Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

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PIZZINATO E VENEZIA

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PIZZINATO E VENEZIA Bugno Art Gallery Bugno Art Gallery S. Marco 1996/D 30124 Venezia tel. 041 5231305 fax 041 5230360 [email protected] www.bugnoartgallery.it Fotografie Matteo De Fina Progetto grafico Marco Vidali PIZZINATO E VENEZIA Autoritratto, 1938 olio su compensato, cm. 33,8 x 29 Il Ghetto, 1932 matita su carta, cm. 14 x 18,3 5 4

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PIZZINATO E VENEZIA

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PIZZINATO E VENEZIAa cura di

CASIMIRO DI CRESCENZO

Bugno Art Gallery

Bugno Art Gallery

S. Marco 1996/D

30124 Venezia

tel. 041 5231305

fax 041 5230360

[email protected]

www.bugnoartgallery.it

Fotografie

Matteo De Fina

Progetto grafico

Marco Vidali

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PIZZINATO E VENEZIA

Pizzinato ricorda che vide per la prima volta Vene-

zia da bambino quando suo padre lo portò con sé

durante un viaggio per affari. Meraviglioso fu per lui

scoprire il mare, il Canal Grande e questa città gli

apparve fantastica in confronto alla piccola Maniago

in Friuli, dove era nato il 7 ottobre 1910. La storia

che lega Armando Pizzinato a Venezia è lunga e in-

tensa, intessuta di relazioni, avvenimenti, incontri,

fatti e momenti che progressivamente saldano la

vita dell’artista con la città che lo accolse nel 1930,

giovane studente dell’Accademia di Belle Arti. Vene-

zia è un aspetto importante dell’opera di Armando:

la si ritrova, pervasa di malinconia, nelle vedute di

gusto espressionista precedenti la seconda guer-

ra mondiale; nelle composizioni del Fronte Nuovo,

invece, è rappresentata dinamica ed industriale e

un linguaggio audace celebra una diversa, moder-

na visione della realtà. I suoi quadri illustrano nuovi

angoli della città e, rivestiti di colori scintillanti, si ri-

conoscono lo squero di San Trovaso, i cantieri della

Giudecca, i moli e le industrie di Porto Marghera.

Anche nel periodo della sua adesione al realismo,

Pizzinato reinterpreta il concetto di paesaggio e Ve-

nezia compare come solenne sfondo al duro lavoro

dei pescatori o degli scaricatori di carbone e sale.

Venezia è anche Campo Manin dove Pizzinato, in

Liberazione di Venezia, 1952 ambienta la celebra-

zione della vittoria della Resistenza sul Fascismo,

implicitamente legando questo periodo storico con

i moti risorgimentali, indagati, due anni dopo, in un

altro quadro, La difesa di Venezia. Sempre Venezia è

presente ed è racchiusa nella magia dei dipinti poe-

ticamente intitolati “Dal Giardino di Zaira” in ricordo

della moglie scomparsa, poiché questo luogo priva-

to e nascosto, quintessenza della natura più intima

di Venezia, ne ripropone la fluida energia e atmosfe-

ra. Non a caso, la stessa alchimia dei blu e dei verdi

esplode con le vedute dedicate alla città degli anni

settanta, dove gli edifici semplificati e ridotti a forme

geometriche vibrano nella sintesi operata dall’artista

e nelle linee di forza che sottolineano la composi-

zione e ne aumentano l’energia. Lo stesso tema del

volo dei Gabbiani che, secondo l’artista, trova la sua

origine nel 1967 nel porto di Odessa, con le sue infi-

nite variazioni, salda in una sola immagine, come un

battito d’ali, l’anima libera dell’artista e l’atmosfera

fuggevole della città. Ed è questa simbiosi catartica

che aumenta il fascino delle sue ultime composizio-

ni, il preludio del quarto tempo, annunciatore di una

rinnovata ricerca dove mondo interiore e realtà este-

riore convivono e si compenetrano creando nuove

sinfonie di luce e di colore.

Il Ghetto, 1932matita su carta, cm. 14 x 18,3

Autoritratto, 1938olio su compensato, cm. 33,8 x 29

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Il Ghetto, piccolo disegno a matita del 1932, ci ripor-

ta all’inizio di questo viaggio e all’incontro con Giulio

Turcato, il primo studente e artista con cui strinse

amicizia all’Accademia. Avevano le stesse idee po-

litiche e gli stessi interessi nella pittura, discutevano

appassionatamente di arte e di poesia, di Picasso,

Matisse e Mallarmé. Rifiutavano la tradizione difesa

dai pittori lagunari; desideravano, invece, raffigurare

non la Venezia turistica, ma quella delle persone nor-

mali che vi abitano e vi lavorano. Queste lunghe, ani-

mate discussioni avevano fatto loro scoprire angoli

di Castello, Cannaregio, della Giudecca e arrivare

fino al campo del Ghetto dove Pizzinato dipinse una

tela, di cui si sono perse le tracce. Questo disegno

ed un altro sono gli unici ricordi di questo momento.

