patognomico, mentre l’eccitamento sessuale e l’orgasmo costituiscono fenomeni

associati.

L’influenza della fantasia e delle sue manifestazioni comportamentali si estende oltre

alla sfera sessuale per pervadere la vita della persona.

Per parlare di pedofilia occorre rilevare la comparsa, in un periodo di almeno sei mesi,

di intensi impulsi sessuali ricorrenti verso bambini o eccitamento evocato da bambini

di 13 anni o meno. La persona affetta da pedofilia ha almeno 16 anni ed è di almeno

cinque anni più grande della vittima.

Quando il pedofilo è un ragazzo nella tarda adolescenza coinvolto in una relazione

sessuale continua con un dodicenne o un tredicenne, non sono soddisfatti i criteri

diagnostici.

La grande maggioranza di molestie ai bambini coinvolge carezze o sesso orale. La

penetrazione vaginale o anale del bambino è una evenienza infrequente, tranne che nei

casi di incesto.

Coloro che compiono questi atti riferiscono che, quando toccano un bambino, nella

maggior parte dei casi (60%) agiscono su vittime di sesso maschile.

Questo dato è in netto contrasto rispetto a quello relativo alle pratiche contro bambini

senza contatto diretto, come lo spiare dalla finestra e l’esibizionismo, che nel 99% dei

casi vengono compiute contro bambine

Il 95% dei pedofili è eterosessuale e il 50% ha consumato una quantità eccessiva di

alcool al momento dell’incidente. Oltre alla pedofilia, un significativo numero di

pedofili è contemporaneamente o è stato in precedenza coinvolto in episodi di

esibizionismo, voyeurismo o violenza carnale.

L’incesto è correlato alla pedofilia per la frequente scelta di un bambino immaturo

come oggetto sessuale, per il subdolo o aperto elemento di coercizione, e,

occasionalmente, per la natura preferenziale del legame adulto-bambino.

La pedofilia in sé non comporta in genere atteggiamenti violenti, né aggressivi. Quando

presenti, queste tendenze possono essere riferite a parallele spinte sadiche.

Nel 50% dei casi si rileva inoltre un’associazione all’alcolismo e spesso vi è un passato

di esibizionismo, voyeurismo o violenza carnale (Kaplan, 1996).

II

E’ di Sigmund Freud il pregio di essersi occupato in maniera sistematica della

sessualità infantile; e sebbene tra gli studiosi della psiche molti non siano d’accordo

sul rigido assetto in stadi da lui suggerito, in accordo al quale il piacere erotico è

dapprima centrato nella regione della bocca (fase orale, da zero a 18 mesi) , poi nella

regione dell’ano (fase anale, da 18 mesi a 3 anni) , quindi in quella dei genitali ( fase

fallica, da 4 a 6 anni) , per poi congelarsi nel periodo di latenza (da 6 a 12 anni) , è

indiscutibile che i bambini possono esperire delle forme di piacere fisico fin dalle

primissime fasi della vita.

Per la psicoanalisi, esiste una marcata conformità tra le spinte pulsionali dei bambini e

quelle degli adulti e già nei primi anni di vita sarebbero operanti quelle stesse pulsioni

che generano i desideri sessuali dell’adulto.

In realtà la sessualità infantile è dissimile e incompiuta rispetto a quella adulta.

Anche ai bambini piace essere tenuti stretti, carezzati, baciati, stimolati nelle zone

intime del corpo, ma queste manifestazioni non conservano ancora quella carica erotica

che potranno avere in seguito. Gli ormoni giocano un ruolo importante nel desiderio

sessuale ed è inconfutabile il fatto che la quantità di ormoni presenti nel corpo di un

bambino sia decisamente inferiore rispetto a quella presente nel corpo di un ragazzo o

di un adulto.

In più i bambini difettano dell’esperienza, non possiedono cioè le memorie e le

aspettative di una mente adulta; essi vanno scoprendo incidentalmente il piacere che

dal loro corpo può scaturire. Lo scoprono nei giochi, in fugaci tensioni muscolari,

oppure toccandosi. Il tutto secondo una progressione cadenzata dallo sviluppo.

Le fondamenta della sessualità (e quindi anche del piacere) sono già insite nella

struttura biologica che presiede alla vita uterina, quando si avviano ad affiorare le

diversità tra i due sessi.

All’inizio il cervello dei feti di sesso maschile e di sesso femminile è piuttosto simile:

a causa di una sorta di operazione al risparmio della natura, il programma genetico fa

sì che venga pianificato per ambedue i sessi un cervello di tipo femminile, provvisto

cioè di nuclei nervosi che saranno utili in futuro a regolamentare i cicli mensili, e di

sostanziali differenze tra i due emisferi cerebrali, laddove quello di destra è più

empatico e percettivo, mentre quello di sinistra più razionale e logico.

