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ARCHEOLOGIA DI SUPERFICIE NELLA BASSA VALLE DEL CESANO RICOGNIZIONE TOPOGRAFICO-ARCHEOLOGICA TRA IL RIO MAGGIORE E IL RIO STACCIOLA Premessa L’area in questione, nota sin dai primi anni ’50 del secolo scorso per i ritrovamenti in superficie di manufatti preistorici, non ha avuto particolare attenzione da parte delle istituzioni e del mondo scientifico, mancando conseguentemente di iniziative tese allo studio ed alla tutela; per contro una presenza costante di “raccoglitori”, scevri sicuramente da ogni scrupolo scientifico-culturale, finì per saccheggiare di fatto l’intera zona. Solo agli inizi degli anni ’90 l’Archeoclub locale segnalò l’area, inserendola nella Carta dei Beni Culturali Mondolfesi (curata da Roberto Bernacchia e Mario Silvestrini). Il territorio, come evidenziato nel diario di ricognizione, è adibito ad uso agricolo con predominanza di coltivazioni stagionali. Nonostante lo sfruttamento intensivo, il terreno non ha subìto particolari stravolgimenti dall’inizio della meccanizzazione agricola; difatti gli arativi non hanno mai avuto una profondità superiore a 30-40 cm mentre l’impianto del vigneto, presente nella zona, è stato realizzato in epoca non meccanizzata (1934), operando uno scasso manuale (100-120 cm) lungo la sola linea di filare. Il grado di visibilità delle possibili tracce archeologiche (alterazioni, anomalie, sopravvivenze) in superficie è stato in parte compromesso, come pure buona parte del materiale presente che, oltre ad essere oggetto di raccolta indiscriminata, è stato disperso a seguito delle continue lavorazioni. Prima della descrizione del materiale in superficie è opportuno riportare le notizie raccolte dagli agricoltori locali e da quanti hanno in qualche modo conosciuto la zona, oltre naturalmente la descrizione presente nella sopra citata Carta dei Beni Culturali Mondolfesi edita dall’Archeoclub di Mondolfo nel 1991. Come detto, è al dopoguerra che risalgono i primi ritrovamenti di lame e punte in selce lavorata, oggetti che stando ai racconti, erano soprattutto concentrati tra i filari del vigneto sud-est, dove pure sono state notate alcune macchie scure sul terreno, di forma circolare e di diametro di circa 2.5-3 17 © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore

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ARCHEOLOGIA DI SUPERFICIE NELLA BASSA VALLE DEL CESANO RICOGNIZIONE TOPOGRAFICO-ARCHEOLOGICA TRA IL RIO MAGGIORE E IL RIO STACCIOLA Premessa

L’area in questione, nota sin dai primi anni ’50 del secolo scorso per i

ritrovamenti in superficie di manufatti preistorici, non ha avuto particolare attenzione da parte delle istituzioni e del mondo scientifico, mancando conseguentemente di iniziative tese allo studio ed alla tutela; per contro una presenza costante di “raccoglitori”, scevri sicuramente da ogni scrupolo scientifico-culturale, finì per saccheggiare di fatto l’intera zona. Solo agli inizi degli anni ’90 l’Archeoclub locale segnalò l’area, inserendola nella Carta dei Beni Culturali Mondolfesi (curata da Roberto Bernacchia e Mario Silvestrini).

Il territorio, come evidenziato nel diario di ricognizione, è adibito ad uso agricolo con predominanza di coltivazioni stagionali. Nonostante lo sfruttamento intensivo, il terreno non ha subìto particolari stravolgimenti dall’inizio della meccanizzazione agricola; difatti gli arativi non hanno mai avuto una profondità superiore a 30-40 cm mentre l’impianto del vigneto, presente nella zona, è stato realizzato in epoca non meccanizzata (1934), operando uno scasso manuale (100-120 cm) lungo la sola linea di filare.

Il grado di visibilità delle possibili tracce archeologiche (alterazioni, anomalie, sopravvivenze) in superficie è stato in parte compromesso, come pure buona parte del materiale presente che, oltre ad essere oggetto di raccolta indiscriminata, è stato disperso a seguito delle continue lavorazioni.

