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Un’avventurosa operazione di spionaggio, condotta con coraggio dietro le linee nemiche, durantel’occupazione tedesca del nord Italia. Una storia di “intelligence” dal nome in codice di“Apricot-Salem” che, come altre simili, non tutte andate a buon fine, diede un contributofondamentale alla sconfitta del nazifascismo. Di questa vicenda sconosciuta e delle persone chehanno contribuito a realizzarla e che fecero del Mottarone un centro unico di rilevanzainternazionale, vogliamo, in queste pagine dell’Archivio, raccontare la storia.

Si ringraziano la famiglia Boeri e Liliana Vimercati per la gentile collaborazione.

Chi avesse notizie, testi o immagini fotografiche può contattare l’Archivio per un contributo allaricostruzione della missione.

Capitolo 1

17 Marzo 1944. Il salto nel buio.

Il paracadute di seta si aprì con un fruscio seguito da un colpo secco. Un istante di vuoto, di cadutalibera, poi lo strattone e il risucchio verso l’alto. Per pochi minuti, forse pochi secondi, l’uomoondeggiò sopra la radura poi alzò gli occhi verso l’alto. Appena sopra di lui poteva scorgere altritre uomini sospesi nel cielo come in una danza. Inspirò forte. A quell’ora del mattino l’aria eralimpida mentre l’orizzonte cominciava timidamente a schiarirsi. Riconobbe il profilo scuro delMottarone e, allungando lo sguardo tutt’intorno, l’immensa catena del Rosa. Allora l’emozione locolse. Nonostante la tensione, quei pochi secondi di discesa erano davvero mozzafiato. Da nondimenticare, bellissimi.

La catena del Monte Rosa vista dal Mottarone

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L’impatto con il terreno fu tremendo. Mettendosi nella giusta posizione l’uomo toccò terraflettendo le ginocchia. Perse subito l’equilibrio e si buttò sul fianco cadendo dentro un roveto.Istintivamente allungò la mano per attutire l’urto. I pantaloni della tuta si strapparono e avvertìun’acuta fitta di dolore alla gamba sinistra. Rialzandosi si tastò il retro della coscia e sentì ipolpastrelli caldi di sangue. Barcollando alla cieca mosse qualche passo avanti e si accorse, con uncerto sollievo, che si reggeva bene in piedi. “In fondo” sospirò “poteva anche andare peggio, nonè che un graffio, roba da niente” (1).

Enzo Boeri

Si chiamava Enzo Boeri, nome in codice Giovanni Bellini, uno spilungone sulla trentina conocchiali da intellettuale e due sottili baffetti scuri. Era stato lui, soltanto poche settimane prima,nella sala d’istruzione del campo d’aviazione di Brindisi, a indicare quel punto di lancio sullealture del Mottarone.

Un agente indica il punto di lancio prima della missione

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Conosceva bene quel luogo, noto alla gente del posto come il Lagone di Massino Visconti: unapiccola radura erbosa compresa fra l’eremo di San Salvatore e il monte Cornaggia, nella regionecollinare che digrada dolcemente verso il lago Maggiore. Una zona ricca di pascoli, faggete eboschi di castagno; buona per funghi e per sentirsi al sicuro in un’operazione clandestina dal nomein codice di Apricot-Salem, dove con Apricot si indicava il team, mentre con Salem si indicaval’oggetto più importante per la riuscita della missione: una radio trasmittente nascosta dentro unavaligia. L’aereo, un bombardiere Handley Page Halifax della Royal Air Force, era decollatodall’aeroporto di Brindisi alle quattro e mezza del mattino. Aveva sobbalzato per un paio di voltesulla pista scarsamente illuminata poi, con una grande balzo, si era alzato in volo facendoun’ampia virata verso Napoli. Per un lungo tratto aveva risalito il mar Tirreno tenendo la rottaverso il golfo di Genova (2).

Il quadrimotore Halifax in volo

Dentro la fusoliera, in attesa di essere paracadutati, oltre al tenente Enzo Boeri, c’erano altri treuomini: il suo giovane marconista Giovanni Bono detto Gianni e altri due agenti assegnati ad unaseconda missione denominata Licata-Guava: il professore Ottorino Maiga, chiamato Rino e il suomarconista Nando, al secolo Leandro Galbusera.

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Equipaggio all’interno di un Handley Page Halifax

A dire il vero non era la prima volta che il gruppo cercava di effettuare il lancio. Nei giorniprecedenti i tentativi falliti erano stati almeno tre. I primi due ostacolati dal cattivo tempoinvernale, il terzo, invece, aveva rischiato di finire tragicamente. Sorvolando la città di Genoval’aereo era stato colpito dalla contraerea nemica che aveva messo fuori uso uno dei quattro motori.Nonostante l’avaria il pilota era riuscito a raddrizzare il velivolo facendogli fare subito dietrofront.A pochi chilometri da Brindisi anche un terzo motore iniziò ad avere problemi e l’apparecchiocominciò a perdere di quota con il rischio di dover effettuare un atterraggio di emergenza. Ilcomandante ordinò di mantenere la rotta, deciso di restare in aria fino all’ultimo. Intrappolatidentro la carlinga, Boeri e gli altri, cominciarono a buttar fuori tutti gli oggetti superflui per

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alleggerire il bombardiere. Qualcuno si offrì persino di paracadutarsi, ma ormai era impossibile,volavano a poche decine di metri dalla terra. L’aereo superò a volo radente diversi campi di ulivi epoi, con un tonfo e uno scossone toccò il suolo atterrando nelle vicinanze della pista di decollo.Grazie all’abilità del pilota erano arrivati sani e salvi alla base (3).

