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Libera la ricercaScienze Sociali 1

LIBERA LA RICERCA

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Gennaro Ascione

A sud di nessun SudPostcolonialismo, movimenti antisistemici e studi decoloniali

I LIBRI DI

EMIL

2009 Casa editrice Emil di Odoya srl : 978-88-96026-25-0

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I libri di Emil Via Benedetto Marcello 7 - 40141 Bologna www.ilibridiemil.it

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A Martina Cimmino Che mai il frastuono del silenzio inghiottisca lanelito dellindecifrabile

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Indice

Prefazione, Sandro Mezzadra Premessa. A sud di nessun Sud Introduzione. Archeologia dei saperi, paleontologia dei movimentiPRIMA PARTE TERZO MONDO E TERZOMONDISMO

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Il farsi storia del concetto di Terzo Mondo La parabola del terzomondismo (1955-1981) Terzo Mondo oggi. Mito mobilitante o chimera paralizzante?SECONDA PARTE ALLE RADICI DEGLI STUDI SUBALTERNI

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Indian Subaltern Studies. Per una storiografia antielitaria La rivolta contadina da oggetto di ricerca a paradigma dellagire subalterno La strutturazione cognitiva dellesperienza nassalita Larchivio coloniale in chiaro-scuroTERZA PARTE SAPERI SUBALTERNI SOSTENIBILI

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Al limite degli studi subalterni Le coordinate del dibattito latinoamericano Studi subalterni e Postcoloniali in America Latina. Transizioni politiche e transiti concettuali7

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Decentrare gli studi postcoloniali. Latinamericanismo requiescat in pace? Dal postoccidentalismo ai De-colonial Studies. Apuntes per un nuovo paradigma La questione indigena nella prospettiva decoloniale (In) conclusione. Imparare a imparare dagli oppressi Bibliografia Indice dei nomi

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Prefazione

Sebbene con un sensibile ritardo rispetto ad altri contesti culturali e politici, gli studi postcoloniali sono oggi ampiamente diffusi e dibattuti anche in Italia. Proprio questa discrasia, daltro canto, pu consentire al dibattito italiano di enfatizzare la radicalit politica e il carico di provocazione teorica che contraddistingue questo insieme eterogeneo di studi ed esperienze intellettuali. dallinterno della critica storiografica e politica maturata negli studi postcoloniali che A sud di nessun Sud prende le mosse, per poi estendere il proprio campo danalisi alle modalit di produzione della conoscenza nel tempo del capitalismo globale: il libro di Gennaro Ascione affronta il nodo centrale del complesso rapporto tra le vicende dei movimenti sociali emersi lungo il processo di decolonizzazione e negli Stati post-coloniali e le prospettive analitiche radicali che giungono a comporre il mosaico articolato degli studi postcoloniali oggi. Uno dei principali meriti del libro consiste nel proporre una genealogia degli studi postcoloniali differente da quella che si affermata come canonica: Ascione li sottrae allegemonia teorica della filosofia del linguaggio francese, di matrice post-strutturalista e decostruzionista, per mostrare (in una prospettiva analoga a quella proposta da Robert Young) come il poststrutturalismo stesso derivi semmai in una certa misura dallesperienza delle lotte anticoloniali. Ma soprattutto qui evidenziato come il versante storiografico della critica postcoloniale tragga linfa vitale dallesperienza di mobilitazione e di resistenza di alcuni importanti movimenti sociali in India e in America Latina, assunti e metabolizzati nel linguaggio teorico attraverso il fondamentale filtro degli studi subalterni. Il quadro che emerge dalla ricerca qui presentata quello di un confronto dialogico tra discorsi radicali allinterno dello spazio geostorico del Sud del mondo, qui costruito a partire dalla messa in scena assai sofisticata sotto il profilo metodologico di una comparazione incorporata (Philip McMichael) tra India e America latina. E tale elaborazione si risolve sia nella messa in discussione del contesto globale condiviso da questi discorsi e che ne rappresentava la premessa epistemica, vale a dire dellidea stessa dellesistenza di un Sud globale in una fase storica caratterizzata dalla dissolvenza del Terzo Mondo e del terzomondismo; sia in una ulteriore e metodica provincializzazione dellEuropa (Dipesh Chakrabarty), che piuttosto che venir considerata lo sfondo scontato o il riferimento critico implicito si trova a essere relegata in uno spazio al massimo tangente al focus analitico. Siffatta provincializzazione analitica prepara la scena in cui si manifesta la potenza politica dellirruzione sovversiva dei discorsi e delle pratiche politiche dellex Terzo Mondo nel tempio dellOccidente bianco: la teoria (p. 43). Questa irruzione capovolge uno degli archetipi del rapporto tra teoria e prassi nellimmaginario della sinistra mondiale, pi o meno terzomondista, tra le lotte anticoloniali e i movimenti sociali post-coloniali da un lato e lelaborazione di un discorso politico che vi fa riferimento dallaltro. La prassi dei movimenti sociali nelle (ex)colonie che ispira la teoria nella metropoli unimmagine consolidata. A sud di nessun Sud riesce invece a evidenziare9

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il valore politico ma intrinsecamente e volutamente teorico di quelle esperienze di resistenza e dei saperi che ne derivano, nonch del loro impatto creativo sulla teoria continentale. Infine, questa irruzione porta con s levidenziazione critica dei limiti delle forme del sapere eurocentriche, che si articola su due livelli interconnessi. Il primo quello della ricostruzione del passato come impresa razionale: la Storia come codice di rappresentazione ne risulta fortemente ridimensionata nelle sue pretese di esaustivit, ma allo stesso tempo altrettanto trasformata nella misura in cui capace di assumere in maniera consapevolmente etica la fluidit del confine tra spiegazione e narrazione. Il secondo livello quello dellincapacit del linguaggio delle scienze umane come sistema chiuso di rappresentare i processi di produzione della conoscenza che incorporano lesperienza dei movimenti sociali anticoloniali e che si muovono in un territorio non tracciato dalla retorica dello stato-nazione o della partecipazione politica alle sue istituzioni. Qui una nuova immaginazione sociologica, per riprendere la formula di Charles Wright Mills, si nutre dellepistemologia della complessit e del lessico delle scienze della vita. Ed in direzione dellelaborazione di concetti nuovi per unimmaginazione sociologica della contemporaneit e di nuovi strumenti danalisi per la ri-lettura della storia moderna e contemporanea che A sud di nessun Sud compie un passo in avanti importante rispetto al dibattito italiano ma anche internazionale allinterno degli studi postcoloniali. Sandro Mezzadra

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Premessa

Quando tornai da basso il vecchio aveva gi appoggiato la testa sul bancone. Era completamente andato. Non avevamo mangiato niente tutto il giorno e lui non aveva una gran resistenza. Accanto alla testa china cera un dollaro e qualche spicciolo. Per un attimo pensai di portarmelo dietro, ma non riuscivo neanche a badare a me stesso. Uscii dal bar. La notte era fresca e io mi diressi verso Nord. Charles Bukowski A sud di nessun nord

Un tardo pomeriggio di primavera inoltrata, nel periodo in cui iniziavo la stesura di questo lavoro, chiacchieravo con un mio amico che abita a cinquanta metri da casa mia. Ponticelli. Estrema periferia orientale di Napoli. Cos come nellimmortale sceneggiatura di Troisi, la sua storia damore pi importante, fino a quel momento per fortuna, era andata in frantumi in malo modo e il suo risentimento aveva come effetto collaterale quello di ricondurre qualsiasi argomento di conversazione a uninvettiva pi o meno accesa nei confronti di lei. Per tenere a bada i miei fantasmi e distrarre lui da pensieri nefasti provai a sedare gli uni e sopire gli altri, annoiandoci con il racconto di ci di cui mi accingevo a scrivere; dopo alcuni minuti, determinato nel mio intento di dissuasione ma altrettanto incerto sullefficacia della mia esposizione per uno studente di architettura, dilatai volutamente una pausa interlocutoria e lo fissai discreto, sebbene intimamente speranzoso in una reazione. E la reazione non si fece attendere: Capisco perfettamente ci che intendi, mi disse. Una volta ero su a San Martino a godermi la vista di Napoli dallalto insieme a lei, e lei mi fece notare orgogliosa la differenza di visuale tra la zona collinare in cui viveva e i quartieri popolari della citt. vero, le risposi, da qui voi vedete un magnifico panorama ma tieni a mente, tesoro: il panorama siamo noi!. Custodisco geloso questa diafora brillantemente esemplificativa dello spiazzamento di angolo visuale che il postcolonialismo ha prodotto nelle modalit di rappresentazione della storia del sistema-mondo moderno. Al di l di ogni mia pi rosea aspettativa, lidea che volevo comunicargli aveva attraversato i subcontinenti topologicamente lontani (India e America Latina) in cui i miei esotici contadini bengalesi, operai di Calcutta, seringeiros ecuadoriani, zapatisti messicani, rischiavano di restare intrappolati, e si adagiava con ergonomica disinvoltura sullettaro di biosfera lacera di cui noi due condividiamo i tragitti, i codici, le storie. Quella reazione (solo superficialmente naf) rispondeva, in virt della sagacia irriflessa e in fondo indecifrabile dellanalogia, allappello con cui Robert Young apriva il suo Postcolonialism:Se sei qualcuno che non sidentifica come occidentale, o in qualche modo non completamente occidentale anche se vivi in un paese occidentale, o qualcuno che parte di una cultura ma tuttavia

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Young 2003: 2. 11

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escluso dalle sue voci dominanti, interno eppure allesterno, allora il postcolonialismo ti offre un modo di vedere le cose in maniera differente1.