Prima della descrizione del materiale in superficie è opportuno riportare le notizie raccolte dagli agricoltori locali e da quanti hanno in qualche modo conosciuto la zona, oltre naturalmente la descrizione presente nella sopra citata Carta dei Beni Culturali Mondolfesi edita dall’Archeoclub di Mondolfo nel 1991.

Come detto, è al dopoguerra che risalgono i primi ritrovamenti di lame e punte in selce lavorata, oggetti che stando ai racconti, erano soprattutto concentrati tra i filari del vigneto sud-est, dove pure sono state notate alcune macchie scure sul terreno, di forma circolare e di diametro di circa 2.5-3

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metri, poste approssimativamente a 15-20 m l’una dall’altra, al cui interno affioravano numerosi frammenti ceramici graffiti di colore grigio-scuro insieme a frammenti di ossa, ma con scarso materiale d’industria litica (di dette tracce ho potuto constatarne tuttora una labile presenza, soprattutto in certe condizioni di umidità del terreno).

Sempre in quegli anni, iniziava la presenza costante di “raccoglitori” che, oltre a lame e punte, trovavano lamelle, raschiatoi, bulini, asce (o asce-martello), grattatoi, frammenti di ceramiche incise e punte di zagaglia (?). Il materiale litico predominante era la selce, ma pare che sarebbero stati trovati anche strumenti in vetro vulcanico (ossidiana) e in osso o corno. Tale “raccolta” tenderà ad affievolirsi solo a metà degli anni ’80 giacché le arature, portate sempre alla stessa profondità e rimestando sempre lo stesso tipo di suolo, non riuscirono ad intaccare nuovi strati. Questa situazione portò qualche intrepido personaggio a proporre ai proprietari dei terreni interessati di compiere, a proprie spese, un’aratura profonda (scasso di 100-120 cm), al fine di portare alla luce nuovi strati, “rinfrescando” così la presenza di materiali in superficie; fortunatamente questa operazione non fu mai realizzata.

Agli inizi degli anni novanta, su iniziativa dell’Archeoclub di Mondolfo, è stata redatta la Carta dei Beni Culturali Mondolfesi (più avanti CBCM), che prevedeva come fine principale la tutela del patrimonio architettonico, iconografico, archeologico presente nel territorio comunale, segnalando alle competenti Soprintendenze i siti e le emergenze. In tale ambito è stata segnalata anche l’area archeologica in questione, che è stata descritta in una sintetica ma esauriente scheda corredata di cartografia. Nella scheda, alla voce “principali reperti”, è descritto quanto segue:

Abbondante industria litica in selce scheggiata che comprende: amigdaloidi, lame, raschiatoi, lamelle, nuclei, cuspidi di freccia; Inoltre ascette di pietra levigata, frammenti di lame di ossidiana e frammenti di ceramica neolitica d’impasto grossolano.

Da notare che oltre alla descrizione dei reperti, alla puntuale localizzazione dell’area, alle iniziative di tutela ed al pericolo di distruzione, veniva proposto alla competente Soprintendenza di eseguire dei saggi di

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scavo in corrispondenza di macchie scure di terreno, forse attribuibili a fondi di capanne preistoriche.

Impostazione della ricerca

Gli interessi principali che hanno motivato la ricognizione topografica

in questa zona sono stati la verifica del grado di presenza in superficie di materiale archeologico e di indizi paleoambientali di natura antropica e la georeferenziazione del dato archeologico (noto e inedito). Tutto ciò nel tentativo di creare un riferimento (naturalmente implementabile) per possibili iniziative future rivolte alla ricerca e allo studio dell’ambiente preistorico nella bassa valle del Cesano, oltre naturalmente alla valorizzazione e tutela dell’area in questione.

La base di partenza per l’impostazione della ricerca è stata la documentazione della già citata CBCM (utile per l’individuazione geografica e per la tipologia del materiale presente), quella sul vicino sito neolitico di Ripabianca di Monterado e quella disponibile per altri siti preistorici presenti sia nel territorio limitrofo (Conelle, Nidastore, Cava Giacometti, Pian Volpello, Monte Giove, Fosso Arzilla, Saline, Brugnetto), sia in quello regionale. Preziose sono state le notizie (dettagliate e puntuali) sui ritrovamenti e sulle microzone fornite dai proprietari dei terreni; inoltre anche la visione di materiale raccolto e conservato da alcuni di loro (che sarà descritto più avanti) è stata particolarmente proficua per l’indivi-duazione tipologica e per una prima sommaria datazione relativa del sito.

