Aristotele - Politica. Brani Scelti e Sintesi Dei Libri

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Politica. Brani scelti e sintesi dei Libri Aristotele Pubblicato: 2012 Categoria(e): Tag(s): "Filosofia politica" 1

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Sintesi e brani tratti da POLITICA

Nel Libro I  Aristotele illustra il metodo seguito nella ricerca sulla politica,

consistente nella ricostruzione storica dell'origine della polis partendo dalle for-me associative più semplici. La prima forma associativa è la famiglia, seguitadalla famiglia estesa e dal villaggio. Un insieme di villaggi costituisce lo Stato.Dal punto di vista logico, però, lo Stato è originario, perché è il tutto che spiegale singole parti, è l'atto realizzato cui tende la dinamica precedente.

ARISTOTELE O1

“La comunità che risulta di più villaggi è lo stato, perfetto, che rag-giunge ormai, per così dire, il limite dell'autosufficienza completa: for-mato bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possi-

 bile una vita felice. Quindi ogni stato esiste per natura, se per natura esi-stono anche le prime comunità: infatti esso è il loro fine e la natura è il fi-ne: per esempio quel che ogni cosa è quando ha compiuto il suo svilup-

po, noi lo diciamo la sua natura, sia d'un uomo, d'un cavallo, d'una casa.Inoltre, ciò per cui una cosa esiste, il fine, è il meglio e l'autosufficienza èil fine e il meglio. Da queste considerazioni è evidente che lo stato è unprodotto naturale e che l'uomo per natura è un essere socievole: quindichi vive fuori della comunità statale per natura e non per qualche caso oè un abietto o è superiore all'uomo, proprio come quello biasimato daOmero “privo di fratria, di leggi, di focolare”[1]: tale è per natura costuie, insieme, anche bramoso di guerra, giacché è isolato, come una pedinaal gioco dei dadi. È chiaro quindi per quale ragione l'uomo è un essere

socievole molto più di ogni ape e di ogni capo d'armento. Perché la natu-ra, come diciamo, non fa niente senza scopo e l'uomo, solo tra gli anima-li, ha la parola: la voce indica quel che è doloroso e gioioso e pertantol'hanno anche gli altri animali (e, in effetti, fin qui giunge la loro natura,di avere la sensazione di quanto è doloroso e gioioso, e di indicarselo avicenda), ma la parola è fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò cheè nocivo e, di conseguenza, il giusto e l'ingiusto: questo è, infatti, propriodell'uomo rispetto agli altri animali, di avere, egli solo, la percezione del

 bene e del male, del giusto e dell'ingiusto e degli altri valori: il possesso

comune di questi costituisce la famiglia e lo stato. E per natura lo stato è

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anteriore alla famiglia e a ciascuno di noi perché il tutto dev'essere neces-sariamente anteriore alla parte: infatti, soppresso il tutto non ci sarà piùné piede né mano se non per analogia verbale, come se si dicesse unamano di pietra (tale sarà senz'altro una volta distrutta): ora, tutte le cose

sono definite dalla loro funzione e capacità, sicché, quando non sono piùtali, non si deve dire che sono le stesse, bensì che hanno il medesimo no-me. È evidente dunque e che lo stato esiste per natura e che è anteriore aciascun individuo: difatti, se non è autosufficiente, ogni individuo sepa-rato sarà nella stessa condizione delle altre parti rispetto al tutto, e quin-di chi non è in grado di entrare nella comunità o per la sua autosufficien-za non ne sente il bisogno, non è parte dello stato, e di conseguenza è o

 bestia o dio.

Per natura, dunque, è in tutti la spinta verso siffatta comunità, e chiper primo la costituì fu causa di grandissimi beni. Perché, come, quand'èperfetto, l'uomo è la migliore delle creature, così pure, quando si staccadalla legge e dalla giustizia, è la peggiore di tutte. Pericolosissima èl'ingiustizia provvista di armi e l'uomo viene al mondo provvisto di armiper la prudenza e la virtù, ma queste armi si possono adoperare special-mente per un fine contrario.

Perciò, senza virtù, è l'essere più sfrontato e selvaggio e il più volgar-

mente proclive ai piaceri d'amore e del mangiare. Ora la giustizia è ele-mento dello stato; infatti il diritto è il principio ordinatore della comunitàstatale e la giustizia è determinazione di ciò che è giusto.”

Politica, I, 2, 1252b-1253a, pp. 6-7.

La famiglia è caratterizzata da tre tipi di rapporto: padrone e servo, marito emoglie, padre e figli. Lo schiavo è considerato uno strumento di proprietà del pa-drone e la sua condizione è giudicata da Aristotele come naturale.

ARISTOTELE O2

“Poiché la proprietà è parte della casa e l'arte dell'acquisto è parte

dell'amministrazione familiare (infatti senza il necessario è impossibile

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sia vivere sia vivere bene), come ogni arte specifica possiede necessaria-mente strumenti appropriati se vuole compiere la sua opera, così deveaverli l'amministratore. Degli strumenti alcuni sono inanimati, altri ani-mati (ad es. per il capitano della nave il timone è inanimato, l'ufficiale di

prua è animato; in effetti nelle arti il subordinato è una specie di stru-mento): così pure ogni oggetto di proprietà è strumento per la vita e laproprietà è un insieme di strumenti: anche lo schiavo è un oggetto diproprietà animato e ogni servitore è come uno strumento che ha prece-denza sugli altri strumenti. Se ogni strumento riuscisse a compiere la suafunzione o dietro un comando o prevedendolo in anticipo <e>, come di-cono che fanno la statue di Dedalo o i tripodi di Efesto i quali, a sentire ilpoeta, “entran di proprio impulso nel consesso divino”[2] così anche lespole tessessero da sé e i plettri toccassero la cetra, i capi artigiani non