Differente da cosa? Senza dubbio differente dallo sguardo coloniale europeo; dagli articolati disegni globali che hanno costituito nel corso dei secoli la panoplia teorica della dominazione bianca, borghese, maschile, eterosessuale, cristiana nel mondo moderno; ma, allo stesso tempo, e in un modo forse pi caustico e terapeutico, differente dai progetti di emancipazione politica emersi e affermatisi come egemonici nel quadro delle numerosissime, eterogenee, divergenti forme organizzate di opposizione al dominio coloniale e imperialista. Progetti di emancipazione inscritti per lo pi nella grammatica del nazionalismo e spesso nella lingua del marxismo europeo. Il postcolonialismo viene al mondo brandendo il coltello insanguinato appena estratto dal ventre della storia coloniale e si solleva sulle sue gambe sospinto dalla pulsione edipea del parricidio di Marx. Eppure ne conserva in parte il patrimonio genetico; a sua volta muta, si trasforma nei vari contesti dello spazio-tempo della modernit in cui transita, vive delle storie aliene che tenta di raccontare, matura la consapevolezza della propria transitoriet, offre il fianco ad altri saperi bastardi, e insieme a essi continua a porsi interrogativi altrimenti impensabili. Questi interrogativi, oggi, sospingono il postcolonialismo stesso al di l dei propri confini interpretativi. Confini tracciati progressivamente dai moti centripeti specifici dei processi di omeostatizzazione epistemica per mezzo dei quali qualsiasi prospettiva analitica acquisisce legittimit nel corso della propria strutturazione gnoseologica. La destabilizzazione di tali confini muove in direzione di un rinnovato quanto necessario interesse per il mondo come unit danalisi, indipendentemente dalla scala interpretativa di volta in volta assunta o ipotizzata (Escobar 2008: 3). Un mondo dove le coordinate spazio-temporali di ciascuna narrazione acquisiscono rilievo nella misura in cui il derapage anisotropico tra lordine logico e quello storico di concetti intrinsecamente relazionali quali capitalismo e colonialismo, giunge s a fondare la consapevolezza della capacit performativa connessa al loro potere euristico di astrazioni concrete, ma allo stesso tempo tale da stagliare lineludibilit del vincolo latu sensu biologico sullorizzonte storico della loro futuribile mortalit antropologica. Il postcolonialismo si costituisce come un campo di opzioni simultaneamente politiche e teoriche, in cui la provocatoriet delle prime sintreccia con loriginalit delle seconde. Queste ultime sono riconducibili alla costellazione della critica postcoloniale, emersa negli anni Ottanta, diffusasi nel panorama accademico internazionale nel corso degli anni Novanta e pi recentemente implosa, secondo limmagine proposta da Mezzadra, per innestarsi con i suoi concetti, i suoi approcci e le sue intuizioni, sotto forma di enzimi nel tessuto vivente di altri dibattiti politici e scientifici (Mezzadra 2008: 10). Gli studi postcoloniali descrivono uno spazio critico piuttosto che una teoria; un insieme di prospettive che condividono una tensione verso quei gruppi sociali, quelle esperienze storiche, quelle forme culturali marginalizzate, aggredite, messe a tacere dal colonialismo e dalla sua palingenesi neocoloniale nel secondo dopoguerra. In questo senso, gli studi postcoloniali si inseriscono nella scia del pensiero critico, che Max Horkheimer defin come quellattivit di analisi tesa al disvelamento delle logiche di funzionamento che garantiscono il perdurare dello status quo, con lobbiettivo di sostituirle con ordinamenti sociali maggiormente egualitari (Horkheimer 1972: 188). Nel tentativo di attualizzare la definizione fornita da Horkheimer, William Robinson ha definito il pensiero critico come il tentativo di mettere in questione la realt sociale in cui studiamo ed esistiamo, domandandoci da cosa derivi lordine attuale, quali sono gli attori in gioco, quale il potenziale umano coinvolto nel cambiamento sociale e che relazioni pu il discorso critico stabilire tra le soggettivit che individua e gli ordini preesistenti o possibili (Robinson 2006: 13). Gli studi postcoloniali hanno avuto il merito, insieme ad altre prospettive danalisi emerse negli ultimi decenni, di elaborare una critica serrata alle modalit stesse di pensare la storia del colonialismo: questultimo, si sostiene, non pu essere inteso esclusivamente in termini di una12

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matrice omogeneizzante che conterrebbe ab origine e in potenza le condizioni stesse della sua evoluzione, in grado quindi di procedere sussumendo completamente ci che altro da s e che incontra lungo il suo espandersi. Sia che ci riferiamo alla modernit in termini di sistema di valori, che di organizzazione socio-economica, limmagine contro cui la critica postcoloniale si oppone quella del diffusionismo. La critica postcoloniale ha inteso narrare la modernit in termini di interazione costitutiva tra colonizzatore e colonizzato, in un rapporto asimmetrico, senza dubbio, ma reciproco (Mezzadra 2005: 145-147). Limmagine dellimplosione risulta utile non soltanto per descrivere lo stato di (non)coesione accademica degli studi postcoloniali oggi. Essa coglie quella struttura molecolare fatta di tanti spunti di riflessione che appare evidente, sin dallinizio, a chi si muove allinterno del campo del postcoloniale o a chi ne attraversa gli spazi profondi, piuttosto che le superfici sdrucciolevoli. Questo caratteristico disgregarsi, disperdersi per poi riformarsi sotto sembianze nuove, costituisce la modalit privilegiata per mezzo della quale la critica postcoloniale ha viaggiato dallIndia allAmerica Latina; viaggio che costituisce la trama di questo lavoro. Va chiarito che, pi che articolarsi in relazione alla matrice decostruzionista della critica postcoloniale, il dialogo tra America Latina e India si sviluppa intorno alla possibilit di una storia sociale dei subalterni e al progetto intellettuale di rileggere la storia della modernit al di l dellapparato categoriale eurocentrico. Per questo motivo gli studiosi latinoamericani sinteressarono agli strumenti concettuali elaborati da Ranajit Guha e dal collettivo degli storici subalterni indiani per spiegare e criticare le inadeguatezze e le insufficienze delle narrazioni ispirate al paradigma liberal-marxista sulle rivolte contadine, colpevoli di aver tratteggiato, senza sfumature di rilievo, limmagine compatta della partecipazione organica delle masse al movimento di liberazione nazionale indiano (Grosfoguel 2006: 284). Gli studi subalterni indiani, insieme alla loro declinazione che prende forma sulla sponda orientale del Pacifico centro-meridionale, evidenziano i limiti del discorso dellimpero nella costruzione eteroglossa del discorso sullimpero. Costruzione eteroglossa, dunque. Mentre nel lavoro di Guha tale costruzione si configurava come approdo dellextraversione delle categorie eurocentriche adoperate fino ad allora dalla storiografia sulle mobilitazioni politiche dei subalterni, sia per gli studiosi latinoamericani, sia nel progetto di provincializzare lEuropa di Chakrabarty, essa costituisce piuttosto una piattaforma programmatica condivisa. E tuttavia, le modalit di questa costruzione eteroglossa definiscono percorsi intellettuali difformi, che si evidenziano fin dallinizio tra gli studiosi latinoamericani2. Riproponendo per certi versi ci che Spivak aveva battezzato essenzialismo strategico, gli studiosi latinoamericani adottano come prassi intellettuale quella di fondare le proprie letture su autori non europei. Il tentativo di costruire una genealogia latinoamericana della riflessione non-eurocentrica li ha condotti infatti a confrontarsi con una tradizione di pensiero indigena spesso sottovalutata. Questa genealogia, che collega lideale bolivariano, la teologia della liberazione, le teorie della dipendenza, messa in comunicazione con gli studi postcoloniali, rappresenta il luogo della genesi della proposta scientifica dei De-colonial Studies. Percorsi intellettuali difformi si detto. Linteresse comune per il rapporto dei gruppi subalterni con la storia del mondo moderno assume sembianze diverse nei diversi spazi considerati. Qui si sovrappongono i contesti geostorici e i contesti intellettuali. Da un lato, lo sforzo dindividuare le nuove figure della subalternit si traduce in una differente problematizzazione dello spazio in relazione alle forme di resistenza allegemonia. Tendenzialmente, gli studi postcoloniali2 Tra le diverse ragioni alla base della scissione interna al Latin American Subaltern Studies Group, una consisteva nel disaccordo tra chi leggeva la subalternit come una critica postmoderna (ovvero una critica eurocentrica delleurocentrismo) e chi leggeva la subalternit come un tentativo di decolonizzare leurocentrismo a partire dai saperi subalternizzati e marginalizzati (Mignolo 2000a: 183186, 213214).

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nel mondo anglofono si concentrano sulle molteplici sfumature dei fenomeni migratori e ne assumono la centralit nella rappresentazione dellintera modernit, organizzando i propri discorsi non pi intorno ai gruppi subalterni dellIndia coloniale, ma piuttosto intorno al fenomeno delle diaspore; tendenzialmente, dal canto suo, la prospettiva latinoamericana si concentra su quei gruppi che fanno invece della resistenza alla mobilit il nucleo centrale della propria ecologia politica; per questo motivo, la prospettiva latinoamericana assume come forma esemplare di resistenza i movimenti indigeni. Leffetto complessivo di tali prospettive suggerisce almeno due punti di fuga non contraddittori. Da un lato, il focus differenziale sulle figure della subalternit sposta lo sguardo verso la critica delle forme occidentali di cittadinanza, dove questultima, tuttaltro che costituirsi come fondamento condiviso di un ordinamento sociale pacificato, diviene lo spazio politico della lotta sociale per il riconoscimento giuridico della viscosit dei confini geografici, legali, culturali, sia allinterno delle statualit occidentali che in quelle sorte nel corso delle fasi sincopate del processo sistemico di decolonizzazione. Dallaltro, la mobilit del concetto di subalternit allinterno del campo del postcoloniale, e pi in generale nel quadro di quel vasto spazio geostorico cui in anni recenti si soliti riferirsi con il termine di Sud Globale, produce leffetto di una radicale problematizzazione della coesione di tale Sud e della sua adeguatezza nel colmare il vuoto lasciato dal tramonto del Terzo Mondo3. Non solo la crisi delleurocentrismo svela la natura performativa anzich ontologica del Nord come costrutto iperreale, ma la critica subalterna al postcolonialismo stesso disarticola lologramma di un Sud globale, restituendo al pensiero critico la radicalit politica e generativa propria di una molteplicit mutevole di sud concreti. Alla normativit eteroriproduttiva corrisponde larticolazione eterarchica della subalternit, e nel cono dombra proiettato dallimmagine di un Sud globale, brulicano i sud, ossia i transienti in cui si sostanziano le biopolitiche del capitale4.

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Secondo Arrighi il Sud Globale (Global South) il prodotto di quattro diversi processi storici innestati luno sullaltro a mo di matrioska. Il primo stato la conquista europea del mondo e il conseguente spopolamento e ripopolazione delle Americhe e dellAustralasia, e la colonizzazione dellAfrica e di gran parte dellAsia. Il secondo processo stato la rivolta contro lOccidente da parte dei popoli di Asia e Africa nella prima met del XX secolo. Il terzo processo la costituzione del Terzo Mondo durante la Guerra fredda. Il quarto stato il collasso del Secondo Mondo e la ricostituzione del Primo Mondo e del Terzo Mondo come rispettivamente il Nord Globale e il Sud Globale, nel periodo post-Guerra fredda (Arrighi 2006: 1). Sul concetto di normativit eteroriproduttiva (NER) si veda Spivak 2005: 46 e ss. Sul concetto di eterarchia si faccia riferimento al pensiero sulle strutture sociali di Kyriakos M. Kontopoulos (Kontopoulos 1993). 14

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Introduzione Intratesto. Archeologia dei saperi, paleontologia dei movimenti.

