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PUBBLICAZIONE GRATUITA / BIMESTRALE / ANNO II / NUMERO 13 N°13 MAGGIO/GIUGNO 2012 NUOVE R / ESISTENZE

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Da decenni nell’arte i manifesti erano scomparsi, esaurite le grandi spinte delle avanguardie, il manifiesto blanco di Lucio Fontana del ’46 e qualche altra cosa sparsa. Poi più nulla di rilevante. Negli ultimi recentissimi tempi, invece, ne stanno ricomparendo tantissimi: sono dichiarazioni d’intenti, però, di tutt’altro genere. È il popolo del mondo della cultura, dal teatro all’arte, alla letteratura, che prende voce e azione per difendere la propria identità, per preservare quello spazio libero in cui l’arte nasce e vive. Per avere una società migliore.

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pubblicazione gratuita / bimestrale / anno ii / numero 13N°13 maggio/giugNo 2012

NUOVE R/ESISTENZE

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Da decenni nell’arte i manifesti erano scomparsi, esaurite le grandi spinte delle avanguardie, il manifiesto blanco di Lucio Fontana del ’46 e qualche altra cosa sparsa. Poi più nulla di rilevante. Negli ultimi recentissimi tempi, invece, ne stanno ricomparendo tantissimi: sono dichiarazioni d’intenti, però, di tutt’altro genere. È il popolo del mondo della cultura, dal teatro all’arte, alla letteratura,

che prende voce e azione per difendere la propria identità, per preservare quello spazio li-bero in cui l’arte nasce e vive. Per avere una società migliore. È una consapevole rivendicazione di appartenenza, di esistenza, di spazio e ruolo sociale che la cultura ha e deve avere. Movimenti dal basso che, dopo tanto attendere e tante delusioni, hanno deciso di agire, senza più referenti e interlocutori politici, che tanto, rimangono silenti ed ambigui, indifferenti, sordi, impreparati, senza passioni e progetti. Riessere massa critica e pensante attiva è il manifesto comune del Teatro Valle, della Consulta, di Macao, Casoria, Manifesto del Sole 24 Ore. E poi il Nuovo Cinema Palazzo a Roma, a Venezia il Teatro Marinoni e S.a.L.E. Docks, nato nel 2007, il Teatro Coppola a Catania, L’Asilo della Creatività e della Conoscenza a Napoli, il Teatro Garibaldi Aperto a Palermo. Ma la lista si aggiorna ogni giorno. Forme di nuove R/Esistenze. Okkupazioni. Resistere per esistere. Sono le forme più famose della nuova disobbedienza civile, che ritorna dopo quelle potenti e famose degli anni Sessan-ta, e quelle, ancor prima, delle suffragette, dei vari movimenti dei sindacati, di Martin Luther King, di Mandela. E di Gandhi, che le chiamava “resistenze civili”.È una sottile linea che si sta tracciando, tratto dopo tratto, che ha cambiato l’orizzonte. Una linea come quella disegnata in rosso da Alessandro Bulgini nelle sue immagini metafisiche, un taglio visivo che implica un nuovo sguardo, una nuova prospettiva, una gerarchia tra sotto e sopra che si può cambiare. Senza mai usare violenza. C’è un popolo di artisti e persone comuni, di cui parla Paolo Grassino nel suo progetto per la Collezione Artesera, che è un omaggio a chi sta dietro, dentro l’opera. Ci sono tanti, soprattutto giovanissimi, che in autonomia sognano e fanno, mescolando libera iniziativa imprenditoriale con la creatività: basta guardare la mappa degli spazi ibridi nati nelle città come fiori in un prato. Le nuove resistenze, le chiama Xumia, piccole, grandi coraggiose opposizioni che partono dal fare singolo e collettivo. Il futuro è davanti, diverso dal passato, tutto da inventare, insieme.

Direttore eDitorialeAnnalisa Russo

Direttore responsabile Olga Gambari segreteria di redazione Chiara Lucchino

Marketing e relazioni esterne Roberta Camera

art direction e progetto graficowww.dariobovero.it

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Tutti i diritti riservati: nessuna parte di questa rivista può essere riprodotta in alcuna forma, tramite stampa fotocopia o qualsiasi altro mezzo, senza autorizzazione scritta dei produttori.

Hanno collaboratoFranz Bernardelli, Alessandro Bulgini, Roberto Casiraghi, Alessandro Facente, Ilaria Gadenz, Angiola Maria Gili, Paolo Grassino, Barbara Martusciello, Cristiana Perrella, Bartolomeo Pietromarchi, Roberta Tedesco, Roberto Tos, Saba, Xumia

contattiArte Sera ProduzioniVia Lamarmora, 6 - 10128 TorinoMAIL: [email protected]

maggio italiano

biMestrale / anno ii / nuMero 13Maggio/Giugno 2012

di Olga Gambari e Annalisa Russo

copertina HAIRETIKOS - opera viva - fotografia tratta dalle serie omonima

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attualità

#occupyarta cura di OlGa GaMBaRi

Alla redazione del Sole 24 Ore non si aspettavano di scatenare un tal moto popolare. Quando il 19 febbraio 2012 il Dome-nicale ha lanciato il MANIFE-

STO PER LA CULTURA, intitolato “Niente cultura, niente sviluppo”, l’Italia ha rispo-sto in maniera sorprendente, creando un movimento a cui stanno partecipando, in un dibattito aperto e in progress, persone diverse della scena nazionale e no, come il Presidente della Repubblica Napolitano, il Commissario all’Istruzione e alla Cultura Vassiliou, il Ministro danese della cultura Elbaek.Il punto è ricollocare la cultura al centro come motore propulsivo dello sviluppo in-teso in senso trasversale, toccando anche gli aspetti morali ed economici della socie-tà, e soprattutto l’orizzonte del futuro. Una scelta strategica per l’Italia e per l’Europa. Leggendo gli interventi che arrivano via via davvero ci si rende conto praticamente di come la cultura, intesa come una concezio-ne allargata che implichi educazione, istru-

zione, ricerca scientifica e conoscenza, per esempio, sia uno dei più grandi settori in ge-nerale, superiore per fatturato ai principali comparti del manifatturiero e alla maggior parte dei comparti del terziario avanzato. Questa mobilitazione generale si fonda su cinque grandi capisaldi da presidiare: una Costituente per la Cultura; strategie di lun-go periodo; cooperazione tra ministeri; l’ar-te a scuola e la cultura scientifica; merito, complementarietà pubblico-privato, sgravi ed equità fiscale.Non perdiamo tempo.

#macao - milanoA un certo punto uno gli spazi se li prende, in gruppo, senza tragedie, ma con azioni preci-se. È l’unico modo per aver voce, per esiste-re, per fare. A Milano nei locali abbandonati della Torre Galfa, in zona Garibaldi, qualche settimana fa un popolo di artisti, studenti e attori, tra cui comparivano anche Dario Fo e Franca Rame (che negli anni Settanta aveva-

no occupato a loro volta con il Collettivo Tea-trale La Comune una palazzina liberty in largo Marinai d’Italia) ha installato il suo quartier generale, chiamandosi idealmente Macao, un nuovo centro per le arti. Una repubblica democratica e comunitaria dell’arte che sta dando vita a un fitto calendario di concerti, ta-vole rotonde, spettacoli teatrali e performance improvvisate, insieme ad azioni di restauro di tutto l’edificio, giardino compreso. Decine di persone mettono a disposizione le loro com-petenze per riqualificare la torre ma anche ripensare il modo di fare cultura in generale: sono architetti, designer, economisti, esper-ti di diritto, film maker, filosofi, intellettuali, scrittori, urbanisti e, essenziali, gli abitanti del quartiere.Un bene per tutti, di tutti.Loro dicono di “essere convinti che sia neces-sario attribuire all’arte e alla cultura lo status di beni comuni. Il bene comune non è un con-cetto astratto, ma una nuova forma viva di de-mocrazia che mira a superare la dicotomia tra pubblico e privato”. “Per questo motivo - con-tinuano - noi Lavoratori dell’arte dobbiamo cercare di esplicitare con chiarezza le condi-zioni di precarietà in cui ci troviamo a ope-rare. In un momento in cui la crisi ha acuito la gravità delle nostre condizioni, dobbiamo partire da una diagnosi lucida per mettere in campo pratiche di lotta nuove e più efficaci”. Il 15 maggio la Torre Galfa è stata sgombera-ta dalla polizia; ma Macao continua a vivere. www.macao.mi.it

#cam - CasoriaC’è un piccolo museo di arte contemporanea nel cuore della Campania, il CAM di Casoria, che a fine aprile ha deciso di appiccare il fuoco alla protesta che si leva inascoltata dal mondo della cultura e dell’arte italiana contro i tagli alla che stanno annientando un intero sistema culturale e sociale, oltre che economico. Ogni fiamma è un rogo sacrificale, un atto metafo-rico forte con cui l’opera diventa azione viva e voce squillante, una luce che brilla: mille

opere di arte contemporanea saranno bruciate dai loro stessi autori per manifestare simbo-licamente e drammaticamente una situazione di disagio. L’azione si intitola “CAM ART WAR” ed è una vera dichiarazione di guerra.È un modo per portare l’attenzione su una si-tuazione difficile, in cui la cultura viene mes-sa sull’ultimo scalino delle esigenze sociali, completamente svuotata del suo ruolo e signi-ficato. Il direttore del CAM Antonio Manfre-di, che per primo ha sacrificato la sua opera, dice che “le mille opere di arte contempora-nea internazionale che il CAM custodisce an-drebbero ugualmente verso la distruzione per l’indifferenza delle istituzioni”. Per tre volte a settimana, alla presenza degli artisti o collega-menti via web, un’opera verrà bruciata perché dall’appello fatto con CAMouflage, azione che vedeva tutte le opere del museo coperte a lutto e non più visibili al visitatore, nulla è cambiato. “Nell’Italia dello spreco del denaro pubblico, in cui i tagli alla cultura sembrano essere la soluzione per risolvere la crisi, la la-titanza delle Istituzioni ha reso necessaria una seria azione di protesta attraverso la progressi-va cancellazione di quello che dovrebbe esse-re considerato un bene comune ma che non è tutelato come tale” si legge nel sito del CAM.