Le conversazioni sull’arte con Turcato evidenziano

la passione per il dipingere che lo aveva animato da

sempre. Fin da piccolo aveva sentito con forza il de-

siderio di essere pittore e creò i primi disegni all’età

di dieci anni. L’attività del padre Giovanni Battista,

proprietario di un noto caffè nel centro di Maniago,

aveva protetto l’infanzia di Pizzinato, anche durante

la prima guerra mondiale, sebbene la famiglia fosse

stata obbligata a sfollare a Firenze quando, dopo

Caporetto, le truppe austriache avevano occupato

la città. Anche se bambino, Pizzinato aveva avver-

tito le tensioni sociali del dopoguerra e le violenze

legate all’avvento del Fascismo, ma il grande trauma

fu il suicidio del padre, che a causa di un dissesto

finanziario si tolse la vita, a 46 anni, il 1 ottobre del

1922, gettandosi in acqua alla Dogana, il porto flu-

viale di Pordenone. Il trauma per tutta la famiglia fu

enorme, lasciava una giovane moglie con due figli

ancora in tenera età, ma lo shock fu ancora più for-

te per Armando che pochi giorni dopo, il 7 ottobre

avrebbe compiuto 12 anni. Un capitolo della sua

vita si chiudeva improvvisamente e con violenza; un

anno dopo la famiglia lascia Maniago e si installa

a Pordenone in una grande casa dove sua madre,

Andremonda, affitta qualche stanza e si improvvisa

cuoca per riuscire a mantenere la famiglia. Terminati

gli studi regolari a quattordici anni, Andremonda im-

pone a Pizzinato di trovare un lavoro. Lui vorrebbe

seguire la sua vocazione d’artista. Sua madre vuole

che come primogenito Armando sia di esempio per

l’altro fratello, vuole un posto sicuro, magari statale,

che garantisca uno stipendio fisso. Pizzinato, inve-

ce, decide di entrare nella bottega d’arte di Tibur-

zio Donadon, un pittore-decoratore di successo,

dove, rapidamente notato per la sua abilità tra gli

altri garzoni, iniziò a lavorare nello studio personale

del maestro, apprendendo le prime regole del me-

stiere. Purtroppo, il lavoro d’apprendista non era re-

tribuito e dopo otto mesi di duro lavoro, Donadon

lo ricompensò con due lire arrecando una profonda

umiliazione ad Armando che, cedendo alle insistenti

pressioni della madre, fu costretto ad abbandonare

la bottega e a entrare in una banca, prima come fat-

torino e poi come impiegato, lavoro che conserverà

per quattro anni. È in questo ambiente di lavoro che

incontra due amici che gli fanno conoscere le idee

socialiste, il poeta Romano Pascutto e Francesco

Maddalena. Così Pizzinato, con l’ingenuità e l’ardo-

re dell’adolescenza, inizia a formarsi una coscienza

politica, ma la passione per l’arte rimane viva. Co-

mincia a interessarsi alla storia dell’arte antica e mo-

derna. In questo periodo inizia a collezionare i fasci-

coli a uscita settimanale delle Vite di Vasari, volumi

che conserverà per tutta la vita. Compra anche una

cassetta di colori e inizia a dipingere paesaggi dal

vero nella campagna intorno a Pordenone. Il diret-

tore della banca, scoperta questa sua passione, lo

incoraggia e gli fa dare lezioni di disegno dal pittore

Pio Rossi, il primo artista che ha creduto nelle capa-

cità di Pizzinato. Nel 1930, migliorate le condizioni

economiche della famiglia, Pizzinato decide di ab-

bandonare il lavoro in banca e s’iscrive all’Accade-

mia di Belle Arti di Venezia.

L’arrivo a Venezia a vent’anni rappresentò quindi il

coronamento di un sogno a lungo accarezzato e

ostinatamente coltivato. Ha la fortuna di avere come

maestro Virgilio Guidi, insegnante e artista da lui

apprezzato e ammirato, e al quale serberà ricono-

scenza e affetto per tutta la vita. La passione rive-

lata dalle conversazioni con Turcato è alimentata

dall’entusiasmo di poter finalmente essere artista.

Pizzinato approfitta di tutte le possibilità che Venezia

gli offre. Visita la Biennale nell’estate del 1930 rima-

nendo profondamente colpito dalla retrospettiva su

Modigliani. Si impegna con passione nella pittura,

sebbene di questo periodo, conservi un solo qua-

dro, Modella, del 1932. Inizia a esporre alle collettive

della Bevilacqua La Masa. Passa molto tempo alla

Biblioteca Querini Stampalia e all’Archivio storico

della Biennale, all’epoca ospitato in Palazzo Ducale,

a leggere e studiare le riviste d’arte straniere e italiani.

Altri incontri avvengono e nuove amicizie si creano:

Viani, Afro, e poi i suoi fratelli Mirko e Dino. Gli anni

dell’Accademia passano in fretta, anche se vissuti

da “studente povero” come si è spesso definito e nel

1934 deve ritornare a Pordenone dove si ripropone,

di nuovo, l’identica situazione familiare di tensione

e di conflitto. Pizzinato è in bilico tra i suoi desideri

di realizzazione artistica e le pressioni della madre

che cerca per lui un impiego fisso, sicuro. Pensa di

aver risolto il problema, riuscendo ad avere un posto

alla fabbrica di Ceramiche Galvani come disegnato-

re progettista, esperienza che, però, si conclude in

fretta, in sei mesi, non trovando nei suoi superiori

quel clima di collaborazione che si attendeva. Que-

sto è un momento difficile per Pizzinato, un periodo

di sbandamento, ma che riesce a superare vincendo

nel 1936 la borsa di studio Marangoni che gli per-

mette di vivere per tre anni a Roma. Nella capitale

conosce Mafai, Guttuso, Cagli e Modotto, si interes-

sa all’opera di Scipione ed è influenzato dall’espres-

sionismo della scuola romana. Soprattutto si lega

con una forte amicizia a Guttuso che lo ospita per gli

ultimi due anni nel suo studio di Piazza Melozzo da

Forlì. La frequentazione degli ambienti antifascisti

radicalizza la sua posizione politica e l’avversione al

Fascismo si fa sempre più netta e decisa. Lo scop-

pio della seconda guerra mondiale, lo costringe ad

abbandonare Roma. Deve ritornare a Pordenone e

lasciare l’insegnamento di Ornato e Pittura, ottenuto

con l’aiuto di Argan, presso la Scuola d’Arte di Mari-

no Laziale, cittadina vicino a Roma.

Il 1940 è il ritorno a Venezia, un ritorno definitivo in

quanto non abbandonerà più la città. Il suo primo

indirizzo è Calle di Mezzo 4969, vicino al Ponte dei

Bareteri, dove affitta una stanza presso la famiglia

Satin. L’insegnamento di Mosaico e Interpretazione

presso l’Accademia delle Belle Arti gli permette di

Pizzinato e Zaira sul ponte dell’Accademia, 1948

Pizzinato nel suo studio con Zaira e Patrizia,sullo sfondo Bracciante ucciso, 1949

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avere un stipendio regolare, di tranquillizzare sua

madre e di pianificare la sua carriera. Infatti, a Vene-

zia, al contrario di altre città italiane, la vita artistica

continua malgrado la guerra; per esempio l’ultima

Biennale prima della sospensione è del 1942 e le

collettive della Bevilacqua La Masa si svolsero rego-

larmente fino al 1944. Essere protetta dalle distru-

zioni causate dal conflitto, garantiva un’effervescen-

za culturale che solo l’approssimarsi della fine della

guerra con le inevitabili restrizioni riuscirono ad arre-

stare. Nel 1940, Pizzinato è premiato a Roma alla IX

Mostra del Sindacato Interprovinciale Fascista Belle

Arti del Lazio, mentre nello stesso anno il dipinto

Composizione di figure riceve un premio acquisto

d’incoraggiamento del Ministero dell’Educazione

Nazionale al II Premio Bergamo ed entra così a far

parte della collezione della Galleria d’Arte Moderna

di Roma. Nel 1941, l’artista organizza la sua prima

mostra personale alle Botteghe d’Arte in Piazza San

Marco a Venezia; i venti dipinti esposti riscuotono un

grande successo di pubblico, di critica e di vendita.

Nel 1942 partecipa al IV Premio Bergamo, nel 1943

espone alla Galleria del Milione di Milano insieme a

Luciano Gaspari con una presentazione in catalogo

scritta da Virgilio Guidi e nel dicembre dello stesso

anno ha una personale a Venezia alla Galleria del

Cavallino di Carlo Cardazzo. Sempre a Venezia, in-

contra nel 1941 Zaira Candiani di cui si innamorerà

ben presto e dalla quale avrà una figlia, Patrizia, nel-

l’agosto del 1943. Trova uno studio nelle adiacenze

di Campo Sant’Agnese e il nuovo indirizzo di casa,

poco distante, è un appartamento al terzo piano in

Calle dei Frati, 942. Dall’altana si vede la chiesa dei

Gesuati e lo squero di San Trovaso, soggetto che

subito dipinge e che lo ispirerà più volte negli anni

a seguire.