avrebbero davvero bisogno di subordinati, né i padroni di schiavi. Quin-di i cosiddetti strumenti sono strumenti di produzione, un oggetto diproprietà, invece, è strumento d'azione: così dalla spola si ricava qualco-sa oltre l'uso che se ne fa, mentre dall'abito e dal letto l'uso soltanto. Inol-tre, poiché produzione e azione differiscono specificamente ed hanno en-trambe bisogno di strumenti, è necessario che anche tra questi ci sia lastessa differenza. Ora la vita è azione, non produzione, perciò lo schiavoè un subordinato nell'ordine degli strumenti d'azione. Il termine“oggetto di proprietà” si usa allo stesso modo che il termine “parte”: la

parte non è solo parte d'un'altra cosa, ma appartiene interamente aun'altra cosa: così pure l'oggetto di proprietà. Per ciò, mentre il padrone èsolo padrone dello schiavo e non appartiene allo schiavo, lo schiavo nonè solo schiavo del padrone, ma appartiene interamente a lui.

Dunque, quale sia la natura dello schiavo e quali le sue capacità, èchiaro da queste considerazioni: un essere che per natura non appartienea se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo:e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà: eoggetto di proprietà è uno strumento ordinato all'azione e separato.”

Politica, I, 4, 1252b-1253b-1254a, pp. 9-10.

La dimostrazione del carattere naturale della schiavitù si estende per alcunicapitoli (4-8). Nei capitoli successivi Aristotele analizza la crematistica, l'arteche riguarda le proprietà.

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 Aristotele distingue tra una proprietà naturale, riguardante i beni necessarialla vita dei membri della famiglia, che ha il proprio limite nel soddisfacimentodelle necessità familiari, e una proprietà non naturale, regolata dalle convenzionie dalle leggi, che non ha invece nessun limite determinato.

 All'interno della famiglia, l'autorità spetta all'uomo, che la deve esercitare siaverso la moglie che verso i figli. Alla diversità dei ruoli corrisponde una diversitànelle virtù.

ARISTOTELE O3

“E invero il libero comanda allo schiavo in modo diverso che il ma-schio alla femmina, l'uomo al ragazzo, e tutti possiedono le partidell'anima, ma le possiedono in maniera diversa: perché lo schiavo nonpossiede in tutta la sua pienezza la parte deliberativa, la donna la possie-de ma senza autorità, il ragazzo infine la possiede, ma non sviluppata. Ènecessario dunque supporre che sia lo stesso anche delle virtù morali ecioè ne devono partecipare tutti, non però allo stesso modo, bensì solo

quanto <basta> a ciascuno per compiere la sua funzione. Ecco perché chicomanda deve possedere la virtù morale nella sua completezza (perché ilsuo compito è assolutamente quello dell'architetto e la ragione è architet-to) mentre gli altri, ciascuno quanto gli spetta. Di conseguenza è chiaroche la virtù morale appartiene a tutti quelli di cui s'è parlato, ma che nonè la stessa la temperanza d'una donna e d'un uomo, e neppure il corag-gio e la giustizia, come pensava Socrate, ma nell'uno c'è il coraggio delcomando, nell'altra della subordinazione, e lo stesso vale per le altrevirtù.”

Politica, I, 13, 1260a, p. 27.

La prima parte del Libro II è una lunga critica alla Repubblica di Platone. Aristotele contesta prima di tutto l'opportunità che lo stato debba tendereall'unità completa, ma anche i mezzi suggeriti da Platone, in particolare la co-munanza delle donne, dei figli e dei beni che dovrebbe caratterizzare le classi dei

reggitori dello stato, i filosofi e i guerrieri.

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ARISTOTELE O4

“Ma anche se il bene supremo per una comunità fosse proprio di rag-giungere l'unità la più completa, tale unità non sembra dimostrarsi nep-pure dal modo di esprimersi dei cittadini, qualora tutti dicano nello stes-so tempo “è mio”, “non è mio”, il che, tuttavia, a parere di Socrate, è se-gno della perfetta unità di uno stato. “Tutti” in realtà, ha doppio senso.Se si prende nel senso di “ciascuno” forse si realizzerebbe meglio

l'intento di Socrate (perché allora ciascuno dirà “suo figlio” lo stesso ra-gazzo e “sua moglie” la stessa donna e così per la proprietà e per qualsia-si cosa gli capiti di avere): ora, invece, non lo diranno in questo sensoquelli che hanno comunanza di donne e di figli, ma nel senso di “tutticollettivamente” e non di “ciascuno di loro in particolare”: in ugual mo-do riguardo alla proprietà, la diranno loro di tutti collettivamente, manon nel senso di ciascuno di essi in particolare. È chiaro dunque che è unparalogismo dire semplicemente “tutti”: (termini come “tutti”,“entrambi”, “pari” e “dispari” per il loro significato doppio favoriscono

argomentazioni eristiche anche nelle discussioni filosofiche: per cui, il di-re tutti lo stesso nel primo senso è bello senz'altro, ma non è possibile,nel secondo senso, poi, non è neppure un segno di concordia): oltre ciò,quel che s'è detto presenta un altro inconveniente. Di quel che appartienea molti non si preoccupa proprio nessuno perché gli uomini badano so-prattutto a quel che è proprietà loro, di meno a quel che è possesso co-mune o, tutt'al più, nei limiti del loro personale interesse: piuttosto se nedisinteressano, oltre il resto, perché suppongono che ci pensi un altro, co-me nelle opere domestiche molti servi talora eseguono gli ordini peggio

che pochi. Così per ciascun cittadino ci sono un migliaio di figli, ma nonnel senso che sono figli di ciascuno, ma uno qualunque a sarà ugualmen-te figlio di uno qualunque, con la conseguenza che tutti ugualmente sene disinteresseranno.”

