Arte - Il Secolo D'Oro Della Pittura Spagnola

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Il secolo d’oro della pittura spagnola di Alfonso E. Pérez Sánchez Storia dell’arte Einaudi 1

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Il secolo d’oro dellapittura spagnola

di Alfonso E. Pérez Sánchez

Storia dell’arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:in La pittura in Europa. La pittura spagnola, vol. II,Electa, Milano 1995

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Indice

Il primo naturalismo 11Toledo 17Valencia 21Siviglia 24

La generazione dei grandi maestri 29Ribera 31Francisco de Zurbarán 36Alonso Cano 43Velázquez 47I pittori madrileni della generazione di Velázquez 55Il resto della Spagna 63

I pittori del pieno barocco 68La «scuola madrilena» 72La pittura sivigliana 81Nel resto della Spagna 88

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Il secolo d’oro della pittura spagnola

Il XVII secolo è senz’ombra di dubbio il Siglo de Orodella pittura spagnola. Con il fenomeno dell’isolamentoculturale della Spagna dal resto d’Europa, con l’identi-ficazione quasi eccessiva della nazione nella religione econ lo sviluppo del naturalismo prima e del barocco poiquali linguaggi dell’espressione plastica, la pittura spa-gnola raggiunge il suo apice in quanto a personalità eindipendenza, assimilando, interpretando e personaliz-zando in modo inconfondibile i modelli e le tendenzeche, come sempre, provengono dall’Italia e dalle Fian-dre. L’immagine ampiamente diffusa della «scuola spa-gnola», con i suoi limiti e le sue grandezze, risponde aquesto panorama di cui fanno parte i grandi nomi chela Spagna ha dato alla storia universale dell’arte.

È naturale sottolineare il carattere fondamentalmen-te religioso della pittura spagnola del Seicento. La chie-sa, ma soprattutto gli ordini religiosi, sono i committentiquasi esclusivi degli artisti; la nobiltà invece dimostra unmaggior interesse per i pittori italiani e fiamminghi piut-tosto che per quelli spagnoli. L’ambasciata a Roma, igoverni delle Fiandre, il ducato di Milano e il viceregnodi Napoli, che in seguito ostenteranno buona parte dei«grandi» di Spagna, amano la pittura proveniente daidue paesi ai cui pittori commissionavano le opere impor-tanti che donavano tono e prestigio moderno ai loropalazzi. Si conosce soltanto un importante nobile spa-gnolo che dedicò la propria attenzione ai pittori della sua

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terra: il grande ammiraglio di Castiglia don Juan GasparEnríquez de Cábrera che, come ricordano le fonti, avevapredisposto un salone del suo palazzo per esporre operedegli «eminenti spagnoli». Era prassi che la pittura pro-fana per decorare i palazzi venisse commissionata nelleFiandre o in Italia, mentre ai pittori spagnoli si rivolge-vano le fondazioni pie, cosa indirettamente molto utilealla loro formazione perché, avendo rare occasioni diviaggiare, potevano venire a conoscenza, grazie a que-ste nobili collezioni, delle realizzazioni e delle evoluzionidella pittura europea, almeno per quegli aspetti di lorointeresse.

La situazione sociale spagnola si riflette nell’opera enello status dei pittori, riuniti in corporazioni a carat-tere artigianale, con botteghe familiari a struttura quasimedievale e tra i quali non è difficile trovare ottimiartisti analfabeti. La clientela borghese istruita è quasiinesistente, ma soprattutto è raro riscontrare tra i pos-sibili mecenati o tra i pittori il gusto per le lettere, lafamiliarità con la mitologia appresa da fonti classicheche, al di fuori della Spagna, rendeva possibile lo svi-luppo delle «poesie» del mondo carracciesco, roma-no-bolognese o del classicismo di Poussin. Soltanto neicircoli molto vicini al centro della monarchia e all’am-biente degli artisti di corte si riscontra l’uso della mito-logia, sempre utilizzata in programmi iconografici for-temente allegorico-moralizzanti dettati da un teologo.

A lungo andare questi limiti si ripercuotono sulle abi-tudini e sui modi dei pittori spagnoli, soprattutto quan-do, in alcuni casi eccezionali, costoro sono obbligati adaffrontare argomenti mitologici o eroici, cosí diversi daisoliti temi religiosi, e si sentono fuori dal proprioambiente, non riuscendo a trovare i toni adatti.

Tranne nel caso dell’eccezionale figura di Velázquez,nella pittura spagnola sono scarsi i temi pagani e i pae-saggi, un genere indipendente, ampiamente utilizzato

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nello stesso periodo in tutta Europa, ma raro in Spagna;i pochi esistenti mancano di personalità e sono legati perla maggior parte a modelli italiani e fiamminghi.

Contrariamente a quanto si può a volte credere osser-vando i magistrali esempi, sempre eccezioni, del giova-ne Velázquez o dell’anziano Murillo, in Spagna nonfurono neppure coltivate le composizioni di genere e,quindi, non esistendo una clientela borghese, soddi-sfatta e d’accordo con la realtà rappresentata, non eraconcepibile uno sviluppo simile a quello avvenuto inOlanda, nelle Fiandre o in alcune regioni francesi.

Il tanto ripetuto naturalismo spagnolo è in realtà piúun mezzo che un fine. La realtà quotidiana, i personag-gi di strada, la rappresentazione dei lavori e dei giorninon sono per il pittore spagnolo elementi che meritinodi essere rappresentati in quanto tali, bensí prestano laloro immagine, immediata e viva, ai racconti evangelicio agiografici. Come Lope de Vega, che quando parla disan Isidro ci descrive la vita quotidiana di Madrid conuna vivacità senza paragoni, cosí i pittori di Valencia,Siviglia o Madrid iscrivono in una cornice di naturali-smo ambientale la narrazione che la pia volontà dei com-mittenti impone loro. Cosí facendo, riflettono la realtàspagnola, anche se in un modo molto diverso dalla pit-tura di genere concepita da alcuni allievi di Caravaggio,dai bamboccianti italiani, dal mondo olandese o ancheda alcuni settori della società fiamminga rappresentatadai Teniers.

Come ha sottolineato Julián Gállego, molti elementi diapparente realismo erano impregnati di un senso allego-rico o emblematico che sfugge ai nostri occhi moderni, mache era di facile lettura agli uomini del XVII secolo.

Tra i generi profani, solo la natura morta ha avutoampio sviluppo in Spagna, arrivando a costituire uncapitolo importante nel panorama globale della pitturasecentesca europea. I bodegónes (nature morte), come di

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solito venivano definite le opere con oggetti inanimati(fiori, frutta, utensili di cucina, animali morti) accom-pagnati o meno da persone, hanno una personalità moltoparticolare e rispondono a un concetto diverso da quel-lo italiano, fiammingo, olandese o francese contempo-ranei. Una sensibilità umile e seria, profonda e impre-gnata di un sentimento religioso che ordina gli oggettiin base a un valore trascendentale è ciò che si può defi-nire nuovo e personale negli artisti spagnoli di questogenere, la cui arte, spesso, soprattutto all’inizio del seco-lo, assume un carattere quasi religioso che a noi, menoadusi al genere dei loro contemporanei asceti come fraLuis de Granada o Teresa del Gesú, sfugge frequente-mente. Non è un caso che alcune serie di nature morteprovengano da conventi di clausura o da sagrestie di cat-tedrali, dove ancora oggi sono custodite.

Anche il ritratto raggiunge in Spagna un notevole svi-luppo, con aspetti un poco diversi da quelli di altrescuole europee. Se nell’ambiente di corte la tradizionedel severo ritratto fiammingo del XVI secolo, fusa coni superbi modelli veneziani e con la presenza di ecce-zionali esemplari di Rubens e Van Dyck, porta alla sin-tesi del serio e sobrio ritratto di Velázquez che Mazo,Carreño e altri coltivano, arricchendolo, fino al soprav-vento, nel Settecento, del ritratto «alla francese», inaltri ambienti minori o provinciali si sviluppa un gene-re di ritratto con un’oggettività intensa e un severogarbo che prolunga fino al secolo avanzato quel tono digrave contegno e alterigia un poco rigida che definiva,agli occhi europei, il talento spagnolo. Se negli ambien-ti francesi non era raro l’utilizzo nel ritratto, soprattut-to in quello femminile, di attributi mitologici per far tra-sparire, con delicatezza, le virtú della persona ritratta,in Spagna è molto frequente il ritratto in foggia «divi-na», dove il personaggio effigiato ha gli attributi del suosanto protettore.

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Gli artisti spagnoli si espressero al meglio, anche nelleepoche precedenti, nella pittura sacra. La quasi totalitàdella produzione dei pittori spagnoli, sia a Madrid, dovesono relativamente pochi gli artisti che ottengono inca-richi a palazzo, sia nel resto della penisola è compostada quadri da altare (sia negli scomparti dei retablo del-l’inizio del secolo, che presentano ancora l’austera strut-tura ereditata dall’Escorial, sia nelle grandi tele da alta-re della seconda metà del secolo, in cui si giunge al cul-mine della scenografia barocca), cieli monastici, cherivestono con un vivace senso narrativo le pareti deichiostri dei conventi, o piccoli quadri di devozione cheadornano sale e saloni.

La religiosità spagnola, appassionata e sincera, chesfugge l’effusione sentimentale italiana, il freddo dog-matismo teologico francese e la magniloquente teatralitàfiamminga, riesce, fondandosi su un profondo amore perla concretezza, a cristallizzare un tono tra il grezzo e ilprofondo, semplicemente realista e a volte profonda-mente visionario, che è la caratteristica piú emozionan-te e notevole dell’arte spagnola.

Non si tratta soltanto, sebbene sia stata cosí riporta-ta da una critica letteraria e ripetitiva nata durante ilRomanticismo, di un’arte composta da sofferenza e cru-deltà, bensí è basata sull’immediatezza derivante dallarealtà circostante che dona all’interpretazione del temareligioso, secondo la Controriforma, un abito quotidia-no di rigore e dolore, di austerità e sacrificio che nonfugge, quando serve, dalla serena tenerezza e dall’otti-mismo gioioso della fede.

In generale si può percepire un’evidente differenzatra la pittura spagnola della prima metà del XVII seco-lo, a carattere fortemente realista, con tratti provenientiin buona parte dal naturalismo tenebrista italiano, dalleforme e dai colori severi, e quella della seconda metà,quando la vasta diffusione dei modelli fiamminghi

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rubensiani, grazie alla stampa e all’enorme quantità diquadri che dai paesi fiamminghi giungevano nelle colle-zioni spagnole, dà un nuovo senso all’opulenza barocca,dinamica e colorista, a ciò che si realizza in Spagna,anche quando la realtà economica e politica non è pro-prio trionfale come invece potrebbero indurre a pensa-re le opere luminose degli ultimi anni del secolo.

In quest’ultimo periodo si diffonde inoltre il gustoper le grandi decorazioni ad affresco, rare in generenella prima metà del secolo e concepite adesso con untono unitario, scenografico e musicale completamentenuovo. La presenza di artisti italiani specializzati inquesto genere di decorazione murale è decisiva per l’ar-te spagnola del periodo.

Per quanto riguarda i centri artistici, la Spagna delXVII secolo presenta tre nuclei ben definiti: la corte,Valencia e l’Andalusia. La corte, stabilitasi a Madrid daitempi di Filippo II, diviene il principale centro e com-prende una vicina scuola locale, quella di Toledo, chevive un effimero momento di splendore nei primissinianni del secolo. Il breve periodo in cui la corte si tra-sferisce a Valladolid non è sufficiente a creare un circo-lo di persone e di qualità; le opere di una certa impor-tanza ivi realizzate sono in genere frutto di artisti giun-ti da Madrid.

Madrid, oltre alle esigenze di palazzo, costituisce diper sé un ampio mercato, poiché per tutto il secolo vi sicostruiscono e si decorano moltissimi conventi e fonda-zioni pie nobiliari; risponde inoltre all’ampia richiestaproveniente dalle due Castiglie, riceve ed educa, inte-grandoli nella grandissima «scuola madrilena», artisti didiverse provenienze, da Burgos e dalle Asturie, fino aiconfini della Sierra Morena.

Valencia, che era già un centro artistico di particola-re importanza nel XVI secolo, mantiene la sua egemo-nia e include nella propria orbita la Catalogna, che in

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questo secolo aveva una scarsa personalità, e Murcia.Diventa anche il centro della Bassa Aragona (Teruel) edelle Baleari e la sua influenza si estende fino a Sara-gozza, che ha una modesta attività indipendente. L’An-dalusia presenta un panorama un poco piú disperso, seb-bene non vi siano dubbi che il centro irradiante sia Sivi-glia, lo scenario delle realizzazioni con maggior trascen-denza e la culla degli artisti piú importanti. Granada,Cordoba e, in grado inferiore, Malaga e Jaén svolgonoun ruolo altrettanto significativo. Logicamente, l’areaandalusa si estende un po’ a sud dell’Estremadura e siproietta in modo notevole verso l’America grazie all’at-tivissimo commercio con le Indie, monopolio di Siviglia.

Le altre aree della penisola (la Galizia, il nord canta-brico-asturiano, i Paesi baschi-navarri ecc.) non offronoalcun interesse o personalità locali e ricorrono all’ambi-to di corte quando si tratta di opere di una certa impor-tanza. Il Portogallo, che fino al 1640 era unito alla Coro-na spagnola, presenta un panorama ancora piú modesto,che inoltre non è stato finora studiato approfondita-mente. Sembra distinguersi l’attività di alcuni ritratti-sti che mantengono la tradizione del ritratto della finedel XVI secolo. La pittura religiosa è di scarsa qualitàed è significativo che, per incarichi di una certa impor-tanza, si ricorra a pittori della corte madrilena (Cardu-cho a Santo Domingo de Benfica).

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Il primo naturalismo

Il XVII secolo ha inizio quasi contemporaneamenteal regno di Filippo III (1598); quasi tutti gli artisti chelavoravano in quel periodo si legano in qualche modoall’Escorial, il grande monastero dove Filippo II avevatentato di dare forma a un’arte che servisse la Contro-riforma cattolica con un fervore e un rigore esemplari.Perfettamente cosciente di ciò che quest’arte, dogmati-ca e pedagogica, doveva essere in confronto alle estasi«capricciose», intellettualizzate o arbitrarie del Manie-rismo (di cui è una chiara espressione il rifiuto ad accet-tare El Greco in questo programma), Filippo II riuní,nelle due ultime decadi del Cinquecento, un insieme dipittori spagnoli e italiani che, adempiendo fedelmenteai severi programmi della verosimiglianza, compostezza,decoro e approssimazione alla realtà propugnati dallaControriforma, danno vita a uno stile di misurata realtàe freddo equilibrio che, non appena si libera dalle rigi-dità ufficiali ed entra in contatto con la devozione popo-lare, produce il primo naturalismo tipico degli artisti delSeicento.

Vale la pena insistere sul significato, in quanto pre-cedente di questo naturalismo, dell’opera di Navarreteel Mudo (morto nel 1579), con il suo interesse per glieffetti notturni visti nell’opera dei Bassano, i suoimodelli di umanità diretta, trattati con tecnica venezia-na, o la sua propensione a introdurre elementi aneddo-

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tici nelle composizioni sacre che sembrano annunciareil tono di intimità domestica che troveremo poi nella pit-tura secentesca da Zurbarán a Murillo.

Sebbene abbia goduto di minor prestigio, è ugual-mente importante l’apporto di alcuni artisti italiani giun-ti in un secondo tempo all’Escorial: Federico Zuccari,con la sua severa compostezza e i dettagli di viva realtà,e Luca Cambiaso, con la luce dei notturni e la sua inti-ma semplicità ottenuta con una grande economia dimezzi e un gusto severo per i volumi puri; anche alcuniespedienti retorici di Tibaldi verranno sfruttati e assi-milati dagli artisti delle generazioni successive.

Non va neppure dimenticato che all’Escorial veniva-no raccolte numerose tele fiamminghe e italiane, soprat-tutto veneziane (Tiziano, i Bassano, i Campi), che offri-vano sufficienti elementi per costruire quella rinnovatapittura che si reclamava.

L’ultima generazione di artisti dell’Escorial, quella diMiguel Barroso (morto nel 1590), Juan Gómez (mortonel 1597) e Luis de Carvajal (morto nel 1607), ha attin-to molto da questa lezione. Soprattutto Carvajal offrealcune figure di santi di forza immediata, con un diret-to legame alla realtà, che permettono di comprenderemeglio ciò che l’Escorial ha significato per la genera-zione di artisti nati tra il 1565 e il 1580.

Verso il 1600 (tralasciando El Greco che, per for-mazione, sensibilità e geniale isolamento, corrisponde aun altro mondo concettuale, quello di un idealismomanierista piú esaltato, già in regresso), la pittura spa-gnola piú intensa mostra un tono di misurata verità, ungusto per la concretezza negli accessori e in alcune tipo-logie umane, nonché un interesse per gli intensi contra-sti di luce e ombra che costituiscono un incipiente tene-brismo e che, in quegli anni, possono in qualche modoessere attribuiti all’influenza caravaggesca, ma ancor dipiú alla familiarità, favorita dall’Escorial, con lo stile

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veneziano dei Bassano, con la rustica immediatezza deiCampi e la spoglia intimità di Cambiaso.

Soltanto verso il 1612-15 si inizia ad avere notiziadella presenza in Spagna di opere di Caravaggio o deisuoi piú vicini seguaci che, logicamente, lasciano il segnonell’attenta osservazione della realtà e della ricerca del«rilievo» ottenuto con i piú accentuati contrasti di lucee ombra.

A partire da questo momento, gli ingredienti dellostile piú propriamente «spagnolo» sono già completa-mente maturi.

Nell’ambiente di corte, erede diretto dello sfarzo del-l’Escorial, gli artisti figli o fratelli dei pittori che avevanolavorato al monastero, molti di discendenza italiana,incarnano questo primo naturalismo. I fratelli Carducho,Bartolomé (1560 ca. - 1608) e Vicente (1578 ca. -1638),entrambi fiorentini, sono forse i piú famosi. Il primo,discepolo di Federico Zuccari, giunse all’Escorial nel1585 con il suo maestro e , quando questi se ne andò,rimase in Spagna; il suo stile, che risente molto dell’in-fluenza delle opere dei suoi contemporanei e amici tosca-ni, dei quali fu anche agente per le vendite in Spagna,assimilò la severità di Zuccari e incorporò elementi dellatradizione veneziana con un’evidente propensione allaconcretezza, fatto eccezionale per l’epoca (Morte di SanFrancesco, 1593, Museo di Lisbona). A volte dimostrauna notevole sensibilità al colore, studiato nei modelliveneziani, con buoni esiti di raffinata qualità (Deposi-zione, 1595, Museo del Prado). Protetto dal duca diLerma, collabora a tutte le iniziative del magnate, mini-stro onnipotente di Filippo II, e gode di un prestigio euna stima eccezionali per l’epoca.

Il fratello Vicente, artista prestigioso che si dedicòanche alle lettere (Dialoghi della pittura, pubblicati nel1633) è una figura di una certa importanza che esercitòuna specie di dittatura nell’ambiente di corte prima del-

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l’avvento di Velázquez. Si dedicò al genere profano alservizio della Corona ed è soprattutto autore di alcunidei piú ampi e complessi cicli monastici dell’epoca (seriedelle Storie di san Bruno e dell’ordine della certosa nellacertosa di Paular, oggi dispersa, 1626-32; serie dei Fon-datori trinitari, anch’essa dispersa, 1633-36) con notevolirisultati di approssimazione alla realtà e con un nobiletono misurato e severo, in cui è evidente lo sfrutta-mento della tecnica e del colore dei grandi veneziani. Lasua opera è vasta e comprende sia tele a carattere sacro,con un’evidente intensità espressiva e un gusto per larealtà immediata negli accessori e negli elementi ambien-tali, sia affreschi (palazzo del Pardo, distrutto; cappelladel Sacrario della cattedrale di Toledo, 1616) che pre-suppongono un perfetto adattamento dei modelli italia-ni all’austerità spagnola ancora impregnata del severospirito controriformista. Molto bella per i colori e l’ele-ganza della composizione è la Predicazione di san Gio-vanni Battista (1610, Madrid, Real Academia de SanFernando). Nella decade degli anni Trenta, oltre alleserie monastiche già menzionate, dipinge anche moltetele per altare, solenni e un poco pesanti, ma piene difervida intensità (San Francesco d’Assisi davanti all’Im-macolata, 1632, Museo di Budapest) e partecipa alladecorazione del Salone dei Regni del palazzo del BuenRetiro con tre tele raffiguranti delle battaglie, di con-cezione tradizionale, un poco retoriche e vuote se com-parate con quelle che altri artisti, come Velázquez,Maíno e Jusepe Leonardo, eseguiranno per lo stessociclo. Spesso, assieme a Vicente Carducho, con il qualesuddivide gli incarichi sia di retablo sia di affreschi(retablo del monastero di Guadalupe, 1618; decorazio-ne della cappella del Sacrario della cattedrale di Toledo,1616), lavora Eugenio Caxés o Cajés (1574-1634), natoa Madrid (ma figlio di un pittore aretino giunto per lavo-rare all’Escorial), interessato agli effetti di luce e a mor-

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bidezze e deformazioni ancora manieriste, studiate inCorreggio, che a volte copiò, ma sempre con una squi-sita sensibilità di colore (Abbraccio alla porta dorata,Madrid, Real Academia de San Fernando; Adorazionedei Magi, Museo di Budapest). Loro contemporaneo è ilfiorentino Angelo Nardi (1584-1664), straordinaria-mente longevo, che rappresenta la fedeltà ai modelli diBassano fino a un’epoca molto tarda (tele delle Bernar-das de Alcalà de Henares, 1620; Adorazione dei pastori,1654, Madrid, collezione privata).

