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Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia
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Transcript of Armando Pizzinato - Pizzinato e Venezia
PIZZINATO E VENEZIA
PIZZINATO E VENEZIAa cura di
CASIMIRO DI CRESCENZO
Bugno Art Gallery
Bugno Art Gallery
S. Marco 1996/D
30124 Venezia
tel. 041 5231305
fax 041 5230360
www.bugnoartgallery.it
Fotografie
Matteo De Fina
Progetto grafico
Marco Vidali
4 5
PIZZINATO E VENEZIA
Pizzinato ricorda che vide per la prima volta Vene-
zia da bambino quando suo padre lo portò con sé
durante un viaggio per affari. Meraviglioso fu per lui
scoprire il mare, il Canal Grande e questa città gli
apparve fantastica in confronto alla piccola Maniago
in Friuli, dove era nato il 7 ottobre 1910. La storia
che lega Armando Pizzinato a Venezia è lunga e in-
tensa, intessuta di relazioni, avvenimenti, incontri,
fatti e momenti che progressivamente saldano la
vita dell’artista con la città che lo accolse nel 1930,
giovane studente dell’Accademia di Belle Arti. Vene-
zia è un aspetto importante dell’opera di Armando:
la si ritrova, pervasa di malinconia, nelle vedute di
gusto espressionista precedenti la seconda guer-
ra mondiale; nelle composizioni del Fronte Nuovo,
invece, è rappresentata dinamica ed industriale e
un linguaggio audace celebra una diversa, moder-
na visione della realtà. I suoi quadri illustrano nuovi
angoli della città e, rivestiti di colori scintillanti, si ri-
conoscono lo squero di San Trovaso, i cantieri della
Giudecca, i moli e le industrie di Porto Marghera.
Anche nel periodo della sua adesione al realismo,
Pizzinato reinterpreta il concetto di paesaggio e Ve-
nezia compare come solenne sfondo al duro lavoro
dei pescatori o degli scaricatori di carbone e sale.
Venezia è anche Campo Manin dove Pizzinato, in
Liberazione di Venezia, 1952 ambienta la celebra-
zione della vittoria della Resistenza sul Fascismo,
implicitamente legando questo periodo storico con
i moti risorgimentali, indagati, due anni dopo, in un
altro quadro, La difesa di Venezia. Sempre Venezia è
presente ed è racchiusa nella magia dei dipinti poe-
ticamente intitolati “Dal Giardino di Zaira” in ricordo
della moglie scomparsa, poiché questo luogo priva-
to e nascosto, quintessenza della natura più intima
di Venezia, ne ripropone la fluida energia e atmosfe-
ra. Non a caso, la stessa alchimia dei blu e dei verdi
esplode con le vedute dedicate alla città degli anni
settanta, dove gli edifici semplificati e ridotti a forme
geometriche vibrano nella sintesi operata dall’artista
e nelle linee di forza che sottolineano la composi-
zione e ne aumentano l’energia. Lo stesso tema del
volo dei Gabbiani che, secondo l’artista, trova la sua
origine nel 1967 nel porto di Odessa, con le sue infi-
nite variazioni, salda in una sola immagine, come un
battito d’ali, l’anima libera dell’artista e l’atmosfera
fuggevole della città. Ed è questa simbiosi catartica
che aumenta il fascino delle sue ultime composizio-
ni, il preludio del quarto tempo, annunciatore di una
rinnovata ricerca dove mondo interiore e realtà este-
riore convivono e si compenetrano creando nuove
sinfonie di luce e di colore.
Il Ghetto, 1932matita su carta, cm. 14 x 18,3
Autoritratto, 1938olio su compensato, cm. 33,8 x 29
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Il Ghetto, piccolo disegno a matita del 1932, ci ripor-
ta all’inizio di questo viaggio e all’incontro con Giulio
Turcato, il primo studente e artista con cui strinse
amicizia all’Accademia. Avevano le stesse idee po-
litiche e gli stessi interessi nella pittura, discutevano
appassionatamente di arte e di poesia, di Picasso,
Matisse e Mallarmé. Rifiutavano la tradizione difesa
dai pittori lagunari; desideravano, invece, raffigurare
non la Venezia turistica, ma quella delle persone nor-
mali che vi abitano e vi lavorano. Queste lunghe, ani-
mate discussioni avevano fatto loro scoprire angoli
di Castello, Cannaregio, della Giudecca e arrivare
fino al campo del Ghetto dove Pizzinato dipinse una
tela, di cui si sono perse le tracce. Questo disegno
ed un altro sono gli unici ricordi di questo momento.
Le conversazioni sull’arte con Turcato evidenziano
la passione per il dipingere che lo aveva animato da
sempre. Fin da piccolo aveva sentito con forza il de-
siderio di essere pittore e creò i primi disegni all’età
di dieci anni. L’attività del padre Giovanni Battista,
proprietario di un noto caffè nel centro di Maniago,
aveva protetto l’infanzia di Pizzinato, anche durante
la prima guerra mondiale, sebbene la famiglia fosse
stata obbligata a sfollare a Firenze quando, dopo
Caporetto, le truppe austriache avevano occupato
la città. Anche se bambino, Pizzinato aveva avver-
tito le tensioni sociali del dopoguerra e le violenze
legate all’avvento del Fascismo, ma il grande trauma
fu il suicidio del padre, che a causa di un dissesto
finanziario si tolse la vita, a 46 anni, il 1 ottobre del
1922, gettandosi in acqua alla Dogana, il porto flu-
viale di Pordenone. Il trauma per tutta la famiglia fu
enorme, lasciava una giovane moglie con due figli
ancora in tenera età, ma lo shock fu ancora più for-
te per Armando che pochi giorni dopo, il 7 ottobre
avrebbe compiuto 12 anni. Un capitolo della sua
vita si chiudeva improvvisamente e con violenza; un
anno dopo la famiglia lascia Maniago e si installa
a Pordenone in una grande casa dove sua madre,
Andremonda, affitta qualche stanza e si improvvisa
cuoca per riuscire a mantenere la famiglia. Terminati
gli studi regolari a quattordici anni, Andremonda im-
pone a Pizzinato di trovare un lavoro. Lui vorrebbe
seguire la sua vocazione d’artista. Sua madre vuole
che come primogenito Armando sia di esempio per
l’altro fratello, vuole un posto sicuro, magari statale,
che garantisca uno stipendio fisso. Pizzinato, inve-
ce, decide di entrare nella bottega d’arte di Tibur-
zio Donadon, un pittore-decoratore di successo,
dove, rapidamente notato per la sua abilità tra gli
altri garzoni, iniziò a lavorare nello studio personale
del maestro, apprendendo le prime regole del me-
stiere. Purtroppo, il lavoro d’apprendista non era re-
tribuito e dopo otto mesi di duro lavoro, Donadon
lo ricompensò con due lire arrecando una profonda
umiliazione ad Armando che, cedendo alle insistenti
pressioni della madre, fu costretto ad abbandonare
la bottega e a entrare in una banca, prima come fat-
torino e poi come impiegato, lavoro che conserverà
per quattro anni. È in questo ambiente di lavoro che
incontra due amici che gli fanno conoscere le idee
socialiste, il poeta Romano Pascutto e Francesco
Maddalena. Così Pizzinato, con l’ingenuità e l’ardo-
re dell’adolescenza, inizia a formarsi una coscienza
politica, ma la passione per l’arte rimane viva. Co-
mincia a interessarsi alla storia dell’arte antica e mo-
derna. In questo periodo inizia a collezionare i fasci-
coli a uscita settimanale delle Vite di Vasari, volumi
che conserverà per tutta la vita. Compra anche una
cassetta di colori e inizia a dipingere paesaggi dal
vero nella campagna intorno a Pordenone. Il diret-
tore della banca, scoperta questa sua passione, lo
incoraggia e gli fa dare lezioni di disegno dal pittore
Pio Rossi, il primo artista che ha creduto nelle capa-
cità di Pizzinato. Nel 1930, migliorate le condizioni
economiche della famiglia, Pizzinato decide di ab-
bandonare il lavoro in banca e s’iscrive all’Accade-
mia di Belle Arti di Venezia.