Politica, I, 3, 1261b-1262a, p. 34.

 Anche le Leggi vengono criticate da Aristotele, che prende in esame altri mo-

delli teorici e alcune costituzioni politiche per esaminarne vantaggi e svantaggi,

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secondo il metodo che considera adatto all'indagine politica, lo studio delle costi-tuzioni effettivamente esistenti per ricavarne principi generali.

Il Libro III affronta direttamente la questione della costituzione e delle diverse forme di stato. Occorre in primo luogo definire il “cittadino”, dato che èl'elemento costituivo dello stato. Aristotele restringe tale definizione agli uominiliberi che possano disporre delle risorse necessarie ad assicurare loro il tempo li-bero necessario per occuparsi degli affari comuni, escludendo in questo modo sia

 gli schiavi che gli “operai meccanici”.

 Aristotele definisce quindi il concetto di “costituzione”, richiamando la natu-ra sociale dell'uomo.

ARISTOTELE O5

“Poiché si sono precisati questi punti, si deve esaminare di seguito se bisogna ammettere una forma sola di costituzione o più forme e, se piùforme, quali sono, e quante e quali le differenze tra loro. La costituzioneè l'ordinamento delle varie magistrature d'uno stato e specialmente diquella che è sovrana suprema di tutto: infatti, sovrana suprema è dovun-

que la suprema autorità dello stato e la suprema autorità è la costituzio-ne. Dico cioè che nelle democrazie sovrano è il popolo, mentre al contra-rio nelle oligarchie lo sono i pochi: e noi diciamo che queste due costitu-zioni sono diverse. Allo stesso modo potremo parlare delle altre. In pri-mo luogo bisogna determinare per quale fine esiste lo stato e quante so-no le forme di governo che riguardano l'uomo e la vita in comune. S'è giàdetto, secondo i primi discorsi, in cui si sono fatte delle precisazionisull'economia domestica e sull'autorità padronale, che l'uomo è per natu-ra un animale socievole. Essi quindi, anche se non hanno bisogno d'aiutoreciproco, desiderano non di meno vivere insieme: non solo, ma purel'interesse comune li raccoglie, in rapporto alla parte di benessere che cia-scuno ne trae. Ed è proprio questo il fine e di tutti in comune e di ciascu-no in particolare: a essi si riuniscono anche per il semplice scopo di vive-re e per questo stringono la comunità statale. C'è senza dubbio un ele-mento di bellezza nel vivere, anche considerato in se stesso, a meno chenon sia gravato oltre misura dai mali dell'esistenza. È chiaro del resto chei più degli uomini sopportano molte avversità perché attaccati alla vita,come se racchiudesse in se stessa una qualche gioia e dolcezza naturale.”

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Politica, I, 6, 1278b-1279a, p. 82.

Viene poi presentata la classificazione delle diverse forme di governo, sulla ba-se di due criteri: il numero di persone che detengono il potere (uno, pochi o mol-ti) e l'esercizio del potere in funzione dell'utilità comune o meno.

ARISTOTELE O6

“Fatte queste precisazioni, conviene studiare di seguito le forme di co-stituzione, quante sono di numero e quali, e dapprima quelle rette: defi-

nite queste, risulteranno chiare anche le deviazioni. Poiché costituzionesignifica lo stesso che governo e il governo è l'autorità sovrana dello sta-to, è necessario che sovrano sia o uno solo o pochi o i molti. Quandol'uno o i pochi o i molti governano per il bene comune, queste costituzio-ni necessariamente sono rette, mentre quelle che badano all'interesse o diuno solo o dei pochi o della massa sono deviazioni: in realtà o non si de-vono chiamare cittadini quelli che <non> prendono parte al governo odevono partecipare dei vantaggi comuni. Delle forme monarchiche quel-la che tiene d'occhio l'interesse comune, siamo soliti chiamarla regno: il

governo di pochi, e, comunque, di più d'uno, aristocrazia (o perché i mi-gliori hanno il potere o perché persegue il meglio per lo stato e per i suoimembri); quando poi la massa regge lo stato badando all'interesse comu-ne, tale forma di governo è detta, col nome comune a tutte le forme di co-stituzione, politia. (E questo riesce ragionevole: che uno o pochi si distin-guano per virtù è ammissibile, ma è già difficile che molti siano dotati al-la perfezione in ogni virtù, tutt'al più in quella militare, ché questa si tro-va veramente nella massa: di conseguenza in questa costituzione sovranaassoluta è la classe militare e perciò ne fanno parte quanti possiedono learmi.) Deviazioni delle forme ricordate sono, la tirannide del regno,l'oligarchia dell'aristocrazia, la democrazia della politia. La tirannide èinfatti una monarchia che persegue l'interesse del monarca, l'oligarchiaquello dei ricchi, la democrazia poi l'interesse dei poveri: al vantaggiodella comunità non bada nessuna di queste.”

Politica, I, 7, 1279 a-b, p. 84.