La trama del dialogo tra studi subalterni in India e in America Latina prende spunto dalla proposta metodologica di McMichael della comparazione incorporata (incorporated comparison). Essa si fonda su tre assunti: la comparazione non va letta in termini di una procedura formale, esterna, in cui i casi vengono giustapposti come veicoli separati di modelli di variazione comuni o contrastanti. La comparazione piuttosto interna allindagine storica, dove i processi-istanze sono comparabili perch storicamente connessi e reciprocamente condizionanti. Secondo, la comparazione incorporata non procede a partire da una concezione a priori della composizione e del contesto delle unit comparate, ma piuttosto queste ultime si formano in relazione le une alle altre e in relazione al tutto, formato attraverso le loro interrelazioni. In altre parole, il tutto non dato, ma autoformantesi. Terzo, la comparazione pu essere condotta attraverso lo spazio e il tempo, separatamente oppure congiuntamente (McMichael 2000: 271). Il nostro discorso sinscrive nella crisi del concetto di Terzo Mondo e del terzomondismo. Dinamiche interconnesse analizzate nel capitolo introduttivo e che forniscono le coordinate per addentrarsi nellindagine sulla storiografia dellIndian Subaltern Studies Group e sui De-colonial Studies latinoamericani. La vicenda del collettivo di ricercatori indiano e del suo rapporto morfogenetico con il movimento nassalita, guerriglia dispirazione maoista, diffusosi in India negli anni Sessanta, costituisce il nucleo tematico della seconda parte del lavoro. Lanalisi dellIndian Subaltern Studies Group circoscritta a un ambito definito di studiosi e di riflessioni, poich la sua vicenda intellettuale vive, dal punto di vista editoriale, attraverso la collana che questi stessi studiosi curavano e di cui erano fondatori e editori: la serie Subaltern Studies. Questa circostanza ha offerto la possibilit di analizzare la formazione e la rielaborazione di determinati concetti, quello di subalternit e di violenza simbolica principalmente, a partire da una serie di discorsi e metodologie organizzati in modo relativamente coeso, e strutturati come nucleo centrale, in termini di programma di ricerca. Una volta definite le componenti metodologiche ed euristiche di tale programma di ricerca, e rei di averne storicizzato il contributo, lo abbiamo ancorato a una struttura narrativa di ordine cronologico e causale. Tale coesione, che si approssimi o meno a un grado accettabile di plausibilit analitica, resta pur sempre una ri-costruzione che, al pari di altre, pi o meno accurate, trova sostegno inconscio e infine validazione in una struttura inferenziale piuttosto familiare. Chiamiamola linea narrativa (story line). Essa realizza di fatto quella che Hayden Whyte ha definito addomesitcazione politica dei fatti storici, che pretende di scoprire nella complessit della realt storica un ordine a essa immanente e umanamente intelligibile. Eppure, secondo WhyteLa realt storica non ha nessun ordine in se stessa. Fornirle un ordine una responsabilit umana messa in atto, in questo caso, dallo storico. Quando lo storico scrive come se la realt ordinata15

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delle narrazioni storiche fosse qualcosa che esistita naturalmente nel mondo indipendentemente dallazione dello storico di ordinamento della realt questi si sottrae alla responsabilit che luomo deve assumere per dare un significato l dove prima non ve ne era alcuno. Se [...], come storici, accettassimo questa responsabilit [...] riconosceremmo sia linnato disordine della realt sia la visione (politica) che ispira il significato che andiamo a cercare in essa1.

Proprio in virt di questo ordine logico e cronologico, levoluzione della vicenda degli studi subalterni giunge tuttavia a dischiudere il programma di ricerca originario, per connettersi in modo complesso al pensiero di Edward Said, agli studi postcoloniali, e a una serie di dibattiti che intanto prendevano forma in America Latina nei primi anni Novanta e che costituiscono il nucleo tematico della terza parte del lavoro. Qui, le condizioni epistemiche e le esigenze organizzative in cui si inserivano i dibattiti teorici che abbiamo delineato a proposito dellIndia interagiscono con un quadro diversamente articolato e che si offre a un diverso tipo di narrazione. Una comunit accademica diffusa lungo i network che connettono il Sudamerica con gli Stati Uniti; nessuna rivista che fa da punto di riferimento esplicito per il dibattito (eccetto lesperienza di Nepantla, nata nel 2000 e conclusasi nel 2003); ma soprattutto un insieme di prospettive in fase di elaborazione che definiscono, a tuttoggi, un campo di possibilit aperto, vivo e in continua trasformazione. Nessuna struttura rigida di ordine logico-cronologico pu rendere questa complessa discontinuit, perch siamo di fronte a saperi in formazione, che rielaborano continuamente le proprie premesse e i propri spazi di indagine. In relazione a fenomeni ben pi stabili di quanto non lo siano i processi sociali di produzione della conoscenza storica, un analogo problema di approssimazione alloggetto di studio ha costituito la base della geometria dei frattali di Mandelbrot. Nel descrivere la procedura di definizione degli oggetti frattali, Mandelbrot afferma:La nozione che fa da filo conduttore sar designata da uno dei due neologismi sinonimi oggetto frattale e frattale, termini da me concepiti [] e che si richiamano allaggettivo latino fractus, che significa interrotto, irregolare. il caso di definire una figura frattale in maniera rigorosa, per poter in seguito affermare che un oggetto reale frattale quando lo la figura che ne rappresenta il modello? Ritenendo che un formalismo del genere sarebbe prematuro, ho adottato un metodo affatto diverso: esso si basa su di una caratterizzazione aperta, intuitiva, che procede per tocchi successivi2.

Nellimpossibilit di adottare una definizione circoscritta a un determinato progetto di ricerca, come stato possibile per la prospettiva indiana degli studi subalterni, procediamo in un modo che immaginiamo simile a quello delineato da Mandelbrot per definire i frattali. Quanto allAmerica Latina, dunque, alcuni nuclei tematici emergono come cruciali, ed attorno a essi che prende forma man mano un discorso riconoscibile sui movimenti indigeni, ed intorno a tali concetti che gli intellettuali coinvolti nel dibattito hanno elaborato il proprio pensiero: il postcolonialismo, gli studi subalterni, il latinamericanismo, i De-Colonial Studies sono piattaforme critiche in relazione luna allaltra che definiscono, nel complesso, un quadro di notevole effervescenza gnoseologica3. Come hanno affermato Deleuze e Guattari, la contemporaneit ci spinge a elaborare nuove forme dindagine. Il sapere si configura non solo come uno sguardo nella profondit dei processi,1 2 3

Whyte 1987: 72. Mandelbrot 1987: 7. Mutuiamo il concetto di effervescenza gnoseologica da Lentini (Lentini 2003: 394). 16

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ma anche come una prospettiva sullestensione del mondo e della conoscenza; i concetti, in questo senso, non si reggono sui fondamenti, ma innervano la superficie del campo dindagine e ne connettono gli spazi frammentari e discontinui (Deleuze e Guattari: 2004: 33). Ponendo due ordini di questioni differenti, i processi di produzione del sapere individuati in ciascuno dei due contesti geostorici in cui prende forma il lavoro costringono al consapevole opportunismo metodologico proposto da Feyerabend, il quale afferma:Dobbiamo credere veramente che le regole ingenue e semplicistiche che i metodologi prendono come loro guida, possano rendere ragione di un tale labirinto di interazioni? E non chiaro che pu partecipare a un processo di questo genere solo un opportunista senza scrupoli, che non sia legato a nessuna particolare filosofia e che adotti in ogni caso il procedimento che gli sembra il pi opportuno nella particolare circostanza? [] Un mezzo complesso comprende sviluppi sorprendenti e imprevisti, richiede procedimenti complessi e presenta difficolt insuperabili a unanalisi la quale operi sulla base di regole che siano state costituite in anticipo e senza tener conto delle condizioni sempre mutevoli della storia4.

Lo spazio definito dalle interazioni tra studi subalterni, prospettiva postcoloniale e studi decoloniali, emerge nella sua natura teorica e politica. In esso, la divergenza principale resta quella generata dalla diffidenza verso lontologizzazione della agency da un lato e lesigenza politica di fondarne la possibilit storica dallaltro. Il limite del progetto decostruzionista, che tanta parte ha negli studi postcoloniali, sembra evidenziarsi proprio nel momento in cui se ne riconoscono a pieno i meriti. Il decostruzionismo, concentrandosi sulla ridefinizione continua del concetto di limite, estromette implicitamente dal proprio discorso i limiti intrinseci nel logocentrismo teorico. Esso finisce paradossalmente con lassumere le sembianze della ragione illuministica di cui fiero antagonista, pretendendo di sapere leggere ogni forma di vita e di relazione che si estrinsechi per mezzo del linguaggio. In questo senso dunque, da un punto di vista complessivo, il postcolonialismo renderebbe il discorso eurocentrico resiliente rispetto a questi processi e quei saperi che tentano di demolirne le fondamenta. Ma la consapevolezza di questa sottile complicit tra critica postcoloniale ed eurocentrismo sembra farsi largo. La stessa Spivak, decostruzionista radicale, ha sostenuto la necessit di creare quelle infrastrutture che siano in grado di dare voce allazione collettiva dei subalterni (Spivak 2005: 55). Said, in Dire la verit, afferma che gli intellettuali sono stati padri e madri dei movimenti, ma anche figlie e figli, o addirittura nipoti (Said 1995: 25). Si noti la struttura asimmetrica del chiasmo. Pu darsi che non sia di enorme importanza ai fini del discorso complessivo di Said sul rapporto tra intellettuali e potere, ma se cos non fosse, allora suonerebbe come un monito allumilt nei confronti dei movimenti sociali e di chi, con tutti i limiti e le contraddizioni, si fa carico, spesso inconsapevolmente, di processi di trasformazione dellordine esistente. Del resto, chi fa la storia del proprio tempo, spesso, non fa in tempo a scriverla. E tuttavia, il rapporto tra lemergere di alcuni saperi e di alcuni movimenti sociali sembra essere ben pi complesso che la mera narrazione o descrizione di un fenomeno da parte dello storico. Nikolao Merker, negli anni Settanta del secolo scorso, tent di aprire un varco in questo spazio profondo5. Egli rinvenne, nella complicata ed erudita cosmologia di Paracelso, lo shock che le rivolte contadine che imperversarono in Europa nei primi decenni del XVI secolo, agli albori dellet moderna, avevano esercitato sulla sua visione del mondo6. Paracelso, considerato4 5 6

Feyerabend 2005: 16. Si vedano lintroduzione e il primo capitolo di Merker 1974.