A Venezia, si muove a suo agio nell’ambiente arti-

stico. Ha ritrovato il suo maestro Virgilio Guidi, è in

contatto con Cesetti e riallacciato i rapporti con la

giovane avanguardia: i fratelli Basaldella, Viani, De

Luigi, Santomaso e Vedova. La sua pittura, che a

Roma era influenzata da una ricerca tonale, risente

ora dell’influsso della tradizione europea, soprattut-

to francese. Guarda alla scuola post-impressionista,

s’ispira alla lezione di Picasso e studia la ricerca sul

colore di Matisse. Nel 1943, si rafforza l’interesse

per l’espressionismo - da lui definito “impressioni-

Nello studio di Pizzinato a Venezia. Tra gli altri Vedova,Massimo Rendina, Santomaso ed Emanuelli, 1947

smo di stati d’animo” e per questo rapidamente ri-

pudiato - che insiste sulla deformazione delle linee,

l’accentuazione del ritmo e la liberazione del colore

dall’influenza dell’oggetto. In Lo Squero, un disegno

a carboncino, il tratto libero e veloce accentua la di-

namicità della composizione, mentre nella tempe-

ra I Gondolieri sono i colori che creano la fastosità

della composizione e il bianco esalta lo scintillio dei

ferri delle gondole. In Barche alle Zattere, invece, il

limpido disegno ad inchiostro con pochi, essenziali

tratti ricrea la scena osservata dall’artista dalla fon-

damenta delle Zattere, un luogo questo che ritrove-

remo spesso nella sua opera felicemente declinato

in sempre nuove variazioni.

I tragici fatti legati all’otto settembre 1943 irrompono

nella quotidianità della vita di Pizzinato, interrom-

pendo i suoi progetti. La mostra al Milione di Milano

prima e quella al Cavallino di Venezia poi lo avevano

imposto all’attenzione generale; era stato invitato

a partecipare alla Biennale del 1944, edizione che,

però, fu annullata. Tutto fa pensare che ben presto

il suo valore artistico sarebbe stato riconosciuto a

livello nazionale. Tuttavia, nell’autunno del 1943, col

formarsi di gruppi uniti nella Resistenza, Pizzinato

sente che deve lottare in prima persona contro il Fa-

scismo; non è un sentimento motivato dall’odio, è

vissuto come una cosa giusta da farsi, e in questo

aveva il sostegno della moglie Zaira. Nella disciplina

e nella responsabilità della vita clandestina si rico-

nosce come uomo e inevitabilmente, aderendo alla

lotta partigiana, abbandona i pennelli e smette di di-

pingere. Iscrittosi al Partito Comunista clandestino,

col nome di battaglia Stefano fa parte della Brigata

Biancotto. Diventa il responsabile della stampa e

propaganda della provincia di Venezia; in un primo

tempo mette a disposizione il suo studio di pittore,

poi per ragioni di maggior sicurezza, allestisce una

stamperia clandestina, il Buco Stampa, all’ultimo

piano del palazzo in cui abita in una soffitta cieca e

ben nascosta sotto l’altana. È arrestato dai fascisti

della Brigata Nera di Mestre il 2 gennaio del 1945;

la sua casa è perquisita, ma la stamperia, fortunata-

mente, non è scoperta. Trascorre in prigionia gli ulti-

mi mesi di guerra, in attesa di processo, e il 25 aprile

lo sorprende in Questura dove era stato portato per

degli interrogatori. Complice il caos generale, riesce

a uscire indisturbato e a riguadagnare la libertà.

Inizia così un periodo per Pizzinato segnato da gran-

di speranze e forti ardori, un momento magico, pie-

no di entusiasmi. Riprende a dipingere con slancio

e nasce una grande intesa con Emilio Vedova, arti-

sta e partigiano di nove anni più giovane, col qua-

le sperimenta nuove soluzioni e cerca nuovi motivi

d’ispirazione nelle fabbriche di Marghera, nei can-

tieri della Giudecca, tra le case di Burano. Entrambi

sono alla ricerca di un nuovo linguaggio capace di

rendere la nuova realtà che si sta costruendo. Pizzi-

nato è convinto che con la caduta del fascismo, con

le distruzioni causate dal conflitto, la vecchia società

borghese sia destinata a scomparire. La lotta intra-

Pizzinato nel suo studio di Venezia, 1947

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presa dalla Resistenza antifascista deve continuare

nell’impegno civile per una società più giusta, libe-

ra e democratica. Nel 1946 nella Galleria de l’Arco

alle Prigioni - un’associazione culturale di giovani

di sinistra interessati al teatro, poesia, musica, arti

figurative - Pizzinato e Vedova inaugurano, con un

enorme successo, la loro mostra in comune sulla

Resistenza, costituita da pannelli che con grandi

tempere ne illustrano la storia. Sempre in quest’an-

no prende in affitto la casa alla Salute, in Calle dello

Squero, 33, che diventerà la sua abitazione definiti-

va. In uno slancio, utopistico ma comprensibile se si

pensa all’entusiasmo scatenato da quella stagione

politica irripetibile, segnata dal referendum Repub-

blica e Monarchia del 2 giugno e dalle prime elezio-

ni democratiche, Pizzinato ha scelto di stare dalla

parte dei lavoratori e del partito che li rappresenta.

La sua è una forte militanza politica che lo porta a

ricoprire anche incarichi ufficiali e a partecipare da

protagonista alla vita culturale della città. Frequenta

attivamente la sezione in Campo San Barnaba, di-

segna vignette politiche per il quotidiano “La Voce

del Popolo” e manifesti di propaganda elettorale.

Ricopre incarichi delicati come la presidenza della

Commissione di epurazione per le Accademie e gli

istituti d’Arte. Il Comune di Venezia lo nomina suo

rappresentante nella Commissione per l’assegna-

zione delle Mostre personali e collettive dell’Opera

Bevilacqua La Masa. Costituisce a Venezia un’As-

sociazione autonoma sindacale degli artisti, pittori

e scultori. Si batte per la presenza di rappresentanti

degli artisti nelle maggiori Istituzioni quali la Biennale

di Venezia, la Triveneta di Padova, la Triennale di Mi-

lano e la Quadriennale di Roma.