L’arrivo a Venezia a vent’anni rappresentò quindi il
coronamento di un sogno a lungo accarezzato e
ostinatamente coltivato. Ha la fortuna di avere come
maestro Virgilio Guidi, insegnante e artista da lui
apprezzato e ammirato, e al quale serberà ricono-
scenza e affetto per tutta la vita. La passione rive-
lata dalle conversazioni con Turcato è alimentata
dall’entusiasmo di poter finalmente essere artista.
Pizzinato approfitta di tutte le possibilità che Venezia
gli offre. Visita la Biennale nell’estate del 1930 rima-
nendo profondamente colpito dalla retrospettiva su
Modigliani. Si impegna con passione nella pittura,
sebbene di questo periodo, conservi un solo qua-
dro, Modella, del 1932. Inizia a esporre alle collettive
della Bevilacqua La Masa. Passa molto tempo alla
Biblioteca Querini Stampalia e all’Archivio storico
della Biennale, all’epoca ospitato in Palazzo Ducale,
a leggere e studiare le riviste d’arte straniere e italiani.
Altri incontri avvengono e nuove amicizie si creano:
Viani, Afro, e poi i suoi fratelli Mirko e Dino. Gli anni
dell’Accademia passano in fretta, anche se vissuti
da “studente povero” come si è spesso definito e nel
1934 deve ritornare a Pordenone dove si ripropone,
di nuovo, l’identica situazione familiare di tensione
e di conflitto. Pizzinato è in bilico tra i suoi desideri
di realizzazione artistica e le pressioni della madre
che cerca per lui un impiego fisso, sicuro. Pensa di
aver risolto il problema, riuscendo ad avere un posto
alla fabbrica di Ceramiche Galvani come disegnato-
re progettista, esperienza che, però, si conclude in
fretta, in sei mesi, non trovando nei suoi superiori
quel clima di collaborazione che si attendeva. Que-
sto è un momento difficile per Pizzinato, un periodo
di sbandamento, ma che riesce a superare vincendo
nel 1936 la borsa di studio Marangoni che gli per-
mette di vivere per tre anni a Roma. Nella capitale
conosce Mafai, Guttuso, Cagli e Modotto, si interes-
sa all’opera di Scipione ed è influenzato dall’espres-
sionismo della scuola romana. Soprattutto si lega
con una forte amicizia a Guttuso che lo ospita per gli
ultimi due anni nel suo studio di Piazza Melozzo da
Forlì. La frequentazione degli ambienti antifascisti
radicalizza la sua posizione politica e l’avversione al
Fascismo si fa sempre più netta e decisa. Lo scop-
pio della seconda guerra mondiale, lo costringe ad
abbandonare Roma. Deve ritornare a Pordenone e
lasciare l’insegnamento di Ornato e Pittura, ottenuto
con l’aiuto di Argan, presso la Scuola d’Arte di Mari-
no Laziale, cittadina vicino a Roma.
Il 1940 è il ritorno a Venezia, un ritorno definitivo in
quanto non abbandonerà più la città. Il suo primo
indirizzo è Calle di Mezzo 4969, vicino al Ponte dei
Bareteri, dove affitta una stanza presso la famiglia
Satin. L’insegnamento di Mosaico e Interpretazione
presso l’Accademia delle Belle Arti gli permette di
Pizzinato e Zaira sul ponte dell’Accademia, 1948
Pizzinato nel suo studio con Zaira e Patrizia,sullo sfondo Bracciante ucciso, 1949
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avere un stipendio regolare, di tranquillizzare sua
madre e di pianificare la sua carriera. Infatti, a Vene-
zia, al contrario di altre città italiane, la vita artistica
continua malgrado la guerra; per esempio l’ultima
Biennale prima della sospensione è del 1942 e le
collettive della Bevilacqua La Masa si svolsero rego-
larmente fino al 1944. Essere protetta dalle distru-
zioni causate dal conflitto, garantiva un’effervescen-
za culturale che solo l’approssimarsi della fine della
guerra con le inevitabili restrizioni riuscirono ad arre-
stare. Nel 1940, Pizzinato è premiato a Roma alla IX
Mostra del Sindacato Interprovinciale Fascista Belle
Arti del Lazio, mentre nello stesso anno il dipinto
Composizione di figure riceve un premio acquisto
d’incoraggiamento del Ministero dell’Educazione
Nazionale al II Premio Bergamo ed entra così a far
parte della collezione della Galleria d’Arte Moderna
di Roma. Nel 1941, l’artista organizza la sua prima
mostra personale alle Botteghe d’Arte in Piazza San
Marco a Venezia; i venti dipinti esposti riscuotono un
grande successo di pubblico, di critica e di vendita.
Nel 1942 partecipa al IV Premio Bergamo, nel 1943
espone alla Galleria del Milione di Milano insieme a
Luciano Gaspari con una presentazione in catalogo
scritta da Virgilio Guidi e nel dicembre dello stesso
anno ha una personale a Venezia alla Galleria del
Cavallino di Carlo Cardazzo. Sempre a Venezia, in-
contra nel 1941 Zaira Candiani di cui si innamorerà
ben presto e dalla quale avrà una figlia, Patrizia, nel-
l’agosto del 1943. Trova uno studio nelle adiacenze
di Campo Sant’Agnese e il nuovo indirizzo di casa,
poco distante, è un appartamento al terzo piano in
Calle dei Frati, 942. Dall’altana si vede la chiesa dei
Gesuati e lo squero di San Trovaso, soggetto che
subito dipinge e che lo ispirerà più volte negli anni
a seguire.