L’introduzione del caravaggismo autentico si deveall’arrivo di artisti che a Roma avevano vissuto il granderinnovamento dei primi anni del secolo e alla divulgazio-ne di copie delle opere piú famose del sommo maestro.

Nel 1605 si trova a Madrid Orazio Borgianni, pitto-re romano che dà un’interpretazione molto personale delcaravaggismo e che, una volta rientrato in Italia, si man-tiene in contatto fino alla sua morte con i clienti spagnoliinviando opere in Spagna (tele del convento di Porta-coeli, Valladolid, 1614 ca.) che influirono sugli artistispagnoli, come il già citato Cajés. Nel 1613 vengonoposte nella cattedrale di Toledo tre importanti opere delcaravaggista veneziano Carlo Saraceni (morto nel 1624)che saranno completate da Carducho e Cajés per inte-grarle nella decorazione globale della cappella della Ver-gine del tabernacolo, in via di realizzazione. Tra il 1617e il 1618, Bartolomeo Cavarozzi, un altro caravaggistadi grande personalità, si trova a Madrid con il suo pro-tettore, il nobile italiano Giovanni Battista Crescenzi,anch’egli pittore e risoluto propulsore delle nuove cor-renti.

In quest’epoca, un pittore spagnolo, Juan BautistaMaíno, di padre italiano, ma nato a Pastrana (Guada-lajara), ha già dipinto opere dove è evidente la cono-scenza diretta del rinnovamento italiano. Nato nel 1580,Maíno si trasferí alcuni anni in Italia, dove studiò sia il

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caravaggismo, soprattutto nell’aspetto chiaro di Genti-leschi o Saraceni, sia il rigoroso classicismo del gruppodi Annibale Carracci e Guido Reni.

Nel 1611 ritorna in Spagna dove dipinge le tele delretablo delle Quattro Pasque in San Pedro Mártir aToledo (oggi al Museo del Prado e al Museo Balaguer diVillanueva e Geltrú), dove sono già presenti tutte lecaratteristiche del nuovo stile: personaggi tratti diretta-mente dalla realtà quotidiana, volumi rotondi illumina-ti da un’intensa luce diretta, sensibilità ai dettagli e alletonalità chiare, come si può osservare nelle grandi teledell’Adorazione dei pastori e dell’Epifania, le sue opereindubbiamente piú famose, e nei paesaggi in San Gio-vanni della predella (Museo del Prado), a ordinamentoclassico, chiaramente ispirati ad Annibale Carracci.

Dopo aver preso i voti nell’ordine dei domenicanimentre era intento a dipingere il retablo del conventodi Toledo, dove lasciò anche notevoli affreschi cherimandano al mondo artistico di Guido Reni, Maínosvolgerà un ruolo importante nella corte madrilena inqualità di consigliere del giovane Filippo IV (a cui inse-gnò disegno) e si occuperà della decorazione del Salonedei Regni al Buen Retiro (1634) assieme ai vecchi Car-ducho e Cajés, ai giovani astri nascenti del panoramamadrileno, Pereda, Leonardo e Castello, e ai sommiVelázquez e Zurbarán. Per il Salone dipinse una dellepiú personali e «moderne» tele della serie: La riconqui-sta di Bahia, che presenta una sorprendente chiarezzaluminosa.

Nei primi anni del secolo, altri artisti di una certaimportanza nell’ambito di corte sono il ritrattista Bar-tolomé González (1564 ca. - 1627), vincolato alla vec-chia tradizione di Moro, Sánchez Coello, Pantoja de laCruz, che nelle sue tarde composizioni religiose (SanGiovanni Battista, Museo di Budapest, 1621 e Profes-sione di fede del beato Orozco, Accademia di San Fer-

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nando, 1624) riprende il naturalismo caravaggesco, e didue artisti di origine fiamminga: il longevo FelipeDiricksen (1590-1679), capace ritrattista che si rifà allatradizione del ritratto di corte, e il magnifico pittore dinature morte, Juan Van der Hamen (1596-1631). Que-st’ultimo è autore di alcune tra le composizioni piú equi-librate, severe ed espressive della storia della naturamorta spagnola, come pure di alcune curiose tele a carat-tere allegorico-mitologico che testimoniano la cono-scenza del mondo fiammingo contemporaneo interpre-tato in modo molto personale (Flora, Museo del Pradoe Vertumno e Pomona, Madrid, Banco de España). Nellecomposizioni religiose, entrambi gli artisti rendonoomaggio al severo tenebrismo di recente importazione.Di Diricksen si ricordano le tele nella cappella di Mon-sén Rubín de Bracamonte ad Avila, mentre di Van derHamen le tele nel monastero de la Encarnación diMadrid.

Toledo

Nei primi anni del secolo, nell’ambiente toledano,legato all’Escorial a causa dell’immediata vicinanza edella tradizione comune, si trovano alcuni artisti cheincarnano il nuovo stile. Non bisogna dimenticare chefino al 1614 è ancora vivo e in piena attività El Grecoche, proprio negli ultimi anni della sua vita, porta alivelli estremi, raggiungendo quasi il parossismo, le suecomplesse composizioni, mentre si moltiplicano le ripe-tizioni di studio di alcune delle sue opere sacre (vari sanFrancesco, Apostoli, Veroniche) che costituiscono labase del suo successo come creatore di immagini nelsenso stretto della parola. Assieme ai grandi quadri ditensione compositiva, di esaltato manierismo, con for-zate deformazioni anatomiche, magici ambiti spaziali

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indefinibili e folgorazioni fosforescenti di colore puroche annullano qualsiasi riferimento alla realtà, El Grecomoltiplica queste serie di figure a mezzo busto, esalta-te, ma nelle quali l’immediatezza del formato, l’atteg-giamento appassionato (a volte sembrano quasi dialoga-re con lo spettatore), gli accessori «verosimili» della sta-migna e il cranio di san Francesco o lo zendado dellaVeronica, li rendevano prossimi, comprensibili ed effi-caci come oggetti di devozione.

Queste immagini saranno le uniche, conveniente-mente «umanizzate» e corporizzate, a costituire il lasci-to alla generazione naturalista. Negli ultimi anni delXVI secolo, assieme a El Greco operano a Toledo alcu-ni artisti che in qualche modo si collegano direttamen-te a quelli presenti all’Escorial come il severo Blas dePrado (morto nel 1599), che le fonti letterarie riporta-no quale fondatore del genere della natura morta e mae-stro di Sánchez Cotán, e il già citato Luis de Carvajal(15341607) che nelle sue opere migliori esprime un’in-tensa verità umana. Quelli che meglio rappresentano inuovi tempi sono Sánchez Cotán, Tristán e Orrente.

Juan Sánchez Cotán (1561-1627) è forse la personapiú singolare tra gli artisti toledani dell’epoca. Nato aOrgaz, fu discepolo di Blas de Prado e divenne frate cer-tosino nel 1602, anno in cui si allontanò dalla sua terraper trasferirsi nella certosa di Granada dove lasciò lamaggior parte delle sue opere, tra cui le composizionisacre che denotano un evidente arcaicismo e si ispiranoa volte ai vecchi schemi del gotico fiammingo, forte-mente segnato dal rigore geometrico e dall’asprezzaluminosa di Luca Cambiaso, di cui egli possedeva alcu-ne opere al suo ingresso alla certosa. Ben rappresentanoil suo stile devozionale le opere nel convento di SantoDomingo el Antiguo di Toledo (Cristo e la samaritana),ma soprattutto le tele alla certosa di Granada con scenedella storia certosina. Tuttavia è nelle nature morte che

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mostra una sorprendente profondità di osservazione del-l’immediata realtà inanimata e un potere affascinante,quasi magico. Infatti, le sue Nature morte, quasi tutteeseguite prima dell’ingresso alla certosa, cioè prima del1602, quindi con totale indipendenza dal caravaggismo,costituiscono una delle punte piú alte della pittura spa-gnola del secolo e in esse si denotano le preoccupazionimetafisiche neoplatoniche fino alla piú evidente traspo-sizione plastica dell’ossessione ascetica di trascendenzadell’immediato (Madrid, Museo del Prado, Museo diGranada, Museo di San Diego ecc.).

Luis Tristán (1585 ca. - 1624), discepolo del Grecoe collaboratore di suo figlio Jorge Emanuel, è un altroartista notevole. Nella sua opera si ritrova lo stile delmaestro, soprattutto per ciò che riguarda la deforma-zione anatomica e alcuni schemi iconografici, nonchéun’evidente conoscenza della pittura dell’Escorial; maun viaggio in Italia, effettuato nei primi anni del Sei-cento, e il contatto con il crescente naturalismo lo con-vertono in uno dei piú decisi partigiani del nuovo tene-brismo; le sue figure di santi dalle caratteristiche rigo-rose e terragne trasformano completamente alcunimodelli del maestro, mantenendone la tensione espres-siva, ma rivestendoli di una piú diretta e cupa realtà. Lesue opere piú importanti, oltre ad alcune interessantiraffigurazioni di santi (San Francesco, Sant’Antonioabate, San Pietro di Alcántara), in cui l’intensità dram-matica utilizza molto bene gli effetti tenebristi, sono iretablo di Yespes (Toledo) e di santa Clara di Toledodove sono presenti cenni delle composizioni del Grecoreinterpretate in chiave naturalista.

Si può considerare toledano anche Pedro Orrente(1580-1645), proveniente da Murcia, che divide la pro-pria attività tra la città natale, Toledo, e Valencia, mache lascia nella città imperiale la parte migliore della suaopera. In gioventú si recò in Italia (tra il 1600 e il 1609),

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a Venezia conobbe Leandro Bassano e vide certamentedelle opere caravaggesche. Al suo ritorno a Toledo strin-ge amicizia con Jorge Emanuel Theotocópuli, mentre aValencia rivaleggia con Ribalta. Il suo stile è chiara-mente legato a Bassano, tant’è che viene chiamato il«Bassano spagnolo». Alla maniera dei modelli venezia-ni, coltiva il quadro biblico o evangelico concepito comescena di genere, con ampio sviluppo del paesaggio e unmarcata propensione per gli animali e i complementidella natura morta, interessandosi a volte agli effetti not-turni e dell’illuminazione artificiale (serie della vita diGiacobbe, di Abramo o storie evangeliche). Nei quadricon grandi figure (Santa Leocadia, cattedrale di Toledo,1617 o Il martirio di Giacomo il Minore, Museo di Valen-cia) sono evidenti, assieme alla fedeltà alla scenografiaveneziana, una conoscenza degli effetti luminosi deltenebrismo caravaggesco e un omaggio velato alla nobi-le bellezza dei bolognesi, che risplende soprattutto nelbellissimo San Sebastiano (1616), custodito nella catte-drale di Valencia.

In quegli anni altri artisti di Toledo si dedicano allanatura morta che Cotán ha portato all’apice. Alejandrode Loarte (documentato tra il 1619 e il 1626), che neisuoi quadri a soggetto religioso si rapporta umilmentecon Tristán, dipinge alcune nature morte di intensità everidicità sorprendenti, con una sobria gamma di colo-ri (Venditrice di uccelli, 1626, collezione Duchessa diValencia; Natura morta di caccia, 1623, Collegio Santa-marca).

A partire dal 1624, anno in cui muore Tristán, e dal1639, anno in cui Orrente si stabilisce definitivamentea Valencia, dove morirà, Toledo perde la qualifica dicentro artistico, rimanendo completamente sottomessaa Madrid da dove giungeranno gli artisti che lavoreran-no per la cattedrale o a opere di una certa importanza,al di là della destinazione o del committente.

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Valencia

A Valencia il nuovo stile prende forma grazie a unpittore catalano, educato in Castiglia, che nel 1599 sistabilisce nella città del Guadalquivir: Francisco Ribal-ta. Fino all’avvento di Ribalta, la pittura valenciana èancora sotto i fiochi echi dello stile di Juan de Juanes,che si era profondamente radicato nella devozione popo-lare. Discepoli e imitatori di Juanes proseguono fino aun’epoca tarda: la figlia Margarita muore nel 1613, ilpadre Borrás nel 1610, Cristóbal Lorens dipinge fino al1626 e anche Ribalta alcune volte realizza, su richiestadella clientela devota, copie o interpretazioni dei model-li di Juanes. La trasformazione era già presente nell’o-pera di Juan Zariñena (morto nel 1619), artista di uncerto valore, che equivale, nella Valencia controrifor-mista del patriarca san Giovanni de Ribera, a ciò che gliartisti dell’Escorial eseguono a corte.

Francisco Ribalta, nato a Solsona (Barcellona) nel1565 e formatosi in Castiglia nell’ambito dell’Escorial,nel 1582 è a Madrid dove firma la Crocefissione (cherisente dell’influenza dell’arte dell’Escorial), oggi all’Er-mitage, e dove nel 1596 si sposa.

Si trasferisce poi a Valencia e dal suo arrivo (1599)si lega all’arcivescovo-patriarca Juan de Ribera per il cuicollegio del Corpus Christi realizza alcuni lavori di note-vole impegno. Nelle sue prime opere si avverte l’in-fluenza di quanto osservato all’Escorial con tracce moltodirette di Navarrete el Mudo, Sebastiano del Piombo oTiziano (retablo di Algemesí, 1603), ma negli anni il suostile va verso una direzione completamente realista.

È stata avanzata la possibilità che negli anni dellamaturità abbia realizzato un viaggio in Italia che glipermise di conoscere direttamente la grande rivoluzio-ne caravaggesca. Anche se oggi, alla luce di alcuni docu-menti di recente pubblicazione, non sembra possibile

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accettare questa ipotesi, è evidente che le sue ultimeopere, magistrali, tele dei Cappuccini di Valencia, 1620,Museo del Prado (San Francesco e l’angelo), Museo diValencia (Cristo abbraccia san Francesco) e il retablo diPortacoeli, oggi al Museo di Valencia, dimostrano unapiena sicurezza nel mostrare la luce diretta e la prefe-renza per i modelli concreti, anche brutti, visti nellarealtà che lo circonda, ma che riesce a dotare di evidentegravità e nobiltà. La sua gamma di colori, molto calda,con rossi intensi e incarnati molto scuri, diventerà, comeil suo stile di rude virilità, una caratteristica della scuo-la valenciana.

Le opere del retablo di Portacoeli, eseguite nel 1625e oggi conservate nel Museo di Valencia (San Bruno, SanPaolo, San Giovanni Battista), sono superbi esempi dellasua alta capacità di caratterizzazione e della sua tecnicache risente di sottigliezze veneziane, con una pasta dicolore fluido in successive stesure e trasparenze che inSan Bruno brillano in modo meraviglioso.

Nell’evoluzione dello stile di Ribalta riguardante gliultimi anni della sua vita è probabile che abbia svolto unruolo importante il figlio Juan, nato nel 1597, quindiappartenente a un’altra generazione, quella di coloronati verso il 1600, epoca in cui si integrano tutti i gran-di maestri del secondo terzo del secolo, ma morto gio-vanissimo lo stesso anno del padre, il 1628. L’opera dientrambi è strettamente collegata, anche se sicuramen-te negli ultimi anni il peso del laboratorio di famigliadovette essere sostenuto da Juan.

Nelle poche opere firmate da Juan, dalla prima del1615, I preparativi per la crocifissione al Museo di Valen-cia, dipinta ricordando quella eseguita dal padre quin-dici anni prima, fino alle opere che realizzò indubbia-mente assieme al padre per il retablo di Portacoeli(soprattutto San Pietro) si avverte un naturalismo piúavanzato, maturo e cosciente, dalla pennellata meno

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impregnata della tradizione veneziana di Tiziano, che inJuan si fa piú minuziosa e definitiva, e alcuni contatticon il mondo bassanesco di Orrente, che aveva già avutomodo di dimostrare il suo gusto e la sua tecnica a Valen-cia fin dal 1616. A lui si dovrà la maggior parte del mal-trattato retablo di Andilla (Valencia) e le opere firmatetra cui il magnifico San Gerolamo al Museo di Barcello-na e l’imponente San Giovanni Evangelista al Museo delPrado.

Nell’insieme di Andilla sono certamente intervenutianche altri artisti formatisi nel laboratorio dell’anzianoRibalta. Notevole doveva essere Vicente Castelló, spo-sato con una figlia del maestro e artista di sensibilitàmolto vicina agli scorci e alle tendenze ereditati dalmanierismo e a una tonalità cromatica di solito piú fred-da (Discesa al Limbo, Augustinas de Segorbe, Castellón).

Ci sono noti i nomi di altri collaboratori e discepoliche lavorarono a contatto con il laboratorio di Ribalta,ma purtroppo, per le distruzioni causate dalla guerracivile, è molto scarsa la produzione documentata che nepermette l’individualizzazione. Bisogna citare, assiemea Juan Bisquert (1590 ca. - 1646), che si stabilí a Teruel,e a Pedro García Ferrer (1583-1660), che dopo averlavorato a Saragozza si trasferí in America lasciandonotevoli opere a Puebla de los Angeles (Messico), i nomidi Gregorio Bauzá di Mallorca (1590 - dopo il 1645) edel valenciano Abdón Castañeda (1580 ca. - 1629) lega-ti in alcune occasioni ai Ribalta, come testimoniano idocumenti.

Dopo di loro troviamo Jacinto Jerónimo de Espino-sa (1600-67), rappresentante del naturalismo valencianoche sopravviverà, quasi senza modifiche, per tutto ilperiodo immediatamente successivo.

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Siviglia

A Siviglia, il terzo nucleo artistico importante di que-sti anni, la trasformazione verso il naturalismo è rap-presentata da tre artisti di valore molto diverso: Fran-cisco Pacheco (1564-1644), Juan de las Roelas (1560 ca.- 1625) e Francisco Herrera il Vecchio (1580/90 ca. -dopo il 1657). Come a Valencia, la tradizione cinque-centesca sivigliana era molto forte, con una marcatamatrice di romanismo fiammingo dovuto all’intensacomunicazione commerciale con le Fiandre e alla pre-senza in tutto il XVI secolo di alcuni pittori dei PaesiBassi di notevole calibro (Pedro de Campaña, Sturmio)che lasciarono opere importanti e giunsero a creare unascuola. Francisco Pacheco si formò in questa tradizionee si suppone che viaggiò nelle Fiandre, anche se in realtàsi tratta di una lettura errata di una citazione di VanMander inclusa nel suo Arte della pittura. Uomo longe-vo, anche se non si sa con certezza se visse davvero finoa novant’anni come si credette a lungo, ebbe l’occasio-ne di conoscere tutte le novità che giungevano a Sivi-glia; curioso e attento non tralasciò di interessarsi aesse. Uomo con una certa cultura letteraria, si tenne incorrispondenza con Carducho e la pubblicazione postu-ma del suo Arte della pittura (1653), trattato teorico diestetica ancora cinquecentesca, pieno di importanti noti-zie sull’ambiente artistico dell’epoca, ci informa sull’in-troduzione delle novità stilistiche. Buon maestro, nelsuo laboratorio passarono alcune delle figure piú signi-ficative della generazione successiva, soprattutto Veláz-quez, che sposò sua figlia, e Alonso Cano, che seppe con-durre, senza alcun vincolo, nelle nuove correnti del natu-ralismo.

Come artista non oltrepassa la posizione di evidentearcaicismo in stile fiammingo, con un disegno duro e uncolore crudo, anche se a volte introduce elementi reali-

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sti, con una certa intimità familiare, che ben rispondo-no alle necessità iconografiche dell’ambiente contro-riformista descritte eccellentemente in molte paginedella sua opera. A questo riguardo rappresentano deimagnifici esempi due tele del 1616: il San Sebastiano,dipinto per l’ospedale di Alcalá de Guadaira, rappre-sentato in un modo assolutamente nuovo, come un con-valescente assistito nel suo letto dalle donne che, comeriporta la leggenda, ne curarono le ferite (il quadro èandato purtroppo distrutto durante la guerra civile) e ilCristo assistito dagli angeli appena entrato a far partedella collezione del Museo Goya di Castres. Sono ecce-zionali la sua conoscenza e l’uso della mitologia nelladecorazione del soffitto del gabinetto del duca di Alcalá,nella casa de Pilatos a Siviglia, sede di un cenacolo let-terario che, modestamente, voleva imitare quelli italia-ni. Proprio i disegni preparatori di questo ciclo denun-ciano con chiarezza la sua conoscenza di Luca Cambia-so e dell’arte dell’Escorial. Di grande importanza èanche la sua opera come ritrattista, oltre ad alcuni ritrat-ti a olio; lasciò una serie di disegni a matita e sanguignaa completamento del libro Verdaderos retratos de ilustresy memorables varones concepito per essere pubblicato allamaniera di alcuni illustri modelli italiani e fiamminghi,ma che alla sua morte era ancora in forma di manoscrittodi cui una parte notevole è conservata al Museo LázaroGaldiano di Madrid.

Piú nuova sembra essere la personalità di Juan de lasRoelas, che equivale a ciò che eseguono Carducho aMadrid e il primo Ribalta a Valencia. Educato in Italia,dove fu senza dubbio fortemente attratto da Venezia,trascorse alcuni anni a Valladolid (dal 1598 al 1602) enel 1603 si stabilisce a Siviglia da dove si reca a Madridnel 1616 con la speranza, fallita, di diventare pittore delre. Di ritorno a Siviglia, ordinato sacerdote, muore comecanonico nella collegiata di Olivares nel 1625.