Contemporaneamente, cerca in pittura un linguag-

gio capace di rappresentare la nuova realtà che si

sta formando, un linguaggio che possa dare forma

Squero, 1943carboncino su carta. cm. 21,2 x 26,5

Gondolieri, 1943tempera su carta, cm. 20,6 x 29,5

Barche alle Zattere, 1943inchiostro su carta, cm. 19,4 x 24,6

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e vita ai nuovi contenuti. La sua adesione al Fronte

Nuovo delle Arti, movimento che ebbe inizio nel-

l’ottobre del 1946, trovò il suo culmine alla Bienna-

le del 1948 per concludersi il 3 marzo del 1950, si

basava su una comunanza etica e morale, più che

su un’estetica, da tutti condivisa. Si deve all’abile

mediazione di Marchiori, critico del gruppo, la ca-

pacità di riunire personalità artistiche così diverse

che, comunque, avevano in comune la posizione

antifascista e l’orientamento politico. La posizione

ufficiale del Fronte non era per un’arte astratta o

anti-astratta, ma impegnava gli artisti a unire le pro-

prie ricerche per un’arte nuova, per un nuovo modo

di vedere la realtà. Il manifesto del gruppo termina

con queste parole: “Pittura e scultura, divenute così

strumento di dichiarazione e di libera esplorazione

nel mondo, aumenteranno sempre più la frequenza

con la realtà. L’arte non è il volto convenzionale della

storia, ma la storia stessa, che degli uomini non può

fare a meno”. Gli artisti del Fronte, superati i vecchi

formalismi, rivendicavano la libertà di espressione

e la necessità di un’arte ispirata ai temi della vita,

alla realtà dell’uomo moderno. Per Pizzinato, e per

molti artisti del Fronte, il primo passo da compiere

era ripartire da zero, fare tabula rasa del passato

per costruire un’arte nuova per una nuova società.

Pizzinato ritiene di aver già studiato la lezione dei

movimenti europei. Impressionismo, espressioni-

smo, cubismo sono stati utili per denunciare la crisi

dell’uomo moderno, ma sono strumenti di indagine

inadatti per raffigurare la dinamicità di una società in

piena evoluzione. Per questi motivi Pizzinato è parti-

colarmente affascinato dalla lezione dei costruttivisti

russi, e si sente più vicino alla poesia di Majakowsky

che non al futurismo di Boccioni. Per esempio, i suoi

dipinti esposti alla Biennale del 1948, I difensori del-

le fabbriche, Cantieri, Canale della Giudecca, Primo

maggio, partono sempre dalla realtà, riproponendo-

ne una sintesi dinamico-costruttivista. La forma non

cede il passo ad una gestualità istintiva, ma è elabo-

rata con rigore, strutturalmente meditata e l’uso del

colore ne accentua la carica espressiva, assumen-

do un forte valore simbolico.

La partecipazione alla Biennale del 1948 segna il

momento più alto della vicenda in comune del Fron-

te, considerato la grande novità del panorama ita-

liano. Alla soddisfazione generale per l’ottenuto ri-

conoscimento, anche in campo internazionale, per

Pizzinato si aggiunse una gratificazione personale

rappresentata dall’acquisto della tela Primo maggio

da parte della collezionista americana Peggy Gug-

genheim, la cui collezione esposta nel Padiglione

greco fu l’altra grande attrattiva di quell’edizione.

Tuttavia, un dubbio rimane in Pizzinato: Peggy Gug-

genheim ha comprato il quadro perché le piace, lo

trova originale e interessante nelle forme, ma sem-

bra del tutto indifferente ai suoi contenuti politici e

sociali. Primo maggio è idealmente dedicato alle lot-

te dell’uomo per la sua emancipazione e per il suo

avvenire. Ma se il contenuto fosse stato più eviden-

te, più esplicito, come si sarebbe comportata? La ri-

sposta la ebbe due anni dopo, sempre alla Biennale,

quando osservando Un fantasma percorre l’Europa

Peggy Guggenheim gli disse con garbo che faceva

troppe figure. Un modo educato per dirgli che non

era interessata al suo lavoro realista. Per Pizzinato,

invece, l’arte non deve rivolgersi a un’élite raffinata,

a un pubblico di privilegiati, ma indirizzarsi a tutti gli

uomini e servire a creare una società di uomini liberi.

Già nel suo testo Gli artisti chiedono pareti da di-

pingere pubblicato in “L’Unità” afferma che la nuova

realtà storica in corso vede l’avanzata delle classi

lavoratrici. Come i Papa e i Re hanno saputo inco-

raggiare e promuovere artisti che hanno interpretato

la loro storia, nello stesso modo il Partito Comunista

deve creare occasioni di lavoro per gli artisti, dan-

do loro muri da dipingere e statue da scolpire per

raccontare la nuova storia che vede protagonista

la classe dei lavoratori. Alla luce di quanto detto,

la posizione artistica di Pizzinato appare più chiara

quando nell’autunno di quell’anno un breve articolo

di commento alla mostra d’arte organizzata a Bolo-

gna dall’Alleanza della Cultura apparso anonimo su

“Rinascita” provocò la feroce polemica tra Astrat-

tisti e Realisti. Una polemica molto violenta anche

perché Togliatti, fu considerato l’autore di questo

testo che conteneva in nome del “buon senso co-

mune” una pesante quanto rozza e semplicistica

Squero di San Trovaso, 1947olio su tela, cm. 45 x 55,5

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critica all’arte non figurativa. Sull’onda delle discus-

sioni sulla posizione da tenere in vista della ormai

prossima partecipazione alla Biennale del 1950, lo

scontro divampò anche tra gli artisti componen-

ti il Fronte Nuovo. Due punti di vista, radicalmente

opposti, si fronteggiavano: uno più politico vedeva

uniti Guttuso e Pizzinato nell’adesione al Realismo

per affermare i contenuti della nuova realtà sociale

e uno di difesa delle esperienze astratte invocato da

tutti gli altri componenti. Santomaso non accettava

la messa al bando da parte del Partito dei movimen-

ti europei, riconoscendone, al contrario, gli apporti

positivi nella formulazione di un nuovo linguaggio.

La posizione di Vedova, più libertaria, rifiutava l’idea

stessa che il Partito indicasse agli artisti la via da se-

guire. L’inconciliabilità tra le due fazioni, determinò la

scissione, provocando il definitivo scioglimento del

Fronte sancito in una riunione al ristorante all’Angelo

il 3 marzo 1950.

Come abbiamo visto, l’interesse di Pizzinato è sem-

pre stato rivolto alla realtà; all’indomani della Libera-

zione, intesa come vitalistico slancio di riappropria-

zione della propria libertà e, in questo senso, l’ade-

sione al Fronte nuovo rappresentava il superamento

di una esperienza individuale; ora invece, la fede

politica spinge Pizzinato a spogliarsi delle contrad-

dizioni di una educazione borghese per diventare

“un’intellettuale organico” nell’accezione formulata

da Gramsci. L’adesione al Realismo italiano, quindi,

è vissuta da Pizzinato come la conclusione logica di

un cammino coerente verso un umanesimo sociali-

sta. Questo percorso trova ampia corrispondenza

nella linea ideologica del Partito che, nel periodo

della guerra fredda, si impone come dominante. Si

assiste quindi ad una progressiva svalutazione e al

rifiuto delle conquiste dell’arte europea, per esaltare

al contrario “un’arte nazional-popolare”, presto iden-

tificata nella “tradizione italiana”, che quindi è indica-

ta con sempre maggiore insistenza come la sola via

per il realismo socialista. L’Umanesimo marxista affi-

da all’intellettuale il compito di “andare verso il popo-

lo”. La sua azione culturale, di impegno politico e di

lotta ideale, è la continuazione della battaglia iniziata

con la Resistenza che prosegue ora con l’impegno

nella società civile a difesa della nuova realtà sociale

rappresentata dal proletariato, operai e contadini.

