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ANNO 7- N.67 NOVEMBRE 2011 ...continua in ultima pagina ...continua a pagina 2 Sommario CRISI, EUROPA, COSTITUZIONE 1 REDAZIONALE 1 LA FORMAZIONE NEL NUOVO APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE E DI MESTIERE 3 LICENZIARE PER CREARE LAVORO 6 IL NOSTRO SISTEMA PENSIONISTICO 9 IL BENESSERE LAVORATIVO... UN PERCORSO DI ACQUISIZIONE CULTURALE E DI SVILUPPO DI CONSAPEVOLEZZA INDIVIDUALE E SOCIALE 11 GLI EFFETTI DELLA CRISI FINANZIARIA MONDIALE SULLIMMIGRAZIONE 13 C’EST LA GUERRE! 14 CONTRIBUTI DAI LETTORI 15 A r ea S indacale u i lt u c s l o m b a r d i a p e r i o d i c o d i a p p r o f o n d i m e n t i , a g g i o r n a m e n t i t e c n i c i e d i b a t t i t o p o l i t i c o TEMPI DI CRISI Crisi, Europa, Costituzione Quando gli storici si occuperanno della crisi del 2007-2008 e delle sue conseguenze non potranno non stupirsi per l’inettitudine con la quale è stata affrontata dalle classi dirigenti occidentali e, in particolare, europee. Quando si rileggeranno i giornali e i dibattiti di questi giorni ci si accorgerà forse che si sono scambiate le cause con gli effetti, le domande con le risposte, le ipotesi con le tesi. Un discorso in cui le opzioni hanno assunto i crismi della certezza, le opinioni quelli della verità. E lo stupore sarà tanto più grande costatando che, almeno inizialmente, sembrava che tutti avessero capito e che tutti i soggetti sociali (governi, ban- che centrali, finanzieri, risparmiatori, cittadini, lavoratori) avessero maturato la lezione del 1929. Allora bisognò attendere tre anni per la grande svolta impressa all’America da Franklin Roosevelt. Oggi siamo alle prese con quella che viene considerata la minaccia concreta di una seconda e più grave recessione. All’alba della crisi, nel lontano 2008, appena fallita la Lehman, tutti sembravano aver capito che bisognava ridare al bilancio pubblico e al commercio di beni e servizi il primato sulla speculazione, che la finanza andava regolata, che la produzione e l’occupazione erano fondamentali privilegiati rispetto alle rendite e ai rating. Ma la luce è durata poco. Proviamo a leg- gere invece la lettera non più riservata della Bce al governo Berlu- sconi. Vi troveremo in tra- Redazionale Cosa resterà di questi anni 80?... si domandava una celebre canzone italiana sul finire di quel decennio, seguita, nei mesi successivi da eventi come Piazza Tien’anmen ed il crollo del muro di Berlino che confermavano la conclusione di un ciclo lasciando domande epocali, tra speranze ed incertezze, sulla natura del futuro in arrivo. La stessa domanda potremmo ri- proporcela ora nell’approssimarci alla conclusione di questo 2011 che di spe- ranze e di preoccupazioni epocali, tra la primavera araba e l’aggravarsi della crisi globale, ne ha poste parecchie. Il ciclo che sicuramente (possiamo dirlo finalmente?) volge al termine è quello della disavventura berlusco- niana. In questi giorni, lo sfaldamento del carrozzone è evidente su tutti i fronti. Su quello interno, per il delinearsi sempre più marcato della perdita assoluta di sintonia delle diverse anime ormai contrapposte all’interno della maggioranza, che determina, da un lato, un isolamento sempre più marcato di Silvio Berlusconi dai suoi (una volta) più fidi compagni di ventura (Tremonti, Scaiola, Formigoni, Pisanu, Verdini, ecc), dall’altro la crisi dell’alleato leghista, in seria difficoltà interna per l’emergere della prima

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  • Anno 7- n.67novembre 2011

    ...continua in ultima pagina...continua a pagina 2

    SommarioCrisi, Europa, CostituzionE 1rEdazionalE 1la formazionE nEl nuovo apprEndistato profEssionalizzantE E di mEstiErE 3liCEnziarE pEr CrEarE lavoro 6il nostro sistEma pEnsionistiCo 9il bEnEssErE lavorativo... un pErCorso di aCquisizionE CulturalE E di sviluppo di ConsapEvolEzza individualE E soCialE 11Gli EffEtti dElla Crisi finanziaria mondialE sull’immiGrazionE 13C’Est la GuErrE! 14Contributi dai lEttori 15

    AreaSindacale

    uiltucslombardia

    periodico di approfondimenti, aggiornamenti tecnici e dibattito politico

    Tempi di crisi

    Crisi, Europa, CostituzioneQuando gli storici si occuperanno della crisi del 2007-2008 e delle sue

    conseguenze non potranno non stupirsi per l’inettitudine con la quale è stata affrontata dalle classi dirigenti occidentali e, in particolare, europee.

    Quando si rileggeranno i giornali e i dibattiti di questi giorni ci si accorgerà forse che si sono scambiate le cause con gli effetti, le domande con le risposte, le ipotesi con le tesi. Un discorso in cui le opzioni hanno assunto i crismi della certezza, le opinioni quelli della verità.

    E lo stupore sarà tanto più grande costatando che, almeno inizialmente, sembrava che tutti avessero capito e che tutti i soggetti sociali (governi, ban-che centrali, finanzieri, risparmiatori, cittadini, lavoratori) avessero maturato la lezione del 1929.

    Allora bisognò attendere tre anni per la grande svolta impressa all’America da Franklin Roosevelt. Oggi siamo alle prese con quella che viene

    considerata la minaccia concreta di una seconda e più grave recessione.

    All’alba della crisi, nel lontano 2008, appena fallita la Lehman, tutti sembravano aver capito che bisognava

    ridare al bilancio pubblico e al commercio di beni e servizi il primato sulla speculazione, che la finanza andava regolata, che la produzione e l’occupazione erano fondamentali privilegiati rispetto alle rendite

    e ai rating.

    Ma la luce è durata poco.

    Proviamo a leg-gere invece la lettera

    non più riservata della Bce al governo Berlu-

    sconi.

    Vi troveremo in tra-

    RedazionaleCosa resterà di questi anni 80?...

    si domandava una celebre canzone italiana sul finire di quel decennio, seguita, nei mesi successivi da eventi come Piazza Tien’anmen ed il crollo del muro di Berlino che confermavano la conclusione di un ciclo lasciando domande epocali, tra speranze ed incertezze, sulla natura del futuro in arrivo.

    La stessa domanda potremmo ri-proporcela ora nell’approssimarci alla conclusione di questo 2011 che di spe-ranze e di preoccupazioni epocali, tra la primavera araba e l’aggravarsi della crisi globale, ne ha poste parecchie.

    Il ciclo che sicuramente (possiamo dirlo finalmente?) volge al termine è quello della disavventura berlusco-niana.

    In questi giorni, lo sfaldamento del carrozzone è evidente su tutti i fronti.

    Su quello interno, per il delinearsi sempre più marcato della perdita assoluta di sintonia delle diverse anime ormai contrapposte all’interno della maggioranza, che determina, da un lato, un isolamento sempre più marcato di Silvio Berlusconi dai suoi (una volta) più fidi compagni di ventura (Tremonti, Scaiola, Formigoni, Pisanu, Verdini, ecc), dall’altro la crisi dell’alleato leghista, in seria difficoltà interna per l’emergere della prima

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    sparenza tutti gli elementi di quello che può essere considerato un programma stravolto, reazionario.

    La differenza è che in America sono le posizioni della destra dei Tea Party, in Europa delle autorità di governo dell’eurozona.

    Ora che conosciamo nel dettaglio la lettera (meglio, l’ordine di servizio) in-viata al governo Berlusconi, abbiamo la controprova di una politica che non ha nulla a che fare con una soluzione po-sitiva della crisi, ma della crisi approfitta per dettare un programma economico e sociale ispirato ai canoni fondamentali della teologia neoliberista.

    Ciò che sorprende non è tanto la mancanza di ciò che dovrebbe fare la BCE, ma la declinazione delle po-litiche e la certezza di poter intimare al governo italiano un vero e proprio programma politico come un tempo non lontano faceva l’URSS con gli Stati a “sovranità limitata” dell’Europa dell’est.

    Un programma tipico degli schemi neo-conservatori.

    Il contenuto della lettera non può nemmeno stupire più di tanto, trattan-dosi nella sua dettagliata articolazione di un’ideologia neoliberista che si rias-sume in “meno stato e più mercato”.

    Tralasciamo le pensioni, le priva-tizzazioni, la riduzione degli stipendi dei pubblici dipendenti e il mancato rimpiazzo del turnover; i tagli generali e “orizzontali” alla spesa pubblica.

    L’aspetto più straordinario e intri-gante è ancora una volta la riforma del

    mercato del lavoro.

    Qui le prescrizioni sembrano scritte non da banchieri ma da agenzie di con-sulenza delle associazioni padronali: la riduzione dei salari mediante la liqui-dazione della contrattazione collettiva nazionale, la fissazione di regole del lavoro frantumate senza coperture di livello superiore e, dulcis in fundo, la liberalizzazione dei licenziamenti.

    Ci si può chiedere cosa c’entri tutto questo col risanamento del bilancio pubblico.

    Ma sarebbe una domanda scioc-camente ingenua. Il futuro dei paesi aderenti all’euro è affidato alle “rifor-me strutturali”, formula quanto mai ingannevole per indicare una generale controriforma sociale. O, come in altre occasioni, un New Deal rovesciato, se vogliamo riprendere il confronto con la crisi degli anni Trenta.

    Intendiamoci, il governo Berlusco-ni, il peggiore e il più impresentabile governo tra i tanti presenti in Europa, ha ritardato e allontanate le scelte ne-cessarie fino a quando la speculazione finanziaria ha addentato la preda più grossa dopo i bersagli minori della periferia e dopo la Spagna.