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 Aristotele analizza le caratteristiche delle tre forme legittime di governo, mo-strandone vantaggi e svantaggi e le condizioni in cui una è preferibile alle altre.La conclusione generale è che la forma migliore è quella che meglio si adatta allecaratteristiche di un determinato popolo. Non rinuncia comunque a tratteggiare

la forma di stato preferibile, tema che sarà sviluppato nei libri successivi.

Il Libro IV prosegue l'analisi delle diverse costituzioni, soffermandosi in par-ticolare sull'oligarchia e sulla democrazia e mostrando come, eliminando gli ele-menti negativi di entrambe e unendo insieme quelli positivi, possa definirsi la

 politia, il cui modello è individuato negli ordinamenti di Sparta.

ARISTOTELE O7

“Diciamo di seguito a quanto s'è trattato in che modo sorge, oltre lademocrazia e l'oligarchia, la cosiddetta politia, e in che modo bisogna co-stituirla. Insieme risulterà chiaro anche come si definiscono la democra-zia e l'oligarchia, perché si deve fissare la distinzione tra queste due for-me e poi metterle insieme, prendendo per così dire un contributo da cia-scuna delle due. Tre sono i princìpi determinanti la sintesi o mistione. Sipossono cioè prendere le prescrizioni legislative di entrambe le costitu-

zioni, per es. riguardo all'amministrazione della giustizia (così nelle oli-garchie stabiliscono un'ammenda per i ricchi se non fanno da giudici, maper i poveri nessuna ricompensa, mentre nelle democrazie c'è una ricom-pensa per i poveri, ma per i ricchi nessuna ammenda: ora entrambe que-ste prescrizioni costituiscono un elemento comune e medio a queste co-stituzioni, e perciò sono anche caratteristica della politia in quanto risultadalla mistione di tutt'e due). E questo, dunque, un modo di abbinamen-to: un altro è prendere il medio di ciò che entrambe le costituzioni pre-scrivono: così per la partecipazione all'assemblea, le democrazie non esi-gono censo alcuno o del tutto esiguo, le oligarchie lo esigono elevato: oracomune non è né l'uno né l'altro, ma un censo medio tra quelli prescrittidalle due costituzioni. In un terzo modo si possono combinare i due or-dinamenti prendendo alcune prescrizioni dalla legislazione oligarchica,altre da quella democratica: voglio dire cioè che, a quanto si ritiene, è de-mocratica l'assegnazione delle cariche a sorte, oligarchica, invece, per ele-zione, che è democratica l'elezione indipendentemente dal censo, oligar-chica l'elezione in base al censo: ora, è conforme all'aristocrazia e, quindi,alla politia prendere ciascun elemento da ciascuna delle due costituzioni

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e cioè fare le cariche elettive secondo l'oligarchia, renderle indipendentidal censo secondo la democrazia.

È questo, dunque, il modo della mistione: che poi siano state combina-

te bene democrazia e oligarchia si ha un segno quando è possibile dire lastessa costituzione democrazia e oligarchia. Evidentemente chi lo dicepuò farlo perché la combinazione è stata perfetta: e questo succede a unacostituzione che stia al centro, giacché allora ciascuna delle due formeestreme si riconosce in essa. Ed è proprio questo il caso della costituzionedei Lacedemoni. Molti tentano di presentarla come se fosse una demo-crazia, perché il sistema ha molti tratti democratici, ad esempio in primoluogo il modo di allevare i ragazzi (infatti i figli dei ricchi sono allevaticome quelli dei poveri ed educati nel modo che potrebbero esserlo anche

i figli dei poveri): lo stesso vale nell'età successiva e quando poi sono di-ventati uomini, tutto si svolge nello stesso modo (perché non c'è nienteche lasci distinguere il ricco dal povero), così le norme riguardanti il cibosono le stesse per tutti nei sissizi[3] e le vesti i ricchi le portano quali po-trebbe procurarsi uno qualunque dei poveri. E anche a proposito delledue magistrature più alte, a una il popolo può essere eletto, all'altra puòprendere parte (e, infatti, eleggono gli anziani e prendono parteall'eforato). Altri invece la chiamano oligarchia, perché contiene moltielementi oligarchici, ad esempio tutte le cariche sono elettive e nessuna

sorteggiata e pochi individui sono arbitri di condannare a morte,all'esilio e a molte altre pene del genere. In una politia nella quale lacombinazione è stata ben realizzata, entrambi gli elementi devonoapparire.”

Politica, IV, 9, 129a a-b, pp. 132-34.

Chiarito il concetto di “ politia” come, potremmo dire, democrazia dei mi- gliori, o democrazia elettiva (si ricordi che nella democrazia ateniese le carichenon erano elettive, ma assegnate per sorteggio), Aristotele delinea la forma prefe-ribile di stato.

ARISTOTELE O8

“Ma qual è la costituzione migliore e quale il miglior genere di vita perla maggior parte degli stati e per la maggior parte degli uomini, volendo