A Venezia, si muove a suo agio nell’ambiente arti-
stico. Ha ritrovato il suo maestro Virgilio Guidi, è in
contatto con Cesetti e riallacciato i rapporti con la
giovane avanguardia: i fratelli Basaldella, Viani, De
Luigi, Santomaso e Vedova. La sua pittura, che a
Roma era influenzata da una ricerca tonale, risente
ora dell’influsso della tradizione europea, soprattut-
to francese. Guarda alla scuola post-impressionista,
s’ispira alla lezione di Picasso e studia la ricerca sul
colore di Matisse. Nel 1943, si rafforza l’interesse
per l’espressionismo - da lui definito “impressioni-
Nello studio di Pizzinato a Venezia. Tra gli altri Vedova,Massimo Rendina, Santomaso ed Emanuelli, 1947
smo di stati d’animo” e per questo rapidamente ri-
pudiato - che insiste sulla deformazione delle linee,
l’accentuazione del ritmo e la liberazione del colore
dall’influenza dell’oggetto. In Lo Squero, un disegno
a carboncino, il tratto libero e veloce accentua la di-
namicità della composizione, mentre nella tempe-
ra I Gondolieri sono i colori che creano la fastosità
della composizione e il bianco esalta lo scintillio dei
ferri delle gondole. In Barche alle Zattere, invece, il
limpido disegno ad inchiostro con pochi, essenziali
tratti ricrea la scena osservata dall’artista dalla fon-
damenta delle Zattere, un luogo questo che ritrove-
remo spesso nella sua opera felicemente declinato
in sempre nuove variazioni.
I tragici fatti legati all’otto settembre 1943 irrompono
nella quotidianità della vita di Pizzinato, interrom-
pendo i suoi progetti. La mostra al Milione di Milano
prima e quella al Cavallino di Venezia poi lo avevano
imposto all’attenzione generale; era stato invitato
a partecipare alla Biennale del 1944, edizione che,
però, fu annullata. Tutto fa pensare che ben presto
il suo valore artistico sarebbe stato riconosciuto a
livello nazionale. Tuttavia, nell’autunno del 1943, col
formarsi di gruppi uniti nella Resistenza, Pizzinato
sente che deve lottare in prima persona contro il Fa-
scismo; non è un sentimento motivato dall’odio, è
vissuto come una cosa giusta da farsi, e in questo
aveva il sostegno della moglie Zaira. Nella disciplina
e nella responsabilità della vita clandestina si rico-
nosce come uomo e inevitabilmente, aderendo alla
lotta partigiana, abbandona i pennelli e smette di di-
pingere. Iscrittosi al Partito Comunista clandestino,
col nome di battaglia Stefano fa parte della Brigata
Biancotto. Diventa il responsabile della stampa e
propaganda della provincia di Venezia; in un primo
tempo mette a disposizione il suo studio di pittore,
poi per ragioni di maggior sicurezza, allestisce una
stamperia clandestina, il Buco Stampa, all’ultimo
piano del palazzo in cui abita in una soffitta cieca e
ben nascosta sotto l’altana. È arrestato dai fascisti
della Brigata Nera di Mestre il 2 gennaio del 1945;
la sua casa è perquisita, ma la stamperia, fortunata-
mente, non è scoperta. Trascorre in prigionia gli ulti-
mi mesi di guerra, in attesa di processo, e il 25 aprile
lo sorprende in Questura dove era stato portato per
degli interrogatori. Complice il caos generale, riesce
a uscire indisturbato e a riguadagnare la libertà.
Inizia così un periodo per Pizzinato segnato da gran-
di speranze e forti ardori, un momento magico, pie-
no di entusiasmi. Riprende a dipingere con slancio
e nasce una grande intesa con Emilio Vedova, arti-
sta e partigiano di nove anni più giovane, col qua-
le sperimenta nuove soluzioni e cerca nuovi motivi
d’ispirazione nelle fabbriche di Marghera, nei can-
tieri della Giudecca, tra le case di Burano. Entrambi
sono alla ricerca di un nuovo linguaggio capace di
rendere la nuova realtà che si sta costruendo. Pizzi-
nato è convinto che con la caduta del fascismo, con
le distruzioni causate dal conflitto, la vecchia società
borghese sia destinata a scomparire. La lotta intra-
Pizzinato nel suo studio di Venezia, 1947
10 11
presa dalla Resistenza antifascista deve continuare
nell’impegno civile per una società più giusta, libe-
ra e democratica. Nel 1946 nella Galleria de l’Arco
alle Prigioni - un’associazione culturale di giovani
di sinistra interessati al teatro, poesia, musica, arti
figurative - Pizzinato e Vedova inaugurano, con un
enorme successo, la loro mostra in comune sulla
Resistenza, costituita da pannelli che con grandi
tempere ne illustrano la storia. Sempre in quest’an-
no prende in affitto la casa alla Salute, in Calle dello
Squero, 33, che diventerà la sua abitazione definiti-
va. In uno slancio, utopistico ma comprensibile se si
pensa all’entusiasmo scatenato da quella stagione
politica irripetibile, segnata dal referendum Repub-
blica e Monarchia del 2 giugno e dalle prime elezio-
ni democratiche, Pizzinato ha scelto di stare dalla
parte dei lavoratori e del partito che li rappresenta.
La sua è una forte militanza politica che lo porta a
ricoprire anche incarichi ufficiali e a partecipare da
protagonista alla vita culturale della città. Frequenta
attivamente la sezione in Campo San Barnaba, di-
segna vignette politiche per il quotidiano “La Voce
del Popolo” e manifesti di propaganda elettorale.
Ricopre incarichi delicati come la presidenza della
Commissione di epurazione per le Accademie e gli
istituti d’Arte. Il Comune di Venezia lo nomina suo
rappresentante nella Commissione per l’assegna-
zione delle Mostre personali e collettive dell’Opera
Bevilacqua La Masa. Costituisce a Venezia un’As-
sociazione autonoma sindacale degli artisti, pittori
e scultori. Si batte per la presenza di rappresentanti
degli artisti nelle maggiori Istituzioni quali la Biennale
di Venezia, la Triveneta di Padova, la Triennale di Mi-
lano e la Quadriennale di Roma.