Atterraggio dell’Halifax all’aeroporto di Brindisi

La notte del 17 marzo il tempo prometteva bene. L’ultimo quarto di luna sarebbe sorto dopo lamezzanotte e avrebbe consentito una discreta visibilità. L’ordine di effettuare il lancio eradiventato tassativo, in parole povere non era più possibile rimandare la missione altrimenti sisarebbe dovuto aspettare la luna nuova. A tal fine l’operazione era stata affidata a un equipaggiopolacco della Royal Air Force, una unità SD, acronimo che sta per Special Duties, ovveroincarichi speciali. Il comandante, un veterano polacco, aveva intuito che i quattro agenticominciavano ad avere i nervi provati. Con calma illustrò il suo nuovo tragitto. Disse che sarebbestato meglio tenersi alla larga da Genova sorvolando la costa ligure verso Rapallo, poi sarebbesceso rapidamente sulla Lombardia passando sopra Pavia e infine avrebbe sorvolato il Ticino perinfilare il lago dal basso e arrivare dritto sul pin-point del Mottarone. Era sicuro che da quelle partinon avrebbe trovato alcun fuoco di sbarramento nemico. “Tutt’al più” disse “si corre il rischio diessere intercettati da un caccia tedesco, ma a quell’ora lo ritengo poco probabile“. Cavò unasigaretta dal pacchetto, fissò ad uno ad uno i componenti della missione e concluse senza tanti giridi parole: “Le condizioni metereologiche sono stabili, il cielo è terso. State tranquilli con mefarete il salto. Con gli altri non siete riusciti perchè i piloti hanno avuto paura. Posso assicurarviche con me questo non accadrà” (4). Cadde il silenzio, i quattro si guardarono perplessi, nonsapevano se sentirsi allarmati o rassicurati.

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La freccia indica la rotta dell’aereo sul lago Maggiore e il punto di lancio

All’interno dell’aereo l’oscurità era pressochè totale. Muovendosi in un groviglio di gambe, ilsergente addetto al lancio, avanzava orientandosi con una torcia elettrica. Con il fascio di luceaveva illuminato due bidoni d’imballaggio e li aveva posizionati vicino alla botola di apertura.Contenevano le due preziose radiotrasmittenti: la Guava e la Salem. I quattro uomini, pallidi comestracci, sedevano silenziosi ai lati della carlinga. Le poche parole sarebbero state inghiottitedall’orrendo fracasso proveniente dal fondo dell’aereo.

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Il sergente navigatore a bordo dell’aereo

Il più giovane dei quattro era un giovanotto magro con gli occhi buoni e i modi della personaonesta. Si chiamava Giovanni Bono. Era figlio di operai torinesi e di professione faceva ilmodellatore. La guerra l’aveva portato nella Regia Marina dove aveva ottenuto il brevetto di“marconista” che, in parole povere, stava a significare l’addetto alle trasmissioni radio. Soltantopochi mesi prima si era lasciato crescere un paio di baffetti, quasi a voler dimostrare più dei suoi21 anni.

Giovanni Bono

L’8 Settembre l’aveva colto a Napoli dove aveva partecipato alle quattro giornate di liberazionedella città. In quei giorni di violenti combattimenti aveva imparato ad odiare i tedeschi. Conl’arrivo in città degli Alleati era stato contattato dal tenente Boeri per essere reclutato all’interno diuna nuova organizzazione di volontari italiani, sostenuta dall’intelligence americana.L’organizzazione si chiamava ORI, acronimo di “Organizzazione della Resistenza Italiana”, ed eraappena stata inaugurata dall’agente americano Peter Tompkins, dell’Office of Strategic Services, edal torinese Raimondo Craveri, genero del filosofo Benedetto Croce. Lo scopo del gruppo, di cui iltenente Boeri era vice-comandante, era quello di formare giovani combattenti italiani da infiltrareclandestinamente nel nord Italia al fine di reperire informazioni utili alle operazioni belliche degliAlleati e, nel contempo, aiutare i Comitati di Liberazione Nazionale. Queste missioni eranocostituite da piccoli team composti generalmente da due persone: un capomissione e unradiotelegrafista. Il capomissione aveva il compito di redigere e organizzare le notizie, ilradiotelegrafista doveva trasmetterle via radio. Di solito veniva usata una ricetrasmittente portatilemodello Mark II e Mark V, dotata di tasto telegrafico per trasmettere in codice Morse. All’epoca ilsegnale Morse era universalmente adottato nelle navi essendo più affidabile del telefono e piùfacilmente criptabile. Dotato di cinque variabili: linea, punto e tre spazi, il codice Morse, oltre adessere trasmesso ad un ritmo particolare, doveva essere oppurtunamente cifrato di modo che, sefosse stato intercettato da parte del nemico, sarebbe stato incomprensibile in assenza

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dell’opportuna chiave di lettura. La traduzione del testo veniva fatta manualmente sul foglio di unquaderno dove si trascrivevano i messaggi in codice e, una volta tradotti, il foglio veniva distruttoper non lasciare alcuna traccia.

