ARCHITETTURE DA RISCOPRIRE - Italia Nostra · Nicola Caracciolo – Luca Carra – Luigi Colombo...

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ARCHITETTURE DA RISCOPRIRE 482 agosto | settembre ottobre 2014 Associazione Nazionale per la tutela del Patrimonio Storico, Artistico e Naturale della Nazione

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ARCHITETTURE DA RISCOPRIRE

482agosto | settembreottobre 2014

Associazione Nazionale per la tutela del Patrimonio Storico, Artistico e Naturale della Nazione

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b a c h e c a2

L’Appia di Antonio Cederna non può più attendere Il Parco dell’Appia Antica è un parco conquistato nel nome di Antonio Cederna e voluto da un largo movi-mento di opinione pubblica fin dai lontani anni 50. Il Parco attende ancora di essere compiutamente realiz-zato, con strumenti adeguati alla gestione unitaria di un patrimonio storico-paesaggistico complesso che ri-chiede comunità d’intenti con le Soprintendenze preposte alla tutela dei Beni archeologici che caratterizza-no il parco, ma non ne comprendono, né esauriscono, le molteplici vocazioni e funzioni del suo territorio.– A quando l’approvazione del Piano di assetto con gli ampliamenti approvati in Giunta nel 2005?– A quando il rispetto dei vincoli paesaggistici dell’Agro romano: Falcognana e Divino Amore?– A quando il risanamento dell’Almone e di tutto il sistema idrico superficiale?– A quando il trasferimento completo delle attività produttive incompatibili?– A quando una disciplina del traffico che rispetti un patrimonio unico al mondo?– A quando una programmazione culturale a Bando pubblico dei Beni comuni del Parco?Queste sono le domande del confronto pubblico sul futuro del Parco che la Sezione di Roma di Italia Nostrapone alle varie Amministrazioni il 30 ottobre 2014 presso la sala Conferenze della Ex Cartiera Latina. Per saperne di più http: //www.italianostraroma.blogspot.com/

Italia Nostra Firenze guida la visita agli Uffizi di Sindaci e Assessori della“Romagna toscana” in arrivo col Treno di Dante Nell’ambito delle manifestazioni celebrative dei 450 anni dalla fondazione della cittadellaMedicea di Terra del Sole (concretizzazione della “città ideale”), ai primi di ottobre Sinda-ci e Assessori della “Romagna toscana” hanno scelto di visitare con Italia Nostra la Gal-leria degli Uffizi (contribuendo così anche all’iniziativa ‘Italia Nostra per gli Uffizi’ per rac-cogliere fondi per il restauro dei marmi antichi dei tre Corridoi di Galleria). Si è trattato diun vero e proprio “viaggio nella Bellezza” dall'inizio alla fine della giornata, con un ap-proccio da mobilità lenta e sostenibile: hanno infatti scelto di raggiungere Firenze con il“Treno di Dante”, potendo così apprezzare i paesaggi mozzafiato che scorrono lungo laFaentina, da quelli che erano i territori della Romagna fiorentina sotto Cosimo dei Medi-ci, fino al cuore della città del Primo Granduca di Toscana. Una giornata importante, cheha permesso di porre solide basi di una fattiva collaborazione per il rilancio culturale del-le terre della Romagna fiorentina, per lo sviluppo di un turismo sempre più sostenibile edi qualità, che riallacci i solidi legami culturali e affettivi di due territori che erano uno so-lo a partire dagli inizi del XIV secolo.Per saperne di più http://italianostrafirenze.wordpress.com

In ricordo di Mario IannantuonoIl Presidente della sezione di Campobasso, Mario Iannantuono, è venuto a mancare dopo brevissima malat-tia, il 6 Agosto u. s. Con la sua morte Italia Nostra perde un accanito sostenitore dei valori della nostra As-sociazione, che egli ha sempre sostenuto con grande determinazione.

Il professor Mario Iannantuono, dopo i prescritti 40 anni di insegnamento di storia e filosofia, pensava di go-dersi la pensione. Ma quando si pose la questione della sopravvivenza della pericolante sezione di Campo-basso, nel pieno rispetto del suo carattere irruento e deciso, si mise subito a disposizione. Raccolse amici ediscrizioni e la fece rinascere. Campobasso è piccola. Gli Assessori li fermava per strada. Fu così che convin-se quello ai Lavori Pubblici regionale a bloccare un viadotto inutile da 40 miliardi di lire sulla SS 87 per Ter-moli. Fu così che li costrinse a ricostruire la Taverna del Cortile all’incrocio di due tratturi. Poi, giunto l’eoli-co si mise in auto e non mancò a nessuna assemblea nella quale diffidare o mettere in guardia Sindaci edAmministratori dal cadere nella trappola degli affaristi. Sempre vitale, non parlava: “tuonava” sui suoi inter-locutori. Mai con presunzione, se non quella di provenire da una famiglia di Carabinieri. Subito prima dell’estate venne al direttivo nazionale dilettantandoci con le sue battute e le sue sonanti risa-te. Ed ora inaspettatamente ci ha lasciati.

Gianluigi Ciamarra, Presidente della Sezione di CampobassoOreste Rutigliano, Consigliere Nazionale di Italia Nostra

Foto Archivio Cipriani

Foto Enrico Arpaia

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s o m m a r i o | 3

Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 6 marzo 1957, n°5683 Sped. A.p., art. 2 c. 20/b 45% legge662/96 Filiale di RomaDIRETTORE Francesca Marzotto Caotorta

REALIZZAZIONE GRAFICA – STAMPA

SEDEViale Liegi, 33 – 00198 Roma – tel. 068537271 fax 0685350596P.I. 02121101006 – C.F. 80078410588e-mail: [email protected] redazione: [email protected] internet: www.italianostra.orgADESIONE A ITALIA NOSTRA 2015quota comprensiva delle spese di spedizione rivistaSOCIO ORDINARIO: quota annuale euro 35,00 – quota triennale euro 90,00SOCIO FAMILIARE: quota annuale euro 20,00 – quota triennale euro 50,00SOCIO GIOVANE (inferiore 18 anni): quota annuale euro 10,00 – quota triennale euro 25,00SOCIO ORDINARIO STUDENTE (fino a 26 anni): quota annuale euro 15,00 – quota triennale euro 40,00SOCIO SOSTENITORE: quota annuale euro 100,00 – quota triennale euro 270,00SOCIO VITALIZIO: euro 2.000,00 (una tantum) SOCIO BENEMERITO: quota annuale euro 1.000,00ENTE SOSTENITORE: quota annuale euro 250,00SOCIO ESTERO: quota annuale euro 60,00CLASSE SCOLASTICA: quota annuale euro 25,00

Versamenti su c.c.p soci n°48008007intestato a Italia Nostra – RomaPer informazioni su abbonamenti alla rivista per i non soci: Servizio abbonati – viale Liegi, 3300198 Roma – Tel. 0685372723

Finito di stampare: ottobre 2014

ITALIA NOSTRA ONLUS ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER LA TUTELADEL PATRIMONIO STORICO, ARTISTICO E NATURALE DELLA NAZIONE(riconosciuta con D.P.R. 22 VIII-1958, n. 1111)

PRESIDENTE Marco Parini

VICE PRESIDENTI Luigi Colombo – Teresa Liguori Pietro Petraroia

CONSIGLIO DIRETTIVO Antonello Alici – Massimo BottiniNicola Caracciolo – Luca Carra – Luigi ColomboSergio Cordibella – Raffaella Di Leo – Giovanni GabrieleEbe Giacometti – Liliana Gissara – Maria Pia GuermandiErcole Guerra – Franca Leverotti – Teresa LiguoriSerena Longaretti – Francesca Marzotto CaotortaAlessandra Mottola Molfino – Marco Parini – Pietro PetraroiaEvaristo Petrocchi – Gaetano Rinaldi – Maria Teresa RoliOreste Rutigliano – Maria Rita Signorini

GIUNTA Luigi Colombo – Sergio Cordibella – Teresa Liguori Marco Parini – Pietro Petraroia – Evaristo Petrocchi Gaetano Rinaldi – Oreste Rutigliano – Maria Rita Signorini

COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI Aldo d’OrmeaFilomena Rizzaro – Giovanni Zenucchini

COLLEGIO DEI PROBIVIRI Giancarlo Bagarotto – Franca GuelfiNerina Scarascia

AMMINISTRAZIONE E RESPONSABILE UFFICIMauro Di Bartolomeo

SOCI E ABBONATI Emanuela Breggia

SEGRETERIA DI PRESIDENZA Andrea De AngelisRoberta Giannini

SEGRETERIA GENERALE Luciano Marco Blasi – Dafne ColaJessica Continenza

RESPONSABILE UFFICIO SVILUPPO Daniela Fassina

UFFICIO PROGETTI Irene Ortis

Il pensiero ufficiale dell’Associazione sui diversi argomentiè espresso nell’editoriale. Tutti gli altri articolirappresentano l’opinione dei rispettivi autori.

Normativa sulla Privacy: ai sensi del D.L. 196 del 30/06/03 i dati sono raccolti ai soli finiassociativi e gestiti con modalità cartacea ed elettronica da ItaliaNostra. In qualunque momento Lei potrà aggiornare i suoi dati ocancellarli scrivendo ai nostri uffici di Viale Liegi, 33 – 00198 Roma

In copertinaColonia Marina Fiat “Edoardo Agnelli” - Foto L. Mini

Stampato su carta ecologica senza uso di sbiancanti chimici

EDITORIALE4 In ricordo di Floriano Villa MARCO PARINI

OPINIONE5 Una lunga storia FRANCESCA MARZOTTO CAOTORTA

DOSSIER6 L’utopie nouvelle: l’architettura delle colonie FULVIO IRACE

9 Architetture da riscoprire GIOVANNI LUIGI FONTANA

10 Colonie marine: eredità culturale MASSIMO BOTTINI

12 La mostra itinerante di Italia Nostra MASSIMO BOTTINI

14 Riflessioni sul restauro del “moderno” FRANCESCO LENSI E FABIO TURCHESCHI

18 La Colonia Fara di ChiavariDAI DOCUMENTI DELLA SEZIONE DEL TIGULLIO

LA STORIA20 I cittadini fermano l’ecomostro di Artena STEFANO SERAFINI

I SUCCESSI DI IN21 Grande Festa al Boscoincittà LUCA CARRA

23 Sono passati 40 anni! GIULIO CRESPI

SEGNALAZIONI24 Paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e del Monferrato

WALTER ACCIGLIARO

26 Dolomiti Patrimonio Mondiale UNESCO STEFANO NOVELLO

27 Nota sul Piano di Indirizzo Territoriale della ToscanaLEONARDO ROMBAI

29 Uno studio sugli scavi archeologici dell’Isola d’Elba

29 Tesori d’arte della Basilica di San Lorenzo in Mortara

30 Programma delle attività della Sezione Reggio Emilia per il 2015

30 Notizie da Europa Nostra ROSSANA BETTINELLI

PARLIAMO DI...31 Sblocca Italia EBE GIACOMETTI

Con la nuova “app” di Italia Nostra ora puoi leggere il Bollettino anche sutablet e smartphone.

AI LETTORI

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e d i t o r i a l e4

Recentemente è scomparso Floriano Villa. Illu-stre geologo, coordinò per anni, attraverso l’As-sociazione Nazionale Geologi Italiani da lui gui-

data l’impegno di tanti colleghi per lo studio e la ri-cerca di soluzioni al gravissimo dissesto idrogeologi-co che interessa il Paese. Floriano Villa, membro peranni del Consiglio Direttivo Nazionale d’Italia Nostra,ne fu per un triennio Presidente.La sua lezione, unica per impegno e competenza pro-fessionale, è stata ed è ancor oggi un riferimento perle riflessioni e le proposte dell’Associazione per lamessa in sicurezza del Paese. Per anni ho collabo-rato con l’amico Floriano e con lui ho partecipato aconvegni, seminari e con lui ho combattuto battagliein ogni parte d’Italia. Ricordo il suo monito allo studiodel territorio prima di ogni ipotesi d’intervento sopradi esso. Fu tra gli esperti che lavorarono sul rischiosismico del Paese e sulla sua Carta. Ricordo il suoformidabile contributo quando si trattò di bloccareprogetti di centrali ed impianti di smaltimento di rifiu-ti tossici localizzati sopra aree di forte instabilità geo-logica od addirittura ipotizzati sopra pericolose fagliedi elevato rischio sismico.L’impegno di Floriano Villa fu l’impegno di una vitaalla conoscenza del territorio ed al monito di un ri-goroso rispetto nei confronti di questo. Gravissimieventi l’hanno visto impegnato come in occasionedel disastro di Stava, che causò tantissimi morti, ovefu coordinatore del Collegio peritale nominato dalTribunale.Riconoscendone l’impegno e la qualità della sua ope-ra recentemente il Comune di Milano l’insigniva del-l’Ambrogino d’Oro, l’onorificenza più importante del-la città ambrosiana.La sua Presidenza d’Italia Nostra fu caratterizzata daun impegno costante su tutto il territorio con la pre-senza nelle aule giudiziarie ove si celebravano pro-cessi ambientali, con la consulenza a Comuni virtuo-si che volevano capire prima di sbagliare, con il con-fronto e l’enunciazione di principi di tutela come av-venne in occasione del Convegno nazionale sui Cen-tri Storici organizzato a Napoli nel 1995.Oggi la sua lezione è ancora valida, anzi attualissi-ma. Floriano Villa intervenne con la sua competen-za, nel 1998, nel disastro di Sarno nella cui frana pe-rirono 161 persone. Chiese interventi e propose so-luzioni. Oggi 201 interventi sui 216 previsti sono statiportati a termine. Intervenne a Venezia per l’equili-brio della Laguna, a Trieste per le rocce del Carso enella pianura padana dove contrariamente ai più ne

affermò il rischio sismico ed ancora sull’instabilità delterritorio sullo Stretto ove ricordava la fragilità dei col-li di Messina.Oggi cosa direbbe per l’ennesimo disastro annunciatoa Genova, a Parma, in Toscana? Che cosa direbbeper l’esondazione del Crati ed il disastro di Sibari inCalabria per gli allagamenti di Olbia ed i morti di Giam-pilieri e Scaletta Zanclea in Sicilia, per i disastri del-le Cinque Terre?