Con orgoglio, espone queste idee alla Biennale del

1950 con Un Fantasma percorre l’Europa, quadro

che celebra i cento anni del Manifesto di Marx. Il

fantasma vola alto nel cielo salutato da contadini e

operai in festa e, portatore di un simbolico di vitto-

ria, la sua immagine riprende, ma rovesciata, quel-

la del contadino che giace per terra nel Bracciante

ucciso del 1949. Ai due lati del Fantasma, come un

trittico inneggiante ai lavoratori, erano esposte due

tele: Terra, non guerra, a favore delle lotte agrarie

dei braccianti contro lo sfruttamento dei latifondisti

e I difensori delle fabbriche, rappresentazione del

mondo industriale, il cui titolo rimanda alle lotte degli

operai che salvarono le fabbriche di Marghera dalla

distruzione tedesca.

L’estetica realista di Pizzinato segue un indirizzo pre-

ciso e rigoroso. Pizzinato, lontano da un pensiero

idealista, cerca l’ispirazione nella realtà concreta e si

rivolge ad un pubblico che rappresenta una precisa

realtà sociale, i lavoratori. Quindi, il suo linguaggio

artistico deve essere comprensibile a questo nuovo

pubblico, e saperne interpretare gli ideali e i valori.

Progressivamente, la pittura di Pizzinato si spoglia

di ogni connotazione astratta e alla ricerca di una

obiettività rigorosa, si libera di contenuti poetici,

facilmente trasformabili nell’espressione di un indi-

vidualismo decadente. Il cinema neorealista e la fo-

tografia danno un aiuto nella formulazione di questa

via originale al Realismo socialista. Ispirato dall’effi-

cacia rappresentativa di un’inquadratura ben scelta,

dall’importanza del singolo fotogramma magnificato

dalle scelte operate in fase di montaggio, Pizzinato

costruisce con sapienza le proprie composizioni,

spesso i protagonisti sembrano immobili, come se

la scena fosse stata colta in un istante. Spesse linee

contornano le figure per bloccarne la posizione ed

aumentare la solennità della rappresentazione. In

Terra, non guerra, l’artista ha scelto di rappresenta-

re al centro della tela il lavoratore nell’atto di picco-

nare la terra; gesto che esprime il desiderio di ogni

uomo di poter vivere in pace col frutto del proprio

lavoro; ma il piccone, più di una vanga o una zap-

pa, connota in sé l’idea della lotta che ogni uomo è

disposto a combattere per affermare i propri diritti.

L’artista per aumentare la dinamicità della scena, ri-

duce volutamente l’inquadratura ad un primo piano;

infatti, taglia una ruota del carro e il piccone in mano

al secondo uomo sullo sfondo, mentre, a destra la

presenza di un terzo protagonista è semplicemente

suggerita dallo strumento di lavoro sospeso in aria.

In questo modo, Pizzinato coinvolge lo spettatore

affidandogli il compito di completare mentalmente la

scena da lui immaginata, riunendone tutti i dettagli e

sviluppandone il racconto.

Pizzinato ama fotografare strade e case di Venezia

e fissare negli scatti scene di vita quotidiana; la fo-

tografia diventa in questo modo un suo personalis-

simo strumento di indagine. Spesso i protagonisti

sono gli operai al lavoro nei cantieri stradali, scal-

pellini muratori, o scaricatori di carbone e di sale al

lavoro sulle barche accostate alla riva. La dura fati-

ca dell’operaio è riproposta anche in veloci schizzi

dove studia le diverse posizioni o immagina le com-

posizioni migliori per sviluppare un racconto credi-

bile, ricco di contenuti. Nella Biennale del 1952, cui

era stato invitato con nove opere, ma dove riuscirà

a presentarne solo cinque, tre dipinti sono dedicati

al tema del lavoro. In Falciatori affronta un tema che

sente difficile per lui e del quale trova pochi modelli

in pittura, mentre abbondano immagini nelle riviste

sovietiche inneggianti ai successi dell’economia so-

cialista e nei libri di fotografia. In Guardafili si ritrova

in chiave realista l’immagine dei due operai al lavo-

ro arrampicati sul palo già elaborata in precedenza,

mentre con Scaricatori di sale cerca di introdurre

una nuova visione del paesaggio, scaturita da una

personale ricerca fotografica. Questa è una Venezia

affrontata per la prima volta; gli operai, che lavorano

su una barca in riva alle Zattere, sono i personaggi

principali e naturalmente sono ritratti in primo piano;

tuttavia, sullo sfondo, in maniera inedita e sorpren-

dente, la città lagunare si trasforma in un magnifico

fondale con l’ampio arco del Bacino, l’isola di San

Giorgio e la Giudecca.

Le altre due tele affrontano, invece, temi storici; uno,

di stretta attualità, denuncia la fucilazione di Belo-

yannis, l’eroe comunista greco, e pone l’attenzione

sulla minaccia sempre attuale del pericolo fascista.

Pizzinato tratta questo tema in modo nuovo; volendo

rappresentare quello che Beloyannis vide per l’ulti-

Barche [1952]matita su carta, cm. 12,6 x 15,3

Page 9: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

16 17

ma volta, mette lo spettatore al suo posto. In una

notte buia, un ufficiale comanda il plotone di esecu-

zione, formato da quattro soldati coi Thompson mi-

nacciosamente puntati in avanti, in un cortile di una

caserma, alla luce dei fari degli automezzi. In alto si

intravede il Partenone, L’altro dipinto rappresenta la

Liberazione di Venezia, ed esalta il mito della Resi-

stenza su cui si fonda la Costituzione della Repub-

blica italiana. Il 25 aprile 1945 fu per Pizzinato anche

il giorno della ritrovata libertà, dopo quattro mesi di

carcere fascista. La scena di questo quadro ha di

nuovo il sapore di un fotogramma bloccato. Men-

tre i partigiani avanzano vittoriosi, i tedeschi sconfitti

alzano le mani in segno di resa, le armi gettate a

terra. Sul ponte nello sfondo altri uomini sventolano

un tricolore e una bandiera rossa. Non a caso, Pizzi-

nato sceglie di ambientare questa scena nel campo

intitolato a Daniele Manin, eroico difensore dell’indi-

pendenza di Venezia, con l’evidente scopo di unire

i nuovi valori resistenziali con quelli sempre attuali

espressi dai moti risorgimentali per l’Unità italiana.