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La sua arte, dalle forme alquanto pesanti, dal colorericco e caldo di origine veneziana e con certi dettaglidelicati, interpretati con tecnica libera «a macchie», checontrasta con le delicate finiture della tradizione fiam-minga tipiche di Pacheco, risulta molto singolare nel-l’ambiente sivigliano. Le grandi tele per altare sonoordinate su due piani, uno celeste con squarci di gloriapopolati da angeli musicisti, bambini o ragazzi, flut-tuanti in un’atmosfera dorata tipica di Veronese cheanticipa i cicli di Murillo, e l’altro, terreno, che si rifàal mondo veneziano, piú bassanesco che veronesiano,dove si rappresentano alcuni episodi evangelici (Circon-cisione, 1603, antica università di Siviglia) o agiografici(Martirio di sant’Andrea, Museo di Siviglia; Comunionedi sant’Isidoro, 1613, Siviglia, chiesa del Santo) che insi-stono molto sugli aspetti del realismo quotidiano e del-l’individualità dei personaggi. Tuttavia, sorprende abba-stanza la quasi completa mancanza di interesse per glieffetti dell’intenso chiaroscuro tenebrista. Le pochevolte che si può segnalare questa caratteristica nella suaopera (Liberazione di san Pietro, 1612, Siviglia, SanPedro) è certo che proviene da stimoli veneziani piú chedalla conoscenza della corrente caravaggesca al cui seve-ro e drammatico rigore resta sempre estraneo, anchenegli ultimi anni.

Herrera il Vecchio, sicuramente molto piú giovane,anche se non conosciamo con certezza la sua data dinascita, è un uomo e un artista con altre capacità. Dicarattere un po’ rude, difficile, duro con i discepoli e ifigli, che non riescono a sopportarlo e abbandonano lacasa paterna, la sua arte testimonia la sua rudezza, èintensa e goffa. Arcaico nella composizione, dalla qualenon riesce a scacciare le tracce manieriste presenti nelladisposizione (Pentecoste, 1617, Toledo, Museo delGreco), è a volte straordinariamente vivace nel rap-presentare i volti dei personaggi, interpretati con una

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tecnica molto personale, dalle pennellate grosse, aspree separate che diedero il via alle voci che dipingesse conpennellesse e non con pennelli. Le sue opere principa-li, le scene della vita di san Bonaventura, dipinte nel1626 per il collegio del Santo di Siviglia, assieme al gio-vane Zurbarán , oggi al Prado e al Louvre, sono com-poste da una galleria di ritratti di monaci di vibranteintensità. Non è possibile segnalare in Herrera alcuncontatto con l’ambiente strettamente tenebrista e, seb-bene molto trasformata dal suo genio violento e dal suopersonalissimo modo di fare, è evidente nelle sue operemigliori la conoscenza dell’arte veneziana, soprattuttonel modo in cui tratta i piani di luce e nella riduzionedel colore con armonie di tono. Esprimono perfetta-mente la sua personalità anche le grandi tele di SanErmenegildo (1624) e di San Basilio (1639), entrambeal Museo di Siviglia, o il San Giovanni Battista e i disce-poli al Museo di Rouen.

Altri pittori sivigliani, o piú genericamente andalusi,di questo periodo aggiungono ben poco a quanto giàindicato. Forse vale la pena ricordare i sivigliani Juan deUceda Castroverde (1570 ca. - 1631), appartenente allagenerazione di Pacheco, che nelle sue ultime opere assi-mila molto della tecnica di Roelas (La trinità della terra,1623, Museo di Siviglia) e Francisco Varela (1580 ca. -1645) dalle tipologie di tono arcaicizzante e dal coloreintenso, ancora rapportato all’ultimo manierismo (L’ul-tima cena, 1622, Siviglia, San Bernardo) o AntonioMohedano, di Lucena (Cordoba, 1563-1626) che dipin-se ad Antequera e di cui sappiamo, grazie a Pacheco chelo conobbe bene, che oltre a dominare la tecnica del-l’affresco, fu un grande pittore di nature morte, fiori e«oggetti» inanimati. L’Annunciazione del retablo del-l’antica università di Siviglia (1606 ca.) permette di giu-dicarne la qualità e l’importanza, come pure l’evidentevincolo allo stile dell’Escorial nella tipologia, nella com-

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posizione e nella tavolozza, che anticipa curiosi accentiquasi zurbariani.

Il modesto Juan del Castillo (1590 ca. -1657), tradi-zionalmente piú famoso, merita di essere menzionatoperché maestro di Murillo e per la sua relazione fami-liare con Alonso Cano. Il suo retablo di Montesión(1634-35, Museo di Siviglia) è un’opera arcaicizzante,dal disegno incisivo e dal colore acido, che dimostracomunque una certa grazia popolare che trasmette,anche se molto trasformata, al suo discepolo Murillo.Vale inoltre la pena ricordare, in quegli anni, un artistasingolare, la cui presenza è documentata a Granada agliinizi del secolo e che nella storia della natura morta spa-gnola rappresenta in Andalusia un ruolo analogo a quel-lo di Sánchez Cotán in Castiglia: si tratta di Blas deLedesman, di cui si ha documentazione tra il 1603 e il1611. La sua Natura morta con ciliegie, al Museo diAtlanta, è un’opera di prodigiosa precisione, delicatez-za e mistero.

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La generazione dei grandi maestri

La generazione di artisti nati tra il 1590 e il 1610 èquella che produrrà le opere capitali della storia dell’ar-te spagnola. Questi pittori, la cui formazione può esse-re considerata chiusa verso il 1625-30, sono quelli cheinvadono con la loro produzione il regno di Filippo IV,che sarà cosí il fortunato «protettore» della vera «etàdell’Oro» della pittura spagnola. In realtà, per ragionipuramente cronologiche, appartiene a questa grandegenerazione qualche artista già menzionato come JuanRibalta, nato nel 1597, ma la cui morte prematura haportato a considerarlo tra i pittori del primo terzo delsecolo.

I grandi maestri di questa generazione presuppongo-no il superamento della timidezza, alquanto ambigua, dicoloro che diedero inizio allo stile, ma conservano sem-pre qualcosa della retorica controriformista. Senza alcundubbio sono già a conoscenza di ciò che il caravaggismoaveva apportato in quanto lezione aperta verso la realtàimmediata, assumono senza riserva l’analisi della realtàe quasi tutti, oltre a coltivare il tenebrismo come stiledi gioventú, si evolvono verso altre forme e curiosa-mente assumono, nella maturità, un certo classicismoche preannuncia, nelle loro ultime opere, il camminoverso il folgorante splendore plastico del pieno barocco,con il suo dinamismo rapito e l’ottimismo trionfale. Siricordi che fuori dalla Spagna appartengono a questa

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generazione privilegiata artisti importanti del baroccosecentesco come Poussin (1594), Van Dyck (1599), Ber-nini (1598), Algardi (1595), Pietro da Cortona (1596),Andrea Sacchi (1599) e Rembrandt (1606).

Se gli artisti del regno di Filippo III si muovono,come abbiamo visto, tra le coordinate dell’Escorial e deiprimi stimoli del naturalismo proveniente dall’Italia, ipittori del regno di Filippo IV aprono i propri orizzon-ti a nuove prospettive, sia di provenienza italiana (cheadesso, superato il caravaggismo, si rivolgono alle formedel classicismo luminoso dei bolognesi e al neovenezia-nesimo che sfocerà nel barocco romano) sia di stile fiam-mingo rubensiano che, nella seconda metà del secolo, siconvertirà nell’espressione definitiva. Gli artisti natialla soglia del 1600 assisteranno a questa trasformazio-ne del gusto, a questa insensibile fusione di elementi sti-listici disuguali. Quelli con l’immaginazione e la capacitàcreativa piú fervide apportano la loro personalità all’e-voluzione e, padroni di tutti i mezzi pittorici, superanoil conflitto e scoprono un linguaggio personale chediverrà, nelle sue varianti e sfumature, il culmine del-l’arte spagnola. Ribera, Zurbarán, Velázquez e AlonsoCano, in maggior o minor misura, secondo il loro tem-peramento, rappresentano i punti piú alti di questa for-tunata generazione. Altri artisti, meno dotati, vivonoforse la situazione di tensione in modo piú angoscioso enon sono in grado di risolvere le apparenti contraddi-zioni. Espinosa, Juan Rizi, Pereda o Antonio del Castil-lo si aggrappano alle forme del naturalismo a loro note,introducendo timidamente effetti di colore e movimen-to, non sempre ben assimilati.

Gli ultimi anni del regno di Filippo IV vedranno leprimizie di altri artisti piú giovani, nati tra il 1614 e il1625, che abbracciano prontamente e in modo deciso ilnuovo stile che darà i frutti migliori nell’ultimo terzo delsecolo, già sotto il regno dell’ultimo Asburgo, Carlo II.

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Nella Siviglia dei primi anni del secolo si formano tredelle maggiori figure dell’epoca: Velázquez, Zurbarán eAlonso Cano, ma il primo e l’ultimo vivranno la loroevoluzione fuori dalla città del Guadalquivir; Ribera, ilpiú anziano, si trasferirà in Italia dove dipingerà tuttele sue opere.

Ribera

Nato a Játiva (Valencia) nel 1591, Jusepe de Ribera,detto lo Spagnoletto, è cronologicamente il primo dellaserie dei grandi maestri spagnoli. Si è presupposto chea Valencia sia stato discepolo di Francisco Ribalta, dacui derivò il naturalismo, facendo sí che venisse consi-derato pittore di «scuola valenciana». In realtà, viag-giatore in Italia almeno dal 1611, anno in cui risulta lasua presenza a Parma, stabilitosi definitivamente aNapoli dal 1616, se conobbe un Ribalta doveva trattar-si del Ribalta precedente il 1611, ancora molto legatoagli artisti dell’Escorial e distante dal fiero caravaggismopresente nelle opere piú giovanili del presunto discepo-lo. L’importanza di Ribera sia come pittore sia per la suaattività di incisore è eccezionale per tutta l’arte europeae supera di molto i limiti della regione valenciana doved’altronde si conservano pochissime delle sue opere edove la sua influenza fu scarsa. La sua posizione specialedi «straniero» a Napoli e la sua condizione di spagnoloin una specie di esilio volontario ha reso difficili, fino auna data recente, la sua esatta collocazione e uno studioobiettivo. In realtà, Napoli era un viceregno spagnolo e,nonostante egli non avesse mai piú fatto ritorno in Spa-gna, quando firmava un’opera ripeteva sempre la suacondizione di hispanus, valentinus e, a volte, anche seta-bensis. Molte delle sue opere vennero dipinte per esse-re inviate direttamente in Spagna, soprattutto a corte,

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dove furono immediatamente apprezzate e dove ebbe-ro un ruolo importante per la diffusione del naturalismopiú stretto. È quindi corretto considerarlo spagnolo, maallo stesso tempo, l’ambito in cui si muove, la sua diret-ta e vivace conoscenza dell’arte italiana, l’indubbiarealtà che i suoi discepoli e il circolo sottoposto alla suainfluenza diretta sono strettamente italiani, fino a giun-gere all’estremo che senza di lui sarebbe difficile parla-re di «scuola napoletana», permettono con uguale dirit-to di considerarlo italiano. Se gli italiani credono divedere nella sua opera una certa crudeltà e rudezza«totalmente iberica», dal punto di vista spagnolo si puòsegnalare nella sua opera una serie di elementi (rigore neldisegno classico e nell’invenzione, conoscenza e usodella mitologia, perfino la sua maestria come incisore)che sarebbe stato difficile individuare se l’artista fosserimasto in Spagna.

La sua produzione giovanile è fortemente segnatadalla conoscenza e dallo studio dell’arte di Caravaggio,che non conobbe personalmente, ma al cui stile e inse-gnamenti lo vincolano direttamente i suoi piú antichibiografi. Del naturalismo caravaggesco Ribera dà un’in-terpretazione molto personale, esagerando a volte gli ele-menti di contrazione, rudezza o violenza, ma tratta lamateria pittorica in modo molto diverso dai caravaggi-sti italiani. Ribera incorpora una tecnica densa e pasto-sa, che comunica una certa sensualità e un gusto per lamateria certamente di origine veneziana. Il suo sensodella realtà e della qualità delle cose fa sí che gli bastiuna pennellata per riuscire a rendere il rilievo dellerughe della pelle o delle pieghe dei tessuti.

Nelle sue prime opere conservate (ciclo dei Sensi,smembrato), dipinte a Roma verso il 1613-16, sembraevidente il contatto con i caravaggisti di origine nordi-ca, fiamminga e olandese, con i quali dovette mantene-re stretti contatti. Una volta stabilitosi a Napoli dà corso

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alla sua tecnica piú personale e caratteristica e, soprat-tutto nella maturità, introduce composizioni ed elementidi colore dinamici e sensuali che in alcuni casi (Imma-colata, 1635, Salamanca, convento di Monterrey) si pos-sono considerare già pienamente barocchi.

Il suo insediamento a Napoli nel 1616 gli valse subi-to la protezione del viceré, duca di Osuna, per il qualedipinge (1616-20) una serie di tele giovanili dal tonomolto tenebrista, dove è evidente la sua conoscenza del-l’arte bolognese (Calvario, i santi Pietro, Bartolomeo,Sebastiano e Gerolamo della collegiata di Osuna). Neiviceré successivi, soprattutto nel conte di Monterrey(1631-37) e nel duca di Medina de las Torres (1637- 44),Ribera incontrò sempre protettori e mecenati che inqualche modo lo imposero come pittore «ufficiale» e glipermisero, in un ambiente cortigiano piú aperto di quel-lo strettamente conventuale, la conoscenza e la coltiva-zione di una tematica mitologica, eccezionale in un arti-sta spagnolo, e che egli seppe interpretare con persona-lità sia in chiave violenta (Apollo e Marsia, 1637, Museodi Bruxelles; Tizio e Issione, 1632, Museo del Prado) siain un tono di ordinato equilibrio completamente classi-co (Teoxenia o Visita di Dioniso agli uomini, ispirato a unantico rilievo e conosciuto solo grazie a una copia e aframmenti dell’originale distrutto nel 1734) con sfuma-ture di una certa rude ironia (Sileno ebbro, 1626, Museodi Napoli).

Le componenti stilistiche di Ribera si possono defi-nire senza alcuna difficoltà. Sebbene la base del suostile sia essenzialmente il caravaggismo, dal quale trae ilgusto per i modelli di diretta immediatezza, illuminaticon la violenza del tenebrismo piú rigoroso che emer-gono drammaticamente da fondi scuri e cupi, abbiamogià accennato che, fin dai primi tempi, conosce e adot-ta alcuni elementi del classicismo bolognese. Riesce atrasformare la volgarità dei suoi modelli, persone di

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strada con un’evidente durezza, in apostoli o filosofiantichi e ciò proviene dal repertorio naturalista piúestremo. La sobria e solenne monumentalità che a volteimprime loro, la maniera di sottolineare con grandi pie-tre da costruzione il carattere architettonico delle suecomposizioni, sapientemente studiate, l’evocazione, avolte, di schemi raffaelleschi per le sue sobrie composi-zioni sacre e, in ultimo, la sua ossessione per il disegno,in quanto base essenziale del lavoro di pittore, che loporta a preparare un libretto di incisioni da mostrare aisuoi studenti, rispondono pienamente alla tradizionedel classicismo romano-bolognese.

Verso il 1630, negli stessi anni in cui si verifica il neo-venezianesimo romano, l’arte di Ribera presenta unanotevole inflessione e introduce nelle sue composizioni,finora quasi sempre tenebriste, un elemento di lumino-so ottimismo, una predilezione per i cieli aperti in azzur-ri raggianti e nubi argentate sulle quali si stagliano leforme monumentali dei suoi personaggi. La conoscenzadella pittura fiamminga (Van Dyck si trovava a Napolinel 1624 e i mercanti fiamminghi rendono possibile laconoscenza delle opere di Rubens) aggiunge un elemen-to di dinamismo che sa incorporare con efficacia e per-sonalità, producendo opere di spettacolarità rotonda,come la citata Immacolata di Monterrey (1635), o fon-dendosi armoniosamente con la tradizione naturalista,come nel Martirio di san Filippo (1639), custodito alMuseo del Prado.

La decade del 1630-40, soprattutto gli anni 1637-39,sembra essere particolarmente felice per la produzionedi Ribera, che dipinge la maggior parte dei suoi capola-vori, dalla grande Pietà (1637) della certosa di San Mar-tino, che emana un’emozione molto umana, interpreta-ta dal tenebrismo, ma resa con una tecnica piú fluida etrasparente, fino ai grandi Paesaggi (1639) della colle-zione dei duchi di Alba, che sottolineano il suo interes-

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se per un genere nuovo che avrà un’importanza decisi-va nella futura evoluzione di altri artisti napoletani.

Nella decade successiva, 1640-50, Ribera venne col-pito da una lunga e travagliata malattia che lo allontanòdal lavoro; la collaborazione di un attivo laboratorio glipermise di mantenere viva una produzione che ripetemodelli di fasi precedenti, ma che produce anche operenotevoli per la chiara e vibrante luminosità (Patizambo,1642, Louvre e Battesimo di Cristo, 1643, Museo diNancy) e di singolare complessità compositiva, impa-rentata con il mondo bolognese (Il miracolo di san Gen-naro nel forno, cattedrale di Napoli) o che riprende, inchiave moderna e piú solenne, elementi della grandepittura veneziana del XVI secolo, alla maniera di Vero-nese. La grande Comunione degli apostoli della certosa diSan Martino, iniziata nel 1638 e terminata nel 1651, èun superbo esempio del suo ultimo pittoricismo.

Questi elementi di evidente e pieno barocchismo noncambiano del tutto il suo tenebrismo giovanile che per-siste fino agli ultimi anni in quelle opere che, per iltema o perché la tradizione lo aveva fissato, sembranorichiederlo. Nelle opere dei suoi ultimi anni con questecaratteristiche (Il miracolo di san Donato, 1652, Museodi Amiens e Sant’Andrea, Museo del Prado), la luce pro-duce nei corpi o nei tessuti illuminati che emergono dal-l’oscurità una specie di incandescenza di carattere quasirembrandtiano, ben diversa dai tersi e uniformi volumiilluminati del primo caravaggismo.

A partire dal romanticismo, la personalità di Ribe-ra, una delle piú forti e influenti dell’epoca, conosciu-to e imitato in tutta Europa nel XVII secolo, ha subí-to una specie di falsa interpretazione che ha volutovedere in lui (e le brillanti formulazioni letterarie di unByron e di un Gautier lo hanno enormemente favori-to) un cupo pittore di sangue, crudeltà e mostri. Sol-tanto la critica piú recente sta iniziando a restituire il

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suo posto a colui che senza dubbio può essere conside-rato uno dei piú personali, maturi e completi artisti natinella penisola iberica.

Francisco de Zurbarán

La personalità di Francisco de Zurbarán (1598-1664),proveniente dall’Estremadura, educato a Siviglia, è com-pletamente diversa da quella di Ribera. Di chiara mode-stia e timidezza, esce a malapena dal ristretto circolodella clientela conventuale per cui realizza il meglio dellasua produzione. Nessuno come lui ha saputo rappre-sentare con maggior semplicità ed efficacia la ferventepassione e la familiarità con la parte meravigliosa dellavita monastica della Controriforma spagnola. La suastraordinaria fama e il prestigio attuale sono una conse-guenza di alcune qualità, o meglio limiti, che soltanto lanostra abitudine a determinati aspetti dell’arte moder-na ci permette di valutare adeguatamente; la semplicitàquasi impacciata per assenza di colti artifici e la capa-cità quasi ossessiva di riprodurre ciò che ha di fronte nelmodo piú semplice e diretto lo rendono un superbo pit-tore di nature morte, e il gusto per i volumi puri ed ele-mentari evocano forme di alcuni settori dell’arte con-temporanea provenienti dal postcubismo.

Nato a Fuente de Cantos (Badajoz) nel 1598, si sa chesi formò a Siviglia con il pittore Pedro Diaz de Villa-nueva, di cui non conosciamo le opere, conobbe sicura-mente Pacheco e i suoi discepoli, soprattutto il giovaneVelázquez. Nel 1618 si stabilisce a Llerena (Badajoz)dove lavora per una clientela modesta rappresentata dachiese e conventi e dove si sposa due volte. Riceve unimportante incarico dai domenicani di Siviglia nel 1626,anno in cui ha inizio il suo vincolo indissolubile con que-sta città, dove produrrà opere per le piú importanti

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comunità monastiche sivigliane (ordine della Mercede,certosini, francescani). Nel 1629 la municipalità dellacittà lo invita a stabilirvisi con casa e laboratorio, nonsenza l’opposizione della locale corporazione dei pitto-ri, capeggiata da Alonso Cano, che reclamava, senzaalcun esito, che il giovane pittore dell’Estremadura sisottoponesse all’esame stabilito dalla corporazione sivi-gliana.

A questi primi anni della sua produzione risalgono ilsuperbo Cristo crocifisso (1627), ora al Museo di Chi-cago, proveniente dal convento dei domenicani come Ipadri della chiesa, ora al Museo di Siviglia, i quadri cheillustrano la vita di san Pietro Nolasco, provenienti dallaMerced (1629, Museo del Prado), l’insieme dei ritrattidi frati dell’ordine della Mercede dell’Accademia di SanFernando e il meraviglioso Beato Serapione (1628, Museodi Hartford). L’enorme tela dell’Apoteosi di san Tom-maso d’Aquino (1631) del Museo di Siviglia è senza dub-bio una delle sue composizioni piú solenni, sontuose ecomplesse, dove il tenebrismo si fonde con il suo riccosenso del colore e con un’eccezionale capacità di tra-durre in pittura le qualità delle cose.