Direbbe che hanno ancora una volta ragione le As-sociazioni che hanno a cuore la tutela del territorio,come la nostra, come la sua Italia Nostra, che chie-dono al Governo di investire nella messa in sicu-rezza del territorio e non in costose ed inutili nuoveautostrade le scarse risorse disponibili. Da qui le re-centi critiche a molte opere previste nel decreto“Sblocca Italia”.Investiamo nella tutela e nella prevenzione a salva-guardia del territorio. Una spesa utile ed un aiuto al-le imprese italiane che vi troverebbero lavoro.Lavorando su questi temi, nei giorni scorsi, caro Flo-riano ti abbiamo sentito vicino, abbiamo sentito cheeri d’accordo. Vero? Un caro saluto. �

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MARCO PARINI

In ricordo di Floriano VillaL’impegno di una vita per la tutela del territorio

“È un grido di allarme che risulteràprobabilmente inascoltato, ma che vuoleribadire ancora una volta l’urgenza di unavera politica di previsione, di prevenzione edi controllo dei fenomeni naturali perché nonsi trasformino in catastrofi, e la necessitàche ne venga riconosciuta l’indiscussapriorità col destinare finalmente alla difesadel suolo e dei beni culturali quei cospicuifinanziamenti che si trovano semprerapidamente per opere ed interventisuperflui, e spesso dannosi, per l’ambienteed il paesaggio”

Floriano Villa, Editoriale del Bollettino n. 341(settembre 1997)

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Quale il metodo che si dovrebbe adottare peril recupero di architetture cresciute intorno aun’idea che si è spenta? Questo il tema prin-

cipale del nostro Bollettino che potrebbe evocarespunti da archeologia industriale, mentre introducequelli di storia dell’educazione, del sostegno alla sa-lute dei giovani, del tempo libero. Sono migliaia, infatti, nel nostro Paese, le architettu-re modellate, prima intorno a inesplorate dichiarazio-ni di intenti tesi ad un miglioramento dell’istruzione edella salute pubblica e, in seguito, richieste dalla neo-nata conquista del tempo libero, emerso dopo l’ado-zione delle ferie pagate. Le colonie marine o monta-ne costruite per dare forma a una nuova idea di edu-cazione che comprendeva la buona salute, una fan-tasia di vacanza e un’integrazione sociale per figli diuna classe contadina e operaria inurbata e in via dievoluzione, costituiscono un repertorio di architetturaitaliana lungo un secolo. Eppure, benché i primi ospi-zi marini fossero creati in Toscana intorno al 1860 perportare all’aria buona del mare bambini malati di scro-fola, il fenomeno delle colonie marine viene associa-to principalmente al periodo fascista, trascurandoquanto è stato fatto prima e quanto si è andato co-struendo fino agli anni ’60 del ’900. Architetture che,a saperle leggere, raccontano l’evoluzione di un rap-porto tra concetto di spazio e realtà sociale, così dafigurare come espressione di ricco patrimonio cultu-rale. Paradossalmente, lo stato di degrado in cui sitrovano oggi tanti di quegli edifici, costituisce un’espli-cita testimonianza di una trasformazione della nostrasocietà, passata dall’impegno delle istituzioni pubbli-che e filantropiche nel sostenere i giovani con garanzieigieniche, alimentari, educative, sportive, alla gestio-ne privata e famigliare delle stesse. Una società cheha raggiunto un benessere diffuso, che ha sconfittol’analfabetismo, che ha servizi igienici, mezzi di tra-sporto e meno figli, non si ritrova più in quegli spazi

immensi e molto vuoti, che raccontavano la differen-za tra l’indigenza nota e il benessere raggiungibile.Un benessere per un verso procurabile, sì, al prezzodi consenso e ubbidienza ma, per un altro, animatoe suggerito dagli stimoli dati da esempi di inventivageniale. Possiamo immaginare, oggi, l’effetto che po-teva avere su di un bambino di allora la differenza trala casa di contadino, o l’affollata abitazione di opera-io cittadino e quelle grandi “case” a forma di nave odi torre, con enormi “camere” che servivano solo perandare da una “camera” a un’altra? Enormi “came-re” per mangiare; enormi “camere” per dormire. Quel-le grandi finestre, le scale larghe, tutta quella luce di-segnavano il geroglifico del cambiamento nel sensopiù vasto del termine. Accanto a questo, poi, il tempoportò quello del progresso e, in seguito, quello dellasua implosione che tende a cancellare la memoria oaccompagnarla da conformismo e luogo comune: idue démoni sempre affamati di cervello umano. Un secolo di storia viene infeltrito in brevi affermazio-ni: “Le colonie marine sono al servizio dell’ubbidienzaall’ideologia fascista”, “sono un anticipo della visionemussoliniana dell’industria turistica”, “sono l’espres-sione del paternalismo degli industriali teso a quieta-re il dissenso”. Capaci di vedere anche Olivetti nel-l’elenco! E almeno le tante strutture gestite da Ordinireligiosi pare non abbiano secondi fini. Vitale e com-plesso il rapporto tra forme dell’architettura e avanza-mento delle esperienze pedagogiche che, più attentealla percezione spaziale dei bambini, riducono le di-mensioni delle superfici abitate. I grandi e dilatati spa-zi modellati da Moretti, De Micheli, Vaccaro negli anni’30, la grande scenografia di “Le Navi” di Busiri Vici vi-sta al tempo come “un sorriso di alluminio” diretto ver-so il futurismo si trasformano all’inizio degli anni ’60 inun sistema di relazioni raccolte da Giancarlo De Carlonella colonia marina Enel – Sip di Rimini, contro la cuidemolizione si adoperò anche Italia Nostra nel 2009. �

FRANCESCA MARZOTTOCAOTORTA

L’ospizio VittorioEmanuele II a Viareggioche nel 1867 giàospitava i primi bambiniaffetti da scrofolosi

Una lunga storiaBenché i primi ospizi marini fossero creati in Toscana intorno al 1860 per portare all’aria buona del mare bambinimalati di scrofola, il fenomeno delle coloniemarine viene associato principalmente alperiodo fascista, trascurando quanto è statofatto prima e fino agli anni ’60 del ’900. Le colonie sono ricca espressione delpatrimonio culturale italiano

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6 d o s s i e r

Costruite negli anni dei miti dell’Igiene e dell’Or-dine, le colonie estive dell’Opera Nazionale Ba-lilla costituirono per gli architetti degli anni tren-

ta un impegnativo tema di lavoro. Formidabili mac-chine propagandistiche dell’impegno del regime peri ceti popolari, esse costituirono nondimeno un labo-ratorio di sperimentazione per quei giovani architet-ti desiderosi di misurare nelle realtà del progetto l’ef-ficacia dei loro ideali etici ed estetici: offrendosi, in-fatti, come occasione irripetitiva di “total environment”,il disegno delle colonie sembrò incarnare le istanzepedagogiche e riformatrici dell’architettura moderna. Tra i numerosi, inediti temi progettuali proposti allacultura professionale degli anni “trenta” della politi-

ca sociale di un regime impegnato nella costruzionedel “consenso”, uno spazio particolare occupano lecosiddette colonie climatiche di soggiorno, a dispettoanche della loro relativa marginalità storiografica ri-spetto ai più frequentati esempi delle varie case delfascio, dei palazzi littori, degli edifici postali, ecc.Prodotto, in realtà, di quell’igienismo sociale di ma-trice medicopositivista fiorito in Italia durante la me-tà del secolo precedente ad opera prima del provvi-denzialismo cattolico e poi dell’assistenzialismo sta-tale e del filantropismo privato, la colonia dell’epoca“umbertina” fu innanzitutto ospizio e luogo di cura diquelle malattie causate dal pauperismo e dalle mi-serie dell’urbanizzazione. Il regime mostrò d’inten-derne appieno il potenziale propagandistico e il va-lore di aggregazione attorno alle direttive del gover-

no nella lotta per il “perfezionamento dello sviluppofisico, intellettuale e morale degli alunni”.“Darete case, scuole, giardini, campi sportivi al po-polo fascista che lavora” – era stato il monito di Mus-solini in occasione della cerimonia di insediamentodel governatore di Roma nel 1925. Albergo, scuola eclinica allo stesso tempo, la colonia permetteva il rag-giungimento di un duplice obiettivo-terapeutico e so-ciale – in quanto rendeva possibile sperimentare unasorta di effimero ma rituale laboratorio di conviven-za e un tentativo di apertura delle più giovani leveverso sollecitazioni ambientali tanto lontane, spesso,dai più tradizionali e consueti moduli dell’organizza-zione familiare. “Per qualche tempo – scriveva Mario

Labò – una piccola popolazione di adolescenti o dibimbi… deve sottomettersi alle esigenze della coabi-tazione… Il programma è la villeggiatura intensiva:che dia nella brevità del soggiorno il massimo risul-tato. Anche il riposo regolamentato diventa un lavo-ro. Tutto questo conferisce alla vita della riunione tran-sitoria con unità, per la quale il nome di ‘colonia’ èstato scelto con proprietà”1.Coordinate e dirette dall’Opera Nazionale Balilla edall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, le coloniefurono regolamentate e finanziate dall’Ente Opere As-sistenziali attraverso le diramazioni periferiche dellefederazioni provinciali di partito: agli organi decen-trati risultò pertanto affidata la selezione e lo smista-mento dei giovani – perlopiù di famiglie povere o pic-colo borghesi, con particolare riguardo ai figli degli

L’utopie nouvelle: l’architetturadelle colonie

FULVIO IRACEStorico dell’Architettura

Colonia “FascismoNovarese”,

commissionata dallaFederazione dei Fasci

di Combattimento di Novara (Rimini).

Foto di Lorenzo Mini(www.lorenzomini.it),

che ringraziamo

1 M. Labò, L’architetturadelle colonie marineitaliane, in M. Labò-A.Podestà, Colonie,Editoriale Domus, Milano,1942.

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| 7d o s s i e rex combattenti e degli italiani all’estero. Le colonie,infatti, si differenziavano non solo in base alla tipo-logia del luogo di villeggiatura (marine, montane, flu-viali, lacuali), ma anche in relazione alla qualità del-la stanzialità: aperte tutto l’anno, ad esempio, le “per-manenti” avevano un dichiarato carattere “curativo”di malattie croniche, come la tubercolosi, che le ren-deva più simili a un ospedale con lunghe degenzeche a un transitorio luogo di ricreazione. Funzionantisolo per pochi mesi l’anno, invece, le “temporanee”si distinguevano per la loro generica azione di profi-lassi e di svago; analogamente operose solo duran-te i periodi di vacanze scolastiche, le “diurne” (“elio-terapiche”) non prevedevano, però, il soggiorno: di-stribuite nei dintorni delle città, permettevano il ritor-no serale dei giovani ospiti ai propri nuclei di appar-tenenza, realizzando, al contempo, considerevoli eco-nomie di gestione. Furono proprio queste due tipolo-gie a svilupparsi maggiormente, e al loro modello siconformarono tutte quelle consimili iniziative propo-ste ai figli degli operai dal corporativismo assisten-zialistico del capitale industriale (Montecatini, Agip,Piaggio, Dalmine, Fiat, ecc.). Capitale privato e inter-vento pubblico promossero pertanto un’incredibilepolverizzazione d’insediamenti grandi e piccoli, mol-ti dei quali appaiono tuttora notevoli per perizia com-positiva, efficienza d’impianti e qualità architettonica.L’imperativo mussoliniano di fascistizzazione dellemasse, la mistica della forma fisica e la mitologia de-

clamatoria della sanità della stirpe contribuirono inol-tre a “sacralizzare” la colonia.E fu forse proprio questa “centralità” politica e mora-le di rivoluzionaria adesione a quello che apparivaun nuovo e più giusto “ordine di valori” che assicuròla convergenza delle forze più progressive dell’ar-chitettura italiana attorno al tema progettuale dellacolonia: assillata dal pungolo della propria missioneeducativa, infatti, l’architettura razionalista non po-

teva non scorgere nel progetto di queste “città del-l’effimero” un felice terreno di prova per le sue pic-cole e grandi utopie. “L’importanza assunta da tuttigli organismi che riguardavano la vita collettiva – scri-verà ancora nel 1938 Piero Bottoni – è destinata adaumentare giorno per giorno. L’organizzazione di es-sa sarà certamente la fondamentale caratteristica eil maggior vanto dell’urbanistica di questo secolo”2.“Architettura e urbanistica divengono il prolungamentodell’etica, della sociologia, della politica”, aveva giàannunciato (1933) Le Corbusier: e nelle “gioie essen-ziali” del “sole”, del “verde”, dello “spazio” che la co-lonia dispiegava – quasi “ville radieuse” in miniatura– come parti organiche del suo progetto, i giovani ra-zionalisti potevano tentare di scrivere segni e pre-monizioni di quel sogno urbanistico della realtà deifatti sistematicamente smentito. Nel 1937, la grande mostra delle Colonie Estive or-ganizzata a Roma sotto la lirica regia di A. Libera e

