ARCHEOLOGIA POSTMEDIEVALE Ridella - In... · 2013. 12. 8. · 143 Archeologia Postmedievale 15,...

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All’Insegna del Giglio ARCHEOLOGIA POSTMEDIEVALE 15 2011 SOCIETÀ AMBIENTE PRODUZIONE

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  • All’Insegna del Giglio

    ARCHEOLOGIAPOSTMEDIEVALE

    152011

    S O C I E T À A M B I E N T E P R O D U Z I O N E

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    Archeologia Postmedievale15, 2011, pp. 143-155

    1. La scoperta

    Il ritrovamento di una fornace, subito riconosciu-ta come pertinente ad una fonderia da cannoni, avvenne in maniera fortuita quasi trent’anni fa ad opera dell’allora sottotenente dei Paracadutisti Vittorio Biondi, impegnato nel reperire all’interno della caserma Lorenzini un locale da adibire a de-posito di attrezzature (fig. 1). Con il trasferimento dell’ufficiale ad altra sede e la successiva smilitariz-zazione della suddetta caserma, la scoperta cadde nel dimenticatoio e venne rivalutata soltanto in anni molto più recenti, cioè nel 2009, quando l’ora tenente colonnello Biondi ne fece menzione al geometra Bruno Giannoni, presidente dell’As-sociazione Historica Lucense.Questi, sulla base delle indicazioni ricevute, portò a termine una prima ricognizione nella quale ebbe modo di apprezzare l’importanza del manufatto e iniziò una seria attività di documentazione fotogra-fica e di rilevamento del medesimo; proprio grazie al confronto tra i suoi rilievi e la documentazione cartografica d’epoca, questi è stato in grado di con-fermare, senza possibilità di dubbio, l’attribuzione del forno fusorio alla fonderia della Repubblica di Lucca (fig. 2). Uno dei citati documenti, la plani-metria della zona eseguita dall’architetto militare Alessandro Resta nel 1574, ha permesso poi di stabilire un termine ante quem per la costruzione di questa struttura1.Dopo aver ottenuto la certezza della sua identifi-cazione, Giannoni ha provveduto a segnalare que-sta importante sopravvivenza, sia all’ente pubblico attualmente proprietario dell’edificio che la ospita, cioè il Comune di Lucca, sia all’organo di tutela rappresentato dalla Soprintendenza per i beni Ar-chitettonici e Paesaggistici per le Province di Lucca e di Massa Carrara; quest’ultimo ufficio, sollecitato dalla locale sezione di Italia Nostra, ha dato quindi conferma formale sul fatto che tutta l’area della ex

    Caserma Lorenzini si trovava sottoposta a vincolo di tutela già dal 2002.L’autore di queste note, avendo saputo dell’esisten-za della fornace nei mesi scorsi, dopo essere arrivato per caso a consultare il sito internet dell’Associa-zione Historica Lucense, si è subito reso conto del grande interesse rappresentato dal ritrovamento e della sua unicità, almeno in ambito europeo, e si è messo tempestivamente in contatto con lo sco-pritore il quale gli è stato prodigo di informazioni e di documentazione2.

    2. Localizzazione e descrizione del manufatto3

    L’ambiente che ospita la nostra fornace si trova al primo piano di un edificio posizionato tra il cortile posteriore della ex Caserma Lorenzini e l’incontro tra corso Garibaldi, via del Pallone e la rampa al Baluardo di San Paolino; cioè nel settore sud ovest del centro storico murato di Lucca. Il complesso, che costituiva l’estremità occidentale del lato sud di detta caserma, ha subito varie ristrutturazioni nel corso dei secoli, compresa l’apertura di un passante di accesso con funzione di porta carraia (fig. 3); questo intervento non dovrebbe tuttavia aver com-promesso l’area di getto della fonderia che nel suo livello inferiore, quello al piano strada poi utilizzato come corpo di guardia, risulta ancora inesplorata per motivi di accessibilità e di sicurezza. A fronte

    1 GIANNONI 2012, pp. 74-82.

    2 Questo contatto collaborativo ha poi permesso un incontro e un sopralluogo nel sito, alla presenza dell’Assessore alla Cultura del Comune di Lucca, Prof. Patrizia Favati, incontro che ha confermato le impressioni sopra esposte e l’interesse dell’ente locale a promuovere la valorizzare del reperto, dopo le necessarie e preliminari operazioni di messa in sicurezza statica e di docu-mentazione scientifica dello stesso, sotto il controllo e seguendo le prescrizioni delle competenti soprintendenze.

    3 La relazione descrittiva che segue è basata su un veloce sopral-luogo condotto dall’autore, assieme a Bruno Giannoni; la situazio-ne di sporcizia delle superfici e i problemi di sicurezza statica dei solai non hanno permesso di approfondire più di tanto l’indagine, che ovviamente avrebbe richiesto ben altri tempi, attrezzature e modalità per una completa analisi della stratigrafia muraria.

    La cinquecentesca fonderia da cannoni a Lucca e la sua sopravvissuta fornace a riverbero (notizia preliminare)

    Renato Gianni Ridella

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    4 Citiamo come esempio il complesso dei sei forni fusori delle fonderie impiantate intorno al 1540 all’interno dell’Arsenale di Venezia (Cfr. MORIN 1974, pp. 62-64).