Gli stessi temi sono espressi anche nella parteci-

pazione alla Biennale del 1954: l’eroico sacrificio

degli uomini rappresentato in Difesa di Venezia, di-

pinto che ricorda il feroce assedio degli austriaci del

1848, rivive nei volti dei protagonisti di Fucilazione

di patrioti, italiani di ogni condizione e classe - si ri-

conosce il contadino, l’operaio in tuta, l’intellettuale

in camicia e l’anziana donna, laica mater dolorosa

- tutte vittime innocenti della ferocia fascista. Gli

altri dipinti ripropongono motivi di una Venezia mi-

nore come Ponte della Ferrovia o scene reali tratte

dall’osservazione diretta come Ragazzo in barca o

Operaio sull’impalcatura. Come si può osservare nel

cartone preparatorio di quest’ultimo dipinto, la posa

del protagonista ricalca quella dell’operaio fotogra-

fato a Venezia da Pizzinato, ma l’artista ha voluto

aggiungere alla composizione questa visione dall’al-

to di un’isola lagunare, forse Murano, che se da una

parte risulta convincente nella resa realistica delle

case, così sospese tra il mare e il cielo, dall’altra

idealizza efficacemente il lavoro dell’operaio. Anche

per il dipinto Treno sul Ponte della Ferrovia si ha la

prova di una documentazione fotografica da parte

dell’artista che ricerca a Venezia nuovi spunti con

un gusto personale e originale. Tuttavia quello che

la fotografia ha catturato di questo fabbricato indu-

striale a fianco del ponte è trasformato dall’artista in

un prezioso gioco cromatico, intriso di luce, di linee

orizzontali, che rafforzano la massa nera del treno

contrapposta al bianco avorio dell’edificio.

Dopo il 1954 e fino al 1966 Pizzinato non è più invi-

tato alla Biennale. I primi due anni lo vedono impe-

gnato nella realizzazione degli affreschi per la Sala

Consiliare del Palazzo della Provincia di Parma, la

committenza più importante ricevuta in questo pe-

riodo e sicuramente l’esito più alto della sua adesio-

ne al Realismo. Purtroppo, nell’anno in cui si celebrò

il compimento del suo lavoro e fu inaugurata con

grande successo la sala, la Commissione culturale

del Partito Comunista decretò la fine del movimento

realista, decidendo di considerare conclusa questa

esperienza e di lasciare a ciascun artista la libertà

di esprimersi seguendo la propria ricerca. Per Piz-

zinato, che aveva sempre creduto nel Partito, fu un

duro colpo che però non lo spezzò. Preferì isolarsi e

lavorare in solitudine, continuando con ostinazione

ad essere fedele a se stesso e ai suoi principi, come

si può vedere, per esempio, in Pescatori, quadro di-

pinto nel 1959, dove con il lavoro in laguna, motivo

questo legato a Venezia, si esalta un mestiere il cui

risultato è data da uno sforzo corale. L’importante

retrospettiva organizzata alla Bevilacqua La Masa

nel 1962 è il giusto riconoscimento che la città di Ve-

nezia dedica a un artista ormai pienamente inserito

nella vita culturale della città. Nella nota pubblicata

in catalogo Pizzinato cerca con molta onestà critica

di fare il punto della sua vicenda artistica, spiegan-

do il suo percorso dagli anni giovanili al periodo del

Fronte fino al momento attuale del Realismo. La sua

ricerca, spiega, si è sempre rivolta alla realtà ma con

un linguaggio che fosse chiaramente comprensibile

a tutti. Pur ammettendo iniziali errori da parte dei

realisti, pur constatando che la confusione è grande

e che molte sono le strade per arrivare a una soluzio-

ne, resta ancora convinto che il movimento realista

fosse il giusto cammino da percorrere. Purtroppo,

durò troppo poco, solo cinque anni, per permette-

re ai suoi componenti di correggere le impostazioni

Treno sul Ponte della Ferrovia, 1953olio su tela, cm. 27 x 46

Ponte della ferrovia, Venezia

Page 10: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

18 19

sbagliate e di superare gli errori. Dal canto suo non

vuole seguire le mode e conclude il suo scritto con

la speranza di avere la forza di continuare a percor-

rerla. Frase questa, simile a una preghiera, che fa

comprendere quanti dubbi abbiano agitato l’animo

dell’artista. Tuttavia fu un evento imprevisto, più che

le riflessioni sul suo lavoro esposto in mostra, a co-

stringerlo a riconsiderare radicalmente il suo modo

di dipingere. Nel dicembre di quell’anno, l’improvvi-

sa morte di Zaira lo getta in una profonda dispera-

zione che gli impedisce di dipingere. È un momento

di grande crisi. Abbattuto da un dolore immenso,

aggrappato a una concezione troppo radicale della

realtà, è incapace di toccare i pennelli, di raccontare

sulla tela la scomparsa di Zaira. Provvidenziale fu

l’intervento di Mazzariol, critico d’arte e suo grande

amico, che recatosi nella sua abitazione per invitarlo

a partecipare alla Mostra di Pittura di La Spezia, di

fronte alla paralisi creativa di Pizzinato, gli suggerì

di iniziare dipingere gli alberi del giardino di casa,

un piccolo spazio dove, all’ombra di una enorme

magnolia, si era formata una vegetazione del tut-

to spontanea e casuale, con un fico e delle palme,

circondata da un glicine color lilla e bianco. Fu un

consiglio prezioso dal quale nacque la bellissima

serie, profondamente ispirata, “Dal giardino di Zaira”

che fu accolta con favore a La Spezia, esposta alla

personale della Galleria Gianferrari, alla Fondazione

Querini nel 1964 e, con una sala personale presen-

tata da Mazzariol, alla XXXIII Biennale nel 1966. Con

queste opere, Pizzinato non abbandona la realtà, ma

ne amplifica gli orizzonti, con una lettura più libera e

lirica del paesaggio. Il Giardino di Zaira diventa un

luogo magico, espressione anche della città che lo

circonda e che lo inonda della sua luce e ne amplifi-

ca le ombre. Pizzinato ritrova la felicità del dipingere

e questa forma di neo-naturalismo gli fa riscoprire la

bellezza di un soggetto in continua trasformazione,

sottoposto come è al cambio delle stagioni, alle mu-

tevoli condizioni climatiche, al trascorrere delle ore.