Ci riferiamo alle rivolte contadine che si diffusero in Europa negli anni Venti del XVI secolo e che divamparono dalla Germania meridionale fino alla Svizzera. 17

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oggi il primo medico erborista, nelle sue innumerevoli opere menziona raramente in modo esplicito il radicalismo contadino di cui fu testimone7. Cos come Guha non nomina i nassaliti nei saggi contenuti nella collana Subaltern Studies. Eppure ambedue i discorsi, i saperi che hanno contribuito a costruire, recano traccia di quei fenomeni e delle ribellioni che ne nutrirono limmaginario politico. E cos questo lavoro. Tuttavia non si tratta di reperti da recuperare attraverso unarcheologia del sapere, poich la metafora foucaultiana produce limmagine insoddisfacente di una reliquia da porre nella teca delle estinzioni per essere infine contemplata da inconsapevoli darwinisti compiaciuti. Le tracce di questi fenomeni sociali formano piuttosto un sostrato storico in cui si conserva intatto il loro patrimonio genetico che, raccontando di ci che stato, svela sempre qualcosa su ci che , sarebbe stato, potrebbe essere8. Fossili di forme di vita umana organizzata, rispetto ai quali il lavoro di ricerca e decodifica meravigliosamente intricato quanto quello della pi appassionata studiosa di paleontologia.

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Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim fu un grande alchimista, astronomo e medico svizzero. Studi a Ferrara negli stessi anni di Copernico e fu il primo in Occidente a estendere larte medica agli estratti delle piante officinali. Per una critica al darwinismo e alle sue implicazioni sulla concezione del tempo, si veda Eldredge 1999. 18

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TERZO MONDO E TERZOMONDISMO

PRIMA PARTE

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Il Terzo Mondo molto pi terzo di noi. (dal libro Io speriamo che me la cavo)

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Il farsi Storia del concetto di Terzo Mondo

Leurocentrismo delle scienze storico-sociali e lapparato logico-grammaticale attraverso cui il pensiero occidentale ha prodotto le proprie narrazioni del passato e letto lincontro coloniale sono stati messi in discussione da diverse prospettive, a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Edward Said, nel tentativo di rendere la complessit della storia intellettuale del diffondersi di questi approcci nelle istituzioni culturali e accademiche occidentali, ha affermato:Nelle universit europee e americane studenti e docenti avevano lavorato assiduamente negli anni Ottanta per allargare le discipline ritenute fondamentali, in modo da includere testi prodotti da donne, artisti e pensatori non europei e subalterni. Questimpresa fu accompagnata da importanti cambiamenti nellapproccio agli area studies, da molto tempo appannaggio degli orientalisti classici e dei loro omologhi in altre discipline. LAntropologia, la Scienza Politica, la Letteratura, la Sociologia e soprattutto la Storia sentirono leffetto di una critica delle fonti condotta ad ampio raggio, dellintroduzione della teoria e dello spodestamento della prospettiva eurocentrica1.

Nellintroduzione al suo seminale studio sullorientalismo, il pensatore palestinese sottolineava come, nel corso della storia dei saperi eurocentrici dediti alla costruzione e dominazione dei popoli non-europei, linterazione tra orientalismo accademico e orientalismo extra-accademico non fosse mai venuta a mancare (Said 1999: 13). Seppur muovendo da una critica strutturalista eterodossa alle interpretazioni di matrice culturalista del rapporto tra le ideologie del capitalismo e lIslam politico, leconomista egiziano Samir Amin ha fornito una definizione piuttosto inclusiva del significato storico delleurocentrismo, in grado di rendere il senso del suo operare quasi meccanico in ambiti quali la riflessione scientifica, il discorso pubblico e la produzione culturale:Leurocentrismo non una teoria che a causa della sua coerenza globale e della sua aspirazione totalizzante pretende di fornire la chiave interpretativa dei problemi di cui sinteressa la Scienza Sociale. Leurocentrismo non altro che una deformazione, sistematica e fondamentale, che la maggior parte delle ideologie e delle teorie sociali dominanti condividono. In altre parole, leurocentrismo un paradigma che, come tutti i paradigmi, funziona in modo automatico, nella vaghezza dellevidenza apparente e del senso comune. Per questo motivo esso si manifesta secondo modalit differenti, tanto nelle espressioni volgari dei pregiudizi veicolati attraverso i mezzi di comunicazione, quanto nelle asserzioni erudite degli specialisti dei diversi campi del sapere2.

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Said 1999: 348. Amin 1989: 9. 23

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E per quanto la fascinazione per la terminologia di Thomas Kuhn irrigidisca la caratterizzazione delleurocentrismo fornita da Amin entro limmagine di un sistema di significanti relativamente coeso, essa coglie un elemento essenziale del suo manifestarsi storicamente, ovvero la sua multiforme fenomenologia. In risposta a questa complessa eterogeneit di manifestazioni e di modus operandi, le critiche rivolte alletnocentrismo europeo e al suo universalismo si sono articolate lungo linee di indagine polimorfe e sono emerse da varie collocazioni geo-storiche che compongono la cartografia discontinua del mondo moderno3. Rispetto a essa, il Medio Oriente costituisce uno tra i molteplici luoghi di una diffusa e spesso simultanea effervescenza gnoseologica. Mentre alcune di queste linee dindagine nascono allinterno del pensiero occidentale, o meglio da studiosi formatisi entro la tradizione del pensiero occidentale, dai decostruzionisti ai postmodernisti, dai teorici della dipendenza agli studiosi dei sistemi-mondo, altre linee dindagine, invece, affondano le proprie radici in contesti intellettuali situati in quello che nel mondo bipolare veniva definito Terzo Mondo, oppure sono opera di studiosi provenienti dalle ex colonie, trasferitisi nelle accademie dei paesi del Primo Mondo: Subaltern Studies e Postcolonial Studies. Come rilevato da Sandro Mezzadra, questo secondo insieme di prospettive ha avuto il merito innanzitutto di delegittimare le modalit egemoniche di pensare la storia del colonialismo, nonch di relativizzare il ruolo dellOccidente e dei suoi saperi nella produzione dello spazio-tempo della modernit (Mezzadra 2008). Sia che ci riferiamo alla modernit in termini di sistema di valori, che di organizzazione socio-economica, limmagine contro cui la critica postcoloniale si oppone quella del diffusionismo: linsieme di prospettive individuate dal campo del postcoloniale hanno inteso narrare la modernit in termini dinterazione costitutiva tra colonizzatore e colonizzato, in un rapporto asimmetrico, senza dubbio, ma inevitabilmente reciproco (Mezzadra 2005: 145-147). Non solo. Esse hanno saputo destabilizzare alcuni degli strumenti danalisi pi incisivi che i diversi orientamenti analitici afferenti al primo insieme di prospettive avevano elaborato nella fucina degli studi sullo sviluppo e della teoria critica. Ancora, negli ultimi anni queste prospettive legate ai contesti ex coloniali del Terzo Mondo hanno aperto il campo allemergere ulteriore di saperi e riflessioni originali, come i De-colonial Studies latinoamericani. Infine, lintenso dialogo critico tra Subaltern Studies, Postcolonial Studies e prospettiva de-coloniale stato in grado di contribuire in modo sensibile alla problematizzazione delle coordinate stesse che descrivevano la collocazione geo-epistemica delle loro rispettive genealogie. Giorgio Baratta ha inteso rappresentare la mappa di siffatte collocazioni in termini di articolazione territoriale della critica allo storicismo europeo a cavallo tra XX e XXI secolo4. Ebbene, la costruzione di tale rappresentazione dello spazio della modernit il prodotto storico di una proiezione di sviluppo che assume come piano ausiliario il concetto di Terzo Mondo. Terzo Mondo uno dei lemmi fondamentali della Storia e delle scienze sociali nella seconda met del Novecento. La sua diffusione in ambiti spesso reciprocamente distanti testimonia una percezione condivisa del suo valore descrittivo e della sua capacit di individuare delle entit cheLattributo geostorico si riferisce al concetto di geo-historical di Taylor. Taylor introduce il suo contributo alla rielaborazione delle categorie interpretative della modernit sostenendo la necessit di oltrepassare limmagine del mondo moderno come uno spazio omogeneo universale, in direzione di una concettualizzazione maggiormente fluida, basata sullidea che differenti processi storici interconnessi abbiano prodotto molteplici spazi e tempi, sebbene in un quadro solistico e sistemico (Taylor 1999: 5-6, 34). La riflessione di Taylor sistematizza lidea di Wallerstein di concepire le coordinate fondamentali del sistema-mondo capitalistico in termini di unico spazio-tempo della modernit (Wallerstein 1996b: 135-148).3 4 Discorso introduttivo tenuto al convegno tenuto su Gramsci in occasione del settantesimo anniversario della morte del segretario del Pci. Gramsci. Le culture e il mondo, convegno internazionale di studi promosso e organizzato dallInternational Gramsci Society e dalla Fondazione Istituto Gramsci. Roma 27-28 Aprile 2007.

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sono parte della geografia del mondo moderno. Tuttavia, il concetto di Terzo Mondo non ha mai costituito una categoria analitica chiara, ma piuttosto la tassonomia astigmatica di un insieme di stati e regioni delleconomia-mondo moderna. Il suo utilizzo accomuna sia coloro che lo hanno assunto come piattaforma di rivendicazioni ispirate al principio della redistribuzione delle risorse politiche ed economiche su scala mondiale, sia coloro che lo hanno accolto, adoperato e diffuso nel lessico accademico, avallandone altres il suo potere euristico (Clapham 1985: 7). Peter Worsley, studioso che per primo bas esplicitamente il proprio The Third World su tale concetto, ha poi affermato diversi anni dopo che, negli anni Sessanta, la natura del cosiddetto Terzo Mondo appariva talmente autoevidente che nel libro egli non aveva ritenuto necessario definire in modo pi specifico quello spazio geostorico corrispondente ai paesi ex coloniali (Worsley 1984: 309). In effetti, il concetto di Terzo Mondo ha spesso assunto connotati normativi piuttosto che analitici. John Goldthorpe apr uno dei suoi lavori pi conosciuti e influenti in questo modo: Se i paesi ricchi e industrializzati del mondo moderno possono essere raggruppati in Occidente e Oriente, allora i paesi poveri costituiscono il Terzo Mondo, che si distingue dagli altri due per la ridotta capacit di controllo sulle risorse (Goldthorpe 1975: 1). Tuttavia, e spesso al di l dellefficacia terminologica e delladeguatezza del lemma Terzo Mondo, diverse prospettive politiche e scientifiche hanno sottolineato la necessit e limportanza del valore identitario di tale concetto, in funzione di una coscienza condivisa delle soggettivit storiche accomunate dallesperienza del colonialismo e dalla prolungata sottomissione al dominio occidentale. In questo senso, secondo John Toyle, il Terzo Mondo non dovrebbe scomparire dalle nostre menti. Esso dovrebbe piuttosto ricordarci continuamente di una nostra mancanza collettiva, ovvero lincapacit di percepirci come appartenenti a un solo mondo e non a molti, differenti mondi (Toyle 1992: 31). Il campo di tensioni definito dal dibattito intorno alle questioni veicolate dal concetto di Terzo Mondo appare di gran lunga meno vivace negli ultimi anni. Per quanto poco esplicativo in s, uno sguardo alle occorrenze del termine Third World nella letteratura accademica e nella pubblicistica politica ed economica del mondo anglofono evidenzia un suo palese declino5. Ma proprio la parabola del concetto di Terzo Mondo essenziale per comprendere le relazioni storiche che sono alla base della genesi degli Studi subalterni, postcoloniali e decoloniali. Cos come gran parte del lessico vischioso per mezzo del quale la Storia del Novecento continua a ostacolare lelaborazione di un pensiero posteurocentrico, anche la nozione di Terzo Mondo ha origine nella retorica dei primi e convulsi anni della Guerra fredda. Mentre i due blocchi andavano definendosi e cristallizzandosi in una configurazione spaziale che spaccava longitudinalmente lEuropa postbellica, nella letteratura polemica della sinistra non-comunista francese di fine anni Quaranta, maturava lidea della necessit di una terza forza che fosse distinta sia dal capitalismo americano che dal comunismo sovietico e assicurasse una prospettiva di futura autonomia alla Francia nello scacchiere internazionale (Tomlinson 2003: 309-310). Come afferma Safire, il termine francese tiers monde si diffuse nel periodo 1947-1949 per descrivere partiti e gruppi politici che tentavano di mantenere le distanze sia dal regime della Quarta Repubblica (1946-1958) che dal Rassemblement du peuple franais di De Gaulle. Ben presto per, gli fu preferita leco politico-militare del termine Terza Forza (Safire 1972: 659). Linvenzione del concetto di Terzo Mondo, nellaccezione a noi nota, tuttavia attribuita al demografo Alfred Sauvy che lo adoper in un articolo del 1952, dal titolo Trois Mondes, Une Plante, apparso sul giornale socialista LObservateur il 14 Agosto 1953. In esso, Sauvy delineava la situazione di sudditanza dei paesi dellAfrica e dellAsia rispetto alle due superpotenze5