Contemporaneamente, cerca in pittura un linguag-
gio capace di rappresentare la nuova realtà che si
sta formando, un linguaggio che possa dare forma
Squero, 1943carboncino su carta. cm. 21,2 x 26,5
Gondolieri, 1943tempera su carta, cm. 20,6 x 29,5
Barche alle Zattere, 1943inchiostro su carta, cm. 19,4 x 24,6
12 13
e vita ai nuovi contenuti. La sua adesione al Fronte
Nuovo delle Arti, movimento che ebbe inizio nel-
l’ottobre del 1946, trovò il suo culmine alla Bienna-
le del 1948 per concludersi il 3 marzo del 1950, si
basava su una comunanza etica e morale, più che
su un’estetica, da tutti condivisa. Si deve all’abile
mediazione di Marchiori, critico del gruppo, la ca-
pacità di riunire personalità artistiche così diverse
che, comunque, avevano in comune la posizione
antifascista e l’orientamento politico. La posizione
ufficiale del Fronte non era per un’arte astratta o
anti-astratta, ma impegnava gli artisti a unire le pro-
prie ricerche per un’arte nuova, per un nuovo modo
di vedere la realtà. Il manifesto del gruppo termina
con queste parole: “Pittura e scultura, divenute così
strumento di dichiarazione e di libera esplorazione
nel mondo, aumenteranno sempre più la frequenza
con la realtà. L’arte non è il volto convenzionale della
storia, ma la storia stessa, che degli uomini non può
fare a meno”. Gli artisti del Fronte, superati i vecchi
formalismi, rivendicavano la libertà di espressione
e la necessità di un’arte ispirata ai temi della vita,
alla realtà dell’uomo moderno. Per Pizzinato, e per
molti artisti del Fronte, il primo passo da compiere
era ripartire da zero, fare tabula rasa del passato
per costruire un’arte nuova per una nuova società.
Pizzinato ritiene di aver già studiato la lezione dei
movimenti europei. Impressionismo, espressioni-
smo, cubismo sono stati utili per denunciare la crisi
dell’uomo moderno, ma sono strumenti di indagine
inadatti per raffigurare la dinamicità di una società in
piena evoluzione. Per questi motivi Pizzinato è parti-
colarmente affascinato dalla lezione dei costruttivisti
russi, e si sente più vicino alla poesia di Majakowsky
che non al futurismo di Boccioni. Per esempio, i suoi
dipinti esposti alla Biennale del 1948, I difensori del-
le fabbriche, Cantieri, Canale della Giudecca, Primo
maggio, partono sempre dalla realtà, riproponendo-
ne una sintesi dinamico-costruttivista. La forma non
cede il passo ad una gestualità istintiva, ma è elabo-
rata con rigore, strutturalmente meditata e l’uso del
colore ne accentua la carica espressiva, assumen-
do un forte valore simbolico.
La partecipazione alla Biennale del 1948 segna il
momento più alto della vicenda in comune del Fron-
te, considerato la grande novità del panorama ita-
liano. Alla soddisfazione generale per l’ottenuto ri-
conoscimento, anche in campo internazionale, per
Pizzinato si aggiunse una gratificazione personale
rappresentata dall’acquisto della tela Primo maggio
da parte della collezionista americana Peggy Gug-
genheim, la cui collezione esposta nel Padiglione
greco fu l’altra grande attrattiva di quell’edizione.
Tuttavia, un dubbio rimane in Pizzinato: Peggy Gug-
genheim ha comprato il quadro perché le piace, lo
trova originale e interessante nelle forme, ma sem-
bra del tutto indifferente ai suoi contenuti politici e
sociali. Primo maggio è idealmente dedicato alle lot-
te dell’uomo per la sua emancipazione e per il suo
avvenire. Ma se il contenuto fosse stato più eviden-
te, più esplicito, come si sarebbe comportata? La ri-
sposta la ebbe due anni dopo, sempre alla Biennale,
quando osservando Un fantasma percorre l’Europa
Peggy Guggenheim gli disse con garbo che faceva
troppe figure. Un modo educato per dirgli che non
era interessata al suo lavoro realista. Per Pizzinato,
invece, l’arte non deve rivolgersi a un’élite raffinata,
a un pubblico di privilegiati, ma indirizzarsi a tutti gli
uomini e servire a creare una società di uomini liberi.
Già nel suo testo Gli artisti chiedono pareti da di-
pingere pubblicato in “L’Unità” afferma che la nuova
realtà storica in corso vede l’avanzata delle classi
lavoratrici. Come i Papa e i Re hanno saputo inco-
raggiare e promuovere artisti che hanno interpretato
la loro storia, nello stesso modo il Partito Comunista
deve creare occasioni di lavoro per gli artisti, dan-
do loro muri da dipingere e statue da scolpire per
raccontare la nuova storia che vede protagonista
la classe dei lavoratori. Alla luce di quanto detto,
la posizione artistica di Pizzinato appare più chiara
quando nell’autunno di quell’anno un breve articolo
di commento alla mostra d’arte organizzata a Bolo-
gna dall’Alleanza della Cultura apparso anonimo su
“Rinascita” provocò la feroce polemica tra Astrat-
tisti e Realisti. Una polemica molto violenta anche
perché Togliatti, fu considerato l’autore di questo
testo che conteneva in nome del “buon senso co-
mune” una pesante quanto rozza e semplicistica
Squero di San Trovaso, 1947olio su tela, cm. 45 x 55,5
14 15
critica all’arte non figurativa. Sull’onda delle discus-
sioni sulla posizione da tenere in vista della ormai
prossima partecipazione alla Biennale del 1950, lo
scontro divampò anche tra gli artisti componen-
ti il Fronte Nuovo. Due punti di vista, radicalmente
opposti, si fronteggiavano: uno più politico vedeva
uniti Guttuso e Pizzinato nell’adesione al Realismo
per affermare i contenuti della nuova realtà sociale
e uno di difesa delle esperienze astratte invocato da
tutti gli altri componenti. Santomaso non accettava
la messa al bando da parte del Partito dei movimen-
ti europei, riconoscendone, al contrario, gli apporti
positivi nella formulazione di un nuovo linguaggio.
La posizione di Vedova, più libertaria, rifiutava l’idea
stessa che il Partito indicasse agli artisti la via da se-
guire. L’inconciliabilità tra le due fazioni, determinò la
scissione, provocando il definitivo scioglimento del
Fronte sancito in una riunione al ristorante all’Angelo
il 3 marzo 1950.
Come abbiamo visto, l’interesse di Pizzinato è sem-
pre stato rivolto alla realtà; all’indomani della Libera-
zione, intesa come vitalistico slancio di riappropria-
zione della propria libertà e, in questo senso, l’ade-
sione al Fronte nuovo rappresentava il superamento
di una esperienza individuale; ora invece, la fede
politica spinge Pizzinato a spogliarsi delle contrad-
dizioni di una educazione borghese per diventare
“un’intellettuale organico” nell’accezione formulata
da Gramsci. L’adesione al Realismo italiano, quindi,
è vissuta da Pizzinato come la conclusione logica di
un cammino coerente verso un umanesimo sociali-
sta. Questo percorso trova ampia corrispondenza
nella linea ideologica del Partito che, nel periodo
della guerra fredda, si impone come dominante. Si
assiste quindi ad una progressiva svalutazione e al
rifiuto delle conquiste dell’arte europea, per esaltare
al contrario “un’arte nazional-popolare”, presto iden-
tificata nella “tradizione italiana”, che quindi è indica-
ta con sempre maggiore insistenza come la sola via
per il realismo socialista. L’Umanesimo marxista affi-
da all’intellettuale il compito di “andare verso il popo-
lo”. La sua azione culturale, di impegno politico e di
lotta ideale, è la continuazione della battaglia iniziata
con la Resistenza che prosegue ora con l’impegno
nella società civile a difesa della nuova realtà sociale
rappresentata dal proletariato, operai e contadini.