“Per qualche tempo una piccola popolazionedi adolescenti o di bimbi … devesottomettersi alle esigenze dellacoabitazione … Il programma è lavilleggiatura intensiva: che dia nella brevitàdel soggiorno il massimo risultato. Anche ilriposo regolamentato diventa un lavoro. Tuttoquesto conferisce alla vita della riunionetransitoria con unità, per la quale il nome dicolonia è stato scelto con proprietà”

Mario Labò - Editoriale Domus (1942)

2 P. Bottoni, Urbanistica,Quaderni della Triennale,Milano, 1948.

Dall’alto, vedute degliinterni delle Colonie“Rosa MaltoniMussolini” (Giulianova)e “Fondazione AntonioDevoto” (Monte Zatta).Foto di Lorenzo Mini

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M. De Renzi sembrò trionfalmente suggellare la lun-ga marcia d’avvicinamento dell’architettura razio-nale ai suoi obiettivi sociali, tanto da strappare a Pa-gano un entusiastico e partecipato commento: “Ilbianco delle costruzioni assume un valore simboli-co e la semplicità strutturale diventa un motivo mo-rale…il ricordo delle polemiche parlamentari per Sa-baudia e per la stazione di Firenze è ormai moltolontano”3.L’architettura, dunque, come medium educativo, ilsoggiorno come avventura di formazione, il pro-getto come predisposizione armonica di un accor-do con la società… È ancora una volta Labò a co-gliere con acutezza questa pregnanza propagan-distico-pedagogica dell’istituto-colonia: “tutto in es-se, dalle linee astratte e dai volumi agli svolgimentidelle piante, che tracciano gli itinerari della vita incomune, dall’ampiezza e tipo di serramenti al di-segno delle ringhiere, dagli intonaci ai pavimenti,colori e materie, tutto concorre, refettorio e localidi pulizia, dormitorio e palestra, a comporre la for-

ma plastica, l’immagine visiva in cui si immedesi-merà per sempre, nella memoria di questi ragaz-zi, il ricordo del soggiorno in colonia. I più, uscitida tuguri o da modeste case popolari… sentirannoqui per la prima volta, in una vita calma e per lo-ro agiata, gli stimoli a lasciarsi sia pur passiva-mente penetrare dalla suggestione di un gusto, iprimi stimoli all’apprezzamento di una forma ar-chitettonica, non veduta solo dal di fuori, ma ado-perata per viverci dentro. È questo il punto so-stanziale”4.

L’architettura moderna seppe cogliere in pieno lapotenzialità espressiva del nuovo tema, sfruttan-done con generosa dedizione l’insolita libertà con-cessa dalla mancanza di riferimenti tradizionali edalla relativa semplicità del dettato funzionale e lastraordinaria occasione di sperimentare quella ri-cerca su oggetto isolato nel passaggio che costituìmomento rilevante dell’intero razionalismo europeo.“Aria, luce, campi, pulizia si presentarono come al-trettanti capisaldi da informare a loro arte”, scrive-va Bardi nel suo “Rapporto al Duce”; e in effetti, l’in-quietante e metafisica ispirazione “mediterranea”dell’ala purista seppe segnare con simbolica im-pressività l’architettura delle colonie, ricavandonela più estesa varietà d’accenti: dall’allusiva “archi-tettura parlante” delle “navi” di Busiri Vici – dove alsimbolismo diretto del ritorno in patria degli emi-granti si sovrappone quello esoterico del “paque-bot” lecorbuseriano e il ricordo di quella mitica na-ve in rotta verso Atene – all’intransigente ideologiadell’edificio “fabbrica” di Sottsas e Guaitoli, univo-camente espressivo di un valore universale e in-tercambiabile della proposta razionalista, alla “ele-gante” soluzione del “monoblocco” (Vaccaro, Griffi-ni, ecc.), dal repertorio finemente modulato di brie-soleil, pensiline, portici… “Architetture di pareti bian-che, rettangole o quadrate, orizzontali e verticali:architetture di vuoti e di pieni, di colore e di forme,di geometrie e di proporzioni… geometria che par-la”, come aveva Peressutti definito le caratteristichedello spirito mediterraneo5.Né sembra un caso, quindi, che con minore slancioinventivo la cultura architettonica seppe rispondereal tema della colonia montana, che, tranne poche ec-cezioni (le “torri” di Bonadè Bottino, la “Piaggio” diDaneri) si produsse in genere meno convincenti per-formance edificatorie. �

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3 G. Pagano, La mostradelle colonie estive edell’assistenzaall’infanzia, in“Casabella”, n. 116, 1937.4 M. Labò, op. cit.5 E. Peressutti,Architetturamediterranea,“Quadrante”, n. 21, 1935.

Dall’alto, Colonie del Fascio

Primogenito – OperaBonomelli (Pesaro),

“Villa Marina” (Pesaro),“XXVIII Ottobre” –

Le Navi (Cattolica).Foto di Lorenzo Mini

Le colonie estive dell’Opera Nazionale Balillacostituirono un laboratorio di sperimentazioneper quei giovani architetti desiderosi dimisurare nella realtà del progetto l’efficaciadei loro ideali etici ed estetici

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Le colonie marine e montane si sono imposte al-l’attenzione storiografica sia come fenomeno na-zionale ed europeo sia attraverso gli studi di ca-

so, da un lato nell’ambito delle ricerche sul welfared’impresa e sullo stato sociale in Italia, dall’altro nelcontesto delle indagini sul patrimonio storico-archi-tettonico del moderno. Rassegne del cinema d’im-presa hanno presentato cortometraggi d’autore de-gli anni ’50-’60 del Novecento sulle attività di welfareaziendale e sulle colonie estive di grandi imprese ita-liane. La mostra itinerante “Colonie marine: Ipotesiper la conoscenza e la tutela del patrimonio storicoe architettonico del moderno” si è proposta come stru-mento di riscoperta, approfondimento e valorizzazio-ne di questa particolare tipologia di beni culturali. Inquanto tali, le colonie sono entrate nella sfera d’in-teresse di Italia Nostra e dell’Associazione Italiana peril Patrimonio Archeologico Industriale, che nel 2012ha dedicato un numero della rivista “Patrimonio in-dustriale” a Loisir, workfare e Stato sociale. Le colo-nie per l’infanzia nell’Italia fascista.

Le colonie estive costituiscono una compiuta rappre-sentazione dei grandi processi di trasformazione emodernizzazione dell’Italia dall’ultimo Ottocento allaseconda metà del Novecento e, per certi aspetti, finoai nostri giorni. Nella loro evoluzione intrecciano mol-teplici elementi. Nate con finalità elioterapiche ed igie-nico-sanitarie, hanno accompagnato la nascita del-le stazioni climatiche e favorito il passaggio dal turi-smo balneare elitario a quello di massa. Specchio fe-dele della scoperta del turismo che si accompagnaallo sviluppo dei consumi e della cultura del loisir del-la media e piccola borghesia italiana, nella loro suc-

cessiva “esplosione” le colonie mostrano l’evoluzionedel welfare d’impresa dal paternalismo ottocentescoal workfare di ascendenza americana declinato nel-le forme dello stato sociale fascista fino alle nuoveespressioni del welfare pubblico degli anni del boomeconomico. Negli anni venti e trenta esprimono i mi-ti e sono strumento della propaganda di regime, non-ché dei meccanismi di costruzione del consenso nel-le imprese e nella società; dal secondo dopoguerraseguono il passaggio dai consumi collettivi a quelliindividuali nel quadro delle grandi trasformazioni eco-nomiche, culturali e sociali degli anni ’70 e ’80 chedeterminano anche il loro declino. Architetture innovative e complesse, sovente imponenti,progettate dai migliori architetti del tempo, marcano ilitorali marini, specie lungo le coste toscane, roma-gnole e marchigiane, e nonostante la cementificazio-ne diffusa, continuano a dialogare con il paesaggiocircostante. A fronte delle poche colonie aziendali man-tenutesi nel tempo, si tratta per lo più di grandi edificiabbandonati, tornati nelle cronache per utilizzazioni

indebite, ma anche per recenti riusi come “case di va-canza” o “centri estivi” di associazioni ed enti religiosi.Altre colonie sono state “riqualificate” come parchi te-matici, poli del benessere, centri talassoterapici o di in-trattenimento, produttori di nuovi modelli sociali. Unariflessione più sistematica si impone. Salutiamo conpiacere questo dossier di Italia Nostra quale preziosostrumento per una migliore conoscenza del fenome-no, per interventi consapevoli e condivisi, rispettosi del-l’identità storica e del valore architettonico, urbanisti-co e paesaggistico di questa straordinaria componen-te del patrimonio culturale italiano. �

Architetture da riscoprireGIOVANNI LUIGI FONTANAPresidente AIPAI - Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale

Colonia “Stella Maris” –Montesilvano (Pescara).Foto di Lorenzo Mini

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Le Colonie Marine degli anni Venti e Trenta delsecolo scorso caratterizzano una larga parte dicosta adriatica compresa tra la Romagna e le

Marche, sono parte integrante del paesaggio a ma-re, lo segnano profondamente e rappresentano pun-ti importanti nella mappa mentale della comunità lo-cale. Non si tratta solo di meravigliosi esempi archi-tettonici, le colonie, anche se private della funzioneoriginaria, sono state in grado di adattarsi conti-nuando a dialogare con il contesto che le accoglie edi restare significative. Non esiste manufatto archi-tettonico in grado di rimanere “vitale” se incapace di

osmosi con ciò che lo circonda, un edificio che sap-pia “respirare” è destinato a cambiare molte vite, maa continuare a vivere. Questa abilità al respiro dellecolonie meriterebbe di essere indagata attentamen-te, così come si auspica si possa avviare una profi-cua fase di studio e riqualificazione. Per ora solo la regione Emilia Romagna, data la mas-siccia presenza di colonie sul suo territorio e consa-pevole del loro ruolo culturale, nel 1985 ha provve-duto a censirle e ne ha decretato la tutela1. Si au-spica che anche altre regioni adottino il medesimostrumento normativo.La Città Balneare della media costa adriatica è uncaso esemplare di conurbazione, per chilometri dal-

la metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo fi-no agli anni Novanta qui si è costruito, ampliato, al-zato, aggiunto; un lungo catalogo di superfetazionidi ogni genere e dimensione. Il cemento armato havia via fagocitato gli esili villini della borghesia otto-centesca risparmiandone solo alcuni esemplari. Glianni Settanta poi hanno definitivamente sancito la“normalizzazione” di quel “modus aedificandi” cheha così acquisito lo status di vero e proprio modulourbano. Per una strana legge naturale l’errore ri-petuto oltre un certo numero di volte non è più taleed è diventato regola.

La nuova “formula abitativa” serviva a creare velo-cemente e senza tanti problemi spazi che potesse-ro soddisfare la crescente domanda del turismo chequi è diventato di massa e così questa parte di co-sta è diventata uno dei luoghi più cementificati delPaese.Da notare inoltre l’uso del colore. Gli alberghi-palaz-zo sono di mille tinte che cercano di attirare l’atten-zione verso ciò che le frettolose forme architettonichenon sono riuscite a rendere distinguibile nel tutto in-distinto. Non solo gli alberghi, ma gli stabilimenti bal-neari, i baby park, le attività di ogni genere, gli om-brelloni, tutto di mille colori gridati, un insieme in cuiil singolo elemento pare debba necessariamente es-

Colonie marine: eredità culturaleMASSIMO BOTTINI

Consigliere nazionale di Italia Nostra

1 Istituto per i beniculturali della RegioneEmilia-Romagna, Coloniea mare: il patrimonio dellecolonie sulla costaromagnola quale risorsaurbana e ambientale,Bologna, Grafis Edizioni,1986.

La Colonia exMontecatini, Monopoli

di Stato (MilanoMarittima).