    Ma le sue responsabilità non ci pos-sono far chiudere gli occhi di fronte al modo come le autorità europee stanno gestendo la crisi.

    Cosa ha fatto la BCE? Ha incorag-giato i singoli paesi a porre un flebile fermo alle vendite allo scoperto, è intervenuta a sostegno della liquidità interbancaria, acquistato titoli pubblici

    e raccolto fondi dalle banche private, ma nemmeno un ripensamento sulla politica monetaria (repressiva con tassi troppo altri per sostenere gli investi-menti privati). Su questo punto anche nel sindacato, forse presi dall’ansia e dai timori, non ci si è fermati a riflettere, e così, dopo aver accolto e sospinto nel 2008 il vento di regole e democrazia, oggi siamo nello stallo e finiamo col mostrarci reticenti nel timore di favorire l’inettitudine del governo in carica. La lettera dovrebbe aiutarci a uscire da questa pericolosa apatia.

    E’ inutile, deprimente e senza costrutto continuare a lamentarsi, se non si avrà insieme la credibilità e il coraggio necessari per porre esplicita-mente la questione del futuro dell’euro e, in definitiva, dell’Unione europea. Il destino dell’Italia è legato a quello dell’euro, ma è anche vero il contrario.

    A differenza della Grecia, nel caso italiano, si tratta di destini incrociati. Se, nella grande crisi che attraversiamo, difficilmente l’Italia potrà salvarsi da sola (anche con un nuovo governo), è altrettanto vero che l’eurozona senza l’Italia difficilmente potrebbe soprav-vivere.

    Se oggi il tappo in cui si ingolfano tutti i problemi è la presenza del gover-no Berlusconi, una volta che questo se ne andrà, un giorno dopo il problema sarà, infatti, il “che fare” nei nostri rap-porti con l’Europa.

    E in questo senso non si dovrebbe prescindere dal battersi affinchè i det-tami neoliberisti della BCE del nostro Draghi trovino sufficiente resistenza.

    Prima fila (da sinistra): Athanasios Orphanides, Erkki Liikanen, Ewald Nowotny, Vítor Constâncio, Jean-Claude Trichet, Miguel Fernández Ordóñez, Jens Weidmann, Michael C. Bonello, Marko Kranjec

    Seconda fila (da sinistra): Christian Noyer, Jürgen Stark, Lorenzo Bini Smaghi, Carlos Costa, José Manuel González-Páramo, Nout Wellink, Peter Praet, George A. Provopoulos, Luc Coene, Jozef Makúch, Andres Lipstok, Mario Draghi

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    ApprofondimenTi

    La formazione nel nuovo apprendistato professionalizzante e di mestiere

    Il decreto legge 167 del 2011, en-trato in vigore il 25 ottobre di quest’an-no, tenta di dare nuovo slancio ad un istituto, l’apprendistato, che ha subito alterne vicende e, comunque, ha ot-tenuto scarso risultato di applicazione nelle aziende.

    La novità più rilevante che interes-sa l’apprendistato professionalizzate (quello disciplinato dalla contrattazione collettiva) è relativa alla disciplina della formazione. Per anni, dall’emanazione della dlgs 276/2003, l’istituto legislativo ha visto il proprio caposaldo nelle 120 ore di formazione formale per ogni anno di durata dell’apprendistato. Ora il provvedimento legislativo in esame, affida alle Regioni il compito di mo-dulare la formazione, trasversale o di base, e professionalizzante, lasciando alla contrattazione collettiva quello di definire la parte di formazione tecnico- professionale specialistica. Le Regioni, quindi, devono modulare l’offerta for-mativa relativa alla formazione tenendo conto dell’età dell’apprendista, del titolo di studio e dell’esperienza dello stesso.

    Anche le parti sociali hanno il compito di definire pacchetti formativi coerenti con il profilo professionale da conseguire, la qualificazione contrattuale e l’età dell’apprendista.

    Il legislatore pone il vincolo di tre anni di durata massima per l’appren-distato e, quindi, anche per il relativo obbligo formativo, fatta eccezione per le figure dell’”… artigianato individuate dalla contrattazione collettiva di riferi-mento” che invece possono far durare la formazione e il periodo formativo ben 5 anni.

    Su questa definizione, piuttosto chiara, si è incentrato però un interpello di Confcommercio e Confesercenti che, il giorno dopo l’entrata in vigore del provvedimento, hanno posto un quesito al Ministero del Lavoro chiedendo se quel riferimento alle figure dell’arti-gianato non potesse essere inteso, in senso più generale, a tutte le figure che contemplano attività “artigiana” anche previste in contratti collettivi diversi da quelli del CCNL Artigiani. La risposta

    del Ministero è stata positiva: le parti sociali, pertanto, anche all’interno del contratto del terziario e del turismo, possono individuare figure professiona-li “artigiane” la cui durata dell’apprendi-stato sia di 5 anni anziché 3.

    Importantissimo, pertanto, il ruolo di parti sociali, organizzazioni sindacali e associazioni datoriali per la definizione di tutta la materia dell’apprendistato professionalizzante, ribattezzato anche “contratto di mestiere”, che hanno 6 mesi di tempo per sviluppare la disci-plina applicativa del provvedimento in esame. Sarà pertanto necessario armonizzare i profili professionali pre-visti dai contratti collettivi con la durata dell’apprendistato e con l’obbligo for-mativo conseguente. Peraltro, alcuni contratti collettivi come quello del ter-ziario, avevano già prodotto uno sforzo in tal senso. La disciplina contrattuale di questo settore, infatti, aveva previsto una modulazione dell’obbligo formativo in base alla qualifica professionale da conseguire, bloccando a 80 ore com-plessive, per il quarto, terzo e secondo

    E prima di tutto, difendere la Carta costituzionale non solo per affermare un principio sacrosanto quale è quello della “equità intergenerazionale”, ma anche per evitare l’introduzione di regole intrinsecamente legate a situa-zioni storiche comunque contingenti, da superare, e che quindi non debbono avere quel carattere di stabilità che è l’elemento fondante di ogni norma costituzionale.

    Non si tratta della previsione di limi-tazioni all’indebitamento, che in effetti potrebbe rispondere alle esigenze del momento; neppure si tratta del vincolo al pareggio dei bilanci pubblici, che come misura congiunturale potrebbe risultare utile anche se, nel caso dell’I-talia, di difficile attuazione per l’ingente ammontare del debito pubblico com-plessivo che annualmente deve essere rimborsato, anche per l’elevato importo della spesa per interessi.

    Si tratta della previsione di un limite all’entità della spesa pubblica, che addirittura si vorrebbe inserire nella Co-stituzione: il riferimento è alla proposta di legge costituzionale che fisserebbe il limite del 45% del PIL alle spese to-tali (dunque di qualsiasi genere) delle

    amministrazioni pubbliche.

    Un’ipotesi del genere nulla ha a che vedere con i problemi del debito pubbli-co e della sua sostenibilità, ma intende limitare la spesa in quanto tale e, in tal modo, impedire anche le spese indi-spensabili per lo sviluppo economico e sociale del Paese che potrebbero ben essere finanziate con un aumento della pressione fiscale e con una adeguata attuazione del principio di progressività del prelievo.

    La nostra Costituzione non adotta un modello sociale determinato, proprio perché vuole che esso sia il risultato della dialettica tra opzioni politiche diverse, nel rispetto di alcuni valori in-violabili di solidarietà e di eguaglianza.

    Naturalmente questi valori possono essere sentiti con intensità diverse e possono essere coniugati in modi diffe-renti, ma l’introduzione del principio del limite di spesa renderebbe problemati-ca la stessa proposizione di politiche di progresso e di solidarietà.

    A tanto non erano arrivati neanche gli antesignani del liberismo antista-tuale alla Thatcher o alla Reagan e, a maggior ragione, a tanto non sono

    giunte né le modifiche apportate alla Costituzione tedesca nel 2009 o alla Costituzione spagnola in questi giorni né quelle in corso di approvazione alla Costituzione francese.

    Una versione come quella desu-mibile dalla citata proposta di legge parrebbe più coerente con il program-ma di partiti conservatori che non di formazioni liberali e progressiste.

    E ciò per il semplice motivo che la spesa pubblica, come il prelievo fiscale, è fattore di redistribuzione sociale ed ineliminabile condizione per assicu-rare servizi pubblici e infrastrutture essenziali.

    Predeterminare un limite alla spesa, e di conseguenza al prelievo, significa rinunziare a governare la società ed il suo sviluppo.

    Roberto Pennati

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    livello, la formazione trasversale di base (5° e 6° avevano solo 60 ore). Per il quarto livello del settore terziario le parti sociali avevano diminuito anche l’obbligo formativo da 120 ore annue a 90 ore. Ricordiamo però che le aziende potevano accedere a questo canale di formazione in alternativa a quello tradizionale (120 ore annue), solo se rinunciavano ai finanziamenti pubblici per la formazione e se dichiaravano, pertanto, di avere capacità formativa interna.

    Il nuovo testo legislativo, invece, prefigura un modello misto (formazio-ne trasversale resa dalle Regioni e formazione professionalizzante dalle aziende) che consente quindi una commistione tra le due tipologie, con-sentendo di fatto al datore di lavoro di utilizzare anche fondi pubblici per la formazione a seconda del pacchetto formativo che verrà messo a punto da Regioni e parti sociali.

    Ora, nel caso del CCNL terziario, lo sforzo che le parti devono produrre, è quello di ridefinire l’obbligo formativo relativo alla sfera della cosiddetta “for-mazione professionalizzante”, tenendo conto anche dell’età dell’apprendista, ma soprattutto della qualifica pro-fessionale da conseguire: se, infatti, l’abbassamento dell’obbligo formativo e della durata del contratto ha spinto Confcommercio e Confesercenti a pro-porre la modifica sopra commentata, è anche vero che un’apprendistato di 4 anni, per un addetto alle vendite, era (è, per il periodo transitorio) davvero troppo.