A questa nuova serenità spirituale contribuisce an-

che la presenza di Clari, che, conosciuta nel febbraio

del 1966 diventerà la sua seconda moglie. L’arrivo di

Clari nella vita di Pizzinato segna un cambiamento

in positivo di grande importanza; Pizzinato si sente

trascinato dalla vitalità e dalla prorompente perso-

nalità di Clari e nel suo testo per la mostra al Correr

non esita a renderle omaggio definendo il periodo

che stanno vivendo insieme tra i più fortunati e feli-

ci. Pizzinato divide con Clari l’emozione del grande

riconoscimento internazionale delle mostre a Mosca

e a San Pietroburgo (all’epoca Leningrado) nel 1967

e a Berlino e a Dresda nel 1968. Clari diventa la sua

musa ispiratrice ritratta numerose volte in dipinti e

disegni fino alle grandi composizioni con figure del

1972 e 1974 che rendono omaggio a Matisse. Assie-

me a lei ha scoperto nel viaggio in Russia i fortunati

motivi dei gabbiani e delle betulle, declinati in sem-

pre nuove e differenti variazioni. Tra le serie più felici

sono i quadri dedicati a Venezia, in genere vedute di

angoli minori della città, sovente legate ai suoi per-

corsi quotidiani. Una Venezia personale, elaborata

razionalmente, e alla quale è sempre più intimamen-

te legato. Pizzinato la ricerca sia con sue fotografie,

sia anche collezionando cartoline turistiche. Definita

la scena, le architetture sono sintetizzate in forme

Operaio al lavoro, Venezia Operaio sull’impalcatura, 1954olio su cartoncino incollato su compensato, cm. 98,5 x 69

Page 11: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

20 21

solide geometriche, le linee di forza ne colgono la di-

namicità e ne sottolineano lo spazio con vibranti ed

energici segni. Sebbene le struttura architettoniche

siano sempre articolate in maniera precisa, il colore

riesce a riproporne la sottile atmosfera della città e

la sua caratteristica luminosità. Tra i suoi soggetti

preferiti si riconosce la riva delle Zattere con i suoi

pontili e barconi ormeggiati. Spesso sullo sfondo

si staglia il Redentore, immagine questa riproposta

numerose volte fino ad arrivare progressivamente al

limite dell’astrazione, diventando la composizione

un pretesto per uno studio sulla luce e sul colore.

Si ritrovano anche il campo di San Vio che si af-

faccia sul Canal Grande vicino al Cantinone Storico,

locale a cui era affezionato fin dai tempi della guer-

ra; lo squero e la Chiesa di San Trovaso, immagine

questa tra le più amate; il ponte dopo la Toletta; il

Campo San Barnaba e la riva su cui si affacciava la

sua sezione di partito; il mercato di Rialto, la Scuola

Grande di San Marco con il rio della Misericordia e

molti altri ancora .

La mostra al Correr del 1981, a 71 anni, segna il

definitivo successo di Pizzinato, e finalmente

Pizzinato rivendica la conquista di quella sere-

nità d’animo a lungo cercata e si riconcilia piena-

mente con la sua storia vissuta. Né poteva esser al-

trimenti quando a introduzione del catalogo e della

mostra Pizzinato pone una poesia di Zanzotto che

ama molto, La contrada, poema che lo ispira fino a

diventare una sorta di manifesto personale. Pizzina-

to ha sempre cercato di comprendere e di difende-

re la “Zauberkraft “ raccontata da Zanzotto, questa

“forza magica” di un luogo che ne racchiude la verità

e la bellezza. E il seme racchiuso in questa poesia,

lentamente, nel corso degli anni cresce e si sviluppa

nella mente dell’artista, diventando nel 1992 il libro

Poffabro luogo magico, bellissima testimonianza au-

tobiografica di amore verso la propria terra natale,

finalmente considerata a pieno titolo la terra-madre.

Riconoscendo la forza magica di un luogo nel quale

si è cresciuti, si ammette l’importanza delle radici

che hanno plasmato la nostra storia e nutrito il no-

stro carattere. La forza magica è soprattutto amore

verso la nostra terra, che, quindi, non può essere

altro che amore verso la propria vita. Già nel 1981

la Zauberkraft evocata da Zanzotto spinge Pizzina-

to a scrivere un testo sul Gazzettino, una pressante

richiesta di aiuto diretta alla Soprintendenza in dife-

sa del chiostro adiacente alla chiesa della Madon-

na dell’Orto e a protezione del campo del Ghetto,

due luoghi di Venezia da lui molto amati, ma il primo

Pescatori, 1961olio su compensato, cm. 132 x 90

Pescatori [1956-57]matita su carta, cm. 15,7 x 9,7

Pescatore [1956-57]matita su carta, cm. 13,1 x 20,9

Page 12: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

22 23

Marzo, 1965olio su tela, cm. 68 x 49

Piante, 1963matita e pastello su carta, cm. 35 x 25

Page 13: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

24 25

minacciato da un vergognoso degrado provocato

dall’incuria dell’uomo, il secondo invece indifeso da

restauri irrispettosi del luogo. L’artista chiede che

venga rispettato il senso e il significato di questo

luogo, che ha accolto per secoli gli Ebrei e ne ha

visto le sofferenze, senza che restauri improvvisa-

ti ne tradiscano o peggio distruggano l’intima sua

natura. Non a caso, il campo del Ghetto, come un

cerchio che si conclude, ci riporta all’inizio di que-

sto testo, al disegno del 1932 e alle passeggiate e

alle conversazioni di Pizzinato con Turcato. L’ultimo

periodo di Pizzinato si conclude sotto il segno della

Zauberkraft. Riconciliato al suo Friuli, al suo paese

natale, Pizzinato riconosce anche la forza magica di

Venezia e il nutrimento spirituale ricevuto. Pizzinato

affronta con energia il suo ultimo ciclo di pitture, de-

finito da Mazzariol, “Preludio per un quarto tempo”.

Elabora grandi geometrie che rispondono a un rigo-

roso ordine interno dove ogni elemento riposa su un

purissimo equilibrio di luce e colori. La pennellata si

fa più rada, il colore tesse gli accordi, anima i con-

trasti, fa vibrare le forme e la tecnica delle velatura

costruisce lo spazio. Sono composizioni astratte di

assoluta libertà, dove la realtà esteriore convive con

il suo mondo interiore. per affermare ancora una

volta il suo messaggio d’artista a difesa dell’uomo,

della sua dignità e della sua libertà.

