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1 Ascoltare la Parola di Dio GESÙ, IL MIRACOLO DELLA COMPASSIONE X Domenica del Tempo Ordinario 9 Giugno 2013 «Ragazzo, dico a te, àlzati!» «Si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti». (Gal, 1,16) Commenti al Vangelo Il miracolo dei gesti semplici Papa Francesco prende un rosario lanciato al volo da un pellegrino... Papa Francesco, finita la messa, esce per primo e saluta i fedeli sulla porta della chiesa... Papa Francesco aiuta una signora disabile a prendere la borsa che le è caduta... Papa Francesco inizia sempre i suoi discorsi con “buon giorno” e “buona sera” ...

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Ascoltare la Parola di Dio

GESÙ, IL MIRACOLO DELLA COMPASSIONE

X Domenica del Tempo Ordinario

9 Giugno 2013

«Ragazzo, dico a te, àlzati!»

«Si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti». (Gal, 1,16)

Commenti al Vangelo

Il miracolo dei gesti semplici Papa Francesco prende un rosario lanciato al volo da un pellegrino... Papa Francesco, finita la messa, esce per primo e saluta i fedeli sulla porta della chiesa... Papa Francesco aiuta una signora disabile a prendere la borsa che le è caduta... Papa Francesco inizia sempre i suoi discorsi con “buon giorno” e “buona sera” ...

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Non possiamo riconoscere che molto spesso sono queste le notizie che vengono messe in prima pagina riguardo papa Bergoglio. Come mai fa così tanto notizia che un papa raccolga una borsa caduta ad una signora o che dica “buona sera”? Forse perché i gesti semplici di umanità quotidiana stanno diventando rari? Nel Vangelo di questa domenica uno degli elementi di straordinarietà non è tanto la resurrezione del morto, ma proprio il gesto di profonda umanità che Gesù compie avvicinandosi con vera e sincera compassione a questa vedova che piange il figlio morto. Se a noi pare una cosa scontata, non lo era affatto al tempo di Gesù. Le vedove e gli orfani erano le categorie più deboli di quel tempo, e più volte anche i profeti richiamavano ai credenti di Dio la priorità della carità verso di loro, segno che molto spesso erano abbandonati al loro destino di povertà anche da chi si considerava religioso e fedele a Dio. Gesù è straordinario anche e prima di tutto in questa compassione (“compatire” cioè “provare lo stesso dolore”) che lo muove a fare quello che è in suo potere, superando anche pregiudizi e chiusure. Gesù si troverà molto spesso di fronte alla scelta di mettersi dalla parte del povero, e non avrà dubbi di agire sempre per il bene dell'uomo, anche se questo lo porta a trasgredire le regole “religiose” del suo tempo (ad esempio quando opera guarigioni nel giorno di sabato...). Gesù viene acclamato profeta, e in Lui viene vista la potenza della presenza di Dio. Questo accade per la sua capacità di resuscitare dai morti (secondo le profezie legate alla venuta del Messia), ma anche per la sua estrema compassione e capacità di toccare le povertà umane in nome di Dio. Noi non siamo capaci di resuscitare i morti, perché questa rimane una prerogativa di Dio, ma abbiamo la stessa capacità di Gesù di compatire e di non rimanere ciechi di fronte alle povertà e alle sofferenze di chi incrociamo sulla nostra strada. Molto spesso si tratta di gesti piccoli e ordinari, con i quali possiamo rendere “miracolosa” la nostra umanità, facendola specchio dell'umanità di Cristo. Un papa che fa gesti veri e sinceri di piccola umanità non sminuisce certo il suo ruolo di capo della Chiesa universale, anzi forse la esalta. Se in tempi passati (ma anche recenti purtroppo) l'autorità si serviva del distacco umano e della distanza per sottolineare il proprio ruolo e il proprio compito in mezzo (e sopra) gli altri, Gesù nel Vangelo ci ricorda che proprio il più grande per essere riconosciuto come tale deve farsi piccolo e vicino ai piccoli, anche a costo di apparire inadatto e magari ridicolo agli occhi di molti. Gesù stupiva quando andava a mangiare con i peccatori, quando si intratteneva con i bambini, quando parlava con donne e con coloro che erano ritenuti lontani da Dio. Gesù stupisce anche in questo suo piangere per una povera vedova. Ed è proprio così che mostra la sua vera umanità divina, e insegna a noi a fare altrettanto, anche con i gesti semplici della vita di tutti i giorni. «Sulle Murge baresi da cui provengo, ho visto passare cingolati, carri armati di media stazza: 3 miliardi l'uno!!! Si costruirebbero caseggiati con 35 alloggi per ospitare 35 famiglie senza tetto. Non ci sarebbe bisogno degli episcopi per tamponare; qualcuno dice: “Cosa fai? Metti negli episcopi gli sfrattati? ... Vabbè... Ma cosa fai? Due, tre, cinque famiglie nelle chiese... Ma sono tanti gli sfrattati!!”. Vedete, noi come credenti ma anche come non-credenti non abbiamo più i segni del potere. Se noi potessimo risolvere tutti i problemi degli sfrattati, dei drogati, dei marocchini, dei terzomondiali, i problemi di tutta questa povera gente, se potessimo risolvere i problemi dei disoccupati, allora avremmo i segni del potere sulle spalle. Noi non abbiamo i segni del potere, però c'è rimasto il potere dei segni, il potere di collocare dei segni sulla strada a scorrimento veloce della società contemporanea, collocare dei segni vedendo i quali la gente deve capire verso quali traguardi stiamo andando e se non è il caso di operare qualche inversione di marcia. Ecco il potere dei segni e i segni del potere. I segni del potere non ne abbiamo più, non dobbiamo averne; ecco perché non dobbiamo neanche affliggerci. Io come Vescovo adesso non mi debbo affliggere più che tanto perché ci sono 3.000 marittimi nella mia città di Molfetta che sono sbarcati perché ormai le compagnie navali sono in crisi,