In seguito, è stata individuata la base cartografica per la pianificazione della ricerca e per una prima analisi del territorio, con particolare attenzione all’ortofotocarta regionale al 1:10000, da cui è stata rasterizzata una porzione per essere utilizzata sia come base di derivazione per la carta di ricognizione sia per individuare possibili anomalie di natura archeologica sul terreno (volo Marche 1983/84).

Una prima ricognizione si è resa indispensabile per familiarizzare con il paesaggio che caratterizza il territorio e per impostare le basi geografiche di riferimento per la realizzazione della carta di ricognizione. Questa è stata realizzata restituendo in forma digitale gli aspetti topografici caratteristici (viabilità, alvei, canali, colture stabili, edifici, curve di livello), desunti dalla

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porzione di OFCR (sez. 281060) avente coordinate nel vertice inferiore N43°43’35” E13°06’45” e N43°44’00” E13°05’55” in quello superiore. Per la realizzazione della carta è stato utilizzato il software AutoSketch v.5.1 di Autodesk, ben adattabile, pur non essendo specifico, alla digitalizzazione di cartografie vettoriali, il quale inoltre permette di effettuare misurazioni di aree di qualsiasi forma, perimetri, quote e distanze e l’esportazione dei dati in vari formati tra cui il DXF, che è lo standard nella maggior parte dei software vettoriali, compresi quelli per uso topografico e GIS (MapMaker, ArcView etc.).

I riferimenti geografici (o basi) sono stati rilevati per mezzo di un ricevitore GPS1: essi serviranno nelle ricognizioni successive per calibrare l’accuratezza del ricevitore stesso, poiché è stato utilizzato il posiziona-mento assoluto (accuratezza ricevitore ≤15 m) e non quello differenziale (acc. centimetrica), che richiederebbe un’ulteriore tecnologia (reference-rover), al momento della ricognizione non disponibile per questioni di risorse (=0).

Dai rilievi campione effettuati periodicamente durante le ricognizioni, è stata constatata un’accuratezza nell’ordine di 3-6 metri (visibilità satelliti: >6), dato sicuramente molto buono per il rilievo di superfici minime di 10m². L’analisi infrasito e a livello di manufatto sarà però in questo caso impossibile; quindi, nel caso specifico, si ricorrerà ai metodi tradizionali (quadrettatura, paline metriche e bindella).

Il fattore di visibilità, essendo un terreno agricolo destinato quasi in prevalenza a coltivazioni stagionali, è abbastanza buono, in modo particolare in questo periodo dell’anno (arativo diffuso), dove il dato è stato incrementato per effetto delle piogge recenti che hanno dilavato il terreno, senza causare particolari fenomeni di ruscellamento. Solo in alcune zone è stata rilevata una copertura a piantagione stagionale (cavolo al 70% dello sviluppo vegetale), riducendo la visibilità al 40-70% (zone di maggiore e minore copertura derivante dalla differenza di crescita).

Una seconda ricognizione preliminare è stata eseguita allo scopo di identificare un’area di affioramento particolarmente indicativa, sia per la 1 Ricevitore portatile Garmin 12Ch (12 canali paralleli) utilizzando il sistema di proiezione geodetico e datum

WGS84. Il sistema di coordinate utilizzate è quello geografico, sicuramente inusuale in topografia (si adotta di norma l’ UTM o il Gauss-Boaga); chiedo dunque perdono per questa mia libertà, retaggio della passione per la navigazione in mare a vela.

