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Arrigo Pallotti Mario Zamponi Le parole dello sviluppo Metodi e politiche della cooperazione internazionale I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele n, 12.9 00186 Roma telefono 06 41 81 84 17 fax 06 41 74 79 31 Visitateci sul nostro sito Internet: http://www.carocci.it Carocci editore

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Arrigo Pallotti Mario Zamponi

Le parole dello sviluppoMetodi e politiche della cooperazione internazionale

I lettori che desideranoinformazioni sui volumi

pubblicati dalla casa editricepossono rivolgersi direttamente a:

Carocci editore

Corso Vittorio Emanuele n, 12.900186 Roma

telefono 06 41 81 84 17fax 06 41 74 79 31

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Sviluppo

Premessa

Negli ultimi due decenni i processi di globalizzazione e di regionaliz-zazione (cfr. GAP. 14) hanno posto nuove sfide alle teorie e alle politi-che di sviluppo. In particolare, il ruolo dello Stato come agente di svi-luppo è stato messo in discussione dalle IFI e dalle forze di mercato. Altempo stesso, anche l'idea di una modernità occidentale è stata messain discussione a favore di una rivalutazione delle culture locali e delladiversità culturale. Infatti, nell'era della globalizzazione, le precedenticoncezioni legate allo "sviluppismo" centrato sul ruolo dello Stato (siache fosse la modernizzazione, sia concezioni alternative quali la scuoladella dipendenza) sono entrate in crisi, mentre le politiche neoliberi-ste dell'aggiustamento strutturale si sono spesso accompagnate a unpeggioramento della situazione economica e politica in molti paesi delSud del mondo.

Anche per queste ragioni gli studi sullo sviluppo si sono ampliatie sono oggetto di riflessioni, spesso assai critiche, nelle università, neicentri di ricerca, nelle istituzioni internazionali, nelle ONG ecc. Indi-pendentemente dalle definizioni e dagli obiettivi, come vedremo, leanalisi sullo sviluppo si sono concentrate soprattutto sui PVS, anche seè presente un interesse di carattere più globale, soprattutto se si consi-derano questioni quali disuguaglianze e povertà che riguardano tutti icontesti del mondo.

Gli studi sullo sviluppo rappresentano un campo di indagine piut-tosto recente, iniziato dopo la Seconda guerra mondiale e rafforzatosiall'interno delle trasformazioni determinate dai processi di decoloniz-zazione nel mondo afroasiatico. "Sviluppo" è un termine molto generaleincorporato in un ampio dibattito, soprattutto in rapporto all'esigenza

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di trasformare le traiettorie politiche ed economiche dei paesi che usci-vano dal sistema coloniale, nonché dalle esigenze dell'ordine internazio-nale e della sicurezza (cfr. GAP. 13). Come vedremo, a partire dagli annicinquanta e nel corso degli anni sessanta, fu la teoria della modernizza-zione che ottenne il maggior consenso all'interno del dibattito politi-co, come elemento per procedere allo sviluppo economico, ma anchepolitico e sociale. Con gli insuccessi di quella fase, nel corso degli annisettanta si spostò l'attenzione su una strategia cosiddetta dei bisogni dibase (basic needs). Gli anni ottanta furono, invece, caratterizzati dall'ag-giustamento strutturale (il cosiddetto Washington Consensus), mentrea partire dagli anni novanta assistiamo all'affiancamento alle strategieneoliberiste, che proseguono il modello dell'aggiustamento strutturale,di condizionalità politiche legate al consolidamento della democrazia eè^ì.goodgovernarne (cfr. GAP. 8), da un lato, e alla riduzione della pover-tà (cfr. GAP. 2), dall'altro, gettando le basi per quello che sarebbe diven-tato ilpost-Washington Consensus. Questo è diventato particolarmenteevidente a seguito dell'avvio degli Obiettivi del millennio da parte delleNazioni Unite, dichiarati nel settembre del zoo o (si vedano, come utilitesti di riferimento sulle teorie dello sviluppo, Hettne, 1995; NederveenPieterse, 1001; Parfìtt, 2002; Kingsbury<#. al., 1004; Haynes, 1005; Potteret al., zoo8; Peet, Hartwick, 1009; McEwan, 2009).

Che cos'è lo sviluppo

Per cominciare, va osservato che il concetto di sviluppo, benché siaconsiderato da molti come una buzzword (ossia una parola di moda), ècontroverso e variabile nel tempo, è contestato, complesso e ambiguo,poiché dipende da chi lo utilizza e da come viene utilizzato (Rist, 2010,p. 19). Possiamo fare una prima distinzione fra posizioni dominanti(mainstream) e posizioni alternative. Le prime si riferiscono alla visio-ne classica basata su modernizzazione, su crescita economica e sulleprospettive di mercato; le seconde, invece, cercano di immaginare pro-getti alternativi che negli anni recenti, per esempio, si sono collegati aldiscorso della società civile, della governarne, del decentramento (cfr.CAPP. 7, 8, n), dello sviluppo sostenibile, del rispetto delle culture edelle conoscenze locali (Hettne, 2005).