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La notizia continua a rimbalzare su giornali e tv europee, arabe, russe. L’azione ha avuto inizio martedì 17 aprile 2012 alle ore 18.00 e proseguirà fino alla completa distruzione delle mille opere della collezione permanente.http://casoriacontemporaryartmuseum.com/blog

#teatro valle occupato - romaLoro si descrivono così: ”Il 14 giugno 2011 il Teatro Valle di Roma veniva occupato da lavo-ratrici e i lavoratori dello Spettacolo, cinema/teatro/danza, artisti/tecnici/operatori, stabili, precari e intermittenti che da tempo portano avanti lotte in modo diretto ed autorganizzato contro i ripetuti attacchi al mondo dell’arte e del sapere, contro i tagli alla cultura e per i no-stri diritti!”Parlano del disagio crescente e diffuso vissuto da una generazione di giovani artisti e lavora-tori, esclusi dai luoghi e dalle dinamiche in cui si decide e si progetta la politica culturale, del-la percezione di una generazione di pagare in termini di sopravvivenza la necessità artistica, etica e civile del proprio lavoro.Dicono di non trovare più nei referenti politici di destra e di sinistra alcuna legittimità come interlocutori, hanno dato voce all’esigenza di ripensare dal basso nuovi modelli di politiche culturali nel paese.Hanno attuato la sperimentazione di una prassi di studio e di autogoverno del teatro,

Sono ancora lì, ad ospitare ogni giorno artisti e rappresentanti del mondo culturale, che di-ventano occupanti loro stessi del Valle, perché: * Perché il Teatro Valle è emblematico dello stato dell’arte in Italia. È l’ennesimo bene pub-blico dismesso senza un progetto trasparente e partecipato e gestito secondo logiche priva-tistiche. * Perché il sistema culturale italiano è in uno stato di continua emergenza, gravato dai con-tinui tagli non solo alla cultura, ma alla scuola, all’università e alla ricerca e dall’assenza di un progetto politico che miri ad impegnarsi nell’attuazione di riforme che portino a solu-zioni efficaci e definitive.

* Teatri, cinema, musei, produzioni rischiano ogni giorno la chiusura. Il pensiero libero e in-dipendente è a rischio e quindi sono a rischio le fondamenta di una società che possa dirsi civile.

* Perché le lavoratrici e i lavoratori del mondo dello spettacolo e dell’arte non hanno garanzie sui propri diritti. Non esiste alcun sistema di welfare che tuteli i tempi di non lavoro, i tempi della ricerca, della creazione, della formazione permanente. I tempi della lentezza e dell’erro-re.

* Perché il nostro lavoro creativo ed immate-riale produce ricchezza materiale e questa ric-

chezza non viene redistribuita né in termini di finanziamento né in termini di reddito. Ed è il diritto al reddito garantito che ci salva dal ricat-to e tutela l’autonomia artistica e intellettuale.

* Perché come artisti, operatori della cultura, maestranze, lavoratori e lavoratrici dello spet-tacolo e della cultura auto-organizzati non ci sentiamo più rappresentati da nessuno. Voglia-mo essere protagonisti del nostro presente e costruire il futuro che desideriamo.

* Perché la filosofia del male minore non ci ba-sta più. Invochiamo una rivolta culturale, …e

che sia contagiosa! www.teatrovalleoccupato.it e noi siamo loro, siamo con loro.

Cristiana Perrella, portavoce e rappresentante

dei critici e curatori nell’ambito della Consulta.

N ell’ambito della cultura stanno nascendo tantissime realtà associa-tive civili che cercano di controbilan-

ciare accadimenti e pratiche anomale, in un panorama di totale distacco tra direzione politica e società. la consulta è stato uno dei primi esperimenti in questa direzione? la Consulta è nata sull’onda del movimento spontaneo in difesa del macro, nella tarda estate dell’anno scorso. allora, dopo le dimissioni di luca massimo barbero, c’era stato un momento di grande incertezza e opacità sul destino del museo.umberto Croppi, allora assessore alla cultura, un giorno aveva convocato una conferenza stampa per denunciare pubblicamente lo stato delle cose.Con questa preoccupazione sorse un movimento immediato a supporto, per difendere un luogo amato, che era centrale nella scena culturale cittadina. si chiamava “occupiamoci di contemporaneo”, composto da addetti ai lavori e artisti, molto attivo sul web. Poi ci fu parallelamente una lettera firmata, anche lì da addetti ai lavori, mandata ai giornali con gli stessi obbiettivi.Queste energie sono confluite in una grande assemblea proprio al macro, che ha unito idee diverse e vari problemi, e ne è uscita la decisione di costituire questa Consulta. un organo autonomo che raccogliesse i rappresentanti dei diversi campi di interesse presenti all’interno dell’arte contemporanea, e che avesse una

funzione di indirizzo, controllo sulle politche pubbliche relative all’arte contemporanea, ma anche di sollecitazione del dibattito. tre punti precisi.indirizzo perché la Consulta vuole elaborare delle linee guida, dei progetti che vengano tenuti in considerazione da chi determina le politiche pubbliche.attività di controllo per chiedere chiarezza e trasparenza, magari attraverso domande pubbliche, e poi piccole inchieste, successivamente rese pubbliche. agire anche al posto della stampa, che latita proprio sul versante delle inchieste giornalistiche.Dibattito per far partecipare attivamente tutta la società a problemi che la riguardano da vicino. come è strutturata e opera la consulta?

sono stati messi a punto uno statuto e un’associazione per la Consulta, con tessere associative che saranno presto disponibili per tutti. Vogliamo che diventi l’espressione di una base anche quantificabile, per essere un organismo strutturato e autorevole.l’assemblea elegge un rappresentante per ciascuna delle categorie presenti: gallerie, spazi no profit, fondazioni, critici e curatori, artisti, studenti. Purtroppo devo dire che gli studenti sono stati una partecipazione fallimentare, una grande delusione per tutti, con un contributo quasi nullo. la difficoltà maggiore è quella di dedicare tempo e attenzione gratuite a questa attività da parte di professionisti che lavorano, in un momento non facile. ma siamo in molti ad avere la determinazione ad andare avanti in questo impegno importante e faticoso, per non

far appassire uno strumento importante. la questione del commissariamento del Maxxi è al centro dell’attività della consulta in questo periodo.la recente vicenda del commissariamento del maxxi è un caso veramente eclatante e simbolico, l’occasione giusta per capire come la Consulta si muova.Dopo che è venuta fuori la notizia, come una bomba, un venerdì pomeriggio, ho visto che su quest’argomento non si formava un movimento civico, anzi, sui blog i commenti erano e sono molto aggressivi nei confronti del museo.È grave, perché non si riesce a distinguere tra l’importanza di difendere un’istituzione e la recriminazione.la questione del commissariamento non è volutamente chiara da parte del governo, perché si vuole cambiare il consiglio di amministrazione, motivo che certo non è stato esplicitato, ma evidente. era la strada più facile e veloce per cambiare persone non gradite.se quelle persone del cda si dimettessero probabilmente rientrerebbe il commissariamento. adesso il cda in carica ha presentato il suo atto di difesa alle accuse, le sue controdeduzioni, e vedremo quale sarà la risposta, se si procederà o meno.i modi che sono stati scelti dal governo per agire sono stati assurdi, irresponsabili, non hanno tenuto conto del grande danno di immagine internazionale che c’è stato, della messa in discussione della credibilità di tutto un sistema. Così come il messaggio alla società è ancora più destabilizzante nella sua ambiguità e rudezza.

Quali ascolti e risposte avete avuto dal mondo della politica?

nel caso del macro c’è stato un rapporto con l’assessore alla cultura di roma Dino Gasperini, che ci ha dato un po’ ascolto. Per esempio si è avuta la nomina a direttore di bartolomeo Pietromarchi che ha fugato vari spettri possibili, si è avviata la procedura per trasformare il macro in una fondazione, si è data maggiore autonomia al museo rispetto alla sopraintendenza e sono stati assegnati più fondi.sulla questione del maxxi, invece, siamo stati convocati dal sottosegreterio roberto Cecchi al ministero: gli abbiamo esposto una serie di punti, raccolti poi in un documento pubblico.abbiamo parlato del maxxi e di molto altro. anche perché, c’è da dire che, come da tradizione italiana, pure in un governo di tecnici come quello in carica, ancora una volta, l’unico ministro che non abbia esperienze e competenze sul campo per il quale è stato nominato è proprio quello dellla cultura (lorenzo ornaghi). si continua una linea di ministri che non fanno i ministri della cultura. Quali altri punti avete affrontato?

Per esempio la questione del curatore del Padiglione italia alla biennale d’arte di Venezia, che non può essere scelto dal ministero o dal ministro stesso. È una prassi ridicola e pericolosa, che apre a una serie di clientele e impedisce una scelta basata su competenze riconosciute. www.occupiamocidicontemporaneo.com

Cosa significa per te #occupyart?macao ci ha scritto “i lavoratori dell’arte, un

grattacielo occupato ed un’utopia possibile”

il dibattito continua su twitter, aspettiamo il

tuo contributo.

CONSULTA PERMANENTE PER L’ARTE CONTEMPORANEA

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Una grande artista, che ogni domenica, a casa sua a New York, invitava a incontrarsi e a parlare di arte, e di vita. Louise Bourgeois per anni ogni domenica apriva il suo appartamento

a Manhattan, che diventava un salotto, a cui chiunque poteva accedere, a patto di portare una sua opera, fosse fatta di arte, musica, letteratura, teatro (una mostra di 120 foto di Guido Cristina ne racconta una, accaduta il 7 agosto 1985, nello spazio del “Museo chiuso per un anno” a Domodossola, a cura del L’École des Italiens – Museo Immaginario, in via Mellerio 2). Si arrivava con il proprio lavoro e lo si discuteva, raccontava con gli altri ospiti del pomeriggio. Sono famose quelle domeniche, battezzate i salons della bourgeois. Oggi sono mitologiche, nostalgiche, non solo perche la Bourgeois sia ora altrove, scomparsa proprio un fine mag-gio del 2010, ma soprattutto perché evocano pratiche arti-stiche di cui si sente necessità e mancanza. L’idea di ritrovarsi insieme, di parlare, confrontarsi, spen-dere del tempo subito ufficialmente non ottimizzabile. Eppure sono quelli i momenti che rendono umano, vero, vivo e creativo il fare artistico, sia a livello concettuale sia processuale. Creano muscolo, grasso attorno all’osso. Quel tempo morto così vitale, che prelude all’elaborazione e alla crescita di chi accoglie e dà stimoli al tempo stesso.

Un muro di corpi che occupa la hall del Maxxi, 4 persone per mq. Un’occupazio-ne fisica, umana, psicologica che il pubblico dovrà attraversare per accedere al museo, entrando così, per qualche minuto, a farne parte.Condividendo l’occupazione.

Marzia Migliora ha pensato a questa performance, che si terrà al Maxxi di Roma nel tardo pomeriggio del 19 giugno 2012, riflettendo sulla parola occupazione, che negli ultimi mesi di questo difficile momento storico è diventata centrale nell’azione e nel pensiero prodotti dalla società civile e dal mondo della cultura. Occupare per non essere occupati, azioni civili di valore politico che richiedono un confronto democratico.Riappropriarsi del corpo e della voce come singolo individuo e come popolo.Occupazione come affermazione di esistenza dunque, come protesta, come sinonimo di lavoro.

La performance si intitola capienza Massima Meno uno e si riferisce alla capienza massima di sicurezza che un luogo può contenere. Ma qual è la capienza massima relativa alla sopportazione di una persona, di una collettività? Quale la soglia, le soglie? E quale il punto di tolleranza oltre cui il sistema, la politica non accettano e non possono accetare l’occupazione da parte della società civile?