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imbarcano i terzomondiali ecc. Non devo risolvere io il problema ma le istituzioni; però io devo esprimere solidarietà con questa gente, devo dividere cioè il loro pane nero. Non devo dividere soltanto la mia ricchezza ma devo dividere anche la loro miseria, la povertà di quella gente, lo stile, la sofferenza, tutti grossi problemi».

(Dai segni del potere al potere dei segni di Tonino Bello, vescovo di Molfetta, 1935-1993) (a cura di don Giovanni Berti)

Fonte: http://www.qumran2.net Strazi e Speranza Chiudiamo la lunga parentesi iniziata con la quaresima e proseguita col tempo pasquale. Un tempo straordinario che ci ha visti accogliere il nuovo papa Francesco che ha dato e sta continuando a dare energia e forza alla Chiesa. Abbiamo riflettuto sul mistero di Dio e sul dono dell'eucarestia e ora riprendiamo con gioia interiore il cammino del tempo ordinario interrotto poco dopo febbraio. Luca ci accompagna, lo scriba della mansuetudine di Cristo. Fantastico! Non fosse per il vangelo che ci aspetta. Nain

Veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova. L'inizio del brano di oggi raggela, ci obbliga ad abbassare lo sguardo. Con il sorriso sulle labbra per la buona notizia pasquale ci scontriamo con la drammatica e insostenibile scena di un funerale. Figlio unico di madre vedova. Sembra l'inizio di un film horror. Nain, in ebraico significa “la deliziosa”. Gesù entra e la folla esce. Esce dalla delizia. Esce dalla festa. E si scontra con la realtà insostenibile. Come la vedova di Sarepta di Sidone della prima lettura che, pure, ha accolto il profeta e ha condiviso le sue misere risorse. Ma, ora, anche lei fa i conti col demone della morte e, quel che è peggio, col suo senso di colpa. Forse è stato Dio a punirla a causa di un non meglio specificato peccato di gioventù. E Dio, vedendo quel profeta santo, ha preso le distanze e le ha ucciso il figlio. Questo pensa la madre affranta. Quanti, ancora oggi, pensano che la morte sia una punizione divina. Non può accettare questo strazio, Elia, e quasi obbliga Dio ad intervenire. No, la morte non è mai una punizione, non scherziamo. Signore

Luca parla di Gesù: ha compassione, tocca la salma (contaminandosi), invita il ragazzo ad alzarsi. Cioè a risorgere. Per la prima volta nel suo vangelo Luca chiama Gesù col titolo Signore, “Kuryos”, il titolo che rimanda a Dio. Gesù dimostra la sua identità donando la vita piena, la vita vera. E il suo sentimento, in greco, è reso da un verbo che Luca riserva a Gesù: una compassione viscerale. No, Dio non è un indifferente, è il misericordioso, il compassionevole. Perché la morte, allora? Non lo dice Luca, né la Bibbia.