In particolare, se negli anni cinquanta e sessanta l'idea che lo svi-luppo dovesse promuovere la liberazione e l'emancipazione dei popoli

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dominava, determinando effetti sulla letteratura in merito, in seguitosi sono rafforzate le prospettive legate alle idee delle agenzie dei dona-tori in cui, oggi, lo sviluppo è fortemente legato al raggiungimento deicitati Obiettivi del millennio e, in particolar modo, alla riduzione dellapovertà (Sumner, Tribe, zoo8, p. io).

Alcuni autori, che si possono in modo generale identificare come"post-modernisti" o "post-sviluppisti", sostengono che lo svilupponull'altro è se non una serie di idee che definiscono le relazioni di po-tere (Hickey, Mohan, 2005). Secondo lo studioso colombiano Escobarlo sviluppo è stato il meccanismo di controllo del Terzo Mondo, perorganizzare la produzione della verità su di esso: in sostanza, lo svi-luppo avrebbe colonizzato la realtà. In particolare, le strategie di svi-luppo hanno prodotto sottosviluppo, impoverimento, sfruttamentoe oppressione, questo perché «lo sviluppo è stato e continua a essereverticistico, eurocentrico, tecnocratico; tratta popoli e culture comeconcetti astratti» (Escobar, 1995, p. 44)-

Una questione comune al dibattito, comunque, è che lo svilup-po deve includere il cambiamento delle condizioni umane. SecondoChambers (2004) lo sviluppo dovrebbe includere un «buon cambia-mento»; come lo stesso autore segnala, però, è difficile definire comequesto cambiamento debba avvenire e che cosa costituisca un «buoncambiamento».

Tenendo conto di questo, e partendo dalla seguente definizionegenerale che «lo sviluppo è un processo diretto all'ottenimento di ri-sultati in grado di portare a migliori livelli di vita e a maggiori capaci-tà di self-reliance in economie che sono tecnicamente più complesse epiù dipendenti da processi di integrazione globale rispetto al passato»(Remenyi, 2004, p. 22), possiamo dire che ci sono tre concettualizza-zioni di sviluppo particolarmente utili allo studio e alla riflessione suitemi dello sviluppo. La prima è quella dello sviluppo come un processòdi cambiamento strutturale della società nel lungo periodo; la secondaha a che fare con il raggiungimento di obiettivi desiderabili nel bre-ve e medio termine; la terza consiste nelle politiche e nelle praticheche hanno come obiettivo il miglioramento della situazione esistente.Possiamo individuare, infine, un quarto approccio (decisamente criti-co) molto vicino alle concezioni "post-sviluppiste", ossia quello dellosviluppo come discorso dominante della modernità occidentale (sulleelaborazioni di queste concezioni si vedano Thomas, 2000; Bernstein,1006; Sumner, Tribe, 2008).

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TABELLA LISignificati dello sviluppo nel tempo

Anni Teorie e modelli Caratteristiche

Anni cinquanta Economia colonialedel xix secolo

Anni quaranta Economia dello sviluppodel xx secolo

Anni cinquanta Modernizzazione

Anni sessanta Teoria della dipendenza

Anni settanta Sviluppo alternativo

Anni ottanta Neoliberismo, WashingtonConsensusSviluppo umano

Anni novanta Post-Washington Consensus

Post-sviluppo

Fonte: Nederveen Pieterse (zooi, p. 7), modificata.

Gestione e controllo delle risorse,trusteeship

Crescita economica, industrializ-zazione

Crescita, modernizzazione politi-ca e sociale

Accumulazione nazionale auto-centrata

Bisogni umani, basic needs

Aggiustamento strutturale, libe-ralizzazioni, privatizzazioniCapabilities, entitlements, possibi-lità di scelta delle persone

Aggiustamento strutturale, ridu-zione della povertàCritica dello sviluppo ortodosso

Partendo dalla prima di esse, possiamo concentrarci sullo sviluppoin rapporto alla sua evoluzione storica nel lungo periodo e quindi, inprimis, sull'esperienza dello sviluppo europeo a partire dal Settecen-to, attraverso la formazione degli Stati-nazione, e, più specificamen-te, a partire dalla lunga transizione al capitalismo dell'Europa nord-occidentale. Il processo storico di trasformazione avviato nel Nordo nell'Occidente si diffuse poi al resto del mondo, non senza grandidifficoltà e limiti. Lo sviluppo si può leggere, quindi, attraverso le fon-damenta materiali della modernità - un tema centrale di analisi nellescienze sociali - sia che la vogliamo vedere mediante le dinamiche diaccumulazione e le condizioni istituzionali e sociali del cambiamento,sia riguardo ai problemi di ordine sociale generati dalle trasformazioni(avvenute e in corso) delle relazioni di proprietà, di produzione e dipotere. Come segnala Bernstein (1006), nel corso della storia si sono

