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Leonardo da Vinci (1492-1519), il più vecchio dei grandi maestri, nacque in un v i l l a g g i o t o s c a n o . A n d ò apprendista in una delle principali botteghe fiorentine, quella del pittore e scultore Andrea del Verrocchio. La fama del Verrocchio era vastissima, tanto che la città di Venezia gli ordinò il monumento in bronzo a Bartolomeo Colleoni, un condottiero a cui i veneti erano particolarmente legati. Inoltre la bottega produsse il palladio dorato che orna la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze e innumerevoli capolavori per chiese, privati e istituzioni comunali in tutta l'Italia centro-settentrionale. In questo laboratorio di arti figurative e plastiche, il giovane Leonardo aveva molto da imparare. Dalla fonderia ad altre lavorazioni del metallo, dalla scultura allo studio di piante e animali insoliti da inserire nei quadri. Si fosse trattato solo di un ragazzo intelligente, questo tirocinio sarebbe bastato a farne un artista di talento ed eccellente, come molti che uscirono dalla bottega del Verrocchio: Luca Signorelli, Alessandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio. Ma Leonardo era più di un ragazzo intelligente. Arte e territorio Anno scolastico 2012.2013 Dario D’Antoni Lionardo Pagina 1 Lionardo

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! L e o n a r d o d a V i n c i (1492-1519), il più vecchio dei grandi maestri, nacque in un v i l l a g g i o t o s c a n o . A n d ò apprendista in una delle principali botteghe fiorentine, quella del pittore e scultore Andrea del Verrocchio. La fama del Verrocchio era vastissima, tanto che la città diVenezia gli ordinò il monumento in bronzo a Bartolomeo Colleoni, un condottiero a cui i veneti erano particolarmente legati. Inoltre la bottega produsse il palladio dorato che orna la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze e innumerevoli

capolavori per chiese, privati e istituzioni comunali in tutta l'Italia centro-settentrionale.In questo laboratorio di arti figurative e plastiche, il giovane Leonardo aveva molto da imparare. Dalla fonderia ad altre lavorazioni del metallo, dalla scultura allo studio di piante e animali insoliti da inserire nei quadri. Si fosse trattato solo di un ragazzo intelligente, questo tirocinio sarebbe bastato a farne un artista di talento ed eccellente, come molti che uscirono dalla bottega del Verrocchio: Luca Signorelli, Alessandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio. Ma Leonardo era più di un ragazzo intelligente.

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Era un genio, la cui mente possente resterà per sempre oggetto di stupore e di ammirazione per i comuni mortali. Conosciamo la vastità e la fecondità della sua mente perché allievi e ammiratori ci conservarono i suoi schizzi e i suoi taccuini, migliaia di pagine ricoperte di scritti e disegni, con estratti di libri letti e progetti per libri da scrivere. Più si leggono queste carte, meno si comprende come una creatura umana abbia potuto eccellere in tanti e così diversi campi di ricerca recando ovunque importanti contributi.Forse una delle ragioni va cercata nel fatto che egli fu

p r i n c i p a l m e n t e u n artista e non un dotto di professione.E g l i r i t e n e v a c h e compito del l 'art i s ta fosse l'esplorazione del mondo visibile condotta in modo completo, intenso e accurato. Come Shakespeare, probabilmente conosceva "poco latino e ancor meno greco": in un'epoca in cui la cultura si basava sull'autorità degli ammirati maestri antichi, Leonardo, il pittore, non accettava mai ciò che leggeva senza prima controllarlo con i propri occhi. Tutte le volte che si trovava davanti un problema, egli non ricorreva alle autorità ma cercava di risolverò con qualche suo esperimento. Nulla c'era nella natura che non destasse la sua curiosità e non sollecitasse il suo ingegno. Esplorò i segreti del corpo umano sezionando più di trenta cadaveri. Fu uno dei primi ad avventurarsi nel mistero della crescita del feto nel grembo materno; investigò le leggi delle onde e