Secondo Tomlinson, una ricerca per parole chiave tra le collezioni online e cartacee delle principali biblioteche anglo-americane riporta che esistono 1805 libri sullargomento. Di questi, 140 pubblicati prima del 1975, 654 tra il 1975 e il 1984, 755 tra il 1985 e il 1994, e 169 tra il 1995 e il 2001 (Tomlinson 2003: 308). 25

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(Love 1979; McCall 1980). E sebbene Worsley abbia sostenuto che tale termine fosse gi presente in un articolo di Claude Bourdet del 1949, intitolato Neutralisme et Nationalisme en France, la genealogia della letteratura sul Terzo Mondo riconduce sostanzialmente a Sauvy e, ancora pi specificamente, al volume che i suoi colleghi dellInstitut National des Etudes Dmographiques diedero alle stampe nel 1956, con il titolo di Le Tiers Monde: Sous-dveloppement et dveloppement (Worsley 1979). Negli anni Cinquanta del Novecento, dunque, il concetto di Terzo Mondo veicolava gi due significati cruciali, e cio un deficit di potere rispetto a Stati Uniti e Urss, ma simultaneamente la propensione a produrre uno spazio politico alternativo a entrambi. E tuttavia la letteratura sullo sviluppo il vastissimo campo a cui il termine Terzo Mondo indissolubilmente legato. Nel suo fondamentale The Economic Development in Latin America and its Problems pubblicato nel 1950, Raul Prebisch definiva i paesi del continente latinoamericano come non-industrializzati, per differenziarli dallEuropa, dagli Stati Uniti e dallUnione Sovietica. Analogamente, nella sua tesi di dottorato discussa il 20 Giugno 1957, Samir Amin rilevava come la definizione generalmente accettata di paesi sottosviluppati sottintendesse strutture socio-economiche caratterizzate da diffusa povert. Sebbene ipotizzabile che, a differenza di Prebisch, Amin conoscesse il termine Terzo Mondo utilizzato nel dibattito francofono, appare evidente come la sovrapposizione lessicale tra questo e il campo semantico definito da lemmi quali paesi sottosviluppati non fosse stata istantanea (Wolf-Phillips 1987: 1315). E infatti, come fa notare Love, fu solo nel 1963 che, simultaneamente, Allias nel suo Le Tiers Monde au Carrefour adoper in modo intercambiabile entrambe le espressioni, e Clifford Geertz, in Agricultural Innovations: the Process of Ecological Change in Indonesia, sostenne la necessit di elaborare nuovi strumenti metodologici per la comprensione dei nuovi paesi del Terzo Mondo (Geertz 1963: XVIII). Il sottosviluppo, pertanto, veniva accettato come un elemento intrinseco e specifico di quelle regioni delleconomia mondiale che il termine Terzo Mondo andava rappresentando, desumendone i confini a partire dallordine politico internazionale scaturito dalla conferenza di Yalta. Al di l della lessicologia, nel suo sostanziarsi in realt storica che il Terzo Mondo ha rappresentato uno strumento di potere e un luogo di conflitto. Tale concetto si innesta su di una trama storiografica e sociologica in cui lo sviluppo, come mito organizzatore, costituisce il pivot6. La reiterata imposizione dellideologia dello sviluppo come panacea del problema della povert su scala locale e globale ne ha tramutato gli incerti fondamenti epistemologici nel granito del senso comune7. Banalmente, ciascuno di noi sa bene (o convinto di sapere) a cosa ci si riferisce quando si parla del sottosviluppo come principale problema dei paesi del Terzo Mondo, e il sintagma contiene in se stesso sia la domanda che la risposta, il fine e il mezzo, fusi nella tautologia trans-storica che fa dello sviluppo sia lobbiettivo che lo strumento stesso del suo raggiungimento. Come fa notare correttamente Makki, mentre le categorie di Terzo e Primo Mondo fanno riferimento a una toponomastica globale e statica, il concetto di sviluppo designava il processo dinamico che avrebbe reso possibile il passaggio dalluno allaltro (Makki 2004: 150). Secondo la narrazione eurocentrica del divenire storico, di cui lideologia dello sviluppo rappresenta una com6 7

A tal proposito resta piuttosto esaustiva la critica strutturalista offerta da Arrighi (Arrighi 1996).

La critica al concetto di sviluppo si articola in molteplici prospettive teoriche, che ne colgono aspetti differenti ma complementari. In estrema sintesi possiamo distinguere un insieme di analisi maggiormente concentrate sulla dimensione storico-strutturale, e un altro insieme pi orientato alla decostruzione delle strutture simboliche e linguistiche funzionali alla sua legittimazione. Per quanto riguarda il primo insieme, i riferimenti principali derivano dalle scienze sociali e dai Development Studies, sono riconducibili alle teorie della dipendenza e allanalisi dei sistemimondo (fondamentali Frank 1978 e 1980; Arrighi 1990, 1991 e 1996; Wallerstein 1979; Wallerstein 1991). Il secondo insieme di analisi invece pi marcatamente teorico-speculativo, e riconducbile al versante postmodernista della critica storico-culturale (si vedano Rahnema 1997, Rist 1997 e Sachs 1998). 26

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ponente di assoluto rilievo, questo passaggio dallarretratezza al progresso sociale, a sua volta, era immaginato come lesito contemporaneo di un processo di lunga durata consistito nellespansione spaziale dellEuropa sul globo. Grazie a esso, lEuropa esportava i benefici delle sue conquiste morali, tecnologiche, organizzative al resto del mondo, e allo stesso tempo si poneva al centro di un ordine mondiale gerarchico e multidimensionale. LEuropa ha teso sempre a rappresentare se stessa in termini di opposizioni antitetiche rispetto ai suoi Altri: nobile/selvaggio; civilizzato/primitivo; colonizzatore/colonizzato; moderno/arretrato (Guha 2003: 47-53). Rispetto a questa sequenza, Primo Mondo e Terzo Mondo da un lato e sviluppo e sottosviluppo dallaltro, segnano simultaneamente sia un cambiamento decisivo nel modo di concepire le relazioni tra lOccidente e il resto del mondo, sia la riformulazione di relazioni di dominio plurisecolare (Rist 1997: 21 e ss.). La realizzazione spaziale di questordine, che si comp al volgere del XIX secolo, inizi a scompaginarsi a causa di una potente combinazione di emancipazione politica da parte dei paesi colonizzati e degli effetti strutturali dei due conflitti mondiali. Allindomani della Seconda Guerra mondiale, bisognava erigere una nuova e pi solida organizzazione del mondo: gli stati europei uscivano dalla guerra incapaci di risollevarsi da soli e dunque di gestire i propri domini doltremare; qui, intanto, nuovi sentimenti dindipendenza divampavano nei cuori di coloro i quali, reduci da sanguinose battaglie motivate ideologicamente dallimperativo di sconfiggere un nemico che negava la libert degli individui e lautodeterminazione dei popoli, aspiravano ora proprio a quella libert per s e a quellautodeterminazione per il proprio popolo. Gli Stati Uniti dAmerica, entrati nel primo conflitto mondiale come debitori dellEuropa, ora godevano del vantaggio di non avere subto danni al proprio apparato industriale ed erano divenuti i creditori del mondo (Hobsbawm 1994: 304). Essi rappresentavano sia una leaderhip economica che morale: la loro storia di nazione sottrattasi al giogo coloniale britannico, il credo liberale di cui la loro costituzione era espressione, il grado di prosperit diffusa se paragonata alla condizione in cui versava lEuropa, la potenza produttiva messa in campo nel conflitto, la supremazia militare espressa sul campo di battaglia e con la prova di forza di Hiroshima e Nagasaki li proiettavano come guida di quel mondo libero che allindomani del conflitto inizi a riconoscersi in opposizione al nascente blocco sovietico, cristallizzatosi grazie al mancato ritiro dellArmata Rossa dai territori occupati. Il Terzo Mondo, secondo la definizione residuale che da questo nuovo ordine derivava, rappresentava pi della met dei territori e della popolazione mondiale. Il riassetto di tale ordine poneva importanti questioni di natura politica ed economica, dunque; ma altrettanto importanti erano quelle di natura ideologica. La frattura coloniale separava limmagine degli Stati Uniti da quella del vecchio continente, spaccato a sua volta tra vincitori e vinti. Leffetto complessivo in termini geoculturali era che la superiorit morale dellOccidente, inteso come entit dotata di un determinato grado di coesione immaginata, scricchiolava e con esso lethos originario della modernit occidentale stessa. Ci che rimaneva appannaggio indubbio delluomo bianco era la tecnologia, paradossale vincitrice di ambedue i conflitti (Cooper e Packard 1997: 1-40). La sua presunta neutralit fu assunta a misura delluomo (Adas 1990: 135). Come ha osservato Wallerstein, lelemento costante nel sistema di rappresentazione che ha strutturato il dominio dellOccidente sia prima che dopo i due conflitti mondiali la distinzione tra modernit della tecnologia e modernit della liberazione: con il primo concetto si intende il raggiungimento del livello tecnologico pi avanzato in un dato periodo storico; con il secondo concetto, di matrice illuminista, egli individua piuttosto lorizzonte del definitivo trionfo della libert umana e laffermazione pi compiuta dellUomo nella Storia. Ebbene, secondo Wallerstein:Ancora una volta le classi dominanti (situate nel Nord) cercarono di persuadere le nuove classi pericolose dellidentit delle due modernit. Woodrow Wilson offr lautodeterminazione delle nazioni e i presidenti Roosvelt, Truman e Kennedy offrirono lo sviluppo economico delle ex colonie, ovvero gli equivalenti strutturali su scala mondiale di ci che erano stati, su scala nazionale, il suffragio universale e il welfare state8.27