Queste soglie e questi punti sono molto vicini alla capienza massima, situazione di cui la performance di Marzia Migliora è immagine simbolica, nel suo essere un’installazio-ne umana, con poche parole e grande energia fisica.(per info: www.fondazionemaxxi.it)

CAPiENzA MASSiMA MENO UNO

LE bUONE PRATiChEAlcuni progetti che proprio al centro mettono questa pratica ci sono, come Made in Filandia, nato da un sogno di Luca Pancrazzi, che in un ex opificio nelle campagne di Arezzo, dove si lavorava la seta, ha fatto sorgere una piccola comunità di artisti italiani. Due anni fa. L’idea è di vivere insieme per un po’, tutti insieme artisti, musicisti, fotografi, scrittori, lavorando a opere nuove, ma soprattutto coabitando, che implica cucinare e mangiare insieme, parlare del lavoro in corso e a volte comparteciparlo anche nel farlo, ricevere qualcuno, scambiarsi i libri, addormentarsi e risvegliarsi. Da ogni periodo di residenza nascono delle mostre, che diventando happening condivisi con il pubblico. Mostre che a volte vanno in giro per l’Italia, ospiti di altre realtà (come Muro di China, 45 disegni 21x21 a china, nella casa di Eva Menzio e Caterina Fossati in piazza Vittorio 24 a Torino). www.madeinfilandia.org

attualità

marzia migliora, Capienza massima meno uno, illustrazione.

in alto: i salons della borgeois, louise bourgeois

in basso: made in Filandia, nei pressi di arezzo

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I Balcani e Francoise de Singly. Da loro nasce il progetto “Pass-Home” dell’artista milanese Isabella Mara (che inaugura a Roma una mostra il 27 maggio al Tempio d’Adriano, e un’altra a Torino il 28 giugno nello Spazio Vanni Occhiali). 5000 chilometri percorsi tra Albania, Macedonia, Grecia, Montenegro, Bosnia, Croazia, Slovenia. E poi il sociologo francese, che dice come per l’uomo contemporaneo non ha più senso parlare di radici e di sradicamento. le persone del mondo di oggi, globalizzato, hanno àncore che issano e gettano di porto in porto. la casa è dentro ognuno, un luogo che ci si porta dietro e dentro, una casa mobile che si sposta, in un viaggio che dura tutta la vita.

Questo atto non ha niente di irrevocabile e definitivo, le radici, se tolte dalla terra, muoiono, al contrario le ancore si spostano in molti porti diversi. Le opere di Isabella sono collage di foto, figure senza volto e testa, per luoghi definiti da disegno a china, spesso lavorato in trame fitte ed optical. Case volanti e aperte, uomini-casa, case-uomini, palloncini, città che si aprono, volano via, rivelano anime inaspettate, mappe urbane oniriche e metamorfiche, cumuli architetto-nici surreali che sarebbero piaciuti a Calvino e Borges.Poi ci sono i suoi lavori compartecipati, come il recentissimo progetto “Estratto di racconto romano”, che parte pro-prio dai racconti romani di Alberto Moravia. Isabella ha consegnato a 61 persone diverse, spesso estranee al mondo dell’arte, una busta con dentro un racconto di Moravia e un foglio. Ciascuno è stato invitato a leggerlo e a ispirarsi liberamente ad esso, filtrandolo, però, con il proprio vissuto, per poi tradurre quelle storie e quei personaggi legati ad anni lontani, del secondo dopoguerra, in altrettanti contemporanei. Ogni foglio contiene un racconto rivisto, appropria-to, trasportato nella quotidianità di oggi. Un nuovo libro, le cui pagine si aprono su una parete, fatto di parole, materiali diversi, immagini, foto, che dipinge a suo modo un ritratto sociale trasversale.

www.isabellamara.com

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alessandro bulgini è nato sul mare: ora vive ai piedi delle montagne, a torino. “Poter allungare lo sguardo fino alle cime spesso innevate è un’opportunità incredibile per avere

sempre presente dove rifugiarsi con la mente finalmente liberi e lontani da molto” dice.

“Hairetikos – opera viva” è un lavoro in progress partito nel 2007, una lunga serie di vecchie fotografie, dai primi del novecento agli anni ’70, trovate nei mercatini, orfane, che

raccontano di vette, di montagne, valli, ghiacciai, laghetti alpini, neve, silenzio, solitudine. Quanta fatica e passione per arrivare nel punto dove sono state scattate, con una tecnologia

analogica, allora più complessa, precaria ed ingombrante. “Perché tanta fatica per poi riportare come unico ricordo tangibile foto che non ritraggono gli autori stessi del viaggio? a

queste foto, per riportarle in vita, con la possibilità che è data all’arte, ho apposto esclusivamente una linea rossa. la linea come confine tra il basso e l’alto, la linea per mettere in

evidenza la vetta, la linea che diventa linea di galleggiamento, dove però le parti dell’emerso e del sommerso si invertono, l’opera Viva che diventa quella dove le montagne toccano

il cielo, sorta di chiglie immerse nel mare infinito cielo.

mi avvalgo dell’esperienza di queste persone, dei loro ricordi, dei loro sogni, delle loro “intenzioni”. Queste foto diventano dei ritratti dei loro autori, non fisiognomici ma ritratti appunto

della loro intenzione…” aggiunge.

Hairetikos è un titolo che bulgini adopera dal 2001 in quasi tutti i suoi lavori, per il suo significato etimologico dal greco antico: colui che sceglie. lo usa come sorta di certificato di

garanzia atto a vidimare il suo tentativo di dichiararsi uomo libero.

il bar luigi

bar luigi è un bar di barriera, di nome e di fatto. Di nome perché si trova in Via brandizzo 31, non proprio in centro, e di

fatto perché una volta entrati si attraversa una barriera, una soglia, e si entra in una nuova dimensione.

Da qui è partito alessandro bulgini quando, d’accordo con il proprietario del bar (luigi appunto) vi si è “insediato” per

trasformarlo in un altrove di tempo e spazio, in un luogo di sperimentazione e riflessione libera sull’arte. un laboratorio

alchemico, un’astronave in continua mutazione genetica con i suoi passeggeri e passanti, racchiusa nelle rassicuranti pareti

in perlinato scuro del bar.

Come gesto inaugurale della sua nuova identità l’ingresso del bar luigi qualche settimana fa è stato dipinto di bianco, in

un’azione collettiva e simbolica che racchiude un nuovo inizio; ora il bar è aperto al contributo di tutti coloro che cercano

uno spazio dove esprimersi, lavorare, discutere. un luogo minimo forse, ma radicale, uno spazio reale e immaginario per

nuove forme di (r)esistenza artistica. (annalisa russo)

hAiRETikOStesto di REDaZiONE

cOpERtiNa

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EvENtO DEl MEsE

E normi affreschi in movimento compaiono e ricompaiono come immagini prorompenti a ricordarci chi siamo e da dove veniamo perché sono i residui della nostra coscienza e della nostra memoria.

Tra le navate di una cattedrale laica la storia dell’umanità dell’ultimo secolo rimane sospesa, svelata da due artisti visionari e rivoluzionari: Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi profeti all’estero da molti anni, celebrati in Italia solo adesso con una grande retrospettiva: NON NON NON curata da Andrea Lissoni e Chiara Bertola negli spazi rinnovati di HangarBicocca a Milano. Gianikian e Ricci Lucchi ritraggono un passato che si fa immanente con lo sguardo dei maestri della storia dell’arte e con una tecnica sperimentale capace di interpolare cinema e pittura. Come Goya contemporanei, danno forma a demoni e santi, a tiranni e poveri di spirito. Eppure il loro supporto non è la tela e neppure l’intonaco delle pareti. E’ la pellicola. La utilizzano d’archivio, materiale del secolo scorso: film di propaganda, dei periodi bellici, documentari di scienza. In maniera artigianale, come monaci certosini, riprendono ogni fotogramma con una macchina di loro invenzione, la Camera Analitica. Ristampano i fotogrammi e intervengono con i colori su molti di essi: fucsia, giallo acido, ocra e verde.Quei fotogrammi di pochi millimetri, fotografati, manipolati e rimontati, diventano sterminate vedute di oltre cinque metri che fanno da sfondo alle parate più diverse del genere umano, camminate altere e passi atterriti. Il Colonialismo, la violenza e la guerra sono i temi di un’analisi ferma e puntuale, sempre contemporanea. Al centro sono le comparse di un tempo, gli sconfitti, gli emarginati e i vinti. Questa volta condividono la scena coi conquistatori e mostrano i loro volti sofferenti e stanchi, i loro occhi invasi dalla paura. La Marcia dell’Uomo è l’opera imponente dalle tonalità pop, voluta da Harald Szeemann alla Biennale di Venezia del 2001. Nei quindicimila metri quadrati dell’HangarBicocca respira di nuovo e si confronta con le Torri Celesti realizzate da Anselm Kiefer e radicate nello spazio espositivo. Poi scorrono i film di una vita di lavoro condivisa dai due artisti, i film presentati nelle importanti istituzioni museali come il Museum di Philadephia, il PS1 di New York, il Witte de With di Rotterdam, la Fondation Cartier di Parigi e il Mart di Trento e Rovereto. In HangarBicocca tre poderose cornici nere delimitano gli schermi alle pareti dove si consuma il racconto muto sulle religioni, sul consumismo, sulla sofferenza, sul terrorismo e sulle lotte per l’ideologia. Gli aborigeni dell’Australia, gli abitanti della Nuova Caledonia Francese, gli armeni, i rom, i palestinesi, gli

NON NON NONtesto di aNGiOla MaRia Gili*

Foto dell’allestimento della mostra non non non di Yervant

Gianikian e angela ricci lucchi. (Courtesy Hangarbicocca)

* angiola maria Gili è responsabile dell’ufficio stampa

di Hangarbicocca, il centro per l’arte contemporanea

gestito da Pirelli.

in passato si è occupata dell’ufficio stampa della

Fondazione sandretto re rebaudengo ed è stata

collaboratrice di torino sette de la stampa.

africani del nord diventano il simbolo dei popoli offesi, privati di dignità e di identità. Le scene con i corpi di uomini e donne deturpati dalla guerra volutamente stridono a confronto con le immagini di un presunto progresso americano degli anni Cinquanta o del lato B di deliziose fanciulle sulla spiaggia. Così come stride il rumore della carta nel video Carrousel de Jeux mostrato in una porzione più intima dello spazio. Qui non si fa uso di materiali filmici preesistenti e si susseguono centinaia di vecchi giocattoli presentati alla telecamera come reperti segnati dal tempo. Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, uniti nella vita e nel lavoro da oltre quarant’anni, collezionano da sempre pellicole e giocattoli per ricostruire le emozioni e la memoria. Danno vita a film e a un’infinità di acquerelli, i loro diari intimi. Come il Polo e l’Equatore sono differenti eppure parte del medesimo universo armonico. Lui di origini armene, lei romagnola, coetanei del 1942. Lui austero nel fisico, lei gracile. Lui pensa passeggiando, lei legge pensando. La battaglia contro i pregiudizi, a favore di una tolleranza troppe volte prevaricata, è il comune denominatore. Schivi e riservati, creano immagini dirompenti capaci di entrare con forza nell’immaginario visivo di chi si avvicina alle loro opere. E non le può dimenticare.