Casimiro Di Crescenzo

Clari, 1970olio su tela, cm. 38,5 x 26,5

Pizzinato e Clari al Lido di Venezia, 1966

Page 14: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

26 27

Gabbiani [s.d.]olio su tela, cm. 100 x 70

Venezia, 1970olio su tela, cm. 41 x 51

Page 15: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

28 29

Canale della Giudecca, 1980gessetti su carta grigia, cm. 24 x 29,6

Volo di gabbiani, 1980matita su carta, cm. 48,3 x 34,3

Venezia (Punta della Dogana e Salute) [c. 1971]olio su tela, cm. 80 x 140

Punta della dogana, Venezia

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Studio per Due ponti, 1972matita su carta, cm. 23,3 x 34,6

Rio della Toletta, Venezia

San Barnaba, s.d. [anni 70]olio su tela, cm. 50 x 70

Page 17: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

32 33

Venezia, [s.d.]olio su tela, cm. 50 x 70

Senza titolo, [s.d.]tecnica mista su carta, cm. 42 x 52

Barconi alle Zattere, sullo sfondola Chiesa del Redentore, Venezia

Page 18: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

34 35

Venezia, [s.d.]

olio su tela, cm. 50 x 70

Studi, 1970penna e inchiostro su carta, cm. 28,1 x 24,1

Gabbiani, s.d.pennarelli su carta, cm. 32,2 x 23,9

Page 19: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

36 37

Ponte a San Trovaso, s.d.olio su tela, cm. 40,5 x 70

Rio e squero di San Trovaso, Venezia

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Canale veneziano, [1972 ca.]olio su tela, cm. 52 x 62

Venezia (Paesaggio lagunare), s.d.olio su tela, cm. 43 x 56,3

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Ponte a San Trovaso, s.d.olio su tela, cm. 30 x 40

Campo San Trovaso, Venezia

Page 22: Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia

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[Composizione], s.d. [1980 ca.]olio su tela, cm 70 x 50

Forma spaziale, 1983tempera su carta intelata, cm. 58 x 43,5

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Gabbiani, 1971olio su tela, cm. 80 x 60

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CENNI BIOGRAFICI

Armando Pizzinato nasce il 7 ottobre 2010 a Mania-

go (PN) dove suo padre, Giovanni Battista, che ave-

va sposato il 12 gennaio di quell’anno Andremonda

Astolfo, è proprietario del noto Caffè dell’Unità Ita-

liana, posto all’angolo di Piazza Maggiore, attuale

Piazza Italia. Fin da bambino sviluppa una passione

per il disegno. Una dolorosa sciagura lo sorprende,

quando il 1 ottobre 1922, suo padre si suicida per

dissesti finanziari, gettandosi in acqua alla Dogana,

il porto fluviale di Pordenone.

Nell’ottobre del 1923 con la famiglia si trasferisce a

Pordenone. Dopo saltuari lavori, migliorate le condi-

zioni di vita, può iscriversi nel 1930 all’Accademia di

Venezia, sotto l’insegnamento di Virgilio Guidi. Prime

amicizie artistiche con Turcato e Afro. Nel 1936, vin-

ta la Borsa Marangoni a Udine, è a Roma dove fre-

quenta il gruppo della Cometa: Mafai, Cagli, Mirko,

Capogrossi e poi Guttuso. Lo scoppio del conflitto

bellico lo riporta nel 1940 a Venezia che è diventata

la sua città di adozione. Qui, per molti anni, è do-

cente all’Accademia di Belle Arti e al Liceo Artistico

di Venezia. Nel 1941 incontra Zaira Candiani che più

tardi diventerà sua moglie e dalla quale, nell’agosto

del 1943, avrà un’unica figlia, Patrizia. Nell’autunno

del 1943 fino al 1945 interrompe l’attività di pittore

e partecipa attivamente alla Resistenza; arrestato

dai fascisti il 2 gennaio 1945, è imprigionato a Santa

Maria Maggiore fino al 25 aprile, giorno della Libera-

zione. Riprende a dipingere e nel 1946 è fra i promo-

tori del Fronte Nuovo delle Arti, il primo movimento

artistico italiano dopo la caduta del Fascismo, uffi-

cialmente riconosciuto nella Biennale del 1948. La

polemica tra astrattisti e realisti segna la fine del

Fronte nel marzo del 1950; Pizzinato aderisce, in-

sieme a Guttuso, al movimento del Realismo italiano

nelle cui sale esporrà alla XXV Biennale dello stes-

so anno. Nel 1953 si aggiudica il concorso, bandi-

to dall’Amministrazione Provinciale di Parma, per la

decorazione della Sala Consigliare. Questo ciclo di

affreschi, che lo impegna fino al 1956, è l’esperienza

fondamentale di questi anni. Su invito di Pizzinato,

Carlo Scarpa si occupa dell’arredamento e della si-

stemazione delle pareti. Fedele alla rappresentazio-

ne della nuova realtà sociale, proletaria e contadina,

rappresentata politicamente dal Partito Comunista,

rimane legato al movimento realista fino al 1962,

molti anni dopo la brutale sconfessione operata dal-

la Commissione culturale del Partito nel 1956; da

questa data Pizzinato visse in una forzata solitudine

accettata con rassegnato stoicismo. Fu l’improvvi-

sa morte della moglie Zaira nel dicembre del 1962

a provocare una profonda crisi artistica e l’esaurir-

si dell’esperienza realistica. Il fecondo dialogo con

Mazzariol lo porta già nel marzo del 1963 al periodo

neonaturalistico, iniziato dalla felice serie “dal giar-

dino di Zaira”, e con la quale giunge ad una piena

libertà espressiva utilizzando forme sia dinamiche,

sia astratte o figurative ma sempre fedele ad una

visione costruttiva della realtà. A questa rinnovata

felicità nell’arte non è estranea, nella vita, l’incontro

nel febbraio del 1966 con Clari, che diventerà la sua

seconda moglie, nuova modella per una ricca serie

di ritratti e figure, e feconda musa ispiratrice di for-

tunati motivi, tra i quali la serie di dipinti “I Gabbiani”,

“Le Betulle”, “Le Venezia”. Oltre alla partecipazio-

ne alle edizioni della Biennale di Venezia del 1948,

1950, 1952, 1954 e 1966, ricordiamo, tra la mostre

più significative, quella alla Bevilacqua La Masa del

1962, le grandi mostre a Mosca e a Leningrado nel

1967 e a Berlino e Dresda nel 1968, la retrospetti-

va a Pordenone del 1970, e quella al Museo Cor-

rer del 1981 che rappresentò la sua consacrazione

definitiva. Pizzinato non si ferma qui, ma la ricerca

di nuovi orizzonti, il raggiungimento di una piena li-

bertà interiore, lo spingono verso traguardi maggio-

ri. Inizia così quello che sarà l’ultimo ciclo della sua

pittura, con critica intelligenza definito da Mazzariol

il “Preludio per un quarto tempo”. Grandi dipinti por-

tatori di una nuova astrazione costruita su rigorose

geometrie. Pubblica il libro Poffabro luogo magico,

dedicato alla sua terra natale, dove mescola ricor-

di autobiografici alla denuncia costruttiva contro la

speculazione edilizia, la distruzione del paesaggio

e restauri architettonici dissennati. Un alto monito

a difesa del rispetto dei luoghi e della loro memo-

ria. Ormai anziano, ha il tempo di occuparsi della

grande retrospettiva che si tiene alla Villa Manin di

Passariano nel 1996. Per lui, l’ultima occasione di

vedere riuniti insieme i suoi dipinti sparsi in Italia e

nel mondo in importanti istituzioni pubbliche e nu-

merose collezioni private. L’artista muore all’età di 93

anni il 17 aprile del 2004. Le sue ceneri riposano nel

Cimitero di San Michele a Venezia.

Pizzinato alla Fondazione Levi in occasione del suonovantesimo compleanno, 2000 foto Elio Montanari

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