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Ma annuncia una notizia sconcertante: il ragazzo non solo è rianimato, donato alla madre per qualche anno ancora. È risorto, per sempre vivente, come diventiamo noi discepoli quando accogliamo la vita eterna, cioè la vita dell'Eterno in noi. Tutta la pagina è impregnata di fede: la vedova, l'umanità dolente, vede il fanciullo risorgere. Siamo immortali. No, certo, questo non allevia lo strazio di chi perde un figlio, non scherziamo. Ma offre un orizzonte infinito, un senso alla vita e alla morte, la vita dell'Eterno che già scorre nelle nostre vene. Allora

La morte di un figlio. Come possiamo immaginare un dolore più grande? Una madre vedova che seppellisce il suo unico figlio. Luca presenta Gesù come l'unico che ridona vita alla nostra quotidianità. Davanti al miracolo della resurrezione del figlio unico della madre vedova a Nain, davanti al volto di un Dio che non punisce ma si commuove e salva, la folla si lascia andare a questo giudizio entusiasta: Dio visita il suo popolo. Sì, davvero il Signore è venuto a visitare il suo popolo. Non capiamo la ragione ultima della morte, tanto meno della morte di un giovane che, ai nostri occhi, appare ingiusta e orribile. Ma il vangelo ci invita a superare lo sconcerto: nonostante ci siano delle cose che non capiamo, Dio è buono e misericordioso. Ogni volta che compiamo un gesto che ridona vita, la folla si accorge che Dio visita il suo popolo. Ogni volta che come credenti compiamo gesti profetici di luce, rendiamo testimonianza all'azione salvifica di Dio. Dare vita nelle piccole cose, nel quotidiano, nell'accoglienza dei ragazzi al catechismo, nella preghiera gioiosa e piena di fede, nell'affrontare la vita con onestà e trasparenza, con fede cristallina... tutto ci porta a testimoniare che siamo pieni di vita perché Dio ci ha ridato vita in Gesù Cristo. Che le nostre comunità, radunate oggi nel proclamare la propria fede, siano continuamente capaci di ridare vita a chi incontrano! Che il fanciullo che c'è in noi, il giovane che sa sognare e credere e che troppo spesso mortifichiamo, si rialzi. (a cura di Paolo Curtaz)

Fonte: http://www.tiraccontolaparola.it Il Signore della compassione Una donna, una bara, un corteo. Sono gli ingredienti di base del racconto di Nain che mette in scena la normalità della tragedia in cui si recita il dolore più grande del mondo. Quel buco nero che inghiotte la vita di una madre, di un padre privati di ciò che è più importante della loro stessa vita. Quel freddo improvviso e spaventoso che ti stringe la gola e sai che d'ora in poi niente sarà più come prima. Quella donna era vedova, aveva solo quel figlio, che per lei era tutto. Due vite precipitate dentro una sola bara. Quante storie così anche oggi, quante famiglie dove la morte è di casa. Perché questo accanirsi, questa dismisura del male su spalle fragili? Il Vangelo non dà risposte, mostra solo Gesù che piange insieme alla donna, e sono due madri che piangono, sono due vedove. Gesù non sfiora il dolore, penetra dentro il suo abisso insieme a lei. Entra in città da forestiero e si rivela prossimo: chi è il prossimo? Gli avevano chiesto. Chi si avvicina al dolore altrui, se lo carica sulle spalle, cerca di consolarlo, alleviarlo, guarirlo se possibile. Il Vangelo dice che Gesù fu preso da grande compassione per lei. La

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prima risposta del Signore è di provare dolore per il dolore della donna. Vede il pianto e si commuove, non prosegue ma si ferma, e dice dolcemente: «Donna, non piangere!». Ma non si accontenta di asciugare lacrime. Gesù consola liberando. Si avvicina a una persona che, forse, in cuor suo sta maledicendo Dio: «Perché a me, perché a me? Cosa ho fatto?». Nessun segnale ci dice che quella donna fosse credente più fervida di altri. Nessuno. Ciò che fa breccia nel cuore di Gesù, il Signore amante della vita, è il suo dolore. Quella donna non prega, ma Dio ascolta il suo gemito, la supplica universale e senza parole di chi non sa più pregare o non ha fede, e si fa vicino, vicino come una madre al suo bambino. Si accosta alla bara, la tocca, parla: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». “Lévati”, “àlzati in piedi”, “sorgi”, il verbo usato per la risurrezione. «E lo restituì alla madre», restituisce il ragazzo all'abbraccio, all'amore, agli affetti che soli ci rendono vivi, alle relazioni d'amore nelle quali soltanto troviamo la vita. E tutti glorificavano Dio dicendo: è sorto un profeta grande! Gesù profetizza Dio, il Dio della compassione, che cammina per tutte le Nain del mondo, che si avvicina a chi piange, ne ascolta il gemito. Che piange con noi quando il dolore sembra sfondare il cuore. E ci convoca a operare «miracoli», non quello di trasformare una bara in una culla, come lui a Nain, ma il miracolo di stare accanto a chi soffre, lasciandosi ferire da ogni gemito, dal divino sentimento della compassione. (a cura di padre Ermes Ronchi)

Fonte: http://www.qumran2.net