    5 Il colonnello Biondi mi ha confidato di aver ordinato proprio a questo scopo la demolizione della scala esterna, assolutamente

    fig. 1 – Posizionamento della fornace sulla foto aerea di Lucca (foto: da Google Earth).

    di questa situazione, appare chiaro che la fornace di fusione venne costruita in posizione soprelevata rispetto al pianterreno dell’opificio, dove dovevano svolgersi tutte le operazioni di sagomatura dei mo-delli in argilla e delle forme di getto; vedremo più avanti i motivi che possono aver fatto adottare questa soluzione, assolutamente inusuale per le fonderie da cannoni in bronzo dell’epoca, dove i forni si trova-vano allo stesso livello dell’area di lavorazione e di rifinitura dei pezzi d’artiglieria in produzione4.L’accesso al vano che ospita la nostra fornace, avviene attualmente attraverso una porta soprae-levata priva di infissi, raggiungibile unicamente con una scala a pioli impiantata per l’occasione; la demolizione della rampa esterna a gradini con la quale vi si saliva, attuata negli anni Ottanta del secolo scorso5, si è rivelata altresì provvidenziale per la conservazione del manufatto che, essendo

    rimasto praticamente irraggiungibile in questi ultimi trent’anni, non ha potuto essere sottoposto a improvvide manomissioni e demolizioni.In particolare la struttura del forno fusorio si trova appoggiata e forse parzialmente incassata nell’angolo nord ovest del vano sopra citato, all’interno di una porzione sopraelevata dello stesso, l’alzato della quale guarda sul sottostante tetto a spioventi attraverso tre aperture di ventilazione a mandolata. L’interno di questo comparto mostra le superfici in laterizio a vista parzialmente annerite dai fumi, e risulta col-legato al resto dell’ambiente da un ampio passaggio voltato, praticato nella corrispondente tramezza in una delle fasi di ristrutturazione dell’edificio.La fornace (fig. 4) ci appare come un blocco paral-lelepipedo, costituto da corsi di laterizi disposti di piatto per lungo, le cui misure rilevabili in pianta risultano 360 cm (lati nord-sud) per 320 cm (lati est-ovest), con un alzato di circa due metri; alzato che prosegue nel lato sud con una spessa muratura

    priva di interesse storico architettonico, essendo stata probabilmen-te costruita agli inizi dell’Ottocento in occasione dell’allestimento della prima caserma, allora denominata “San Romano”.

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    fig. 3 – Vedute della porta carraia della ex caserma Lorenzini, vista da sud (a sinistra) e da nord con posizionamento della fornace (foto: Bruno Giannoni).

    fig. 2 – Confronto tra la planimetria del Resta (1574) e il rilevo speditivo eseguito da Bruno Giannoni nel 2009 (da GIANNONI 2012).

    elevata in verticale fino a sostenere la trave di col-mo del tetto soprastante. Sulla faccia est si apre un’ampia imboccatura rettangolare, svasata verso l’esterno a guisa di feritoia e con un’ampiezza mas-sima orizzontale di circa 120 cm; mentre nel lato contiguo (sud) si osserva un’apertura molto più piccola (circa 20 cm di lato), posta ad un livello inferiore rispetto alla prima, che presenta tracce

    di manomissione con scalpellatura di alcuni conci laterizi e probabile inserzione di una riquadratura. Risulta poi evidente all’osservazione che la strut-tura è stata rinforzata in corso d’opera con tiranti in barra di ferro inchiavardati all’esterno; una di queste barre attraversa orizzontalmente in basso l’apertura minore, essendo stata probabilmente portata in luce dall’intervento di cui si è appena

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    fig. 4 – Il forno a riverbero della fonderia da cannoni di Lucca: a. veduta da sud, con in basso a sinistra l’apertura per il getto; b. veduta da est con la bocca di caricamento del bronzo (foto: Bruno Giannoni).

    accennato. Attraverso la bocca più grande, si può intravedere l’ampio vano a cupola del forno con pianta ellissoidale, i cui assi differiscono di poco l’uno dall’altro, misurando il maggiore circa due metri; in posizione contrapposta ma più elevata rispetto all’apertura più piccola, cioè nel fianco nord della cupola, compare infine internamente un’altra apertura di una quarantina di centimetri in larghezza. La suola del forno, quasi completa-mente ricoperta da uno spesso strato di guano di colombo, sembrerebbe foderata da mattonelle in laterizio di debole spessore.Tornando all’esterno della fornace, all’estremità del lato est e in appoggio al muro perimetrale, una scaletta con rampa in mattoni di riuso sostenuti da tavolame, conduce alla spianata superiore della for-nace stessa, nella cui superficie, ricoperta anch’essa di guano, non si riescono ad intravedere tracce di aperture per l’uscita dei fumi di combustione.In conclusione vorrei proporre un’ipotesi ancora da provare oggettivamente, ma che credo abbastanza plausibile: forse, uno dei motivi che impedirono la demolizione della fornace, risiede nel fatto che essa potrebbe essere stata trasformata in forno per panificazione al servizio della caserma di primo

    Ottocento. Me lo hanno fatto pensare la scaletta costruita con materiale di reimpiego, per raggiun-gerne il piano sommitale6, utilizzato probabilmente come zona di lievitatura poggiando i pani su scansie in legno, e la possibile foderatura della suola con le citate mattonelle al fine di renderne orizzontale la superficie, per agevolare l’introduzione, la cottura e il prelievo delle pagnotte.