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giudicare non in rapporto a una virtù superiore a quella delle personecomuni né a un'educazione che esige disposizioni naturali e risorse ecce-zionali e neppure in rapporto alla costituzione ideale, bensì a una formadi vita che può essere partecipata da moltissimi e a una costituzione che

la maggior parte degli stati può avere? In realtà le costituzioni che chia-mano aristocrazie, di cui abbiamo parlato adesso, talune cadono al difuori delle possibilità della maggior parte degli stati, talune s'accostano aquella forma chiamata politia (sicché si deve parlare di entrambe come sefossero una sola). Il giudizio intorno a tutti questi problemi va ripetutodagli stessi princìpi fondamentali. Infatti se nell'Etica si è stabilito a ra-gione che la vita felice è quella vissuta senza impedimento in accordocon la virtù, e che la virtù è medietà, è necessario che la vita media sia lamigliore, di quella medietà che ciascuno può ottenere. Questi stessi crite-

ri servono necessariamente per giudicare la bontà o la malvagità di unostato e di una costituzione, perché la costituzione è una forma di vita del-lo stato. In tutti gli stati esistono tre classi di cittadini, i molto ricchi, imolto poveri, e, in terzo luogo, quanti stanno in mezzo a questi. Ora, sic-come si è d'accordo che la misura e la medietà è l'ottimo, è evidente cheanche dei beni di fortuna il possesso moderato è il migliore di tutti, per-ché rende facilissimo l'obbedire alla ragione, mentre chi è eccessivamente

 bello o forte o nobile o ricco, o, al contrario, eccessivamente misero o de- bole o troppo ignobile, è difficile che dia retta alla ragione. In realtà gli

uni diventano piuttosto violenti e grandi criminali, gli altri invece cattivie piccoli criminali - e delle offese alcune sono prodotte dalla violenza, al-tre dalla cattiveria. In più costoro non rifiutano affatto le cariche né le

 bramano - tendenza, l'una e l'altra, dannosa agli stati. Oltre ciò, quelli chehanno in eccesso i beni di fortuna, forza, ricchezza, amici e altre cose delgenere, non vogliono farsi governare né lo sanno (e quest'atteggiamentotraggono direttamente da casa, ancora fanciulli, perché, data la loro mol-lezza, non si abituano a lasciarsi governare neppure a scuola) mentrequelli che si trovano in estrema penuria di tutto ciò, sono troppo remissi-vi. Sicché gli uni non sanno governare, bensì sottomettersi da servi al go-verno, gli altri non sanno sottomettersi a nessun governo ma governarein maniera dispotica. Si forma quindi uno stato di schiavi e di despoti,ma non di liberi, di gente che invidia e di gente che disprezza, e tuttoquesto è quanto mai lontano dall'amicizia e dalla comunità statale, per-ché la comunità è in rapporto con l'amicizia, mentre coi nemici non vo-gliono avere in comune nemmeno la strada. Lo stato vuole essere costi-tuito, per quanto è possibile, di elementi uguali e simili, il che succedesoprattutto con le persone del ceto medio. Di conseguenza ha

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necessariamente l'ordinamento migliore lo stato che risulti di quegli ele-menti dei quali diciamo che è formata per natura la compagine dello sta-to. E son questi cittadini che nello stato hanno l'esistenza garantita più ditutti: infatti essi non bramano le altrui cose, come i poveri, né gli altri le

loro, come fanno appunto i poveri dei beni dei ricchi, e quindi per nonessere essi stessi presi di mira e per non prendere di mira gli altri, vivonoal di fuori di ogni pericolo. Per ciò fu saggio il voto di Focilide:

Spesso il meglio è nel mezzo, ed io lì nello stato voglio essere[4].

È chiaro, dunque, che la comunità statale migliore è quella fondata sul

ceto medio e che possono essere bene amministrati quegli stati in cui ilceto medio è numeroso e più potente, possibilmente delle altre due clas-si, se no, di una delle due, ché in tal caso, aggiungendosi a una di queste,fa inclinare la bilancia e impedisce che si producano gli eccessi contrari.”

Politica, IV, 11, 1295 a-b, pp. 135-37.

 Aristotele definisce quindi i diversi organi che compongono lo stato, delinean-

do una divisione dei poteri e analizzando, per ognuno, le modalità di nominanelle diverse forme costituzionali.

ARISTOTELE O9

“È adesso la volta di parlare delle questioni che vengono di seguito ein generale e separatamente, con riferimento a ciascuna costituzione,prendendo il conveniente punto di partenza. Ci sono in ogni costituzionetre parti in rapporto alle quali il bravo legislatore deve vedere quel che èa ciascuna di giovamento: quando queste sono bene ordinate, di necessi-tà anche la costituzione è bene ordinata e dalla loro differenza dipende ladifferenza delle costituzioni stesse, l'una dall'altra. Di queste tre una èquella deliberante sugli affari comuni, la seconda concerne le magistratu-re (e cioè quali devono essere e in quali campi sovrane e in che modo sideve procedere alla loro elezione), la terza è quella giudiziaria. La partedeliberante è sovrana riguardo alla pace e alla guerra, all'alleanza e alladenuncia di trattati, riguardo alle leggi, riguardo alle sentenze di morte,

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d'esilio, di confisca, riguardo all'elezione dei magistrati e al loro rendi-conto. È necessario rimettere tutte queste decisioni o a tutti i cittadini otutte ad alcuni di essi (per es. a una sola magistratura o a più magistratu-re o alcune a questa magistratura, altre ad altra) ovvero talune a tutti, ta-

lune ad alcuni.”

Politica, IV, 14, 1297b-1298a, pp. 142-43.

Il Libro prosegue con l'analisi dei diversi organismi e con la discussione delle possibili modalità di elezione.

Nel Libro V Aristotele considera le cause di trasformazione delle costituzioni, perché scompaiono sostituite da altre o, al contrario, mediante quali mezzi siconservano.

La causa principale è il diverso modo, nelle varie classi sociali, di intendere il giusto: la democrazia parte dal presupposto che, dato che gli uomini sono uguali per alcuni aspetti, lo siano in generale e dunque sia giusto che tutti partecipinoalla vita dello stato, l'oligarchia dalla considerazione opposta. Quando prevaleuna certa forma, coloro che hanno una diversa idea del giusto tendono a

ribellarsi.