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svelando coloro che lavorano e non compaiono. coloro che rendono l’opera reale.

paolo grassino, analgesia, 2012, fusione in alluminio, 360 x 600 x 800 cm Courtesy Galleria Giorgio Persano, Fonderia artistica di Piero de Carli beaufort 04 - triennal of contemporary art by the sea, ostende, belgium

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amantes – Da sempre1996-ora: sedici anni di carriera in 80mq. Ha una lunga storia il Circolo Culturale Amantes, luogo cult di riferimento per la scena creativa torinese. Nasce su via Principe Amedeo come galleria per la fotografia e la video arte e accompagna poi la città nella scoperta della Street Art con la storica rassegna Re-writing. Perché andare? Tra mostre e crew dj/vjing, l’arte è emergente, il cinema indip-endente, la musica animata e l’aperitivo polisensoriale. Quando? Sempre, tranne il lunedì.www.arteca.org

nopX – edizioni limitateRigorosamente giovani e artisti, a volte italiani altre strani-eri. Sono questi i protagonisti dei progetti espositivi di Nopics, un’associazione culturale nata nel 2010 a San Salvario, in uno spazio condiviso con fotografi, architetti e giornalisti. Sempre at-tiva e in collaborazione con altre realtà, propone perfomance di otto ore, installazioni di supernove, design ad usomano e libri d’artista selezionati attraverso un contest internazionale con annessa res-idenza. In corso ora e fino al 31 ottobre.www.nopx.it

green box – incubare le ideeUn open lab in via Sant’Anselmo che esiste da quella sera di mezza estate del 2010 e in cui è possibile incubare e trasformare le proprie idee in proposte artistiche e culturali. Su due piani e per un cortile interno passano compagnie naufragate, collettivi dediti all’improvvisazione musicale e culinaria, festival di performance art, mostre grafiche e fotografiche. E poi s’impara di tutto: dallo yoga al canto indiano, anche online. I sogni son progetti che di-ventano realtà autofinanziate.www.greenbox.to

lavanderie ramone – suoni dal sottoscalaDi giorno lavanderia a gettoni, di notte centrifuga di concerti. Ri-torna il rock, quello indipendente e underground con i giovedì Ban-zai e i martedì Bleach. Succede da poco su via Berthollet e, tra un plettro e una corda, si vedono film e si partecipa ai talk show. I com-ici salgono sul ring, i giovani artisti espongono, le jam session sono improvvisazioni letterarie e visive. E se sei su Facebook, partecipi al primo live show con le tue richieste musicali. You Ask They Play.www.lavanderieramone.com

la casa del quartiere – rimedi creativiNel cuore di San Salvario c’è una casa in stile liberty decorata con rane e conchiglie. È un centro polifunzionale aperto a tutti, da vi-vere da solo o in famiglia, per mangiare e aggiustare la bici, per frequentare corsi o coltivare orti. Per proporre progetti e realizzarli, come ha fatto l’associazione Pentesilea, che organizza gli aperitivi domenicali di storia dell’arte. Qui la Besciamella è uno spettacolo radiofonico e ogni mese ha un tema sostenibile. www.casadelquartiere.it e www.pentesilea.org

bin11 – Quello che vive nell’inquadraturaSu via Belfiore, da una porta vetrata e incorniciata di blu si sbircia all’interno di una stanza rettangolo bianca. Per guardare il mondo che guarda il mondo. L’associazione culturale Bin11 c’invita a sco-prire di cosa si parla quando si parla di fotografia attraverso report-age lungo i confini dell’Eurozona, scatti fatti ascoltando la radio, decostruzioni. Si viaggia nell’immagine accompagnati dalla pittura istantanea, dal pianoforte, da Ghirri e Calvino.www.bin11.it

spazio Ferramenta – giovani contaminazioniDa un anno, nel sotterraneo di un ristorante siberiano di via Belle-zia, in un cantinone del 1400, accadono insolite cose. Un’insegna ferrosa indica un luogo dalle mille vite in cui il teatro rende liberi, gli artisti si fanno suonare, i giovani cantautori italiani si esibiscono live, le opere vanno in vetrina. I diversi linguaggi artistici non sono compartimenti stagni a se stanti. La contaminazione è la regola e l’attenzione ai talenti emergenti la priorità. http://spazioferramenta.blogspot.it

cripta 747 – processi ibridi È Barabba con il coltello ad aprire nel 2008 le porte di Cripta 747, uno spazio-progetto nella Galleria Umberto I, in quello che era il primo ospedale dell’Ordine Mauriziano di Torino. Luogo dinamico e ibrido, Cripta propone mostre, project room, workshop, residen-ze. Qui l’arte è processo e lavoro collettivo. Si sperimenta insieme e si fa rete con altri spazi indipendenti. E poi, quando cala la notte, ricercato clubbing underground garage noise rock outsider kraut.http://cripta747.blogspot.it

guM studio – Dagli artisti per gli artistiDopo tre anni a Carrara, sotto le volte a crociera di una vecchia at-tività di gommista in cui sono state realizzate subway immaginarie e si sono svolte arrampicate e radiodrammi, nel 2011 GUM Studio sceglie Torino per avviare una nuova fase. Inaugura su via Aosta, in un piccolo negozio con vetrina che espone i souvenir di Lucie Fon-taine e suona musica minerale, per creare uno spazio alternativo in cui giovani artisti italiani ed europei sperimentano in libertà.http://www.gumstudio.org

temporary art al sapore di pastisDa un lato c’è il Pastis, locale storico del Quadrilatero Romano, e dall’altro c’è il suo naturale complemento, il TAC - Temporary Art Cafè. Ogni anno, in entrambi IoEspongo. Non io, ma tutti i giovani artisti protagonisti di questo concorso promosso dall’associazione culturale Azimut, attraverso cui pittori, scultori e fotografi mostrano le proprie opere al pubblico chiamato a voltarle. Ogni mercoledì è una mostra e nei restanti giorni tanta movida ed eventi culturali temporanei e a rotazione.http://associazioneazimut.net

caffè della caduta – tutti su per terraPrima e dopo il Teatro, quello piccolissimo ma incredibilmente

bello di via Buniva che un tempo era un magazzino di damigiane, c’è il Caffè, sempre in caduta ma su via Bava. Un’ex tipografia che da qualche mese ospita un palco a terra e 85 comodi posti a sedere per assistere a spettacoli, concerti e attrazioni. Lo spazio scenico coincide con il tuo che coincide con un San Simone in compagnia di artisti e giullari. Spuntini e ingressi gratuiti. Magia assicurata.www.teatrodellacaduta.org

officine corsare – l’onda si fa spazioAutunno 2010: gli studenti diventano corsari e trasformano la mo-bilitazione in spazio e azione collettiva. Prende vita in Vanchiglia un Circolo Arci dove attività sociale, politica e culturale convivono all’insegna dell’autogestione. Si fa rete, si decide in assemblea e si coinvolge il quartiere per mangiare insieme a km zero, bere artigi-anale e ballare musica live. Il bancone è rosso, l’accoglienza sociale e reading, mostre e spettacoli teatrali sempre in programma. http://www.officinecorsare.org

un tram che si chiama Diogene Dal 2007, in corso Regio Parco c’è un tram che cambia spesso colore, in un processo di costruzione in continua evoluzione. È un luogo di ascolto, scambio e riflessione che vive al centro di una ro-tonda. È una residenza internazionale di Bivacco Urbano, una lib-era scuola di approfondimento, uno spazio di incontri e confronti. È l’idea di 12 artisti per mostrare chi sono, come vivono e cosa fanno gli artisti. Tra letti, tavoli, fornelli e rassegne in Apnea in corso. www.progettodiogene.eu

spazio ad libitum – a piacereQuando un gruppo di giovani artisti, storici e curatori si riunisce per ridisegnare le usuali modalità di creazione e fruizione dell’arte nasce Spazio Ad Libitum. Un nuovo progetto che con mostre, simposi, sound set e video arte fa rivivere lo storico complesso dei Docks Dora all’interno di uno studio d’artista sempre aperto allo scambio e alle collaborazioni. Perché l’arte è dialogo e relazione plurale da vivere senza limiti e barriere all’ingresso, ma in coro e a piacere. http://spazioadlibitum.tumblr.com

Da We a Manifattura tabacchi - arte, sigari e terrorismo“Ue” come benvenuto, “noi” come l’Associazione Ladiesbela che ha creato lo spazio We nel 2010 e come i curatori e gli ar-tisti protagonisti di questo progetto collaborativo nato per fare arte anche con la crisi. Se non c’è un budget operativo, si vende l’arte a prezzi pop o si opta per il baratto alla Soska Group. Op-pure s’ironizza e si trasforma il quartiere di Regio Parco in una sala da tè. C’è sempre una soluzione e tutto può continuare a vivere. www.weprojectwhat.it

Anche la Manifattura Tabacchi che, durante la bella estate e grazie a Ladiesbela, sarà polo culturale con una ricca programmazione di concerti, spettacoli, proiezioni e mostre. Danze inaugurali previste l’8 giugno e da non perdere The Orwell Project di Hasan Elahi: per

Più SPAzi PER TUTTi

testo di ROBERta tEDEscO*

m a P Pat u r a D e l l a t o r i n o C r e at i Va e i n D i P e n D e n t e

qui tORiNO

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la prima volta in Italia, il suo innovativo progetto multimediale che lo ha reso perennemente tracciabile dopo un’accusa infondata di terrorismo post 11settembre. Guardate qui: www.trackingtransience.com

spazio barriera – senza FrontiereLontano dal centro, azzera confini e trasforma le voci e i rumori di un quartiere in una composizione ritmica. Dal 2007, anno in cui è nato per iniziativa di un gruppo di amici, l’associazione Spazio Bar-riera fa rivivere con l’arte la periferia multiculturale della città. In un edificio industriale di 600 mq, propone mostre, workshop, eventi e progetti spaziali specchianti in dialogo con il territorio e i suoi abit-anti. E quando c’è Artissima, tutti qui per colazione. www.associazionebarriera.com

il piccolo cinema – Mutuo soccorso cinematograficoAl limite nord di Torino, nella Barriera periferica, è nato quest’anno un cinema piccolo, stanco del multisala e dei mega parcheggi, amante delle proiezioni condivise e del mutuo soccorso cinematografico. È un cantiere permanente di idee e passioni, uno spazio aperto in cui condividere interessi di Lunedì e competenze nei Dis-corsi. Un’antiscuola gratuita e autofinanziata per chi vuole mettersi in gioco con il cinema. Oltre la mondanità e i confini del centro città.www.ilpiccolocinema.it

urbe – rigenerazione urbanaOspite “a scadenza” della città e dei suoi spazi, l’associazione Urbe, collettivo nomade di fotografi, designer, architetti e urbanisti, restituisce nuove e artistiche destinazioni ai luoghi abbandonati e alle aree in via di trasformazione, generando tendenze riqualificanti e cantieri creativi per 45 giorni. Indimenticabile la conversione dell’ex fabbrica Aspira in War Trade Center, una factory di arte urbana in subbuglio attiva 24 ore su 24. Se avete uno spazio da rigenerare, segnalate.http://associazioneurbe.com blaH blah - Fuori dal comuneNello stesso posto in cui più di un secolo fa si assisteva alla prima proiezione in città dei Lumière, oggi si esibiscono le orchestre di bordo dell’Espresso Atlantico, si espone su alberi di legno, si balla sui 45 giri e ci si ritrova catapultati nella Dumbland di Lynch seduti sulle poltrone girevoli di un microcinema d’essai. Qui e da un anno, vedi un film a pranzo, fai un brunch al kilo, incontri un poeta all’aperitivo, ascolti musica dal vivo. Da mane a sera, in un viaggio al termine delle chiacchiere.www.blah-blah.it * roberta tedesco nasce mentre madonna canta Papa Don’t Preach.