Anche i maschi possiederebbero pertanto un cervello femminile se ad un determinato

momento, nel corso degli ultimi mesi dello sviluppo fetale, i testicoli del feto

(gonadicamente maschile) non iniziassero a produrre ed inviare in circolo gli ormoni

maschili, ossia gli androgeni. Questi agiscono sul cervello, durante la gravidanza, e ne

arginano le caratteristiche femminili come, ad esempio, le attività cicliche di quei

nuclei nervosi che scandiscono il ciclo mestruale e inducono una produzione ormonale

(estrogeni e progesterone) che varia nell’arco dei 28 giorni del ciclo; nei maschi,

invece, la produzione di ormoni maschili (o androgeni) , non presenta questa ciclicità

e si mantiene costante nel tempo.

Indipendentemente dal sesso, nel feto incomincia a svilupparsi un universo di

sensazioni e di esperienze, che col tempo risulteranno basilari per dar vita al piacere

sessuale.

Le esperienze del piacere e del dispiacere costituiscono il nucleo intorno al quale si

edifica la nostra personalità. Fin dagli ultimi mesi di gravidanza il feto è in grado di

avvertire alcune sensazioni, sia pure in modo indistinto, e di reagire a degli stimoli

tattili spostando in modo riflesso gli arti e il corpo; cosicché alla nascita presenta una

capacità embrionale che gli consente di differenziare le situazioni piacevoli da quelle

sgradevoli. Piacevole è, per esempio, l’esperienza dell’allattamento, non solo in quanto

soddisfa la fame, ma anche perché procura un piacere fisico, sensuale o meglio sessuale

(non dimentichiamo che il “ciucciare” delle labbra sul capezzolo stimola le numerose

terminazioni sensitive presenti a livello labiale e conferisce il primato a quella zona

che darà poi il nome alla fase “orale”).

In questa fase però la sessualità è più parte di un intero che qualcosa di differenziato,

anche se è possibile scorgervi alcuni tratti anticipatori della sessualità matura.

Nel corso del primo anno di vita, in entrambi i sessi si possono considerare, seppur

molte volte per tempi assai brevi, movimenti del bacino, tensioni muscolari e

conseguente rilassamento.

Tra zero e tre anni l’erezione spontanea del pene e la tensione del clitoride possono

produrre delle sensazioni fugaci, come fugace può essere il piacere che un piccolo

avverte allorquando, esplorando il proprio corpo, giunge a tastarsi gli organi genitali.

Sono però sensazioni che si mescolano con altre stimolazioni in altre parti del corpo

prodotte, per esempio, dal solletico, da un massaggio, dal toccarsi e accarezzarsi

vicendevolmente.

Questa è anche la ragione per cui in questa età della vita si privilegia adottare il termine

di sensualità più che di vera e propria sessualità: le sensazioni erotiche, se in tal guisa

vogliamo definirle, sono invero ad un livello embrionale e sporadico in quanto non

sono ancora state ridestate, come invece avverrà nella pubertà, da quella corrente

ormonale che è essenziale perché si inneschino le fasi mature della libido (ossia del

desiderio sessuale).

La sensibilità diffusa del piccolo nei primi anni di vita resta, in ogni modo, una

precondizione alla sessualità degli anni successivi.

L’erotismo evolve, allora, per stadi consecutivi anche se la successione, come pure la

durata, non è da intendersi in modo rigido: è di fatto possibile che alcuni aspetti di una

determinata fase siano già presenti nella precedente e che, viceversa, modalità tipiche

di una fase più antica perdurino poi, in forma più accentuata, in epoche successive.

Ricerche condotte dai coniugi Kinsey (1950,1955) e da altri studiosi come Niels Ernst

(1979) e il norvegese Bjerring Hansen (1977), segnalano che approssimativamente un

quinto dei bambini scopre il piacere della masturbazione fra 3 e 6 anni, anche se le

sensazioni che provano possono essere più o meno intense e solo in un numero ristretto

di casi essere simili all’orgasmo.

Tra i quattro e i sei anni, di pari passo con la scoperta degli organi sessuali e delle

differenze anatomiche tra i sessi, insorgono anche, in un certo numero di bambini, le

prime fantasie a sfondo sessuale (non necessariamente riferite all’altro sesso).