    3. Interpretazione e confronti

    Come si è sopra accennato, il forno fusorio di Lucca sembra rappresentare un fenomeno di quasi assoluta unicità in ambito europeo, almeno allo stato attuale delle conoscenze, nella sopravvivenza di questo tipo di strutture produttive. Conosciamo infatti un certo numero di edifici che ospitavano fonderie da cannoni in bronzo7 operanti dal XVI

    6 Nella fig. 4a in fondo a destra, si nota il tavolone di sostegno della scaletta incurvato dal carico.

    7 Le fonderie per artiglierie in ferro colato, che iniziarono a diffondersi in Inghilterra negli anni Quaranta del XVI secolo (cfr. AWTY 2003; TROLLOPE 2002), prevedevano strutture di fusione con dimensioni e complessità molto maggiori rispetto a

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    fig. 5 – Edifici sopravvissuti di fonderie per artiglieria: a. la fonderia pubblica in Campo della Tana (1540 c.) – Arsenale di Venezia (foto: Marco Morin); b. la fonderia camerale della Repubblica di Genova (1614 ), al Molo vecchio (foto: Autore); c. la Tophane (XV sec.) nel quartiere di Beyoğlu a Istanbul, nella ricostruzione di primo Ottocento (da www.theguideistanbul.com).

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    al XVIII secolo, arrivati più o meno integri fino ai nostri giorni: nominiamo per esempio quelle dell’Arsenale di Venezia, la Tophane di Istanbul e la fonderia camerale della Repubblica di Genova (fig. 5), della quale avremo occasione di parlare più avanti. Tuttavia, il cambiamento della destinazione d’uso alla fine della loro attività originale, ha provo-cato la totale asportazione delle strutture di fusione al fine di ricavare più ampi spazi interni; l’unica indagine archeologica che vi si potrebbe ancora intraprendere sarebbe rappresentata dallo scavo delle fosse di colata, sicuramente ancora esistenti sotto le attuali pavimentazioni, che potrebbero

    essere state riempite con frammenti delle forme e residui di demolizione delle fornaci. Di alcuni altri forni fusori si sono conservati solo pochi resti, come quello seicentesco della fortezza estense di Montalfonso in Garfagnana (fig. 6a), del quale si è salvata unicamente una porzione del fornello di combustione incassata all’interno di una muratura, oltre naturalmente alla fossa di fusione8; mentre di quello già in funzione nella fonderia del Revelin a Ragusa di Dalmazia (attuale Dubrovnik, Croazia), rimane in vista soltanto la suola (fig. 6b), essendo il resto della muratura sottostante non più leggibile a causa di un pesante restauro integrativo9.Al momento, risulta che l’unica struttura di fusio-ne per artiglierie in bronzo ancora perfettamente

    8 MILANESE 2010, pp. 144, 150; MILANESE et al. 2001; VELANI 2003, pp. 71-72.

    9 Della fonderia del Revelin di Ragusa, si trova solo un breve cenno in PEKOVIĆ, TOPIĆ 2011, p. 268, lavoro che si occupa invece di un’altra area di fusione, peraltro con evidenti problemi interpretativi.

    quelle che producevano pezzi in bronzo (temperatura di fusione di poco inferiore ai 1000 C° con un tenore di stagno del 10%); infatti, i forni a manica a ventilazione forzata, i progenitori degli attuali altiforni, dovevano raggiungere una temperatura molto più alta per la riduzione del minerale di ferro e la liquefazione del metallo (temperatura di fusione della ghisa circa 1200 C°). L’unica potenza italiana che intraprese questa produzione prima del XVIII secolo, avvalendosi della tecnologia siderurgica brescia-no-bergamasca, fu la Repubblica di Venezia (CANDIANI 2003).

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    fig. 7 – La fornace della fonderia per artiglierie in bronzo di Jaigarh in India (da GANDER 2000).

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    fig. 6 – Resti di forni a riverbero per artiglierie in bronzo: a. fortezza di Mont’Alfonso in Garfagnana; in primo piano la fossa di colata e sullo sfondo il fornello di combustione sezionato (da MILANESE 2010); b. la suola della fornace del Revelin a Ragusa di Damazia – Dubrovnik (foto: Marco Morin).

    conservata (fig. 7), si trovi in India nella fortezza di Jaigarh, presso la città di Jaipur (Rajasthan); sembra che essa abbia iniziato a funzionare intorno al 1587, proseguendo fino al primo Ottocento, tuttavia è molto probabile che l’attuale conformazione della sua fornace, operante all’aperto, sia da riferirsi alle sue fasi più recenti10. Sarebbe quindi di scarso

    valore come elemento di confronto con quella lucchese, visto lo scarto tecnologico-culturale e di cronologia.A fronte di questi presupposti, gli unici elementi di confronto e di interpretazione della fornace di Lucca li possiamo ancora trovare nella docu-mentazione scritta, bibliografica e di archivio, e nell’iconografia.Vannoccio Biringuccio (Siena 1480-Roma 1537), esperto minerario, incisore e fonditore di arti-10 GANDER 2000.