Un team di agenti dotato di radio portatile

Al fine di preparare i volontari italiani alle missioni dell’ORI, gli Alleati avevano inaugurato aPozzuoli un nuovo corso di aggiornamento per radio-operatori organizzato dalla “Special Force”britannica (5). Scopo principale del corso era quello di attuenuare la tipica manipolazione italianadel tasto del telegrafo al fine di evitare l’identificazione della nazionalità dell’operatore durante ilradiocollegamento (6). La trasmissione doveva essere eseguita senza errori, con una buonacadenza e soprattutto non doveva sforare i venti minuti. Inoltre, il corso, insegnava anche nuovimetodi di cifratura con i quali i radio-operatori avrebbero dovuto criptare i loro messaggi prima ditrasmetterli. Giovanni, dotato di dita agilissime e di un tocco particolare nell’utilizzazione il tasto,aveva passato brillantemente l’esame. Giorno dopo giorno era stato preparato al difficile ruolo cheera stato chiamato ad assumere nella guerriglia clandestina. Aveva imparato a maneggiare gliesplosivi e alla fine, con l’amico Aldo Campanella, era stato inviato a Blida, in Algeria, per unsuccessivo corso di addestramento paracadutistico. Il tutto era andato molto per le spicce e nel girodi due settimane aveva ottenuto il brevetto.

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Un lancio di addestramento da un bimotoreDouglas C-47

A questo punto Giovanni era pronto per essere infiltrato nel nord Italia. Il suo capomissionesarebbe stato proprio il tenente Boeri che si era assunto il compito di raggiungere Milano permettere in piedi una cospicua rete di informazioni. Il loro team si sarebbe chiamato Apricot esarebbe stato affiancato da una ricetrasmittente portatile denominata Radio Salem. A detta di tuttiil tentativo di installare una stazione radio clandestina sulle alture del Mottarone era moltopericoloso. La zona pullulava di presidi nazisti: da Stresa a Baveno, da Gravellona a Gozzano.Giovanni, cosciente del grande rischio che avrebbe corso, aveva posto agli Alleati due precisecondizioni: la prima era che a guerra finita gli venisse donata una jeep per portare in giro i suoianziani genitori. La seconda era che, in caso di morte, venissero versati alla sua famiglia diecimiladollari (7). L’accordo fu stipulato con una stretta di mano e Giovanni, la notte del 17 marzo del1944, prese posto a bordo del quadrimotore lottando contro un terribile mal di testa. Poco prima disalire sull’aereo, una squadra di addetti alla vestizione, l’aveva aiutato a indossarel’equipaggiamento da lancio.

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Vestizione per il lancio

La scena era stata esilerante. Come ogni agente aveva dovuto presentarsi alla base della SpecialForce con abiti civili: pantaloni, scarpe, giacca e cravatta. Il motivo era abbastanza intuitivo: unavolta arrivato a destinazione avrebbe dovuto muoversi come un cittadino qualunque, protettodall’anonimato. Tuttavia, per ridurre i rischi del lancio, aveva dovuto indossare ginocchiere,paragomiti e parastinchi. Poi, sopra gli abiti da civile, aveva dovuto infilare una tuta imbottita einfine, sopra la tuta imbottita, un pastrano di cerata verde a protezione dal freddo. Il tutto era statoimbrigliato dall’imbragatura del paracadute. Così agghindato, Giovanni, si sentiva più simile a unfantoccio che a un essere umano (8).

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Tuta dotata di doppia cerniera per uscire velocemente dall’imbragatura

Seduto al suo fianco stava Ottorino Maiga, nome di battaglia “Cassini”. Giovane professore dilettere e latino, Maiga, si era laureato alla Normale di Pisa (9). Da diversi anni militava contro ilregime di Mussolini. L’occasione gli era stata offerta dal professor Guido Calogero, docente distoria e filosofia alla Normale, che nel 1940 aveva redatto il manifesto del Liberalsocialismo.Calogero, fiutata la disponibiltà del giovane Maiga, l’aveva immediatamente reso partecipe del suoprogramma politico e gli aveva presentato Ugo La Malfa, fondatore del Partito d’Azione. In queigiorni Maiga era entrato in contatto anche con un giovane intellettuale torinese, Raimondo Craveriche, come vederemo, avrà un ruolo fondamentale insieme a Boeri nella costituzione dell’ORI.Subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia, Maiga fu richiamato nell’esercito italiano comesottotenente di fanteria. Non sappiamo dove venne inviato e quale ruolo ebbe nella guerra incorso. Quello che è certo è che dopo l’8 settembre lo ritroviamo a Napoli dove, entrando nell’ORI,venne addestrato come responsabile del team “Licata”.