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Se il colonialismo pose la questione del progresso in termini di processo eterodiretto messo in atto dai colonizzatori come mission civlisatrice, manifest destiny, white mans burden, nel secondo dopoguerra esso fu inteso piuttosto come processo naturale, una sindrome universale verso cui tutte le societ convergevano (cfr. Inkeles 1966). Lo sviluppo delle colonie, che rivendicavano lindipendenza politica e unidentit distinta dai due blocchi contrapposti, poteva essere avviato e gestito per la prima volta nella storia da lite non Occidentali (cfr. Inkeles e Smith 1973). Limpalcatura teorica dellideologia dello sviluppo fu prodotta in seno alle teorie della modernizzazione elaborate a partire dagli anni Cinquanta intorno al concetto di stadi di sviluppo, reso celebre da economisti americani fortemente legati allestablishment governativo9. La sua affermazione come paradigma dominante delle scienze sociali consistette nel radicare levoluzionismo in una ingegneria sociale che assegnava a ciascuna societ un posto preciso su di una scala gerarchica che muove dallo stato primitivo a quello avanzato, attraverso un divenire storico assunto come unidirezionale, univoco e irreversibile. Pi in particolare, limpatto storico di tali saperi si tradusse nellalterare la natura causale del nesso che collega il concetto di Terzo Mondo con quello di sviluppo: in virt delle teorie della modernizzazione, infatti, lo sviluppo sarebbe la risposta al problema della povert, dellarretratezza, del sottosviluppo del Terzo Mondo. Ci che risulta completamente reciso da questa immagine del cambiamento sociale, infatti, il contesto storico della sua genesi, definito a sua volta dai rapporti di forza tra Occidente ed ex colonie e dalla dialettica tra le diverse esigenze organizzative di cui tali rapporti erano espressione. Fu infatti nel quadro della Guerra fredda che molti paesi di nuova indipendenza optarono per il non-allineamento, nel tentativo di preservare un certo grado di autonomia e condurre le questioni dellaiuto e della partecipazione alle trasformazioni in atto nel sistema interstatale nellalveo delle nascenti istituzioni multilaterali delle Nazioni Unite. In quegli anni tali questioni erano lo sfondo imprescindibile del dibattito americano sulle linee di politica estera da adottare. Secondo Walt Witmann Rostow, padre della teoria degli stadi, era fin troppo evidente chela posizione, le risorse naturali e le popolazioni delle aree sottosviluppate sono tali da poter diventare realmente integrate al blocco comunista. Gli Stati Uniti diventerebbero allora la seconda potenza del mondo. Indirettamente, levoluzione delle aree sottosviluppate capace di determinare il destino dellEuropa occidentale e del Giappone, nonch il valore di queste regioni industrializzate nellalleanza del mondo libero che noi siamo destinati a guidare. In breve, sono in gioco la nostra sicurezza militare e il nostro modo di vita.

E dunque sarebbe pi corretto affermare che lo sviluppo rappresentasse una risposta alle esigenze organizzative degli Stati Uniti dAmerica, e allaffermazione della sua egemonia planetaria piuttosto che la soluzione ai problemi dei paesi di nuova indipendenza. E tuttavia, sostenere che lo sviluppismo sia stata unimposizione da parte degli Stati Uniti dAmerica, accettata passivamente dagli stati emersi in seguito al processo di decolonizzazione, sarebbe un errore. Esso fu piuttosto lorizzonte politico e antropologico accettato indistintamente dalle lite che furono protagoniste della storia del secondo dopoguerra e, in questo senso, lo sviluppismo stato a tutti gli effetti lideologia egemone del XX secolo.

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Wallerstein 1996: 141.

Per una ricostruzione dellascesa dei teorici della modernizzazione allinterno delle istituzioni americane e della loro influenza nelle scelte di politica estera degli Stati Uniti, si veda linteressante lavoro di Latham (Latham 2000: 31 e ss). 28

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La parabola del terzomondismo (1955-1981)

Il primo tentativo di dare sostanza a una posizione distinta dai due blocchi fu lAsian African Conference, tenutasi nella citt di Bandung nella parte centrale dellIndonesia, tra il 17 e il 24 aprile del 1955. Voluta e animata, tra gli altri, da figure centrali nei processi di decolonizzazione dei rispettivi stati-nazione, quali Sukarno, Nehru, Ho Chi Minh, Nasser, Zhou Enlai, la conferenza di Bandung caratterizz una fase delle relazioni internazionali a cui si fa spesso riferimento nel discorso pubblico e storiografico per mezzo di termini allusivi, come lo spirito di Bandung o lera di Bandung: tali concetti individuano rispettivamente un orizzonte condiviso da diverse entit politiche e gruppi dirigenti postcoloniali e un determinato periodo storico compreso grossomodo tra il 1955 e il 1980, in cui tale orizzonte politico condizion o sembr in grado di poter condizionare in modo sensibile le relazioni di forza nel quadro del sistema interstatale. Come sottolinea Berger, la conferenza di Bandung viene spesso ricordata come il momento cruciale in cui emerse lautocoscienza del Terzo Mondo come attore politico collettivo, eppure in nessun documento, n preparatorio, n conclusivo, il termine Terzo Mondo fu mai adoperato. Lenfasi di Bandung era anticoloniale (Berger 2004: 10). La dichiarazione finale sottoscritta dai partecipanti condannava tutte le manifestazioni del colonialismo, e intendeva essere non solo un attacco al colonialismo formale delle potenze dellEuropa occidentale, ma anche una critica alloccupazione sovietica dellEuropa orientale e delle nuove strategie con cui gli Stati Uniti interferivano negli affari delle ex colonie1. Il documento si chiudeva con lauspicio di unintensa collaborazione tra i governi di Asia e Africa; la creazione di un fondo per lo sviluppo economico che operasse attraverso le Nazioni Unite; la condanna delle violazioni del diritto di autodeterminazione dei popoli da parte di Israele e Sudafrica (Myrdal, Singh e Wright 1956: 12-15). Senza dubbio, Bandung fu un momento importante per dare visibilit al nuovo status diplomatico raggiunto dalle ex colonie e alle figure pi importanti che erano protagoniste dei movimenti per lindipendenza; altrettanto evidente fu fin dallinizio che il linguaggio e le tensioni della Guerra fredda avrebbero condizionato fortemente le relazioni interne alla conferenza. significativo, ad esempio, che mentre la delegazione indiana e quella indonesiana tentarono di far passare la linea del cosiddetto neutralismo positivo come approccio comune alle questioni di politica estera, dichiarando la volont di collocarsi alla stessa distanza da ciascuno dei due blocchi, altre delegazioni come quelle di Ceylon, Iraq e Filippine spingevano per dare precedenza a dichiarazioni dintenti che posponevano qualsiasi progetto comune alla eliminazione1

Si veda . 29

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della minaccia comunista2. Bandung fu seguita dal summit del Nam (Non-Aligned Movement) a Belgrado nel settembre 1961. Qui, una serie di stati, tra cui il Pakistan, che pure erano presenti a Bandung, furono esclusi poich apertamente schierati con una delle due superpotenze, cos come lo furono alcune colonie francesi, mentre governi rivoluzionari di ispirazione marxistaleninista furono invitati per la prima volta. In realt, anche a Belgrado era chiaro che sia i movimenti nazionalisti che i governi che ne erano scaturiti dipendevano da rapporti di varia natura con ciascuna delle due superpotenze, talvolta con entrambe e, in ogni caso, dal sistema interstatale e dai rapporti di forza che ne regolavano il funzionamento (Hershberg 2007: 375). Ma proprio tali rapporti di forza apparivano piuttosto fluidi a partire dalla seconda met degli anni Cinquanta, specialmente in Asia. Dopo la morte di Stalin nel 1953, infatti, la Cina di Mao prese progressivamente le distanze dal modello economico sovietico, procedendo simultaneamente a una controversa opera di rilettura del marxismo-leninismo che in seguito venne organizzato dallintellighenzia cinese in termini di maoismo3. Tale allontanamento tra Mosca e Pechino incrin la solidit di uno degli assi portanti di Bandung, vale a dire lintesa tra la Cina di Zhou En Lai e lIndia di Nehru, processo degenerativo che culmin con la guerra indo-cinese del 1962-63 (Garver 2002: 111 e ss.). La via indiana al socialismo di Stato in politica interna e il pieno sostegno al non-allineamento in politica estera, di cui Nehru era promotore, erano gi in crisi quando questi mor nel 1964; il suo declino stato visto da alcuni studiosi come lesempio paradigmatico dei limiti del marxismo in rapporto allo sviluppo nazionale nel contesto della decolonizzazione4 (Seth 1995: 9-23). Meno di due anni dopo, Sukarno, considerato dallo stesso Nehru come un suo discepolo, che aveva tentato unardita, e per certi versi pionieristica, sintesi tra nazionalismo antioccidentale, marxismo e Islam, fu progressivamente sostituito dal generale Suharto, che represse nel sangue, con lappoggio della Cia, un tentativo di golpe imputato al partito comunista indonesiano, allepoca il pi numeroso al mondo dopo Cina e Unione Sovietica. Per le due superpotenze, dal punto di vista geopolitico, il Nam costituiva un problema ma anche unopportunit di estendere la propria sfera dinfluenza, tant che esse tentarono sempre di alimentarne le rivalit interne e indebolirne il peso collettivo. Gli Usa, ossessionati dal dogma del contenimento, sponsorizzarono gruppi dirigenti amici, come in Pakistan, data la sua prossimit sia allUrss che al Medio Oriente (altro nodo nevralgico nello scacchiere internazionale ed epicentro del processo di decolonizzazione e del non-allineamento). Nello scenario mediorientale, lEgitto di Nasser, giunto al potere con il colpo di stato del 1952, andava posizionandosi come principale promotore del movimento pan-arabo. Inoltre, diversi analisti dellepoca videro nel nazionalismo secolare di Nasser la tendenza verso una concezione socialista dello Stato, che dal punto di vista economico aveva come obbiettivo lindustrializzazione e come metodo il modello di sostituzione delle importazioni che simultaneamente veniva adottato da molti stati (cfr. Perez 1965). Nel delineare la sua figura, Edward Said ha scritto:Nasser non fu mai gradito allOccidente. E ci pu essere considerato come un indice di quanto il suo antiimperialismo fosse genuino, nonostante le disastrose campagne militari in cui lanci

Peter Lyon, nel suo lavoro del 1963, distinse la posizione del non-allineamento sia dal neutralismo statunitense del XIX secolo, sia da quello che lui stesso definiva come isolazionismo sovietico. Lyon sottolineava come diversi paesi, soprattutto mediorientali, sfruttavano la loro neutralit per negoziare con ambedue le superpotenze in diversi settori economici o politici (Lyon 1963: 25 e ss.).2 3 Sulleconomia politica del Grande Balzo in avanti e il suo rapporto con la politica agraria sovietica degli anni Trenta si veda Goldman e Gordon 2000: 289-299. Si vedano anche: Friedman, Pickowicz e Selden 2006; Gray 2006. Sul processo di sinizzazione del marxismo si vedano Knight 2003 e 2005. 4

Per uno studio dettagliato del modello indiano di sviluppo si veda Frankel 1978. 30

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lEgitto, la soppressione della democrazia di cui fu colpevole, la sua eccessiva retorica da leader maximo. [] Egli fu il primo moderno leader dellEgitto indipendente, che visse nellambizione di trasformare la sua nazione nel pi importante dei paesi arabi e del Terzo Mondo5.