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elaborati vari approcci e modelli teorici che si sono legati ai processidello sviluppo del capitalismo nei differenti luoghi e tempi (a partiredalla rivoluzione industriale e dai successivi processi di industrializza-zione), approcci che hanno discusso delle trasformazioni economichelegate al capitalismo industriale e alle forme di cambiamento dell'or-dine esistente nelle società di nuova industrializzazione in Europa. Aquesto si aggiungono le analisi sulle aree meno sviluppate dell'Euro-pa in cui si avviò lo sviluppo industriale capitalista come percorso peril controllo del potere e il raggiungimento della sovranità nazionale,oppure i modelli di accumulazione originaria socialista mediante l'in-dustrializzazione vista come alternativa al capitalismo. In sostanza, lanecessità storica della formazione di un processo di accumulazioneoriginaria - che può essere anche brutale - si lega tanto alle questionidello sviluppo quanto ai tentativi di contestare o trasformare questiprocessi.

Detti processi di trasformazione si sono estesi al resto del mondo,ossia ai paesi che oggi sono definiti come PVS, con modelli, perlopiùtraumatici, legati al colonialismo prima e alle difficoltà dello sviluppopost-bellico in seguito, determinando complessi e contradditori svi-luppi di accumulazione originaria, spesso ancora in corso (cfr. GAP. 3).

A questo punto, ritorniamo, in chiave comparativa, alle concettua-lizzazioni dello sviluppo citate. La prima - lo sviluppo come un pro-cesso di cambiamento strutturale delle società, quindi di lungo termi-ne - si concentra, come già accennato, sul cambiamento e sugli aspettistorici dello sviluppo. Ciò significa che la trasformazione da una so-cietà agricola a quella industriale - che implica anche la trasformazio-ne dalla tradizione alla modernità - produce effetti radicali in altredimensioni come la struttura della società, il ruolo delle classi, i rap-porti di produzione, il lavoro. In sostanza, lo sviluppo riguarderebbeun ampio spettro di cambiamenti sociali, non sarebbe necessariamenteprescrittivo e non si baserebbe sull'aspettativa che tutte le società se-guano lo stesso percorso di sviluppo. Indubbiamente è una concezioneinfluenzata nel dopoguerra dall'idea di una trasformazione desiderabi-le della società mediante la modernizzazione, l'emancipazione e la finedel sottosviluppo.

Tale approccio sembrerebbe però avere una limitata capacità di gui-dare la pratica dello sviluppo, come per esempio definire ilpolicy ma-kingper il quale è necessario concentrarsi su periodi più brevi. Questoci porta alla seconda prospettiva - lo sviluppo come conseguimento

LE PAROLE DELLO SVILUPPO

di obiettivi di breve e medio termine - una visione certamente più "ri-stretta" e tecnocratica, che ricerca indicatori di performance di brevee medio termine per analizzare la relazione fra obiettivi e risultati rag-giunti. Secondo alcuni analisti (Thomas, 2000; Sumner, Tribe, 1008)questa visione porta in sé il problema di non essere adeguatamente sto-rica, mentre la concezione di iniziative di sviluppo "buone" rischia diassumere concezioni "paternalistiche" basate sul fatto che il benesseredelle persone si fondi su valori sempre adatti a ogni situazione di breveperiodo. In particolare, il concentrarsi su questioni specifiche e limita-te nel tempo, ignorando i processi storici, rischia di separare lo svilup-po dai processi di accumulazione e di distribuzione della ricchezza, fa-vorendo forme di depoliticizzazione dello sviluppo (Ferguson, 1994).

La terza definizione, in qualche misura legata alla seconda, si in-centra sulle pratiche e sugli sforzi volti a definire le migliori modalitàoperative mediante le quali organizzare e realizzare lo sviluppo. Unariflessione che, benché non escluda la visione dello sviluppo come unprocesso, tende tuttavia a concepirlo nei termini dell'ottenimento diobiettivi specifici e, soprattutto, a ridurlo a una sequenza di tecnicheoperative, alle quali le agenzie dello sviluppo devono attenersi per mi-gliorare la situazione esistente.