Ed è anche a questa età che incomincia ad affiorare il “senso del pudore”, che, secondo

il parere di alcuni, è legato alle sensazioni che il bambino prova mentre, secondo altri,

trae origine invece soprattutto dal tipo di ambiente e di cultura in cui il bambino vive e

cresce.

La masturbazione va a ragione considerata come una evenienza normale piuttosto

diffusa, anche se non tutti i bambini la praticano. Questo comportamento diventa

anomalo quando è esagerato o quando avviene in luoghi non appropriati (in pubblico

o in classe); i bambini infatti si rendono conto del legame che esiste tra determinate

azioni o luoghi. Un eccesso di masturbazione può indicare in genere uno stato di

isolamento, la mancanza di altre forme di gratificazione e di piacere, a volte ritardo

mentale. Il frequente ricorso alla masturbazione può, infatti, essere dovuto alla

convinzione, da parte del bambino, di essere trascurato o rifiutato da coloro che

contano, come i genitori, oppure alla sensazione di essere emarginato, di fallire a scuola

o in altri ambiti significativi della vita.

Anche i giochi sessuali che i bambini mettono in atto tra loro rientrano nella normalità.

Sono normali tra i tre e i dodici anni perché, anche se sono immaturi dal punto di vista

ormonale, i bambini sono in grado di avere dei pensieri o delle fantasie erotiche. I

giochi sessuali come il gioco del dottore o quello di papà e mamma rappresentano, in

genere, un momento evolutivo naturale e sono un preludio alla sessualità matura. La

componente erotica si accompagna, mescolandosi, alla curiosità per il corpo umano.

Questi giochi sono anche un modo per rassicurarsi che nelle differenze anatomiche tra

maschi e femmine non c’è nulla che risulti errato o normale.

Inoltre, in stretta relazione con le esperienze che un bambino fa e con il clima in cui

cresce, tali giochi possono implicare anche altre componenti, quali per esempio il

mistero del frutto proibito, la pressione dei coetanei, la spinta a imitare gli adulti.

III

La figura del pedofilo nell’immaginario collettivo è intimamente legata a quella di un

uomo di una certa età, uno “sporcaccione” il più delle volte in pensione o disoccupato,

che oltre ad importunare i bambini che gli capitano a tiro può anche mostrare altre

anomalie del comportamento sessuale, o parafilie, come l’esibizionismo, il voyeurismo

o altro.

Le raccolte di dati più recenti indicano, però, che l’interesse per i bambini inizia

comunemente intorno ai quindici-sedici anni, che di solito la vittima è nota al pedofilo

e che quest’ultimo spesso è un parente, un amico di famiglia o un frequentatore della

casa che non presenta apparenti anomalie del comportamento.

L’attrazione erotica che alcuni sentono per i bambini non si traduce ineluttabilmente in

atti sessuali completi; il pedofilo può limitarsi a denudare il bambino e a guardarlo, a

mostrarsi, a masturbarsi in sua presenza, a toccarlo con delicatezza e ad accarezzarlo;

può persuadere il bambino a toccarlo a sua volta e così via. C’è anche chi si limita a

guardare del materiale pornografico con protagonisti i bambini, senza avere mai

contatti diretti con essi. Sembra sia solo una minoranza quella che costringe il bambino

a veri e propri rapporti sessuali. Questo tipo di pedofilo giustifica spesso l’atto sessuale

con il proposito di intenti educativi o con la descrizione di un rapporto effettivo creato

con la piccola vittima.

Va infine rammentato, che, oltre ai pedofili attivi, vi sono anche i pedofili latenti, i

quali cioè non giungono mai a prendere l’iniziativa.

Alcuni pedofili si sentono attratti da bambini di una particolare fascia d’età, spesso

quella in cui loro stessi si trovarono a vivere per la prima volta delle esperienze erotico-

sessuali con un adulto, un ragazzo o una ragazza più grande.

Per altri, invece, qualunque bambino può essere oggetto di attenzioni. C’è chi

preferisce i maschi, chi le femmine e chi invece ricerca i bambini di entrambi i sessi.

Alcuni riferiscono di sentirsi attratti sessualmente soltanto dai bambini (tipo esclusivo),

mentre altri di essere talvolta attratti anche da adulti (tipo non esclusivo).

Alcuni, infine, praticano la pedofilia occasionalmente, ma non ricercano attivamente i

bambini.