    Importante novità del testo legislati-

    vo in esame, è la possibilità di definire contratti di apprendistato “a termine” per i dipendenti di quelle realtà che gestiscono attività in cicli stagionali. Bisogna comunque ricordare che al-cune Circolari Ministeriali, e gli stessi CCNL del Turismo, avevano aperto la possibilità di instaurare contratti di ap-prendistato rispettando la proporzione tra obbligo formativo (le vecchie 120 ore annue), e l’effettiva prestazione lavorativa dell’apprendista, aprendo, di fatto, la pista dell’attivazione di contratti di apprendistato a termine.

    Questa dell’attività stagionale è, peraltro, l’unica eccezione ad un prin-cipio di natura più generale, sancito dal presente provvedimento legislativo, che definisce il contratto di appren-distato come un contratto a tempo “indeterminato”.

    Il principio viene peraltro rafforzato da un concetto, piuttosto discutibile, e cioè quello dell’impossibilità del recesso dal contratto di apprendistato anche da parte dell’apprendista du-rante il periodo formativo. La disciplina generale, descritta all’articolo 2 del dlgs 167/2011, alla lettera h) ricorda il ”…divieto per le parti di recedere dal con-tratto durante il periodo di formazione in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo”. Questa novità legislativa, quindi, ribadisce l’obbligo di “stare nel rapporto di lavoro” anche per l’apprendista che non può quin-di, se non in presenza di una giusta causa e giustificato motivo, recedere dal contratto. L’introduzione di questa novità si è resa necessaria, secondo il legislatore, per l’alto turn over degli apprendisti nelle aziende, dovuto alla

    facoltà esercitata dall’apprendista di recedere dal rapporto: sostanzialmente passa il concetto implicito di un datore di lavoro potenzialmente danneggiato dall’apprendista che, attraverso le sue dimissioni, mette in discussione un investimento formativo costoso e importante per le aziende.

    Altro elemento importante introdotto dal testo legislativo in esame, è la pos-sibilità di finanziare l’attività formativa attraverso i fondi paritetici interpro-fessionali. Già la legge 138 del 2011, meglio conosciuta come manovra d’estate (e famosa per l’introduzione del famigerato art. 8), all’articolo 10 aveva previsto la possibilità di formare gli apprendisti e finanziare i contratti a progetto con le risorse dei fondi inter-professionali.

    Prima ancora, la legge 2 del 2009, all’articolo 19 comma 7, aveva previsto la possibilità di inserire tra i beneficiari del finanziamento delle attività forma-tive, oltre agli apprendisti e i contratti a progetto, anche i lavoratori in mobilità, in cassa integrazione con contratto di solidarietà, derogando al principio ge-nerale che possono essere destinatari della formazione solo i lavoratori che versano il cosiddetto “contributo dello 0,30%” ai fondi interprofessionali.

    Il più grande fondo interprofes-sionale di riferimento per il settore del commercio, fondo For.Te, nel suo avviso 02/10, fatto precedere da una delibera del consiglio di amministrazio-ne, ha introdotto la possibilità di inserire in formazione anche apprendisti e con-tratti a progetto.

    In verità era sempre rimasto il dubbio sulla possibilità di finanziare, attraverso i fondi interprofessionali, la formazione cosiddetta “obbligatoria” (le 120 ore di formazione formale) prevista dal piano formativo o quella ulteriore che dovesse rendersi necessaria. Il fondo For.Te, in questo caso, consenti-va solo la formazione “non obbligatoria” anche se il recente provvedimento impegnerà i consigli di amministrazione dei fondi a rivedere le posizioni alla luce del chiaro riferimento normativo.

    Il decreto legislativo 167/2011, infatti, cita la possibilità di finanziare attività formativa degli apprendisti attra-verso i fondi paritetici interprofessionali e, dal tenore dell’articolo, sembrerebbe destinare queste risorse alla forma-zione trasversale e di base, lì dove si afferma che la possibilità di finanziare i corsi viene gestita “in concorso con le regioni”. Sarà importante, quindi, sape-re come i diversi fondi interprofessionali e le Regioni si orienteranno per definire

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    gli eventuali accordi di realizzazione e , soprattutto, cosa le parti sociali decide-ranno rispetto alla formazione tecnico professionali e specialistiche.

    Tra le novità del provvedimento in esame, si annovera anche la possibilità di compilare il piano formativo indivi-duale (ma anche di formalizzare la let-tera di assunzione) entro 30 giorni dalla stipulazione del contratto. Ricordiamo, in questo caso, il prezioso contributo degli Enti Bilaterali ai quali viene de-mandata la possibilità di validare i piani formativi, strumento fondamentale di governo della formazione dell’apprendi-sta. Gli Enti Bilaterali, peraltro, potreb-bero essere anche incaricati dalle parti sociali alla definizione delle modalità di erogazione della formazione aziendale nel rispetto degli standard regionali.

    Nelle disposizioni finali, invece, viene ribadita l’importanza dell’atti-vità formativa; se il datore di lavoro è ritenuto unico responsabile della mancata formazione, a livelli così gravi da pregiudicare il progetto formativo, questi è tenuto a “…a versare la dif-ferenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento”. All’Ispettorato del lavoro viene attribuito il compito di intervenire con il dispositivo della diffida accertativa e di ordinare al datore di lavoro di adem-piere alle eventuali carenze formative riscontrate rispetto al piano formativo (se il contratto di apprendistato è an-cora in essere).

    Per ultimo ricordiamo che, soprat-tutto per l’apprendistato professionaliz-

    zante o di mestiere, è centrale il ruolo delle parti sociali. Le organizzazioni sin-dacali, comparativamente più rappre-sentative a livello nazionale, hanno il compito di definire la disciplina del con-tratto di apprendistato. L’art. 7, comma 7 del provvedimento in esame, ricorda che l’evoluzione alla nuova disciplina deve essere compiuta nel periodo di 6 mesi durante il quale rimane ferma, in via transitoria, la regolamentazione contrattuale vigente

    Le altre novità dell’apprendistato in pillole.

    Saranno possibili quattro tipologie contrattuali: apprendistato per la qua-lifica e per il diploma professionale, apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, apprendistato di alta formazione e apprendistato di ricerca.

    Verrà introdotta la possibilità di assumere i lavoratori in mobilità con il contratto di apprendistato (comma 4 art. 7). Per i datori che assumono que-sti lavoratori valgono le agevolazioni contributive previste per chi assume i lavoratori dalle liste di mobilità (50% dell’indennità che sarebbe spettata al lavoratore se il rapporto di lavoro viene mantenuto per più di 12 mesi) al quale si somma il regime contributivo agevolato degli apprendisti.

    Possibilità di allungare il periodo di apprendistato in caso di eventi quali malattia, infortunio, o altre cause di so-spensione involontaria che durino più di trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti collettivi (lettera h, art. 2)

    Verrà introdotta la possibilità di sti-pulare contratti di apprendistato anche per la pubblica amministrazione.

    Chiarito che agli apprendisti vengo-no applicate le norme in materia di as-sistenza e previdenza con riferimento a assicurazioni contro le malattie, assi-curazione contro gli infortuni, maternità, assegni familiari, assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia

    Introdotta la distinzione tra appren-distato in alta formazione e ricerca, quest’ultimo teso a formare ricercatori in ambito universitario (art. 5)

    Fermo restando i contratti già in essere, con l’entrata in vigore del dlgs 167/2011 sono abrogati l’articolo 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196, la legge 19 gennaio 1955, n. 25, gli articoli da 47 a 53 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

    I datori di lavoro che hanno più sedi in più regioni sul territorio nazionale, possono fare riferimento al percorso formativo della regione dove è ubicata la sede legale (comma 10, art,.7)

    Ministero del Lavoro, Ministero dell’Istruzione, nel rispetto delle in-tese tra parti sociali, Regioni e Go-verno, hanno 12 mesi di tempo per implementare un modello di verifica degli apprendimenti della formazione dell’apprendista. Il datore di lavoro ha l’onere di registrare nel libretto forma-tivo la formazione dell’apprendista e la qualifica professionale. Le compe-tenze dell’apprendista devono essere potranno essere certificate secondo le modalità previste dalle regioni sulla base del repertorio delle professioni (non ancora definito).

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    diriTTo del lAvoro

    Licenziare per creare lavorodel datore di lavoro ad assumere nuovi lavoratori (stante l’incertezza sul livello futuro della domanda), con conse-guente presumibile compressione dei livelli occupazionali, ma determinano anche un incremento dei costi di sostituzione degli insi-ders, con conseguente riduzione della possibilità di concorrenza nei loro confronti da parte degli outsiders.”

    Da tre lustri quindi si lavora alla costruzione di un teorema ben pre-ciso che indirizza la re-sponsabilità dei problemi occupazionali del nostro paese verso quella parte della popolazione occupata che, grazie al diritto del lavoro scaturito dall’ema-nazione dello Statuto dei Lavoratori, è tutelata, nella dignità e nella libertà morale, dall’arbitrio del datore di lavoro.

    Quindici anni di metodico lavoro di lenta ma costante sedimentazione di una teoria che mira ad erodere i valori della stabilità e della tutela della dignità per contrapporli colpevolisticamente al deficit, quantitativo e qualitativo, occupazionale.

    Il luogo comune che si è paziente-mente costruito è quindi quello secondo il quale in Italia, il lavoro dipendente a tempo indeterminato sarebbe troppo tutelato; le imprese che vorrebbero libe-rarsi dei propri dipendenti, non riescono a farlo a causa di una legislazione ipergarantista e questo impedimento frenerebbe lo sviluppo imprenditoriale e la collegata possibilità di crescita occupazionale.

    In soldoni, in Italia, l’occupazione non cresce perché è difficile licenziare, bisogna quindi rendere più semplice il licenziamento per creare opportunità di lavoro.