Con orgoglio, espone queste idee alla Biennale del
1950 con Un Fantasma percorre l’Europa, quadro
che celebra i cento anni del Manifesto di Marx. Il
fantasma vola alto nel cielo salutato da contadini e
operai in festa e, portatore di un simbolico di vitto-
ria, la sua immagine riprende, ma rovesciata, quel-
la del contadino che giace per terra nel Bracciante
ucciso del 1949. Ai due lati del Fantasma, come un
trittico inneggiante ai lavoratori, erano esposte due
tele: Terra, non guerra, a favore delle lotte agrarie
dei braccianti contro lo sfruttamento dei latifondisti
e I difensori delle fabbriche, rappresentazione del
mondo industriale, il cui titolo rimanda alle lotte degli
operai che salvarono le fabbriche di Marghera dalla
distruzione tedesca.
L’estetica realista di Pizzinato segue un indirizzo pre-
ciso e rigoroso. Pizzinato, lontano da un pensiero
idealista, cerca l’ispirazione nella realtà concreta e si
rivolge ad un pubblico che rappresenta una precisa
realtà sociale, i lavoratori. Quindi, il suo linguaggio
artistico deve essere comprensibile a questo nuovo
pubblico, e saperne interpretare gli ideali e i valori.
Progressivamente, la pittura di Pizzinato si spoglia
di ogni connotazione astratta e alla ricerca di una
obiettività rigorosa, si libera di contenuti poetici,
facilmente trasformabili nell’espressione di un indi-
vidualismo decadente. Il cinema neorealista e la fo-
tografia danno un aiuto nella formulazione di questa
via originale al Realismo socialista. Ispirato dall’effi-
cacia rappresentativa di un’inquadratura ben scelta,
dall’importanza del singolo fotogramma magnificato
dalle scelte operate in fase di montaggio, Pizzinato
costruisce con sapienza le proprie composizioni,
spesso i protagonisti sembrano immobili, come se
la scena fosse stata colta in un istante. Spesse linee
contornano le figure per bloccarne la posizione ed
aumentare la solennità della rappresentazione. In
Terra, non guerra, l’artista ha scelto di rappresenta-
re al centro della tela il lavoratore nell’atto di picco-
nare la terra; gesto che esprime il desiderio di ogni
uomo di poter vivere in pace col frutto del proprio
lavoro; ma il piccone, più di una vanga o una zap-
pa, connota in sé l’idea della lotta che ogni uomo è
disposto a combattere per affermare i propri diritti.
L’artista per aumentare la dinamicità della scena, ri-
duce volutamente l’inquadratura ad un primo piano;
infatti, taglia una ruota del carro e il piccone in mano
al secondo uomo sullo sfondo, mentre, a destra la
presenza di un terzo protagonista è semplicemente
suggerita dallo strumento di lavoro sospeso in aria.
In questo modo, Pizzinato coinvolge lo spettatore
affidandogli il compito di completare mentalmente la
scena da lui immaginata, riunendone tutti i dettagli e
sviluppandone il racconto.
Pizzinato ama fotografare strade e case di Venezia
e fissare negli scatti scene di vita quotidiana; la fo-
tografia diventa in questo modo un suo personalis-
simo strumento di indagine. Spesso i protagonisti
sono gli operai al lavoro nei cantieri stradali, scal-
pellini muratori, o scaricatori di carbone e di sale al
lavoro sulle barche accostate alla riva. La dura fati-
ca dell’operaio è riproposta anche in veloci schizzi
dove studia le diverse posizioni o immagina le com-
posizioni migliori per sviluppare un racconto credi-
bile, ricco di contenuti. Nella Biennale del 1952, cui
era stato invitato con nove opere, ma dove riuscirà
a presentarne solo cinque, tre dipinti sono dedicati
al tema del lavoro. In Falciatori affronta un tema che
sente difficile per lui e del quale trova pochi modelli
in pittura, mentre abbondano immagini nelle riviste
sovietiche inneggianti ai successi dell’economia so-
cialista e nei libri di fotografia. In Guardafili si ritrova
in chiave realista l’immagine dei due operai al lavo-
ro arrampicati sul palo già elaborata in precedenza,
mentre con Scaricatori di sale cerca di introdurre
una nuova visione del paesaggio, scaturita da una
personale ricerca fotografica. Questa è una Venezia
affrontata per la prima volta; gli operai, che lavorano
su una barca in riva alle Zattere, sono i personaggi
principali e naturalmente sono ritratti in primo piano;
tuttavia, sullo sfondo, in maniera inedita e sorpren-
dente, la città lagunare si trasforma in un magnifico
fondale con l’ampio arco del Bacino, l’isola di San
Giorgio e la Giudecca.
Le altre due tele affrontano, invece, temi storici; uno,
di stretta attualità, denuncia la fucilazione di Belo-
yannis, l’eroe comunista greco, e pone l’attenzione
sulla minaccia sempre attuale del pericolo fascista.
Pizzinato tratta questo tema in modo nuovo; volendo
rappresentare quello che Beloyannis vide per l’ulti-
Barche [1952]matita su carta, cm. 12,6 x 15,3
16 17
ma volta, mette lo spettatore al suo posto. In una
notte buia, un ufficiale comanda il plotone di esecu-
zione, formato da quattro soldati coi Thompson mi-
nacciosamente puntati in avanti, in un cortile di una
caserma, alla luce dei fari degli automezzi. In alto si
intravede il Partenone, L’altro dipinto rappresenta la
Liberazione di Venezia, ed esalta il mito della Resi-
stenza su cui si fonda la Costituzione della Repub-
blica italiana. Il 25 aprile 1945 fu per Pizzinato anche
il giorno della ritrovata libertà, dopo quattro mesi di
carcere fascista. La scena di questo quadro ha di
nuovo il sapore di un fotogramma bloccato. Men-
tre i partigiani avanzano vittoriosi, i tedeschi sconfitti
alzano le mani in segno di resa, le armi gettate a
terra. Sul ponte nello sfondo altri uomini sventolano
un tricolore e una bandiera rossa. Non a caso, Pizzi-
nato sceglie di ambientare questa scena nel campo
intitolato a Daniele Manin, eroico difensore dell’indi-
pendenza di Venezia, con l’evidente scopo di unire
i nuovi valori resistenziali con quelli sempre attuali
espressi dai moti risorgimentali per l’Unità italiana.