La maggior parte dei pedofili cerca di non malversare i bambini che riesce ad

avvicinare, sia per l’attrazione che avvertono nei loro confronti, sia perché cercano di

evitare che essi possano in qualche modo lamentarsi e quindi parlare. Se scoperti,

alcuni non cercano di spiegare o giustificare la loro propensione, altri invece

comunicano le loro attenzioni nei riguardi dei bambini in termini più che mai delicati,

ricorrendo alle più svariate razionalizzazioni. Possono proclamare, ad esempio, il

valore educativo di abbracci e carezze, oppure giustificarsi sostenendo che il bambino,

in quell’occasione, si era mostrato seduttivo, che era stato anzi proprio il piccolo a

sollecitare le avances sessuali dell’adulto, che da queste aveva poi ricavato un evidente

piacere,ecc.....

Altri ancora rivendicano palesemente il loro diritto di amare i bambini da cui si sentono

attratti, a volte in maniera compulsiva.

Ci sono poi situazioni in cui l’attrazione per i bambini e i ragazzini è associata a forme

di sadismo più o meno spinto. Si tratta, quasi sempre, di individui privi di senso morale,

spesso affetti da disturbi mentali, cresciuti in un clima di degrado ambientale e

psicologico, che provano piacere nel fare del male, nell’assoggettare i più deboli e che

qualche volta finiscono per sopprimere la loro vittima. Sono casi estremi, ma poiché i

media tendono ad enfatizzarli si corre il rischio di avere l’impressione che tutti gli

approcci pedofili possano finire in tragedia, il che ovviamente non è.

Va anche considerato che spesso l’eliminazione fisica del bambino non è premeditata,

ma si verifica come reazione alla paura di essere scoperti.

Senza arrivare a questi casi limite, l’aspetto della violenza non è da sottovalutare:

secondo fonti anglosassoni una percentuale significativa di ragazze di età inferiore ai

quattordici anni (dal 10 al 20 per cento) riferisce di essere stata costretta a subire

attenzioni sessuali da parte di adulti. In Italia i casi denunciati per violenze su minori

(fino a 17 anni) sono stati 1.151 nel 1996 e 1582 (quindi con un incremento del 37 per

cento) nel 1997.

Le donne pedofile sono sicuramente più rare degli uomini, spesso isolate o affette da

disturbi mentali. Come gli uomini anche le donne possono essere responsabili di

dissesti psicologici, talvolta addirittura superiori. Quando una donna obbliga un

bambino o una bambina a pratiche erotiche o sessuali, gli effetti su quest’ultimo

possono essere devastanti, soprattutto se si tratta della madre.

IV

In accordo con l’opinione di molti autori, i pedofili avrebbero in linea di massima una

personalità abbastanza immatura, seri problemi di relazione o sensi di inferiorità che

non consentono loro di reggere un rapporto amoroso adulto, dove si aspettano ci sia

una parità di ruoli: individui con disturbi narcisistici e debole stima di sé si focalizzano

sui bambini perché possono controllarli e governarli e nei loro riguardi non

sperimentano sentimenti di inadeguatezza.

Tale immaturità emergerebbe anche dalla incapacità che essi hanno di assumere un

ruolo responsabile: è vero che un bambino di tanto in tanto può assumere degli

atteggiamenti provocanti o comportarsi in maniera seduttiva; ma chi si lascia attivare

sessualmente dagli atteggiamenti disinibiti e per lo più inconsapevoli di un bambino è

una persona che non tiene conto del contesto. Quegli stessi atteggiamenti e movenze

suscitano, in una persona responsabile, un sentimento di tenerezza o di divertimento,

non certo una reazione di tipo sessuale. Ci sarebbero, tuttavia, anche altre componenti.

Secondo numerosi autori, i pedofili abituali rivedrebbero se stessi nel periodo della

propria infanzia, rappresenterebbero idealmente il corpo e la bellezza infantile o

preadolescenziale e rievocherebbero il medesimo trattamento subito da piccoli oppure

il suo opposto.

L’erotismo con i bambini può comportare, secondo tali autori, la fantasia inconscia di

fusione con un oggetto ideale e di conseguenza la ristrutturazione di un Sé giovane,

idealizzato.

Il pedofilo sarebbe dunque al centro di una specie di circuito autoalimentatesi, il quale

lo conduce compulsivamente indietro nel tempo, al momento in cui egli stesso ha

vissuto quel tipo di esperienza, ha provato eccitazione e/o paura e anche il turbamento

di essere depositario di un segreto incomunicabile, una sorta di doppia vita.