    Se ascoltassimo questo ragio-namento in un corso di filosofia ari-stotelica ne assoceremmo l’evidente insensatezza alla famosa categoria dei paradossi di Zenone (Achille e la tartaruga, il bugiardo cretese, ecc), rilevando immediatamente l’assoluta mancanza di riscontro tra la logica enunciata e la concretezza della realtà.

    Ma la vita reale non è un’aula accademica e la ridondanza con la quale certi concetti vengono proposti

    nell’azione propagandistica necessaria ai reali beneficiari del cambiamento, cancella il lato paradossale abilitando il messaggio al livello di cambiamento necessario per la collettività.

    Cerchiamo allora di capire di che cosa si sta parlando.

    Chiariamo fin da subito che il dibattito agisce su quella parte di po-polazione occupata nelle aziende con più di quindici dipendenti, quelle, cioè, ove si applica la tutela reale prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori.

    È dunque difficile licenziare in que-sta area delle aziende italiane?

    La nostra legislazione, già dal 1966 con la legge 604, prevede la facoltà di licenziamento individuale del dipenden-te a tempo indeterminato in presenza di due eventualità: il caso di “giusta causa” oppure il caso di “giustificato motivo”.

    Il caso di Giusta Causa viene defi-nito dal Codice Civile come “una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto“ e si riferisce ad eventi o circostanze di tale gravità da procurare l’interruzione con immediatezza del rapporto di lavoro senza nemmeno poter consumare un periodo di preavviso.

    Il caso di Giustificato Motivo, che può essere soggettivo (se riguarda il lavoratore) o oggettivo (se riguarda condizioni generali dell’attività dell’im-presa) contempla condizioni di impos-sibilità effettiva a proseguire il rapporto di lavoro per ragioni che riguardano il lavoratore (ad esempio sopravvenuta inidoneità alla mansione con impossibi-

    “Onorevoli Colleghi!

    Dopo anni di mancate riforme, l’Italia sperimenta una frattura tra generazioni profonda e sempre meno sanabile. Più di due milioni di persone comprese tra i 15 e i 34 anni non stu-diano, non lavorano, né cercano lavoro: all’età in cui l’intelligenza è più creativa e il fisico più prestante, noi teniamo milioni di giovani fuori dal mercato del lavoro dipendente stabile e ben remu-nerato, fuori dalle professioni libere, fuori dall’impresa “

    Inizia così la Relazione introduttiva del Progetto di Legge “Della Vedova – Raisi” presentato questa primavera e che si propone come risposta al dram-ma della disoccupazione giovanile e del lavoro precario.

    Una risposta che trova la sua più efficace sintesi quando afferma, poche righe dopo, nella stessa relazione, che dalla situazione descritta “si può uscire solo in un modo: con un vero patto tra generazioni, chiedendo un sacrificio a chi oggi gode di molte garanzie a vantaggio di chi non ne ha, “aprendo” il mercato del lavoro per renderlo coe-rente con una società aperta.”1

    Ovviamente quando si parla di “chi oggi gode di molte garanzie” ci si riferisce a quella “cittadella del lavoro regolare” che Pietro Ichino, fin dal 1996, indica come ostacolo all’accesso al lavoro di “una larga maggioranza degli outsiders sia assai poco interessata al mantenimento - e ancor meno all’incre-mento - delle tutele inderogabili e della legislazione di sostegno”2.

    Ed il pensiero diviene, fin da quell’e-poca, chiarissimo quando, dopo aver ri-conosciuto che: “L’esempio più eviden-te è forse quello delle norme limitative della facoltà di licenziamento: obiettivo di queste norme è di impedire l’arbitrio del datore di lavoro, quindi di migliorare le condizioni di lavoro tutelando dignità e libertà morale del lavoratore;”, si af-ferma: “queste stesse norme, tuttavia, non soltanto riducono la disponibilità

    1 Proget to d i legge presentato alla Camera da Benedetto della Vedova, Enzo Raisi e altri deputati del Gruppo di Futuro e Libertà il 7 aprile 2011, n. 4277

    2 Cfr. Pietro Ichino - “IL LAVORO E IL MERCATO. Idee per un

    diritto del lavoro maggiorenne”. 1996. Arnoldo Mondadori Editore S.p.A - Capitolo I “A chi servono oggi il sindacato e il diritto del lavoro”

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    Area Sindacale N. 67 Novembre 2011

    lità di adibirlo ad altri compiti) o l’attività aziendale (ad esempio il venir meno della funzione per la quale il lavoratore è stato assunto e l’impossibilità di adi-birlo ad altri compiti).

    Come si vede, se un’azienda non può più, oggettivamente, avvalersi della collaborazione di un proprio dipen-dente, non è costretta a mantenerlo in servizio ed a pagarne il costo in modo improduttivo. Nemmeno in una grande azienda con centinaia di dipendenti.

    A questa normativa si è poi ag-giunta, dal 1991 con la legge 223, la normativa sulle procedure per i licen-ziamenti collettivi e la collocazione in mobilità che agisce anch’essa nelle imprese con numeri anche elevati di dipendenti prevedendo criteri e moda-lità di licenziamento.

    Una legge che molti lavoratori e lavoratrici o ex lavoratori ed ex lavo-ratrici, purtroppo conoscono bene. E sono dipendenti o ex dipendenti di tante grandi aziende dove lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori non ha mai cessato la sua applicazione.

    Dall’anno della sua emanazione, ma soprattutto dal 2008 ad oggi, il licenziamento di lavoratrici e lavoratori è stata la pratica (a volte abusata) che ha permesso la sopravvivenza di tante piccole e grandi imprese.

    Dov’è allora questo ipergarantismo, questa roccaforte dei privilegi che tanto anima il dibattito accademico e parla-mentare di questi ultimi quindici anni?

    Non sarà forse che il vero problema risieda invece nella vocazione di una certa imprenditoria a liberarsi da tutte le forme di responsabilità che vincolino in qualche modo il suo agire alla ricerca del proprio profitto?

    In questo senso la stretta, di questo periodo, sul tema dei licenziamenti fa perfettamente il paio con l’iniziativa annunciata dal Governo Berlusconi (e, ovviamente, apprezzata da Con-findustria) diretta a sciogliere il vincolo costituzionale dell’art. 41, che lega la libertà d’impresa con il rispetto dei diritti fondamentali di libertà, sicurezza e di-gnità umana e con il principio generale di utilità sociale.

    Ebbene sì, in questo senso, quell’o-stacolo che impedisce all’imprenditore di licenziare il proprio dipendente, non perchè sia venuta meno la funzione per la quale lo ha assunto e nemme-no perchè abbia trasgredito i propri doveri contrattuali e neppure perchè l’impresa stia attraversando un perio-do di crisi, ma semplicemente perchè

    non è abbastanza disponibile verso le richieste aziendali, magari perchè dà un po’ troppo spesso priorità alla sua vita familiare o sociale piuttosto che alle necessità dell’impresa, o forse perchè è solamente invecchiato un po’ ed un giovanotto al suo posto potrebbe rendere un po’ di più, ebbene, in questo senso, l’impossibilità di licenziarlo diventa un vincolo insopportabile.

    È il liberismo, baby!

    È la religione del Dio Mercato.

    Non è un caso se, tornando al professor Ichino, la questione che viene posta è di spostare le tutele dal Rapporto di Lavoro al “libero” Mercato del Lavoro.

    L’ impresa pretende meno obblighi rivolti verso la propria forza lavoro:

    meno contrattazione collettiva, spostando la negoziazione delle condi-zioni di lavoro sul piano della contrattazione indi-viduale, dove il rapporto di forza le è nettamente più favorevole;

    meno esposizione verso l’azione legale di tutela del lavoro, dirottando i conten-ziosi di lavoro sul fronte arbitrale (con le clausole compromissorie), dove le è possibile determinare chi dovrà espri-mersi sul suo operato;

    meno stabilità occupazionale ver-so il proprio personale, spostando la sussistenza del reddito verso l’esterno dell’azienda: in un mix di sostegno che dovrebbe essere composto da un’indennità di licenziamento (la cui dimensione è ormai da tutti ricondotta alle 15 mensilità del disegno di leg-ge n.1873, presentato da Ichino nel novembre 2009), dalle opportunità di ricollocazione del mercato e dai sus-sidi di disoccupazione a carico della collettività.

    Ed allora, da quindici anni, il pensie-ro unico del giuslavorismo dominante pontifica solo in questa direzione.

    È, d’altronde, la direzione che viene imposta dal potere economico e finan-ziario che domina le scelte di Eurolan-dia: la lettera d’agosto e le continue sollecitazioni di questo periodo non lasciano dubbi su quale sia il carico di attenzioni che l’imprenditoria europea ha, oggi più che mai all’inseguimento

    del modello americano (nonostante l’evidente declino), verso questo tema e la forte attesa per una spallata finale che disarticoli il principio della tutela reale con il reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato.

    Se cade l’Italia, il diritto al reinte-gro rimarrebbe solo in Austria,

    Danimarca,Grecia e Portogallo, con tutto il resto dell’Europa

    che, o lascia la scelta all’imprenditore se ri-

    prendere o meno il dipendente in-giustamente li-cenziato optando

    eventualmente per un risarcimento (come in Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna e Svezia), o

    addirittura non prevede nemmeno la possibilità di riprendere il lavoro

    (Belgio, Regno Unito e Svizzera).

    Il tutto, ovvia-mente, a tutela dei giovani out-siders che oggi vivono la piaga del precariato.

    Peccato che spostare un gio-

    vane ou ts ide r, dalla precarietà dei

    contratti a tipici e a tempo determinato, alla precarietà di un’assunzione “con contratto di lavoro unico a tempo inde-terminato senza tutela reale”, gli cambi probabilmente poco la vita.