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delle correnti; passò anni osservando e analizzando il volo degli insetti e degli uccelli, per cercare di creare una macchina volante che, era certo, un giorno sarebbe diventata realtà. Le forme delle rocce e delle nubi, l'effetto dell'atmosfera sul colore degli oggetti distanti, le leggi della crescita degli alberi e delle piante, l'armonia dei suoni, tutti questi argomenti formarono l'oggetto di una incessante ricerca che per lui doveva

essere la base stessa dell'arte.I contemporanei lo giudicarono un essere bizzarro e piuttosto misterioso. Principi e generali lo vollero come straordinario mago capace di produrre opere di ingegneria militare, per costruire fortificazioni e canali, nuove armi e ponti retrattili e smontabili. Leonardo li intratteneva con i suoi giocattoli meccanici e ideava scenografie per spettacoli e feste. Era ammirato come grande artista e ricercato come musicista abilissimo ma, nonostante tutto ciò, egli non pubblicò mai i suoi scritti e la loro esistenza era quasi da tutti ignorata. Era mancino e si era abituato a scrivere da destra a sinistra, cosicché i suoi appunti si possono leggere solo con l’aiuto di uno specchio. Forse non desiderava divulgare le sue scoperte o temeva di essere considerato eretico. Così nei suoi scritti troviamo queste cinque parole: ”il sole non si muove”, nelle quali evidentemente egli anticipava tutte le teorie di Copernico e di Galilei. Ma forse è probabile che Leonardo non avesse ambizioni scientifiche: l’esplorazione della natura era per lui un mezzo per acquistare quella conoscenza del mondo visibile di cui aveva bisogno per la sua arte. Pensava che, posta su un piano scientifico, la sua adorata arte del dipingere potesse trasformarsi da umile artigianato in

occupazione onorata e rispettata.

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Frutta, ortaggi e altri studi 1487-89Penna e inchiostro su carta, 235 x 176 mmInstitut de France, Paris

Se ricordiamo il Sogno di una notte di mezza estate1 di Shakespeare e le parti che egli affida a Snug lo stipettaio, Bottom il tessitore e Snout il calderaio possiamo comprendere lo sfondo sul quale si svolge questa lotta: quello degli artigiani rappresenta il mondo dell’arte che avvicina e mette in comunicazione la razionalità e la fantasia e si fa portatore di un legame indissolubile tra la vita reale e quella ideale.