Cresce consumando suole, arte, musica, libri, film e sogni. Creativa

in una factory sulla Dora e blogger per Contemporaryar torino,

inventa strane rubriche, intervista gli artisti con le carte e formula

playlist ispirate alle opere d’arte.

1. AMANTES via Principe amedeo 38/a

2. NOPX via saluzzo 30

3. GREEN BOX via sant’anselmo 25

4. LAVANDERIE RAMONE via berthollet 25

5. LA CASA DEL QUARTIERE via morgari14

6. BIN11 via belfiore 22/a

7. SPAZIO FERRAMENTA via bellezia 8/g

8. CRIPTA 747 galleria umberto i /int.29

9. GUM STUDIO via aosta 16

10. TEMPORARY ART CAFE via sant’agostino 25

11. CAFFÈ DELLA CADUTA via bava 39

12. OFFICINE CORSARE via Pallavicino 35

13. DIOGENE corso regio Parco ang corso Verona

14. AD LIBITUM via Valprato 68

15. WE - EX MANIFATTURA TABACCHI corso regio Parco 142/a

16. SPAZIO BARRIERA via Crescentno 25

17. PICCOLO CINEMA via Cavagnolo 7

18. BLaH BLAh via Po 21

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qui ROMa

C ontatto personale con le case editrici e riviste specializzate, collaborazione ravvicinata in progetti esterni, Let’s art (www.

letsart.it) è la riconcettualizzazione di un libreria che, fuori quindi dai canali e metodi di distribuzione consueti, apre una panoramica specializzata sull’editoria dell’arte contemporanea introducendola al visitatore, anche occasionale, nella formula di un luogo di relax dove bere un caffè e fare lì, perché no, i propri appuntamenti. A quasi un anno dalla sua apertura, questo lunga fuga di salette, oltre ad attivare connessioni con realtà editoriali molto spesso indipendenti,

ha le caratteristiche per diventare un luogo di riferimento per gli addetti ai lavori e porsi rispetto alla città come un punto di contatto con pratiche artistiche del contemporaneo. Una libro/caffetteria dunque che si posiziona in quell’ambito manageriale legato alle piccole imprese su cui oggi il marketing 3.0 sta facendo la sua fortuna riposizionando modelli di economia tradizionali su altri che invece si concentrano su specifiche esperienze, modificando la parola d’ordine da “prodotto/servizio” a “soddisfazione dei bisogni del cliente”. Beople (www.beople.me), società nata per volere di giovanissimi professionisti del campo manageriale e della psicologia,

occupandosi di business modeling attraverso l’utilizzo del Business Model Canvas, lavora da circa due anni alla creazione di modelli innovativi che siano totalmente customer oriented e che permettano perciò ai nuovi imprenditori di avere imprese a “concorrenza zero”. Un luogo ideale pensato per far nascere e crescere altri luoghi reali. Due realtà distinte quindi, sui quali ragionare dell’importanza degli spazi, che siano essi reali come il primo o progettuali come il secondo, affinché in essi si incontrino le urgenze di un momento in cui l’idea del singolo è forse la via più concreta per sviluppare nuove competenze edificando visioni future.

LET’S ART di alessandro Facente

Testo di Barbara martusciello

S i rivela oggi più che mai evidentissimo, quanto le crisi economiche pesino anche, e fatalmente, sul Sistema-cultura: tanto profondamente da provocare stalli, quando non rovinose cadute, nell’establishment più radicato.

Quest’ultimo non è necessariamente sinonimo di accademismo ma si pone ormai come quello che conta anche a livello più contemporaneo. Per esempio, nel mondo dell’arte tutto si muove intorno a poli di pregio potentissimi con agganci internazionali solidi e una costruzione di Rete a maglie strettissime: da De Carlo a Continua, dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo alla Trussardi, da Bonami a Gioni... Così, tutto quello che del/nel settore voglia aver la patente di prima classe non solo non può prescindere da questi e simili moloch, ma ne deve in qualche misura far parte. E’ l’ufficialità del Sistema dell’Arte, bellezza, e tu non puoi farci niente... (parafrasando Bogart ne “L’ultima minaccia” di Richard Brooks, 1952). La realtà più triste è che quel che si oppone a tale status quo è, il più delle volte, un sottobosco con invidia di (quella) classe... Come se ne esce? Con una dose di vera, meditata, rinnovata conoscenza e sapienza – come si diceva un tempo – che si proponga in maniera intellettualmente onesta, efficace e autonoma su piazza: un’attitudine e una pratica che, proprio in tempo di recessione e di tensioni sociali, può riuscire a passare più facilmente nelle incrinature che inevitabilmente si producono nei Sistemi di settore.

Del resto “c’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce”, poetava e cantava Leonard Cohen...

Dove trovare questa luce a Roma? In una città stratificata e piena di contraddizioni, dove anche la street art ha dimenticato qualità e rigore ideologico e persino nelle periferie i cittadini sembrano più interessati all’ultimo modello iPhone che non a costruire alterna-tive – davvero, onestamente pensate che io stia esagerando? – cer-chiamo qualche spiraglio di chiarore...

Possiamo citare, in questo senso, i cosiddetti nuovi condomini dell’Arte, ovvero edifici che vedono una concentrazione di artisti e operatori specialistici che vi abitano o lì hanno studi (come l’ex

Pastificio Cerere a San Lorenzo, di storica memoria). Niente mani-festi o documenti programmatici: sono semplicemente una realtà ma organizzata in aperture e iniziative collegiali e confronti con il territorio, sorta di kunsthause in zone residenziali ad alta densità abitativa di quella parte di Capitale spesso multietnica e con molta archeologia industriale. Così, ecco Piano Creativo, uno spazio polifunzionale in Circ.ne Gianicolense 420; e Via Arimondi, in un ex deposito di autoveicoli in quartiere Portonaccio; o, non lontano, in via di Portonaccio 23/B, SPQwoRk, una location – come ci confermano i designer emergenti Grado6, tra i gruppi che ne usu-fruiscono – “dinamica e creativa con co-working” e propensione al crossover. C’è anche l’Ex Lanificio di Via di Pietralata 159/A, dove ha sede blur un collettivo tra architettura e arte pubblica, Feed (www.urban-feed.blogspot.it) e, in uno dei piani superiori, uno Studio di artisti – Vincenzo Franza, Mauro Vitturini, Diego Manuel Mirabella – in forma, quasi, di factory dove il senior è quell’eccellente artista, Pietro Fortuna, che negli anni ‘90 mise in atto “Opera Paese”, atelier aperto dove la pratica culturale, i pro-getti espositivi e il confronto erano di casa.

Un punto di aggregazione e produzione e artistica contempora-nea passa anche per Via Castruccio Castracane, nel Municipio del Pigneto: 26cc (www.26cc.org) è uno spazio che organizza e ospita workshop, seminari, conferenze, mostre, “nato dall’iniziativa e dalle riflessioni di un gruppo di giovani curatori e artisti, con lo sco-po di proporre la cultura contemporanea sulla base della condivi-sione, della discussione delle idee e percorsi, in collaborazione con organizzazioni simili in Europa”. Tra le più singolari situazioni def-inite controculturali si pone Space Metropoliz: un film documentar-io e un progetto d’arte pubblica ideato da Fabrizio Boni e Giorgio de Finis. Gli autori hanno creato un cantiere cinematografico per dar voce a una comunità multietnica di più di duecento persone (italiani, sud americani, nord africani e rom rumeni) che dal 2009 vive nell’ex-salumificio Fiorucci sulla via Prenestina di Roma, oggi ribattezzato, appunto, Metropoliz. La trama del film, che si ispira a “Voyage dans la Lune” di Georges Méliès e a “Miracolo a Milano” di Vittorio De Sica, si sviluppa, come dicono gli autori-curatori, “intorno alla costruzione di un grande missile–scenografia grazie al quale gli abitanti del Metropoliz potranno partire per la Luna: il più vasto spazio pubblico presente nel sistema gravitazionale terrestre e l’unico luogo dove immaginare nuove modalità di abitare e vivere

insieme”. Di fatto, dal suo essere cortometraggio cinematografico e film documentario, Space Metropolitz si è specializzato come una ricerca antropologica, un esperimento di riqualificazione e di progettazione partecipata, con laboratori creativi condivisi, e come uno spazio temporaneo per l’arte che ha coinvolto artisti che si sono confrontati con quello spazio e quella particolare realtà umana e urbana. Come ci ha raccontato la curatrice, Silvia Litardi: “sono stati più di una cinquantina in 6 mesi”. Tanti sono stati gli artisti che hanno proposto e realizzato opere per questo cantiere. L’avventura continua, dimostrando come l’Arte possa ancora operare in emer-genza proponendo la qualità e un’azione eticamente sostenibile (www.spacemetropoliz.com).

Quel che da questo zoom riassuntivo forse più nettamente emerge è che riuscendo a stringer cinghia e denti senza arrendersi o sparire – e qui tacendo le ripercussioni devastanti di questo crash –, la crisi si rivela anche nel suo lato meno tragico: di un’opportunità per le Arti Visive e per la Cultura di far di necessità virtù. Ripensando anche deontologie professionali, ruolo della Critica d’Arte e metodi delle assegnazioni di incarichi pubblici di settore e (quegli ormai risicati) fondi economici.

Barbara martusciello è Storico e Critico d’arte curatore

indipendente e cofondatrice del webmagazine www.

artapartofculture.net di cui è anche Editor in chief. E’ tra i

membri della Commissione DiVag per la valorizzazione

dell’arte dei giovani artisti della Soprintendenza Speciale per

il Patrimonio Storico artistico ed Etnoantropologico e per il

Polo museale della città di Roma (Polo museale).

NO-PROfiT, ALTRi, kUNSThAUSE: UNA fORMULA PER (RE)SiSTERE

alessandro Facente (anzio, 1982) vive

e lavora fra Roma e New York. È critico

d’arte e curatore indipendente. Ha

curato progetti site specific in spazi

esterni non convenzionali prodotti

dalla FoNDaZioNE VoLumE!, mostre

per PaLaZZo CoLLiCoLa | arti visive

– Spoleto, Changing Role_Napoli –

Roma. Nel 2011 è parte del comitato

di selezione di THE oTHERS a Torino

e dal 2012 cura il programma di

residenze sulle montagne di imlil/

marocco del progetto solidale di

angelo Bellobono atla(s)now. Scrive

per varie riviste di settore.