Nel 1634, sicuramente su iniziativa di Velázquez,viene chiamato a Madrid per partecipare alla decora-zione del Buen Retiro, dove dipinge, oltre alle tele conbattaglie di severa compostezza per il Salone dei Regni(Aiuto a Cadice, Museo del Prado), alcuni quadri a sog-getto mitologico di intenso tenebrismo (Le fatiche diErcole, oggi al Museo del Prado) che testimoniano la suascarsa capacità nel nudo e nella composizione profana,ma interessanti per i paesaggi di fondo e la maestria neicomplementi della natura morta. Al suo ritorno, con iltitolo di «pittore del re», la sua maturità giunge al cul-mine nei due eccezionali cicli che costituiscono la partepiú valida della sua produzione: quello della certosa diJerez (163739), oggi smembrato (Musei di Cadice e Gre-

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noble, Metropolitan Museum) e quello del monasterogeronimita di Guadalupe (1638-39), per fortuna con-servato intatto in situ.

In questi cicli Zurbarán offre il ventaglio completodelle sue capacità. Nelle grandi tele a tema evangelicoprovenienti da Jerez, oggi a Grenoble, lo spazio è satu-ro di un’atmosfera di silenziosa devozione, mentre lamonumentalità dei personaggi e la prodigiosa maestriadei dettagli lo rendono indimenticabile, anche se in essiè evidente l’utilizzo di modelli provenienti dalle stampe.

Le figure dei venerabili certosini del Museo di Cadi-ce, sempre provenienti da Jerez, offrono magnificheinterpretazioni del misticismo ispanico, a iniziare dallarealtà piú diretta.

L’insieme di Guadalupe sprigiona una prodigiosa eintensissima panoplia della vita monastica, con un per-fetto equilibrio, che raramente raggiungerà in seguito,tra individualità dei volti, sempre veritieri, e il tonolento, lirico e severo della narrazione.

In questi anni il suo laboratorio è il piú ricco e atti-vo di Siviglia; gli incarichi piovono e vive comodamen-te, anche se la fortuna familiare inizia a essergli avver-sa. Nel 1639 muore la seconda moglie e dieci anni dopo,durante la terribile epidemia di peste del 1649, perde ilfiglio e collaboratore Juan de Zurbarán. Nel frattempogiungono a Siviglia ventate di novità e, dal 1645, la cre-scente personalità di Murillo gli toglie gli incarichi piúimportanti della città.

Nella decade del 1650, diminuita la clientela, sembrache quasi tutta la sua attività si concentri su una seriedi dipinti per l’esportazione in America dove il suo stileesercitava una vasta influenza, soprattutto in Messico.A questi anni risalgono le serie, spesso ripetute in esem-plari di qualità non sempre uniforme, dei santi fonda-tori degli ordini religiosi e delle sante vergini, ma anchedi personaggi dell’Antico Testamento (i figli di Gia-

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cobbe) nonché di storia profana (gli infanti di Lara, gliimperatori romani). Dal 1658 fino alla morte (1664) lotroviamo a Madrid con la terza moglie, vive modesta-mente e cerca di assimilare la nuova tecnica violenta edi colore vaporoso che il nuovo gusto sta imprimendo,senza però riuscirci completamente.

In questi ultimi anni della sua vita sembra dedicarsisoprattutto a quadri di piccole dimensioni di devozioneprivata, delicata e intima, come Sacre famiglie, Madon-na con bambino e Immacolata Concezione, nonché alcu-ni temi della passione (Cristo alla colonna, Telo dellaVeronica ecc.) e alcuni santi (San Francesco). Nel con-vento di San Diego, ad Alcalá de Henares, lascia il suoultimo apporto alla pittura monastica con le grandi teledi San Bonaventura (Madrid, San Francesco il Grande)e San Giacobbe della Marca (Museo del Prado) dove sinota l’evoluzione del suo stile che tenta, senza rinun-ciare alla monumentale severità, di assimilare le appren-sioni atmosferiche di Velázquez, senza però capirne deltutto le supposizioni.

Zurbarán incarna in maniera magistrale i limiti dellaSpagna dell’epoca, chiusa in se stessa, che ha come unicopunto di riferimento la religione, quasi fosse un oriz-zonte ossessivo. Uomo di scarsa preparazione, è spessogoffo e impacciato nelle composizioni complesse, ese-guite male, con errori di prospettiva, ma con paesaggi,quando li adotta, di evidente bellezza, che comunque sirifanno spesso a incisioni fiamminghe e completamenteslegati dalla figura principale, quasi fossero un lontanofondale. I suoi principali esiti, quelli che hanno costi-tuito la sua fama, si trovano nella sua portentosa capa-cità di affrontare le cose tranquille e umili della vita quo-tidiana. La sua maestria in questo rende le composizio-ni delle superbe nature morte dove gli oggetti, i vasi, ifrutti, i fiori o i tessuti che vestono i personaggi acqui-siscono un’entità e un’evidenza affascinanti. Nelle rare

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occasioni in cui dipinge delle nature morte, si trattaassolutamente di capolavori di intensità e fascino senzaequivalenti se non in Sánchez Cotán. La sua Naturamorta con piatto di cedri, cesto di arance e tazza con rosa(1633) della Norton Simon Foundation di Pasadena o leidentiche Nature morte con vasi del Museo del Prado edel Museo di Barcellona fanno sí che gli oggetti piú vol-gari sembrino dotati di una prodigiosa e sottile intensitàmisteriosa. È anche maestro nel riprodurre i volti, chedevono però essere estatici, esprimere una fede appas-sionata, la serenità dell’estasi, l’abbandono o la morte,devono in qualche modo esprimere le sottigliezze intel-lettuali e psicologiche pretese dal classicismo italiano,con la sua analisi degli effetti e delle passioni.

L’abbandono dell’umano nella divinità, ricercato daimistici, e la coesistenza giornaliera di realtà immediatae di tensione all’assoluto, trova in lui un interprete ecce-zionale, anche se si avvertono i limiti della sua gammaespressiva, quella di una pia eredità contadina secondola quale il mondo finisce tra i muri del convento. La suaevidente genialità consiste proprio nel trascendere que-sto limite e tradurre la materia delle cose con una spe-cie di magica luce interna che sublima il volgare e monu-mentalizza il quotidiano.

Oltre ai grandi cicli conventuali, la parte piú carat-teristica della sua opera, Zurbarán ha lasciato una seriesignificativa di opere devozionali, Cristi crocifissi,Madonne con bambino, Immacolate Concezioni e figu-re di sante che spesso costituiscono delle serie a carat-tere quasi processionale da collocare sulle pareti di chie-se e sagrestie.

L’evoluzione del suo stile parte da un tenebrismorigoroso dove si avverte indubbiamente l’impronta diRibera, conosciuto grazie alle tele di Osuna o alle opereche studiò a Madrid. All’epoca, il suo Cristo crocifisso del1627 (Museo di Chicago), eseguito per i domenicani di

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Siviglia, sorprese per l’energico contrasto luminoso e larotondità quasi scultorea. Le altre tele per i domenica-ni e quelle per le Mercedarie Calzate (1628-30, Museodi Siviglia, del Prado e Accademia di San Fernando) pre-sentano quello stesso tenebrismo, sebbene alquanto atte-nuato, con ombre trasparenti e colori intensi che con-feriscono un’evidente sontuosità colorista alle composi-zioni. In lui il riberismo arriva all’estremo in alcuneopere della decade del 1630 (retablo di San Pietro nellacattedrale di Siviglia, Gli apostoli del Museo di Lisbo-na, alcune tele di Jerez e Guadalupe). Nei volti dellaserie dei frati della Mercede all’Accademia o nelle scenedei geronimiti a Guadalupe si trova la maggior intensitàdella sua produzione e del suo stile, che ha già assimila-to quanto piú possibile dalla sua esperienza madrilena.

Negli ultimi anni, il modellato fortemente plasticodella sua produzione precedente cede il passo a un leg-gero sfumato dei contorni e a una certa morbidezza coni quali pretende di assimilare, come abbiamo già detto,qualcosa delle nuove forme ormai in voga. Il colore sifa piú contenuto, quasi sommesso, e il tenebrismo tra-lascia le ombre per una penombra vellutata. Prova timi-damente a incorporare anche qualcosa del dinamismonelle severe e chiuse silhouette delle sue ImmacolateConcezioni, ma in realtà, se comparate con la trasfor-mazione dello stile di Ribera o dei suoi contemporaneiVelázquez o Cano, si avverte perfettamente fino a chepunto Zurbarán rimane sempre fedele al linguaggiodella sua gioventú, che in questi anni era ormai evi-dentemente arcaico.

Un problema nella cronologia di Zurbarán è rappre-sentato dalle stupende tele provenienti dalla certosa diSiviglia de las Cuevas (Vergine dei Certosini, I Certosiniin refettorio e L’incontro tra san Bruno e papa Urbano II),dipinti con colori chiari e luminosi tipici della sua faseultima, ma con una severità geometrica nella composi-

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zione e un’accentuazione dei volumi e delle ombre tipi-ca dei primi anni. La mancanza di documenti rendeincerta la datazione di queste opere, considerate lemigliori della sua produzione.

Nonostante l’arretratezza del suo stile, è chiaro cheil risultato e l’adeguatezza delle formule adatte a servi-re una semplice clientela devota garantirono una relati-va sopravvivenza ai suoi personaggi.

Vi sono sufficienti nomi di artisti direttamente oindirettamente vincolati a Zurbarán che possono essereconsiderati suoi discepoli.

Il suo laboratorio fu evidentemente molto vasto e,nonostante siamo a conoscenza dei nomi di alcuni deipittori che vi collaborarono, non siamo riusciti a iden-tificare chiaramente le loro personalità indipendenti. Èevidente tuttavia che molte opere «zurbaranesche» sonoattribuibili a questi artisti quasi sconosciuti.

I fratelli Polanco (Miguel e Francisco), Bernabé deAyala e Ignacio de Ries a Siviglia, Juan Luis Zambranoe José de Sarabia a Cordoba sono direttamente in rela-zione con il maestro dell’Estremadura. In alcuni di essila conoscenza dell’opera degli artisti piú giovani, soprat-tutto di Murillo, modifica le loro tecniche verso unamaggior dolcezza, gli esseri umani, i severi schemi com-positivi e l’intenso chiaroscuro sopravvivono per moltotempo. È molto importante, per il significato storico eper il livello qualitativo, il gruppo di pittori zurbarane-schi che opera in Messico, specialmente Sebastián deArteaga (1610-56), formato a Siviglia, e José Juárez(1615/20 ca. - 1661/64 ca.), artisti di considerevole qua-lità che a volte non hanno nulla da invidiare al maestro(I santi Giusto e Pastore di Juárez, Città del Messico,Pinacoteca Virreinal).

Altri artisti minori, considerati a volte discepoli diZurbarán e ai quali si attribuiscono, quasi sempre senzaalcuna ragione, opere a carattere zurbaranesco, non

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hanno una sufficiente definizione personale, soprattut-to Bernabé de Ayala (1600 ca. - 1672) o i fratelli Miguele Francisco Polanco; del secondo, morto nel 1651, siconserva nella cattedrale di Siviglia un’opera firmata(San Giovanni Battista) che sembra corrispondere a unasuccessiva fase stilistica, con evidente conoscenza diMurillo.

Alonso Cano

La personalità di Alonso Cano (1601-67), nato a Gra-nada ed educato a Siviglia da Pacheco, è estremamentenuova e curiosa nel panorama spagnolo. Uomo dallagenialità violenta, inquieto e dominatore come un arti-sta del Rinascimento, delle tre arti principali, scultura,pittura e architettura, sembra essere (e alcuni dei suoidisegni di nudi lo dimostrano) in magnifiche condizio-ni per esercitare la pittura mitologica o rappresentare lanostalgia classica. Non è però cosí e le circostanze dellasua vita, non priva di episodi drammatici (la sua secon-da moglie fu assassinata e si sospettò di Cano, che dovet-te superare un periodo tormentato prima di essere assol-to), lo avvicinano alla clientela ecclesiastica, nonostan-te la sua presenza a corte gli avesse permesso di cono-scere le collezioni reali.

La sua interpretazione del senso religioso differisceconsiderevolmente da quella dei suoi contemporanei.Cano, cosí violento e duro nella vita personale, divental’unico artista completamente classico del Siglo de Orospagnolo. La ricerca della bellezza ideale, il gusto per l’e-quilibrio e per l’elegante moderazione, l’interesse per ilnudo e l’abitudine di disegnare in continuazione lo ren-dono fin dall’inizio diverso dal mondo strettamentenaturalista che lo circondò nell’infanzia e al quale rendeil suo personale tributo in alcune opere giovanili come

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l’intenso San Francesco Borgia (1624) al Museo di Sivi-glia. Nelle sue opere giovanili dimostra anche un’evi-dente conoscenza dell’arte di Ribera, da cui trae sugge-rimenti espressivi e modelli (Via Crucis, Museo di Wor-cester).

I primi anni della sua attività professionale sono dedi-cati quasi esclusivamente alla scultura, nella quale sidenota che approfittò della severa dignità di Montañése si ha la prova della sua passione per la severa monu-mentalità classica. I suoi dipinti datati o databili intor-no al 1635 (Visione di san Giovanni, Londra, GalleriaWallace; Santa Ines, Museo di Berlino, distrutta nel1945) mostrano che ha già completamente superato iltenebrismo giovanile e offrono la misura del suo inte-resse per la bellezza idealizzata, per gli atteggiamenti disobria gravità e per i colori chiari e saggiamente armo-nicizzati.

Nel 1638, chiamato dal conte-duca di Olivares e persfuggire ai debiti e alle rivalità, si trasferisce da Sivigliaa Madrid, dove regna già Velázquez che non ha quasirivali a palazzo. A corte, la conoscenza della collezionereale favorisce la sua dedizione e passione; la sua operadi restauratore di quadri dopo l’incendio al Buen Reti-ro del 1640, gli mette tra le mani i capolavori della pit-tura veneziana di cui può studiare la tecnica e gli effet-ti. Forse furono la tecnica e il colore di Tiziano e Vero-nese che contribuirono maggiormente ad affermare ilsuo gusto per i toni chiari e argentati e per le forme ele-ganti, abilmente dissolte nella luce, ma senza perderemai la sobria precisione dei volumi che la sua condizio-ne di scultore lo aiutava a concretizzare.

Diverse opere eseguite per la corte e per i paesi vici-ni (retablo di Getafe, 1645) permettono di conoscere l’e-voluzione del suo stile, che deve abbastanza anche aVelázquez, di cui fu sicuramente testimone mentre ese-guiva alcuni quadri.

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In Cano si afferma il gusto per un’eleganza contenu-ta che scopriamo sia in temi che altri avevano intesocome drammatici (i Cristi alla colonna, con luminosi nudiapollinei, i Cristi crocifissi prossimi all’opera di Velázquezper la severa gravità elegiaca), sia in altre composizionievangeliche di ottimismo piú logico come l’Annuncia-zione di Getafe o le varie versioni della Madonna conbambino, la cui composizione richiama una stampa dure-riana, che sa ammantare di una delicata e lirica malin-conia, molto personale.

L’interesse per il nudo classico, solitamente circo-scritto a episodi della passione, con un Cristo magnifi-co e con poco sangue a deturpare la bellezza delle sueforme agili (Cristo alla colonna, Avila, Carmelitane, diuna pienezza quasi michelangiolesca) culmina in unimportante e quasi eccezionale quadro: la Discesa alLimbo, al Museo di Los Angeles dove, assieme al nudodi Cristo, dal tono sicuramente monumentale, c’è quel-lo di Eva di spalle di una bellezza e singolarità tali cheobbliga a pensare alla Venere allo specchio di Velázquez.

Anche il tema cosí frequente in Spagna, quello del-l’Immacolata, raggiunge nei suoi anni madrileni unanuova formula diversa da quanto realizzato da Zurbaránnegli stessi anni o da quello che Ribera aveva consacra-to nel 1635. Se quella del Museo di Vitoria, che presentauna certa rotondità monumentale e un evidente dina-mismo, ricorda ancora l’iconografia riberesca, le suc-cessive mostrano una tipologia che sarà personale: eret-ta, con le mani giunte, la testa leggermente inclinata ela tunica e il mantello raccolti ai piedi, a creare cosí unasilhouette svelta, affusolata, accompagnata da gruppiridenti di cherubini in atteggiamento giocoso contro unfondo diafano dai toni argentati e madreperlacei straor-dinariamente raffinati.

Dopo la morte violenta della moglie e varie vicissi-tudini che testimoniano il suo pessimo carattere, Cano

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decise di entrare nel mondo ecclesiastico e, nel 1652,chiede la posizione di canonico prebendario alla catte-drale di Granada. Gli viene concesso il titolo, anche seil ritardo nell’imparare il latino e nel prendere i voti sfo-cerà in tensioni con il capitolo che avranno termine nel1660 anno in cui, ordinato finalmente sacerdote, pren-de possesso del titolo e lavora in continuazione per lacattedrale di Granada. A questo periodo granadino cor-risponde la piú ambiziosa delle sue opere, il ciclo dellavita della Vergine per le nicchie della cappella maggio-re della cattedrale, opere di grandi dimensioni dove lasua maestria raggiunge l’apice nella composizione monu-mentale e negli effetti di grande e raffinato colorista. Laserie venne ultimata nel 1664. L’uso di ampi scenariarchitettonici in alcuni casi, la presenza di figure amezzo busto in prima fila in altri e la ricchezza del colo-re rimandano a modelli veneziani, soprattutto del Vero-nese, che probabilmente conobbe e ammirò a Madrid eche sa rendere suoi con grande maestria.

Uomo a quanto pare poco affezionato al lavoro con-tinuativo, capriccioso e indipendente, Cano ha lascia-to un insieme di opere di grande bellezza e personalitàche si distaccano da quanto comune all’epoca e pre-sentano una segreta affinità con il miglior classicismoitaliano che, purtroppo, ha potuto conoscere solo gra-zie alle tele del Buen Retiro. La sua opera di disegna-tore, abbondante e varia, mostra anche la ricca inven-tiva e la rara sicurezza del suo tocco. La sua influenza,che a Granada fu decisiva per la formazione di unascuola locale di una certa entità basata completamentesu suoi modelli e concetti, si è fatta sentire anche inalcuni artisti madrileni della generazione successivacome Sebastián de Herrera Barnuevo (1619-71), scul-tore e pittore di camera alla morte di Mazo e in alcuniaspetti dell’opera di pittori ancora molto giovani comeJuan Antonio Escalante.

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Velázquez

La principale figura di questa fortunata generazioneè indubbiamente Velázquez, il maggior pittore di tuttala storia della pittura spagnola e quello che meglio incar-na il passaggio dallo stretto realismo del primo terzo delsecolo al barocchismo dell’ultimo, mostrando inoltre ipiú equilibrati e severi risultati «classici» dell’intera artespagnola. Velázquez è anche l’esempio piú significativodei risultati di un’educazione e un ambiente adeguatiuniti a eccezionali doti naturali.

Diego Rodríguez de Silva y Velázquez nacque a Sivi-glia nel 1599, figlio di un portoghese e di una siviglia-na. Anni dopo si sforzò di provare la nobiltà della suaascendenza, ma è certo che la sua infanzia e le condi-zioni del suo apprendistato non differiscono da quelle dialtri artisti artigiani suoi contemporanei. Dopo esserefugacemente passato dal laboratorio di Herrera il Vec-chio, nel 1611 formalizza il contratto di apprendistatocon Francisco Pacheco da cui riceverà l’educazione dipittore e dove intraprenderà i passi utili per la sua vitafutura. Durante le riunioni tenute dal suo maestro entrain contatto con persone «inquiete» della vivace Siviglia:prende familiarità con il crescente naturalismo chePacheco lascia sperimentare ai suoi discepoli e scoprecon certezza la letteratura dell’epoca, prova nostalgia perl’umanesimo rinascimentale ben conosciuto a Siviglia eche gli ha lasciato una certa familiarità con dei e dee del-l’Olimpo pagano.

Non appena terminato l’apprendistato, Velázquez sisposa con la figlia del suo maestro (1618) che già avevariconosciuto in lui doti speciali. Al giovane artista si pro-spettava la normale vita di un pittore dell’epoca, chedipendeva completamente dalla clientela ecclesiastica:pittura sacra, cicli monastici, ritratti di personaggi dellasua cerchia e nature morte in cui sperimentare l’amore

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per la natura. Infatti, le prime opere di Velázquezrispondono a queste caratteristiche, ma sorprende l’in-sistenza con cui esegue alcune nature morte con figurealquanto eccezionali per il suo ambiente e che forserispondono al suo desiderio di impadronirsi di tutto ciòche è naturale, come si può dedurre dall’opera di suosuocero, Pacheco. Cosa insolita, conservò alcune delleproprie nature morte piú interessanti (Acquaiolo di Sivi-glia, Due giovani mentre mangiano, entrambi al Welling-ton Museum. di Londra) e le portò con sé a Madrid,sicuramente come prova della sua capacità per farsiconoscere in un ambiente nuovo.