Il pedofilo sarebbe rimasto “fissato” a quelle emozioni intense e a quegli schemi

estetico-erotici che ora cerca di esplorare e rivivere, senza riuscire ad evolvere verso

forme diverse di erotismo, incurante della difformità tra generazioni e negando

l’esistenza di ruoli e funzioni adulte. Questo si verificherebbe anche perché l’altro è

oggetto del desiderio non per ciò che è, come persona percepita nella sua globalità, ma

per ciò che rappresenta, cioè la parte che è obbligata a soddisfare la pulsione che per il

pedofilo è fonte di riconoscimento narcisistico. L’attività sessuale con bambini

prepuberi servirebbe in conclusione a “puntellare la fragile stima di sé del pedofilo”, il

quale può anche sentirsi inadeguato su un piano strettamente fisico; inoltre, la scelta di

partner quali i bambini, facili da controllare e manipolare, consente di raggiungere il

duplice scopo di ottenere piacere e di sentirsi potenti.

A ciò si aggiunge, nei pedofili abituali, il piacere della trasgressione, a cui ultimamente

si è associato quello di avere la opportunità di ritrovarsi con i propri simili su Internet.

Qui, oltre a scambiarsi materiale e informazioni, essi possono reclamare un’identità in

contrapposizione a tutti coloro che deplorano i loro comportamenti o combattono la

pedofilia. Molti pedofili, infine, traggono un particolare piacere anche dalle attività che

precedono l’abuso, quali l’individuazione della vittima, la pianificazione, il

pedinamento, gli approcci, in quanto la perversione, per creare il più alto grado di

eccitazione, ha bisogno di rappresentarsi, in un certo senso, come un atto rischioso.

Alcuni autori hanno elaborato un modello teorico che mette in relazione i problemi di

intimità dei pedofili con i diversi stili di attaccamento (Ward et al., 1995). Ispirandosi

al modello di attaccamento (descritto dalla collaboratrice di John Bowlby e ricercatrice

Mary Ainsworth) che i bambini di uno o due anni mostrano nei confronti della propria

madre, essi hanno individuato tre principali categorie di molestatori:

- Gli ansiosi-resistenti, ossia soggetti che hanno scarsa autostima, si ritengono

indegni d’amore e ricercano costantemente l’approvazione degli altri. In

presenza di un partner che può essere controllato (come un bambino in stato di

bisogno o di carenza) essi si sentono sicuri, mentre sono assolutamente incapaci

di stabilire relazioni emozionali con adulti. In talune circostanze possono

diventare dipendenti emotivamente dal rapporto con i bambini, con la

conseguenza che i confini tra adulto e bambino si perdono e la relazione affettiva

si trasforma perciò in sessuale. Curano e corteggiano i bambini e raramente

impiegano mezzi coercitivi;

- Gli evitanti-timorosi, cioè soggetti che presentano un forte desiderio di contatto

unito alla paura del rifiuto, tanto da evitare relazioni intime con gli adulti

percepiti come rifiutanti. Le modalità con cui il soggetto mette in atto l’abuso

sono caratterizzate da scarsa empatia e uso della forza;

- Gli evitanti-svalutativi, infine, che hanno come meta il conseguimento

dell’autonomia e dell’indipendenza, per cui sono alla ricerca di relazioni che

richiedano il minimo contatto sociale possibile e il minor grado di apertura

emozionale e personale. Al pari degli evitanti-timorosi cercano rapporti

impersonali, caratterizzati però da un maggior grado di ostilità e aggressività che

può condurre a comportamenti coercitivi violenti o sadici.

Alcuni psicologi e sociologi ipotizzano che nell’espansione della pedofilia possa aver

giocato un ruolo importante anche la trasformazione che si è verificata, nella società,

del rapporto uomo-donna.

Le donne occidentali dimostrano di essere sempre meno delle partner fragili,

sottomesse, incapaci di badare a se stesse, e per alcuni uomini il rapporto con una

partner indipendente e capace di autodeterminarsi non è soddisfacente né eccitante,

bensì inibente. Sarebbe appunto la vulnerabilità dei bambini, il loro aspetto vulnerabile,

la loro innocenza, la loro assoluta mancanza di calcolo ad attirare il pedofilo che, in un

rapporto del genere (da superiore a inferiore), ha modo di prendere l’iniziativa,

condurre il gioco, sentire di avere il controllo della situazione.

La pedofilia è però diffusa, sebbene meno criminalizzata di quanto non avvenga nei

paesi occidentali, anche in molti paesi del Terzo Mondo, dove le donne sono investite

ancora di un ruolo sottomesso rispetto all’uomo. In realtà il fattore critico va ricercato

nella qualità del rapporto con l’altro: la persona matura, che non soffre di sensi di

inferiorità, accetta la complessità della relazione e affronta gli aspetti dialettici propri

di ogni confronto con un “essere totale”, coinvolgente e diverso da sé; al contrario,

l’immaturo, il traumatizzato, colui o colei che ha bisogno di vendicarsi di violenze

subite non considera l’altro per quello che è, ma, come si è detto, vi vede soltanto quella

parte o aspetto che gli serve per trarne una qualche forma di soddisfazione, al tempo

stesso erotica e di dominio o controllo, cosicché il partner viene usato e poi

abbandonato secondo quelli che sono i propri bisogni narcisistici, senza curarsi

dell’altro, e nel caso specifico dei bambini, dei loro bisogni di crescita.