 Ma Aristotele scende poi in una dettagliata casistica, considerando le cause didegenerazione e di crisi della democrazia, dell'oligarchia, dell'aristocrazia, ecc.,con un'analisi ricca di esemplificazioni e di riferimenti storici.

Il Libro VI, più breve degli altri, prende in esame costituzioni miste, date dallasintesi di elementi presi dai diversi modelli generali: ad esempio, magistratureelette con il metodo della politia e tribunali designati in modo aristocratico, e co-sì via. Analizza in particolare la democrazia, individuandone quattro diverse

 forme, a seconda della presenza maggiore o minore di elementi tratti dalle altre forme di governo.

Nei Libri VII e VIII Aristotele riprende e approfondisce le considerazioni giàaccennate nel Libro IV sulla costituzione preferibile. Distingue intanto tra tre ti-

 pi di beni: esterni, corporei e spirituali, affermando che uno stato ben

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organizzato deve garantirli tutti, ma i primi due in funzione dell'ultimo, cioèdella realizzazione della virtù.

Per far ciò, è necessario costruire lo stato rispettando certi criteri e certe carat-

teristiche. Gli abitanti non devono essere né troppi, altrimenti sarebbe impossibi-le l'ordine, né troppo pochi, altrimenti lo stato non sarebbe autosufficiente. Lostato dovrà avere “un numero tale di abitanti che sia il minimo indispensabile invista dell'autosufficienza per un'esistenza agiata in conformità alle esigenze diuna comunità civile” [p. 231, 4, 1326b].

Similmente, il territorio deve essere tale che gli abitanti possano vivervi inmodo autosufficiente e agiato, evitando sia il bisogno che il lusso. Per quanto ri-

 guarda il carattere, i popoli ellenici sono favoriti, rappresentando la medietà tra

quelli nordici, coraggiosi ma non intelligenti e poco portati per le arti, e quelliasiatici, intelligenti ma pavidi e perciò dominati da altri popoli.

 Aristotele considera poi le diverse funzioni necessarie per la vita dello stato,ad ognuna delle quali corrisponde una classe sociale.

ARISTOTELE O10

“Orbene, bisogna esaminare quanti sono questi elementi indispensabi-li per uno stato: tra questi ci dovranno essere necessariamente quelle chenoi diciamo parti dello stato. Bisogna quindi stabilire il numero delle esi-genze a cui lo stato deve provvedere e da queste appariranno chiarequelle. Innanzi tutto devon esserci i mezzi di nutrimento, poi le arti mec-caniche (giacché la vita ha bisogno di molti strumenti) in terzo luogo learmi (i membri della comunità civile devono di necessità possedere essistessi armi a sostegno dell'autorità contro quanti rifiutano l'obbedienza econtro quelli che dall'esterno tentano di fare soprusi), inoltre una certadisponibilità di ricchezze, onde possano fronteggiare i bisogni interni e leesigenze della guerra, quinto, ma insieme primo per importanza, la curadella divinità che chiamano culto, sesto in ordine di successione, ma ditutti il più necessario, la possibilità di decidere questioni di interesse ecause tra cittadini. Sono queste le esigenze richieste da ogni stato, per co-sì dire (perché lo stato non è una massa qualsiasi di persone, ma autosuf-ficiente alla vita, come diciamo noi, e se uno di questi elementi viene amancare è impossibile che codesta associazione sia del tutto autosuffi-ciente). È necessario dunque che lo stato sia organizzato in base a queste

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attività; dev'esserci, cioè, un certo numero di contadini che provvedanoal nutrimento, poi gli artigiani, poi la classe militare, poi i benestanti, isacerdoti e infine i giudici delle cause indispensabili e delle questioni diinteresse.”

Politica, VII, 8, 1328b, pp. 237-38.

 Ai membri delle classi inferiori (contadini e artigiani) non è concesso lo statusdi cittadini. Per le altre classi, a differenza di quanto avveniva nella Repubblica

 platonica, Aristotele non ritiene opportuno attribuire ruoli fissi, perché i militari potrebbero tendere ad assumere anche il potere politico. Le diverse funzioni sa-ranno piuttosto legate all'età: le stesse persone, da giovani saranno militari, poi

 governanti, infine, da anziani, sacerdoti.

 Aristotele prende poi in considerazione la posizione geografica della città, lastruttura urbanistica, e altri fattori che possono contribuire alla sua sicurezza ealla sua prosperità.

Il fine della costituzione deve essere la felicità dei cittadini (nell'accezione cir-coscritta considerata sopra) e perché vi sia felicità è necessaria la virtù.

ARISTOTELE O11

“È necessario, dunque, da quanto s'è detto, che alcuni beni ci siano,che altri li procuri il legislatore. Noi quindi ci auguriamo e facciamo votiche la compagine dello stato abbia quei beni di cui signora è la fortuna(che ne sia signora lo riconosciamo) ma quanto all'essere virtuoso unostato, non è già opera della fortuna, bensì di scienza e di scelta deliberata.Ora uno stato è virtuoso in quanto sono virtuosi i cittadini che partecipa-no della costituzione, e i nostri cittadini partecipano tutti della costituzio-ne. Bisogna pertanto considerare in che modo un uomo diventa virtuoso.Infatti, se è possibile che i cittadini siano virtuosi collettivamente,senz'esserlo singolarmente, in questa maniera comunque sarebbe preferi-

 bile, perché alla virtù dei singoli tiene dietro quella di tutti. Ora gli uomi-ni diventano buoni e virtuosi col concorso di tre fattori e questi tre fattorisono la natura, l'abitudine, la ragione. In primo luogo bisogna avere lanatura qual è quella dell'uomo e non di uno degli altri animali: poi