A quest’epoca sivigliana, oltre alle nature morte,risalgono anche alcuni quadri a tema religioso concepi-ti come pittura di genere (Cristo in casa di Marta, Lon-dra, National Gallery, e Cristo a Emmaus, detto Lamulatta, Dublino, National Gallery of Ireland, collezio-ne Beit) che sorprendono perché relegano il soggettoprincipale in secondo piano collocando in primo pianole figure di servi e gli elementi della natura morta, nellostile di alcuni manieristi fiamminghi. In queste tele enelle nature morte è evidente la conoscenza del natura-lismo caravaggesco, con uno studio molto intenso eattento della realtà che lo circonda e un’insistenza sul-l’illuminazione tenebrista. Oltre a queste opere, il gio-vane Velázquez dipinge quadri religiosi normali (Ado-razione dei Magi, 1619, Museo del Prado; Immacolata esan Giovanni Evangelista, Londra, National Gallery), chepresentano un identico gusto per i modelli del volgo el’illuminazione tenebrista, e ritratti con figure che ema-nano un’implacabile intensità di osservazione (La vene-rabile madre Jerónima de la Fuente, 1620, Museo delPrado, collezione privata). Nel 1622, senza dubbio spin-to dal suocero, effettua il suo primo viaggio a Madrid.Il conte-duca di Olivares, ministro onnipotente dall’a-scesa al trono di Filippo IV, protegge i sivigliani e Pache-

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co spera che il genero si stabilisca a palazzo. Questoprimo viaggio, non del tutto fortunato, gli permette distabilire i primi contatti. L’anno successivo, 1623, si tra-sferisce a corte dove gli vengono aperte le porte del-l’Alcázar. I ritratti del giovane re, ritenuti straordinari,del conte-duca e di altri sivigliani famosi gli garantisco-no il successo e in poco tempo diventa il pittore favori-to a corte, mettendo in disparte i vecchi maestri e sca-tenando, logicamente, invidie e ostilità. I ritratti del gio-vane sovrano Filippo IV e di suo fratello Carlo, in seve-ri abiti neri alla moda spagnola, nel vuoto spazio defi-nito soltanto da un leggero riferimento geometrico edal magistrale utilizzo della luce diretta, sottolineano ilcammino della liberazione dalle durezze tenebriste. Lostudio dei quadri delle collezioni reali non fa altro chepotenziare la sua evoluzione. La sua ammirazione perVenezia rende piú chiara la sua tavolozza e sciolto il pen-nello, lo studio dei ritratti di corte lo spinge a tralascia-re l’iniziale tenebrismo e a porre fondi grigi nei suoiritratti ufficiali. Nel 1627, in risposta alle accuse che erain grado soltanto di dipingere ritratti, realizza in com-petizione con altri pittori del re (Carducho, Cajés eNardi) una grande tela, purtroppo andata perduta, cherappresenta l’Espulsione dei Mori. L’opera era netta-mente superiore a quella degli altri e consacra la sua car-riera a Palazzo, superando i rivali e ottenendo influen-za e onori presso il re. Nel 1628, la presenza a Madriddi Rubens, che a volte accompagnò e che vide sicura-mente al lavoro, segnò profondamente la sua sensibilitàdi uomo ambizioso e di artista, nonostante le profondedifferenze di temperamento e sensibilità che si manife-stano con evidenza nei Beoni o Il trionfo di Bacco dipin-to quello stesso anno. Si tratta di una tela a caratteremitologico con un’interpretazione radicalmente diversadall’opulenta e sensuale maniera rubensiana. Velázquezoptò per un tono di assoluta volgarità e immediatezza

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in cui il dio è un ragazzo picaresco mentre i suoi adora-tori sono povera gente, quasi dei mendicanti. Indub-biamente, applica alla mitologia l’identico trattamentoche la Controriforma introdusse nella religione, cosache ripeterà in altre occasioni, rendendo piú vicino everosimile il fatto narrato. Tecnicamente nei Beoni visono ancora tracce di tenebrismo nel rendere i volti e itessuti, ma il fondo chiaro e luminoso testimonia già ilsuo stile.

Nel 1629 chiede il permesso di recarsi in Italia; perquesto viaggio, che arricchirà enormemente la sua sen-sibilità, riceve aiuti economici e facilitazioni di ognigenere. Si tratta di un vero e proprio viaggio di studioe Velázquez va direttamente ad assorbire la pittura vene-ziana del Cinquecento, vive l’esperienza del classicismoromano-bolognese e la devozione neoveneta, cioè la piúvivace attualità nelle città italiane dove il barocco è inincubazione. Il suo amore per la misura e l’equilibrioraggiunge adesso una formula quasi accademica in duegrandi tele dipinte a Roma: Fucina di Vulcano (Museodel Prado) e Tunica di Giuseppe (monastero dell’Escorial)nelle quali lo studio dei nudi e il trattamento dei rap-porti spazio-luce sottolineano l’assimilazione di quantoaveva visto in Italia. Il tenebrismo è scomparso, il colo-re si fa chiaro e raffinato in un’atmosfera di toni prin-cipalmente freddi e la pennellata si libera completa-mente da qualsiasi sottomissione al disegno.

A questo viaggio risalgono anche due delicati pae-saggi della romana Villa Medici (Museo del Prado) che,per libertà di tocco e lirismo, anticipano i canoni chel’impressionismo introdurrà nel XIX secolo.

Al ritorno in Spagna, la sua personalità artistica èmaturata e ha trovato un modo molto personale diespressione in cui anche l’esperienza italiana ha una suacollocazione. Il magnifico e singolare quadro delle Ten-tazioni di san Tommaso d’Aquino (Museo diocesano di

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Orihuela) è direttamente legato ai quadri dipinti in Ita-lia e annuncia, in alcuni dettagli, quella che sarà la futu-ra evoluzione. Nella decade 1630-40, è intensamenteimpegnato come pittore di corte. Per decorare il palaz-zo del Buen Retiro esegue una serie di ritratti equestridella famiglia reale nei quali introduce magistralmentelo scenario, luminoso e vibrante, della sierra di Gua-darrama. La tela della Resa di Breda (Le lance), esegui-to per il Salone dei Regni del Buen Retiro, nel qualelavorano anche gli artisti della generazione precedente(Carducho, Cajés, Maíno), Zurbarán e altri piú giovani(Felix Castello, José Leonardo e Antonio de Pereda), èforse l’apice di questa fase artistica, con bellissimi studiall’aria aperta, dove il suo senso del chiarore e dell’or-dine, fusi con un sottile studio di espressioni e atteg-giamenti, danno come risultato un’immagine indimen-ticabile di ciò che doveva esserci di piú degno nelle tre-mende guerre delle Fiandre. Per la Torre de la Parada,la palazzina di caccia per la quale Rubens dipinge la seriemitologica, Velázquez realizza importanti ritratti degliuomini della famiglia reale in abito da caccia, propriocome esigeva l’ambiente. In essi, oltre al tono di serenanaturalezza senza enfasi, riesce a captare l’ambienteluminoso della sierra madrilena e a dare vita ai cani dacaccia che acquisiscono una potente intensità indivi-duale. Contemporaneamente, la sua incessante attivitàdi ritrattista lascia una serie di immagini indimenticabilidell’ambiente di corte: dal conte-duca di Olivares, ritrat-to a cavallo con un impeto eroico che si rifà decisamen-te al barocco (Museo del Prado) ai nani e buffoni dipalazzo. Questi ultimi soprattutto costituiscono un set-tore molto interessante e notevole della sua produzione.Velázquez, senza prescindere da nessuna delle tare omiserie di questi poveri disgraziati, ha lasciato delleimmagini emozionanti per la loro profonda veridicità,mostrando ciò che hanno di piú umano e trattandoli con

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la stessa severa dignità con cui ritrae i reali. È special-mente commovente la serie costituita da Juan Calabazas,Don Sebastián de Mora, Don Diego de Acedo, il primo eFrancisco Lezcano, il bambino di Vallecas, una serie pro-digiosa sia negli aspetti tecnici (la pennellata si è fattaveloce e volatile, i contorni sono completamente scom-parsi) sia in quelli psicologici. Le esperienze pittorichedi quegli anni lo portano a semplificare sempre piú iltocco e a intensificare gli effetti del suo modo di dipin-gere. Uno dei ritratti di buffone, Pablillos de Valladolid(Museo del Prado) dimostra già, verso il 1639, un domi-nio assoluto della prospettiva aerea, ottenendo una per-fetta definizione dello spazio e la padronanza della figu-ra con un utilizzo particolare di luce e ombra, senzaalcun riferimento alle tradizionali formule geometriche.

A questo periodo (1630-40) risalgono anche una seriedi capolavori sia di arte sacra, eseguita episodicamentee quasi sempre per incarico reale (Cristo crocifisso, famo-sissimo, con una severa dignità classica, dipinto per ilconvento di San Plácido per incarico di Filippo IV e SanPaolo eremita con sant’Antonio, dipinto per il Buen Reti-ro, entrambi al Museo del Prado), sia mitologica (Marte,Melipo, Esopo, sempre al Museo del Prado), interpreta-ti con somma indipendenza e novità. Inoltre, come èlogico, continua la serie dei ritratti di reali che culminacon quello di Filippo IV in abbigliamento militare (FrickCollection, New York) dipinto a Fraga (Huesca) nel1644 durante la campagna di Catalogna.

Tra il 1648 e il 1651, Velázquez, che ha fatto carrieraa Palazzo, torna per la seconda volta in Italia per acqui-stare opere d’arte per i saloni da poco rinnovati del-l’Alcázar che Filippo IV vuole abbellire con elementi chesi accordino maggiormente con la nuova sensibilità deco-rativa dell’epoca, pensando anche di far giungere inSpagna degli affreschi. In questo viaggio, che compren-de una visita a Venezia, città favorita dal pittore, e una

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lunga permanenza a Roma, Velázquez ritrae il pontefi-ce Innocenzo X in una magnifica tela (Roma, GalleriaDoria), che influenzò ampliamente il suc cessivo ritrat-to romano, e il proprio domestico, il pittore mulattoJuan de Pareja (New York, Metropolitan Museum); inqueste due opere raggiunge l’apice il processo di libertàdel suo pennello che, rifacendosi ai veneziani, soprat-tutto al vecchio Tiziano, raggiunge cime sconosciute dileggerezza nel tocco ed esattezza di visione. Al ritornoin patria realizza le opere principali della sua produzio-ne, le complesse composizioni in cui «l’ambiente», cioèil totale conseguimento della prospettiva aerea, giungealla perfezione assoluta: le Filatrici dell’arazzeria di santaIsabella, la Favola di Minerva e Aracne e Las Meninas.Nella prima opera, a carattere mitologico, insiste nel suoparticolare modo di interpretare la favola come un fattoquotidiano fino al paradosso che, fino a data recente,un’opera cosí complessa venisse qualificata come quadrodi genere, un semplice interno di filatrici, avvolto in unaluce dorata, dove sorprende la sua ammirevole maestrianel rendere il movimento della rocca. Las Meninas è uncapolavoro, un ritratto della famiglia reale dove, con undelicatissimo sistema di riflessi e posizioni dei perso-naggi, si autoritrae mentre ritrae il re e la regina difronte alla figlia Margherita. Lo sguardo di Velázquez,diretto allo spettatore, fissa in realtà la coppia reale,posta fuori dal quadro, ma della quale vediamo il rifles-so in uno specchio che centra la composizione, e l’in-fanta, a quell’epoca (1656) erede al trono, si erge pro-tagonista visibile della composizione. In questo quadroraggiunge forse l’apice del suo fantastico senso dellospazio.

In quegli anni realizza anche quattro composizionimitologiche per uno dei saloni rinnovati di Palazzo. Tresono andate perdute e si conserva soltanto il Mercurio eArgo del Museo del Prado, dove si avvertono ancora una

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volta il suo modo molto personale di trattare la favolacome fosse una realtà quotidiana e la sua conoscenza deimodelli classici.

Dell’epoca dovrebbe essere anche la bellissima Vene-re allo specchio (Londra, National Gallery), ispirata aTiziano, ma con una delicatezza e una grazia personali.

Velázquez è un personaggio chiave della storia uni-versale dell’arte e, per contrasto, la sua singolarità segna-la i limiti dei pittori spagnoli. Se fosse rimasto a Sivi-glia, forse la sua carriera sarebbe stata quella di uno Zur-barán piú saggio. La sua posizione a corte, dove otten-ne incarichi burocratici e amministrativi che culmina-rono con la nomina a Maresciallo d’alloggio maggiore ela concessione dell’ordine di Santiago per espressavolontà reale, contro il volere del Consiglio degli ordi-ni che non reputava sufficienti le prove di nobiltà pro-dotte, gli permise una certa familiarità con le collezionireali e l’alta nobiltà senza confronti. La sua posizione glirese possibile viaggiare in Italia e lo esentò dalle pres-sioni dei clienti. Pittore del re, godeva della sua evidentefiducia e la sua produzione è assolutamente eccezionalenell’ambito spagnolo dell’epoca. Indubbiamente il suoprotettore reale seppe intravedere l’unicità di Veláz-quez che riunisce tutte le qualità che si richiedono al pit-tore puro. La sua maestria tecnica nel suggerire il volu-me, la forma e la sembianza, con una pennellata sciol-ta, non hanno equivalenti. La sua penetrazione psicolo-gica nel ritratto mette a nudo la persona che gli sta difronte dandoci, senza le adulazioni e la fredda crudeltàche altri ritrattisti, per esempio Goya, a volte mostra-no, quanto vi è di piú profondo, intimo e personalenella persona ritratta, sia questi un re o un ruffiano.Nella composizione riassume la severa chiarezza del clas-sicismo romano e, contemporaneamente, la compiacen-za del transitorio e dello stupefacente, quasi con miste-ro, del barocchismo. Poco incline al movimento, lascia

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tuttavia nei suoi personaggi tranquilli l’impronta del-l’ambiente che li circonda.

Come è facile supporre dalla sua eccezionale unicità,Velázquez non ebbe veri discepoli e la presenza della suaarte si può avvertire fuori dall’ambito di corte. Soltan-to il genero, Juan Bautista del Mazo (1611 ca. - 1667),riprende superficialmente qualcosa della sua sottile mae-stria nel ritratto, con una fattura sempre piú spoglia ecoltiva un genere di paesaggio descrittivo con piccolefigure di grande effetto e grazia (Panorama di Zaragoza,Partita di caccia del Tabladillo, Museo del Prado) cheriprendono un che del magico intuito di Velázquez.

Il suo schiavo Juan de Pareja (1606 ca. -1670), che loaccompagnò a Roma, dove ottenne la libertà, e che rea-lizzò magistrali ritratti nello stile del maestro, diventa,una volta morto Velázquez, un pittore religioso all’in-terno delle convenzioni abituali nell’ambiente madrile-no degli artisti dell’epoca. La Vocazione di san Matteo(1661, Madrid, Museo del Prado) è l’unica delle suecomposizioni che mantiene qualcosa della gravità e com-postezza del maestro.

I pittori madrileni della generazione di Velázquez

Mentre Velázquez si trova all’Alcázar, quasi com-pletamente slegato da altri lavori che non siano quellistrettamente di palazzo, il panorama artistico madrile-no assiste al cambio della guardia dei maestri della primagenerazione naturalista, sostituiti, nel fervore dellaclientela religiosa, da artisti nati negli anni intorno al1600, che vivono, come i grandi maestri già citati, masu piano piú modesto, a volte con armonia la stessa crisidel naturalismo stretto e la lenta introduzione dellenovità scenografiche del pieno barocco.

Il secondo terzo del secolo, che coincide quasi esat-

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tamente con il regno di Filippo IV (morto nel 1665),vive le tensioni tra una realtà che si sente inesorabil-mente prossima al disastro e subisce le difficoltà econo-miche e i problemi di una politica sfortunata e le esi-genze di luminosità e apparente splendore del nuovostile, che bisogna sostenere per moda e prestigio, ma chesi avvicina irrimediabilmente a un’insistenza, espressa osegreta, nel tema dell’«apparire» e del «disinganno».

In una Madrid dove la popolazione attorno alla corteè in aumento, dove si fondono e rinnovano, decorandoli,conventi di tutti gli ordini, dove un mondo di nobili pre-tendenti a corte è in ebollizione, cercando il modo difarsi notare con donazioni, cappelle e fondazioni, nonmanca lavoro per i pittori, anche se i compensi nonsono alti e il prestigio sociale è scarso. Non mancanonuovi stimoli e modelli: dal 1634-35, il Buen Retiroospita ricche collezioni di pittura italiana d’attualità.Soprattutto Roma e Napoli, grazie alle gestioni del contedi Monterrey e del duca di Medina de las Torres, vi sonorappresentate in modo superbo e dal 1636-40 la Torrede la Parada riceve le serie di tele mitologiche e deco-rative di Rubens e dei suoi discepoli che costituisconouna magnifica novità.

L’alta nobiltà, per seguire in qualche modo il gusto eil capriccio reali, forma collezioni facilmente accessibiliagli artisti, come si verifica a volte anche per le collezionidi Palazzo. Vicente Carducho nei suoi Dialoghi dellapittura (1633) ha lasciato una viva visione del collezio-nismo di corte e della sua indubbia complessità già dagliinizi. Anche alcuni personaggi appartenenti alla nobiltà(l’ammiraglio di Castiglia) mostrano interesse per gliartisti spagnoli, creando gabinetti per opere di «emi-nenti spagnoli», la cui singolarità ci conferma che ingenerale si tratta di opere fiamminghe e italiane checostituiscono l’orgoglio della nobiltà principale. Tuttociò favorisce un rinnovo stilistico e la formazione di una

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scuola con una certa personalità, senza alcun confrontofuori dalla città e dalla corte. Per trovare negli altri cen-tri artistici spagnoli la medesima vivacità e quegli stimolinella tecnica e, con alcuni limiti, nei soggetti bisognaattendere la seconda metà del secolo, quando il nuovolinguaggio è diventato ormai completamente accessibi-le e in certo modo popolare. Si ricordi come a Sivigliasia Zurbarán che, quasi senza evoluzione, riempie assie-me al suoi seguaci questo periodo fino agli anni Cin-quanta e come a Valencia Espinosa perpetui le forme delnaturalismo piú stretto, senza avere quasi rivali.

Per orientarci, bisogna raggruppare a Madrid, attor-no ai loro maestri, i pittori piú interessanti di questagenerazione. Sia Vicente Carducho (morto nel 1638) siaEugenio Cajés (morto nel 1634) hanno moltissimi disce-poli che in questi anni acquisiscono una personalità indi-pendente. Un ruolo decisivo è svolto anche dai pittoriformati da un eccellente maestro, Pedro de las Cuevas(morto nel 1644) di cui non si è conservato nulla, ma dalcui laboratorio passano forse i piú validi artisti che tro-viamo a Madrid in questi anni. Vi si possono aggiunge-re anche alcuni altri artisti dei quali ignoriamo la forma-zione e i cultori di generi specifici come i bodegonisti.

Tra i tanti discepoli di Carducho troviamo FélixCastello (1595-1651), Bartolomé Román (1590 ca. -1647), Francisco Collantes (morto nel 1656) e Franci-sco Rizi (1614-85), sebbene quest’ultimo possa e debbaessere considerato piú tra gli artisti dell’ultimo terzo delsecolo. Con Cajés si formarono Antonio Lanchares(morto nel 1631), Luis Fernández (1594 ca. -1657 ca.)e Antonio Puga (morto nel 1648) e dal suo laboratoriopassò anche José Leonardo (morto nel 1653) che si erainizialmente formato con Cuevas. Con quest’ultimostudiarono inoltre Antonio de Pereda (1611-78), Anto-nio Arias (1614 ca. - 1684), Francisco Camilo (1615 ca.- 1673), Juan Montero de Rojas, il suddetto Leonardo

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e Juan Carreño de Miranda (1614-84) che, come il suocontemporaneo Francisco Rizi, dovrà essere considera-to tra i pittori di Carlo II, paladini del nuovo stilebarocco.

Figure indipendenti di una certa qualità sono Juan dela Corte (1597-1660), Pedro Núñez del Valle (1590 ca.- 1649), Diego Polo (1610 ca. -1650) e fra Juan Rizi(1600-81) che si dice fosse discepolo di Maíno, ma nulladella sua produzione sembra provarlo. Alcuni di essiebbero modo di lavorare a corte. Castello, Leonardo ePereda entrarono in competizione con i vecchi maestri,con Velázquez e Zurbarán, nella decorazione del Salo-ne dei Regni del Buen Retiro. Arias, Camilo, Núñez ePolo, assieme ad Alonso Cano e altri artisti, oggi sco-nosciuti, decorarono il Salone delle Commedie dell’Al-cazar con un’interessante serie di figure sedute di sovra-ni di Castiglia, di pura invenzione i piú antichi e veriritratti a partire dai Re Cattolici. Collantes e Juan de laCorte fornirono moltissime tele decorative, paesaggi eprospettive per il Buen Retiro.

Tutti costituiscono la base della scuola madrilena, lacui importanza e originalità è molto varia.

Buona parte di essi rimasero molto legati alla tradi-zione del primo naturalismo degli inizi del secolo, conscarsi avanzamenti nella linea del dinamismo e del colo-re. Félix Castello e Bartolomé Román prolungarono glischemi compositivi di Carducho, con una certa pesan-tezza nel disegno e nella composizione, ma con notevo-li esiti di colore (la Porziuncola di Castello, Madrid, SanJerónimo; la Parabola dell’invitato a nozze di Román,1628, Madrid, convento de la Encarnación). AntonioArias è piú personale e slegato dallo stile dei suoi com-pagni, grazie al disegno monumentale, alle pieghe ango-lose di corpi arrotondati, al colore chiaro e intenso e aivolti di efficace individualismo. Qualcosa della sua per-sonalità, severa e calma, ricorda da un lato il mondo di

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Maíno e dall’altro la gravità devota di Zurbarán (Lamoneta di Cesare, 1646, Museo del Prado; Cristo flagel-lato raccoglie i suoi abiti, 1641, Madrid, convento de lasCarboneras). Pedro Núñez del Valle viaggiò in gioventúa Roma dove divenne accademico di San Luca. La suaconoscenza del mondo classicista bolognese e del natu-ralismo, attenuata da alcuni caravaggisti, lo collegano aMaíno (Adorazione dei Magi, 1631, Museo del Prado).Diego Polo, formatosi come discepolo di Cajés, è un arti-sta morto prematuramente prima di compiere qua-rant’anni, che viene ben presto affascinato dal venezia-nesimo tizianesco e giunge a elaborare un proprio stile,sontuoso, costruito su quello del Tiziano ormai anziano,ottenendo risultati di sorprendente maestria che a voltesono stati attribuiti al maestro veneziano (Martirio disanto Stefano, Museo di Lille; Raccolta della manna,Museo del Prado).