Foto di Lorenzo Mini

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sere in contrasto con l’altro. A ben vedere, l’esattocontrario dell’armonia.La chilometrica linea del costruito disarmonica nel-le forme e stonata nei colori è, come si è detto, no-nostante ciò percepita come un tutto uguale, l’oc-chio man mano si impigrisce e non nota subito lecolonie marine disseminate qua e là sull’arenile. Es-se rappresentano mirabili esempi di architettura mo-derna, nella maggior parte dei casi risultano ab-bandonate e quindi incontaminate, solo alcune so-no state riutilizzate ad es. come scuole, forse la fun-zione a loro più consona. Costruite dal regime fa-scista con scopi propagandistici, di indottrinamen-to, ma soprattutto terapeutici, mantengono inalte-

rata la loro mole che le contraddistingue dal resto.Gli spazi a mare dovevano servire a garantire ai fi-gli dei lavoratori la possibilità di prevenire e curarele malattie come la tubercolosi e il rachitismo, allo-ra molto diffuse in una nuova ottica che valorizza-va il culto del corpo e della salubrità e che modifi-cava nell’immaginario il significato del mare, nonpiù solo come luogo di arrivo o partenza, ma anchecome sede stanziale in alternativa a città e borghimalsani. Progettate per essere funzionali, all’inter-no e all’esterno, al benessere dei bambini ospiti, consaloni ben areati, esposti al giusto sole e circonda-ti dal verde. “Il popolo italiano vuole essere sano”aveva decretato Mussolini. E i suoi giovani architet-ti si lanciarono in creazioni sperimentali e comples-se che hanno fatto la storia dell’architettura con-temporanea, luoghi dell’utopia come o più delle cit-tà di fondazione. Hanno anche insegnato agli Ita-liani ad andare al mare, facendo della villeggiatu-ra marina un fenomeno di massa.Le loro forme che in molti casi si leggono ancora ni-tidissime, navi, aerei, lettere dell’alfabeto, doveva-no enfatizzare lo spirito del regime, lo stesso spiri-to agiva nella scelta dei materiali innovativi e la spe-rimentazione tecnologica. Le colonie divennero quin-di “incubatori” di nuove generazioni più sane e piùforti. I bambini ospitati in colonia si ammalavano di

Su larga parte della Costa Adriatica, tra laRomagna e le Marche, la nuova “formulaabitativa” serviva a creare velocemente esenza tanti problemi spazi che potesserosoddisfare la crescente domanda delturismo che qui è diventato di massa. E così questa parte di costa è diventata unodei luoghi più cementificati del Paese

La Colonia “VillaMarina” (Pesaro). Foto di Lorenzo Mini

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meno, si rafforzavano e, soprattutto aumentavanodi peso, fino a 9 kg. Linee pulite ed essenziali chedefiniscono gli spazi progettati per accogliere i pic-

coli ospiti in ogni momento della giornata nelle di-verse attività. Le colonie conservano ancora l’origi-nario rapporto privilegiato con l’esterno, i muri al-tissimi di molte strutture si comportano come unasorta di membrana che permette allo spazio inter-no di dialogare con quello esterno e viceversa cre-ando in questo modo un unico corpo formato da ma-terie con consistenze diverse. La compenetrazioneè tale che ancora oggi è impossibile considerare ecomprendere l’uno senza l’altro. Ciò che sta fuori,ambiente, luce, brezza, riverbero, frescura, calore,entra dentro percorrendo vie progettate e pensateproprio per creare integrazione e trasformarli in ma-teria costruita. Il loro rapporto di scambio con l’in-torno è ciò che le rende “vive”. Osservandole dal mare esse rivelano immediatamentela loro doppia natura, la prima, quella “solitaria”, inquanto manufatti architettonici; la seconda, quella“sociale”, attraverso la quale dialogano col paesag-gio a mare da cui sono definite e che ancora contri-buiscono a definire. Dal punto di vista urbanistico la costruzione delle Co-lonie Marine fasciste rivoluzionò per sempre la for-

La mostra “Colonie Marine: Ipotesi per la conoscenza e la tutela del patrimonio storico e architettonico delmoderno”, inizia il suo percorso a tappe nel 2003 a Passaggio di Bettona in provincia di Perugia. Allora unaparte di essa era anche dedicata al patrimonio architettonico scolastico, sportivo e ricreativo del Moderno; è

solo più tardi infatti che lo sguardo si concentra esclu-sivamente sulle Colonie Marine. L’esposizione in tut-ti questi anni ha viaggiato in lungo e in largo, non ri-nunciando mai alla sua vocazione originaria, quelladi agire sia “passivamente”, documentando il visita-tore, sia “attivamente”, creando cioè una forte rela-zione di scambio col territorio. Le schede di rilevamento utilizzate per il rilievo delleColonie Marine presenti sull’area in cui la mostra so-sta, rappresentano il primo approccio comunicativorispetto a quel luogo e alla sua comunità, in più i da-ti acquisiti arricchiscono il materiale espositivo e di-ventano spunto per approfondimenti che poi in alcu-ni casi sono stati oggetto di specifiche pubblicazioni1.Non è raro che il visitatore osservando i pannelli espo-sitivi venga sollecitato a rinviare quelle immagini agli

esempi di edifici simili presenti sul suo territorio e a volte nella sua memoria emergono fatti ed informazioni cheintegrano la documentazione acquisita attraverso le schede di rilevamento, la comunità diventa attore/motoredell’evento. Grazie a questa dinamicità la mostra negli anni ha girato molta parte del nostro Paese: Emilia Ro-magna; Marche, Abruzzo, Liguria, Umbria, diventando spunto per nuove discussioni sull’argomento e colletto-re di nuovi dati ed informazioni. I dati raccolti negli anni e che si raccoglieranno in futuro grazie al sostegnodelle sezioni locali di Italia Nostra che potranno richiedere l’esposizione sul loro territorio*, serviranno a tene-re viva l’attenzione su questo patrimonio comune e a fornire strumenti utili alla definizione di progetti di riusoe riqualificazione. Cammino d’altra parte già in essere grazie alla collaborazione con l’AIPAI, alla creazione digruppi di lavoro e di studio sia a livello di associazionismo locale sia universitario. * NB. Potete contattarci in redazione a [email protected] oppure allo 06 85372738 e provve-deremo a inoltrare la richiesta all’Arch. Massimo Bottini.

La mostra itinerante di Italia Nostra

1 Alessandro Bazzoffia,Massimo Bottini, Antonio

Mercarelli, I giovani e iluoghi dell’istruzione dello

svago e dello sport nellacultura degli anni trenta in

Italia, Città di Castello,Monte Meru editrice, 2003. Angela Appignani (a cura

di), I giovani e i luoghidell’istruzione dello svagoe dello sport nella culturadegli anni trenta in Italia,

Atti delle giornate distudio 3-4 aprile 2006 eCatalogo della mostra,

Pescara, 2007.

Allestimento dellamostra itinerante

(immagine del 2012 aTerni). Foto di L. Mini

Colonia “AmosMaramotti” (Riccione).Foto di Lorenzo Mini

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ma e la vita socio-culturale della costa, gettando lebasi per la nascita e lo sviluppo del turismo di mas-sa e segnando l’origine di quel fenomeno urbanisti-co che molti decenni dopo sarà definito “riminizza-zione”. Se fino agli anni Venti le uniche costruzioni amare erano i rari villini, col fascismo la spiaggia vie-ne colonizzata e diviene paesaggio culturale. Se ot-tanta anni fa erano il pieno nel vuoto, oggi, per ledimensioni dell’area di rispetto che le circonda, co-stituiscono il vuoto nel pieno, la percezione è com-pletamente ribaltata.

Oggi le colonie sono gli ultimi varchi a mare, il co-struito e il vuoto che lo circonda sono riusciti a con-servarsi nonostante la fame di spazio dell’economiaturistica, ciò come diretta conseguenza sia delladamnatio memoriae da cui sono state colpite neglianni successivi alla caduta del fascismo, sia grazieai vincoli a cui sono sottoposte. Un patrimonio cul-turale inestimabile che attende ancora di essere let-to, raccontato e compreso nel suo complesso.Un’evoluzione urbanistica riassumibile in tre fasi: la

prima, quella della loro costruzione e del loro uso inbase alla funzione originaria; la seconda, quella del-l’abbandono, della smemoratezza obbligatoria e ne-cessaria, dello svuotamento di significato; la terza,quella dell’attesa in cui per anni non sono state più“nulla”.Oggi si è di fronte ad una fase nuova e ancora tuttada definire, per farlo occorre rispondere ad una do-manda: cosa farne? La crisi economica in cui da anni versa il nostro Pae-se e l’Europa tutta rischia però di aprire la stradaa decisioni e scelte frettolose, smemorate e poco lun-gimiranti. Le colonie marine rappresentano una “ge-nia architettonica e culturale” per cui ogni progettodi riuso e riqualificazione andrà affrontato utiliz-zando una visione d’insieme. Questa materia viventeandrà immersa nel contesto sociale ed urbanisticoin cui si trova, per fare in modo che ogni riutilizzosegni anche l’apertura di un canale di comunica-zione e di scambio con esso. Tra gli usi più consonioltre a quello scolastico, esse potranno diventareresidenze temporanee di co-housing, co-working,luoghi di sperimentazione urbanistica, di rigenera-zione civica e riqualificazione ecologica di tessuti ur-bani oramai “saturi”, tornando ad essere produtto-ri di modelli sociali nuovi. Le colonie saranno da trat-tare come bene comune nelle mani di una comuni-tà consapevole in grado di utilizzarle per scopi con-divisi e in tal modo valorizzarle. �

Con co-housing sidefiniscono degliinsediamenti abitativicomposti da alloggi privaticorredati da spazidestinati alla gestionecollettiva della comunità(ad es. lavanderie o spazigioco per i bambini), cosìda ottenere risparmieconomici e benefici dinatura ecologica e sociale.

Con co-working sidefinisce quello stilelavorativo per cui personecon un proprio impiegoindipendente scelgono dicondividere un ambientedi lavoro, in particolareper sfuggireall’isolamento, crearesinergia con altrilavoratori e beneficiare dirisparmi economici.

Colonia “XXVIII ottobre”– Le Navi (Cattolica).Foto di Lorenzo Mini

Oggi le colonie sono l’ultimo varco a mare, il costruito e il vuoto che lo circonda sonoriusciti a conservarsi nonostante la fame di spazio dell’economia turistica

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Apartire dalla seconda metà dell’Ottocento, sipuò ritenere definitivamente consolidata l’opi-nione medica e scientifica che vede nella elio-

terapia e nella talassoterapia gli strumenti più effica-ci nella profilassi delle affezioni tubercolari giovanili,nonché nella cura e prevenzione delle diverse formedi rachitismo. Dalle ricerche del medico e scienziatosettecentesco Lazzaro Spallanzani sulle proprietà bat-tericide della luce solare, fino all’opera del medico edepidemiologo fiorentino Giuseppe Barellai e dei luc-chesi Giuseppe Giannelli e Antonio Ghivizzani, prendedunque avvio la vicenda degli stabilimenti eliomariniche, con fasi più o meno effervescenti, si protrae finoalle soglie degli anni settanta del Novecento.L’ospizio marino ottocentesco, che in Toscana vantaalcuni esempi importanti come quelli di Livorno e Via-

reggio, solo per citare i più grandi tra i diciotto cono-sciuti, si caratterizza per un’organizzazione tipologi-ca e formale ancora limitata alle poche funzioni disoggiorno, articolandosi per lo più all’interno di strut-ture edilizie monoblocco, prive di sostanziali attribu-ti specifici legati all’uso peculiare del fabbricato.È con il periodo immediatamente successivo alla pri-ma guerra mondiale, e soprattutto con l’avvento delfascismo, che il fenomeno edilizio delle colonie mari-ne esplode con accezioni sempre più complesse innumerosissime realizzazioni che finiscono per inte-ressare l’intero litorale italiano e che sulla costa oc-cidentale, soprattutto nella zona di Tirrenia, vede unvero proliferare di realizzazioni. Complessivamente,in Toscana, tra il ’18 e il ’45 nascono quarantaduenuovi edifici a cui si sommeranno nel dopoguerra ul-teriori quarantasei fabbricati. Bisogna evidenziareche “l’edificio colonia” durante il fascismo ben si pre-sta alla sistematica educazione al vigore fisico ri-chiesta dal regime, così come alla vita regolare da-gli orari militarmente scanditi e, più in generale, allaformazione culturale dei “fanciulli”; per questo moti-vo esso diviene nettamente più ampio e articolato chein precedenza, dotandosi di palestre, teatri, cappel-le e spazi per attività collettive, caratterizzandosi spes-so per una certa monumentalità e rappresentatività.Successivamente, invece, la colonia diviene soprat-tutto una risposta alla diffusa povertà di una nazio-ne piegata dalla guerra che si accontenta per le va-canze della propria gioventù di edifici più piccoli e im-prontati a criteri di massima economicità che assairaramente concedono spazio ad episodi di un qual-che lirismo architettonico.Il principio stesso che aveva dato vita al sistema del-le colonie marine vede compiersi il proprio destino apartire dagli anni settanta, quando un più diffuso be-nessere economico fa venir meno la necessità di que-sti luoghi di vacanza collettiva, determinandone il pro-gressivo abbandono e la conseguente fatiscenza. Unabbandono tanto più eclatante, quanto più imponenteera stata la magnificenza e la vastità delle passatevestigia. A questa sorte non si sono sottratti per lun-go tempo neppure gli esempi più prestigiosi del lito-rale toscano che, senza dubbio, vantava alcune rea-lizzazioni d’eccellenza. In particolare, si può ricor-dare la “Colonia marina per i figli dei ferrovieri e po-stelegrafonici” a Calambrone presso Livorno, una tra

Riflessioni sul restauro del “moderno”Le colonie marine della Toscana

FRANCESCO LENSI FABIO TURCHESCHI

Università degli Studi di Firenze

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le più felici opere di Angiolo Mazzoni. Qui, il celebrearchitetto e ingegnere, stimolato da una tipologia an-cora tutta da sperimentare ed in parte libero da queivincoli discrezionalmente imposti alle architetture piùspecificatamente istituzionali, dà vita ad un vastocomplesso architettonico originale per aggregazio-ne planimetrica, soluzioni formali, sintassi materichee lirici slanci di volumi, nel quale si intuiscono pe-raltro concretizzate le suggestioni metafisiche del-l’immaginario futurista in voga in quegli anni nel ca-poluogo. Sempre di matrice futurista, le planimetrie

del “Vittorio Emanuele II” e del “Principi di Piemon-te”, entrambi a Tirrenia, l’una in forma di bambinocon le braccia giocosamente alzate sopra la testa,l’altra di nitida ombra d’aeroplano in volo verso ilmare. A Marina di Massa l’ingegner Vittorio BonadèBottino gioca col verticalismo della “Torre Balilla”,bianco cilindro scannellato che troneggia, poco di-stante dalla spiaggia, sul roccioso sfondo delle AlpiApuane. Sempre a Marina di Massa, mastodonticol’impianto della “XXVIII Ottobre”, nel quale gli archi-tetti Alfio Guaitoli e Ettore Sottsass, definiscono con

d o s s i e rDall’alto, particolaredella cappella facenteparte del complessodella Colonia marinadei Fasci italianiall'estero a Calambrone(foto prof. arch. MauroCozzi), Colonia Fara aChiavari (foto LorenzoMini)

Nella pagina accanto, la Colonia marina per iFigli dei Ferrovieri ePostelegrafonici aCalambrone dopo gliinterventi ditrasformazione instruttura ricettiva. Foto prof. arch. MauroCozzi, che ringraziamo.Colonia Roma o IstitutoOrfani Ferrovieri diGuerra (Bellaria). Foto Lorenzo Mini