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 bisogna avere una certa qualità nel corpo e nell'anima. Ma con certe qua-lità non giova affatto nascerci, perché le abitudini le fanno mutare e in ef-fetti talune qualità, che per natura tendono in entrambe le direzioni, sot-to la spinta dell'abitudine vanno verso il peggio o verso il meglio. Ora gli

altri animali vivono essenzialmente guidati da natura, taluni, ma entro li-miti ristretti, anche dall'abitudine, e l'uomo pure dalla ragione perchéegli solo possiede la ragione: di conseguenza in lui questi tre fattori de-vono consonare l'uno con l'altro. Spesso gli uomini agiscono contro leabitudini e la natura proprio in forza della ragione, se sono convinti chesia preferibile agire diversamente. Abbiamo precisato in precedenza qua-le dev'essere la natura di coloro che vogliono riuscire maneggevoli al le-gislatore: il resto è ormai opera d'educazione, e, in effetti, essi apprendo-no talune cose mediante l'abitudine, altre mediante precetti orali.”

Politica, VII, 13, 1332 a-b, pp. 248-49.

Perché lo stato sia felice deve essere costituito da cittadini virtuosi, edessi saranno tali se educati opportunamente. Il problema della felicità dellostato diventa dunque quello dell'educazione dei cittadini. Aristotele inizia atrattare delle regole dell'unione matrimoniale e della procreazione per produrreuna prole sana. Descrive poi le diverse tappe dell'educazione, dall'infanzia fino

all'adolescenza. L'istruzione scolastica, che deve iniziare dopo i cinque anni,comprende la grammatica, la ginnastica, la musica e il disegno. Il resto del capi-tolo è destinato all'analisi di queste discipline, dedicando uno spazio particolarealla musica.

[1] Hom., Iliade, IX 63. [N. d. T .][2] Citazione accomodata di Hom., Iliade, XVIII 376. [N. d. T .][3] Pasti comuni.[4] Fr 12 Diehl. [N. d. T.]

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Martha Nussbaum: LE VIRTU’ MODERNE DI CICERONE,in Il sole 24 ore, 24 ottobre 2004

“Nel corso degli anni ho sempre più sottolineato l’importanza del ri-spetto per il pluralismo e del ragionevole disaccordo sul valore ultimo esu significato della vita.

Allontanandomi in modo deliberato da Aristotele, che era certamenteconvinto che le politica dovesse promuovere l’operare in accordo conuna unica e comprensiva concezione della vita umana buona, sostengoche la politica deve limitarsi a promuovere le capacità, non l’effettivooperare, per lasciare spazio alla decisione di dedicarsi o meno ad una de-terminata funzione.

E inoltre anche questo dovrebbe essere fatto in modo tale da lasciarespazio a scelte diverse in fatto di religione e di altre concezioni generalidella vita.

In altri termini, la mia concezione aristotelica, come quella di Maritain,ma diversamente da altre conosciute, è una forma di “liberalismo politi-co”, intendendo con ciò un liberalismo che riconosce l’importanza di ri-spettare le diverse forme di vita, comprese le forme ragionevolmentenon-liberali (…)

Un altro aspetto per il quale mi allontano da Aristotele è la mia atten-zione pratica e teoretica alla condizione delle donne nei Paesi in via disviluppo e alla loro lotta per l’uguaglianza. Le opinioni di Aristotele sul-la donna non meritano una analisi seria, nemmeno come falsità.

Nel lavorare su queste idee, ho attinto, rielaborandoli ancora, a quegliaspetti del pensiero aristotelico che erano centrali nel mio libro “La fragi-lità del bene”. L’insistere sul fatto che gli esseri umani sono, insieme vul-nerabili ed attivi e sul loro bisogno di una ricca ed irriducibile pluralitàdi funzioni, l’enfasi sul ruolo dell’amore e dell’amicizia nella vita buona(…)

Il primo e più impressionante difetto è l’assenza, in Aristotele, di ognisenso dell’universale dignità umana e, a fortiori, dell’idea dell’eguale va-lore e dignità degli esseri umani. Forse c’è davvero una tensione internanel pensiero aristotelico: infatti egli, a volte, sottolinea che ogni essere na-turale è degno di reverenza. Ma dobbiamo ammettere che nei suoi scrittimorali e politici vengono riconosciute diverse gerarchie fra gli esseriumani: le donne subordinate agli uomini, gli schiavi ai padroni.

Non sarà così per altri filosofi come, ad esempio, gli stoici. Per lo stoi-

co il semplice possesso della capacità di scelta morale dà ad ognuno una

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infinita ed uguale dignità. Uomo e donna, schiavo e libero, greco e stra-niero, ricco e povero, tutti sono di pari valore e questo valore imponestringenti doveri di rispetto a noi tutti. Gli stoici, seguendo i loro prede-cessori cinici, usarono questa idea per attaccare radicalmente le gerar-

chie. Moralmente irrilevanti, di classe, di rango, onore e persino di sessoe genere, che dividevano gli esseri umani nel loro mondo. Queste ideehanno avuto un influsso formativo sulla modernità influenzando pensa-tori come Grozio, Rousseau e Kant.

Perciò ogni visione aristotelica contemporanea, per essere moralmenteadeguata, deve includere sin dal principio qualche nozione del genere.

Inoltre Aristotele non riconosce che abbiamo dei rapporti etici conpersone che vivono al di fuori della nostra ‘città-stato’. Certo, ricono-sciamo come esseri umani, afferma, coloro che vivono lontano. Ma non

suggerisce che questo riconoscimento ci imponga qualche obbligo mora-le, anche quello di non scatenare una guerra di aggressione contro diloro.