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Quali le grandi differenze tra il

panorama delle fiere nazionali e

quello internazionale?

Le differenze rispecchiano lo stato di fatto del nostro paese nel contesto internazionale. Noi abbiamo una serie di manifestazioni fieristiche che rispondono solo a logiche della politica e del tentativo di affermazione del potere di alcuni mercanti, con la complicità di società fieristiche che, incuranti delle regole, utilizzano l’arte contemporanea come fiore all’occhiello del proprio calendario espositivo. Aggiungiamo la complessità del nostro sistema doganale, la burocrazia delle soprintendenze per le opere che hanno più di cinquant’anni, il differente peso dell’iva rispetto a tutti gli altri paesi competitori, la preoccupazione dei collezionisti ad esporsi con acquisti in Italia, la percezione dell’arte in generale come superfluo e vacuo da parte delle autorità ecco spiegate le grandi differenze tra le nostre fiere ed il sistema internazionale.

La fiera potrebbe essere uno dei luoghi

in cui ripensare il rapporto sia degli

elementi stessi che formano il sistema

dell’arte, sia tra sistema e pubblico?

Esistono già oggi in Italia realtà espositive che fanno della collateralità al momento tipicamente commerciale delle gallerie un elemento di grande qualificazione

culturale. Il vantaggio di una fiera è anche quello di catalizzare in poco tempo una gran quantità di informazioni e di interesse mediatico rendendo più fluido e propositivo il tema che si prefiggono e più rapido il raggiungimento degli obiettivi. La fiera deve essere il centro del “percorso virtuoso” da tutti assunto ma da pochi realmente perseguito, per costruire e consolidare le relazioni tra pubblico e privato

Quali sono i nuovi paradigmi su cui

bisognerebbe ripensare le fiere, come il

cercare di negarne l’aspetto commerciale

a favore di un complesso curatoriale e

museale, o come il cercare di creare un

clima rarefatto ed elitario, in cui l’opera

appaia un bene per pochi o comunque

distante, separato dal pubblico?

Ritorniamo a citare il percorso virtuoso all’interno del quale un elemento fonda-mentale è l’individuazione ed il rispetto dei ruoli. Se a dirigere una fiera viene chiamato un curatore è del tutto normale che esprima i propri gusti trasformando la fiera stessa in una mostra e viste le prime dieci gallerie il resto del percorso sarà prevalentemente di replica; analogamente se a dirigere la fiera sarà un direttore di museo. Per contro, le agevolazioni che alcune fiere applicano nei confronti delle nuove proposte artistiche dovrebbero rispondere a logiche di divul-gazione e sensibilizzazione verso i giovani con una sorta di informalità della proposta che rende più libero e fruttuoso il dialogo fra i vari attori

“The others” è una risposta possibile alle

ultime due domande, con una formula

partecipatissima che è stata premiata al

suo debutto torinese.

Scompaginare gli schemi, cercare di riportare l’attenzione sui giovani sia visitatori che espositori, chiamare a partecipare i no profit e i collettivi d’artista è un mestiere arduo in una città inchiodata come Torino, legata ai vecchi stereotipi di protezionismo esasperato, asservita alla politica a sua volta vittima e protagonista di finti rinnovamenti dove le poltrone sono scambiate sempre tra le stesse persone. Ed infatti il progetto The Others che si allargava

alle residenze ed all’estate è stato prima rimandato e poi annullato. Torneremo alle Nuove a novembre e ristupiremo la città, quella vera e pulsante; e chissà che qualche chiodo non si stacchi.

Cosa le ha lasciato come eredità

professionale e sentimentale l’esperienza

torinese di artissima?

L’esperienza professionale di Artissima credo sia unica e irripetibile, una scuola di pensiero e di vita che mi ha insegnato molto di quanto credo di sapere. Dal punto di vista sentimentale ho dei magnifici ricordi, soprattutto del gruppo di lavoro che mi ha aiutato a costruire il progetto ed anche le vicende molto dolorose che hanno portato all’interruzione del rapporto non appannano quei ricordi. Artissima mi ha permesso di sbagliare e di rimediare, di migliorare e di crescere in corso d’opera; oggi non sarebbe più possibile un’esperienza del genere. Penso ad Artissima come ad una creatura vivente, dotata di anima e corpo, allevata ed educata secondo criteri di apertura e disponibilità, immagine riflessa del nostro gruppo. Poi è arrivato l’uomo nero, anzi verde, verde Oliva e ha cambiato famiglia. Oggi è educata in modo diverso, usata dai due tutori che mi hanno seguito solo per i propri scopi personali; speriamo nella nuova direttora, è una signora, avrà più sensibilità.

Cosa pensa di Roma e Torino come

ambienti e sistemi legati all’arte

contemporanea?

Sono due mondi differenti, il nostro paese vive di singolari autonomie; se devo sintetizzare penso che Roma rappresenti il futuro e Torino il passato. Se Roma riuscirà a far convivere la propria anima antica con le pulsioni più forti e innovative credo che riuscirà ad emergere rapidamente anche a livello internazionale. In casa nostra è già il numero uno.

Roberto Casiraghi, già ideatore di

artissima, è ora Direttore di Roma

CoNTEmPoRaRY e THE oTHERS.

ROMA VS TORiNO

a cura di OlGa GaMBaRi

iNtERvista

i n t e r V i s ta a r o b e r t o C a s i r a G H i

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A Il programma del Macro di Roma è un manifesto, un progetto di per sé, messo a punto dal nuovo

direttore Bartolomeo Pietromarchi, nominato meno di un anno fa. Lo spazio del museo comunale di Roma è diventato un luogo pieno di attività e iniziative, una piattaforma relazionale che coinvolge il sistema dell’arte a livello locale, nazionale e internazionale. Uno spazio davvero condiviso, che potrebbe fare da modello ad altre realtà italiane, anche solo come energià e positività impiegate. È un momento difficile per il

sistema dell’arte, per i musei.

ma dietro alla mancanza di

risorse economiche forse si cela

quella di idee?

Prima di tutto, oltre che con il suo territorio in senso stretto, il museo deve diventare un punto di riferimento per tutti i suoi pubblici vari. Infatti non conta solo dove il museo si trovi fisicamente, ma, come stiamo verificando, è estremamente importante che tutta la comunità che prende forma in rete diventi un unico grande territorio, esteso e ricchissimo.Proprio per questo stiamo mettendo a punto altri strumenti ancora, con cui potenziare questo dialogo, al di là del riferimento territoriale tipico. Il pubblico del museo è locale e senza confini al tempo stesso. Oggi si può e si deve avere questo sguardo e questo obbiettivo con i mezzi della rete, della comunicazione. Penso al sito e ai materiali interattivi con cui si costruisce il rapporto e il dialogo, spazi dove l’istituzione diventa un’entità reattiva e interattiva: questa deve essere la prioirità. Per noi lo è.

un museo comunale guarda sotto

casa e anche oltre l’orizzonte.

Per il Macro, che è un museo

comunale di arte moderna e contemporanea, il rapporto con il territorio diretto è molto importante, direi centrale, proprio rispetto agli attori professionali che ci sono, da tenere molto presenti e valorizzare, con cui collaborare. È un bene prezioso il lavoro che tutto il sistema dell’arte sta facendo e ha fatto sul territorio, mi riferisco a gallerie, altre istituzioni e musei, curatori e poi assolutamente gli artisti. Partire da vicino nella prospettiva, però, di costruire una vasta rete attraverso la quale rispondere alla grande domanda posta dal sistema dell’arte: una richiesta legittima e vitale di partecipazione, di visibilità, di riconoscimento del tipo di lavoro che si fa. Un museo comunale ha un ruolo fondamentale nel percorso di un artista e degli altri operatori del sistema locale, da un punto di vista di visibilità, certo, ma anche professionale e non ultimo psicologico, di affermazione della propria esistenza.

Le sue prime mostre al macro

hanno visto, infatti, protagonisti

anche nomi di artisti romani.

Da Marco Tirelli a Vettor Pisani, che è stato estremamente importante per la storia dell’arte in città ed era appena scomparso. Anche il progetto di Christian Jankowski è stato realizzato da un’associazione di Roma, che si chiama “Spirito 2” ed era centrato su performance d’artista. Noi lo abbiamo valorizzato, gli abbiamo dato forza mettendolo in un contesto istituzionale dovuto.

Quindi, soldi o idee?

Nel momento in cui metti in campo tante relazioni, collaborazioni, idee, energie certamente la questione economica diventa anche più possibile, perché non si agisce da soli, e poi perché non si ragiona solo più sul fare la grande mostra

dell’artista internazionale, ma si costruisce una rete che è costituita anche di possibilità di scambi e di sostegni intrecciati a livelli diversi.

C’è tanta voglia di fare ed energia,

insieme a un’insofferenza verso

una vecchia mentalità, come

dimostrano i molti movimenti nati

in seno all’arte, le occupazioni.

Forme contemporanee di “arte

sociale”.

La scommessa storica ora è proprio questa, cioè capire che sta accadendo qualcosa di inedito, per lo meno rispetto agli ultimi anni. C’è un movimento forte con cui entrare in contatto, da ascoltare e cogliere. Invece ragionare ancora in termini prettamente da museo istituzionale, secondo modalità anni 80\90\2000 significa essere fuori dal contesto storico. Oggi il museo ha un’altra funzione, deve intercettare questa domanda di diventare altro, questa esigenza di trasformarsi in laboratorio, in centro di produzione, insomma si deve reinventarsi. È la grande sfida. un museo che diventa piattaforma

comune, come accade con gli

studi d’artista creati negli spazi

stessi del macro.