In ultimissima analisi bisogna rilevare come si possa anche verificare un vero e proprio

innamoramento da parte dell’adulto verso quello che lui vive come il proprio giovane

partner, soprattutto quando questi è in quell’età che segna il passaggio dall’infanzia

alla pubertà. Secondo il professor Schorsch, dell’Istituto di Sessuologia di Amburgo

(1971), può verificarsi, anche in adulti che solitamente praticano una sessualità adulta,

una sorta di “deragliamento emotivo”, a volte soltanto episodico (ad esempio sotto

l’effetto dell’alcol), che li fa scivolare dall’amore per l’infanzia all’attrazione sessuale

verso uno specifico bambino o una ragazzetta con particolari caratteristiche.

Vediamo quindi come si presenti oltremodo complesso un quadro fenomenologico

apparentemente semplice, all’interno del quale sembra che entrambi i protagonisti

svolgano ruoli quasi speculari se ci riferiamo a ciò che mettono in moto

emozionalmente ed a tutti i variegati tasselli rappresentazionali che poi nel loro

complesso vanno a costituire il mosaico di un acting out irreversibile, per entrambi.

Cercando di offrire ancora un supporto clinico e scientifico sul quale favorire il

dispiegarsi di una realtà così solidamente articolata e allo stesso tempo altrettanto

languidamente unita in sé stessa, desidero riportare le considerazioni a cui è giunta

nello specifico la psicoanalisi, che più di tutti ha cercato di penetrare le resistenze che

offre il lavoro di ricerca proprio di un percorso introspettivo come quello nel campo in

questione. In relazione appunto agli ultimi studi psicoanalitici, ciò che distingue una

parafilia da un’altra è il metodo scelto dalla persona, che solitamente è un maschio, per

far fronte all’ansia causata dalla paura della castrazione da parte del padre e della

separazione dalla madre. Per quanto siano bizzarre le sue manifestazioni, il

comportamento conseguente offre una via di uscita per le condotte sessuali e aggressive

che altrimenti verrebbero incanalate in un appropriato comportamento sessuale.

L’incapacità assoluta di risolvere la crisi edipica attraverso l’identificazione con il

padre-aggressore (per i ragazzi) o con la madre-aggressore (per le ragazze) causa una

impropria identificazione con il genitore di sesso opposto oppure una scelta impropria

dell’oggetto dell’investimento libidico.

In riferimento alla pedofilia, dunque, la psicoanalisi ritiene che i soggetti abbiano

bisogno di dominare e controllare le loro vittime per compensare i propri sentimenti di

impotenza durante la crisi edipica. Alcuni teorici ritengono che la scelta di un bambino

come oggetto d’amore sia una scelta narcisistica e di ciò abbiamo dato spazio in

precedenza. Secondo tali autori, quindi, nel carattere dei pedofili è possibile ritrovare

forti radicali narcisistici. L’obiettivo dei loro desideri non sarebbe infatti realmente il

bambino, bensì la figura di sé da piccoli.

La pedofilia può quindi, alla luce di questi assunti, essere vista come un meccanismo

volto a rafforzare una già fragile stima di sé (Kohut, 1976).

L’attività sessuale con bambini prepuberi può puntellare, quindi, la barcollante stima

di sé del pedofilo. In maniera simile, molti individui con questa perversione scelgono

delle professioni nelle quali possono interagire con bambini in ragione del fatto che le

risposte idealizzanti dei bambini li aiutano a mantenere la loro immagine positiva di sé

stessi. D’altra parte, il pedofilo spesso idealizza questi bambini; l’attività sessuale con

loro comporta pertanto la fantasia inconscia di fusione con un oggetto ideale o di

ristrutturazione di un Sé giovane, idealizzato. L’ansia riguardo all’invecchiamento e

alla morte può essere tenuta a distanza attraverso l’attività sessuale con bambini.