Queste concezioni sono basate su idee di cambiamento e sui risultatida raggiungere. L'idea dello sviluppo inteso come discorso dominantedella modernità occidentale, invece, sostiene che lo sviluppo consistain cambiamenti e risultati sbagliati, a causa dell'imposizione di nozio-ni di sviluppo occidentali ed etnocentriche ai PVS. Tale prospettiva èuna reazione agli sforzi di progresso realizzati in nome dello sviluppoa partire dalla Seconda guerra mondiale in poi (Schuurman, zooo).Gli analisti post-sviluppisti, seguendo le analisi associate a una seriedi concetti elaborati dal sociologo Michel Foucault quali archeologiadello sviluppo, sapere come potere, produzione indipendente dellaverità (sul pensiero di Foucault, si vedano ad esempio Graaff, 1006;Ahluwalia, 2.010), tendono a sostenere che qualunque sia l'etichettausata, in ogni caso, si ha una definizione implicita o esplicita di inferio-rità dei PVS. La funzione del discorso sullo sviluppo sarebbe quella disuddividere i popoli in categorie al fine di controllarli e, quindi, creareil contesto che giustifichi gli interventi di sviluppo (Ziai, 1004). Losviluppo si definirebbe quindi come sinonimo della modernità intesacome una condizione superiore, rispetto a forme di arretratezza degli"Altri". Ma c'è di più. Secondo Sachs (2004, p. 6), «l'idea dello svi-

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luppo si erge come una rovina nel panorama intellettuale. Suoi fedelicompagni sono la delusione e il disincanto, il fallimento e il crimine,e tutti raccontano la stessa storia: non funziona. Come se ciò non ba-stasse, le condizioni storiche che l'hanno messa in primo piano sonovenute meno e lo sviluppo è oramai passato di moda». Per alcuni stu-diosi lo sviluppo è problematico perché rappresenterebbe un discorsoneocoloniale: per Kothari (1988), dove il colonialismo si è fermato èsubentrato lo sviluppo, ossia lo sviluppo sarebbe il motore di nuovimodelli di egemonia.

Esistono diverse critiche alle concezioni "post-sviluppiste", vistecome la celebrazione della privazione, come una forma di autonomiaculturale che tende a rendere romantica la nozione del "buon selvag-gio" e la considerazione che tutti i movimenti sociali del Sud sianoemancipatori. Il post-sviluppismo soffrirebbe anche di una contraddi-zione interna, nel senso che se possiamo conoscere la realtà solo attra-verso il discorso, perché dovremmo per forza credere a un resoconto,quello post-sviluppista, rispetto ad altri, poiché tutti sono comunquecostrutti sociali (Nederveen Pieterse, 2000 e 2001; Ziai, 2004).

Occorre altresì considerare che oggi molte questioni dello svilupposi stanno modificando a causa dell'aumento di iniziative provenientida diversi attori legati a nuovi modelli di cooperazione Sud-Sud, checoinvolgono paesi emergenti quali Brasile, India e Corea del Sud. Aquesti va aggiunta la Cina, le cui priorità dello sviluppo sono peculiarie storicamente intrecciate agli interessi di investimento e di iniziativecommerciali e non a parametri di condizionalità politiche. Infine, nonsi devono dimenticare la grande quantità di iniziative - ancora nonsufficientemente studiate - provenienti dal mondo arabo e da ONGdi affiliazione islamica che operano in modo particolare nei contestidell'Africa sub-sahariana (cfr. Soares, Otayek, 2007; Chanfi, 2009;Piga, 2010).

Gli studi recenti sullo sviluppo

II periodo successivo alla Seconda guerra mondiale ha ereditato dot-trine dello sviluppo - e le relative pratiche e istituzioni - applicate pergestire conflitti sociali e di classe tanto nei paesi capitalisti industrialiquanto nelle periferie coloniali, nonché per formulare progetti di accu-mulazione nazionale e di modernizzazione dello Stato. L'immediato

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predecessore dell'economia moderna dello sviluppo è stata l'economiacoloniale che, seppur in modi diversificati, si rivolgeva a definire mo-dalità economicamente valide ed efficienti di gestione e di sfruttamen-to delle risorse delle colonie.

In generale, possiamo dire che la storia dello sviluppo è anche lastoria dell'egemonia europea. L'evoluzionismo del XIX secolo rap-presentò la ragione imperiale e coloniale, la modernizzazione post-bellica rappresentò il periodo possiamo dire "americano" dello sviluppo(Nederveen Pieterse, zooi). L'evoluzionismo ha a che fare con una sto-ria di comparazioni fra culture che servivano a definire delle frontieredi inclusione ed esclusione, le identità e quindi le relazioni di potere.Il discorso sviluppista basato sull'evoluzionismo e sull'antropologiadell'epoca vittoriana usava le questioni della razza come parte del di-scorso imperiale, e serviva a giustificare la supremazia europea (Craig,Porter, zoo6).