Gli stessi temi sono espressi anche nella parteci-
pazione alla Biennale del 1954: l’eroico sacrificio
degli uomini rappresentato in Difesa di Venezia, di-
pinto che ricorda il feroce assedio degli austriaci del
1848, rivive nei volti dei protagonisti di Fucilazione
di patrioti, italiani di ogni condizione e classe - si ri-
conosce il contadino, l’operaio in tuta, l’intellettuale
in camicia e l’anziana donna, laica mater dolorosa
- tutte vittime innocenti della ferocia fascista. Gli
altri dipinti ripropongono motivi di una Venezia mi-
nore come Ponte della Ferrovia o scene reali tratte
dall’osservazione diretta come Ragazzo in barca o
Operaio sull’impalcatura. Come si può osservare nel
cartone preparatorio di quest’ultimo dipinto, la posa
del protagonista ricalca quella dell’operaio fotogra-
fato a Venezia da Pizzinato, ma l’artista ha voluto
aggiungere alla composizione questa visione dall’al-
to di un’isola lagunare, forse Murano, che se da una
parte risulta convincente nella resa realistica delle
case, così sospese tra il mare e il cielo, dall’altra
idealizza efficacemente il lavoro dell’operaio. Anche
per il dipinto Treno sul Ponte della Ferrovia si ha la
prova di una documentazione fotografica da parte
dell’artista che ricerca a Venezia nuovi spunti con
un gusto personale e originale. Tuttavia quello che
la fotografia ha catturato di questo fabbricato indu-
striale a fianco del ponte è trasformato dall’artista in
un prezioso gioco cromatico, intriso di luce, di linee
orizzontali, che rafforzano la massa nera del treno
contrapposta al bianco avorio dell’edificio.
Dopo il 1954 e fino al 1966 Pizzinato non è più invi-
tato alla Biennale. I primi due anni lo vedono impe-
gnato nella realizzazione degli affreschi per la Sala
Consiliare del Palazzo della Provincia di Parma, la
committenza più importante ricevuta in questo pe-
riodo e sicuramente l’esito più alto della sua adesio-
ne al Realismo. Purtroppo, nell’anno in cui si celebrò
il compimento del suo lavoro e fu inaugurata con
grande successo la sala, la Commissione culturale
del Partito Comunista decretò la fine del movimento
realista, decidendo di considerare conclusa questa
esperienza e di lasciare a ciascun artista la libertà
di esprimersi seguendo la propria ricerca. Per Piz-
zinato, che aveva sempre creduto nel Partito, fu un
duro colpo che però non lo spezzò. Preferì isolarsi e
lavorare in solitudine, continuando con ostinazione
ad essere fedele a se stesso e ai suoi principi, come
si può vedere, per esempio, in Pescatori, quadro di-
pinto nel 1959, dove con il lavoro in laguna, motivo
questo legato a Venezia, si esalta un mestiere il cui
risultato è data da uno sforzo corale. L’importante
retrospettiva organizzata alla Bevilacqua La Masa
nel 1962 è il giusto riconoscimento che la città di Ve-
nezia dedica a un artista ormai pienamente inserito
nella vita culturale della città. Nella nota pubblicata
in catalogo Pizzinato cerca con molta onestà critica
di fare il punto della sua vicenda artistica, spiegan-
do il suo percorso dagli anni giovanili al periodo del
Fronte fino al momento attuale del Realismo. La sua
ricerca, spiega, si è sempre rivolta alla realtà ma con
un linguaggio che fosse chiaramente comprensibile
a tutti. Pur ammettendo iniziali errori da parte dei
realisti, pur constatando che la confusione è grande
e che molte sono le strade per arrivare a una soluzio-
ne, resta ancora convinto che il movimento realista
fosse il giusto cammino da percorrere. Purtroppo,
durò troppo poco, solo cinque anni, per permette-
re ai suoi componenti di correggere le impostazioni
Treno sul Ponte della Ferrovia, 1953olio su tela, cm. 27 x 46
Ponte della ferrovia, Venezia
18 19
sbagliate e di superare gli errori. Dal canto suo non
vuole seguire le mode e conclude il suo scritto con
la speranza di avere la forza di continuare a percor-
rerla. Frase questa, simile a una preghiera, che fa
comprendere quanti dubbi abbiano agitato l’animo
dell’artista. Tuttavia fu un evento imprevisto, più che
le riflessioni sul suo lavoro esposto in mostra, a co-
stringerlo a riconsiderare radicalmente il suo modo
di dipingere. Nel dicembre di quell’anno, l’improvvi-
sa morte di Zaira lo getta in una profonda dispera-
zione che gli impedisce di dipingere. È un momento
di grande crisi. Abbattuto da un dolore immenso,
aggrappato a una concezione troppo radicale della
realtà, è incapace di toccare i pennelli, di raccontare
sulla tela la scomparsa di Zaira. Provvidenziale fu
l’intervento di Mazzariol, critico d’arte e suo grande
amico, che recatosi nella sua abitazione per invitarlo
a partecipare alla Mostra di Pittura di La Spezia, di
fronte alla paralisi creativa di Pizzinato, gli suggerì
di iniziare dipingere gli alberi del giardino di casa,
un piccolo spazio dove, all’ombra di una enorme
magnolia, si era formata una vegetazione del tut-
to spontanea e casuale, con un fico e delle palme,
circondata da un glicine color lilla e bianco. Fu un
consiglio prezioso dal quale nacque la bellissima
serie, profondamente ispirata, “Dal giardino di Zaira”
che fu accolta con favore a La Spezia, esposta alla
personale della Galleria Gianferrari, alla Fondazione
Querini nel 1964 e, con una sala personale presen-
tata da Mazzariol, alla XXXIII Biennale nel 1966. Con
queste opere, Pizzinato non abbandona la realtà, ma
ne amplifica gli orizzonti, con una lettura più libera e
lirica del paesaggio. Il Giardino di Zaira diventa un
luogo magico, espressione anche della città che lo
circonda e che lo inonda della sua luce e ne amplifi-
ca le ombre. Pizzinato ritrova la felicità del dipingere
e questa forma di neo-naturalismo gli fa riscoprire la
bellezza di un soggetto in continua trasformazione,
sottoposto come è al cambio delle stagioni, alle mu-
tevoli condizioni climatiche, al trascorrere delle ore.