La traiettoria dellEgitto ispir altri movimenti di liberazione nazionale, come quello che port Gheddafi al potere in Libia nel 1966, sebbene con unenfasi profondamente diversa sulla componente religiosa. Ci si spiega in parte con la volont di Nasser di egemonizzare la Lega dei paesi arabi, e soprattutto con la sua volont di tessere relazioni di varia natura con altri movimenti di liberazione nazionale, sia in Medio Oriente che in Africa; dal supporto al Front de Libration Nationale in Algeria alla rivolta dei Mau Mau in Kenya6. E tuttavia, la figura pi emblematica del non-allineamento in Africa resta Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana indipendente, dal 1957 al 1966, la cui esperienza apr la strada alle indipendenze di altri sedici paesi africani7. Il contributo di Nkrumah al terzomondismo fu, a differenza di molti altri leader del Nam, teorico, analitico e interpretativo, oltre che politico. Egli seppe cogliere lessenza del processo di decolonizzazione nel momento stesso in cui questultimo andava compiendosi. Nel suo Neo-colonialism. The Last Stage of Imperialism (1965), Nkrumah palesa lintreccio organizzativo e ideologico grazie a cui lOccidente, ma in particolare gli Usa, perpetuavano lo sfruttamento e il controllo dei popoli ex coloniali:Di fronte alle mobilitazioni dei popoli dei territori ex coloniali in Asia, Africa, nei Caraibi e in America Latina, limperialismo cambia semplicemente tattica. Senza alcuno scrupolo fa a meno delle sue bandiere, servendosi persino di alcuni dei suoi pi odiati rappresentanti espatriati allestero. Esso afferma di dare lindipendenza a quelli che erano i suoi sudditi, e di concedere laiuto per il loro sviluppo. Nascosto sotto frasi come questa, tuttavia, limperialismo escogita innumerevoli modi per raggiungere gli stessi obbiettivi perseguiti in precedenza dal nudo colonialismo. Ed linsieme di questi moderni tentativi di perpetuare il colonialismo parlando allo stesso tempo di libert che sidentifica come neo-colonialismo.

A partire dalla seconda met degli anni Sessanta e lungo tutti gli anni Settanta, il processo di decolonizzazione port al potere gruppi dirigenti di orientamento politico pi radicale di quanto non fosse avvenuto con i movimenti nazionalisti degli anni Cinquanta, sebbene la natura politica di queste diverse formazioni stata il fulcro di un ampio dibattito che ha espresso posizioni spesso molto divergenti. Paul Gilroy, ad esempio, si riferisce ai regimi di Bandung in termini di ununica generazione (Gilroy 2000: 288, 345). David Scott, invece, individua tre generazioni dei regimi di Bandung: 1950-1960; 1960-1970; 1980-2000 (Scott 1999: 195-198, 221-226). Secondo alcuni le lite del non-allineamento possono essere descritte sulla base dei loro rapporti con il marxismo, e ricondotte al succedersi di due generazioni: la prima generazione dei regimi di Bandung era espressione di progetti nazionalistici di matrice borghese, che intendevano costruire stati postcoloniali per mezzo di un processo di modernizzazione fondato su di un pragmatismo anticomunista, basato tuttavia sia su un appoggio militare da parte dellUrss e allo stesso tempo su relazioni economiche con gli Usa (San Juan 2000). Secondo altri, come Berger, una simile ca5 6

Said 2001: 161.

La questione del non-allineamento dellEgitto di Nasser stata ripresa pi di recente da Pattanayak (Pattanayak 2000).7 Uninteressante nota biografica su Nkrumah che prima di tornare in Ghana, lasciato per gli Stati Uniti dAmerica nel 1935, per prendere parte al movimento di liberazione nazionale dal 1947, egli venne in contatto con figure centrali del versante trotskista del panafricanismo come Dubuois. In particolare C.L.R. James, autore, tra laltro di The Black Jacobins di cui ci occupiamo nel primo paragrafo del secondo capitolo, gli procur una lettera di presentazione per fargli proseguire gli studi a Londra.

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ratterizzazione non corrisponde n a molti dei regimi post-coloniali di prima generazione, n ad altri simbolo della seconda. I primi, a causa del rapporto che figure come Nasser, Sukarno e Nehru avevano con il socialismo, il marxismo e con i partiti comunisti dei loro paesi. I secondi, poich leader come Amilcar Cabral a Capoverde, Nyerere in Tanzania o Gheddafi in Libia, pur ispirandosi tutti al marxismo, difficilmente possono essere pacificamente definiti in modo omogeneo come marxisti (Berger 2004: 20-21). Per quanto verosimili possano essere ritenute queste tipologie, esse rimangono pur sempre idealtipi decontestualizzati dai processi storici transnazionali nei quali questi regimi si muovevano, e che ponevano esigenze sensibilmente diverse da quelle caratteristiche dellimmediato dopoguerra. Lirrigidimento politico e diplomatico delle relazioni tra i due blocchi, negli anni Sessanta, coincise da un lato con la progressiva affermazione dellideologia dello sviluppo, dallaltro con la disarticolazione interna alla sfera dinfluenza sovietica, in cui andavano emergendo, lentamente ma costantemente, la Cina maoista e Cuba come nuovi poli di attrazione per i movimenti rivoluzionari8. Gli Stati Uniti dAmerica, memori del fallimento della controrivoluzione a Cuba nel 1961, dotarono di nuovi strumenti pragmatici la strategia del contenimento, inaugurando la formula dellaiuto economico allo sviluppo per i paesi del Terzo Mondo. A partire dal 1961, infatti, gli Stati Uniti avviarono il gigantesco programma di investimenti e trasferimento di tecnologie verso lAmerica Latina, noto come lAlleanza per il Progresso (Latham 2000: 69-109). LUrss di Chruv, dal canto suo, impose la propria versione dello sviluppismo ai paesi al di qua della cortina di ferro. Cos facendo, lantagonista degli Stati Uniti dAmerica dava anchessa il suo contributo decisivo alla diffusione su scala mondiale dellindustrializzazione, tramutata in misura inopinabile del grado di progresso raggiunto da ciascuno stato-nazione, in forza delle teorie della modernizzazione. Sebbene Chruv avesse avviato il processo di destalinizzazione nel 1958, infatti, una linea di continuit passava per la politica economica di Stalin (e di Lenin prima di lui): la formula leniniana il socialismo uguale ai soviet pi lelettricit non sembrava aver perso smalto (Wallerstein 2003: 35). Il corollario di questa visione era unenfasi teorica e politica sulle classi industriali urbane a scapito di quelle rurali agrarie, ovvero della stragrande maggioranza delle popolazioni dei paesi del Terzo Mondo, sulla cui mobilitazione si fondavano i progetti di liberazione nazionale dei rispettivi partiti rivoluzionari. In America Latina, mentre i gruppi al potere accettavano entusiasti i finanziamenti dellAllenaza per il Progresso, lUrss appoggiava dappertutto le componenti maggiormente riformiste dei partiti comunisti locali, sostenendo la linea della via gradualista al socialismo, che passava per tappe consequenziali quali il processo dindustrializzazione, la creazione di un proletariato urbano, lalleanza strategica con le borghesie nazionali. Nientaltro che il verbo della teoria degli stadi declinato in desinenze marxiste (Di Meglio 1997: 21). In questo scenario, i partiti rivoluzionari protagonisti dellondata di decolonizzazione che attravers il Terzo Mondo nella seconda met degli anni Sessanta presero le distanze, almeno politicamente bench non finanziariamente, da Mosca, ispirandosi alla mobilitazione contadina condotta da Mao nello Hunan e pi spesso alla Rivoluzione cubana e al foquismo di Ernesto Guevara9. Proprio a LHavana, nel gennaio del 1966, ebbe luogo la Conferenza Tricontinentale di Solidariet tra i popoli di Asia, Africa e America Latina10. Oltre che prendervi parte un numero sensibilmente maggiore di delegazioni rispetto a quante non avessero preso parte alla conferenza8 Per percepire le diverse fasi della retorica terzomondista adottata progressivamente in politica estera dalla Cina, si veda Yu 1977: 1039-1045.