Certo, noi di spazio ne abbiamo molto, con i nostri 20.000 mq a disposizione su due sedi, però lo spirito è proprio quello! E sta funzionando benissimo. Abbiamo appena inaugurato le mostre dei primi artisti in residenza: Luigi Presicce, Carola Bonfili, Graham Hudson e Ishmael Randall Weeks. Hanno vissuto per quattro mesi in appartamenti disegnati da Odile Decq, ognuno con un atelier di cento metri quadrati dove lavorare. Sono contento sia del lavoro presentato in mostra, sia di ciò che c’è stato prima, cioè il percorso della parte laboratoriale, dell’apertura al pubblico stesso, il momento

della didattica e del laboratorio, con incontri aperti. E già ci sono i nomi dei prossimi otto artisti che verranno in residenza da noi. Ma la stessa denominamazione in cui si è specificata l’attività del museo, cioè Macro Expo, Macro Lab e Macro Live rende molto questa idea di piattaforma aperta e condivisa.

bartolomeo Pietromarchi (roma,

1968), critico e curatore d’arte,

da luglio 2011 è direttore del

macro di roma. e’ stato Direttore

artistico della Fondazione adriano

olivetti, curatore del Premio italia

arte Contemporanea del maXXi

– museo delle arti del XXi secolo

e co-curatore della mostra di

apertura spazio. n alto:

i MusEi DEl tERZO MillENiO

luigi presicce, ritratto, foto dell’artista nello studio #3, marzo 2012

ishmael randall Weeks, studio, veduta dello studio #4, marzo 2012

tutte le immagini © maCro / Valentina larussa

dA SOTTO CASA ALLA fiNE dEL MONdO

testo di OlGa GaMBaRi

i n t e r V i s ta a b a r t o l o m e o P i e t r o m a r C H i

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i MusEi DEl tERZO MillENiO

A nnunciato fin da metà aprile - con la consueta e naturale riservatezza tutta britannica della Tate

Gallery - il nuovo grande progetto delle Tanks, fin da subito ha fornito impressionanti anticipazioni su quello che giustamente puo’ essere descritto come il primo grande spazio museale dedicato in permanenza ad occasioni per seguire esempi di Live art, ovvero quel sempre più vasto insieme di opere, installazioni, azioni, musica danza e performance che oggi va a radunarsi sotto questa piu’ pregnante denominazione - ovvero tutto cio’ che prende forma nello svolgersi del tempo reale. Se gia’ la Whitechapel Gallery (quasi una decina d’anni fa) e poi il MoMA (a New York) avevano impostato serie di appuntamenti dedicati a tracciare possibili geneaologie della Performance (nello scorcio della seconda meta’ del Ventesimo secolo), ora la situazione sembra profilarsi ben piu’ intrigante e ambiziosa considerando le modalita’ di presentazione al pubblico...E difatti davvero di spazi unici, con caratteristiche tutte loro particolari, sembra ora trattarsi - dal prossimo 18 luglio, nel pieno della stagione estiva e a soli dieci giorni dalla partenza delle Olimpiadi londinesi, partirà così un festival delle arti attuali della durata

prevista di ben 15 settimane.

Il festival si offrirà come momento privilegiato per mettere in scena e offrire un interessantissimo “contesto” (non neutro - bensi’ fortemente connotato) per sondare ed esplorare nuovi e recentissimi sviluppi delle pratiche artistiche attuali, al medesimo tempo non tralasciandone aspetti formativi/educativi (legati ad un’idea di apprendimento continuo), e presentando anche una vasta serie di “prime” e di creazioni appositamente commissionate a celebri artisti. In parallelo, in una zona attigua, saranno messe in mostra anche nuove opere acquisite (nelle ultime stagioni) e durante il festival vi sarà uno specifico momento (di dieci giorni) dedicato al pubblico più giovane.

Per addentrarci (letteralmente..) negli spazi in questione, si tratta delle tre vastissime vasche di cemento (originariamente adoperate per il contenimento di oli industriali) di 30 metri di larghezza, abbandonate piu’ di trent’anni fa. Una di esse sarà mantenuta come spazio tecnico mentre le altre due saranno impegnate nel mostrare in maniera più o meno continuativa eventi, performance, film e installazioni, mentre in parallelo

verranno organizzate anche conferenze e convegni. La East Tank quest’estate sarà impiegata per il singolo lavoro di un giovane artista coreano, Sung Hwan Kim, che sviluppera’ gli ambienti per raccontare storie e narrazioni a partire da tecniche di disegno e di scrittura, accompagnate da momenti di musica, video, suoni ambientali e scultura.Personalità piu’ note come la compagnia belga di danza contemporanea Rosas oppure l’artista cubana Tania Bruguera (che già nel 2008 aveva presentato una particolarissima performance, legata all’idea di sorveglianza e controllo in spazi pubblici, proprio presso la Tate Modern) saranno di ritorno per progetti particolari: nel caso delle Rosas la ripresa delle celeberrime coreografie di Phase (su musiche di Steve Reich) create agli esordi della loro carriera, mentre la Bruguera svilupperà attraverso un progetto di residenza di tre settimane una serie di workshop e di discussioni pubbliche incentrate sul suo recente progetto in continua evoluzione Immigrant Movement International.

Nella South Tank saranno invece presentate una serie di progetti a continua rotazione che riguarderanno la complessa e variegata storia della

Performance, nonche’ occasioni di proiezione di film e presentazioni di lavori interdisciplinari assieme a nuove commissioni radunate sotto degli “special focus”. Sono stati invitati più di quaranta artisti provenienti da tutto il mondo e già annunciati, risultano, per citare qualche nome… Ei Arakawa (Giappone), Jelili Atiku (Nigeria), Nina Beier (Danimarca), Tania Bruguera (Cuba), Boris Charmatz (Francia), Keren Cytter (Israele), Tina Keane (UK), Anne Teresa De Keersmaeker (Belgio), Liu Ding (Cina), Jeff Keen (UK), Anthea Hamilton (UK), Sung Hwan Kim (Corea), Rabih Mroué (Libano), Paulina Olowska (Polonia), Eddie Peake (UK), Yvonne Rainer (USA), Lis Rhodes (UK), Aldo Tambellini (USA), Haegue Yang (Corea).Il festival nel festival - ovvero l’approfondimento dedicato al pubblico più giovane, denominato Undercurrent festival - presentera’ dieci giorni di eventi e performance sonore, digitali e mediali dedicati e concentrati su tutto quel vaso insieme in costante evoluzione che ben rappresenta la ricchezza delle (cosiddette) sub-culture elettroniche autoctone: sono gia’ stati annunciati nomi come Rinse FM, Dubmorphology, ISYS Archive, The Orange Dot e David Kraftsow, W Project and Boiler Room e artisti come Leo Asemota, Hetain Patel, Ruairi Glynn, Tracey Moberly e Jon Fawcett.

Il progetto (e l’apertura) delle Tanks rappresentano la prima fase ufficiale del grande progetto di espansione (ovvero un autentico “raddoppio”) quantificato in 215 milioni di Sterline che la Tate ha pianificato da qualche anno oramai e che prevede il completamento (con la costruzione dell’estensione da undici piani e 64 metri) per la data prevista del 2016. Il direttore Nicholas Serota ha annunciato che le lunghe e laboriose operazioni di fundraising hanno gia’ toccato il 75% della spesa prevista.

Le tre vasche delle turbine a olio, autentiche vestigia dell’originaria centrale elettrica, rappresentano le fondamenta del nuovo fabbricato. Proprio l’idea di destinarle a spazi per la sperimentazione di performance e arte d’installazione indica chiaramente come il nuovo sviluppo sia concepito quale forza catalizzatrice per attirare un pubblico piu’ vasto in maniera ancora piu’ coinvolgente - in qualche modo facilitando ed allargando le possibilita’ di avvicinamento ed accesso al museo d’arte contemporanea. Ecco cosi’ che l’espansione verso nuovi spazi si lega all’esigenza non piu’ semplicemente di esporre nuove ricerche e generi di arte contemporanea, quanto ad una concezione piu’ allargata di cultura visiva contemporanea, indicativa del complesso processo di riposizionamento che anche le istituzioni (e ai massimi livelli come la Tate) stanno attraversando nell’attuale fase di riconversione e trasformazione della fruizione culturale. Anche a livello urbanistico sara’ portato avanti un nuovo passaggio pubblico sotterraneo attraverso il fabbricato per creare un accesso diretto fra il cuore di Southwark (sede della Tate Modern) e la prospicente City (la’ poco distante). Infine anche due nuovi piazzali saranno costruiti sia sul lato sud che su quello est (rispetto alla galleria) con nuove piante cosi’ da renderli piu’ simili a giardini per la comunita’ locale degli abitanti nonche’ per i visitatori e lo staff. Al momento dell’apertura della Tate Modern (nel 2000), i visitatori non arrivavano a due milioni l’anno... gia’ oggi, la cifra si avvicina quasi oramai ai sette milioni, e proprio in tutta la nudita’ delle cifre si puo’ ben avvertire l’enormita’ della sfida posta in gioco.

*Franz bernardelli è critico e curatore

d’arte contemporanea freelance. si

è sempre interessato ai rapporti fra

arti visive, time-based media e nuove

musiche, scrivendo e organizzando

rassegne di performance, video arte

e immagini in movimento.

ThE TANkS

testo di FRaNcEscO BERNaRDElli*

tat e m o D e r n : i l m u s e o C o m e s Pa z i o s o C i a l e

tate

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tank

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stORiE

N ell’inverno 2009 la rivista Granta pubblicò un reportage dello scrittore Daniel Alarcón sull’editoria informale di Lima. Sulle bancarelle abusive ai bordi

delle strade, di fronte alle scuole o nel mercato di Amazonas - il ‘Paraiso de los libros’ - si vendono copie piratate, edizioni spagnole di romanzi non ancora ufficialmente tradotti e libri a cui sono stati aggiunti capitoli e inediti finali. Un nuovo genere di libri ‘gonfiati’ si è affermato, all’interno e nonostante un modello economico basato sul diritto d’autore; in Perù, gli auspici di Michele Boldrin e David K. Levine, - che nel recente libro Abolire la proprietà intellettuale hanno cercato di confutare, in termini economici, la tesi per cui la proprietà intellettuale e l’innovazione hanno bisogno di particolari protezioni di legge - sono già prassi ‘istituzionalizzata’ e vale la pena riflettere sui processi creativi innescati da una pirateria che - oltre la semplice ristampa non autorizzata - ha iniziato ad interferire con il contenuto dei libri.

FREE FLoaTiNg aNomaLY

Nell’ottobre del 2010 la biblioteca della Byam Shaw School of Art di Archway, a nord di Londra, rischiava di chiudere i battenti a causa della fusione tra la Central Saint Martin - di cui fa parte - e la University of Arts; mentre un gruppo di studenti e dipendenti della Byam Shaw si opponevano alla chiusura della biblioteca, riuscendo ad ottenerne la gestione e a garantirne l’apertura, l’artista Andrea Francke rientrava da Lima con una valigia carica di libri piratati e un’idea in testa: applicare le regole della copia creativa non solo alla narrativa ma anche ai testi accademici. Questa intuizione nata sull’asse Lima-Londra è all’origine di The Piracy Project, l’open call che grazie al passaparola ha permesso di rispondere in modo creativo all’assenza di fondi della Byam Shaw per l’acquisto di nuovi libri. Il progetto, sviluppato da Andrea Francke insieme a Eva Weinmayr di AND Publishing, non si riduce al furto o alla falsificazione; è piuttosto una piattaforma che esplora un ampio spettro di possibili forme di traduzione, imitazione, manipolazione e copia di testi. Di necessità virtù, il bisogno di risorse ha innescato la pratica artistica e ogni azione intrapresa ha offerto il pretesto per un’analisi delle implicazioni legali, filosofiche e politiche della pirateria seppur evitando lo stallo del dibattito tra apocalittici e integrati, sulla proprietà intellettuale.