A questa nuova serenità spirituale contribuisce an-
che la presenza di Clari, che, conosciuta nel febbraio
del 1966 diventerà la sua seconda moglie. L’arrivo di
Clari nella vita di Pizzinato segna un cambiamento
in positivo di grande importanza; Pizzinato si sente
trascinato dalla vitalità e dalla prorompente perso-
nalità di Clari e nel suo testo per la mostra al Correr
non esita a renderle omaggio definendo il periodo
che stanno vivendo insieme tra i più fortunati e feli-
ci. Pizzinato divide con Clari l’emozione del grande
riconoscimento internazionale delle mostre a Mosca
e a San Pietroburgo (all’epoca Leningrado) nel 1967
e a Berlino e a Dresda nel 1968. Clari diventa la sua
musa ispiratrice ritratta numerose volte in dipinti e
disegni fino alle grandi composizioni con figure del
1972 e 1974 che rendono omaggio a Matisse. Assie-
me a lei ha scoperto nel viaggio in Russia i fortunati
motivi dei gabbiani e delle betulle, declinati in sem-
pre nuove e differenti variazioni. Tra le serie più felici
sono i quadri dedicati a Venezia, in genere vedute di
angoli minori della città, sovente legate ai suoi per-
corsi quotidiani. Una Venezia personale, elaborata
razionalmente, e alla quale è sempre più intimamen-
te legato. Pizzinato la ricerca sia con sue fotografie,
sia anche collezionando cartoline turistiche. Definita
la scena, le architetture sono sintetizzate in forme
Operaio al lavoro, Venezia Operaio sull’impalcatura, 1954olio su cartoncino incollato su compensato, cm. 98,5 x 69
20 21
solide geometriche, le linee di forza ne colgono la di-
namicità e ne sottolineano lo spazio con vibranti ed
energici segni. Sebbene le struttura architettoniche
siano sempre articolate in maniera precisa, il colore
riesce a riproporne la sottile atmosfera della città e
la sua caratteristica luminosità. Tra i suoi soggetti
preferiti si riconosce la riva delle Zattere con i suoi
pontili e barconi ormeggiati. Spesso sullo sfondo
si staglia il Redentore, immagine questa riproposta
numerose volte fino ad arrivare progressivamente al
limite dell’astrazione, diventando la composizione
un pretesto per uno studio sulla luce e sul colore.
Si ritrovano anche il campo di San Vio che si af-
faccia sul Canal Grande vicino al Cantinone Storico,
locale a cui era affezionato fin dai tempi della guer-
ra; lo squero e la Chiesa di San Trovaso, immagine
questa tra le più amate; il ponte dopo la Toletta; il
Campo San Barnaba e la riva su cui si affacciava la
sua sezione di partito; il mercato di Rialto, la Scuola
Grande di San Marco con il rio della Misericordia e
molti altri ancora .
La mostra al Correr del 1981, a 71 anni, segna il
definitivo successo di Pizzinato, e finalmente
Pizzinato rivendica la conquista di quella sere-
nità d’animo a lungo cercata e si riconcilia piena-
mente con la sua storia vissuta. Né poteva esser al-
trimenti quando a introduzione del catalogo e della
mostra Pizzinato pone una poesia di Zanzotto che
ama molto, La contrada, poema che lo ispira fino a
diventare una sorta di manifesto personale. Pizzina-
to ha sempre cercato di comprendere e di difende-
re la “Zauberkraft “ raccontata da Zanzotto, questa
“forza magica” di un luogo che ne racchiude la verità
e la bellezza. E il seme racchiuso in questa poesia,
lentamente, nel corso degli anni cresce e si sviluppa
nella mente dell’artista, diventando nel 1992 il libro
Poffabro luogo magico, bellissima testimonianza au-
tobiografica di amore verso la propria terra natale,
finalmente considerata a pieno titolo la terra-madre.
Riconoscendo la forza magica di un luogo nel quale
si è cresciuti, si ammette l’importanza delle radici
che hanno plasmato la nostra storia e nutrito il no-
stro carattere. La forza magica è soprattutto amore
verso la nostra terra, che, quindi, non può essere
altro che amore verso la propria vita. Già nel 1981
la Zauberkraft evocata da Zanzotto spinge Pizzina-
to a scrivere un testo sul Gazzettino, una pressante
richiesta di aiuto diretta alla Soprintendenza in dife-
sa del chiostro adiacente alla chiesa della Madon-
na dell’Orto e a protezione del campo del Ghetto,
due luoghi di Venezia da lui molto amati, ma il primo
Pescatori, 1961olio su compensato, cm. 132 x 90
Pescatori [1956-57]matita su carta, cm. 15,7 x 9,7
Pescatore [1956-57]matita su carta, cm. 13,1 x 20,9
22 23
Marzo, 1965olio su tela, cm. 68 x 49
Piante, 1963matita e pastello su carta, cm. 35 x 25
24 25
minacciato da un vergognoso degrado provocato
dall’incuria dell’uomo, il secondo invece indifeso da
restauri irrispettosi del luogo. L’artista chiede che
venga rispettato il senso e il significato di questo
luogo, che ha accolto per secoli gli Ebrei e ne ha
visto le sofferenze, senza che restauri improvvisa-
ti ne tradiscano o peggio distruggano l’intima sua
natura. Non a caso, il campo del Ghetto, come un
cerchio che si conclude, ci riporta all’inizio di que-
sto testo, al disegno del 1932 e alle passeggiate e
alle conversazioni di Pizzinato con Turcato. L’ultimo
periodo di Pizzinato si conclude sotto il segno della
Zauberkraft. Riconciliato al suo Friuli, al suo paese
natale, Pizzinato riconosce anche la forza magica di
Venezia e il nutrimento spirituale ricevuto. Pizzinato
affronta con energia il suo ultimo ciclo di pitture, de-
finito da Mazzariol, “Preludio per un quarto tempo”.
Elabora grandi geometrie che rispondono a un rigo-
roso ordine interno dove ogni elemento riposa su un
purissimo equilibrio di luce e colori. La pennellata si
fa più rada, il colore tesse gli accordi, anima i con-
trasti, fa vibrare le forme e la tecnica delle velatura
costruisce lo spazio. Sono composizioni astratte di
assoluta libertà, dove la realtà esteriore convive con
il suo mondo interiore. per affermare ancora una
volta il suo messaggio d’artista a difesa dell’uomo,
della sua dignità e della sua libertà.
Casimiro Di Crescenzo
Clari, 1970olio su tela, cm. 38,5 x 26,5
Pizzinato e Clari al Lido di Venezia, 1966
26 27
Gabbiani [s.d.]olio su tela, cm. 100 x 70
Venezia, 1970olio su tela, cm. 41 x 51
28 29
Canale della Giudecca, 1980gessetti su carta grigia, cm. 24 x 29,6
Volo di gabbiani, 1980matita su carta, cm. 48,3 x 34,3
Venezia (Punta della Dogana e Salute) [c. 1971]olio su tela, cm. 80 x 140
Punta della dogana, Venezia
30 31
Studio per Due ponti, 1972matita su carta, cm. 23,3 x 34,6
Rio della Toletta, Venezia
San Barnaba, s.d. [anni 70]olio su tela, cm. 50 x 70
32 33
Venezia, [s.d.]olio su tela, cm. 50 x 70
Senza titolo, [s.d.]tecnica mista su carta, cm. 42 x 52
Barconi alle Zattere, sullo sfondola Chiesa del Redentore, Venezia
34 35
Venezia, [s.d.]