    Eh sì... esattamente questo è il cuore della proposta contenuta nel Pro-getto di Legge “Della Vedova – Raisi” che si presenta con tanta enfasi nel suo incipit, richiamato all’inizio dell’ar-ticolo, ma anche delle altre proposte, come quella del professor Ichino, che si annunciano pomposamente come rimedio ad una fantomatica mancanza di flessibilità in uscita del mercato del lavoro italiano, ma che avranno come unico risultato vero, quello di indebolire ancor di più le già provate condizioni di tutela della parte più debole del rapporto di lavoro a vantaggio solo dell’arbitrarietà dell’imprenditore.

    Almeno la decenza di rappresenta-re le cose per quello che effettivamente sono andrebbe salvaguardata.

    Sergio Del Zotto

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    Novembre 2011 Area Sindacale N. 67

    Con accordo del 25 marzo 2009, Fil-cams, Fisascat e UILTuCS hanno dato origine al sistema degli RLST , Rappre-sentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale.

    12 RLST su tutto il territorio lombardo di cui tre sul territorio di Milano assicurano un presidio nelle aziende del settore Terziario Turismo e Servizi.

    Se i lavoratori della tua azienda non hanno nominato il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale, il RLST può intervenire per effettua-re sopralluoghi negli ambienti di lavoro e per diventare un riferimento per i problemi di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

    Le aziende possono fruire del servizio a condizione che aderiscano a ENBIL (come previsto dal contratto collettivo del Turismo e del Terziario) e con una quota di adesione di € 50 annuali + € 15 per ogni lavoratore.

    Ad un costo competitivo quindi, l’azienda e i lavoratori potranno assicurarsi un intervento competente e utile anche ad aumentare la cultura della salu-te e sicurezza nei luoghi di lavoro.

    Per ulteriori informazioni non esitare a contattare la UILTuCS allo 027606791 o inviando una mail a [email protected]

    ENBIL al servizio della Salute e della Sicurezza

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    Area Sindacale N. 67 Novembre 2011

    schede di ApprofondimenTo

    Il nostro Sistema Pensionistico1) Per gli anni lavorati prima del

    1992 si tiene conto della media delle retribuzioni percepite negli ultimi 5 anni di lavoro

    2) Si rivalutano le retribuzione lor-de annue percepite negli ultimi 4 anni tralasciando l’ultimo.

    3) Si effettua la media di tali retribu-zioni e le si applica un valore in termine di percentuale in base agli anni lavorati prima del 1992 presi in esame. Esem-pio: se fossero 22 anni equivarrebbe al 44% perché ogni anno vale il 2% (22 x 2= 44)

    4) Per gli anni di lavoro prestato dopo il 1992, si prendono in considera-zione gli ultimi 10 anni di contribuzione (anziché 5), sui quali vengono effettua-te le stesse operazioni precedentemen-te elencate.

    5) Al totale così ottenuto si attribui-sce una percentuale, che sommata alla precedente (quella spiegata al punto ) non può superare come valore l’80% della retribuzione mensile sul totale annuo. tale percentuale è applicata all’imponibile lordo che viene percepito durante la vita lavorativa (infatti un anno vale 2%, e ne vengono considerati al massimo 40 per il calcolo della pen-sione)e corrisponde all’importo della pensione che verrà percepita.

    Modello contributivo: L’importo della pensione è strettamente correlato ai contributi previdenziali versati all’INPS e non più alle ultime retribuzioni per-cepita.

    La pensione si ottiene moltiplicando il montante (contributi versati per l’inte-ra vita lavorativa) per un “coefficiente di trasformazione” che viene rivisto periodicamente in relazione all’aspet-

    tativa di vita.

    Modello misto: tale sistema è il ri-sultato dell’integrazione dei precedenti modelli: per gli anni lavorati fino al 1995 si tiene conto del modello retributivo, invece la parte di pensione riferita agli anni di lavoro prestati dopo il 1995 viene calcolata applicando il modello contributivo.

    PENSIONE DI ANZIANITA’ CON-TRIBUTIVA

    Tu t t i i l a vo ra to r i appa r t e -nenti alle tre categorie (sistema retributivo,misto,contributivo) possono richiedere la pensione di anzianità a qualsiasi età a patto di aver raggiunto i 40 anni di contribuzione, di cui 35 anni di contribuzione senza conteggiare alcuni tipi di contribuzione figurativa, ad esempio la malattia non integrata (cioè quella riconosciuta solo dall’INPS senza nessuna integrazione da parte dell’azienda) o la disoccupazione

    PENSIONE DI ANZIANITA’: Il siste-ma delle quote:

    QUOTA 96 (Dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2012): per la domanda di pensione di anzianità occorre raggiun-gere la quota 96, ossia un’anzianità contributiva minima di 35 anni e un’età anagrafica minima di 60 anni (la somma dei due dati deve dare 96). Le possi-bilità previste dalla L.247/2007 sono pertanto due: 60 anni di età + 36 anni di contributi oppure 61 anni di età + 35 anni di contributi, oppure conteggiando anche le frazioni di anno ad esempio 35 anni e 3 mesi di contributi + 60 anni e 9 mesi di età.

    QUOTA 97 (Dal 1° gennaio 2013): per la domanda di pensione di vecchiaia scatta la quota 97, ossia

    TABELLA RIEPILOGATIVA ANNI 2011-2012

    SISTEMA RETRIBUTIVO SISTEMA MISTO

    SISTEMA CONTRIBUTIVO

    Pensione di

    anzianità40 anni di contributi a qualsiasi età

    40 anni di contributi a qualsiasi età

    40 anni di contributi a qualsiasi età

    Sistema QUOTE

    35/36 anni di contributi + 60/61 anni d'età

    35/36 anni di contributi + 60/61 anni d'età

    35/36 anni di contributi + 60/61 anni d'età

    Pensione di

    vecchiaia

    65 anni uomini/60 anni donne + 20 anni di contributi

    65 anni uomini/60 anni donne + 20 anni di contributi

    65 anni uomini/60 anni donne + 5 anni di contributi

    DIRI

    TTO

    ALL

    A PE

    NSIO

    NEPRINCIPALI RIFORME

    Il 1995 ha rappresentato una svolta decisiva nel panorama del sistema pensionistico grazie all’introduzione della “Riforma Dini”; con l’emanazione di tale legge si è decretato il passag-gio graduale dal sistema retributivo a quello contributivo per il calcolo della pensione.

    Coloro i quali avessero maturato 18 anni di anzianità contributiva entro il 1995 rientrano nel metodo di calcolo della pensione cosiddetto “retributivo”. Il modello contributivo, invece, viene applicato nel caso in cui il richiedente avesse iniziato la propria attività lavo-rativa dal 1 gennaio 1995.

    I lavoratori che non hanno matura-to di 18 anni di anzianità contributiva entro il 1995, si vedranno calcolare la pensione con il metodo definito “misto”, parte retributivo e parte contributivo.

    La condizione per poter accedere alla pensione di vecchiaia tramite il modello retributivo o misto è l’aver raggiunto almeno 20 anni di anzianità contributiva. Invece, per il modello contributivo, ne bastano solo 5, ma di contribuzione effettiva.

    Ovviamente la minore anzianità contributiva incide sui valori della pensione.

    Qui di seguito delle specifiche riguardo i tre diversi sistemi di calcolo pensionistico:

    Modello retributivo: l’importo della pensione è calcolato sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro (5/10 anni)

    - I 5 STEP PER CALCOLARE LA PENSIONE:

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    Novembre 2011 Area Sindacale N. 67

    un’età anagrafica minima di 61 anni e un minimo di 35 anni di contributi. Le possibilità previste dalla L.247/2007 sono pertanto due: 61 anni di età ana-grafica + 36 anni di contributi oppure 62 anni di età anagrafica + 35 anni di contributi, oppure conteggiando anche le frazioni di anno ad esempio 36 anni e 3 mesi di contributi + 60 anni e 9 mesi di età.

    FINESTRE

    Per “finestra” si intende il tempo che

    intercorre tra la data in cui viene matu-rato il diritto alla pensione e il giorno in cui si inizia effettivamente a percepire l’indennità mensile.

    Per i dipendenti la finestra ha la durata di un anno, cioè si inizia a percepire la pensione un anno dopo rispetto al mese in cui si è maturato il diritto. Indipendentemente da quale sia il giorno del mese in cui viene maturato il diritto, il calcolo della finestra comincia dal 1° giorno del mese successivo.

    Esempio: se maturo il diritto alla pensione il 15/11/2011 la percepisco a partire dal 01/12/2012 (il primo giorno del mese successivo)

    Se nel corso della propria vita la-vorativa si avesse un trascorso come lavoratore autonomo (es commerciante o artigiano) la finestra avrebbe una durata di 18 mesi, seguendo sempre le regole descritte precedentemente.

    INNALZAMENTO DELL’ETA’ PEN-SIONABILE PREVISTA PER I PROS-SIMI ANNI

    L’età pensionabile di donne e uo-mini tenderà a crescere ogni 3 anni a partire dal 2013 in relazione all’innalza-mento dell’aspettativa di vita. Il primo aumento è previsto nella misura di 3 mesi al massimo. Nel 2016 decideran-no l’ammontare del secondo aumento.

    Bisogna tenere conto che per le donne che lavorano nel settore priva-to è prevista un’ulteriore crescita per

    cercare di avvicinare anche loro all’età pensionabile prevista per gli uomini, e cioè 65 anni.

    Invece, per le donne che lavorano nel settore pubblico è previsto l’innal-zamento dell’età pensionabile a 65 anni già a partire dal 1 gennaio 2012.

    Qui di seguito una tabella riepiloga-tiva di entrambi gli aumenti previsti per le donne del settore privato:

    ANNI 1° AUMENTO2° AUMENTO (in base all'aspettativa di vita) ETA' PENSIONABILE

    2013 0 3 mesi 60 anni e 3 mesi2014 1 mese 0 60 anni e 4 mesi 2015 2 mesi 0 60 anni e 6 mesi2016 3 mesi (??) 60 anni e 9 mesi+(??)2017 4 mesi2018 5 mesi2019 6 mesi2020 7 mesi

    LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

    Con l’introduzione del nuovo me-todo di calcolo (modello contributivo) le pensioni dei lavoratori sono state drasticamente ridimensionate; a questo punto sembra ovvio il ricorso ad altri sistemi di previdenza per cercare di provvedere personalmente all’incre-mento di tale importo.