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1 Databile   agli   anni   1593-­‐‑95,   il   Sogno   si   presenta   come   commedia   probabilmente   composta   in   occasione  della   celebrazione   solenne   di   nozze   tra   i   membri  dell’aristocrazia  inglese.  Al  di  là  della  funzione  più  o  meno  pratica,  questo  curioso  copione  racchiude  in  sé,  come  sempre  accade  in  Shakespeare,  eterogenei  spunti  di  tipo  tematico,  stilistico  e  paradigmatico. Mito,  fiaba,  e  quotidianità  si  intersecano  continuamente  senza  soluzione  di  continuità  e  questo  porta  a  riconoscere,  all’interno  dell’opera,  suggestioni  che  vanno  da  fonti  classiche  (Metamorfosi  ovidiane  ed  apuleiane)   al  patrimonio  folkloristico  tipico  dell’Inghilterra  (fate  e  folleLi   burloni)  sempre  originalmente  e  genialmente  contaminati  e  ricreati  dalla  fervida  fantasia  del  drammaturgo. Poeta  è  chi  sa  aLingere  ai  sogni  e  diffondere  sogni,  questa  pare  essere  l’idea  base  che  soLende  a  tale  copione  -­‐‑  illusione,  sogno  e  follia  rappresentano,  del  resto,  il  terreno  su  cui  si  innesta  l’idea  stessa  di  creazione,  magistrale  esempio  di  dramma  nel  dramma.  FaLo  insolito  (e  straordinariamente  moderno)  è  che  delle  varie  situazioni  presentate  in  quest’opera,  quella  più  realistica  e  credibile  (  ed  in  effeLi  più  “comica”)  sia  quella  legata  alla  compagnia  degli  aLori  -­‐‑  per  antonomasia  figli  di  un  mondo  di  finzioni. Il  Sogno  di  una  no*e  di  mezza  estate  racconta  delle  imminenti  nozze  tra  Teseo,  duca  d’Atene,  e  Ippolita,  regina  delle  Amazzoni,  da  lui  sconfiLa  e  suo  boLino  di  guerra.  Un  gruppo  di  artigiani-­‐‑aLori  prepara  una  recita  per  l’occasione,  mentre  Titania  e  Oberon,  rispeLivamente  regina  e  re  delle  fate,  sono  in  lite  fra  loro  e  assistono  nel  bosco,  tra  un  dispeLo  e  l’altro,  all’incontro  tra  amanti  incompresi,  amanti  in  fuga,  amanti  non  corrisposti...Un  fiLo  bosco  di  equivoci  e  malintesi,  un  re  e  una  regina  litigiosi,  folleLi  dispeLosi  e  creature  magiche  sono  gli  ingredienti  ideali  per  una  commedia  divertente  ma  anche  ricca  di  poesia  e  delicatezza,  apparentemente  elegante  e  cortese,  impregnata  di   spunti   noir   e  talvolta  inquietanti.   Il  noLurno,  le  visioni,   il  sovrapporsi   di   atmosfere  che  precedono  il   sonno  e  la  veglia,   l’inquietudine,   sono  caraLeristiche  che  aLraversano  l’opera  e  lo  speLacolo  e  che  permeLono  di   fare  un  vero  salto  nel   fantastico  da  un  lato,  un’incursione  nelle  ambigue  immagini   della  mente  umana  dall’altro.  Il  Sogno  di  una  no*e  di  mezza  estate  è  un  vero  e  proprio  teorema  sull’amore  ma  anche  sul  nonsense  della  vita  degli  uomini  che  si  rincorrono  e  che  si  affannano  per  amarsi,  che  si  innamorano  e  si  desiderano  senza  spiegazioni,  che  si  incontrano  per  una  serie  di  casualità  di  cui  non  sono  padroni. Gli  uomini  si  affannano  in  un  folle  girotondo  e  nel  fraLempo  le  fate  si  burlano  di  loro  per  soddisfare  i  propri  capricci:  il  dissidio  tra  Oberon  e  Titania,  infaLi,  sconvolge  la  natura  e  le  stagioni  mentre  un  magico  fiore  rompe  le  dinamiche  degli  innamorati  che  si  scambiano  ruoli  e  amanti. In   questo  turbine  di   parallelismi  e  proiezioni   si   sviluppano  le  vicende  del  Sogno  imbastito  su   tre  piani,  tre  regni  differenti  ognuno  dei  quali   è  regolato  da  linguaggi  e  dinamiche  specifiche.Il  mondo  delle  fate  è  un  mondo  parallelo,  mentre  Oberon  e  Titania  sono  proiezioni  Oberononiriche  del  duca  d’Atene  e  della  di  lui  futura  sposa.  Gli  eterei  sovrani  però,  sono  più  vivi  degli  uomini.  La  legge  che  li  governa  è  la  natura  intesa  come  passione,  sensualità  e  debolezza.Non  sono  astraLi  ed  inconsistenti  ma  masticano  piuLosto  passioni  e  pensieri  senza  dubbio  umani.Al  contrario  la  razionalità  e  la  legge  dominano  il  mondo  degli  uomini.  Quello  degli  artigiani  rappresenta  invece  il  mondo  dell’arte  che  avvicina  e  meLe  in  comunicazione  gli  altri  due  e  si  fa  portatore  di  un  legame  indissolubile  tra  la  vita  reale  e  quella  ideale.  

Aristotele nel mondo greco aveva distinto tra arti cosiddette «liberali» (la grammatica, la geometria, la musica) e arti denominate «meccaniche» o manuali (la scultura, l’artigianato, la pittura) e quindi servili, inadatte a un gentiluomo. Invece Leonardo voleva dimostrare che la pittura è un’arte liberale, e che il lavoro manuale che richiede non è maggiore della fatica di scrivere una poesia. «La poesia è pittura cieca, la pittura è poesia muta» scrisse, a testimoniare quando profondamente credeva nella facoltà che avevano le immagini dipinte di evocare mondi reali. Sappiamo che spesso Leonardo non portò a termine le opere affidategli. Cominciava un quadro per poi lasciarlo incompleto, nonostante le sollecitazioni del cliente. Inoltre rifiutava di consegnarlo se non ne fosse personalmente e completamente soddisfatto. Non sorprende quindi che poche delle opere di Leonardo siano state portate a termine, mentre molto del suo tempo è stato impiegato in continui spostamenti da Firenze a Milano e da Milano a Firenze, poi al servizio dell’avventuriero Cesare Borgia, ancora

a Roma e infine alla corte di re Francesco I di Francia, dove, più ammirato che compreso, morì nel 1519. Per singolare sfortuna i pochi lavori che Leonardo completò nella maturità ci sono arrivati in cattivo stato. Così, quando guardiamo ciò che rimane del famoso affresco dell’Ultima Cena dobbiamo sforzarci di immaginare come doveva apparire ai frati per i quali fu dipinto.