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    fig. 8 – Descrizione grafica del forno a riverbero delineato da Biringuccio. A sinistra, pianta riprodotta dal suo trattato; a destra, sezione ipotetica (elaborazioni: Autore).

    glierie, nel libro VII del suo famoso trattato sulla metallurgia, uscito postumo, ci dà un’approfondita descrizione del forno destinato alla fusione del bronzo11; lo definisce «fornace potentissima che si chiama di riuerbero», poiché la fiamma viva viene riverberata sulla lega metallica inserita nella camera, dalla particolare curvatura della volta, portandola alla temperatura di fusione. Dalle sue righe, corredate da alcuni disegni in pianta (fig. 8), comprendiamo che questa struttura era articolata nel modo seguente.All’interno di una robusta muratura in pietra o mattoni refrattari, veniva ricavata la camera di fusione a pianta ellissoidale, con cupola voltata e con la suola inclinata verso il foro di uscita della lega allo stato liquido: «un piano di mattoni per tutto, pendente verso la spina un quarto di braccio, o manco, acciocché il bronzo, quando sarà fuso, non si possi fermar, che tutto non corga avanti». Questa “spina” o foro di uscita del getto, che cor-risponde all’apertura sulla facciata sud della nostra struttura, veniva in origine12 chiusa dall’interno con un elemento in ferro tronco piramidale, «che il più grosso venga verso il bronzo, acciò che il bronzo caricando lo spinga e meglio venga a serrar il for-no». Il materiale da fondere, rottame di bronzo e/o rame con stagno, veniva introdotto nella camera attraverso un’apertura che Biringuccio definisce «a

    guisa di bombardiera, che sia larga di fuori e stretta di dentro», forma che si attaglia perfettamente a quella dell’imboccatura presente sul lato est della nostra fornace; attraverso di essa, chiusa durante il riscaldamento da un portello di ferro amovibile, il maestro fonditore poteva anche controllare lo stato di fluidità della lega bronzea e schiumare l’even-tuale scoria galleggiante in superficie. L’apparato di riscaldamento occupava uno spazio separato ri-spetto alla camera di fusione ed era costituito da un fornello stretto e profondo, parallelo a quest’ultima e lungo quasi quanto essa stessa; il combustibile che vi veniva bruciato era formato da tronchetti di legno forte, altrettanto lunghi e ben secchi13, anziché da carbone, che venivano adagiati su una griglia composta da archetti di laterizio distanziati «tre dita l’uno dall’altro». Con questo sistema, ba-sato su di un forte tiraggio naturale, si assicurava una fiamma molto lunga e intensa che passava dal fornello alla camera attraverso un’apertura di comunicazione; fiamma che si accompagnava alla curvatura della volta, riscaldandola a tal punto che il calore riverberato da questa verso il basso era in grado di raggiungere la temperatura di fusione della lega. Infine, l’imboccatura di uscita dei fumi dalla volta doveva trovarsi in prossimità del foro di colata.Nella fornace di Lucca non è stato al momento ancora individuato il portello di caricamento del

    11 BIRINGUCCIO 1540, VII, cc. 101v-103r.12 In seguito questo tappo verrà sostituto da un portello in

    ferro a saracinesca.13 I famosi “quercioli” utilizzati dal Cellini per la fusione del

    Perseo (BACCI 1901, p. 364).

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    combustibile nel focolare, né la sottostante apertura di aspirazione, utilizzata anche per la rimozione delle ceneri; verosimilmente, essi dovrebbero trovarsi in posizione opposta rispetto al foro di colata, su una delle due pareti ortogonali (ovest ed est) rispetto a quella attraverso la quale sbocca quest’ultimo. Essendo la parete ovest appoggiata strutturalmente ad una muratura divisoria della fonderia, e quindi non utilizzabile allo scopo, non ci resta che la est, nella quale tuttavia non sembrano comparire tracce di tamponature nel settore più probabile, attualmente interessato dalla scaletta di riuso di cui si è detto sopra. L’unica spiegazione di questa assenza, potrebbe risiedere nel fatto che il fornello di combustione si trovi ad un livello più basso dell’attuale solaio, all’interno del basamento di sostegno della fornace che giunge ovviamente a poggiare solidamente sul piano di campagna.Un esempio molto chiaro del funzionamento di una fornace a riverbero per il getto di cannoni in bronzo, lo troviamo in un affresco parietale nella galleria degli Uffizi a Firenze, dipinto da Ludovico Butti nel 1558 (fig. 9a). Alla destra della struttura, il fuochista calato a metà corpo in una sorta di trincea14, attizza il fuoco del fornello dopo averlo alimentato con i tronchetti prelevati dalla vicina ca-tasta; sullo stesso lato l’apertura di introduzione del bronzo risulta chiusa e sbarrata, mentre in primo

    fig. 9 – a. il forno fusorio illustrato nell’affresco di Ludovico Butti (1558) agli Uffizi (da LOPEZ MARTIN 2011); b. impianto dello stesso tipo illustrato in un trattato di primo Seicento (da LECHUGA 1611).