Nel corso del xx secolo le scienze sociali cominciarono a rigetta-re le questioni legate all'evoluzionismo, anche se la modernizzazioneriprese alcune dicotomie del passato, in particolar modo la tensionefra tradizione e modernità. La modernità veniva definita come un ele-mento positivo che si identificava con l'efficienza e il miglioramento,mentre la tradizione era vista come arretratezza e resistenza al cambia-mento, ossia uno stato di non modernità.

Nelle condizioni del dopoguerra la retorica dello sviluppo si è in-dirizzata soprattutto verso la ricerca di una società desiderabile. L'o-biettivo principale era quello di superare povertà, ignoranza, malattieattraverso adeguate strategie di crescita economica, di ridistribuzione edi fornitura di beni pubblici. Lo sviluppo nazionale si concentrò, quin-di, sul benessere di tutti cittadini e divenne il programma ufficiale dellamaggior parte dei PVS e, in modo specifico, dei nuovi paesi indipen-denti dell'Asia e dell'Africa, la cui decolonizzazione offriva un terrenoimportante della rivalità fra le due superpotenze.

Pertanto, gli studi sullo sviluppo possono essere divisi in due mo-menti fondamentali. Il primo è quello degli anni cinquanta e sessantanel contesto globale della Guerra fredda e del rafforzamento di inizia-tive internazionali legate all'espansione dell'economia capitalista nelmondo: il sostegno allo sviluppo per i paesi poveri avveniva nell'ambi-to di un regime internazionale che vedeva, pur all'interno del contestobipolare, un ruolo centrale svolto dagli Stati Uniti e dall'Occidente.

Il secondo inizia con le politiche neoliberiste degli anni ottanta:

il neoliberismo guadagna una posizione egemonica nelle politiche enelle teorie dello sviluppo che si manifestano nella supremazia delleIFI e nella produzione di dottrine sullo sviluppo contemporaneo in uncontesto di globalizzazione capitalista sostanzialmente non messa indiscussione. Tuttavia, secondo alcuni studiosi (Bernstein, zooó), dopoil momento di trionfalismo del mercato degli anni ottanta, a causa deimancati risultati in termini di crescita, ci si rese conto che era necessa-ria una riforma dello Stato, non semplicemente la sua riduzione, met-tendo in luce l'esigenza di pratiche di sviluppo più inclusive.

Infatti, non si deve dimenticare che, nel corso degli anni ottanta,la discussione sullo sviluppo cerca di includere nuove concezioni, inmodo particolare le idee di sviluppo umano, delle capacità e dell'esseretitolari di diritti (capacities ed entitlements), idee riprese dalle analisidi studiosi quali Amartya Sen (zooo) e dalle elaborazioni realizzatedall' United Nations Development Programme, attraverso la formula-zione dell'indice di sviluppo umano che intende misurare lo sviluppomediante la combinazione di dati quantitativi con dati qualitativi (sivedano, per alcune riflessioni di base, Sumner, Tribe, 2.008, pp. 2,1-3 e ilsito web http://hdr.undp.org/en/humandev/).

L'evoluzione delle nozioni di sviluppoe il relativo dibattito

MODERNIZZAZIONE E DIPENDENZA

II discorso contemporaneo dello sviluppo emerge in modo più specifi-co con il mondo bipolare. In questo quadro, il punto di partenza puòessere fatto risalire al discorso del presidente statunitense Truman nel1949, in cui egli fece riferimento a questioni quali sottosviluppo, mise- •ria e fame visti come una minaccia potenziale al mondo libero. Oltrealla questione della sicurezza, particolarmente importante è il cosid-detto quarto punto: «quarto, ci dobbiamo imbarcare in un solidoprogramma nuovo per offrire i benefici dei nostri progressi scientifici edello sviluppo industriale a favore della crescita delle aree sottosvilup-pate» (Craig, Porter, zoo6, p. 48; cfr. anche Hettne, 1005; Potter et

al., 2.008).La ricostruzione dell'Europa post-bellica fornì il modello per i

processi di modernizzazione delle cosiddette economie di nuova indu-

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LE PAROLE DELLO SVILUPPO

TABELLA 1.1Teorie dello sviluppo e contesto internazionale

Pensiero dello sviluppo Contesto storico Egemonia Spiegazioni

Progressoe evoluzionismo

Modernizzazione

Dipendenza

Neoliberismo

xix secolo

Boompost-bellico

Decolonizzazione

Anni ottantadel xx secolo

Imperobritannico

USAe bipolarismo

Terzo Mondo,nazionalismo,non allineamento

Globalizzazioneeconomicae finanziaria

Darwinismo sociale

Teoria della crescita

Neomarxismo

Economia neoclassica

Sviluppo umano Anni ottantadel xx secolo

Nuovi mercati Capabilities, entìtle-ments, empowerment,partecipazione

Fonte: Nederveen Pieterse (2.001, p. 9), modificata.

strializzazione di alcuni paesi dell'Asia e dell'America Latina. In quelmomento si assegnava allo Stato il ruolo di stimolo all'industrializza-zione e allo sviluppo attraverso la pianificazione economica. Lo svilup-po fu visto in una prospettiva evolutiva che doveva ridurre il divariofra paesi ricchi e poveri. Per vent'anni circa, dopo la fine della Secondaguerra mondiale, c'è stata una fede quasi indiscussa sul fatto che anchei PVS avrebbero potuto svilupparsi seguendo processi che già erano av-venuti in altre aree (Hettne, zoo5).