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Ultima Cena 1495-98Affresco, 460 x 856 cmSanta Maria delle Grazie, Milano

L’opera copre la parete di una sala rettangolare che serviva da mensa ai frati del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Cerchiamo di immaginare l’impressione che fece il capolavoro allorché fu scoperto, quando, accanto alle lunghe tavole dei frati, apparve la tavola sulla quale cenavano Cristo e gli apostoli, ritratti a grandezza naturale. Mai prima di allora il sacro episodio era apparso così vicino e così verosimile. Era come se un’altra sala fosse stata aggiunta alle loro e che, in essa, l’Ultima Cena avesse assunto forma tangibile. Come cadeva chiara la luce sulla mensa e come conferiva volume e solidità alle figure! Certamente i frati furono coliti dalla fedeltà con cui tutti i particolari erano stati ritratti al naturale, i piatti sulla tovaglia e le pieghe dei panneggi . A l lo ra, come adesso, le opere

d’arte venivano giudicate dai profani secondo la loro somiglianza con il vero.Ma, dopo la prima stupefacente impressione, ci si rese conto che nulla in questo lavoro somigliava alle vecchie iconografie tradizionali dove gli apostoli erano rappresentati tutti in fila, seduti compostamente a tavola (solo Giuda un pò discosto), mentre Cristo somministrava il Sacramento.Il nuovo dipinto era molto diverso, vibrante di drammaticità e di animazione. Leonardo era risalito al testo evangelico e aveva tentato di raffigurarsi la scena nel momento in cui Cristo pronuncia le parole :”In verità vi dico che uno di voi mi tradirà”, e gli apostoli afflitti domandavano “Son forse io, Signore?” (Matteo 26, 21-22).

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È tutto questo gioco di domande e di cenni che anima l’episodio. Gesù ha appena pronunciato le tragiche parole e tutti quelli che gli sono accanto si ritraggono inorriditi dalla rivelazione.Alcuni sembrano protestare il loro amore e la loro innocenza, altri discutono gravemente a chi Cristo abbia voluto alludere, altri sembrano guardarlo per avere spiegazione di ciò che ha detto. Ma nonostante l’atmosfera concitata creata dalle parole di Gesù, nel dipinto non c’è nulla di caotico. I dodici apostoli sono suddivisi in quattro gruppi di tre, legati tra loro da gesti e movimenti. C’è grande ordine nella varietà delle azioni e tanta varietà nell’ordine che non si riesce ad esaurire il gioco armonioso degli

opposti movimenti. Resta la potente impressione di trovarsi di fronte a un pezzo di realtà concreto, e lo stupore di fronte alla fantasia che permette a Leonardo di evocare la scena davanti ai nostri occhi.

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San Pietro, più impetuoso, si precipita su san Giovanni, alla destra di Cristo, e mentre gli sussurra qualcosa all’orecchio, spinge in avanti Giuda. Giuda, pur non essendo separato dagli altri, sembra quasi isolato: è l’unico che non gesticola e non fa domande. Si china in avanti e guarda con sospetto e rabbia ciò che accade. Questa !gura forma un evidente contrasto con la calma rassegnata di Gesù.