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Ottorino Maiga, nome di battaglia“Cassini”

Il team “Licata”, con la relativa Radio Guava, aveva come destinazione il Canton Ticino. Il suocompito era quello di intraprendere un’operazione politica organizzata dal conte Carlo Sforza, exministro degli esteri nel Regno d’Italia, tesa a gettare le basi per un futuro governo democratico apartire dalla libera città di Campione, un’enclave italiana in territorio elvetico. Da MassinoVisconti, Maiga con l’operatore radio Galbusera, avrebbero dovuto raggiungere il confinesvizzero, penetrare a Campione d’Italia e, una volta giunto a destinazione avrebbe dovutointallarvi una stazione radio in modo da aprire un canale di comunicazione con gli Alleati.

Campione d’Italia

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Antifascista per indole, Maiga sentiva che questa guerra, così diversa da quella convenzionale, erasostenuta da una forte motivazione etica ed era oltremodo desideroso di fare la sua parte. Siaddossò allo schienale della panca metallica e chiuse gli occhi. L’adrenalina scorreva a mille.Sapeva perfettamente che tutta l’operazione era un azzardo. Controllò più volte le cinghe delparacadute e il perno a sgancio rapido fissato sul ventre.

Il perno a sgancio rapido per togliere il paracadute dopo il lancio

Improvvisamente gli balenò il pensiero che il paracadute poteva anche non aprirsi. Lo scacciòsubito dalla mente e cercò di concentrarsi sul compito che l’attendeva, era il solo modo checonosceva per mantenere i nervi saldi. Alla sua sinistra, assorto con lo sguardo fisso nel vuoto,sedeva il suo operatore radio Leandro Galbusera. Originario di Cinisello Balsamo, il giovanemarconista aveva da poco compiuto 27 anni. Era un ragazzo mite che aveva lavorato comeaggiustatore meccanico alla Falck Concordia di Sesto San Giovanni, a suo tempo impegnata nellaproduzione bellica. Durante il suo periodo di permanenza nella grande acciaieria erano stati commissionati alcuni pezzi della corazzata Roma, una delle navi da battaglia più moderne delMediterraneo.

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Il telaio del timone della Corazzata Roma nelle officine della FalckConcordia

Leandro veniva da un’infanzia segnata dalle difficoltà. Aveva iniziato a lavorare molto presto e nel1939, poco prima di essere richiamato nell’esercito italiano come geniere telegrafista, si erasposato con Speranza Biffi. Nel giro di tre anni si era sciroppato sia il fronte francese che quellogreco-albanese, poi, avendo contratto la malaria, era stato velocemente rimpatriato. Il giornodell’armistizio si trovava a Potenza, a pochi chilometri dagli Alleati appena sbarcati a Salerno. Nelgrande fuggi fuggi non aveva perso tempo e si era messo in cammino verso Napoli che stava peressere liberata dall’esercito anglo-americano. In qualità di radiotelegrafista aveva subito iniziato acollaborare con gli Alleati. Subito dopo era stato contattato dall’agente americano Peter Tompkins,gli era stata data una nuova divisa, ed era entrato nella stessa organizzazione di volontari italianiche aveva reclutato Enzo Boeri e Ottorino Maiga. Non sapeva nulla di spionaggio così, nei giornisuccessivi, fu inviato ad un corso di addestramento a Pozzuoli, dove conobbe Giovanni Bono. Poi,un bel giorno, venne inviato in Puglia, nella base aerea di San Vito dei Normanni, dove ottenne ilbrevetto da paracadutista.

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Addestramento paracadutistico al lancio

Adesso si trovava in viaggio verso il lago Maggiore e si riteneva fortunato di essere stato destinatoad un luogo così vicino alla sua Cinisello. Sorrise al pensiero che presto avrebbe rivisto Speranza,sua moglie, erano tre anni che non la vedeva. Piccolo di statura se ne stava poco oltre rincatucciatocon il capo insaccato nelle spalle. Con il calore del respiro cercava di scaldarsi le grosse dita dellamano. Sentiva una forte pressione della testa e fingeva, come tutti gli altri, di essere rilassato. Infondo si era imbattuto in momenti molto peggiori. Stese le gambe e si appoggiò alla spalliera.Osservò l’orlo dei suoi pantaloni di panno scuro che sbucavano fuori dalla sua tuta d’ordinanza,troppo lunghi per le sue gambe corte. Erano stati scelti a Napoli fra un mucchio di abiti usati, dopoessere stati accuratamente ripuliti dalle etichette di provenienza. Ogni etichetta del vestiario potevacostituire un pericoloso indizio nel caso fosse stato catturato (10). Si osservò le scarpe e sorrise.Non calzava gli abituali scarponi da paracadutista, ma due lucide scarpe da passeggio. Con queste,pensò, il rischio di spaccarsi le caviglie è pressoché assicurato.