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freddi volumi squadrati ed esili porticati una sugge-stiva sequenza di cortili. Senz’altro interessante, in-fine, anche la colonia “fasci italiani all’estero” a Tir-renia, di Mario Paniconi e Giovanni Pediconi, preco-ci interpreti del movimento razionalista italiano conun’insolita giustapposizione di vuoti e di pieni decli-nata elegantemente grazie all’uso di moderne solu-zioni strutturali in cemento armato.Di recente sono state condotte alcune operazioni im-mobiliari che hanno visto la trasformazione di partedi questi complessi in strutture ricettive ed apparta-menti per vacanze. Evidentemente questa tipologia,salvo rare eccezioni, sembra tra le poche che a fron-

te di volumetrie estremamente consistenti (quasi cen-tomila metri cubi per la sola colonia del Mazzoni, epiù di centocinquantamila tra la “XXVIII Ottobre” e la“fasci italiani all’estero”, tanto per dare un ordine digrandezza), forte di una certa affinità funzionale, siain grado di indurre un ritorno economico sufficientea compensare gli investimenti decisamente cospicuinecessari alla riqualificazione. Le attuali normativeimpongono infatti radicali opere di consolidamentostrutturale necessarie a dotare gli edifici di un’ade-guata resistenza all’azione sismica; allo stesso mo-do obbligano a una completa rivisitazione degli ap-parati murari per conseguire un’inerzia termica coe-

d o s s i e rDall’alto, la Colonia

marina per i Figli deiFerrovieri e

Postelegrafonici “RosaMaltoni Mussolini” a

Calambrone in una fotodei primi anni trenta ela "Torre Balilla" della

Colonia marina EdoardoAgnelli a Marina di

Massa

“Lo spazio è un prodotto della storia…è stato foggiato, modellato a partire da elementi storici o naturali, ma sempre in maniera politica. È uno spettacololetteralmente popolato di ideologia. Perché c’è un’ideologia dello spazio? Perché questo spazio che sembraomogeneo, che appare bloccato nella suaoggettività, nella sua forma pura, così comelo vediamo, è invece un prodotto sociale”

Henri Lefebvre (sociologo, urbanista e filosofo francese)

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rente con gli attuali standard progettuali ed impian-tistici; e anche da un punto di vista meramente fun-zionale, prescrivono imprescindibili interventi di va-rio ordine e grandezza per rendere accessibili i fab-bricati anche ai disabili.In definitiva, il recupero delle vecchie colonie, a di-spetto della loro immagine così “moderna” e delle lo-ro soluzioni strutturali talvolta “all’avanguardia”, nonè meno complesso di quello di un qualsiasi edificiostorico abbandonato, pervenutoci da periodi ben piùremoti, ed al quale si richieda di svolgere di nuovouna qualche funzione.Se tali difficoltà si sono dimostrate superabili, alme-no in termini di investimento, per l’amena posizionedella maggior parte di questi edifici, immersi nel ver-de delle pinete ed a pochi metri dal mare, rimane tut-tavia parzialmente irrisolto il problema del restaurodei complessi più monumentali. I recenti interventihanno infatti evidenziato una deprecabile tendenzaad una sommaria e talvolta maldestra conservazio-ne dell’immagine esterna dei fabbricati, con pochis-sima attenzione filologica nei confronti degli organi-smi edilizi nella propria interezza. Gli interni, in par-ticolare, risultano spesso completamente stravolti,non solo nella distribuzione – come d’altro canto al-meno in parte necessario per l’introduzione delle nuo-ve funzioni – ma anche da un punto di vista forma-le, quasi che la storia delle colonie e la loro valenzatestimoniale si esaurisca sulle soglie di ingresso. Unavolta accettata la dignità monumentale di uno di que-sti edifici, ferma restando la liceità di una conversio-ne ad altri usi, sembra invece inammissibile prescin-dere dalla regola che impone di eseguire qualsiasiintervento edilizio secondo le buone norme del re-stauro che in altri contesti appaiono scontate.Si rileva, in questo, una difficoltà più generale nel ge-stire il restauro del “moderno”, spesso sostanziata dauna diffusa indifferenza, da una letteratura scientifi-ca lacunosa nel definire metodi coerenti per il recu-pero dei materiali del tempo (si pensi, solo per fare unesempio, all’arancione intonaco “terranova” e alla le-ga “alluminio-magnesio” degli infissi della colonia dei“figli dei ferrovieri e postelegrafonici” al Calambrone),nonché da una certa leggerezza delle Soprintenden-ze, spesso più attente a episodi di altre epoche. �

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Dall’alto, veduta delfronte meridionale dellaColonia marina per iFigli dei Ferrovieri ePostelegrafonici aCalambrone durante gliinterventi diriqualificazione (foto M.Cozzi), Colonia“Montecatini” a MilanoMarittima e Colonia“Antonio Devoto” sulMonte Zatta (foto L. Mini)

Il recupero delle vecchie colonie, a dispettodella loro immagine così “moderna” e delleloro soluzioni strutturali talvolta“all’avanguardia”, non è meno complesso diquello di un qualsiasi edificio storicoabbandonato, pervenutoci da periodi ben piùremoti, ed al quale si richieda di svolgere dinuovo una qualche funzione

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La Colonia “Gustavo Fara” di Chiavari, inaugu-rata il 28 ottobre 1935 come luogo di villeggia-tura per bambini voluto dal Regime Fascista,

sorge a pochi metri dal mare ed è visibile da tutto ilTigullio e dal mare aperto. Realizzata dagli architet-ti Lorenzo Castello e Camillo Nardi Greco, in stile ra-zionalista, con influenze futuriste – come le aeropit-

ture nell’atrio di D. Ghiringhelli – e intenti propagan-distici (dall’alto la struttura richiama infatti il timonedi un aeroplano), è impostata su criteri costruttivi in-novativi, come le camerate distribuite sui 9 piani inmodo che siano esposte alla luce solare per tutto ilgiorno da est e ovest e alla benefica aria marina1. Nel1940 fu ospedale militare e sede dell’esercito tede-

Il casoLa Colonia Fara di Chiavari

Dai documenti della Sezione del Tigullio

d o s s i e r

La Colonia Fara diChiavari. Foto di AnnaMaria Castellano, che

ringraziamo

1 Nel 2008 Italia Nostrapresentò una mostra (acura dell’arch. MassimoBottini) sulle Colonie instile razionalista. Fupresentato anche undisegno progettualeschematico che,riprendendo le scelteprecorritrici presenti nellacolonia, ne delineava lapossibilità diindipendenza energeticaper condizionamento eriscaldamento.

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sco; poi sede delle truppe alleate; dal 1947 al 1955ospitò profughi istriani; negli anni ’90 una scuola (so-lo nelle “ali” basse). Forse oggi Italia Nostra contesterebbe l’innalzamentodi un tale edificio dal forte impatto sul paesaggio.Essa è comunque un’opera di significato storico egrande valore architettonico. La Regione, con deli-bera G.R. Liguria del 16/IV/1980, trasferì “al patrimo-nio indisponibile del Comune di Chiavari” l’immobi-le “per essere impiegato come mezzo di pubblicoservizio gestito dal Comune stesso”. Il Comune peròsembra aver interpretato il concetto di “pubblico ser-vizio” in senso molto lato, ovvero di far cassa ven-dendo o affittando, non prendendo in considerazio-ne le varie proposte di Enti pubblici, Associazioni oprivati per un suo uso veramente pubblico (scola-stico, formativo, museale, servizio alla città, ecc.).Ma veniamo agli ultimi avvenimenti. Nel 1996 vieneposto il vincolo monumentale (interno ed esterno); ilComune ricorre e vince nel 2000 (tra le motivazioni:il vincolo deprezza l’edificio); la Sovrintendenza BAPrinnova il vincolo nel settembre 2007 e in ottobre ilComune mette in vendita l’immobile (prezzo based’asta 12 milioni di euro). La Sezione Tigullio di Ita-lia Nostra, che già nel 1999 aveva organizzato unconvegno sul futuro del bene, prende contatti conla Direzione Generale Beni Culturali che deve auto-rizzare l’alienazione. L’assenso viene comunque da-to nel marzo 2008. Italia Nostra procede allora conun ricorso al TAR Liguria nel giugno 2008 (altri ri-corsi da Legambiente ed elementi locali), che vincenel luglio 2009, ma perde poi davanti al Consiglio diStato. Nel frattempo una cordata “chiacchierata” siera aggiudicata la Colonia per 17milioni di euro, nongiungendo però mai al compromesso e dando il viaa varie vertenze legali col Comune. Con nuova astala Colonia viene allora venduta nell’agosto 2014 per6.750.000 euro. Si prevedono quindi: uso residen-

ziale con 2 appartamenti per piano; ristorante, bare albergo nelle ali a terreno; area pertinenziale aparcheggio sotterraneo e parte a centro wellness.È prevista poi una saletta di 24 mq concessa gra-tuitamente al Comune per 10 giorni all’anno…troppopoco per essere “l’uso pubblico” richiesto dall’attodi donazione al Comune e dallo stesso PRG vigentein caso di alienazione di un bene pubblico del de-manio culturale. La Sezione ha quindi presentato alSindaco di Chiavari, alla Soprintendenza e alla Re-gione Liguria numerose osservazioni, dalla pas-seggiata a mare che si discosta dall’esistente e nonsegue una linea architettonica unica con le opererazionaliste del Lido e della Colonia, a particolari co-struttivi ed elementi estetici peculiari dell’edificio, chevi invitiamo ad approfondire sul sito nazionalewww.italianostra.org. �

d o s s i e r

Particolari della ColoniaFara. Foto di AnnaMaria Castellano

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Quando una comunità raccoglie mille firme in duegiorni e padri e madri di famiglia che si alzanoalle 4 del mattino per andare al lavoro parteci-

pano fino a notte fonda a riunioni autoconvocate, vuoldire che qualcosa sta accadendo. Persino dall’Australia,dove un simile scempio in scala assai più grande nonsi è potuto evitare nonostante l’ampia mobilitazionecontro la distruzione di Elizabeth Quay, hanno guar-dato con ammirazione, lo scorso inverno, alla vittoriadei cittadini di Artena, piccolo comune in provincia diRoma dallo splendido centro storico, che si è solleva-to contro il progetto di un enorme edificio di cementoin stile “moderno”, metà parcheggio metà complessocommerciale, privo di logica urbanistica, desinato a so-stituire una grande piazza nel luogo che raccorda ilborgo antico con la città nuova. Il progetto è stato so-speso dal Commissario prefettizio.Mi impressiona sempre il contrasto fra il buon senso deicittadini e l’irresponsabilità di troppi politicanti, intellet-tuali e architetti. Non occorre essere dei cultori di lan-dscape art o degli avversari delle archistar per capireche un edificio fuori scala e fuori contesto davanti a unborgo storico sarebbe stato un disastro ambientale.I miei studenti della scuola estiva in neuroergonomia eprogettazione urbana, giovani studiosi provenienti dal-le università di 11 Paesi avevano indipendentemente eunanimemente “scoperto” che l’ex piazza Valle Fini èpotenzialmente uno dei luoghi più emozionanti e socialidi Artena. Applicando la metodologia studiata duranteil corso vi hanno sognato piccoli interventi a basso co-sto per realizzarvi un teatro all’aperto, un mercato, unluogo d’incontro… in pratica vi hanno sognato quello

che – come scoprimmo – era già stato, e che il palaz-zone avrebbe cancellato per sempre, schiacciando sot-to tonnellate di cemento anche la possibilità più remo-ta di restituire alla piazza, esaltandola, la sua funzio-ne sociale. In nome di un maledetto centro commer-ciale che non rappresenta nemmeno una statua al pro-fitto, se non di qualche speculatore, ma la sicura rovi-na dei piccoli commercianti che ancora resistono in cit-tà. E la rovina dei piccoli commercianti che resistono incittà è la rovina della città, non solo economica, ma re-lazionale. Una città senza negozi, e con un unico o po-chi centri commerciali è una città più povera e con piùtraffico, meno sicura, con meno persone che passeg-giano, con meno bellezza e meno gioia. Invece di aiu-tare il commercio reale, invece di tentare di svilupparepiccola imprenditoria, artigianato, dignità, immagine,turismo e soprattutto un sistema socio-economico lo-cale, si buttano denari e risorse territoriali, bellezza,qualità della vita dei cittadini, benessere economico dichi sul territorio lavora da anni, per un orrore che nonserve a nessuno se non ai pochi che ne trarrebberoun beneficio economico diretto.Ormai centinaia di studi dimostrano gli effetti negativisull’economia, la società, e persino la salute pubblica,di simili operazioni, ultimi scampoli di un’economia delcemento che sopravvive ancora devastando, incapacedi convertirsi a quello che è probabilmente il vero bu-siness edilizio del futuro in Italia: il recupero, il riuso, lacura del patrimonio. Ma pensate soltanto al potenzia-le delle bellissime case e del bellissimo ambiente deinostri centri storici. Andate a vedere cosa sta acca-dendo di meraviglioso a Favara, in Sicilia (Farm Cultu-ral Park1), o a Gravina in Puglia (Siamotuttitufi2). Un bu-siness che avrebbe ricadute sociali belle, buone. Matale prospettiva viene calpestata da costruttori igno-ranti, da politici dissennati, magari da professionisti che“si prestano” – gente che non capisce neppure più co-sa sta facendo anche ai propri figli. L’Italia sta affron-tando tempi durissimi, e le risorse delle città sono sem-pre più esili. Non è più una questione rimandabile quel-la del conflitto fra l’interesse smodato di pochi sulle scel-te urbanistiche e il bene della città. Ci riguarda davve-ro tutti, ora, e tocca la stessa possibilità di essere libe-ri, in condizioni economiche dignitose, e in città che an-cora offrano spazio a speranza e dignità civica. Grazie dunque ai cittadini di Artena che conservano einsegnano il senso dell’amore e della speranza, e alloro movimento Impegno Civico. La Società Internazio-nale di Biourbanistica e Italia Nostra sono onorati diaver partecipato alla loro battaglia. �

STEFANO SERAFINI Sezione di Roma

di Italia Nostra Direttore ricerche

della International Society of Biourbanism

l a s t o r i a

1 “Farm Cultural Park” èun progetto di recuperodel centro storico diFavara, che ne trasformaun’area in un luogo dovefare cultura, galleried’arte, centri dispecializzazione eresidenze per artisti. Vediwww.farm-culturalpark.com 2 “Siamo tutti tufi” è ungruppo di cittadinanzaattiva costituito da giovaniprofessionisti in diversiambiti (geologia,ingegneria,comunicazione, ecc.), cheattraverso varie attivitàculturali (da convegni aopere d’arte, workshop,performance, ecc.) vuolesensibilizzare lacittadinanza allariqualificazionesostenibile del centrostorico di Gravina diPuglia. Tutti gliaggiornamenti delle loroattività su facebook“Siamo tutti tufi”.