    piano il fonditore ha aperto il foro di colata spin-gendone all’interno il tappo di chiusura con una lunga sbarra, con cui continua a tenerlo arretrato per impedire che occluda nuovamente il passaggio. Il bronzo liquefatto scorre in una canaletta di argilla andando a riempire una delle due forme alloggiate nella fossa di fusione; sui cavalletti in primo piano si vedono altre due forme di argilla approntate per il getto15, mentre più indietro compare una fila di bocche da fuoco già rifinite. L’affresco ci dà anche un’importante informazione sulla posizione dei fori di uscita dei fumi, che sembrano sfogare liberamente in diversi punti dal piano sommitale del forno: questa caratteristica viene ancor meglio precisata da una tavola (fig. 9b) del trattato di Christóbal Lechuga16, dove si vedono chiaramente le quattro bocchette di sfogo della combustione, posizionate in prossimità degli angoli del perimetro superiore del manufatto. Tale soluzione, ripartendo e rallentando la fuoriuscita dei gas incandescenti, permetteva infatti una maggiore concentrazione del calore all’interno della camera di fusione.La fornace di Lucca differisce de quella illustrata dal Butti, quasi unicamente per il fatto che, come abbiamo già accennato, essa si trova in posizio-ne sopraelevata rispetto al piano strada. Questa

    14 Una buca allungata e poco profonda che si trova presso il fornello di combustione, è visibile anche nella già citata fornace di Mont’Alfonso.

    15 Per le tecniche di preparazione delle forme, e di fusione dei pezzi d’artiglieria in bronzo nel secolo XVI e nei primi anni del XVII, si vedano: BIRINGUCCIO 1540, VI, cc. 78v-89r; LECHUGA 1611, pp. 111-135.

    16 LECHUGA 1611, p. 129, f. 27.

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    soluzione appare sicuramente poco funzionale per l’operatività della fonderia, soprattutto con-siderando i problemi di sollevamento, fino alla bocca di introduzione, del bronzo da sottoporre a fusione che nelle artiglierie più imponenti, come le colubrine, poteva superare anche le tre tonnel-late di peso; credo di aver trovato una spiegazione ragionevolmente fondata a questo interrogativo nel confronto con il forno fusorio della fonderia camerale della Repubblica di Genova, costruita nel quartiere del Molo Vecchio nel 161417. In un disegno di prospetto (fig. 10), allegato al capitolato di spesa stilato per la sua realizzazione18, si vede chiaramente che anche in questo caso la fornace si trova ad un livello molto più alto rispetto al piano di calpestio della fonderia stessa; quando incontrai il documento una decina di anni fa, mi sorsero gli stessi dubbi, cui risposi abbastanza presto con

    il ragionamento che detto piano di calpestio si trovava solo un paio di metri più in alto rispetto al livello del mare e che quindi le fosse di fusione si sarebbero immediatamente riempite di acqua, una volta scavate, tenuto conto che per gettare una colubrina19 occorreva un fossa profonda quasi cin-que metri. Quindi, dovendo tenere in alto le fosse, che dal disegno interpretiamo venissero chiuse sul davanti con tavoloni inseriti nelle scanalature laterali, era obbligatorio porre la fornace in posi-zione ancora superiore ad esse, fornendola di un adeguato basamento. Evidentemente a Lucca, più di quarant’anni prima20, doveva essersi manifestato lo stesso problema, rappresentato verosimilmente dalla possibile risalita di acqua di falda che in que-

    fig. 10 – La fornace soprelevata della fonderia camerale di Genova in un prospetto progettuale del 1614 (a sinistra). A destra in alto la stessa fonderia in un’immagine di fine Ottocento, quando ormai era stata trasformata in deposito da vino; vi si nota ancora la torretta per il sollevamento delle forme (foto: Autore – autorizzazione Archivio di Stato di Genova n. 19/12 del 07.08.2012).

    17 RIDELLA 2004, p. 35, f. 11.18 Archivio di Stato di Genova (da ora ASGe), Camera di

    Governo e Finanza, f. 122, n. 355, 22.IX.1614.

    19 Una colubrina genovese da 25 libbre di palla era lunga, dalla bocca al focone, 32 diametri della palla stessa e misurava quindi circa 410 centimetri, cui bisogna aggiungerne una trentina tra culatta e pomo; la forma di colata, oltre allo spessore dell’argilla sul fondo prevedeva anche un settore di materozza alto almeno 40-50 cm.

    20 Infatti, come abbiamo già visto, la costruzione delle fornace lucchese è precedente al 1574.

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    sto settore doveva trovarsi abbastanza in superficie, vista anche la presenza del vicino canale.Esiste pure un riscontro oggettivo alla rassomiglianza e al probabile legame tra le due strutture fusorie: il fonditore genovese Vincenzo II Gioardi21, del quale parleremo ancora, era stato ingaggiato dall’Offizio sopra la munizione da cortile (la magistratura lucchese che si occupava degli armamenti) il primo novembre 158922, e aveva iniziato quasi subito a lavorare al get-

    to di artiglierie in bronzo, utilizzando sicuramente la fornace di cui stiamo trattando e permanendo in tale attività per altri ventiquattro anni. Infatti, il 31 agosto del 1614, aveva chiesto licenza di partire da Lucca per portarsi a combattere nella guerra in Pie-monte, assieme al suo nipote ed aiutante Evangelista Borghini, rientrando in servizio nella città toscana il 16 marzo 161623; è quindi assolutamente probabile che durante il viaggio di andata sia transitato da Ge-nova ed abbia suggerito ai tecnici locali la soluzione della fornace sopraelevata24.