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Leandro Galbusera a destra nella foto

Di fianco a Leandro Galbusera sedeva Enzo Boeri, comandante della missione “Apricot-Salem”.L’adrenalina su di lui aveva l’effetto di una droga: accentuava il suo umorismo. Era dotato di unabuona fiducia nelle proprie capacità e ispirava sicurezza a tutti gli altri. Si era slacciato il sottogoladell’elmetto e aperto la cerniera vicino al collo, infilando la mano sotto la tuta, alla ricerca delportadocumenti. Una volta trovato l’aveva sfilato e aperto. Conteneva banconote italiane didiverso taglio e una nuova carta d’identità opportunamente slabbrata e invecchiata. Nellasemioscurità la studiò attentamente cercando ogni eventuale difetto che avrebbe potuto tradirloagli occhi esperti della Gestapo. All’interno spiccava una fotografia spenta e grigia, era lui.Sorrise. Poi osservò la pagina a fianco, c’erano tutti i dettagli della sua nuova identità. Non sichiamava più Enzo Boeri, ma Giovanni Bellini. Aveva dovuto memorizzare il suo nuovo nome eimparare a memoria una storia di copertura. Una storia che, per essere credibile, doveva essere inparte simile alla verità, di modo che, se fosse stato sottoposto a interrogatorio, non avrebbe dovutosforzarsi troppo di mentire col rischio di essere smascherato. Sapeva bene quali erano i pericoli acui sarebbe andato incontro se fosse finito nelle grinfie della Gestapo. Di norma si veniva torturati,a volte drogati ma, in genere, i tedeschi preferivano ottenere i loro risultati provocando il crollopsicologico del soggetto e per ottenere questo non risparmiavano ogni tipo di atrocità. Gli agentidello Special Operation Executive, gli avevano dato una serie di suggerimenti su come resistere aun interrogatorio. Il primo era quello di parlare lentamente. Questo gli avrebbe permesso dinascondere eventuali esitazioni. Il secondo era quello di dare l’impressione di essere un po’impreciso di modo che gli sarebbe stato più facile evadere certe domande. Il terzo era quello dimostrarsi un pò tonto e l’ultimo, forse il più importante, era quello di fingere di essere stancomolto prima di esserlo effettivamente. In ogni caso la sua vita sarebbe dipesa dalla capacità direcitare la storia di copertura senza esitazioni (11). A tal fine tutti gli agenti italiani erano statipreparati ad esercitarsi ora dopo ora, giorno dopo giorno, a raccontare all’infinito la propria storiadi copertura. Ognuno sapeva che questo avrebbe potuto salvargli la pellaccia e, di conseguenza,anche quella dei suoi compagni.

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Il quadrimotore sorvola a bassa quota il punto di lancio

Improvvisamente l’aereo fece un tuffo verso il basso lasciando tutti col fiato sospeso. Ilcomandante si voltò verso il navigatore e gli indicò in lontananza il corso argenteo, quasiluminescente, del fiume Ticino. Il cielo era completamente sgombro da nuvole. Puntò il nasodell’Halifax verso il lago Maggiore, riconoscibile per la sua forma a calzino allungato e,rallentando, cominciò a scendere di quota. Almeno per ora buone notizie: nessun caccia nemicoall’orizzonte. Con una leggera virata si dispose per prendere il lago dal fondo. Subito dopo lanciòun’occhiata alla sua destra dove riconobbe il castello d’Angera. “Ok, ci siamo” disse al navigatoreche nel frattempo, seguendo gli ordini in cuffia, era sceso sulla postazione del mitragliere di pruaper identificare, attraverso il naso di vetro del quadrimotore, il luogo esatto del lancio.

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Il navigatore identifica, attraverso la postazione del mitragliere di prua, illuogo preciso del lancio

In quel preciso istante il sergente addetto al lancio uscì dalla cabina di pilotaggio sbucando nelmezzo della carlinga. Con la torcia elettrica illuminò i quattro agenti facendo un gestoinequivocabile: prepararsi al lancio. I quattro si alzarono in piedi e, attaccandosi alle manigliemetalliche e barcollarono davanti alla botola di apertura in coda alla fusoliera. L’assistente allentòi bulloni e tolse il coperchio metallico. L’aria pungente colpì gli uomini come uno schiaffo. In quelmentre il navigatore identificò la radura illuminata dal chiarore argenteo della luna, poi lanciòun’occhiata all’orologio: erano le 5,30, perfettemente in orario. L’aereo riprese leggermente quotae girò con un grande cerchio sopra il paesino di Gignese, disponendosi in posizione favorevole allancio: 300 metri sopra il colle. “Manca poco” annunciò il sergente e subito prese il cordone delparacadute di Boeri, agganciò il moschettone alla fune metallica, quindi tirò energicamente, perdimostrare a tutti che era assicurato a dovere. Boeri si sedette sull’orlo della botola con i piedi apenzoloni fuori dall’aereo. Osservò il territorio buio che scorreva lentamente sotto i suoi piedi.“Saltate al mio comando” urlò il sergente polacco in un pessimo italiano “così voi caderevicino… there’s no fucking wind, you’re lucky!”. Boeri chiuse gli occhi e respirò profondamente.“Ready!”. La spia passò dal rosso al verde lampeggiando, ma Boeri esitò. In quel precisomomento avvertì un pacca sulla spalla e un urlo secco: “Go!”. Allora trattenne il respiro, si spinseavanti, accostò i piedi e sparì nel buio.