In questa congiuntura si inserisce la teoria della modernizzazioneche trova la sua base di riferimento nel testo del 1960 di Walter W.Rostow, The Stages of Economie Growth: A Non-Communist Manife-sto, che annunciava un progetto di sviluppo centrato su una moderniz-zazione produttiva nazionale allineata al campo occidentale. Rostowfaceva riferimento a stadi dello sviluppo capitalistico che potevano re-alizzarsi dopo la fine del colonialismo. Queste le ragioni per cui alcunipaesi erano decollati economicamente: la presenza di tecnologie, l'ac-cumulazione del capitale necessario e il controllo di un'elite politicaorientata allo sviluppo. Sulla base di ciò si riteneva che con l'industria-

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lizzazione si potesse avviare un modello di crescita mediante una seriedi fasi dello sviluppo che avrebbero, alla fine, condotto allo sviluppoeconomico e al passaggio dalla società tradizionale alla società del con-sumo di massa (McKay, 1004, pp. 50-1).

La modernizzazione richiedeva l'adozione di istituzioni politicheoccidentali in quanto elementi di modernità: occorreva, quindi, che leistituzioni pre-moderne dei PVS si trasformassero in senso occidentale.Le teorie della modernizzazione politica si legavano a modelli di mer-cato e alla democrazia basata sui diritti dei cittadini (cfr. GAP. 6) e suidiritti di proprietà. Questo schema forniva un modo per incorporarele nuove classi politiche che emergevano dai movimenti di libera/ionenazionale in un nuovo ambito di sicurezza e digovernance, mantenen-do le vecchie frontiere di contenimento costituite dai sistemi coloniali(Nederveen Pieterse, zooi).

LA DIPENDENZA

Le implicazioni neocoloniali del modello di sviluppo della moderniz-zazione furono oggetto di critica da parte della scuola della dipenden-za, che evidenziava la posizione economica subordinata di una periferiaimpoverita rispetto alle potenti e ricche regioni del centro economicocapitalista. Pertanto, lo sviluppo di un'area poteva portare al sottosvi-luppo per un'altra, a seconda di come le due unità erano legate strut-turalmente. In sostanza, alle periferie del sistema economico mondialeera, di fatto, impedito di potersi sviluppare autonomamente. Questeelaborazioni furono promosse in modo particolare dalla ComisiónEconòmica para America Latina y el Caribe e, specificamente, dai la-vori e dalle analisi dell'economista argentino Raùl Prebisch. Posizionisostenute anche dai lavori di molti altri studiosi fra i quali Andre Gun-der Frank, il quale argomentava che sviluppo e sottosviluppo fosserole due facce della stessa medaglia. Gelso Furtado segnalava la penetra-zione capitalista nel mondo e quindi il ruolo delle élite locali in questiprocessi, come nel caso del Brasile da lui analizzato (McKay, zoo4, pp.56-7). Samir Amin elaborava la tesi del delinking (scollegamento) chenon doveva essere visto come una forma di semi-autarchia, ma comeun progetto di sviluppo auto-centrato basato su alleanze popolari e na-zionali (cfr., per dettagli, Nederveen Pieterse, zooi).

Questi due approcci rivali, modernizzazione e dipendenza, domina-rono il dibattito fino agli anni settanta, quando gradualmente comin-

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LE PAROLE DELLO SVILUPPO I. SVILUPPO

ciarono a essere sfidati da posizioni alternative maggiormente basatesu altre concezioni dello sviluppo: l'ambiente, lo sviluppo indigeno,lo sviluppo umano, gli studi di genere (cfr. GAP. 5). L'obiettivo prin-cipale delle teorie alternative allo sviluppo era quello di confrontarsicon i problemi, soprattutto di esclusione di gruppi e di classi, generatidallo sviluppo ortodosso. Nacquero così nuove idee di sviluppo mag-giormente orientate al soddisfacimento dei bisogni umani di base (ba-sic needs) e che fossero soprattutto autosufficienti ed ecologicamentecompatibili. Queste idee, in qualche misura, richiamavano tre questio-ni: lo sviluppo del territorio, la sostenibilità ecologica e il pluralismoculturale. I PVS cercarono di dare risposte attraverso il movimento deinon allineati e il terzomondismo e il tentativo di rivitalizzare richiestedi eguaglianza attraverso un Nuovo ordine economico internazionale,inteso come pacchetto organico di richieste volte a definire un quadrointernazionale più consono alle priorità di sviluppo dei paesi poveri(Potter et al., 1008; Murphy, 1984).