    4. La produzione di artiglierie a Lucca tra l’ultimo decennio del XVI e i primi del XVII secolo

    Un periodo di attività particolarmente intensa per la fonderia da cannoni di Lucca e quindi per il suo forno fusorio recentemente riscoperto, dovette svolgersi nel quarantennio compreso tra il 1590 e il 1629, in concomitanza con il completamento della cinta muraria bastionata25; da un inventario delle artiglierie che equipaggiavano le mura lucchesi data-bile intorno al 167026, appare infatti che 87 dei 170 pezzi passati in rassegna erano stati prodotti dai due già citati fonditori genovesi in quell’arco temporale. In realtà, come abbiamo visto, vi fu un periodo di interruzione nell’attività di Vincenzo II Gioardi ed Evangelista Borghini tra il 1614 e il 1616 seguito da un altro negli anni 1618-1619, quando i due furono richiamati a Genova per fondere un certo numero di bocche da fuoco e dove sopraggiunse la morte del Gioardi il 22 luglio 161827; suo nipote, completata la commessa, rientrò a Lucca e vi rimase per altri dieci anni, tornando definitivamente nella sua città con la carica di capitano comandante della Compagnia dei Bombardieri e di fonditore a chiamata28.L’analisi del citato inventario, che annota accu-ratamente i pezzi schierati nei singoli baluardi e in deposito nei magazzini decentrati, i cosiddetti “capannoni”, ci rappresenta la modernità delle

    21 Ho trattato di questo personaggio, che rappresenta l’ultimo della più importante dinastia di fonditori genovesi, attivi già nei primi decenni del XV secolo, in RIDELLA 2009, p. 33.

    22 ANGELUCCI 1869, p. 390. Il Gioardi era stato preceduto in tale carica da un altro genovese, Gio. Battista Gandolfo, rimasto a Lucca dall’agosto 1579 al marzo 1584 (RIDELLA 2009, p. 32).

    23 ANGELUCCI 1869, p. 390, n. 324.24 L’incarico per la costruzione della nuova fonderia genovese

    è datato, infatti, 22 settembre 1614.25 Per la bibliografia sulle mura Lucca si veda MARTINELLI,

    PARMINI 1992.26 ARRIGHI 1969, pp. 58-83.27 Archivio Parrocchia di San Marco al Molo – Genova, Liber

    Mortuorum, I, 22.VII.1618.28 Evangelista Borghini morirà tragicamente nella notte tra il

    14 e il 15 febbraio 1652, in seguito ad accoltellamento per opera di uno sconosciuto (ASGe, Antica Finanza, f. 801, 15.II.1652).

    fig. 11 – Disegni di artiglierie lucchesi cinque-seicentesche: a sinistra quarto cannone, a destra petriere (da ARRIGHI 1969).

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    fig. 12 – Sagro (in alto) e petriere leggero (in basso), prodotti negli anni Novanta del XVI secolo dal fonditore genovese Gio: Battista Gandolfo, impegnato a Lucca dal 1579 al 1584 (foto: Renata Andjus e Mario Galasso).

    nuove dotazioni lucchesi (fig. 11), prodotte si-curamente con i rottami delle vecchie artiglierie ormai superate; ne possiamo esaminare le principali tipologie anche alla luce di una relazione autografa indirizzata proprio dal Gioardi il 30 gennaio 1618 al governo genovese29, che gli chiedeva consigli sulla riorganizzazione del proprio parco.N° 62 Quarti Cannoni, ordinari e colubrinati, da 12-15 libbre30 (calibro 110-120 mm31), pesanti da 3200 a 4500 libbre (1090-1530 kg c.), piazzati sulle facce dei baluardi per il tiro a distanza contro fanterie e artiglierie degli assedianti allo scoperto: «… quarti cannoni più presto colubrinati ché altrimenti, quali tirano dodici libra di palla, longhi palmi tredici32

    (3,20 m) in circa … Con li sopradetti quarti li voglio guastare le loro trincere33 e levarli le difese tanto dei moschetti quanto di spingarda, ò sia moschetto da posta, e travagliarlo per la campagnia molti passi discosto …».N° 25 Sagri (fig. 12) da 9-10 libbre (calibro 95-100 mm), pesanti da 2700 a 3600 libbre (920-1220 kg c.); dislocati nelle piazze basse o nelle casematte sui fianchi ritirati del baluardi, per il tiro d’infilata lungo la cortina (“tiro a scortinare”) contro fanterie in fase di investimento della stessa: «… sagri di libre otto di palla [pesanti] 20 Cantara (950 kg c.)34 …».N° 24 Petrieri da 40-60 libbre (Calibro 155-175 mm), pesanti da 3000 a 3500 libbre (1020-1190 kg); pezzi incamerati a canna corta e di poco spes-sore, impiegati dalle piazze basse o in casamatta per il tiro a palla di pietra o a mitraglia in accom-pagnamento ai sagri.