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Si accende la luce verde e l’agente si lancia attraverso la botola

Un istante dopo fu la volta di Giovanni Bono, poi di Leandro Galbusera e di Ottorino Maiga. Inpochi secondi tutti e quattro penzolarono sotto il loro paracadute bianco. La radura era così piccolache, per un leggero ritardo nel lancio, gli ultimi due stavano andando ad atterrare in mezzo albosco. Maiga se ne rese subito conto e con grandi ancheggiamenti, aggrappandosi ai tiranti, provòa deviare la discesa verso il prato, ma non c’era modo di dirigere quel dannato paracadute. Senzapoter fare nulla si vide scendere in mezzo agli alberi. Tutti i muscoli del corpo si teseroall’impatto, alcuni rami si spezzarono rumorosamente e alla fine toccò terra con la suola degliscarponi e, ancor prima di rendersene conto, aveva già sganciato il paracadute ed era sgusciatofuori. Il bosco era avvolto in un silenzio surreale. Sentì il cuore pulsargli nelle orecchie.

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discesa notturna

Nel frattempo Boeri, che era sceso poco distante, aveva aperto il kit del pronto soccorso cercandodi tamponare la ferita alla coscia. Un centinaio di metri più avanti aveva intravisto un’ombraaccovacciata sui talloni. Zoppicando, si era avvicinato e aveva riconosciuto Giovanni Bono chestava arrotolando il paracadute. “Come è andata?” esclamò Giovanni tirandosi su. “Tutto a posto”replicò Boeri assestandogli una pacca amichevole sulla spalla, poi insieme si avviarono verso ilfondovalle in cerca degli altri compagni. L’erba era bagnata e frustava i pantaloni inzuppando lescarpe. A voce bassa li chiamarono col nome di battaglia. Da un pendio poco lontano fece ecoMaiga con voce soffocata. “Sei ancora intero?” chiese Boeri. “Tutto ok“, rispose Maiga, tirando sucon il naso, “sono finito dentro al bosco, e tu?” . “Io sono andato con il culo sopra un roveto, nonè che un graffio, ma è di buon auspicio” replicò sorridendo Boeri (12). Mancava all’appelloGalbusera, nome di battaglia “Nando”. “Qualcosa si muove laggiù” disse Bono indicando lamassa scura di un boschetto. Era Nando che diede un colpo di tosse per farsi riconoscere e siavvicinò furtivamente. Quando tutti e quattro furono riuniti si accesero una sigaretta. “Che fine hafatto la mia radio?” chiese Boeri a Maiga vedendo che aveva recuperato soltanto la Guava. “Nonso“, replicò Maiga, “appena fa giorno la cerchiamo” (13).

Il luogo del lancio a Massino Visconti

D’improvviso in lontananza si udirono dei cani abbaiare. “Dannazione! Ci hanno scoperto!”sussurrò Maiga lanciando un’occhiata a Boeri. “Scappiamo nel bosco! Potrebbero essere canipoliziotto“, rispose subito Boeri estraendo la sua Colt d’ordinanza. Guadagnarono una collinetta e

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tolsero la sicura alla pistola. I cani abbaiavano, ma si tenevano a distanza. “Non sembranoaggressivi” sussurrò cauto Boeri poi, con la pistola puntata, inquadrò una fetta di bosco e intimòad alta voce: “Chi va là!“. Non ci fu risposta. Allora giocò il tutto per tutto: “Siamo paracadutisti!Fate un passo avanti!” (14). Si udì un fruscio di foglie secche e dalla penombra apparve un uomoavvolto in un mantello scuro. Un cappellaccio nero gli cadeva di sbieco dandogli un’ariamisteriosa. “Venite avanti con le mani in alto!” tagliò corto Boeri. L’uomo si avvicinò piantandosia dieci metri da loro. Scrutava con occhi sgranati i quattro marziani. “Siete solo?” chiese Boeri.L’uomo fece un cenno di assenso. “Abbassate le braccia e avvicinatevi” disse Maiga. Seguì unattimo di incertezza poi l’uomo abbassò le braccia e si accostò. “Ci avete fatto prendere un bellospavento“, borbottò Maiga, riponendo la pistola nella fondina e poi aggiunse “Sapete mica da cheparte si trova Gignese?”. “Sicuro” rispose secco l’uomo, ciccando per terra e alzando il bastone aindicare la direzione. Poi si voltò e aggiunse “ma è meglio arrivarci da dietro, da Sovazza“. Boeriosservò lontano verso Gignese, poi guardò i compagni e disse: “Sta bene. Ci andremo da Sovazza.Ho con me del denaro, potete darci qualcosa da mangiare?“. Il malgaro non rispose subito marivolse lo sguardo verso il paracadute e indicandolo con il bastone chiese: “Vi serve ancoraquesto?“. “No” replicò secco Boeri “Potete prenderlo. Ma fate attenzione a nasconderlo bene, seve lo trovano vi caccerete nei guai” (15). Allora accadde quello che di solito avviene in questicasi, si strinsero la mano e il malgaro si offrì di accompagnarli alla sua baita.