olio su tela, cm. 50 x 70
Studi, 1970penna e inchiostro su carta, cm. 28,1 x 24,1
Gabbiani, s.d.pennarelli su carta, cm. 32,2 x 23,9
36 37
Ponte a San Trovaso, s.d.olio su tela, cm. 40,5 x 70
Rio e squero di San Trovaso, Venezia
38 39
Canale veneziano, [1972 ca.]olio su tela, cm. 52 x 62
Venezia (Paesaggio lagunare), s.d.olio su tela, cm. 43 x 56,3
40 41
Ponte a San Trovaso, s.d.olio su tela, cm. 30 x 40
Campo San Trovaso, Venezia
42 43
[Composizione], s.d. [1980 ca.]olio su tela, cm 70 x 50
Forma spaziale, 1983tempera su carta intelata, cm. 58 x 43,5
44 45
Gabbiani, 1971olio su tela, cm. 80 x 60
46 47
CENNI BIOGRAFICI
Armando Pizzinato nasce il 7 ottobre 2010 a Mania-
go (PN) dove suo padre, Giovanni Battista, che ave-
va sposato il 12 gennaio di quell’anno Andremonda
Astolfo, è proprietario del noto Caffè dell’Unità Ita-
liana, posto all’angolo di Piazza Maggiore, attuale
Piazza Italia. Fin da bambino sviluppa una passione
per il disegno. Una dolorosa sciagura lo sorprende,
quando il 1 ottobre 1922, suo padre si suicida per
dissesti finanziari, gettandosi in acqua alla Dogana,
il porto fluviale di Pordenone.
Nell’ottobre del 1923 con la famiglia si trasferisce a
Pordenone. Dopo saltuari lavori, migliorate le condi-
zioni di vita, può iscriversi nel 1930 all’Accademia di
Venezia, sotto l’insegnamento di Virgilio Guidi. Prime
amicizie artistiche con Turcato e Afro. Nel 1936, vin-
ta la Borsa Marangoni a Udine, è a Roma dove fre-
quenta il gruppo della Cometa: Mafai, Cagli, Mirko,
Capogrossi e poi Guttuso. Lo scoppio del conflitto
bellico lo riporta nel 1940 a Venezia che è diventata
la sua città di adozione. Qui, per molti anni, è do-
cente all’Accademia di Belle Arti e al Liceo Artistico
di Venezia. Nel 1941 incontra Zaira Candiani che più
tardi diventerà sua moglie e dalla quale, nell’agosto
del 1943, avrà un’unica figlia, Patrizia. Nell’autunno
del 1943 fino al 1945 interrompe l’attività di pittore
e partecipa attivamente alla Resistenza; arrestato
dai fascisti il 2 gennaio 1945, è imprigionato a Santa
Maria Maggiore fino al 25 aprile, giorno della Libera-
zione. Riprende a dipingere e nel 1946 è fra i promo-
tori del Fronte Nuovo delle Arti, il primo movimento
artistico italiano dopo la caduta del Fascismo, uffi-
cialmente riconosciuto nella Biennale del 1948. La
polemica tra astrattisti e realisti segna la fine del
Fronte nel marzo del 1950; Pizzinato aderisce, in-
sieme a Guttuso, al movimento del Realismo italiano
nelle cui sale esporrà alla XXV Biennale dello stes-
so anno. Nel 1953 si aggiudica il concorso, bandi-
to dall’Amministrazione Provinciale di Parma, per la
decorazione della Sala Consigliare. Questo ciclo di
affreschi, che lo impegna fino al 1956, è l’esperienza
fondamentale di questi anni. Su invito di Pizzinato,
Carlo Scarpa si occupa dell’arredamento e della si-
stemazione delle pareti. Fedele alla rappresentazio-
ne della nuova realtà sociale, proletaria e contadina,
rappresentata politicamente dal Partito Comunista,
rimane legato al movimento realista fino al 1962,
molti anni dopo la brutale sconfessione operata dal-
la Commissione culturale del Partito nel 1956; da
questa data Pizzinato visse in una forzata solitudine
accettata con rassegnato stoicismo. Fu l’improvvi-
sa morte della moglie Zaira nel dicembre del 1962
a provocare una profonda crisi artistica e l’esaurir-
si dell’esperienza realistica. Il fecondo dialogo con
Mazzariol lo porta già nel marzo del 1963 al periodo
neonaturalistico, iniziato dalla felice serie “dal giar-
dino di Zaira”, e con la quale giunge ad una piena
libertà espressiva utilizzando forme sia dinamiche,
sia astratte o figurative ma sempre fedele ad una
visione costruttiva della realtà. A questa rinnovata
felicità nell’arte non è estranea, nella vita, l’incontro
nel febbraio del 1966 con Clari, che diventerà la sua
seconda moglie, nuova modella per una ricca serie
di ritratti e figure, e feconda musa ispiratrice di for-
tunati motivi, tra i quali la serie di dipinti “I Gabbiani”,
“Le Betulle”, “Le Venezia”. Oltre alla partecipazio-
ne alle edizioni della Biennale di Venezia del 1948,
1950, 1952, 1954 e 1966, ricordiamo, tra la mostre
più significative, quella alla Bevilacqua La Masa del
1962, le grandi mostre a Mosca e a Leningrado nel
1967 e a Berlino e Dresda nel 1968, la retrospetti-
va a Pordenone del 1970, e quella al Museo Cor-
rer del 1981 che rappresentò la sua consacrazione
definitiva. Pizzinato non si ferma qui, ma la ricerca
di nuovi orizzonti, il raggiungimento di una piena li-
bertà interiore, lo spingono verso traguardi maggio-
ri. Inizia così quello che sarà l’ultimo ciclo della sua
pittura, con critica intelligenza definito da Mazzariol
il “Preludio per un quarto tempo”. Grandi dipinti por-
tatori di una nuova astrazione costruita su rigorose
geometrie. Pubblica il libro Poffabro luogo magico,
dedicato alla sua terra natale, dove mescola ricor-
di autobiografici alla denuncia costruttiva contro la
speculazione edilizia, la distruzione del paesaggio
e restauri architettonici dissennati. Un alto monito
a difesa del rispetto dei luoghi e della loro memo-
ria. Ormai anziano, ha il tempo di occuparsi della
grande retrospettiva che si tiene alla Villa Manin di
Passariano nel 1996. Per lui, l’ultima occasione di
vedere riuniti insieme i suoi dipinti sparsi in Italia e
nel mondo in importanti istituzioni pubbliche e nu-
merose collezioni private. L’artista muore all’età di 93
anni il 17 aprile del 2004. Le sue ceneri riposano nel
Cimitero di San Michele a Venezia.
Pizzinato alla Fondazione Levi in occasione del suonovantesimo compleanno, 2000 foto Elio Montanari