    In tale contesto, i Fondi Pensionisti-ci rappresentano una valida alternativa da prendere in considerazione per tutti coloro i quali non intendano subire un ridimensionamento del proprio tenore di vita.

    Al momento sul mercato sono attivi tre tipi di sistemi di previdenza complementare:

    1) Fondo pensionale negoziale (chiuso): fondo pensione istituito fa-cendo riferimento ai contratti collettivi applicati nei diversi settori (es. per il commercio FON. TE)

    2) Fondo pensione aperto: forme di pensione complementari istituite da banche o società di assicurazioni

    3) Forma pensionistica individuale: adesione individuale a una qualche forma di assicurazione sulla vita

    La funzione della previdenza com-plementare è dunque quella di per-mettere al lavoratore di aggiungere prestazioni pensionistiche alla pen-sione di base corrisposta dagli Enti di previdenza obbligatoria (INPS).

    Rispetto alla previdenza obbliga-

    toria, quella complementare presenta alcune differenze fondamentali. La prima funziona con il meccanismo a ripartizione: in pratica, i contributi dei lavoratori in attività finanziano le pen-sioni di chi ha già smesso di lavorare.

    La previdenza complementare, invece, ha carattere volontario e adot-ta lo schema a capitalizzazione, in cui i contributi versati da ogni iscritto vengono accantonati su un conto previdenziale individuale. Rivalutati nel tempo grazie alla gestione finanziaria,

    formano un montante individuale che alla scadenza andrà ad alimentare la pensione integrativa.

    Quest’ultima, in pratica, dipende dai contributi versati e dai rendimenti ottenuti dalla gestione stessa.

    Si contribuisce alla formazione della propria pensione complementare attraverso il versamento del proprio TFR e, per chi vuole, c’è la possibilità di una contribuzione volontaria che viene detratta direttamente dalla busta paga mensilmente

    Il conferimento del Tfr alla previden-za complementare in forma esplicita o attraverso il conferimento tacito è irreversibile: non si può quindi cambiare idea e decidere di riportarlo in azien-da. Viceversa, la decisione iniziale di mantenerlo presso il datore di lavoro può essere modificata in qualunque momento per destinarlo alla previdenza complementare.

    Se il dipendente aggiunge una con-tribuzione personale al Fondo (minimo 0.55% max 6% della busta paga) anche il datore di lavoro è obbligato a versare una percentuale (1.55%)

    - INVESTIMENTI

    I contributi versati al Fondo vengo-no investiti nel mercato finanziario per massimizzare il rendimento

    Sono previste varie linee d’investi-mento con diverso profilo di rischio e rendimento: dalle più tranquille di tipo

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    Area Sindacale N. 67 Novembre 2011

    monetario, adatte a chi ha un breve orizzonte temporale, alle più aggres-sive a maggiore contenuto azionari.

    Tutta l’attività promosso dal Fondo viene tenuta sotto controllo dal COVIP, la Commissione di vigilanza sui fondi Pensione.

    - ANTICIPAZIONI

    I fondi pensione prevedono in deter-minate ipotesi la possibilità di ottenere anticipazioni,

    somme in acconto sul montante

    maturato:

    - 75% per spese sanitari gravi

    - Dopo 8 anni 75% per acquisto o ristrutturazione prima casa

    - Dopo 8 anni sempre 30% per altre spese

    E’ possibile riscattare il 50% della propria quota in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della data utile ai fini del pensionamento e si rimane disoccupati per un periodo che va dai 12 ai 48 mesi

    E’ possibile riscattare l’intera quota se il periodo di disoccupazione supera i 48 mesi

    a cura di Monica Longobardi

    lAvoro e sAluTe

    Il benessere lavorativo... un percorso di acquisizione culturale e di sviluppo di consapevolezza individuale e sociale

    Come lavoratore della grande distri-buzione e rappresentante dei lavoratori per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, mi confronto quotidianamente con situazioni che riguardano la salute e la sicurezza dei miei colleghi in am-bito lavorativo all’interno della nostra realtà di grande magazzino.

    Siano esse Situazioni di disagio individuale o, come più spesso accade, manifestazioni di disagio collettivo.

    Quello che purtroppo maggiormen-te ho constato nella mia esperienza, sia tra i colleghi che tra i responsabili ed i vertici aziendali, è la scarsa attenzione e considerazione delle tematiche di salute e sicurezza in ambito lavorativo e, conseguentemente, della mancanza di cultura e consapevolezza rispetto a quegli aspetti legati al benessere lavorativo, sia individuale che collettivo, facenti parte del vissuto quotidiano dei lavoratori.

    Questa mancanza di cul-tura del benessere lavorati-vo accomuna trasversalmen-te lavoratori e dirigenti;

    Spesso, se non dipendesse pura-mente dagli aspetti di responsabilità pena-le introdotti dal dlgs 81/2008, il tema della salute e sicurezza lavorativa, o meglio, il benessere lavora-tivo, non troverebbe assolutamente at-tenzione.

    L’ascolto, e il

    relativo intervento, lo si ottiene dalla direzione quasi sempre solo branden-do, a mo di spauracchio, gli aspetti sanzionatori di una legge che invece nasce per fare evolvere la cultura del benessere.

    Tutto ciò, tristemente, ci dimostra quanta mancanza di cultura e di com-prensione in materia manchino ancora oggi nelle aziende italiane e nei nostri manager e, a cascata, anche tra i nostri dirigenti ed, infine, tra i nostri colleghi; e di quanta strada si debba ancora compiere in Italia per raggiungere gli alti standard culturali europei e nord americani con i quali intendiamo con-frontarci, almeno che non si voglia im-portare il modello produttivo dei paesi asiatici Cina in testa, assai povero di regole e diritti elementari.

    Quando si parla di salute e sicurezza in ambiente di la-

    voro e di pianifica-zione di inter-

    venti mirati al miglioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti, sembra subito scattare furiosamente nelle menti dei nostri manager l’idea di costo insostenibile...

    Qualcosa che deprime il budget... Ignorando gli studi europei (non solo) in materia che evidenziano invece la stret-ta correlazione tra benessere lavorativo e benessere economico e produttivo delle aziende, sottolineando che i costi derivanti dallo stress lavorativo se mal compreso e mal gestito ricadono a pioggia sull’azienda stessa in termini di perdita di produttività sul singolo individuo che si ammala e sull’intera collettività che si trova a doversi far carico dei costi sociali della malattia.

    Altrettanto vero e’ che sia i prepo-sti che i colleghi spesso manifestano insofferenza e fastidio nel dover ri-spettare procedure e disposizioni di sicurezza, magari dovendo indossare dispositivi di protezione individuale, non comprendendo l’importanza di quelle azioni, considerate alla stregua

    di inutili atti burocratici che finiscono per limitare la propria efficienza,

    la propria agibilità operativa e lavorativa e, quindi, finiscono

    per rallentare l’intera cate-na della produttività.

    Il primo passo da compiere quindi, sia come organizzazione sindacale che come singolo Rls è quello di operare una mas-siccia e costante ope-ra di informazione e ascolto partecipato,

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    Novembre 2011 Area Sindacale N. 67

    mirata a coinvolgere e rendere soggetti attivi i lavoratori che troppo spesso soni mantenuti in uno stato di silente passività e di pura inconsapevolezza , allo scopo di elevarne il livello culturale e di rafforzarne la coscienza: il diritto di lavorare in ambienti sani e sicuri e con un’organizzazione del lavoro che sappia conciliare tempi di lavoro e tempi di vita è un sacrosanto diritto da pretendere, inalienabile in una società che si dica evoluta e moderna.

    Questo significa costruire un mo-vimento che riesca a coinvolgere pro-gressivamente i lavoratori della GDO e che porti i manager delle aziende nel loro insieme a ripensare i modelli attuali dell’organizzazione del lavoro del nostro settore; cercando di far comprendere loro che l’organizzazione del lavoro nelle nostre realtà non deve essere più pensata e modellata solo in funzione della produttività a scapito degli spazi e dei tempi di vita dei lavora-tori (fin qui anche fin troppo penalizzati e sacrificati da politiche competitive ed aggressive fatte di continue deregu-lation degli orari e delle aperture che hanno attraversato l’intero settore negli ultimi anni).

    Politiche fatte di estrema flessi-bilità, anche di termini di orari e ritmi di lavoro che hanno dato origine ad un’Organizzazione del lavoro a elevato rischio stress psico sociale, sebbene gli strumenti di rilevamento fin qui utilizzati

    non riescano ancora ad evidenziare sufficientemente il fenomeno nella sua reale portata.

    Dobbiamo riuscire a promuovere nel tempo una cultura del benessere lavorativo che faccia breccia nelle co-scienze dei nostri colleghi e soprattutto nella testa e nel portafoglio dei nostri dirigenti perché si possano attuare politiche di prevenzione ed ascolto del disagio sociale e lavorativo nei nostri ambienti di lavoro e si possa finalmente dar vita a nuovi modelli organizzativi ispirati dagli standard europei e che tengano conto del benessere lavorativo e non solo del benessere economico dell’impresa; inteso oggi come qual-cosa da raggiungere anche a discapito dei rischi per la salute sicurezza dei lavoratori, perché, non mi sforzerò mai di ripeterlo, prendersi cura dei propri dipendenti e del loro benessere sociale oltreché economico e garanzia di moti-vazione del proprio personale e cresci-ta di risultati e di fatturato per l’azienda stessa; se non proprio nell’immediato sicuramente nel tempo.