Fra Juan Rizi, José Leonardo e Antonio de Peredapresentano una maggiore personalità e significato.

Fra Juan Andrés Rizi è figlio di un mediocre pittorediscepolo di Zuccari, giunto a lavorare all’Escorial, e fra-tello maggiore di quel Francisco che sarà una figura dicapitale importanza nella generazione successiva, ormaipiena mente barocca. Divenuto frate benedettino moltogiovane, Rizi giunge in Castiglia per svolgere un ruoloanalogo a quello di Zurbarán in Siviglia o di Espinosa aValencia. È un pittore di cicli monastici (limitati ai con-venti del suo ordine: San Millán de la Cogolla, 1653;San Martín di Madrid, oggi al Prado e nell’Accademiadi San Fernando; Silos ecc.) e di alcune tele di santi (cat-tedrale di Burgos) dai toni gravi, con una scarna gammadi colori, con effetti di luce ancora tenebristi e con unsobrio schema compositivo di stretta tradizione natura-lista, ma dal punto di vista tecnico e già un artista delbarocco avanzato, dalla pennelata sciolta e spezzata cheinvece di definire le superfici illuminate con la saggia e

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quasi geometrica precisione di Zurbarán, ottiene scin-tille luminose e comunica un diffuso tremore di origineveneziana. Il notevole ritratto di Fra Alonso de San Vito-res (Museo di Burgos) mostra, sia nella rappresentazio-ne sia nella tecnica, un’inequivocabile influenza diVelázquez; la tecnica rappresenta l’aspetto importantedella sua personalità. Uomo colto, teologo e matemati-co, scrisse il trattato, inedito, Pittura saggia, abbondan-temente illustrato e di grande interesse per l’analisi degliordini architettonici tra i quali inserisce l’ordine salo-monico, completamente barocco.

Nelle scarse opere conservate di José o Jusepe Leo-nardo, nato a Calatayud (Saragozza) nel 1601, artistaestremamente dotato che verso il 1648 impazzí, rovi-nando cosí una carriera promettente, si denota una rapi-da e vibrante evoluzione che va dalla fedeltà agli sche-mi di Cajés (retablo di Cebreros, 1625) a una cono-scenza certa e meditata dell’arte di Velázquez e VanDyck. Le due tele che dipinge per il Salone dei Regnidel Buen Retiro (Presa di Bisac e Presa di Juliers, 1635)evidenziano la maturità di uno stile sobriamente ele-gante nella composizione e doti di colorista che usa unagamma chiara di toni argentati, chiaramente velazchia-ni. Il suo San Sebastiano del Prado è un nudo nobile,severo ed equilibrato, che perde in perfezione classicasolo in confronto alle opere di Cano.

Antonio de Pereda (1611-78), nato a Valladolid ededucato a Madrid con Pedro de las Cuevas, mostra dotidi pittore puro assolutamente ammirevoli. La protezio-ne del nobile italiano Crescenzi, molto influente pressoFilippo IV, gli apre le porte di Palazzo e, a ventitré anni,partecipa alle decorazioni del Salone dei Regni con unabellissima tela (Aiuto a Genova, Museo del Prado) disevera composizione, un po’ pesante, ma con una straor-dinaria ricchezza nel colore alla veneziana, in cui l’au-tore dimostra una notevole capacità di ritrattista. La

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morte del suo protettore, nemico del conteduca, gli pre-cluse l’accesso a corte e dovette rivolgersi alla clientelaecclesiastica. I suoi quadri d’altare mostrano, oltre auna composizione di tipo convenzionale, un tanto rigi-da, una capacità di osservazione della realtà e un inte-resse per le qualità delle cose che denunciano in lui unsuperbo pittore di nature morte. Le sue opere migliorisono senza dubbio le meravigliose Nature morte (Museidi Lisbona, San Pietroburgo e Mosca) e le sue Vanitas(Musei di Vienna e Saragozza, Galleria degli Uffizi),dove l’opulenza delle cose caduche (fiori, frutta, gioiel-li, bei tessuti, armi e attributi del potere o della saggez-za) è sottomessa al trionfo di un teschio, impassibile difronte all’implacabile trascorrere del tempo segnato daun orologio. La sua maestria tecnica nel tradurre lamateria, formata nella doppia osservazione del rigorefiammingo e della sensualità veneziana, lo rendono unmaestro assoluto in un genere che, nella Spagna scissadal barocco, raggiunge le formule migliori. Come Zur-barán, negli ultimi anni della sua lunga vita tentò diincorporare un po’ del dinamismo trionfante negli arti-sti piú giovani, senza però riuscirvi. Le sue opere miglio-ri, oltre alle già citate Nature morte e Vanitas, sono i qua-dri con una o due figure, eseguiti negli anni centrali dellasua produzione, tra il 1640 e il 1660 (San Gerolamo, Cri-sto Salvatore o Uomo del dolore, la Maddalena, San Pie-tro, Giuditta), dove la forza dell’espressione e la perfe-zione dei dettagli creano un’intensità quasi ossessiva.Anche Pereda lavorò per gli ordini religiosi, soprattut-to per i carmelitani (Sant’Elia e San Eliseo, 1659,Madrid, convento del Carmen) e i francescani (Por-ziuncola, 1664, Museo di Valladolid).

È probabile che nell’ambiente di corte si sviluppasseun tipo di generi speciali, propizi per la decorazione deipalazzi della nobiltà e delle case di una pletora di fun-zionari che pullulavano attorno alla casa reale.

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Come abbiamo notato, la natura morta trova in Pere-da un esecutore straordinario, ma è affiancato da altriartisti validi che nel secondo terzo del secolo realizzanomolte opere notevoli che, partendo dai severi schemidell’inizio del secolo, a disposizione orizzontale, quasiun fregio, e con un’illuminazione tenebrista, incorpora-no qualcosa della disordinata opulenza della naturamorta fiamminga. Cosí citiamo l’ancora enigmatico JuanLabrador, anzi Juan Fernández Labrador, la cui vita èdocumentata tra il 1620 e il 1640, che all’epoca ebbe unenorme prestigio e si pregiava di disprezzare la vita dicorte preferendo vivere in campagna, i quasi omonimiJuan Bautista de Espinosa (1590 ca. - prima del 1641)e Juan de Espinosa (documentato tra il 1640 e il 1676),spesso confusi l’uno con l’altro, sebbene le notizie bio-grafiche permettano di differenziarne le personalità;Antonio Ponce (1608-62), imparentato con Van derHamen e sicuramente suo discepolo; Francisco Barrera(documentato tra il 1625 e il 1640); Francisco Palacios(1622 ca. -1652) o Francisco Burgos Mantilla (1610 ca.-1672), discepolo di Velázquez, che, a giudicare dall’u-nica Natura morta conosciuta (1634, Università di Yale),è un artista dalle qualità eccezionali ancora da scoprire.Un caso singolare è quello del già citato Palacios, anch’e-gli discepolo di Velázquez e famoso per due meraviglio-se nature morte datate 1648 della collezione Harrach diVienna. A lui va imputato, come si è convincentemen-te proposto negli ultimi anni, il famoso Sogno del cava-liere alla Reale Accademia di San Fernando, che è sem-pre stato considerato un capolavoro di Pereda, ma chedifficilmente si inquadra nella produzione di questomaestro, come si è recentemente definito. La menzionedi un quadro di tale soggetto e dimensioni si trova nelladote matrimoniale di Palacios e permette di sostenerel’attribuzione del famoso quadro a questo artista quasisconosciuto.

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Tra gli altri generi «speciali» vanno citati i nobili pae-saggi con minuscole figure di Francisco Collantes(1599-1656), che ha doppiamente subito l’influsso delleincisioni fiamminghe e della pittura napoletana, che for-nisce anche l’ispirazione per le sue grandi figure a carat-tere molto riberesco (Sant’Onofrio, Museo del Prado) ei quadri di battaglie e prospettive di Juan de la Corte(1597-1660), un fiammingo stabilitosi molto giovane aMadrid, dove la particolarità dei temi trattati, prove-nienti dalla storia classica (Ciclo di Troia) o moderna(Storie di Carlo V) gli conferiscono una certa fama nei cir-coli nobiliari. Degno di nota è anche Francisco Gutier-rez Cabello (1616 ca. - 1670 ca.), autore di spettacolariprospettive architettoniche che servono a inquadrareepisodi biblici o evangelici composti da piccole figure.Riferendosi a stampe fiamminghe o italiane mostra unsenso scenografico molto personale.

Come esempio quasi unico di quadro di genere nel-l’ambiente madrileno si possono citare alcune tele, attri-buite senza alcun fondamento ad Antonio Puga, che illu-strano scene di strada come l’Arrotino, la Taverna, laCena dei poveri ecc. con figure di medie dimensioni, un’il-luminazione ancora tenebrista e una certa scarsa abilitànella composizione. Queste opere sono un’eco spagnoladella pittura dei «bamboccianti» italiani e oggi perman-gono anonime sebbene lo sconosciuto autore sia una per-sonalità di un certo pregio in cui a volte si possono intra-vedere riflessi del mondo fiammingo dell’epoca.

Il resto della Spagna

Abbiamo già indicato come, fuori da Madrid, aValencia domini il naturalismo stretto grazie a JacintoJerónimo Espinosa (1600-67), fedele al tenebrismo pertutta la sua vita. Figlio di un modesto pittore di Valla-

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dolid stabilitosi a Cocentaina (Alicante), inizia la suaattività a Valencia nel 1623 circa con uno stile moltovicino a quello dei Ribalta, che sicuramente conobbe efrequentò. Alla loro morte sarà il padrone assoluto dellaclientela monacale valenciana, lasciando opere che rap-presentano un qualcosa di molto prossimo a ciò che Zur-barán fa a Siviglia in quegli stessi anni. Sono partico-larmente significative le tele dedicate a san Luigi Beltránper la cappella del convento di Santo Domingo di Valen-cia, oggi nel Museo di questa città (dipinti tra il 1649 eil 1653). La morte del santo in special modo evoca laMorte di san Bonaventura di Zurbarán, somiglianza cheha fatto anche pensare che Espinosa si fosse recato aSiviglia, spiegando cosí la relazione. La sua passione peri contrasti luminosi, i modelli immediati e una certarudezza quasi campagnola è alquanto arcaicizzante neglianni 1650-67, quando dipinge le sue opere migliori(Comunione della Maddalena, 1665; Apparizione di Cri-sto a sant’Ignazio, 1658; Serie della Merced, 1660-62,tutti al Museo di Valencia) che non impediscono dipoter vedere in essi i cenni di una forte passione pia edi una sincera emozione. Buon colorista dalle gammecalde e sontuose, le sue tele hanno patito molto gli ecces-si di una preparazione rossiccia troppo visibile che hacontribuito al fatto che oggi, mal conservati, risultinomonotoni.

Un solo artista valenciano sembra interessante peralcuni aspetti nuovi in cui fa irruzione un dinamismoquasi violento. Si tratta di Esteban March (1610 ca. -1668), discepolo di Orrente, da cui prende il gusto peril paesaggio bassanesco, noto soprattutto per le sue scenedi battaglia, di notevole qualità, di temi biblici, che avolte si ispirano a stampe fiamminghe e dell’italianoAntonio Tempesta, o a modelli napoletani, ma semprerisolti con un’esecuzione vibrante e personale (Attraver-samento del Mar Rosso, Museo del Prado, Giosué ferma

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il sole, Museo di Valencia). Il figlio Miguel (1638-70),morto giovane, si evidenziò soprattutto per le sue natu-re morte, opulente, che spesso incorporano paesaggi sulfondo (Allegoria delle stagioni, Museo di Valencia). Neiquadri d’altare si dimostra ancora tenebrista, anche secon una tecnica energica, sciolta e alquanto secca (SanRocco, Museo di Valencia) che si avverte anche in alcu-ne rare composizioni a carattere allegorico, apparse direcente sul mercato internazionale.

Come pittore di nature morte è importante anche lafigura di Tomás Hiepes (morto nel 1674) che rappre-senta nel suo genere speciale il transito dal naturalismotenebrista stretto e arcaicizzante nella composizione aun concetto piú aperto e mosso, che a volte incorporanelle sue composizioni, come faceva Miguel March, deipaesaggi di fondo.

Formatosi a Valencia, ma stabilitosi a Murcia, dovesi mette alla testa di una specie di scuola locale, ancheMateo Gilarte (1620 ca. -1675) rappresenta questa stes-sa fase stilistica, con echi di Espinosa e Orrente, e timi-de preoccupazioni per il movimento e il colore chiaro(serie della Vita della Vergine, dispersa, proveniente dalcollegio gesuita di San Estebán, Murcia).

In Aragona, la figura chiave di questo periodo è quel-la del longevo Jusepe Martínez (1601-82), discreto arti-sta che parte dal tenebrismo e, dopo un viaggio in Ita-lia che gli permise di conoscere Ribera e Guido Reni,incorpora alcune nuove esperienze di colore e movi-mento legate soprattutto al mondo spagnolo, senza per-dere del tutto l’interesse per i dettagli realisti. Piú mode-sti, Juan Galván (1596-1658) o Francisco Jiménez Maza(1588-1670); anch’essi viaggiano in Italia, senza nullaaggiungere alla loro arte, ma va segnalato che il secon-do utilizza efficacemente le composizioni di Rubensconosciute grazie a incisioni (Adorazione dei Magi, 1645circa, cattedrale di Teruel).

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A Siviglia, dove verso il 1650 regna quasi senza riva-li lo stile di Zurbarán, troviamo Sebastián de LlanosValdés (1610 ca. – 1675), l’artista che può servire daponte tra Zurbarán e Murillo in quanto conosce entram-bi e da entrambi trae elementi, segnando con persona-lità il transito dal tenebrismo del primo al pieno baroc-co del secondo. Nei quadri della cattedrale di Siviglia(San Giovanni Battista davanti al sinedrio e Vocazione disan Matteo, 1668) dimostra un’evidente conoscenza del-l’arte genovese. Meno interessante è Pablo Legot(1598-1657), lussemburghese di nascita, a Siviglia alme-no dal 1619, artista incostante che si avvalse sempre dicollaboratori e si mosse nella scia di Roelas e Herrera ilVecchio, con alcuni rimandi a Zurbarán (Adorazione deiMagi, 1642, cattedrale di Cadice) o di Ribera (San Gero-nimo, cattedrale di Siviglia).

Pittori di nature morte di un certo interesse sono, aSiviglia, Pedro Comprobin (1605 ca. -1674) che utiliz-za gli schemi della natura morta di Zurbarán conferen-do un dinamismo e un’elegante vivacità nuovi, e PedroMedina Valbuena, di cui si conosce ben poco, ma chesembra dipendere sempre da Zurbarán.

Nel resto dell’Andalusia sono abbastanza interessan-ti alcuni gruppi locali come quello di Cordoba e Jaén. ACordoba, la figura piú significativa è Antonio del Castil-lo (1616-68), formatosi a Siviglia, sicuramente con Zur-barán o sotto la sua influenza. Il suo stile è il naturali-smo tenebrista, a cui resta fedele per quasi tutta la suavita (Calvario, Museo di Cordoba; Adorazione dei pasto-ri, New York, Hispanic Society), ma dimostra di cono-scere anche le composizioni fiamminghe rubensiane,senza dubbio grazie alle incisioni, e di avere un eviden-te interesse per il paesaggio aperto (Storie di Giuseppe,Museo del Prado). La tradizione, riportata da Palomi-no, vuole che morisse di tristezza sapendosi incapace,dopo un viaggio a Siviglia, di emulare Murillo, all’epo-

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ca all’apice del suo splendore creativo; ciò mostra chia-ramente, sia vera o no la leggenda, l’arretratezza del suostile in confronto alle novità degli anni Sessanta. Assie-me a lui va citato José de Sarabia (1608-69), di famigliasivigliana, formatosi con Zurbarán e stabilitosi a Cor-doba dal 1630 che, nell’opera migliore considerata sua(Adorazione dei pastori, Museo di Cordoba) denota unadelicatezza e un’intensità pari a quelle del suo maestro.

Da Jaén si distacca Sebastián Martínez (1599-1667),personalità curiosa, mal studiata, che dipinse a Madride fu pittore di Filippo IV. Ciò che di lui si conoscemostra un artista formatosi nel tenebrismo e vicino aCastillo, ma conoscitore di Alonso Cano e preoccupatodi fornire nelle sue composizioni un tono di dinamismoe vibrazione atmosferica in linea con i nuovi tempi. Lasua opera piú importante, il San Sebastiano della catte-drale di Jaén, ha una notevole tensione espressiva, deci-samente già barocca.

A Malaga è importante la presenza di Miguel Man-rique (morto nel 1647), nato nelle Fiandre da madrefiamminga e padre spagnolo, senza dubbio formatosinel circolo di Rubens; introdusse in Andalusia la cono-scenza diretta del grande artista fiammingo e il gusto perle composizioni opulente che avranno un ruolo definiti-vo nella generazione successiva.

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I pittori del pieno barocco

L’ultimo terzo di secolo, che coincide con esattezzamatematica con il regno di Carlo II (1665-1700), rap-presenta il trionfo delle forme del barocco pieno. Inrealtà ciò presuppone, almeno per quanto riguarda gliaspetti puramente esterni, il mettersi alla pari con quan-to si realizza in Europa. Se molti degli artisti della«grande generazione» spagnola (Zurbarán, Espinosa,Pereda o Juan Rizi) vivono, come abbiamo visto, con unconsiderevole ritardo rispetto all’evoluzione generaledella pittura europea, in queste ultime decadi del seco-lo gli artisti spagnoli sono al passo con il resto d’Euro-pa. È significativo il fatto che nel 1658 giungano aMadrid i decoratori bolognesi Agostino Mitelli e Miche-langelo Colonna, che creano una scuola e che, nel 1692,Luca Giordano, vetta indiscutibile del barocco decora-tivo italiano ed europeo, si stabilisca per dieci anni acorte per chiudere il secolo in un clima di apoteosi.

Questo formale aggiornamento rappresenta necessa-riamente un paradosso. Se le forme gloriose del pienobarocco sono servite in Italia a esaltare il trionfo di unaChiesa consolidata dopo rischi e incertezze della Con-troriforma, e nella Francia di Versailles esprimono, conquel caratteristico adattamento delle forme di un clas-sicismo relativo, lo splendore reale di una monarchiapotente, in Spagna queste forme trionfali si mettono alservizio di una situazione volta al disastro, di una

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monarchia barcollante e di un’economia sull’orlo dellabancarotta. Pochi sovrani sono stati fisicamente menofavorevoli all’esaltazione di un’apoteosi di Carlo II,eppure tocca a lui proteggere, per esigenze di «appari-re», uno dei periodi piú fastosamente trionfali, masuperficialmente brillanti della storia artistica spagnola.Forse è per ciò che questa pittura cosí luminosa e alle-gra, colma di un’apparente vivacità, coesiste, prestandoanche il suo splendore, con il tema delle vanitas; cosí siè verificato anche in letteratura, con evidente anticipa-zione. Quevedo aveva avvertito meglio di altri il fasto,l’inutile apparenza, il profondo dramma della situazio-ne reale spagnola e il suo vuoto; adesso la pittura offre,assieme a questa falsa opulenza esteriore, la presenzadell’elemento negativo e drammatico, avvertendo l’ina-nità delle cose presenti. Se il tema della vanitas rerum ètipico del pensiero morale del XVII secolo, sia nell’am-bito cattolico sia in quello protestante, in Spagna l’e-sortazione si fa piú profonda e malinconica, ma piúdirettamente vivida. La situazione spagnola era giusta-mente il regno della vanità, il trionfo dell’apparenzaesteriore che nasconde solo polvere, ceneri e miseria.L’arte di fine secolo, che muore in un enorme castellodi fuochi artificiali, con la luminosa presenza di Clau-dio Coello, Palomíno e Lucas Jordán, nasconde soltan-to la putredine e la vacuità che Valdés Leal rende evi-dente, forse con maggior crudezza di altri artisti dellastoria della pittura.

I componenti artistici ideali di quest’ultima fase dellapittura spagnola secentesca sono chiaramente definibilie, quindi, sono gli stessi di tutto il barocco decorativoeuropeo: da una parte la pittura veneziana del XVI seco-lo, con la maestosa sensualità di Tiziano, la spettacola-re opulenza colorista di Veronese e il luminoso dram-matismo di Tintoretto; dall’altra la dinamica teatralità,abbondante e fertile, di Rubens e dei suoi discepoli

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fiamminghi. Di tutto ciò, in Spagna, ma soprattutto aMadrid, vi sono abbondanti e magistrali esempi.