I cittadini fermano l’ecomostrodi Artena

Artena e le immaginidella piazza e delprogetto sventato

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Lo scorso 20 settembre al Boscoincittà di ItaliaNostra si sono celebrati i 40 anni. Fu infatti nel1974 che l’associazione ottenne dal Comune di

Milano (sindaco Aldo Aniasi, assessore al demanioCarlo Tognoli) 35 ettari di… prato per farne un parcopubblico. Il tutto era nato come esito di una duracampagna di Italia Nostra Milano, prima sulla quali-tà dell’aria (allora molto peggiore della pur pessimaattuale) e poi della pochezza del verde di Milano. Nonche ora ce ne sia poi così tanto, ma sicuramente ametà degli anni settanta la situazione era veramen-te misera, tanto da sollecitare Antonio Cederna aprendere Milano come esempio negativo in “Città sen-za verde”. Con spirito positivo, invece di limitarsi a stracciarsile vesti invocando il destino cinico e baro (tentazio-ne sempre presente nell’associazionismo) l’allorapresidente di sezione Pier Giuseppe Torrani orga-

nizzò con vari amici e sodali di Italia Nostra una mar-tellante campagna di stimolo verso l’Amministrazio-ne, che si concludeva con la sfida: “Non siete capa-ci di fare altro verde? Fatecelo fare a noi!” Prima ilsindaco Aniasi, poi Carlo Tognoli, accolsero la sfidae 35 ettari furono dati in convenzione all’associa-zione; ettari che con il tempo diventarono ben 150…È impressionante vedere a confronto la foto dell’area40 anni fa e oggi. Un bosco è nato nel frattempo, conradure, un laghetto, sentieri e orti. Disegnato dal-l’architetto paesaggista Giulio Crespi, diretto per mol-ti anni dall’agronomo Sergio Pellizzoni, animato daLuisa Toeschi (ora presidente della Sezione MilanoNord), amministrato oculatamente dall’architetto Ma-rio Cucchi, il Boscoincittà si è affermato in città co-me il parco più bello, e frequentato da migliaia dipersone. Lo staff del Centro di Forestazione Urbana– oggi guidato da Silvio Anderloni – lo gestisce quo-

Grande Festa al Boscoincittà LUCA CARRAConsigliere nazionale di Italia Nostra

Foto di gruppo durante i festeggiamenti dei 40anni del Boscoincittà.Foto Lorenza Daverio,che ringraziamo

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i s u c c e s s i d i I N22

tidianamente, anche grazie al contributo che il Co-mune di Milano garantisce ogni anno in base a unaconvenzione novennale. Centro di cultura del verdee di educazione ambientale (grazie a Milena Ber-tacchi e i suoi animatori), il Bosco è ormai una pre-senza importante in città, per i bambini, i genitori,gli sportivi, i naturalisti, i pensionati e tutti coloro chealmeno una volta nella vita l’hanno visitato, l’han-no attraversato in bicicletta o ci hanno fatto una fe-

sta sotto i portici della storica cascina San Romano,ora in via di sistemazione in vista di Expo. La festadei quarant’anni del Bosco è stata – come ci si po-teva immaginare – una festa di tutta la città, che havisto presenziare tutti i sindaci da Tognoli in poi (tran-ne Pisapia costretto a Roma, sostituito dall’assesso-re Chiara Bisconti).Non sono ovviamente mancati i fischi e le conte-stazioni rivolti agli esponenti del “potere cittadino”presente e passato da parte dei comitati No canale No Expo. Peraltro anche la sezione di Italia No-stra Milano Nord ha svolto un ruolo importante nel-la battaglia contro la via d’acqua voluta per l’Expo,ritenuta giustamente lesiva dei territori verdi di Mi-lano, dove Italia Nostra ha svolto un’opera impor-tante di sostegno tecnico delle proteste e di ripro-posizione di un progetto meno impattante (vediwww.italianostra.org).Le polemiche non hanno comunque impedito lo svol-gersi della festa, partecipata e intensa, piena di ri-cordi e di buoni propositi per il futuro, perché se tan-to è stato fatto, tanto ancora resta da fare a Milanoper il suo verde, soprattutto ripensato su scala me-tropolitana, come dovrebbe fare una città europea.La festa è stata un modo per ringraziare e far par-lare anche tutti quei volontari (dagli scout agli orti-sti) che in questi 40 anni si sono dati da fare con-cretamente, e non solo a parole, per il Bosco e il ver-de pubblico di Milano. Ed è stato un modo sempliceed estremamente convincente per testimoniare unmodo positivo e costruttivo di essere ambientalisti,perché ormai solo grazie all’esempio e alle “buonopere” si può sperare di far prevalere le idee in cuicrediamo. �

Alcuni dei momentidella festa. ArchivioCFU / Italia Nostraonlus, foto Lorenza

Daverio

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Due considerazioni. Allora tutta la cultura era in-dirizzata alla contestazione del sistema, i giova-ni in particolare erano poco disponibili al fare.

Anche all’interno di Italia Nostra, la sezione di Mila-no, era considerata eretica perché, invece di critica-re si era lasciata coinvolgere nel fare. È vero, chi va al mulino si infarina. Un animo gentile definì, allora, il Boscoincittà, il bo-sco della “BUONA VOLONTÀ”. Voleva essere ironico,ma dopo 40 anni e soprattutto con i risultati si può di-re del bosco bello e buono.Sul bello, sempre opinabile, si può dire che il progettoè figlio di un’idea dell’architetto Ratti, che immaginavale evolutive periferie urbane, specie milanesi, tutte pian-tate indistintamente a bosco dove poi ritagliare delle ra-dure dove mettere servizi e case e quant’altro. Un’idea utopica, ma se in questi 40 anni ogni paroladi verde, ecologia, conservazione, fosse diventata un

albero, si sarebbe superata la soglia del milione dialberi, che il sindaco Aniasi aveva promesso di pian-tare (!) e forse si sarebbe realizzata l’utopia di Ratti. La determinazione e la conoscenza dei meccanismiformali e burocratici fecero dell’Avvocato Torrani ilmotore contro “cento draghi”, impersonati dalle be-ghe, interessati dagli uffici comunali, il disinteressepolitico per un’opera a lungo corso, le dubbie ecolo-giste, un bosco non può crescere vicino alla città, lemodalità di piantagione troppo poco scientifiche: l’ac-cademia in cattedra.C’era abbastanza per non fare niente, invece per par-te mia presi una mappa (i terreni destinati cambia-

rono 2 volte) e una matita, forte della previsione chesolo volontari avrebbero agito e non ditte. Ripensai alle radure di Ratti, in chiave di moltiplica-zione dei fronti verdi, e discutendo con altri compe-tenti nella forestazione, ripartimmo le aree con le va-rie essenze. Data un po’ di esperienza professionale, suggerii difare un vasto lago, che avrebbe caratterizzato l’area.Prima che le piante fossero cresciute (sono state pian-tate alte 30-60 cm) il lago vide il suo essere quasi 10anni dopo! Senza alcun costo. Venivamo dall’esperienza di ristrutturazione della ca-scina di Agrate Conturbia, con relativo Parco Ecologico.La natura mi fu maestra perché da più di 100 annil’agricoltura aveva eroso il bosco facendo una gran-de radura attorno alla cascina. Bell’e fatto il riferimento alla cascina del Bosco, le for-me nascono dalla memoria di altre. Ma il disegno è

diventato opera viva, non dalla carta, ma dall’operadel Gruppo Bosco.Senza l’apporto di capacità organizzative e compe-tenza professionale, la modesta sinopia del proget-to, non sarebbe diventata realtà. Il modello era “N” volte ripetibile, ma ebbe grandefortuna a parole, ma il nucleo operativo era troppoimpegnato per andare lontano e positivamente ap-plicò il suo modello ai territori limitrofi, come il Parcodelle Cave. Molto è stato detto, ma quello che è im-portante è quello che è stato fatto e si sta facendo.Contano le opere meglio se belle e buone... καλὸς

καὶ ἀγαθός. �

Sono passati 40 anni!GIULIO CRESPI Architetto paesaggista

i s u c c e s s i d i I N

Il Boscoincittà,particolare del laghetto ela “cartolina del 40°”.Foto Archivio CFU / ItaliaNostra onlus

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Nella sessione conclusa il 22 giugno scorso aDoha (nel Qatar) il Comitato internazionaleUNESCO ha ufficialmente riconosciuto i “Pae-

saggi vitivinicoli delle Langhe-Roero e del Monferra-to” quali “Patrimonio mondiale dell’umanità”. È il 50°sito in Italia ad ottenere lo straordinario riconosci-mento internazionale. Si tratta di una meta fonda-mentale per questi territori, in conclusione di un lun-go, complesso iter procedurale, iniziato a Canelli (AT)nel 2003 e poi ad Alba (CN) nel 2004. Al centro di tale provvedimento sono le cosiddette“core zone”, cioè quelle circostanziate aree ricono-sciute di importanza eccezionale, che hanno deter-minato la qualificazione. Si tratta di un’estensionecomplessiva di poco oltre 10.780 ettari, meritevole disalvaguardia assoluta, comprendente: la Langa delBarolo, le colline del Barbaresco, il castello di Grin-zane Cavour, Canelli e l’Asti spumante, Nizza Mon-ferrato e la Barbera, il Monferrato degli “infernot”.Sono diverse aree collinari ubicate nelle province

piemontesi di Cuneo, Asti ed Alessandria. Conte-stualmente nel provvedimento è stata definita un’am-pia estensione di raccordo, ossia una “zona tampo-ne o cuscinetto”: la cosiddetta “buffer zone”. Si trat-ta di una vasta entità territoriale, anch’essa da sal-vaguardare con diversa gradualità, comprensiva dioltre cento ambiti comunali, per circa 76.000 ettaricomplessivi. In poco più di dieci anni di proposizioni, studi mira-ti, di progettazioni, dibattiti e tante riunioni a diversilivelli, la complessa pratica per addivenire al rico-noscimento dell’UNESCO è stata promossa da varienti pubblici (Regione Piemonte, Province competenti,molti Comuni), non senza discussioni, qualche orien-tamento divergente, revisioni parziali o circostanziatidissensi locali (soprattutto per timore dei vincoli con-seguenti). Tuttavia il costituito organismo interpro-vinciale è meritevolmente riuscito a portare a com-pimento il prolungato iter. Cosicché nel 2014 vastearee, perlopiù comprensive dei vigneti che produco-