    29 ASGe, Camera di Governo e Finanza, f. 135, n. 97, 30.I.1618.

    30 La libbra di Lucca equivaleva a 339,54 g.31 Per il passaggio dal calibro espresso in libbre di peso della

    palla in ferro colato corrispondente, alla misura lineare in milli-metri si veda RIDELLA 2007, p. 8, n. 7.

    32 Il Gioardi usa qui misure genovesi, per cui la libbra equivale a g. 317,66 e il palmo 24,78 cm.

    33 Cioè le trincee al riparo delle quali gli assedianti si avvici-navano alle mura per attaccarle.

    34 Il cantaro di Genova equivale a 47,649 kg.

  • 154

    RENATO GIANNI RIDELLA

    N° 14 Colubrine35 da 25-30 libbre (Calibro 135-140 mm), pesanti da 8400 a 8800 libbre (2850-2990 kg); normalmente depositate nei “capannoni” posti in vicinanza di alcuni baluardi (San Colombano, San Martino, Santa Croce e San Paolino), dovevano essere portate in posizione sui baluardi o sulle cor-tine in caso di assedio, per il tiro di controbatteria a lunga distanza: «… mezze colubrine di venticinque libre di palla lunghe palmi sedici (4,00 m circa) … Circa alla fassione delle mezze colubrine sopra dette, io le contrapporrei per contra batteria al cannone e questo per le presenti ragioni, cioè che chi mi verrà in contra per battermi con il cannone, io mi assicuro che avanti che lui mi venga sotto per potermi battere, io con la suddetta mezza colubrina son sicuro di bat-terlo prima lui molti passi avanti e continuamente travagliarlo avanti che detto nemicho possa fermare la sua batteria36, e con detto pesso li guasterò ogni difesa et ogni riparo che possa fare, e di questo ne parlo per esperientia37 …».Purtroppo di tutti questi pezzi d’artiglieria lucchesi cinque-seicenteschi sembra che nessuno si sia salvato dalla rottamazione dopo la spogliazione austriaca del 1800; molti di essi, oltre a portare sul rinforzo lo stemma della Repubblica, erano decorati in culatta con figure a tutto tondo (testa di serpe, di elefante, di aquila, di capra, di cane, di satiro ecc.). L’allora maggiore Angelo Angelucci, in missione a Tunisi nel 1872 per la ricerca di antiche artiglierie italiane, riuscì ad individuarne due provenienti da Lucca38, ormai già rotte in tre pezzi per la rifusione: la prima era un mezzo cannone da 25 libbre con «al focone e al nascimento della volata eleganti foglia-mi a basso rilievo, ed il codone, o finimento della culatta formato da una testa virile con lingua fuori della bocca con atteggiamento di scherno (satiro?). Sulla gioia della culatta ha la scritta VINCENTI-

    VS GIOARDVS GENOVEN.S AC LVCEN.S CIVIS F.A.D. MDCXVII (Vincenzo Gioardi, cittadino genovese e lucchese, fece nell’anno del Signore 1617). Il secondo pezzo apparteneva alla stessa categoria del precedente, ma aveva il sempli-ce pomo di culatta sferoidale e recava l’iscrizione EVANG. BORGHINVS GENVENSIS NEPOS GIOVARDI F.A.D. MDCXX (Evangelista Borghi-ni genovese, nipote del Gioardi, fece nell’anno del Signore 1620). Entrambe queste bocche da fuoco non risultano annotate nel sopracitato inventario ed è quindi probabile, vista la loro ultima collocazione, che fossero in dotazione alle difese costiere della Re-pubblica di Lucca (Viareggio?) prima di salpare per la Tunisia39. Angelucci avrebbe potuto acquistarle, come tante altre, al semplice prezzo del rottame di bronzo da rifondere, ma la solita ristrettezza di mezzi dedicati alla cultura gli permise di comperare solo un pezzo fiorentino ed uno veneziano.

    5. Conclusioni

    La materia che concerne il presente rinvenimento, quella cioè che si occupa dello studio sulle artiglie-rie storiche, non si può certo definire come una di quelle più considerate nell’ambiente scientifico italiano, nel suo duplice ambito di ricerca storica e archeologica; nel nostro paese le persone che si applicano con metodo e serietà scientifica a questa disciplina non superano infatti le tre-quattro unità, mentre all’estero, mi riferisco in particolare in In-ghilterra, ci si trova in una situazione più avanzata con una rivista specialistica ad uscita annuale, il Journal of the Ordnance Society.Normalmente, la componente archeologica di questa disciplina si esprime nell’analisi dei pezzi di artiglieria conservati nei musei e, in misura sempre maggiore, su quelli recuperati da relitti sommersi, vista l’attenzione che l’archeologia su-bacquea sta da qualche tempo indirizzando anche verso i rinvenimenti di epoca postmedievale. E proprio nell’ambito di quest’ultimo segmento della ricerca archeologica, la scoperta della fornace di Lucca viene a costituire una notevole fonte di conoscenza per l’integrazione del dato materiale, finora rappresentato unicamente dai prodotti finali

    35 A Lucca e dallo stesso Gioardi vengono impropriamente definite mezze colubrine.

    36 La progressione di avvicinamento delle batterie da assedio alle mura, si fermava sul ciglio del fossato quando il tiro a breve distanza garantiva la maggiore possibilità di aprire brecce (“tiro in breccia”) per l’assalto delle fanterie. Quando erano in posta-zione i pezzi e i serventi venivano protetti da gabbioni e fascine di ramaglia (“salsiccioni”) riempiti di terra.