    Saper costruire un modello organiz-zativo che concili tempi di vita e tempi di lavoro e che tenga in considerazione positiva gli aspetti di salute e sicu-rezza all’interno del proprio contesto produttivo deve divenire nel tempo un obbiettivo primario dei nostri manager aziendali comprendendo che se si in-terviene positivamente su quegli aspetti

    del contesto produttivo legati alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori significa produrre un miglioramento delle loro condizioni di lavoro e quindi di riflesso di ingenerare un benessere sociale … capace da ultimo di accrescere il benessere economico dell’azienda.

    Per fare tutto questo ci vuole tempo e disponibilità culturale.

    Il nemico numero uno di questo processo evolutivo è dato dalla filosofia manageriale di pura speculazione e di profitto che ha imperversato nel nostro settore e più diffusamente nella nostra società, ormai globale, negli ultimi anni e che ha finito per indebolire e ridurre le garanzie e le tutele dei lavoratori ma anche a compromettere un’economia incapace di sviluppo e crescita e senza più veri investimenti a medio e lungo termine.

    La speranza è che questa crisi economica globale e per certi aspetti irreversibile porti in fine al ripensa-mento del modello “Metropolis” ed allo sviluppo di nuovi modelli economici ed organizzativi più equilibrati ed a reale dimensione d’uomo.

    Marco Sorio

    Lo sportello Sai fornisce informazioni e servizi dettagliati e mirati, riguardanti problemi quotidiani che gli immigrati (extracomunitari, neocomunitari e comunitari) incontrano.

    L’attività dello sportello è articolata nelle seguenti aree

    Legislazione generale

    Documentazione relativa alle diverse tipologie di soggiorno

    Asilo

    Orientamento al lavoro

    Ricongiungimento familiare

    Decreti Flussi

    Cittadinanza

    Il servizio è attivo presso il nostro ufficio di

    Milano - Via Salvini, 4

    Fermata MM1 Palestro

    tel. 027606791

  • 13

    Area Sindacale N. 67 Novembre 2011

    Umanità Migrante

    Gli effetti della crisi finanziaria mondiale sull’immigrazione

    Tuttavia gli effetti di lungo periodo possono essere piuttosto diversi e per capirne il potenziale impatto sarebbe utile guardare i precedenti storici.

    La crisi economica mondiale del 1930 portò ad un massiccio calo dell’immigrazione a livello internazio-nale. Parte di questo calo fu in realtà il risultato di politiche restrittive adottate durante e dopo la prima guerra mon-diale. Ciò nonostante, nel 1930 molti stranieri non tornarono nel loro paese d’origine, anzi, si stabilirono diventando membri permanenti della popolazione locale.

    La recessione successiva alla crisi petrolifera del 1973 (quando i paesi aderenti all’OPEC aumentarono rapidamente il prezzo del carburante) comportò enormi conseguenze per l’immigrazione. Si può dire che da quel momento, la migrazione di lavoratori stranieri terminò in Europa e iniziarono i processi di ricongiungimenti familiari e gli insediamenti definitivi, i quali portarono alla formazione di gruppi di minoranze etniche stanziali. Grandi imprese svilupparono strategie per l’esportazione di capitali e una nuova organizzazione del lavoro a livello in-ternazionale, che portò alla nascita di nuovi poli industriali, specialmente in Asia e in America Latina - e sul lungo periodo a nuovo flussi di immigrazione con una finalità lavorativa. Il riciclaggio di petro-dollari creò le basi per il boom economico per i Paesi produttori. In alcuni casi (come per esempio Dubai e altri Paesi del Golfo) questo permise lo sviluppo economico di lungo periodo, in altri come in Nigeria i profitti petroliferi furono dissipati in corruzione e con-sumo sfrenato da parte di una elite con pochi benefici sul lungo periodo. Insomma, nel 1973 si è registrato il picco massimo di immigrazione a livello mondiale. Gli effetti della crisi finanziaria asiatica degli anni 1997-99 furono più modesti. Di-versi governi introdussero politiche

    che precludevono quasi totalmente il mondo del lavoro agli stranieri, e che aveva come obiettivo l’espul-

    sione di questi ultimi, specialmente dei lavoratori irregolari. In alcuni casi, gli stranieri erano il capro espiatorio della disoccupazione e di altre piaghe sociali, come le epidemie e la criminalità. Ad ogni modo, i lavoratori, per esempio quelli appartenenti all’industria agri-cola della Malesia, scoprirono presto che molti nativi erano poco propensi a continuare a dare loro lavoro, anche se vivevano un momento di recessione economica. Tali lavoratori chiesero la fine delle politiche di espulsione. In ogni caso, il rallentamento della crescita economica in Asia durò poco, dopo il 1999 infatti l’immigrazione crebbe di nuovo e raggiunse nuovi livelli. Gli effetti della recessione economica sull’immigrazione sono complessi e dif-ficili da predire. L’attuale crisi potrebbe portare a imprevedibili conseguenze. E’ probabilmente un errore credere che gli stranieri siano una sorta di valvola di sicurezza nei momenti di crescita economica e siano qualcosa di cui do-versi disfare nei momenti di recessione. Quando le condizioni economiche peg-giorano nei Paesi sviluppati, saranno sicuramente peggiori nei loro poveri Paesi d’origine. Per di più gli stranieri non sono solo attori economici che rispondono ad una semplice richiesta d’impiego, ma sono esseri umani che abbattono le frontiere e stabiliscono legami nel nuovo paese. In tempi di recessione le motivazioni per migrare possono essere persino maggiori ri-spetto a prima e le rimesse finanziarie possono essere considerate dei veri e propri flussi monetari internazionali che hanno origine negli obblighi nei confronti delle famiglie lasciate nel Paese d’origine.

    Per concludere, il dislivello econo-mico mondiale e lo squilibrio demogra-fico tra le popolazioni che invecchiano, come per esempio in Italia, e i grandi eserciti di persone in età da lavoro provenienti dal sud del mondo rimar-ranno importanti fattori per le future generazioni di migranti.

    Patrizia Floris

    La crisi economica mondiale ha portato ad un grave rallentamento della crescita economica e ad una notevole perdita di posti di lavoro. Tale drastica flessione delle attività economiche mondiali e la perdita del lavoro hanno molteplici effetti anche sul fattore im-migrazione.

    A mio modo di vedere è importante distinguere tra effetti di breve periodo ed effetti di lungo periodo. Tra gli effetti di breve periodo possiamo menzionare:

    - la migrazione di ritorno di alcuni lavoratori immigrati verso la propria patria dopo aver perso il lavoro;

    - un minor flusso migratorio;

    - tentativi da parte dei governi di incentivare il ritorno a casa di lavoratori stranieri;

    - una significativa caduta nell’immi-grazione irregolare data dalla difficoltà nel trovare un nuovo lavoro quando lo si perde;

    - una crescente ostilità tra stranieri e nativi.

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    Novembre 2011 Area Sindacale N. 67

    L’articolo 8 della riforma finanziaria, di cui molto si è parlato ultimamente, è inserito all’interno al capitolo delle misure a sostegno dell’occupazione e nello specifico è riferito al sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità.

    L’articolo prevede che si possano sottoscrivere contratti collettivi di lavoro a livello aziendale o territoriale, con la previsione della firma tra azienda ed associazioni dei lavoratori comparati-vamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda.

    Tali accordi possono prevedere delle misure e degli interventi per incentivare l’occupazione, la qualità dei contratti di lavoro, l’emersione del lavoro irregolare, gli incrementi di competitività e di salario, la gestione delle crisi aziendali e occupazionali, gli investimenti e l’avvio di nuove attività.

    Alla pubblicazione di tale articolo le critiche, i commenti e le interpretazioni sono state numerose e contrastanti fra loro.

    Tali approcci differenti sono giusti-ficati dal testo stesso dell’articolo che presenta delle imprecisioni chiare e soprattutto lascia adito ad approcci differenziati in base al lettore.

    In tale confusione, l’articolo è di-ventato base di scontro dialettico in relazione al presunto pericolo della deroga all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Quello che prevede che in caso di licenziamento illegittimo, l’azienda al di sopra dei 15 dipendenti, sia costretta a reintegrare il lavoratore.

    Si è concentrata l’attenzione sul dito ma non si è guardata la luna.

    Per quanto riguarda la tutela dell’ar-ticolo 18, il dramma a cui si è assistito mi sembra più uno psicodramma in quanto, soprattutto chi è abituale della materia, un’azienda minimamente at-trezzata, non incontra grosse difficoltà ad allontanare un dipendente reputato ormai un problema. I mezzi utilizzati sono più o meno leciti.

    Si prende il lavoratore in osserva-zione e nel tempo lo si priva della sua professionalità, del suo lavoro, del suo rapporto con i colleghi, della sua dignità umana fino ad alterare il suo equilibrio psicologico. Se poi il lavoratore è par-ticolarmente resistente l’azienda offre una cifra economica che non potrà

    mai essere abbastanza per risarcire la delusione.

    L’articolo 8 prevede pertanto che si possano concordare delle intese su un insieme di materie. Dello Statuto dei Lavoratori a rischio potrebbero essere anche l’ articolo 4 sugli impianti audio-visivi e l’articolo 13 sulle mansioni del lavoratore.

    Le altre materie di discussione sono i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, la somministrazione di lavoro negli appalti, la disciplina dell’orario di lavoro e le modalità di assunzione e la disciplina del rapporto di lavoro.

    L’articolo poi termina con un comma che riporto integralmente:

    “Le disposizioni contenute in con-tratti collettivi aziendali vigenti, appro-vati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unita’ produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioran-za dei lavoratori”.

    Comma che chiaramente fa rife-rimento agli accordi non unitari della Fiat, sanciti dalla maggioranza dei voti favorevoli dei lavoratori che si sono ritrovati a votare in un momento di grossa angoscia e paura circa il loro futuro ed il loro destino.

    L’articolo 8 è frutto culturale della società attuale, lo stesso che ha per-messo a chi ci governa di modificare le nostre prospettive da ben 17 anni.