Riconoscimento UNESCO

Paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e del Monferrato

WALTER ACCIGLIAROConsigliere dellaSezione di Alba

La collina del castello di Barolo, una delle

“core zone” delimitate dal riconoscimento

UNESCO. FotoPierangelo Vacchetto,

che ringraziamo

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s e g n a l a z i o n i | 25

no i ben noti vini pregiati delle colline delle Langhee del Monferrato, sono divenute Patrimonio mondia-le dell’umanità. Dal 2006 la Sezione di Alba di Italia Nostra, per quan-to possibile, con generali prese di posizione dialetti-ca o di pronunciamento su specifiche delimitazionipropositive ha seguito il lungo procedere della prati-ca. Per competenza territoriale, la Sezione albese siè limitata a considerazioni ed osservazioni per Lan-ghe e Roero, esprimendo dissenso sull’impostazionesolo vitivinicola, su conseguenti perimetrazioni pro-poste, ma pure sostegno a talune proposizioni loca-li per altre “core zone” purtroppo non accolte. Nono-stante ciò, ha sempre notificato l’appoggio all’idea

basilare per l’istanza volta alla concessione del rico-noscimento internazionale, seppur lamentandol’esclusione delle Alte Langhe e del Roero (quest’ul-tima zona rimasta solo nella dicitura ufficiale). Comunque la Sezione di Alba di Italia Nostra esprimesoddisfacimento per lo straordinario riconoscimentoconcesso dall’UNESCO, interpretandolo anche comeuna tappa fondamentale verso una pianificazione dieffettiva salvaguardia territoriale nelle Langhe, dopole prime proposte a tal fine (un’organica idea per unparco naturale) espresse fin dal 1966 dall’urbani-sta/docente universitario Giampiero Vigliano, poi ar-ticolate e perseguite dai docenti universitari AlfredoSalvo e Bruno Peyronel. L’Associazione Italia Nostrada allora è sempre stata partecipe in tale progetto,contrastato da più parti e mai attuato, seppur nel cor-so degli anni abbia potuto ottenere: circostanziati de-creti di vincolo ai sensi della Legge n. 431 del 1985(“Galasso”) per una vasta zona con la denominazio-ne “territorio delle Rocche dei Roeri Cuneesi“ e perun’area più localizzata sulla collina del castello diGorzegno, nel 1994 il riconoscimento d’interesse re-gionale (S.I.R.) per un’estesa superficie collinare “Bric-

co dei Pini” tra i territori comunali di Montelupo Al-bese e Sinio (a suo tempo segnalata pure dal W.W.F.).Ancora, la Sezione di Alba di Italia Nostra ha soste-nuto l’istituzione dell’“Oasi fluviale dei Canapali” aMagliano Alfieri (attuata su proposizione della L.I.P.U).Più recentemente, nel 2011 la stessa Sezione di Ita-lia Nostra ha appoggiato la proposta dell’associazio-ne “Canale Ecologia”, con l’avvio dell’iter per perve-nire al riconoscimento della Regione Piemonte, qua-le parco naturale, dell’ampia area denominata “Roc-che dell’oasi di San Nicolao” nei territori di Canale,Montà e Cisterna d’Asti. Ora è auspicabile che anche le zone circostanti aquelle effettivamente riconosciute dall’UNESCO ven-gano salvaguardate e valorizzate correttamente, evi-tando che perseguano ancora verso modelli di svi-luppo non consoni al paesaggio peculiare ed all’am-biente. Gli amministratori locali, gli imprenditori, le col-lettività operino ad indirizzare davvero la pianifica-zione territoriale e la gestione del suolo verso solu-zioni di attento recupero, di consona promozione, disviluppo compatibile, senza snaturanti operazioni per

un turismo di massa o per la commercializzazione dif-fusa a qualsiasi costo, senza altre alterazioni allamorfologia dei luoghi o costruzioni deturpanti. Nelle“core zone” e nelle “buffer zone”, definite nelle Lan-ghe e nel Monferrato dal riconoscimento mondiale, èauspicabile che vengano applicate le relative rego-lamentazioni. Davvero si comprenda quanto la stra-ordinaria qualificazione del paesaggio, dell’ambien-te collinare e dei suoi beni culturali siano un “patri-monio” imprescindibile anche per la crescita socio-economica. Ora sono un valore assoluto di civiltà an-cor più da proporre consapevolmente all’attenzioneinternazionale. �

Vigneto sulla collina del castello di Barolo.Foto P. Vacchetto

A giugno del 2014 i “Paesaggi vitivinicolidelle Langhe-Roero e del Monferrato”

sono stati ufficialmente riconosciuti quali“Patrimonio mondiale dell’umanità” dal

Comitato internazionale UNESCO. È il 50° sito in Italia ad ottenere lo straordinario riconoscimento

internazionale. Si tratta di una metafondamentale per questi territori,

in conclusione di un lungo, complesso iterprocedurale, iniziato a Canelli (AT) nel 2003

e poi ad Alba (CN) nel 2004

Dal 2006 la Sezione di Alba di Italia Nostra, per quantopossibile, con generali prese di posizione dialettica o dipronunciamento su specifiche delimitazioni propositive ha seguito il lungo procedere della pratica

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Nel 2009 il Comitato per il Patrimonio Mondialedell'UNESCO ha accolto le Dolomiti nell'elencodei siti patrimonio dell’umanità, conferendo ad

esse il massimo riconoscimento per un sito naturale. LeDolomiti sono state classificate come luogo unico al mon-do per la bellezza del loro paesaggio e per la loro im-portanza sotto il profilo geomorfologico e geologico. L’in-serimento nell’elenco del Patrimonio Mondiale rappre-senta un riconoscimento straordinario, assolutamenteunico, una specie di Premio Nobel per i beni naturali.La conservazione di questo insostituibile patrimonio èperciò un obiettivo e un dovere, non solo per gli Statiinteressati, ma per l’intera comunità dei popoli. La sezione di Bolzano di Italia Nostra è ufficialmenteSocio Sostenitore della Fondazione Dolomiti-Dolomiten-Dolomites-Dolomitis UNESCO. Il Consiglio di Ammini-strazione della Fondazione durante l’ultima seduta ha,infatti, deliberato l’adesione alla Fondazione della no-stra storica associazione per la tutela dei beni cultu-rali, artistici e naturali. Per ottenere l’attribuzione del-la qualifica di Sostenitore della Fondazione DolomitiUNESCO e l’adesione al relativo Collegio è necessariocorrispondere ai requisiti previsti dallo specifico rego-lamento, tra cui il rispetto dei parametri di territoriali-tà e condividere gli scopi della Fondazione. Il Collegiodei Sostenitori, convocato almeno una volta l’anno alfine di promuovere forme di approfondimento e con-

fronto su temi correlati al bene UNESCO, fornisce pa-reri e proposte sulle attività e sui programmi della Fon-dazione e può proporre l’ammontare dei contributi daversare al fondo di gestione, al fine di poter assume-re la qualifica di Sostenitore. Tale riconoscimento, oltre a confermare concretamentel'impegno e la professionalità che la nostra Sezione stadedicando ai beni culturali, rappresenta in primis unimportante successo per Italia Nostra e per i principiper cui da sempre tutti i soci di questa grande e stori-ca associazione si battono. �

Dolomiti Patrimonio Mondiale UNESCO

Dall’alto, Sas da Putia e Parlamento

delle Marmotte. Immagini ricevute

da Stefano Novello, che ringraziamo

STEFANO NOVELLOPresidente della Sezione

di Bolzano

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Un fronte agguerrito di speculatori edilizi, in-dustriali del marmo delle Apuane e produtto-ri enologici, singoli e associati – purtroppo con

il sostegno convinto o interessato di molti ammini-stratori locali – da vari giorni sta manifestando, a mez-zo stampa, la sua insofferenza e la sua contrarietàper qualsiasi nuova regola di governo del territorioche sia finalmente e responsabilmente dettata da cri-teri razionali di compatibilità con gli equilibri dell’am-biente e del paesaggio, del resto in totale coerenzacon le normative europee, italiane e toscane.Tale martellante e preoccupante levata di scudi con-tro il primo Piano di Indirizzo Territoriale della Re-gione Toscana con valenza di piano paesaggistico,approvato dal Ministero per i Beni e le Attività Cul-

turali e adottato dal Consiglio Regionale (ora nellafase della raccolta delle osservazioni), sta assu-mendo le dimensioni di una vera e propria crocia-ta, che contrasta radicalmente con le richieste deicittadini e delle associazioni che hanno a cuore latutela e la valorizzazione sostenibile dei beni co-muni a base paesistico-ambientale (secondo il det-tato dell’art. 9 della Costituzione e di tante leggi vi-genti, a partire dalla Convenzione Europea del Pae-saggio).Siamo di fronte ad una prepotente pretesa da par-te di precise forze economiche di eliminare qualsia-si prescrizione o meglio indirizzo o suggerimentopresente nel PIT per avere mani completamente li-bere di trasformare il territorio rurale – vincolato o

Le mani sul paesaggio

Nota sul Piano di indirizzoTerritoriale della Toscana

LEONARDO ROMBAIPresidente della Sezione di Firenze di Italia NostraProfessore Ordinario di Geografia nell’Università di Firenze

Il paesaggio del Chianti.Immagine ricevuta daFrancesca MarzottoCaotorta

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non vincolato che sia – da parte di palazzinari, sca-vatori e viticoltori: una pretesa del tutto inaccettabi-le per i cittadini e le associazioni sensibili per le sor-ti del nostro patrimonio. E ciò, anche per le conse-guenze inevitabilmente negative che l’accoglimen-to da parte dell’amministrazione regionale di taleanacronistico indirizzo avrebbe sul suolo e sul ter-ritorio in termini di ulteriore consumo e di ulterioreaggravamento degli equilibri idro-geologici: proces-si che, in Toscana e in Italia, hanno indiscutibilmenteda tempo superato – rispetto agli altri Paesi euro-pei – il livello di guardia, come dimostrano i dati sul-la superficie urbanizzata, in forte crescita negli ul-timi decenni, e gli eventi calamitosi di inondazioni efrane che si succedono con sempre maggiore fre-quenza e rovinosità.

Quanto alla sostanza del problema per i nuovi vignetio i reimpianti viticoli, è arrivato il momento di farechiarezza. Le affermazioni allarmate espresse da alcuni agri-coltori singoli o associati circa la presenza, nel pia-no, di norme cogenti di significato negativo, sono deltutto infondate e quindi false, come può verificarechiunque sul sito della Regione Toscana dove sonovisibili tutti i documenti del Piano. In nessuna parte del PIT si prescrive il divieto asso-luto di creare nuovi vigneti. Basti qui ricordare l’art.12 comma 2c della specifica “Disciplina per l’inva-riante strutturale. I caratteri morfo-tipologicio dei pae-saggi rurali”, che si limita a prevedere:

“…la realizzazione, negli interventi di riorganiz-zazione agricola, di una maglia dei coltivi anchepiù ampia di quella tradizionale e compatibile conla meccanizzazione agricola, purché ben strut-turata sul piano morfologico e percettivo, ed ef-ficacemente equipaggiata dal punto di vista eco-logico e del contenimento dei fenomeni erosivi…”.

La lettura degli “Indirizzi per le politiche”, ovvero laparte in qualche modo vincolante per i 20 ambiti incui è stata suddivisa la Toscana, dimostra che in nes-suna area della regione – neppure in quelle della vi-ticoltura di grande pregio, come il Chianti (ambito 10)e le aree di Montalcino (ambito 17 Val d’Orcia e Vald’Asso) e di Montepulciano (ambito 15 Piana di Arez-zo e Val di Chiana) – viene affermata l’assoluta im-possibilità di realizzare impianti viticoli o di altre mo-nocolture. Invece, partendo dalla evidenziazione di oggettive cri-ticità di ordine geo-morfologico e idraulico (processidi erosione e dilavamento dei versanti in atto, o co-munque prevedibili, per la dominanza delle lavora-zioni a rittochino, cioè praticate secondo le massimependenze), oltre che di ordine paesaggistico (sempli-ficazione eccessiva della maglia agraria e impoveri-mento dei contenuti paesaggistici tradizionali), ci si li-

mita ad esprimere termini come “indirizzi” e “incen-tivi”. E ciò, a favore della varietà e dell’alternanza del-le coltivazioni, vigneti compresi, meglio se di dimen-sioni più piccole rispetto a quelli di tipo californianofin qui realizzati, con cura maggiormente attenta del-la vegetazione arborea e arbustiva di corredo e del-le sistemazioni idraulico-agrarie, per diffondere quel-le più efficaci (augurabilmente quelle ad orientamentoorizzontale od obliquo). Il fine è quello di limitare “i fe-nomeni erosivi”: possibilmente “mediante l’interru-zione delle pendenze più lunghe e la predisposizio-ne di sistemazioni di versante”, come si legge per Mon-talcino e per altre aree.A conclusione, viene da chiedersi se i viticoltori tosca-ni conoscano i paesaggi viticoli della concorrenza ita-liana ed europea, con risposta obbligata negativa.Gli indirizzi sopra enunciati del PIT – indirizzi, quin-di assolutamente non divieti e non prescrizioni vin-colanti! – sono del tutto condivisibili. Essi trovanoconferma non solo nella tradizione dell’agricolturatoscana sette-otto-novecentesca – specialmente in-centrata sugli agronomi imprenditori dell’Accademiadei Georgofili (a partire dai ben noti Agostino Testa-ferrata, Cosimo Ridolfi e Bettino Ricasoli) –, ma an-che nell’esperienza tecnico-scientifica attuale di mol-te aree viticole di qualità dell’Italia settentrionale(Langhe e Monferrato, vallate alpine a partire dallaVal di Cembra, Friuli Venezia Giulia come ad esem-pio l’area di Cormons, ecc.) e dell’Europa centro-oc-cidentale (ad esempio la regione renana svizzera-tedesca-francese e quella danubiana della BassaAustria e dell’Ungheria).Tutte queste aree ancora oggi presentano vigneti si-stemati con una varietà di orientamenti e con siste-mazioni efficaci in termini di difesa del suolo: non piùsolo i terrazzamenti stretti e ripidi della viticoltura eroi-ca, ma anche quelli più larghi, appositamente raccor-dati tra di loro e di dimensioni tali da consentire il la-voro meccanizzato. Tali aree, per l’armonia, l’equili-brio ed anche la varietà delle forme del loro bel pae-saggio, si sono affermate specificamente anche comedestinazioni turistiche di un crescente movimento na-zionale e internazionale verde, proprio in virtù dellastretta integrazione fra qualità dei prodotti e qualitàdel paesaggio, ciò che produce lavoro e benessere nelterritorio, a partire dalle imprese agricole. Al riguardo, basti ricordare le aree viticole di Lavauxin Svizzera e del Medio Reno tra Koblenz e Bingen inGermania, che da una decina d’anni sono state rico-nosciute come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

Ebbene, sarebbe troppo fare capire che le indicazio-ni del PIT guardano proprio a tali esperienze e do-vrebbero essere accolte come indirizzi progressivi nel-la direzione dello sviluppo sostenibile delle aree ru-rali e dell’agricoltura della Regione, da attuare conlungimirante convincimento e senso di riconoscenzaanche e in primo luogo dagli agricoltori toscani? �

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Dalla rada di Portoferraio la Sezione Arcipela-go Toscano (ex Sezione Elba Giglio) di Italia No-stra lancia un interessante studio sull’impor-

tanza degli scavi archeologici sull’Isola d’Elba, scaviin corso da tre anni con la collaborazione della no-stra Associazione e giovani archeologi provenienti datutta Italia e dall’estero, condotti dal Gruppo Aithale.