L'ASCESA DEL NEOLIBERISMO

Le politiche sviluppiste e il ruolo di intervento dello Stato nello svi-luppo vengono messi sotto accusa dai primi anni ottanta: le IFI biasi-mavano gli Stati per gli errori commessi fino a quel momento nelle po-litiche di sviluppo. In quegli anni una nuova forma di capitale semprepiù mobile e speculativo cominciava a trasformare l'ordine finanziariomondiale, accrescendo situazioni di difficoltà e di crisi, in Africa so-prattutto, ma anche in America Latina e in alcuni contesti asiatici (conl'eccezione delle tigri asiatiche), legate anche a questioni quali il debitoe la crisi petrolifera (Craig, Porter, 1006). In tale contesto si sviluppal'idea di una nuova economia politica, il cui riferimento classico è il la-voro del 1981 di Robert H. Bates, Markets and State in Tropical Africa.Le soluzioni, in specifico per l'Africa, erano viste nel forte ridimensio-namento del ruolo dello Stato in modo che gli strumenti usati dalleélite per accumulare potere politico e ricchezze potessero essere messiin crisi e, quindi, "liberare" i contadini e le popolazioni rurali (cfr. GAP.3), offrendo loro i vantaggi derivanti dalle opportunità rese disponibilidal mercato. Questo prefigurava non solo un nuovo ruolo del mercato,ma anche il decentramento decisionale agli individui aggregati in unanuova forma di società civile e nelle ONG (cfr. GAP. 7).

Le nuove teorie condussero negli anni ottanta alla stesura dei PAS,

2.8

dando origine al cosiddetto Washington Consensus. Contemporanea-mente, il ritorno di leadership fortemente conservatrici in paesi qua-li Stati Uniti e Gran Bretagna diede ancora più spazio ai tentativi diimplementazione di un nuovo dogma liberista, fortemente sostenutodalle IFI. Tutto era quindi pronto per procedere verso una nuova eco-nomia politica neoclassica, mediante una radicale riapertura degli Statiai processi legati al capitale e a nuove forme di deregolamentazionedel controllo statale e delle sue strategie produttive a vantaggio delleistituzioni economiche internazionali e del mercato. In questa nuovasituazione i riformatori più spettacolari furono paesi semi perifericicome la Nuova Zelanda o il Cile autoritario, oltre naturalmente alletigri asiatiche.

POST-WASHINGTON CONSENSUS

Le politiche del Washington Consensus non produssero, in generale,i risultati attesi. Alla fine degli anni ottanta era chiaro che il miracolodello sviluppo basato sul mercato e la liberalizzazione dell'economianon si era materializzato e i paesi scarsamente integrati e periferici era-no ancora in forte difficoltà, in particolare in Africa. Due decenni didebole o mancato sviluppo avevano aumentato nelle periferie fenome-ni di crisi. I critici del Washington Consensus erano molti e andavanodai movimenti no global alle stesse IFI (Craig, Porter, zooó). La fidu-cia neoliberista nel libero mercato e nelle sue forze di autoregolazionedoveva essere ripensata: la BM, in particolare, tenta di spiegare la crisinon come deficit dei programmi ma come incapacità dei governi direalizzarli (crisi òigovernarne). Inoltre, la crisi asiatica del 1997-98, cheaveva messo in difficoltà una delle più grandi storie di successo, eviden-ziava particolarmente questi problemi.

La discussione si concentra di nuovo sul ruolo dello Stato comestimolatore e facilitatore dello sviluppo economico, questione parti-colarmente discussa nel World Development Report della BM dal ti-tolo The State in a Changing World (World Bank, 199?). cne segnalacome uno Stato capace (capablé) sia necessario per sostenere i mercatie, quindi, avere le capacità di generare sviluppo economico e accumu-lazione originaria (Craig, Porter, 1006).

La nuova rielaborazione concettuale riconosce che lo sviluppo do-vrebbe essere più inclusivo, partecipativo, responsabile, e quindi piùlegittimo, favorendo una crescita guidata dal mercato e l'integrazione

2-9

LE PAROLE DELLO SVILUPPO

dei paesi poveri nel capitalismo globale. Gli anni novanta vedono così ilpassaggio graduale dal semplice e duro aggiustamento strutturale neo-liberista a un'agenda più "morbida", che include due elementi in par-ticolare: riduzione della povertà e good governance (cfr. CAPP. z e 8).Lo sviluppo dovrebbe garantire opportunità, sicurezza, sia umana siainternazionale ed empowerment (cfr. CAPP. 1369), per le aree più perife-riche, insieme a una nuova ownership locale dei programmi di sviluppo(da realizzarsi anche attraverso modelli partecipativi) (cfr. GAP. io) edi riduzione della povertà in specifico, come indicato dalla BM nel suoWDRdal titolo AttackingPoverty (World Bank, 2.001). Questo si sarebbecosì andato a legare alle iniziative di riduzione della povertà e di sviluppodegli Obiettivi del millennio proposti dalle Nazioni Unite. A partiredal 1000, pertanto, in più di 80 PVS vengono elaborati documenti diriduzione della povertà, presentati come un primo veicolo strategico perraggiungere la realizzazione degli Obiettivi del millennio.