Alpe Formica, a due passi da Sovazza, dove si trova la baita del malgaro

Ma qual’è l’origine di questa missione? Quali sono le ragioni che la sostennero e chi erano lepersone che la realizzarono? Per capire meglio com’è nata questa storia occorre fare un passoindietro e raccontare alcuni fatti accaduti pochi mesi prima, quando l’Italia, invasa dagli anglo-americani, si era trovata improvvisamente divisa in due. Nel settentrione era rinato il fascismoattraverso un governo collaborazionista dei tedeschi che aveva assunto le tetre sembianze dellaRepubblica Sociale di Salò. Nel meridione, dopo la vergognosa fuga del re Vittorio Emanuele IIIda Roma, si era riconfermata la monarchia sabauda, sotto la finzione scenografica di un piccoloRegno d’Italia sostenuto dagli Alleati. Entrambi i regimi mascheravano di fatto un occupazionemilitare: a nord dei tedeschi e a sud degli anglo-americani. Da questo momento l’Italia avrebbepraticamente cessato di esistere come nazione indipendente e sovrana, mentre milizie di tutto ilmondo l’avrebbero attraversata in lungo e il largo, deprendandola e saccheggiandola senza ritegno.La missione di cui stiamo narrando ha inizio nella primavera del ’43, quando il generale DwightEisenhower, comandante in capo dell’esercito alleato, pochi mesi prima dello sbarco in Sicilia, siaccorse con un certo rammarico di non avere un solo agente segreto su tutto il territorio italiano.

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Continua nel secondo capitolo.

Per scaricare il pdf del Capitolo 1 clicca qui: La Resistenza vien dal cielo. Radio Salem, lamissione dei fratelli Boeri sul Mottarone § Capitolo 1 Il salto nel buio

In apertura: Il monte Cornaggia sopra Massino Visconti. Sulla sinistra la radura dove avvenne illancio, da http://www.extrememtb.ch/montagne/cornaggia.htm.

Note al testo e bibliografia

(1) Peter Tompkins, L’altra resistenza, Milano, Il Saggiatore, 2009, pag. 149.

(2) Ibidem, pag. 247.

(3) Franco Fucci, Spie per la libertà, Milano, Mursia, 1983, pag. 31.

(4) Ibidem, pag. 31.

(5) Ibidem, pag. 22.

(6) Ibidem, pag. 29.

(7) Ibidem, pag. 347.

(8) Edgardo Sogno, Guerra senza bandiera, Bologna, Il Mulino, 1995, pag. 66.

(9) Ennio Tassinari, L’O.R.I. (Organizzazione della Resistenza Italiana) Racconti e protagonisti,Ravenna, Longo Editore, p. 53.

(10) Fucci, cit., p. 35.

(11) Ben Macintyre, Agente Zig-Zag, Milano, Sperling & Kupfer, 2008, Memorandum KV2 457.

(12) Tino Vimercati, Resistenza Unita, Marzo 1994.

(13) Enzo Boeri, Vicende di un servizio informazioni, relazione per Office of Strategic Services.

(14) Tassinari, cit., pag. 54

(15) Tompkins, cit., pag. 150

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Appendice

Vengono qui riportate alcune testimonianze. La prima è di Enzo Boeri ed è tratta dalla relazioneall’Office of Strategic Service americano (Oss) di cui riportiamo un brano: “Siamo arrivati sul pinpoint verso le ore 5,20 del giorno 17 marzo del 1944. Siamo scesi senza alcun incidente nel postoesatto che avevo proposto. Eravamo: il mio operatore Gianni Bono ed io (team Apricot-Salem), ilprofessor Ottorino Maiga ed il suo operatore Leandro Galbusera (team Licata-Guava).Ricuperammo il materiale paracadutato con noi: constatammo con dispiacere che un soloapparecchio radio era stato paracadutato. Non si trattava del mio apparecchio: infatti la valigiaportava l’indicazione “Licata”. Comunque fummo subito d’accordo con Maiga che io avrei usatoil suo apparecchio. Sono sempre stato grato a Maiga per questa sua cortesia. La cosa si spieganon col fatto che Maiga fosse destinato a un’attività di secondo piano rispetto alla mia, ma alfatto che io sarei subito entrato in azione mentra egli doveva, secondo accordi presi inprecedenza, recarsi in Svizzera e a Campione”. Maiga infatti era diretto sul confine italo-svizzeroper compiere una missione politica organizzata dal conte Sforza. Come racconta Boeri fu ritrovatasolo la radio “Licata”, quella destinata alla missione di Maiga, denominata “Guava”. Entrambi siaccordarono che la tenesse Boeri, la cui missione denominata “Salem” poteva iniziare subito.Racconta Boeri “Comunque fummo subito d’accordo che avrei usato io l’apparecchio. Sonosempre stato grato a Maiga di questa sua cortesia. La cosa si spiega non col fatto che Maiga fossedestinato ad un’attività di secondo piano rispetto alla mia, ma al fatto che io sarei subito entratoin azione mentre egli doveva, secondo gli accordi presi in precedenza, recarsi in Svizzera aCampione”.

Caricamento di rifornimenti all’interno di un bombardiere Halifax

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Nel disegno è rappresentato un lancio di una radio imballata con ilparacadute

La seconda testimonianza è tratta dalla relazione di Ottorino Maiga: “Eravamo atterrati da pochiminuti quando sentimmo dei cani abbaiare. Ci avevano detto che i tedeschi e i fascisti usavano icani poliziotto per dare la caccia ai paracadutisti. Impugnammo le grosse pistole che ci avevanodato in dotazione e io gridai: chi va là? Una voce rispose a sua volta: “Chi è la?” Giocammo iltutto e per tutto: “Paracadutisti, vieni avanti e fatti vedere!”. Era un contadino piuttostospaventato. Lo rassicurammo e passammo la notte nella sua baita”.