Narra un testimone di aver spesso visto Leonardo al lavoro intorno all’Ultima Cena. Saliva sull’impalcatura restando giornate intere a contemplare con le braccia conserte quanto aveva fatto fatto fino ad allora. È proprio il risultato di queste giornate di riflessione e di ripensamento che egli ci ha lasciato. Per questo, sia pure danneggiato, il Cenacolo rimane uno dei miracoli del genio umano. C’è un’altra opera di Leonardo forse ancora più famosa della Cena. È il ritratto di una dama fiorentina di nome Lisa Gherardini, Monna Lisa («La Gioconda»). Una fama come la sua non è sempre una fortuna per un’opera d’arte. Siamo talmente abituati a vederla sulle pagine dei giornali e suoi cartelloni pubblicitari che ci riesce difficile guardarla con u n ’ o c c h i o n u o v o , l i b e r o d a o g n i p r e g i u d i z i o o condizionamento. Ma val la pena di dimenticare ciò che sappiamo o che crediamo di sapere intorno al quadro per guardarlo come se fossimo i primi a scoprirlo. Ciò che colpisce è in primo luogo l’intensa vitalità con cui Lisa ci appare: essa sembra veramente guardarci e pensare. Come un essere vivente, sembra mutare sotto i nostri occhi e risultare un pò diversa ogni volta che torniamo a guardarla. A volte Lisa sembra beffarsi di noi, ma ecco che di nuovo ci sembra di cogliere un’ombra di tristezza nel suo sorriso. Ma Leonardo sapeva benissimo come aveva ottenuto questo effetto e con quali mezzi. Da grande osservatore della natura conosceva bene i meccanismi dell’occhio umano.

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Mona Lisa (La Gioconda) c. 1503-5Oil on panel, 77 x 53 cmMusée du Louvre, Paris

È difficilissimo, per un pittore, combinare insieme esattezza di disegno e armonia di composizione. Nessuno poteva essere più paziente nell’imitazione della natura di Van Eyck, nessuno poteva essere più esperto nella resa delle atmosfere di Antonello. Eppure, nonostante l’impressione di grandiosità delle loro rappresentazioni naturalistiche, le figure somigliano piuttosto a statue che a esseri vivi. Più dettagliatamente si ritrae una figura, linea per linea e particolare per particolare, tanto meno sembra che essa possa muoversi o respirare. Ma solo Leonardo trovò la soluzione esatta del problema: il pittore deve lasciare allo spettatore qualcosa da indovinare. Se i contorni

non sono delineati rigidamente, se si lascia un poco vaga la f o r m a c o m e s e s v a n i s s e nell’ombra, ogni impressione di rigidità sarà evitata. Questa è la famosa invenzione leonardesca detta «lo sfumato»: il contorno evanescente e i colori pastosi fanno confluire una forma nell’altra lasciando sempre un margine alla nostra immaginazione. Adesso proviamo nuovamente a guardare Monna Lisa. Leonardo si è valso larghissimamente dello sfumato: chiunque abbia provato a disegnare un volto sa che l’espressione si cela soprattutto tra gli angoli della bocca e gli angoli degli occhi. Ora, sono precisamente queste parti che Leonardo ha lasciato volutamente indefinite, immergendole in una morbida penombra. Ecco perché non siamo mai sicuri della direzione dello sguardo di Lisa e la sua espressione pare sempre sfuggirci.

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Si osservi com’è modellata la mano o come siano rese le maniche con le loro minutissime e innumerevoli pieghe. Leonardo poteva essere meticoloso come Van Eyck, Masaccio o Antonello nella riproduzione degli elementi visibili, ma non ne era più schiavo incondizionato. Il grande scienziato Leonardo conosceva l’incantesimo grazie al quale poteva infondere vita nei colori distesi dal suo magico pennello.

Tutte le considerazioni sono rielaborate e sintetizzate da Dario D’Antoni.

Le citazioni sono liberamente tratte dai testi

Ernst H. Gombrich Il mondo dell’arte (Verona 1952)

Honour-Fleming Storia universale dell’arte (Bari 1982)

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Ma naturalmente non è soltanto l’indistinto e il “non !nito” che produce un simile effetto. C’è ben altro. Se osserviamo attentamente il quadro, vediamo che le due metà non sono simmetriche. Ciò risulta evidente nel fantasioso paesaggio dello sfondo. L’orizzonte a sinistra è assai più basso che a destra, per cui, quando guardiamo a sinistra, la donna sembra più alta ed eretta che non quando osserviamo il lato destro. Anche nel volto i due lati non si accordano. Trucchi cerebrali, quindi, ma non giochi di prestigio. Leonardo ha ben chiaro il senso del limite, e rende i dettagli in modo quasi miracoloso.