    37 Vincenzo Gioardi continuava ad assolvere la duplice fun-zione propria dei vecchi bombardieri che, oltre a fabbricare le bocche da fuoco, le conducevano anche in battaglia; abbiamo infatti notizia sicura delle sua partecipazione nelle file lucchesi alla difesa di Castiglione in Garfagnana durante la guerra del 1613 contro gli Estensi (ANGELUCCI 1869, p. 390) e nella citata guerra in Piemonte, di cui non conosciamo i particolari, ma du-rante la quale suo nipote Evangelista Borghini potrebbe essersi guadagnati i gradi di Capitano.

    38 ANGELUCCI 1872, pp. 285-286.

    39 Non dovrebbe assolutamente trattarsi di prede belliche ma di regali, secondo un uso corrente nel Settecento, che venivano normalmente fatti dagli Europei ai potentati nordafricani per stornare la loro azioni piratesche dal proprio traffico e assicu-rarsi facilitazioni di attracco e commercio nei loro territori (cfr. RIDELLA 2006. p. 183, n. 134).

  • 155

    La cinquecentesca fonderia da cannoni a Lucca e la sua sopravvissuta fornace a riverbero (notizia preliminare)

    della corrispondente attività produttiva, cioè dalle bocche da fuoco.Quando questa potrà essere adeguatamente in-dagata e documentata, anche come più generale testimonianza del livello tecnologico raggiunto dall’Italia del XVI secolo nei processi metallurgici preindustriali, potrà dare il via alla creazione di un esemplare modello di ricerca scientifica accom-pagnata dalla valorizzazione del manufatto per pubblica fruizione.

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    desidera essere approvato per gli offitij sopra la muraglia e Nota di tutti i pezzi che sono sopra la muraglia e sotto i capannoni. Dal Ms. 578 (Sec. XVII) della Biblioteca Statale di Lucca, Lucca.

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    AbstractA 16th century Foundry for making cannons in Lucca and its surviving reverberatory furnace. About thirty years ago in the Lorenzini barracks in Lucca – Italy, they discovered a furnace which was immediately recognized as belonging to an old cannon foundry. Recently, in 2009, this discovery has been reconsidered, further studies have been conducted and data on the foundry has been published. The archival information, represented by planimetric maps, had already allowed us to set 1574 as the ante quem term for the construction of the building, which was cer-tainly part of the factory in which the bronze pieces of artillery of the Republic of Lucca were then produced. Considering this evidence and after having analyzed the shape and dimensions of this building it was compared with the not many and absolutely incomplete surviving structures of the same type; in order to do this it was essential to examine the written and iconographic sources of this period (16th century) to be able to confirm that this building belonged to a reverberatory furnace used for the smelting and casting of bronze alloy to produce muzzle-loading cannons. In conclusion, we have found that this is the only 16th-century building of this type which has survived up to today and that it represents important evidence of the technological level reached in metallurgy at that time and surely is worthy of further studies, restoration and public enjoyment.

    Key words: foundry, cannos, Lucca, reverberatory furnace, Gioardi, Borghini.

    RiassuntoUna trentina di anni fa, all’interno della caserma Lorenzini a Lucca avvenne il ritrovamento di una fornace, subito riconosciuta come pertinente ad una antica fonderia per cannoni; la scoperta è stata rivalutata, approfondita e divulgata soltanto in anni molto più re-centi, cioè nel 2009, offrendo lo spunto per questa prima relazione scientifica. Già le informazioni archivistiche, rappresentate da rilievi planimetrici della zona, permettevano stabilire l’anno 1574 come un termine ante quem per la costruzione di questa struttura, attribuibile con certezza alla fabbrica delle artiglierie in bronzo della Repubblica di Lucca. A fronte di tale dato ed analizzate forma e dimensioni del manufatto, si è sottoposto quest’ultimo al confronto con le poche e assolutamente incomplete sopravvivenze materiali appartenenti alla stessa tipologia funzionale e costruttiva; pertanto è stata essenziale la disamina delle fonti scritte ed iconografiche dell’epoca per poter confermare l’appartenenza di questa struttura ad un forno a riverbero per la fusione e il getto di lega bronzea destinata alla produzione di bocche da fuoco ad avancarica. È emersa in conclusione l’evidenza che ci troviamo di fronte alla sola costruzione cinquecentesca di questo tipo sopravvissuta fino ai nostri giorni, che costituisce un’importante testimonianza del livello tecnologico raggiunto dalla metallurgia in quel tempo e merita sicuramente l’approfondimento delle indagini, il restauro e la valorizzazione fruitiva.

    Parole chiave: fonderia, cannoni, Lucca, forno a riverbero, Gioardi, Borghini.

    Pagine da Rivista Gianni-2.pdfFonderia di Lucca