Socarides (1988) ha descritto un paziente pedofilo che resisteva a un inglobamento con

la madre attraverso le sue attività pedofile. Questo paziente cercava di sfuggire alla sua

inconscia identificazione femminile incorporando la mascolinità da un bambino

maschio prepubere. I rapporti sessuali con un bambino facevano sentire questo paziente

come se fosse stato parte del bambino. A un livello più profondo, l’unione con il

bambino rappresentava il desiderio di incorporare il seno della madre e pertanto di

compensare l’effettiva assenza di cure materne nella sua prima infanzia.

Quando l’attività pedofila è associata a un disturbo narcisistico di personalità con gravi

tratti antisociali, come parte di un’evidente struttura caratteriale psicopatica, le

determinanti inconsce del comportamento possono essere strettamente collegate alle

dinamiche del sadismo. In alcuni casi l’eziologia della pedofilia è fatta risalire al terrore

di fusione con la figura materna. Il contatto con soggetti immaturi avrebbe quindi la

funzione di restauro dell’individualità e della virilità (Socarides).

La conquista sessuale del bambino diviene lo strumento di vendetta. I pedofili, come

abbiamo più volte ripetuto, sono frequentemente essi stessi delle vittime di abusi

sessuali infantili, e un senso di trionfo e di potere può accompagnare la loro

trasformazione di un trauma passivo in una vittimizzazione perpetrata attivamente.

La ripetizione dello abuso può configurarsi come un tentativo di riparazione. Nel

pedofilo è infatti presente una volontà inconscia di rivivere il trauma nella speranza di

modificarne le conseguenze e placare le ansie ad esso correlate. Forti desideri sessuali

sono spesso celati sotto motivazioni di educazione e profondo affetto, e, per tale

ragione, i bambini molestati sviluppano una vera e propria fedeltà nei confronti di chi

abusa di loro (Gelinas, 1986). Le conseguenze di tutto ciò sono tanto più gravi quanto

più sono intrusivi gli atti e quanto più piccolo è il bambino.

Un discorso a parte merita l’incesto, ossia la pedofilia esercitata in ambito familiare. In

questi nuclei, accanto a un padre-pedofilo, si ritrova spesso una figura di madre-

assente. In questa tipologia l’uomo, che non si sente amato dalla propria moglie, si

rivolge ai figli per ottenere quell’affetto di cui si sente privato.

Sotto questa apparente richiesta di aiuto si nascondono in realtà forte aggressività e

ostilità nei confronti del mondo femminile. L’incesto diventa, quindi, per il marito

trascurato, uno strumento di ritorsione nei confronti di quelle donne (la moglie e la

madre) che non hanno saputo comprenderlo (Ganzarin, 1990).

Nei bambini, co-protagonisti di questo dramma, si assiste all’assunzione di un ruolo

genitoriale volto a sostenere il padre in difficoltà. Questi soggetti mostrano una spiccata

lealtà nei confronti di chi abusa di loro, in virtù di quel rapporto unico di amore che si

è instaurato (Gabbard, 1995).

V

Anzitutto ho visto pienamente confermata la tesi, da me già formulata, della

fondamentale importanza del trauma come fattore patogeno. Infatti, anche bambini

appartenenti a famiglie stimate e di spirito puritano possono cadere vittima, molto più

spesso di quanto non si creda, di vere e proprie violenze e violazioni. O sono i genitori

stessi a cercare in questo modo patologico un surrogato alle loro insoddisfazioni,

oppure sono persone di fiducia (parenti, precettori, personale di servizio) ad abusare

dell’ignoranza e innocenza dei bambini. L’ovvia obiezione che si tratti di fantasie del

bambino stesso, dunque di menzogne isteriche, viene purtroppo confutata dalle

innumerevoli confessioni di pazienti in analisi di aver usato violenza a bambini.

E’ difficile indovinare il comportamento e i sentimenti dei bambini dopo violenze di

questo tipo. Il loro primo impulso sarebbe di rifiuto, odio, disgusto, energica difesa.

Ma la loro immediata reazione è inibita da una paura immensa. I bambini si sentono

indifesi fisicamente e moralmente, la loro personalità è ancora troppo debole per poter

protestare, sia pure solo mentalmente; la forza prepotente e la autorità degli adulti li

ammutolisce, spesso toglie loro la facoltà di pensare. Ma questa stessa paura, quando

raggiunge il culmine, li costringe automaticamente a sottomettersi alla volontà

dell’aggressore, a indovinare tutti i desideri, a obbedirgli ciecamente, a identificarsi

completamente con lui.