ThE PiRACy PROjECTtesto di ilaRia GaDENZ*

In concreto, The Piracy Project è partito da un invito rivolto ad amici, curatori ed artisti affinché inviassero un libro che a loro avviso, non sarebbe dovuto mancare nella biblioteca di una scuola d’arte. L’unico vincolo, mandarne una versione inedita, piratata. Oggi la collezione è composta da più di cento progetti editoriali che rappresentano un’ampia varietà di approcci creative alla copia. Non è semplice capire a che punto si trovino nello stretto selciato tra legalità e illegalità, quanto questi approcci siano trasformativi o digressivi ma lo spazio di sperimentazione è illimitato, lo statuto del libro, i concetti di autorialità e originalità in continua evoluzione e come dice Eva Weinmayer, manomettere un libro significa soprattutto ripensare sia il modo in cui lo leggiamo - letteralmente e come oggetto culturale - sia le modalità in cui il libro stesso riesce a liberare informazioni e conoscenza; é interessante ad esempio che siano già arrivate diverse versioni di Sul guardare di John Berger, che Jacques Ranciere sia molto gettonato, che Postproduction di Nicolas Borriaud sia già stato postprodotto o che nella stessa biblioteca la copia originale de L’interpretazione dei sogni di Freud possa dialogare con la lettura sgrammaticata che ne fa Simon Morris in ‘Re-Writing Freud’. La presenza, a Londra, di numerose altre e ben fornite biblioteche giustifica la scelta di adottare The Piracy Project come strumento di ‘rianimazione’ di uno spazio destinato altrimenti alla chiusura; è la città stessa a garantire la sensatezza di un simile progetto e di questa collezione. Non è un caso però che a curarne lo sviluppo ci pensi AND Publishing, una laboratorio creativo che dal 2009 - ospite della Central Saint Martin School, proprio nella sede di Byam Shaw - esplora l’uso delle tecnologie digitali e le potenzialità del self-publishing per la pubblicazione di libri d’artista. Grazie all’adozione del print-on-demand come metodo di produzione e distribuzione editoriale, Lynn Harris e Eva Weinmayr hanno creato una canale specializzato per la vendita e la presentazione di ambiziosi ma piccoli progetti artistici su carta, offrendo parallelamente servizi di consulenza e assistenza, dalla grafica alla gestione dei codici ISBN e delle vendite. Alla Central Saint Martin fanno ancora fatica a capire cosa sia questa ‘fluida anomalia’ di AND Publishing ma la convivenza tra un’istituzione consolidata e un soggetto che si definisce a partire da pratiche spurie, al limite di territori concettuali alquanto controversi è un’occasione di sperimentazione che anche altri college dovrebbero accogliere e sostenere.

the piracy project è una collaborazione tra andrea

Francke e eva Weinmayr. Per inviare un libro a

the Piracy Project, scrivete a and.publishing@csm.

arts.ac.uk

(www.andpublishing.org)

iL PaRaDiSo DEi LiBRi

* ilaria Gadenz nel 2006 ha contribuito a fondare radiopapesse.org,

che dopo cinque anni rimane il suo ‘primo’ lavoro.

Collabora con musei e istituzioni nazionali e internazionali

traducendo i contenuti dell’arte contemporanea in formati

radiofonici.

dall’alto:

open call: the Piracy Project

the piracy project reading room, new York art book Fair 2011

library workshop with students london College of Communication

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RitRatti

Saba Anglana è in tournée per presentare il suo ultimo disco, altre nuove storie in musica con cui raccontare il suo mondo a cavallo

tra due culture, quella dell’Africa orientale e quella italiana.Si intitola Life changanyisha, realizzato insieme a Fabio Barovero – una delle anime storiche dei Mau Mau e anche musicista solista -, compagno di musica, viaggio e vita. Anche di sogni, tanti, che alimentano le loro musiche che attraversano geografie e culture.Prima di arrivare alla musica, Saba si è appassionata di storia dell’arte e di restauro, ha recitato a teatro e in televisione, ha lavorato per case editrici e uffici stampa. Poi nel 2007\2008 esce il suo primo disco Jidka (The line) per un’etichetta inglese e lei diventa un’icona di un’identità musicale libera e personalissima, che rifiuta generi e categorie, con cui va alla ricerca delle proprie radici e propone visioni per il futuro. Molto di più di world music e musica etnica. anche in questo disco c’è la sensazione di “mondo”, percepita spesso a livello sensoriale, che passa per la memoria, l’udito, che si porta dietro frammenti sparsi sulla geografia e nel tempo.

Quello che intendevamo fare nel progetto di questo disco era proprio andare oltre l’idea del compendio e della categoria della world music.Io sono fondamentalmente una viaggiatrice, incarno attraverso la musica quello che mi succede nel viaggio. Quando parto mi porto certo dietro un bagaglio personale però mi

pongo in maniera vergine e neutra, senza preconcetti all’incontro sul posto con il nuovo materiale vivo e inatteso che scopro.Il disco voleva essere un viaggio sensoriale con cui continuare a scardinare i settori degli stili musicali e dei generi. La mia avventura musicale, condivisa con Fabio, soprattutto all’inizio soffriva della forma mentis degli operatori culturali che devono per forza inserire il disco in una categoria, dal negozio ai giornalisti. Siamo sempre ossessionati da una definizione che abbia un codice e un modus operandi, e questo è un danno per la cultura, per la società, nutre forme mentali chiuse. La world music a volte è una forma di nuovo esotismo?

Sì, in fondo è frutto dell’eurocentrismo, mentre invece dovrebbe essere una musica che vive di mescolanza, di incontri, per cui una parte geografica risuona di altri suoni che arrivano, magari, da centinaia di km di distanza.Per esempio in Etiopia abbiamo sentito influenze blues ma poi ci siamo resi conto che l’Etiopia stessa ha influenzato molte parti dell’Africa, proprio quegli stessi luoghi dove si pensava fosse nato il blues. Quindi la storia è molto più ricca e complessa di quel che appare.Invece, spesso si viaggia non con se stessi, ma con la Lonely Planet, cioè attraverso un potere di sintesi estraneo, che è impoverente e riduttivo, superficiale. il viaggio è quindi esperienza esistenziale e creativa insieme. una raccolta di materiale sonoro, stimoli ed emozioni da cui nascono

i tuoi dischi. Con i miei tre dischi ho realizzato un trittico sull’Est Africa.Il primo, Jidka, era più legato alla Somalia, dove purtroppo non sono potuta più ritornare da quando siamo dovuti fuggire. Avevo cinque anni, mia madre era di origine etiope e mio padre italiano, ma ambedue vivevano da sempre a Mogadiscio. La mia famiglia è stata è un esempio della prima diaspora somala, siamo stati cacciati, siamo ancora dei rifugiati, con quello status dei profughi assegnatoci all’inizio degli anni 60. Io rappresento il cuore del contrasto, con questo mio incrocio tra Somalia, Etiopia e Italia.Con quel disco ho compiuto un viaggio virtuale, in Somalia per ora non si può tornare, perchè è una terra talmente sofferente da essere pericolosa per un viaggiatore. Ho fatto il mio ritorno in musica a casa attraverso il disco.Il secondo, invece, Biyo, si è nutrito di un viaggio in Etiopia in cui abbiamo attraversato villaggi del sud, la valle dell’Omos fino ai confini del Lago Turkana. Abbiamo disegnato una sorta di mezzaluna, un sorriso nella parte sud del Kenia, da Nairobi fino a Malindi, entrando a contatto con realtà dimenticate dalle cartine geografiche, soprattutto ai confini con la Tanzania. Con il secondo album, Biyo, che significa “vita” in greco e “acqua” in somalo, nasce il tuo rapporto con amref, una delle più grandi organizzazioni umanitarie in africa.

L’Amref ha individuatato nel mio lavoro un ottimo viatico per raccontare le storie legate

all’acqua. Così abbiamo fatto una campagna raccolta fondi partita il 22 marzo 2010, giornata mondiale dell’acqua. Concerti, incontri per sostenere la creazione di pozzi, acquedotti, l’igiene delle fonti. La mia voce si poteva intrecciare alla loro.Poi mi hanno proposto di ritornare in Africa per vedere con i miei occhi. Nel 2011 abbiamo fatto un lungo, faticoso ma arricchente viaggio insieme, da cui è scaturito il materiale per quest’ultimo disco. in questo album quale potrebbe essere la parola chiave?

Se nel disco precedente era l’acqua, e in quello ancora prima era “la linea”, che unisce come un ponte due mondi, in questo è sicuramente “il viaggio”: rappresenta il primo passo che compi nel mondo e il mezzo per mescolarti ad esso. Io metto a disposizione il mio corpo come organismo aperto che comunica tra interno ed esterno. Sei vissuta a lungo a Roma e da qualche anno a Torino, due città motlo africane a loro modo, mete di grande immigrazione dal sud del mondo. Due luoghi come un ponte, appunto, che ti rappresentano.

In queste città c’è una forte forma di associazionismo, un sottobosco della società civile, con un ruolo importante lasciato vacante, invece, dalle istituzioni. Sono forme sotterranee operate da volontari italiani, mediatori culturali che coinvolgono figure di spicco delle comunità africane, che a loro volta hanno strumenti intellettuali e culturali per poter fare da ponte.C’è la voglia e l’esigenza di mettere in contatto i nuovi migrati con la popolazione locale, e tutto questo fa fatica ad essere affrontato dalle giunte comunali.Io sono molto coinvolta, faccio da performer e mediatrice culturuale, la mia musica crea comunicazione.Quest’azione è più veloce e sviluppata rispetto a quello che registrano i media, tutto ciò che per loro arriva da questo mondo è relegato alla dimensione solidale, in un certo senso un ghetto, mentre la realtà è più mobile e vitale e con ottimi risultati. C’è già una generazione di bambini che ha in sé molteplici matrici culturali, una ricchezza ancora inconsapevole, un potenziale meraviglioso per una nuova società condivisa.

www.sabaanglana.com

CANTARE iL MONdO

a cura di OlGa GaMBaRi

i n t e r V i s ta a s a b a a n G l a n a

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un’enorme opera di poster art creata da Xumia nel 2012. si intitola “Vecchie e nuove resistenze”.

“i temi di questo lavoro sono molti, 25 aprile e 1 maggio in primis, ma anche privatizzazione dell’acqua, no tav, nucleare, chiesa, repressione, negazione dei diritti fondamentali del

cittadino, temi legati da una sola parola, resistenza. Come i nostri avi, anche oggi, lo affermiamo con rammarico, ci troviamo a lottare quotidianamente per rivendicare i nostri diritti, di

liberi cittadini e di lavoratori.

non basta commemorare il passato celebrando il ricordo di chi ha donato la propria vita per renderci oggi un po’ più liberi, non dobbiamo accontentarci di sfilare con una fiaccola

ed una bandiera nei giorni prefissati. Va ricordato con forza, ogni giorno, l’impegno che i nostri padri avrebbero profuso per impedire che le ingiustizie, legate al profitto, al potere ed

alla discriminazione, prendessero e prendano il sopravvento sulle nostre vite. Va ricordato impegnandoci, ora e sempre, a mantenere viva la lotta per il riconoscimento dei nostri diritti

fondamentali” scrive roberto tos.

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