L’interesse per Venezia era stato fondamentale perl’evoluzione dei piú «moderni» artisti della generazio-ne del 1600, si pensi a Velázquez e Cano. Il meglio del-l’opera di Rubens era noto, oltre che per le incisionidelle sue opere, ben presto diffuse, grazie a superbiesemplari: gli arazzi con le allegorie eucaristiche del con-vento delle Descalzas Reales, dal 1630, e le prodigioseserie mitologiche della Torre de la Parada dal 1640.Come è logico, i primi a Madrid a conoscere questeopere furono i pittori del re: saranno quindi gli artistiche hanno accesso alla corte i primi a raccogliere l’ecodella potenza colorista, del senso dinamico, della com-posizione diagonale e dell’esaltazione delle forme delgrande artista fiammingo.

A Siviglia, l’altro centro creativo importante nellaSpagna dell’ultimo terzo del secolo, i capolavori vene-ziani e fiamminghi non erano cosí frequenti, anche seera possibile ammirarne alcuni nelle case dei grandi; tut-tavia la speciale situazione commerciale della cittàaveva reso possibile che nelle chiese e nei conventi vifosse un’abbondanza di opere di artisti genovesi (Asse-reto, Ansaldo, Valerio Castello, i Ferrari, Strozzi) che,come è noto, già verso il 1630-40 avevano creato unparticolare stile barocco in cui convergevano anchequelle due componenti, combinate con una specialesensibilità verso il quotidiano che eserciterà un’in-fluenza decisiva nella cristallizzazione dello stile perso-nale di Murillo.

Un sivigliano, emigrato a Roma, il giovane Franciscode Herrera il Vecchio, svolgerà un ruolo importantenella trasformazione delle forme e nel fissare definiti-vamente il nuovo stile sia a Madrid sia a Siviglia. Al suoritorno dall’Italia introduce, con vigore e grazia moltopersonali, la sua interpretazione dello stile cortonesco e

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delle raffinatezze di colore e luce osservati nella Vene-zia secentesca di Maffei e Mazzoni.

La tecnica pittorica, la fattura e il tocco si fanno oracompletamente liberi e comportano alcune audacie diorigine veneziana, già viste in alcuni pittori delle gene-razioni precedenti. Si pensi alla violenza di Herrera ilVecchio, alla libertà di alcuni dei discepoli di Cajés (LuisFernández, José Leonardo) o degli schizzi tizianeschi diDiego Polo, per non evocare l’eccezionale leggerezzadella pennellata di Velázquez, dove l’intera lezione vene-ziana giunge all’apice.

In quanto ai generi, la pittura religiosa continua aessere l’unico campo per i pittori. Proseguono i ciclimonastici, ma il quadro d’altare di grandi dimensionisostituisce quasi completamente il retablo ripartito dellaprima meta del secolo. Grandi tele, concepite come unfastoso spiegamento scenografico, fiancheggiate a volteda colonne salomoniche che sembrano contagiarle con illoro dinamismo elicoidale, riempiono ora le chiese. Ifondi architettonici con prospettive in fuga, ereditàremota del Veronese e prossima di Rubens, e gli effettiluminosi di piani successivi e di controluce definisconoqueste tele teatrali di sicuro effetto.

Il ritratto, sebbene mantenga di solito un tono digarbo severo e il gusto per i colori scuri, il nero e il bian-co, che la moda impone nell’abbigliamento, includeanche elementi di movimento, accompagnamento egestualità derivanti da Van Dyck, rendendolo menorigido e piú proiettato verso lo spettatore.

In ugual modo, la natura morta diviene piú barocca epresenta formule di una certa opulenza di chiara ispirazio-ne fiamminga. Abbiamo già detto che il genere delle vani-tas, culminato con Pereda, viene mantenuto e raggiungecon Valdés Leal le sue espressioni piú malinconiche.

La pittura murale, che aveva avuto una scarsa tradi-zione nella Spagna della prima metà del secolo, ha ora

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il suo massimo sviluppo grazie alle apportazioni italianedi Mitelli e Colonna, che in soli quattro anni (1658-62)crearono una vera e propria scuola. Purtroppo, la mag-gior parte delle decorazione ad affresco o a tempera dicui abbiamo notizia, soprattutto di quelle a tema mito-logico dipinte per l’Alcázar di Madrid e per alcune abi-tazioni di nobili, sono andate perdute. Quel poco cherimane ci permette di conoscere come la quadratura e ilucernai con voli di angeli, che trasformarono cupole osoffitti in magnifici spazi a cielo aperto, ebbero uno svi-luppo e una qualità pari a quelle italiane.

La «scuola madrilena»

Nel capitolo precedente abbiamo parlato di alcuniartisti, strettamente contemporanei di Velázquez, chelottano timidamente per incorporare il dinamismorubensiano. L’inizio del definitivo trionfo del nuovostile si deve, ancora durante il regno di Filippo IV, agliartisti della generazione successiva, nati tra il 1614 e il1630, che adottano un linguaggio artistico che resisteràfino alla fine del secolo.

Svolgono un ruolo eccezionale nella pittura madrile-na due artisti dalle vite parallele: Francisco Rizi(1614-85) e Juan Carreño de Miranda (1614-85), legatiinoltre da vincoli di amicizia personale e che spessolavorano insieme.

Rizi, fratello minore del frate Juan Andrés, fu unfedele discepolo di Carducho e sicuramente ereditò dalui una certa regola nel disegno di tradizione toscana euna gran capacità di lavoro e di organizzazione del labo-ratorio, quindi è senza dubbio uno dei piú fecondi arti-sti del suo tempo e nel suo studio si formarono moltidegli artisti della generazione successiva, ormai piena-mente barocca. Fin dall’inizio sembra interessato a una

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fattura rapida e abbozzata, al colore intenso e contra-stato, come alla composizione dinamica, di scorcio eprofonda, di evidente richiamo rubensiano. Conservia-mo sue opere del 1645 e già nel 1650 dipinge un’enor-me tela d’altare per i cappuccini del Pardo (La Verginecon san Filippo e san Francesco) che presenta, risolto, iltipo di grande retablo unico di grande composizione,con un paesaggio luminoso, pieno di movimento e colo-re, sul fondo anche quando la disposizione presenta unasimmetria classica. Le opere successive (Deposizione diCristo, 1652, Museo del Prado; Santa Leocadia, Madrid,San Jerónimo; retablo di San Pietro, 1655, Madrid,Fuente del Saz; Liberazione di san Pietro, Vallecas emolti altri) mostrano il suo avanzamento nel barocchi-smo e a volte anche la sua evidente disattenzione e pre-cipitazione che lo portano a fare vere e proprie abbor-racciature. Nelle tele minori brilla meglio la sua audacianel colore e nella pennellata, ottenendo a volte raffina-tissime armonie di colori chiari (Annunciazione, Museodel Prado). Le sue Immacolate sono le prime nell’am-biente madrileno a presentare il tono mosso e impetuo-so che poi diverrà generale e che contrasta con la quie-te delle Immacolate precedenti, incluse quelle di Cano.

Come pittore di affreschi, Rizi e Carreño sono i primia sfruttare la presenza di Mitelli e Colonna, diventan-do i loro migliori discepoli e sviluppando vaste decora-zioni di finte architetture, quasi sempre tracciate daRizi, nelle quali si iscrivevano i personaggi di Carreño.A questo genere corrispondono le decorazioni della chie-sa di San Antonio de los Portugueses, Madrid, e delCamarín del Sagrario della cattedrale di Toledo, entram-be di Carreño, e quelle della cappella del Milagro delleDescalzas Reales di Madrid (1678), completamente diRizi.

Legato a Palazzo fin dal 1656 come «pittore del re»,fu anche direttore delle macchine teatrali del teatro del

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Buen Retiro, realizzando audaci scenografie di cui siconservano alcuni disegni. L’ascesa di Carreño, pareprotetto direttamente dalla regina governatrice, donnaMarianna d’Austria, lo allontanò dalla vita di Palazzonella decade 1670-80, giungendo a inviare alla regina,nel 1673, un vero memoriale di lamentele. In quegli annitrasferisce la sua attività verso i conventi castigliani, manegli ultimi anni di vita sembra riacquistare un certoruolo a corte. È sua una curiosa tela di grande valoredocumentale che rappresenta l’Auto de Fé svoltosi nellaPlaza Mayor di Madrid nel 1683. Morí nel 1685 men-tre stava approntando una grande tela per l’altare dellasagrestia dell’Escorial, che non poté realizzare e venneterminata dal suo discepolo, Claudio Coello.

Juan Carreño de Miranda, nato nelle Asturie da unafamiglia nobile, studiò con Pedro de las Cuevas e conBartolomé Román. La sua attività ebbe inizio nelle chie-se e nei conventi, ma la necessità di ultimare rapida-mente le nuove decorazioni dell’Alcázar fece sí che, susuggerimento di Velázquez, secondo Palomino, ci sirivolgesse a lui. Vi lavorò assieme a Mitelli, Colonna eal suo amico Francisco Rizi. Ottenne la nomina a «pit-tore del re» nel 1669, dopo la morte di Mazo, e nel1671, alla morte di Herrera Barnuevo, divenne «pitto-re di camera», superando Rizi che, fino ad allora, erastato suo compagno in tante attività e che da quelmomento sembra prendere le distanze dalle attività diPalazzo e, come abbiamo detto, non proprio per suavolontà. Le sue tele d’altare mostrano fin dall’inizio ilpeso che, nel disegno e nella composizione, esercitano imodelli fiamminghi di Rubens e Van Dyck e la sapien-za nell’uso del colore e della tecnica, audace e liberanella pennellata, chiaramente di origine veneziana. Lagrande tela della Fondazione dell’ordine Trinitario, com-posta in base a uno schema di Rizi, come sappiamo daun disegno conservato agli Uffizi, dipinta nel 1666 per

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i Trinitari di Pamplona e oggi al Louvre, è forse l’e-spressione dell’apice della produzione di questo genere.La composizione di scorcio, con un elegante ordina-mento di piani luminosi, le forme, definite da macchievibranti, e il colore, caldo e dorato, con sorprendentieffetti di neri puri di controluce, aiutano a uniformareuno dei capolavori della pittura spagnola di quegli anni.Allo stesso modo, la grande Assunzione della Vergine, alMuseo di Poznan, mostra notevoli audacia e dinamismo;e composta su uno schema rubensiano, ma trattata coneccezionale maestria tecnica e un colore di raro splen-dore veneziano.

Il genere piú noto di Carreño è la sua opera di ritrat-tista. Dal 1669 svolge alla corte di Carlo II un ruolosimile a quello che Velázquez svolse alla corte di Filip-po IV. È lui che ci ha trasmesso l’immagine triste e seve-ra del pallido e malaticcio Carlo II, riflettendo la sua fra-gile silhouette nei grandi specchi del salone di palazzo,o quella della regina madre, donna Marianna, con gliabiti di lutto, di aspetto monacale, in piedi o sedutadavanti a una scrivania. I ritratti d’apparato dello sfor-tunato monarca in armatura (Toledo, Museo del Greco)o con il mantello dell’ordine del Tosone (Vienna, colle-zione Harrach) sono forse le piú rabbrividenti e terribiliimmagini della dissoluzione della monarchia, con unsignificato, ai nostri occhi, quasi simile a quelli chevedremo nelle Postrimeriàs di Valdés Leal. Fuori dal-l’ambiente di Palazzo, il ritratto di Carreño incorporala vivacità e la retorica dei modelli di Van Dyck, comequello del Duca di Pastrana, al Prado, con uno scenarioaperto, cavallo e paggi. Come pittore di affreschi abbia-mo già menzionato alcuni suoi lavori svolti assieme aRizi, soprattutto quello della volta di San Antonio de losPortugueses, la cui parte centrale, con le figure in volonello spazio, è quasi sicuramente di sua mano. Sonopurtroppo andati perduti gli affreschi a tema mitologi-

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co dipinti nell’Alcázar, che ci avrebbero fornito infor-mazioni sulle sue capacità con i nudi.

Assieme a Rizi e Carreño, svolse un ruolo moltoimportante nella trasformazione dello stile e nell’affer-mazione del barocchismo pieno la figura di FranciscoHerrera il Giovane (1627-85), sivigliano che, fuggendodal padre, il vecchio Herrera, passò in Italia, doveconobbe Pietro da Cortona e visse l’esaltazione delbarocco decorativo romano. Di ritorno, nel 1654, passòda Madrid dove la sua Apoteosi di sant’Ermenegildo, oggial Museo del Prado, dipinta per il retablo maggiore delleCarmelitane, dovette sorprendere per il suo esaltatodinamismo, per la composizione elicoidale, dove sembrarisuscitare la forma «a serpentina» del manierismo, e perl’audacia dei toni chiari, con i quali crea arditi effetti dicontroluce. A Siviglia, dove visse alcuni anni, svolse unruolo significativo grazie alle opere per la cattedrale(Adorazione del Sacramento, 1656; San Francesco, 1657)la cui eco raggiunse perfino Murillo, suo compagno erivale nell’Accademia sivigliana fondata in quegli anni,e certamente anche Valdés Leal. Trascorse gli ultimianni della sua vita a Madrid, al servizio della corte, siacome pittore (eseguí molti affreschi, andati perduti) siacome architetto, ed ebbe l’incarico di maestro maggio-re delle opere reali.

Dopo questi tre maestri, che si possono considerarei creatori dello stile madrileno piú caratteristico, segueuna generazione di giovani artisti, loro discepoli, la mag-gior parte dei quali, forse i migliori, morí giovanissima,alcuni addirittura prima dei loro maestri. Rappresenta-no la pienezza di uno stile luminoso e dinamico, pienodi colore, a volte con un’eleganza quasi affettata, masempre risolta, nonostante le evidenti leggerezze di dise-gno e superficialità di sentimento, con una maestria tec-nica, una sicurezza nel tono e un’eleganza cromatica diradice veneziana assolutamente singolari, che danno per-

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sonalità e carattere alla «scuola madrilena» barocca.Alcuni artisti, di età simile a quella dei tre maestri

suddetti, pretendono considerazione, soprattutto Fran-cisco Camilo (1615 ca. - 1673), discepolo di Pedro de lasCuevas che, come Rizi e ancora prima dell’avvento diHerrera il Giovane a Madrid, rappresenta un passoavanti verso il pieno barocchismo, con le sue figureallargate e instabili, di colore chiaro, dalla pennellatanervosa e dalle forme fluide (Ascensione di Cristo, 1651,Museo di Barcellona; San Carlo Borromeo e gli apostoli,cattedrale di Salamanca). Sebbene si dedicasse a com-posizioni ampie e spettacolari, diede il meglio di sé nel-l’iconografia pia di delicata tenerezza (San Giuseppe conil Bambino dormiente, Museo di Huesca). Anche Seba-stián Herrera Barnuevo (1619-71), discepolo di AlonsoCano e come lui pittore, scultore e architetto, realizzòopere di qualità con forti richiami veneziani (Retablodella Madonna di Guadalupe, 1653, Madrid, DescalzasReales). Anche Francisco de Solís (1620-84) è un arti-sta degno di considerazione per il suo personale stilenelle figure svelte, ordinate in ritmi curvi e fluenti, diun’eleganza un poco ricercata (Visione di santa Madda-lena de’ Pazzi, Valladolid, collegio de Ingleses; Fuga inEgitto, Madrid, palazzo Reale). Uomo colto e di raffinataeducazione, sappiamo che scrisse alcune vite di artistispagnoli, purtroppo perdute.

Tra i piú giovani discepoli di Rizi troviamo Antolí-nez, Escalante e Claudio Coello, per citarne solo alcu-ni. Furono discepoli di Carreño Mateo Cerezo, Cabe-zalero, Ruiz de la Iglesia, Jiménez Donoso e moltialtri. Matía de Torres era legato a Herrera il Giova-ne. Una pleiade di personaggi minori sono attivi, conminor o maggior fortuna, fino all’arrivo di Luca Gior-dano, nel 1692, che apporta un nuovo elemento allostile madrileno, proiettandolo nelle prime decadi delnuovo secolo.

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José Antolínez (1635-75) è un grande ammiratore diVenezia, soprattutto di Tiziano, e delle Fiandre; colori-sta di grande eleganza e abilità si dedica, oltre al gene-re sacro (le sue Immacolate, di una certa alterigia ari-stocratica, sono quanto di piú personale vi sia del gene-re nella Madrid dell’epoca), al ritratto e al quadro digenere, cosa quasi eccezionale nel panorama artisticomadrileno di quegli anni (Il pittore povero, Pinacoteca diMonaco di Baviera), nonché a temi mitologici inseriti inpaesaggi. Juan Antonio Escalante (1633-70), di Cordo-ba, è piú incline al modello veneziano di Veronese, Tin-toretto e Bassano.

Nella serie di quadri a tema eucaristico per la Mer-ced di Madrid (1667), attualmente suddivisi in varimusei, sorprende la sua bravura nel colore chiaro e neisuoi personaggi di atteggiamento veneziano. Per le com-posizioni fece a volte ampio uso di stampe fiamminghe,fu influenzato anche da Cano, ma sempre con un per-sonalissimo senso di eleganza che brilla soprattutto inalcuni deliziosi quadri a soggetto sacro di piccole dimen-sioni e squisita raffinatezza cromatica.

Mateo Cerezo (1637-66), di Burgos, apprende dalmaestro Carreño la devozione per Tiziano e Van Dyck,con una preferenza per le figure a mezzo busto di son-tuosa qualità (Maddalena penitente, Ecce Homo) e per lecomposizioni complesse, di tono fiammingo, risolte conuna malinconica eleganza molto personale. Eseguí anchenature morte di altissima qualità che svelano di averdefinitivamente superato lo schema tenebrista dellaprima metà del secolo (Nature morte, Museo di Città delMessico, Natura morta di cucina, Museo del Prado). JuanMartín Cabezalero (1633-73), manciego di Almadén, siispira ai modelli fiamminghi di Van Dyck con unastraordinaria personalità, un gusto per le superfici ampiea colori pieni e con effetti luminosi molto personali chela sua morte prematura gli impedirono di sviluppare.

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Sono estremamente significativi i quadri della Passionedi Cristo (1669) nella cappella di Cristo della VenerableOrden Tercera di Madrid.

José Jiménez Donoso (1628-90), anch’egli prove-niente dalla Mancia (Consuegro), studiò a Roma e al suoritorno collaborò, come vedremo, con Claudio Coellocon il cui stile ha molti punti in comune: la propensio-ne per le prospettive e il dominio dell’affresco illusioni-sta della tradizione di Colonna e Mitelli.

Tralasciando molti altri artisti, alcuni di una certaqualità come Diego González de Vega, SebastiànMuñoz, José Moreno, Alonso de Arco o F. Ignacio Ruizde la Iglesia, la figura piú significativa di tutta la scuo-la è senza dubbio Claudio Coello (1642-93) la cui mortesembra chiudere il ciclo della grande pittura baroccaspagnola. Discepolo e collaboratore di Francisco Rizi,ebbe anche contatti con Carreño, che lo introdusse aPalazzo dove copiò con molta cura Tiziano, Rubens eVan Dyck, secondo quanto tramandatoci dagli scritti diPalomino, riuscendo a creare uno stile che verrà adot-tato da tutta la scuola. Grazie al suo straordinario sensodello spazio e della prospettiva aerea, sembra essere inun certo qual modo l’erede di alcuni aspetti dell’arte diVelázquez (L’adorazione della sacra ostia, 1685, El Esco-rial), alla quale si rifanno anche i suoi scarsi ritratti dinotevole semplicità e considerevole profondità psicolo-gica. Il fasto teatrale e scenografico dei suoi quadri d’al-tare proviene direttamente da Rubens, tramite il suomaestro Rizi, con un eccezionale dominio della pro-spettiva architettonica e della gradazione degli effettiluminosi (Annunciazione, 1668, convento di San Placi-do; Martirio di san Giovanni Evangelista, 1674, chiesa diTorrejón; Apparizione della Madonna a san Domenico,Accademia di San Fernando; Martirio di santo Stefano,1693, Salamanca, San Esteban). Fu molto interessatodalla concretezza e le sue composizioni sono superbi

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esempi di realtà, soprattutto nel ritrarre personaggisecondari e dettagli della natura morta. In anni di velo-cità di esecuzione e poca preoccupazione per il disegno,si nota la sua insistenza nell’esecuzione e la sua atten-zione nei profili esatti e nell’esattezza rigorosa degliscorci. Il suo senso del colore è delicato e sottile. Comepittore di affreschi, a cui si dedicò in collaborazione conJiménez Donoso o Sebastián Muñoz, si rifà alla tradi-zione di Mitelli e Colonna con finte prospettive e figu-re librate nello spazio aperto (1683-85, chiesa della Man-tería, Saragozza; sagrestia della cattedrale di Toledo;casa Panadería, Madrid ecc.).

Come abbiamo già piú volte ripetuto, nel 1692, unanno prima della morte di Coello, venne chiamato acorte Luca Giordano che, fino al 1702, anno in cui sene andò, dipinse una gran quantità di opere, sia affre-schi (El Escorial; sagrestia della cattedrale di Toledo;pareti di San Antonio de los Portugueses; Casón delBuen Retiro) sia una vasta serie di tele con soggettibiblici, religiosi, mitologici e allegorici. La sua appas-sionata arte, vistosa, fatta di agitazione e movimento,piena di audaci scorci, figure volanti e colori vibranti ecaldi, con pennellate libere e nervose, diede una consa-crazione definitiva al barocchismo sviluppatosi in quelsecolo. Esercitò la sua influenza su quasi tutti i pittoriche ebbero occasione di conoscerlo a Madrid. Si puòconsiderare allievo suo e di Claudio Coello, AntonioPalomino (1655-1726), di Bujalance (Cordoba), grandeaffrescatore (chiese di San Juan e della Virgen de losDesamparados a Valencia; sacrario delle certose di Gra-nada e Paular) e autore inoltre della piú importanteopera teorica di tutta la bibliografia artistica spagnola,il Museo pictórico y escala óptica (1715-24) in cui, oltrea problemi di ordine teorico, presenta, nel terzo capitolo(Parnaso español Pintoresco laureado) le vite di pittori escultori spagnoli, diventando, soprattutto per quanto

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riguarda il XVII secolo, la fonte principale per conoscerela storia dell’arte spagnola.