Secondo Guevara, lesperienza delle Rivoulzione cubana testimoniava che le condizioni oggettive dello sfruttamento capitalistico non fossero sufficienti da sole a dare il via allinsurrezione. Le masse contadine dovevano essere istigate da piccoli gruppi di guerriglieri (fuochi) che avrebbero poi coinvolto i contadini nella rivolta. Questa teoria della prassi rivoluzionaria fu sistematizzata in seguito nel libro Revolucin ne la revolucin da Regis Debray, filosofo francese vicino alle posizioni di Louis Althusser.9

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di Bandung, queste provenivano anche dallAmerica Latina. Mentre a Bandung si erano riuniti i paesi di nuova indipendenza, la Tricontinentale de LHavana coinvolse delegazioni provenienti dalle diverse aree geografiche i cui popoli erano accomunati dal colonialismo come esperienza storica. Questo cambiamento, unito alla tendenziale egemonia ideologica del marxismo nelle sue molteplici declinazioni, estese il campo di tensione politico del non-allineamento e lo caratterizz non solo e non pi in termini di anticolonialismo, bens di lotta allimperialismo. Ma allo stesso tempo, in seno a ciascun partito comunista, dal Sudafrica alla Francia, al Cile, allo Sri Lanka, la frattura coloniale creava nuove tensioni per lo pi centrifughe rispetto al marxismo europeo e sovietico. In questa relazione controversa tra anticolonialismo e marxismo, Robert Young ha collocato la genesi delle spinte storiche che sono alla radice di quellinsieme di teorie e di prospettive che definiamo postcolonialismo (Young 2007: 36). La riformulazione delle istanze che erano state espresse a Bandung era parte di un complesso e articolato processo di elaborazione teorica che sintrecciava indissolubilmente con le istanze politiche cui abbiamo accennato. Il terzomondismo, come movimento e attitutidine politica che fa del concetto di Terzo Mondo e della comune esperienza di sfruttamento coloniale un fondamento identitario, poggiava gran parte delle sue rivendicazioni sulla critica al sistema economico internazionale elaborata dai teorici della dependencia. Il nucleo centrale di questa critica elaborata da una rete di studiosi latinoamericani, sia nelle versioni maggiormente riformiste che radicali, era lattribuzione delle cause prime del sottosviluppo del Terzo Mondo non allarretratezza endogena di ciascuno stato, cos come i maramaldi teorici della modernizzazione della Scuola di Chicago avevano stabilito, bens allo sviluppo e alla ricchezza stessi del Primo Mondo. Secondo i teorici della dependencia, sulla scorta delle analisi di Prebisch, il continuo drenaggio di ricchezza dal Terzo Mondo in direzione del Primo si realizzava per mezzo del deterioramento secolare delle ragioni di scambio del commercio internazionale di lunga distanza, e risultava incomprensibile se non entro uno spazio geostorico concepito per la prima volta come mondiale e integrato, indissolubilmente interconnesso e descritto dal concetto relazionale di centro-periferia. La rilevanza di Raul Prebisch e del lavoro collettivo dellEcla nella genesi delle teorie della dependencia arricchisce limmagine teorica e politico-economica del terzomondismo di una dimensione cruciale: la dimensione istituzionale. I paesi del Terzo Mondo tentarono di condurre quasi tutte le questioni di politica e di economia internazionali nellalveo degli organismi multilaterali delle Nazioni Unite, sperando in questo modo di poter esercitare collettivamente una maggiore pressione rispetto a quanto non fossero in grado di fare nelle contrattazioni bilaterali con i paesi ricchi. Ma qual era la natura di queste rivendicazioni? A conclusione della conferenza di Bandung, il primo ministro della Tanzania, Nyerere, aveva dichiarato:Con il non-allineamento stiamo dicendo alle grandi potenze che anche noi facciamo parte di questo pianeta. Affermiamo il diritto delle nazioni piccole, o pi deboli dal punto di vista militare, a determinare le loro politiche nel proprio interesse e ad avere uninfluenza negli affari mondiali. [] Sotto ogni punto di vista, riteniamo che la nostra libert effettiva di effettuare scelte economiche, sociali e politiche sia compromessa dalla nostra esigenza di sviluppo economico11.

Come rileva McMichael, il significato sottinteso di questa dichiarazione era una contestazione della legittimit del modello economico di sviluppo basato sullordine multilaterale esistente. Il primo oggetto del contendere era linsufficienza dei prestiti concessi dalla Banca mondiale: i paesi del Terzo Mondo membri delle Nazioni Unite spinsero affinch la gestione10 11

Organizacin de Solidaridad con los Pueblos de Asia, frica y Amrica Latina, Ospaaal. Nyerere, cit. in McMichael 2006: 4. 33

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dei prestiti fosse regolata da un istituto dellOnu, il Sunfed (Special United Nations Fund for Economic Development). Ma i paesi ricchi, seppur incrementando sensibilmente lafflusso di capitali verso il Terzo Mondo, fecero in modo che fosse la Banca mondiale, e non le Nazioni Unite, a occuparsene. Furono create diverse banche regionali e subregionali con cui ammantare la capacit di controllo politico della gestione dei crediti e delle modalit di recupero nelle mani dei paesi ricchi, sotto le spoglie dei tecnicismi finanziari e della burocratizzazione delle procedure di erogazione dei fondi (McMichael 2004: 63). A tal proposito, il capitolo conclusivo di Neocolonialism, intitolato I meccanismi del neo-colonialismo, merita di essere citato per esteso data la lucidit con cui Nkrumah denunciava, gi nel 1965, il sistema dellaiuto allo sviluppo e le modalit della sua implementazione:Una delle tecniche del neo-colonialismo consiste nellapplicazione di alti tassi dinteresse. [...] I tassi dinteresse su circa i dei prestiti offerti dalle principali potenze imperialiste superano il 5% e in certi casi arrivano al 7-8%, mentre i tempi programmati per la restituzione sono gravosamente brevi. Questo metodo di penetrazione per mezzo dellaiuto economico diventato oneroso per diversi paesi che iniziano a dubitare dei suoi vantaggi. Questo aiuto si rivela essere un nuovo strumento di sfruttamento, un metodo moderno di estrazione della ricchezza, celato da un nome maggiormente cosmetico. Unaltra trappola economica laiuto multilaterale attraverso le organizzazioni internazionali: il Fondo monetario internazionale, la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (conosciuta come la Banca mondiale), lAssociazione per la Cooperazione Finanziaria e lo Sviluppo Internazionale, sostenute in gran parte dal capitale americano. Queste agenzie agiscono forzando gli aspiranti debitori ad accettare condizioni offensive, come fornire informazioni sulle loro economie, sottoporre i loro piani economici alla revisione della Banca mondiale e accettare che fosse questultima a supervisionare lutilizzo dei fondi ottenuti. N, del resto, lintera faccenda de laiuto si esaurisce nelle cifre che ne rendono conto, dal momento che esistono altre condizioni che la rendono possibile: la conclusione dei trattati sul commercio e la navigazione; gli accordi di cooperazione internazionale; il diritto dingerenza nelle questioni finanziarie interne, incluse la moneta e il tasso di cambio, al fine di abbassare le barriere doganali in favore della penetrazione di beni e capitali provenienti dal paese donatore; la protezione degli investimenti stranieri; la determinazione dellutilizzo dei fondi; lobbligo di fornitura di materie prime. Queste condizioni si applicano allagricoltura, allindustria, al commercio12.

La questione dellorganizzazione del commercio internazionale, gi sollevata per certi versi da Prebisch, costitu il secondo grande tema del terzomondismo. Nel 1964, settantasette paesi del Terzo Mondo guidati dallAmerica Latina diedero vita al Gruppo dei 77 (G-77) e spinsero per la fondazione dellUnctad (United Nations Conference on Trade and Development), ovvero la prima organizzazione in seno alle Nazioni Unite che costitu lo spazio politico-istituzionale per le rivendicazioni dei paesi del Terzo Mondo. Essi chiesero la stabilizzazione, nel breve termine, dei prezzi dei beni dimportazione dai paesi industrializzati, compresi quelli tecnologici; laumento dei prezzi delle materie prime e dei semilavorati che esportavano, labbattimento delle barriere doganali dei paesi ricchi a protezione dei prodotti agricoli e dei manufatti nazionali. In sintesi, il Terzo Mondo aspirava a godere dellespansione delleconomia mondiale. Del resto, come afferma Hobsbawm, la ricostruzione aveva funzionato talmente bene che Giappone e Germania erano giunti a competere con gli Stati Uniti dAmerica in diversi settori produttivi; allo stesso tempo, il patto fordista si era dimostrato solido, tanto da rendere tendenzialmente rigido il mercato del lavoro nei paesi ricchi. Di conseguenza, i margini di profitto derivanti dagli investimenti in Europa e Stati Uniti dAmerica tendevano decisamente a comprimersi. Le autorit finanziarie di Gran Bretagna e Stati Uniti videro nellimmissione di ingenti quantit12

Cit. in Nkrumah 1965: 55-57. 34

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di moneta lunica risposta flessibile alla minaccia del rallentamento della crescita: tab sia del keynesianesimo che del contenimento, dato che si temeva che lUrss fosse vicina al sorpasso proclamato da Chruv. Arrighi fa notare che non appena avvertirono i primi segnali di aumento della pressione fiscale sui capitali da parte dellamministrazione americana, a partire dal 1967, le multinazionali statunitensi preferirono depositare i loro patrimoni in altri mercati valutari offshore, piuttosto che rimpatriarli (Arrighi 2003: 64). Quando Nixon dichiar la non-converitibilit del dollaro, nel 1971, la quantit di eurodollari inizi vertiginosamente a crescere13. Intanto, nel 1965, i paesi produttori di petrolio si erano federati nellOpec (Organization of the Petroleum Exporting Countries), nel tentativo di stabilizzare i prezzi del greggio, di limitare le interferenze dei paesi del Primo Mondo nella gestione delle scorte e di creare canali preferenziali per i flussi di capitale in uscita, frutto del commercio dei combustibili fossili di cui disponevano ampiamente14. Quando lOpec decise di quadruplicare il prezzo del greggio nel 1973 e di bloccarne lesportazione verso i paesi occidentali al culmine della guerra del Kippur, la crisi energetica produsse un surplus di circa ottanta miliardi di petrodollari, che furono accumulati nelle banche private europee, contribuendo a generare unofferta di capitale talmente eccedente da sospingere i tassi dinteresse a livelli irrisori (McCallum 1981: 323). Come sintetizza Susan Strange, gli sbocchi possibili per arginare lesondazione di questo eccesso di liquidit nel circuito economico internazionale risultarono allora due. Da un lato la via della finanziarizzazione dei capitali e della speculazione sulle valute nazionali dei paesi del Terzo Mondo; investimento il cui tempo di rotazione andava fortemente riducendosi grazie ai progressi nelle tecnologie di comunicazione a distanza. Laltra via consisteva nellaiuto allo sviluppo poich, contrariamente alla speculazione valutaria sebbene paradossalmente in concomitanza con essa, il modello dellindustrializzazione nazionale e dellagrobusiness dei paesi del Terzo Mondo implicava dei grossi immobilizzi per investimenti di medio-lungo periodo in infrastrutture e tecnologie produttive e manageriali (Strange 1999: 102-108). Come afferma David Calleo:Prima i paesi dovevano meritarsi il denaro che avevano intenzione di spendere. Ora potevano prenderlo in prestito. Con una liquidit apparentemente capace di espandersi allinfinito, i governi credevano che la capacit di credito non avesse bisogno pi di alcun controllo esterno sulla spesa [] paesi in deficit potevano ottenere indefinitamente prestiti dalla magica macchina della liquidit15.

I risultati congiunti della rapida espansione delleconomia mondiale, delleccesso di liquidit, e degli sforzi per lo sviluppo nazionale da parte delle lite terzomondiste non si fecero attendere e, a fronte delle premesse, furono decisamente contraddittori. Negli anni Settanta, il tasso di crescita del Terzo Mondo aveva superato quello del Primo Mondo; i paesi della periferia esportavano pi manufatti di quelli del centro; le agricolture dei paesi del centro producevano ed esportavano in misura maggiore di quanto non facessero i paesi del Terzo Mondo, nonostante molti di essi avessero utilizzato larga parte dei prestiti internazionali per sviluppare le coltivazioni per lesportazione. Ma soprattutto, il divario di ricchezza e di perequazione dei redditi nazionali tra Primo e Terzo Mondo