Si rafforza così il legame, molto controverso, fra sviluppo, democra-zia e sicurezza, fortemente centrato sulla nozione di good governarneche non può però essere percepita come solamente legata alle nozionieconomiche ma, anzi, deve interagire con il sistema politico (Haynes,zoo5; Craig, Porter, 1006).

Alcune prospettive

In conclusione, alcune riflessioni sulle prospettive future (su questiaspetti si vedano, fra le altre, le analisi di Nederveen Pieterse, xooi). Laprima è quella di una forma di neomodernizzazione. L'applicazionepratica di questo tipo di visione è la cooperazione fra le diverse agenziedello sviluppo. L'enfasi sulla good governarne richiama il pensiero del-la modernizzazione e del nation-building. La seconda si basa sull'eco-nomia neoclassica. La ridefìnizione dell'aggiustamento strutturale hacercato di dare un volto umano alle riforme economiche combinandoil controllo macroeconomico con la riduzione della povertà. La terzasi collega all'esistenza di alcuni tentativi di rinnovamento della teoriadella dipendenza all'interno di analisi neostrutturaliste. La quarta ri-guarda la rilevanza delle posizioni legate allo sviluppo alternativo, cheintende rafforzare le idee di partecipazione dal basso, di sviluppo loca-le, di empowerment da parte dei gruppi di base, dei movimenti socialie della società civile. Pur partendo da punti di vista diametralmente

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I. SVILUPPO

opposti al neoliberismo anch'esse si caratterizzano per una disaffezio-ne verso il ruolo dello Stato. Tuttavia questo interesse per la societàcivile e, soprattutto, per le ONG porta in sé il rischio di favorire formedi managerialismo e di depoliticizzazione riducendo ulteriormente lecapacità dello Stato, ignora le contraddizioni e il conflitto all'internodella società e aumenta la crisi dello Stato stesso.

L'anti-sviluppo, infine. Esso ha molto in comune con lo sviluppoalternativo, anche se in questo caso è esplicita l'idea di sostenere formedi dissociazione, di distaccamento locale e di resistenza alla globalizza-zione (cfr. GAP. 7). Gli attori dello sviluppo oggi sono più policentricie si rafforzano le riflessioni sul rapporto fra ambiti locali e sviluppo.Come già menzionato, questione importante è che, se in passato ilpensiero dello sviluppo era fortemente dominato dall'Occidente, neglianni più recenti sono diventate significative anche altre prospettive eipotesi, come la cooperazione Sud-Sud.

Naturalmente la diffusione di molti più attori, con agende diverse,accresce la preoccupazione su come poter costruire una reale coeren-za della politica dello sviluppo basata su un compromesso fra diverseegemonie e sui loro differenti livelli di potere. Siamo di fronte a diverseidee di modernità e di capitalismo, diverso quello americano da quelloeuropeo, ad esempio, certamente diverso quello dei paesi asiatici, anco-ra diverso il sistema del socialismo di mercato della Cina.

Da questi processi emerge una sintesi contemporanea che è quelladi uno sviluppo maggiormente partecipativo, utilizzato nelle analisipiù critiche ma anche assorbito all'interno del discorso ortodosso delpost-Washington Consensus, un discorso egemonico dello sviluppoche si basa, come già ricordato, su parole chiave quali goodgovernance,democrazia, sicurezza. Lo stesso discorso riguarda altre parole chiavecome lo sviluppo partecipativo e quindi il ruolo della società civile e&s$ empowerment, concezioni che più che proporre reali alternativetendono spesso a riprodurre la visione di una necessaria riduzione delruolo e del potere dello Stato e, quindi, in qualche modo, ad assumerela forma di una depoliticizzazione basata sulla tecnocrazia.

Sembra comunque oggi presente una riflessione più variegata chetende a immaginare la transizione da una bipolarità tradizione/moder-nità, sviluppo/sottosviluppo a una forma di policentrismo e di plurali-smo dello sviluppo, anche se questo sembra paradossalmente riattivareuna nuova dicotomia, assai problematica, fra universalismo e relativi-smo di valori e diritti (cfr. GAP. 4).

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