Per quanto riguarda gli altri generi pittorici, soprat-tutto la natura morta, unica a raggiungere sviluppo eindipendenza, si ha a Madrid un’evoluzione simile aquella segnalata per la pittura religiosa. Una crescenteopulenza nella disposizione che tende all’asimmetria e almovimento e una notevole ricchezza nel colore sosti-tuiscono definitivamente i severi ordinamenti dellaprima metà del secolo. Abbiamo già citato le Vanitas diPereda e le Nature morte di cucina di Matteo Cerezo;Andrés Deleito, documentato nel 1680 e legato alleforme di Pereda, dipinge nature morte e vanitas con unatecnica spoglia e luminosa. In questi generi, il pienobarocco è indubbiamente meglio incarnato dai vistosifiori di Juan de Arellano (1614-76), ricchi di eleganza ecolore, che devono molto al fiammingo Seghers e all’i-taliano Mario Nuzzi, ma con una sensibilità personale,e quelli di suo genero, Bartolomé Pérez (1634-93) chedipinge corone e ghirlande di fiori attorno a immaginisacre, alla maniera fiamminga.

Anche Gabriel de la Corte (1648-94), imparentatocon Juan de la Corte, noto per i suoi quadri raffiguran-ti battaglie, dipinse vasi di fiori e ghirlande nello stiletipico del barocchismo avanzato.

La pittura sivigliana

A differenza di Madrid dove, fino alla maturità diClaudio Coello, non vi è alcun artista che possa porsi intesta e dove conosciamo molti pittori di valore equiva-lente, a Siviglia l’attività pittorica di questo periodo sifocalizza quasi totalmente su due personalità molto fortie contrapposte: Murillo e Valdés Leal.

Bartolomé Esteban Murillo (1618-82) è uno dei piú

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famosi artisti spagnoli, sebbene la sua fama e il suo valo-re abbiano subíto, nel secolo attuale, una certa eclissecon l’accusa di eccessivo sentimentalismo, mentre con-temporaneamente si sopravvalutavano la semplicità el’asperità di Zurbarán. Nel XVIII secolo e in buonaparte del XIX, Murillo fu il nome spagnolo piú consi-derato, posto alla pari, e forse anche superiore, a quel-lo di Velázquez. Nel Seicento, grazie all’attiva coloniadi mercanti fiamminghi e genovesi presente a Siviglia,le sue opere giunsero sul mercato internazionale e il suonome era famoso ed elogiato in tutta Europa.

Figlio di un modesto barbiere-cerusico, rimase orfa-no ben presto e venne educato dalla sorella maggiore; lasua formazione pittorica si svolse con il mediocre Juandel Castillo in ambiente sivigliano, che stava osservan-do il crescente prestigio di Zurbarán e l’arrivo delleopere di Ribera, due pittori che fungeranno da punto diriferimento obbligato per le prime opere conosciute diMurillo nelle quali si avvertono accenni naturalisti eforti contrasti luminosi di tono completamente tenebri-sta (serie dei francescani di Siviglia, 1645-46, dispersain vari musei), nonché una certa propensione ai luminosiangeli in gloria, già visti in Roelas. Questo naturalismoleggermente tenebrista si mantiene in alcune opere delladecade del Cinquanta, tra le quali si evidenziano alcu-ne meravigliose immagini di Madonna con Bambino,luminose e con forti contrasti, ma con un delicato sensomaterno che si collega a quello dell’italiano Cavarozzi(Vergine del Rosario, Firenze, Palazzo Pitti e Museo delPrado; Sacra Famiglia dell’uccellino, Museo del Prado).Nel 1656, il grande Sant’Antonio della cattedrale di Sivi-glia mostra già quello che sarà il suo stile principale, conuna notevole diminuzione della scala dei personaggiprincipali, in contrasto con l’imponente massa di quellidi Herrera e di Zurbarán, e un ampio sviluppo dello spa-zio ricolmo, nella parte superiore, di cherubini giocosi

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tra le nuvole, con contrasti luminosi forse presi da Her-rera il Giovane che, appena giunto a Siviglia, impres-sionò gli artisti locali.

Nel 1658, risulta che Murillo è a Madrid dove si recòda Velazquez e probabilmente visitò le collezioni realiche lasceranno un’impronta nella sua opera successivadove, assieme a evocazioni della pittura genovese, benconosciuta nelle chiese sivigliane, si possono segnalarericordi di Van Dyck e di alcuni effetti veneziani.

Nella fase centrale della sua opera la tecnica si faluminosa e diafana, la pennellata fluida e vaporosa, ilcolore piú chiaro a ottenere perfezioni di estrema sotti-gliezza.

Importantissime per la sua evoluzione furono le operedella chiesa di Santa Maria la Blanca (Sogno del patrizioromano e Visita del patrizio a papa Liborio, Museo delPrado, Immacolata, Museo del Louvre, La fede nell’eu-caristia, Lord Farington, tutti del 1665), opere che pre-sentano una meravigliosa intimità e una tecnica fluidaed evanescente, e i retablo del convento dei capuccini(tra il 1665 e il 1669), conservati quasi tutti nel Museodi Siviglia, che raffigurano immagini di santi dal nobi-lissimo atteggiamento e con un’emozione tenera e moltoumana. La tela centrale di uno di questi retablo, smem-brato (la Porziuncola), è conservata al Wallraft-RichartzMuseum di Colonia. Nelle opere dell’ospedale dellaCarità (1670-74) raggiunge forse l’apice come pittorereligioso, padrone di tutti i suoi mezzi, ma soprattuttoattento all’aspetto vivace e aneddotico offerto dall’ar-gomento, che sa trasmettere con grazia ed esattezza pro-digiosi. La decorazione dell’ospedale, di perfetta coe-renza concettuale, presentava, per mano di Murillo, leopere di misericordia tramite episodi biblici o evangeli-ci (Mosé fa scaturire l’acqua dalla roccia per dare da bereagli assetati, la Moltiplicazione dei pani e dei pesci perdare da mangiare agli affamati, entrambi in situ, il Ritor-

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no del figliol prodigo per vestire gli ignudi, Abramo e gliangeli per dare ristoro ai pellegrini, la Cura del paraliti-co per curare gli infermi, la Liberazione di Pietro per redi-mere i peccatori, dispersi in vari musei), il tutto postoattorno al retablo scultoreo della Deposizione di Cristoche esprime la funzione principale della fraternità: sep-pellire i morti.

Murillo è un superlativo interprete della sensibilitàreligiosa dell’epoca, le sue Immacolate Concezioni, chehanno mantenuto la loro efficacia devota fino ai nostrigiorni, rispondono a varie rappresentazioni devoziona-li con una straordinaria varietà di modelli e un’alta mae-stria tecnica. Quasi tutte sono permeate dal dinamismoe trionfalismo introdotti da Ribera, anche se a volteMurillo riesce a esprimere un certo raccoglimento e gra-zia infantili (Immacolata, detta di Aranjuez, Prado).Forse sono la conoscenza del mondo infantile e il com-piacimento (per cui a volte è stato accusato di tenerez-za) nelle sue grazie e giochi, che meglio definiscono lasua sensibilità. Oltre all’infinito repertorio di cherubi-ni che riempiono le sue grandi composizioni, si soffer-ma in scene infantili di Gesú o san Giovanni, ci presentala Madonna bambina e racconta episodi dell’infanzia deisanti come san Tommaso di Villanueva. Murillo è ancheeccezionale per l’attenzione che rivolge ai generi profa-ni; sono noti il suo amore per i paesaggi, che costitui-scono gli sfondi di molte sue composizioni, luminosi ealquanto artificiosi nella disposizione dei personaggi,ma dai colori molto belli e la sua maestria nel ritratto,dove l’eleganza vandickiana acquisisce un tono di malin-conica gravità tipicamente spagnola (Don Justino deNeve, Londra, National Gallery; Nicolás Omazur,Prado). La parte veramente eccezionale della sua pro-duzione artistica è rappresentata dai quadri che raffi-gurano monelli, scene di strada piene di grazia e scal-trezza, di vivacità e tenerezza (tele alla Pinacoteca di

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Monaco di Baviera e al Dulwich College di Londra)nelle quali, sebbene tratti spesso di mendicanti, sfuggel’espressione di dolore e miseria per presentare, soprat-tutto in quelli dipinti in data posteriore, il lato piacevoledella triste realtà dell’epoca. In queste tele, dipinte sicu-ramente per la clientela borghese di commercianti olan-desi e fiamminghi (con i quali si sa che ebbe rapportiamichevoli), cosí eccezionali nel panorama artistico spa-gnolo, bisogna vedere ciò che di piú avanzato, di piúmoderno presenta la sua arte, una vera anticipazione delXVIII secolo. Non per niente queste furono le prime sueopere a uscire dalla Spagna dove oggi non se ne conser-va neppure una.

Juan Valdés Leal (1622-90), di padre portoghese emadre sivigliana, è assolutamente diverso dal suo stret-to contemporaneo e concorrente. Uomo di pessimocarattere, vanitoso e violento, la sua personalità e la suaarte incarnano una tipologia completamente diversadalla semplicità, delicatezza ed equilibrio di Murillo.Nato a Siviglia, si trasferí bambino a Cordoba dove stu-diò con Antonio del Castillo, ma ben presto si interes-sò al nuovo stile dinamico e colorista che, nelle suemani, raggiungerà estremi di violenza quasi inusitati. Ilsuo Sant’Andrea della chiesa di San Francesco a Cordo-ba (1649) ricorda ancora Castillo e riporta accenni tene-bristi, ma i quadri dipinti per il convento di Santa Chia-ra di Carmona (una parte al Museo di Siviglia) e soprat-tutto il retablo del Carmen di Cordoba (1655-58), dipin-to dopo aver conosciuto le novità dello stile di Herrerail Giovane, mostrano uno stile maturo con tutte le virtúe i difetti che gli sono propri. Appassionato e incostan-te, disdegna la bellezza e si interessa esclusivamenteall’espressione. I suoi angeli sono spesso incredibilmen-te brutti e sembra negato alla delicatezza e alla grazia,ma la drammaticità e la contrazione sono i suoi risulta-ti migliori. La sua fretta e disattenzione sono tremende

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e ciò fa sí che, sentendosi un meraviglioso colorista,disprezzi il disegno e commetta spesso errori che sol-tanto la bellezza del colore e lo sfarzo della materia pit-torica riescono a perdonare. È sempre alla ricerca di sog-getti violenti, con molto movimento, che risolve convortici di colore, non con l’uso di prospettive e scorci.Per quanto riguarda questo aspetto, esprimono piena-mente il meglio della sua arte le tele delle carmelitanedi Cordoba, già citate, e la serie dei gerolimiti di Bue-navista (1657-60), parte al Museo di Siviglia e partedispersa. Le grandi tele compositive di questa serie (Letentazioni di san Gerolamo e soprattutto San Gerolamoflagellato dagli angeli) rappresentano forse quanto di piúlibero e lirico ci sia nella sua produzione, e le figure deivenerabili dell’ordine offrono il colore piú equilibrato,sereno e bello della sua intera opera. I quadri piú cono-sciuti e famosi di Valdés Leal sono senza dubbio le teledelle Postrimerías dell’ospedale della Carità di Siviglia,che lo hanno reso il piú significativo equivalente plasti-co della letteratura ascetica del disinganno. Amico delfamoso don Juan de Mañara, autore del Discurso de laVerdad, terribile trattato ascetico dove la morte vienedescritta con una realtà spaventevole, che Valdés Lealillustra con quadri di implacabile crudeltà, dove il maca-bro acquisisce un’evidenza quasi fisica. Anche come pit-tore di nature morte ha lasciato superbi esemplari delgenere vanitas composti con toni di accumulo e ricchez-za tipici dell’epoca e dipinti con quella stessa violenza eleggerezza di pennellata adottate nelle sue composizio-ni di grandi dimensioni. È curioso segnalare che ValdésLeal è uno dei rari artisti spagnoli che si dedicaronoall’incisione ad acquaforte, eseguita con uno stile ner-voso e scorretto, ma espressivo come nelle tele.

Lo stile di Valdés Leal, con la sua forte carica espres-siva e il vibrante trattamento di colore e pennellata,costituisce forse l’apice della veta brava dell’arte spa-

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gnola, quell’immagine, non sempre accettabile, dell’ar-te spagnola come unicamente drammatica, intensa, per-fino violenta che coesiste a volte con quella del realismooggettivo e del misticismo convenzionale.

I restanti pittori sivigliani della seconda metà delsecolo si muovono attorno a questi due grandi maestried è inutile dire che lo stile di Murillo era di piú facilee gradevole imitazione, quindi i suoi discepoli e segua-ci formarono una legione, fino all’estremo che la scuoladi Siviglia di fine secolo si potrebbe denominare «scuo-la di Murillo», anche quando in alcuni artisti si intra-vede una certa inclinazione al drammatismo di ValdésLeal e alla sua propensione a prospettive ricche e a lumi-nosi effetti di contrasto. Vale la pena sottolineare, per-ché rivela l’interesse per l’insegnamento di entrambi imaestri, che nel 1660 a Siviglia si stabilisce un’accade-mia per la formazione degli artisti, i cui primi presidentifurono Murillo e Herrera il Giovane, al quale si deveprobabilmente l’idea, presa da precedenti italiani. Quan-do Herrera si trasferí definitivamente a Madrid, ValdésLeal si proclamò presidente e il discreto Murillo si ritiròe si dedicò a lezioni private che impartiva a casa «pernon scontrarsi con la superbia del suo carattere (diValdés Leal)». È evidente (possediamo i registri acca-demici) la vasta influenza esercitata dagli insegnamentidi entrambi a Siviglia e lo sviluppo che l’accademia rag-giunse, chiedendo inoltre, senza ottenerlo, un ricono-scimento ufficiale dalla corte.

Pedro Núñez de Villavicencio (1644-1700), amico edesecutore testamentario di Murillo, eseguí alcune scenecon monelli dal carattere realista nel genere del suo mae-stro. Era un uomo con aspirazioni nobiliari, viaggiato-re e diplomatico, venne in Italia e fu cavaliere di Malta;a La Valletta conobbe Mattia Preti che ebbe su di luiuna considerevole influenza e dal quale copiò alcunecomposizioni. Il fiammingo Cornelio Schut (morto nel

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1686) assimilò lo stile di Murillo a tal punto che i suoidisegni venivano confusi con quelli dell’artista spagno-lo, sebbene come pittore fosse molto piú modesto. Altriseguaci e discepoli del maestro (Meneses, Osorio, Este-ban Marquéz, Juan Simón Gutierrez, Sebastián Gómez)ripeterono i suoi modelli e schemi con risultati migliorie peggiori e alcuni (Alonso Miguel de Tovar, BernardoGermán Llorente, Clemente de Torres) li prolungarono,come vedremo, fino al ’700 inoltrato.

Piú personali, perché fondevano elementi dei duesommi maestri e riuscirono a configurare una manierapersonale di interpretazione del paesaggio e delle pro-spettive architettoniche, sono Francisco Antolínez ySarabia (1644-1700) e Matías de Arteaga y Alfaro (mor-to nel 1704), entrambi maestri in tele a carattere evan-gelico di formato oblungo, che spesso costituiscono delleserie, il primo con bei paesaggi di fondo e il secondo conscenari architettonici in prospettiva; entrambi inseri-scono figurine abbozzate e nervose che si rifanno piú aValdés Leal che a Murillo.

Il basco Ignacio de Iriarte (1620-85) si specializza nelpaesaggio, con il quale a volte è in rivalità con lo stes-so Murillo. Negli ultimi anni del secolo va segnalataanche la presenza di un interessante gruppo di pittoridi nature morte a trompe l’œil, genere di origine olan-dese, chiamato in Spagna trampantojo, nel quale sidistinguono Marcos Cabrera e José Carpio e che, già nelXVIII secolo, adottò anche Germán Llorente, pittoremurillesco.

Nel resto della Spagna

Al di fuori di Madrid e Siviglia è impossibile trova-re, nell’ultimo terzo del secolo, artisti con personalità equalità simili a quelli riscontrabili nelle due città, ma in

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qualche modo e con un notevole calo di qualità, la tra-sformazione dello stile si fa sentire ovunque.

In Andalusia, fuori da Siviglia, il centro artistico conmaggiore personalità è Granada. L’impronta e la lezio-ne di Cano furono determinanti per l’attività locale, chegiunse a costituire una «scuola» dotata di una certa per-sonalità, sempre sulla scia di Cano, con il suo amore perla delicatezza e la grazia e il garbato senso del colore.

Bisogna innanzitutto ricordare Pedro de Moya(morto nel 1674) che passa per essere stato colui che haintrodotto lo stile «moderno» a Granada, dopo averviaggiato nelle Fiandre. In realtà, le sue poche operecerte conservate derivano da modelli di Cano (SantaMaddalena de’ Pazzi, Museo di Granada). Pedro Atana-sio Bocanegra (1638-89) e Juan de Sevilla (1643-95)sono personalità di rilievo. Entrambi conoscono bene lestampe fiamminghe che forniscono loro gli schemi com-positivi e seguono i modelli umani di Cano, dalla bel-lezza idealizzata. Juan de Sevilla, il migliore, sembraconoscere bene Murillo e anche gli artisti madrileni,che assimila con evidente personalità.

Tra i molti mediocri seguaci di Cano, meritano diessere segnalati José Risueño (1665-1731), anch’egliscultore come il suo principale modello, che prolunga lostile fino al XVIII secolo molto inoltrato, approfittan-do delle composizioni vandickiane conosciute indub-biamente grazie alle stampe e interpretate con una certagrazia minuziosa e delicata.

A Malaga, il diretto rubensianismo di Manrique siprolunga nell’opera di Juan Niño de Guevara (1632-93)che conobbe e studiò anche Cano, di cui fu allievo.

A Valencia, che si è mantenuta fedele al tenebrismo,si avverte già una certa aria di trasformazione dopo ilpassaggio del madrileno Jiménez Donoso che, nel1650-60, dipinse nel convento della Merced le meravi-gliose tele con storie dell’ordine, oggi conservate nel

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Museo della città, il cui senso scenografico e il coloreallegro formarono un violento contrasto con le compo-sizioni di tono naturalista che Jacinto Jerónimo de Espi-nosa dipingeva in quegli anni per lo stesso convento.

Anni dopo, il passaggio di Palomino, discepolo diClaudio Coello e Luca Giordano, trasformerà ancor dipiú il panorama, ormai familiare con il movimentobarocco, già noto a corte da trenta o quarant’anni.

È interessante la personalità di Vicente SalvadorGómez (1637 ca. - 1680), molto legato alla tradizionenaturalista di Espinosa, ma che in alcune opere (Libera-zione di san Pietro, Città del Messico, Museo de San Car-los, collezione Mayer; Scacciata dei mercanti dal tempio,Museo del Prado) introduce una certa mobilità e undinamismo luminoso e un gusto per le architetture difuga che rompono con lo stretto tenebrismo delle sueprime opere e fanno pensare a un suo viaggio fuori città.Salvador Gómez è anche un prolifico e personale dise-gnatore che preparò un «libro di testo» per insegnaredisegno, opera conservata incompleta. Vicente Giner,valenciano che visse a Roma nel 1680, è notevole per lesue tele con prospettive architettoniche dallo stile moltoitaliano, simile a quello che Viviano Codazzi eseguivanella prima metà del secolo.

Juan Conchillos (1641-1711), discepolo di EstebanMarch e amico di Palomino, che tra il 1697 e il 1702lascia a Siviglia alcuni dei suoi capolavori, incarna ilnuovo stile con una certa asprezza. È importante la suaopera di disegnatore, uno dei piú prolifici dell’intera artespagnola.

Senén Vila (1640-1707), nato a Valencia dove studiò,rappresenta a Murcia il nuovo stile, sebbene sia pienodi arcaicismi e si rifaccia troppo spesso alla falsarigadelle stampe di Rubens, come fanno in genere quasitutti i pittori provinciali di quegli anni.

In Aragona e Navarra, stilisticamente molto legate

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alla Castiglia, la figura piú significativa è Vicente Ver-dusán (morto nel 1697), la cui formazione si rifà com-pletamente alla scuola madrilena. Fu molto attivo aHuesca, Saragozza, Tudela, Pamplona e Corella conuno stile sbagliato, ma con una certa eleganza ricercatae una notevole freschezza nel colore, analoga a quella diartisti minori madrileni come Francisco de Solís.

Pablo Raviella (morto nel 1739) è una specie diValdés Leal aragonese, dalla pennellata straordinaria-mente veemente, nel cui stile estremo, continuato dalfiglio omonimo fino al XVIII secolo ben inoltrato, si èvoluto vedere un predecessore di Goya.

In Catalogna, sempre con un livello qualitativo chenon supera il discreto, si evidenziano i Juncosa, famigliadi Tarragona di cui due membri, Joaquín (1631-1708) eJosé (documentato tra il 1669 e il 1694) prendono i votie dipingono con uno stile dinamico e drammatico. Joa-quín fu a Roma dove è probabile che venne a conoscenzadello stile di Maratta, ma vi sono ben poche opere chegli possono essere attribuite con certezza.

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