“Lanciamo allora – afferma Cecilia Pacini, presidentedella Sezione Arcipelago Toscano – due suggestiveproposte che ci auguriamo verranno incoraggiate eraccolte. Potremo mai sperare di avere un bigliettounico per la visita dell’Elba archeologica? Ci sentia-mo anche di immaginare, nell’ambito di una piena tu-tela e valorizzazione della rada di Portoferraio, daPunta della Rena fino a Magazzini, un ideale colle-gamento tra Villa Romana della Linguella/Museo Ar-cheologico-Villa Romana delle Grotte/Fattoria di SanGiovanni, grazie all’intrepido comandante del ‘Gab-biano II’ o di altre navette di trasporto simili, come il

mai dimenticato ‘Chicchero’, entrambi mezzi pubblicimarini per eccellenza per noi abitanti di un’isola”.

Tra i motivi che hanno spinto Italia Nostra Arcipela-go Toscano ad affiancare Aithale in questo progettoè l’immediata empatia per lo spirito che anima il me-todo di ricerca. Il 19 agosto scorso l’Elba ha parteci-pato alle celebrazioni nazionali del Bimillenario Au-gusteo, a cui Italia Nostra ha contribuito anche gra-zie ai ritrovamenti di questi scavi che hanno fornitola prova della proprietà della Villa delle Grotte. Il Grup-po Aithale ha condotto scavi non solo utili per la co-noscenza del maggiore sito archeologico elbano, laVilla delle Grotte, ma strumentali per la nascita di unagradita consuetudine, cioè l’arrivo sull’isola, anno do-po anno, di persone altamente qualificate dalle mag-giori università toscane, dal CNR e con la Soprinten-denza per i Beni Archeologici della Toscana.

Per saperne di più www.giglioelbaitalianostra.it

Uno studio sugli scaviarcheologici dell’Isola d’Elba

L’oggetto del libro fresco di stampa realizzato dal-la nostra Sezione Lomellina è il patrimonio d’ar-te conservato nel più prezioso monumento della

città di Mortara: la Basilica Collegiata di San Lorenzosede anche del Museo della Collegiata di San Lorenzoe San Dionigi. Il volume, numero 20 della collana “Ar-chivio Lomellino”, attraverso 144 pagine interamente acolori presenta tutti i dipinti, gli affreschi, le sculture equant’altro di artistico è custodito nella Basilica: un nu-mero di opere veramente cospicuo, che fa della par-rocchiale mortarese un vero museo d’arte sacra. Ogni opera d’arte è illustrata da una scheda storico-artistica redatta a più mani e da un’accurata docu-mentazione fotografica, ricca anche di particolari. Incalce al volume è riportata la traduzione in inglesedi tutte le schede. Lo scopo del libro, l’ha dichiarato il Presidente dellaSezione Giovanni Francesco Patrucchi nella prefa-

zione, è quello divulgativo, di conoscenza e di pro-mozione del patrimonio artistico della città di Morta-ra. I destinatari non sono perciò solo i forestieri cheverranno a visitare Mortara, ma anche i cittadini af-finché prendano consapevolezza dell’importante pa-trimonio d’arte che la città conserva.

Italia Nostra vi consiglia

Tesori d’arte della Basilica di San Lorenzo in Mortara

Realizzazione Editoriale: ItaliaNostra – Sezione LomellinaProgetto Grafico: L. PagettiTesti: G. Carena, M. Forni, P. Morone, G. F. Patrucchi, C. Protti, F. Protti

Fotografie: Archivio Italia NostraSezione Lomellina, L. PagettiDimensioni: 144 pagine

Il volume è reperibile presso:Libreria “Le mille e una pagina”C.so Garibaldi - Mortara

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Il Congresso di Europa Nostra, come gli incontri della Giunta e del Consiglio, si è svolto quest’anno in unaVienna cangiante, dopo il capillare ripristino del colore bianco originario degli edifici. La Cerimonia annuale di conferimento dei Premi Europa Nostra/Unione Europea Awards 2014 è avvenutanella cornice splendida del Burgtheater, il settecentesco teatro nazionale della città. Nel 2014 l’Italia ha risposto al Bando europeo con 28 candidature – il numero più alto in Europa – su un to-tale di 140 partecipanti per le 4 categorie di premi. Ciò è avvenuto grazie anche all’interessamento del Mi-BACT, che ha diffuso capillarmente a tutte le Sovrintendenze sul territorio l’invito a partecipare al concorso. I Candidati italiani, hanno ottenuto importanti riconoscimenti: – il Grand Prix – Categoria 1, per il restauro delle antiche case Walser ad Alagna – Valsesia; – i Premi – Categoria 1, per i restauri della Basilica Palladiana a Vicenza e del Teatro Sociale a Bergamo;– il Grand Prix – Categoria 3 – Servizio Dedicato, all’Associazione Jubilantes di Como. A Vienna sono stati anche scelti fra le candidature presentate, i “7 Most Endangered 2014/ i 7 Siti più a ri-schio in Europa”, tra i quali la Cittadella fortificata di Alessandria per la quale è già attiva la Commissioneformata da quattro esperti di Europa Nostra e dell’Istituto-Banca Europea Investimenti (si ricorda che nel2013 fu nominato il Monastero di San Benedetto Po di Mantova, danneggiato dal terremoto del 2012).Europa Nostra sta inoltre collaborando ai Programmi europei dedicati alla Cultura: “New Narrative For EU-ROPE” ed “Europa Creativa” ed è attivamente impegnata, durante il secondo semestre 2014 di Presidenzaitaliana dell’Unione Europea agli Eventi collegati che si sono svolti a Venezia, Vicenza, Torino, Milano. In questo ambito è stato organizzato il 23 Ottobre a Palazzo Poli di Roma, con la collaborazione di Italia No-stra e il Patrocinio del MiBACT, il Dibattito internazionale: “Il Patrimonio Culturale come Risorsa Strategica peruna Europa Sostenibile”, con la partecipazione di autorevoli voci della Cultura in Europa. Ampio resocontoverrà pubblicato sul prossimo numero del Bollettino.

Rossana Bettinelli – membro della Giunta di Europa Nostra

Notizie da Europa Nostra

Siamo lieti di pubblicare il calendario delle attività pro-grammate per il 2015 dalla Sezione Reggio Emilia diItalia Nostra (per ragioni di spazio riportiamo solo ledate e i titoli in breve). Se desiderate inviarci il ca-lendario con le future iniziative della vostra Sezionescriveteci a [email protected]

I lunedì di Italia Nostra – XXII Corso di Storia dell’Ar-te: “Le grandi Capitali dell’arte in Europa”16 febbraio 2015 PARIGI: dalle fortune del gotico allagrandeur dei regnanti23 febbraio 2015 MADRID: dal rigore degli Asburgo al-la fastosità dei Borbone2 marzo 2015 VIENNA: dalla glorificazione dell’Impe-ro alla rivoluzione accademica9 marzo 2015 LONDRA: tradizione e reinterpretazio-ne del “pittoresco”16 marzo 2015 BERLINO: antico e nuovo nella ricom-posizione unitaria di diversi nuclei urbaniIl corso, che sarà tenuto dal Prof. Umberto Nobili, è sta-

to autorizzato dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Reg-gio Emilia nell’ambito delle iniziative di aggiornamentoper l’anno scolastico 2014/2015. Iscrizioni entro il 31 gen-naio 2015. Direttore del corso: Luisa Casoli Masini.Itinerari 2015da martedì 30 dicembre a venerdì 2 gennaio CAPO-DANNO IN CALABRIAda venerdì 6 a domenica 8 febbraio ROMAmarzo (data da definire) FIRENZE I tesori nascosti de-gli Uffizi: i depositida venerdì 24 a mercoledì 29 aprile PUGLIAsabato 9 maggio MONZA: Villa Reale – La Versaillesdella Brianzasabato 23 maggio Pranzo a base di pesce e culturacon la guida del Prof. Umberto Nobililuglio (data da definire) MOSCAottobre (data definire) ARLES E DINTORNI

NB. Il programma potrebbe subire variazioni, per tut-te le informazioni www.italianostra.org

Programma delle attività della Sezione Reggio Emilia per il 2015

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EBE GIACOMETTIConsigliere Nazionale di Italia Nostra

23 ottobre 2014, il Governo ha messo la fiducia sul de-creto Sblocca Italia. Il ministro Boschi non ha datospiegazioni. Non è stato fatto neanche il tentativo didare la parvenza di democraticità iniziando la valu-tazione di almeno una parte degli emendamenti rac-colti in Commissione Ambiente alla Camera. Le criticità contenute nel testo sono tante e tali da po-ter affermare che, se passa questo decreto, il Pae-saggio italiano cambierà sicuramente volto: le so-printendenze anche se volessero non saranno piùmesse in condizione di operare per garantire la tu-tela del territorio. Di fatto, i Governatori disporrannodei poteri straordinari dei Commissari (si parla di at-tivare circa 3500 interventi solo per il rischio idro-geologico, ma non sono state precisate le procedurequalitative di progettazione, pianificazione urbanisti-ca, selezione di chi opererà nei cantieri). Ma non ba-sta: si finanziano infrastrutture autostradali come laOrte-Mestre, si semplificano le procedure per attiva-re trivellazioni petrolifere nello stretto di Messina, lun-go l’Adriatico, nelle aree protette della Calabria, del-la Basilicata, della Puglia. In poche parole, il Gover-no ha programmato investimenti significativi in setto-ri che, se difficilmente faranno ripartire l’economiaitaliana poiché non rispondono alle attuali necessitàenergetiche, sociali e imprenditoriali del Paese, facil-mente avranno un impatto significativo sull’Ambien-te inteso nella sua accezione più ampia. 29 settembre, l’invito della Commissione Ambiente adaudire Italia Nostra su queste criticità ha di fatto coin-volto molti componenti del Consiglio Nazionale nel-l’elaborazione di un documento poi depositato. Nelcorso dell’incontro è emerso che le nostre preoccu-pazioni erano condivise dalle associazioni (Legam-biente, Salviamo il Paesaggio, WWF) e da alcuni deideputati presenti (l’on. Pellegrini di SEL, il vice presi-dente della Commissione On. De Rosa Movimento5Stelle). La consapevolezza da parte di tutti che dif-ficilmente si sarebbe arrivati alla fase dibattimentaledegli emendamenti ha portato a decidere di organiz-zare un momento di informazione e confronto tra gliambientalisti e i parlamentari delle due Camere. 14 ottobre, all’hotel Nazionale a piazza Montecitorio,Italia Nostra, CTS, ENPA, FAI, Greenpeace, Legam-biente, LIPU, Mountain Wilderness, ProNatura, Sal-viamo il Paesaggio, Touring Club Italiano e WWF han-no esposto alla presenza di alcuni deputati e senato-ri (ricordiamo Puppato, Tocci, Civati, Pellegrino, Cer-vellini, Spessotto, Terzoni, Malisani, Carrozza, De Pe-tris, Zaratti) le preoccupazioni rispetto a scelte che aparere di tutti rischiano di causare “un condono per-petuo e portare il nostro Paese, ancora una volta, nel-la spirale del consumo sfrenato del territorio, delle ri-

sorse naturali, della biodiversità contraddicendo an-che le norme comunitarie che richiedono, invece, lacentralità dello sviluppo sostenibile” (comunicato stam-pa Italia Nostra, 14 ottobre 2014). Il coinvolgimento ela generosa partecipazione all’iniziativa del Prof. Pao-lo Maddalena ha offerto molti spunti di riflessione suitemi trattati e un’attenta valutazione della costituzio-nalità del testo del decreto. Nonostante il nostro invi-to, il Presidente della Commissione Ambiente della Ca-mera Ermete Realacci non ha partecipato ai lavori. Il 18 ottobre viene inviata a Matteo Renzi una richie-sta d’incontro avanzata dalle medesime associazio-ni. La lettera chiede al Primo Ministro di aprire unconfronto per rivedere le priorità nell’assegnazionedelle risorse economiche dello Sblocca Italia e met-tere il tema del rischio idrogeologico al centro del-l’emergenza Paese. Non segue riscontro. Il 22 otto-bre nella riunione organizzata presso il Consiglio deiMinistri per presentare il lavoro della CommissioneItalia Sicura, parlando delle nuove norme che il Go-verno intende varare attraverso lo Sblocca Italia peri cantieri anti-dissesto (compresa la strategia e le ri-sorse per avviare la prevenzione), l’Associazione fanotare che difficilmente sarebbe attuabile una realeed efficace azione di prevenzione, quando lo stessodecreto ripropone misure dimostratesi fallimentari (inLiguria, il Governatore Burlando era già di fatto com-missario delle attività per la prevenzione per il rischioidro-geologico) e prospetta iniziative che rischiano dialterare significatamente gli habitat dove vanno adimpattare. 23 ottobre, il Governo ha messo la fiducia sul decre-to. 30 ottobre, i deputati devono confermare il loro vo-to del 23 ottobre. 1 novembre, possiamo cominciaread immaginare come cambierà l’Italia. �

Sblocca Italia

AVVISOSe avete temi da proporre fateci avere le vostre in-

dicazioni e volentieri cercheremo di trovare il mo-

do di procedere alla pubblicazione, con le dovute

necessità di tempi e spazi editoriali.

Vi ricordiamo che potete inviare anche tutte le se-

gnalazioni di eventi, comunicati, manifestazioni,

ecc. svolti dalla vostra sezione per il sito naziona-

le www.italianostra.org, che ospita una pagina de-

dicata per ogni Sezione e Consiglio Regionale.

Scriveteci a [email protected] op-

pure telefonateci allo 06 85372738

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