Con l’identificazione, o meglio con l’introiezione dell’aggressore, quest’ultimo

scompare come realtà esterna e diventa intrapsichico; ma tutto ciò che è intrapsichico

soggiace, in uno stato simile al sogno come è appunto la trance traumatica, al processo

primario, vale a dire ciò che è intrapsichico può essere, in base al principio del

piacere, plasmato e trasformato in modo allucinatorio, positivo o negativo. In ogni

caso, l’aggressione cessa di esistere come rigida realtà esterna e, nella trance

traumatica, il bambino riesce a mantenere in vita la precedente situazione di tenerezza.

Ma il mutamento più significativo, provocato nella psiche del bambino

dall’identificazione per paura con il partner adulto, è l’introiezione del senso di colpa

dell’adulto, che fa apparire come un’azione colpevole un gioco ritenuto fino a quel

momento innocente.

Se il bambino si riprende dopo una simile aggressione, si sente enormemente confuso,

o meglio egli è già scisso, al tempo stesso innocente e colpevole, ha perso fiducia in

ciò che gli dicono i suoi sensi.

A ciò si aggiunga il modo di fare brusco del partner quando è tormentato ed esasperato

dai rimorsi di coscienza; il bambino, allora, diviene ancor più profondamente

consapevole e vergognoso della colpa commessa. Quasi sempre, d’altra parte,

l’aggressore fa come se niente fosse e si tranquillizza con l’idea che, dopotutto, “non

è che un bambino, non sa ancora nulla, presto dimenticherà tutto”. Non è raro che,

dopo fatti di questo tipo, il seduttore diventi fautore di una morale rigida o di una

religione, per cercare di salvare con la severità l’anima del bambino.

Il bambino di cui si è abusato diventa un essere che obbedisce in modo meccanico, o

che si impunta, oramai incapace di rendersi conto del motivo del suo atteggiamento.

Lo sviluppo della sua vita sessuale è bloccato o assume forme perverse, per non

parlare delle nevrosi e psicosi che ne possono derivare. L’aspetto scientificamente

rilevante di tale osservazione è l’ipotesi che la personalità ancora debolmente

sviluppata risponda a un dispiacere improvviso non con la difesa, ma con

l’identificazione e l’introiezione di colui che minaccia o aggredisce.

Una parte della loro personalità, magari il nucleo centrale, è rimasta fissata a una

certa fase o a un certo stadio in cui, non essendo ancora data la possibilità di relazioni

alloplastiche, l’unica modalità di reazione era quella autoplastica, per una sorta di

mimetismo. Si delinea così una forma di personalità costituita soltanto da Es e Super-

Io, e quindi incapace di affermare se stessa anche nel dispiacere, così come accade nel

bambino che, non ancora giunto al suo pieno sviluppo, non è in grado di sopportare

la solitudine senza la protezione materna e un rilevante quantitativo di tenerezza.

Freud sottolineava il fatto che la capacità di amore oggettuale era preceduta da uno

stadio di identificazione. Definirei tale stadio come quello dell’amore oggettuale

passivo, ovvero stadio di tenerezza. Vi si mostrano già tracce di amore oggettuale, ma

solo come fantasie e in forma ludica. Così, quasi tutti i bambini giocano con l’idea di

prendere il posto del genitore del proprio sesso per diventare il coniuge del genitore

di sesso opposto. Ma ciò, si noti bene, solo nella fantasia. Nella realtà non vogliono

né possono fare a meno di tenerezza, soprattutto di quella materna. Se ai bambini che

attraversano la fase della tenerezza si impone più amore o un amore diverso da quello

che desiderano, ciò può avere conseguenze altrettanto patologiche della privazione

d’amore, su cui fino a oggi si è quasi esclusivamente insistito (Sàndor Ferenczi –

OPERE 1927/1933).

BIBLIOGRAFIA

GIUSEPPE ANGELINI: L’ IMPOTENZA E I DISTURBI SESSUALI

MASCHILI ( CENTRO SCIENTIFICO EDITORE, 2000).

BRUCE J. COHEN : THEORY AND PRACTICE OF PSYCHIATRY

(OXFORD PRESS, 2003 ).

SÁNDOR FERENCZI: OPERE - VOLUME QUARTO, 1927 / 1933

( RAFFAELLO CORTINA EDITORE ).

GLENN O. GABBARD : PSICHIATRIA PSICODINAMICA ( RAFFAELLO

CORTINA EDITORE, 1995 ).

KAPLAN & SADOCK : PSICHIATRIA - MANUALE DI SCIENZE DEL

COMPORTAMENTO E PSICHIATRIA CLINICA ( CENTRO SCIENTIFICO

EDITORE, 2001 ).

A. OLIVIERO FERRARIS, B. GRAZIOSI : PEDOFILIA - PER

SAPERENE DI PIU’ ( EDITORI LATERZA , 2001 ).