    La testa degli italiani si è modificata.

    Il valore del lavoro stesso si è modificato. Siamo in una società che vive con imbarazzo le tute macchiate di olio degli operai e si approccia al ter-ziario con atteggiamento utilitaristico, senza trovare da parte del consumatore un incontro solidale con gli addetti del settore. Senza riconoscere in loro la stessa essenza di lavoratore.

    Siamo in una società che costruisce nemici per non permettere al pensiero di svilupparsi e ci troviamo in una situazione paradossale in cui si critica i pensionati, visti come la causa della crisi di un paese che non

    ha saputo inventarsi e svilupparsi, ed i dipendenti pubblici, visti come san-guisuga ingiustamente arricchiti con i soldi dei contribuenti.

    Siamo una società che esprime in-vidia perché non siamo neanche capaci a reagire al disfacimento collettivo e piuttosto che assumersi la responsabili-tà del cambiamento siamo ben disposti a creare un clima di sospetto generale e di insoddisfazione godendo nel criti-care la classe politica, gli sprechi, le raccomandazioni, il mancato futuro per i giovani, l’ignoranza.

    Senza però collegare che ciò che si critica è quello che abbiamo costruito noi stessi poiché se domani rivoltassi-mo i ruoli ed i criticanti diventassero i criticati, continueranno a farsi criticare senza modificare alcunché perché l’utilitarismo è una trappola fin troppa comoda ed affascinante.

    Questa nuova prospettiva ideolo-gica ha creato terreno fecondo per la lettera di Berlusconi all’Europa dove vi si trova la risposta per tutti i nemici ed attentatori alla stabilità italiana.

    I pensionati non andranno in pen-sione prima dei 67 anni;

    i lavoratori potranno essere licen-ziati per motivi economici;

    i pubblici dipendenti potranno subi-re la mobilità obbligatoria;

    i pubblici dipendenti potranno esse-re posti in cassa integrazione (sempre a carico della collettività).

    Ecco come sbarazzarsi in un colpo solo dei lavoratori, dei dipendenti pub-blici e dei futuri pensionati.

    “C’est la guerre c’est l’été.

    Déjà l’été encore la guerre”.

    Gabriella Dearca

    diriTTo del lAvoro

    C’est la guerre!

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    Area Sindacale N. 67 Novembre 2011

    Contributi dai Lettori

    Crisi e Umanità

    In un momento come quello che stiamo attraversando, di recessione e di crisi finanziaria, parlare di felicità potrebbe sembrare azzardato; ma penso che è proprio in questi momenti che ci si deve soffermare per fare un minimo di analisi e cercare di capire qual è il nostro ruolo di delegati non tanto dal punto di vista tecnico quanto dal punto di vista umano nei nostri ambienti di lavoro.

    Ventidue anni fa ho deciso di venire a Milano alla ricerca di una condizione lavorativa migliore di quella che mi offriva il luogo dove ero vissuta fino a quel momento. In questo mio progetto avevo coinvolto il mio fidanzato, e attuale marito.

    Erano gli anni Ottanta e in televisio-ne scorrevano le immagini pubblicitarie della “Milano da bere” avevo tanti sogni e l’entusiasmo non mi mancava per far si che i sogni si realizzassero.

    Sapevo anche che a Milano oltre al fatto che si guadagnava bene non c’era lavoro nero, così una fredda gior-nata di dicembre siamo arrivati io e il mio fidanzato in stazione centrale con due valige, determinati ad affrontare qualsiasi situazione pur di realizzare i nostri sogni e con una condizione: piuttosto che tornare indietro sconfitti saremmo andati a vivere in un vagone della stazione centrale.

    Naturalmente ciò non è accaduto. Questa città ci ha offerto tanto; abbiamo conosciuto persone che ci hanno dato motivo di crescita soprattutto spirituale ma mi ha anche offerto gli strumenti necessari per vivere questa crisi in maniera coinvolgente senza rimanere ai margini.

    Così, dopo soli quattro giorni dal mio ingresso nel mondo del lavoro ho dovuto constatare, che sebbene non ampiamente diffuso il lavoro nero rap-presentava una realtà anche a Milano; e, cosa ancora più grave, ho realizzato che in questa civiltà che privilegia uni-camente il lato economico della nostra esistenza, l’essere umano si è ridotto ad un mezzo per mandare avanti un meccanismo ormai sulla strada del collasso.

    Un antico detto buddista recita così: ”Se accendi una lanterna per qualcuno, questa illuminerà anche la tua strada”.

    Un modo di vivere contributivo e che tenga in considerazione il fatto che tra noi e gli altri c’è un profondo

    stri occhi; più che identificarci nei mezzi che la tecnologia ci offre, usiamoli, per capire profondamente chi siamo, e per realizzare i nostri sogni.

    Abbiamo bisogno, però di rendere concreti questi obiettivi nel quotidiano: quindi lottiamo sinceramente con la nostra tendenza a considerare il nostro collega, datore di lavoro, subordinato lontano anni luce dal nostro modo di ve-dere le cose; cerchiamo costantemente il dialogo anche nelle circostanze più difficili; consideriamo le difficoltà per quello che in realtà rappresentano cioè, opportunità per diventare più forti; giorno per giorno scopriremo di aver superato i nostri limiti, di essere cresciuti e di aver vinto sulle nostre insicurezze: prendermi cura del mio ambiente diventa, oggi più che mai, la vera soluzione ai miei problemi.

    Maddalena Api

    “Sarebbe una magnifica stravaganza

    Di scavalcare tutti insieme i tempi brutti

    In un allegro finale: FELICI TUTTI!

    Forse, il primo segreto essenziale

    Della felicità si potrebbe ancora ritrovare.

    L’importante sarebbe di rimettersi a cercare.”

    (ELSA MORANTE)

    legame che va al di là del nostro giu-dizio rappresenta l’unica alternativa alla perdita della nostra identità.

    Quindi non la-sciamoci abbattere da questo senso di impotenza ormai imperante, recu-periamo la consa-pevolezza che il nostro non agire ha prodotto gli effetti che sono sotto i no-

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    Novembre 2011 Area Sindacale N. 67

    Anno 7° - N.ro 67 - Nvembre 2011 - periodicità mensile

    Visitate la pagina della community:

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    AreaSindacale

    uiltucslombardia

    Direttore Responsabile: Guido Baroni

    Direzione Editoriale: Sergio Del Zotto

    Impaginazione: Sergio Del Zotto

    Grafica: Asso srl

    Illustrazioni realizzate da: Asso srl

    In Redazione: Gabriella Dearca, Sergio Del Zotto

    Gli articoli di questo numero sono di: Maddalena Api, Gabriella Dearca, Sergio Del Zotto, Patrizia Floris, Monica Longobardi, Roberto Pennati, Marco Sorio, Michele Tamburrelli.

    La tiratura di questo numero è di: 10.000 copie

    Pubblicazione Registrata con il numero 852 del 16/11/2005 presso il Registro Stampe del Tribunale di MilanoPer contributi e suggerimenti scrivete a:

    “Area Sindacale”

    Via Salvini, 420122 Milanoe-mail: [email protected]. 02-7606791

    Editrice: Asso srl

    Via Salvini, 4 - 20122 Milano

    ...

    Onorevoli parlamentari,

    Negli ultimi tre anni gli Stati membri, anzi dovrei dire i contribuenti, hanno concesso al settore finanziario aiuti e garanzie per un importo di 4,6 trilioni di euro. Ora il settore finanziario deve sdebitarsi con la società. Sono quindi estre-mamente orgoglioso di dire che oggi la Commissione ha adottato una proposta riguardante una tassa sulle operazioni finanziarie. Oggi Vi presento un testo molto importante che, se sarà adottato, potrebbe generare un reddito di circa 55 miliardi di euro all’anno. Qualcuno si chiederà perché. Perché? È una questione di equità. Se i nostri agricoltori, i nostri lavoratori e tutti i settori dell’economia, dall’industria all’agricoltura e ai servizi, versano un contributo alla società, anche il settore bancario deve farlo.

    E se abbiamo bisogno di un risanamento di bilancio, e ne abbiamo indubbiamente bisogno, se abbiamo bisogno di maggiori entrate, da dove vengono queste entrate? Intendiamo aumentare l’imposizione sul lavoro? Vogliamo tassare di più i consumi? Ritengo che sia giusto tassare le attività finanziarie che in alcuni dei nostri Stati membri non versano un contributo proporzionato alla società.

    ...

    José Manuel Durão Barroso

    (da “Rinnovamento europeo – Discorso 2011 sullo stato dell’Unione” - Strasburgo, 28 settembre 2011)

    storica messa in discussione della leadership di Umberto Bossi da parte dei suoi più validi colonnelli e, da ultimo, dalla vera e propria fuga di deputati della maggioranza che hanno ormai fiutato l’inesorabile volgere al termine dell’avventura.

    Sul fronte esterno, la due giorni di Cannes, ha tolto ogni ragionevole ed irragionevole dubbio: il direttore gene-rale del Fondo Monetario Internazio-nale, Chrisitne Lagarde, ha certificato la totale mancanza di credibilità delle misure presentate dal presidente del consiglio italiano, annunciando l’arrivo degli ispettori di Washington per la fine di novembre.

    Il capolinea è dunque vicino.

    Purtroppo l’eredità che il paese

    dovrà comunque digerire resta pesan-tissima.

    Nei prossimi giorni verrà proba-bilmente posta la fiducia sul maxie-mendamento al ddl stabilità e forse; Pannelliani e Scilipotiani permettendo, si riuscirà a staccare definitivamente la spina all’ago-nizzante Governo Berlusconi IV.

    Cosa ne reste-rà?

    Questa è una nuova canzone tutta da scrivere, pur t roppo, con l’amaro inchiostro delle impopolari misure che saran-

    no necessarie per ricostruire il paese dopo questi quasi vent’anni di deriva...

    la Redazione

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