Al contrario i pensatori stoici forniscono l’apporto necessario sostenen-do che siamo tutti, in primo luogo e soprattutto dei ‘kosmopolitai’, deicittadini del mondo intero e che questa comune cittadinanza morale ha,in effetti, almeno alcune conseguenze per i nostri obblighi etici (…) Lapiù importante riflessione sopravvissuta, quella del ‘Dei doveri’ di Cice-rone, chiarisce che la comune condizione umana impone fermamente il

dovere di non condurre guerre d’aggressione, così come doveri nei con-fronti del nemico durante la guerra, doveri di ospitalità nei confronti de-gli stranieri nel nostro territorio ed un complesso di altre regole. La de-scrizione ciceroniana di questi doveri ha avuto un enorme influsso sulpensiero politico e giuridico moderno. Sfortunatamente il pensiero di Ci-cerone presenta serie lacune ed incoerenze; in particolare, egli sembracredere che non abbiamo il dovere di fornire aiuto materiale alle personeall’esterno delle nostre ‘repubbliche’. Questa sfortunata lacuna dipendedalla sua adesione alla tesi stoica secondo cui le ‘cose esteriori’ come de-naro e proprietà, non hanno valore intrinseco e che la virtù è completa inse stessa. Il pensiero stoico, quindi, ci lascia con alcuni grandi problemiancora da risolvere e tuttavia fornisce anche la base necessaria per con-durre la politica al di là del mondo della ‘città-stato’ (…)

Infine Aristotele manca di un elemento essenziale per un buon approc-cio politico moderno. Una solida concezione degli spazi di libertà pro-tetti, di quelle attività in cui è sbagliato per lo stato interferire. Il pensieromoderno non è in alcun senso in accordo sulla questione della naturadella libertà e di quali forme di essa siano le più importanti per uno stato

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 ben governato. Ciononostante, ogni lettore moderno della “Politica” ari-stotelica, non importa di quale parte del mondo, giudicherà certamenteche manchi qualcosa in un testo in cui le prescrizioni ai cittadini riguar-dano ambiti così personali come, ad esempio, quanto esercizio fisico fare

ogni giorno, trascurando il fatto che è moralmente discutibile per unostato esercitare tale ruolo (…)

Al contrario, ancora una volta lo stoicismo romano si concentra inten-samente sulla libertà come scopo centrale di un buon governo ed è inparte per questa ragione che definisce il “governo misto” superiore allamonarchia. Gli stoici posero più volte in pratica le loro idee rischiando operdendo la vita in cospirazioni anti-imperiali per la difesa della libertà.Anche se il rapporto della libertà degli stoici romani con le libertà care al

liberalismo moderno è stato discusso per secoli, essi offrono almeno unpunto di partenza per riflettere su questi temi cruciali”.

Martha Nussbaum, nata Martha Craven (New York, 6 maggio 1947), èuna filosofa statunitense, importante studiosa di filosofia greca e roma-na, filosofia politica ed etica.. Attualmente è Ernst Freund DistinguishedService Professor di Diritto ed Etica presso l'Università di Chicago, catte-dra che include impieghi al Philosophy Department, alla Law School ealla Divinity School. Tiene inoltre corsi sui classici e sulle scienze politi-

che, è membro del Committee on Southern Asian Studies, ed è membroesterno del Human Right Program. Ha precedentemente insegnato

all'Università di Harvard e alla Brown University, dove ha ottenuto il ti-tolo di professore universitario

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(Massaro, 392) Martha Nussbaum, La fragilità del bene (1996)Platonismo ed aristotelismo a confronto

L’autrice immagina un dialogo-confronto fra le posizioni aristoteliche e

quelle platoniche. Vediamo di individuare gli argomenti difesi dagli unie dagli altri:

PLATONICO.Ricerca un punto di vista incondizionato al di fuori delle apparenze; la

vera filosofia è solo quella che ci allontana dalla caverna e ci trascina in al-to, nella luce del sole; la vita umana ordinaria va accresciuta in modo si-gnificativo procedendo in una direzione che va fuori del cammino degliuomini (verso il sovrumano?);

ARISTOTELICO.L’impegno filosofico deve indirizzarsi allo studio delle apparenze, cioè

della realtà sensibile (fenomeni naturali e biologici). Gran parte degliscritti aristotelici sono di questa natura; la filosofia che teorizza, rischia disemplificare; la conoscenza è ricerca di principi generali capaci di scopri-re l’ordine nella molteplicità; il desiderio umano per la conoscenza è de-siderio di comprendere il mondo tramite la ragione; occorre evitare il ri-schio di rimanere attratti da rappresentazioni del mondo, magari, affasci-nanti ed erroneamente ‘sublimi’ (In una sua opera, Parti degli animali,I,5, gli studenti chiedono ad Aristotele di trattare temi più sublimi e dismetterla col trattare di questioni legate al mondo animale. Il filosofo ri-sponde dicendo che il loro disprezzo è una specie di auto-disprezzo – manon sono anche loro, come qualsiasi altro essere umano, creature di car-ne e di ossa? “Che si debba loro ricordare questo fatto è un segno diquanto il platonismo sia profondamente radicato o piuttosto di quanto ilplatonismo faccia appello ad una tendenza già radicata in noi che si ver-gogna della nostra caotica ed oscura materia”).

Nel brano, l’autrice si dichiara, in modo evidente, apertamente a favo-re di Aristotele.

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