Esempio di uscita dalla botola inferiore dei un Handley Page Halifax

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diversi tipi di vestizione del SOE

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Equipaggio di un quadrimotore Halifax che sale a bordo dell’aereo

Il quadrimotore Halifax nella base aerea

Un pilota nella cabina di comando di un quadrimotore Halifax

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on 22 dicamMon, 16 Dec 2013 09:23:22 +00003492013 2011 at 9.41 Comments (6) ModificaTags: "Cassini", 17 Marzo 1944, 1943, 1944, 8 Settembre 1943, abbaiare, abiti civili, Aereo,agente, agenti, Aldo Campanella, alfabeto Morse, Algeria, Alpe Formica, americani, anestesia,angoscia, Apricot Salem, Archivio, Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola, armistizio,assistente navigatore, avventura, Badoglio, Baita, Baveno, bimotore, Blida, Bologna, botola,Brindisi, caccia, caccia tedeschi, Caduta, Campione d'Italia, Campo di aviazione, cani, carlnga,Castagni, Castello di Angera, cibo, Cinisello Balsamo, Com'era, comandante, Conte Sforza,controspionaggio, copertura, corso di addestramento, criptare, Dakota, Douglas C-47, droga,Dwight Eisenhower, Edgardo Sogno, Enzo Boeri, equipaggio, Erba, eroe, eroi, etichette, faggete,Falck, fascista, Focus Storia, Fotografie, Fuga, Fuoco, Genova, Gignese, Giovanni Bellini,Giovanni Bono, Giovanni Bono detto Gianni, Gozzano, graffio, Gravellona, Gravellona Toce,guai, Guerra, Handley Page Halifax, Inghilterra, inglesi, intelligence, interrogatorio, Italia, LagoMaggiore, Lagoni di Massino Visconti, Lancio, latrato, Leandro Galbusera, Leandro Galbuseradetto Nando, Liceo Beccaria, Liliana Vimercati, malga, malgaro, mangiare, Marco Casali,marconista, Massino Visconti, mattina, Milano, Mission, Missione Apricot Salem, MissioneFranchi, Missione Licata-Guava, Monte Cornaggia, Monte Rosa, Mottarone, Napoli, nascondere,

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On 22 genpmTue, 21 Jan 2014 15:33:10 +0000202014 2011 at 9.41 Sala Loris Renatodel comitato ANPI Cusano Milanino said: |Modifica

Interessante racconto del quale ero a conoscenza come sono a conoscenza di una del suoseguito che mi è stato raccontato da Mariuccia Andreani figlia di Desideri Andreani dettoDeri custode della presa di Gignese ove venivano caricate le batterie della radio di boeri edove per l’occasione si nascondevano i lupi del Mottarone.

Rispondi

On 22 genpmTue, 21 Jan 2014 18:51:15 +0000202014 2011 at 9.41 ArchivioIconografico del Verbano Cusio Ossola said: |Modifica

Grazie per aver letto il primo capitolo. Pubblicheremo prossimamente lacontinuazione, con la storia della presa di Gignese, che tra l’altro è in stato diabbandono. Noi abbiamo alcuni scritti di Mariuccia Andreani. Se lei è a conoscenzadi altre informazioni ci piacerebbe poterle ascoltare. Potremmo disturbarla? Ma lasignora Andreani è reperibile? Anche con lei ci vorremmo parlare. La ringrazioancora. Paola Vozza con Marco Casali email: [email protected] Tel.348-7939291

Rispondi

On 22 febpmTue, 04 Feb 2014 17:29:51 +0000342014 2011 at 9.41 MariaSilvia Caffari said: |Modifica

Piacerebbe molto anche a me sapere se è Mariuccia Andreani è reperibile, vorreichiederle di quel giovane, Giorgio Buridan che appare accanto a lei nella fotografia, n.

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16, pubblicata in P. Tompkins, L’altra Resistenza, Il saggiatore. Maria Silvia Caffari

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On 22 genpmWed, 29 Jan 2014 14:03:49 +0000282014 2011 at 9.41 Claudio Razetosaid: |Modifica

Complimenti una storia sconosciuta della Seconda guerra mondiale avvicente come unromanzo

Rispondi

2.

On 22 febpmTue, 04 Feb 2014 17:31:43 +0000342014 2011 at 9.41 Maria SilviaCaffari said: |Modifica

Carissimi Marco e Paola, bellissimo e vero il racconto. La prossima volta che verrò dalleparti del lago, speriamo proprio di incontrarci. mSilvia C.

Rispondi

On 22 febpmTue, 11 Feb 2014 18:37:17 +0000412014 2011 at 9.41 ArchivioIconografico del Verbano Cusio Ossola said: |Modifica

Cara Maria Silvia, grazie dell’apprezzamento, anche a noi piacerebbe incontrarti.Avvertici quando passi dal Verbano. Grazie mille per le foto. Un caro saluto Marco ePaola

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