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presenza di manufatti, sia per valutare il fattore di visibilità. Questa è stata individuata, per tutta la sua estensione, tra il primo ed il secondo filare nord-ovest del vigneto sud-est, e parte del suolo arato adiacente. Il terreno tra i filari è coltivato a ortaggi (cavolo) disposti su due lembi in file di 10, con al centro un camminamento (suolo nudo) ampio circa 1,50 metri. La superficie è ben mossa ma con umidità differente, il percorso tra la piantagione è nella maggior parte fattibile (prestando la dovuta cautela nell’evitare le piante), giacché le file sono ben separate. Di fatto la ricognizione di superficie è stata compiuta percorrendo, per file parallele distanti 4 metri e a direzione alterna, l’area interessata, ripetendo in alcuni casi quest’operazione a diverse condizioni di luminosità.

La raccolta dei dati: Preistoria (Neolitico-Calcolitico)

La prima ricognizione ha interessato il terreno posto tra i primi filari

del vigneto Sud-est, partendo dal limite Nord-est subito a destra della strada che costeggia lo stesso lato del Rio Stacciola. Sin dai primi metri percorsi è stata notata la presenza di frammenti d’industria litica. Si tratta in prevalenza di selce a tessitura compatta e a grana fine di colore bianco lattiginoso con piccole lenti color tortora. Proseguendo sempre all’interno del vigneto, parallelamente ai filari, a circa 120 metri dalla strada e fino a 50 metri dalla sponda sinistra del Rio Maggiore, questo tipo di selce diviene sempre più sporadico predominando invece quella di color rosso-corallo e grigio-bluastro anch’essa a tessitura molto compatta. La superficie di terreno, la cui densità dei manufatti litici presenti in affioramento è di 1-4 u/m² (UT-Af2), è di 19848 m². Al centro di quest’area sono state notate due microzone (UT-A1 e UT-A2), di terreno leggermente più scuro, di forma sub-circolare identificate (anche sulla base delle indicazioni date dal proprietario del terreno) nelle macchie scure in precedenza citate e riportate nella scheda CBCM, attribuibili forse a zone di frequentazione (fondi di capanne?, bivacchi?), le quali hanno un diametro apparente di circa 3 metri e distano l’una dall’altra circa 15 metri. Un’altra alterazione di questo tipo è stata rilevata anche a Sud-est del vigneto a circa 85 metri dall’ultimo filare, sempre della stessa forma ma con diametro di 7-8 m, anch’essa all’interno

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di un’area di affioramento (UT-Cf2) di frammenti d’industria litica (selce rossa/grigia, densità 2-5 u/m²) la cui superficie è di circa 8960 m².

La tipologia desunta dei materiali d’industria litica presenti in queste aree è la seguente:

Nuclei (residui lavorati, corticati: frammenti)

- a lame, a punte (levallois?) - discoide - prismatico

Lame e lamelle (frammenti)

- a dorso - a dorso e troncatura normale - a dorso e troncatura obliqua

Bulini (frammenti)

- a stacco semplice - a stacco laterale

Punte (frammenti)

- marginale - carenoide - a dorso - foliate

Molti dei materiali litici presentano un ritocco marginale semplice o

erto del tipo bifacciale o diretto. Particolare interesse desta il ritrovamento, da parte del proprietario del terreno, di punte del tipo a peduncolo accen-nato, romboidale, foliato, ogivale, inoltre raschiatoi amigdaloidi, lame a stacco laterale e lamelle (foto 1).

Alcune di queste punte presentano un ritocco bifacciale marginale, altre hanno un ritocco piatto profondo, le dimensioni (asse maggiore) vanno da 1 a 8 cm.

Per quanto riguarda la ceramica, di cui si ha notizia di ritrovamenti e la cui presenza è stata documentata nella scheda CBCM, è stato rilevato un

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affioramento importante nella UT-D1. Si tratta di frammenti d’impasto grossolano con gran quantità di inclusi soprattutto silicei (frammenti di selce 1-5 mm), di colore bruno-rossastro e grigio-fumo con frattura a scaglie, attribuibili probabilmente ad un recipiente da cucina di cui è stata rinvenuta anche una parte del bordo e del collo (Ø25 cm circa, sp. bordo 6 mm), e una piccola parte del piede ( foto 1.a). Altri frammenti invece presentano un impasto più fine, con una minore presenza d’inclusi di più piccole dimensioni (sempre silicei), di colore grigio-scuro/nero (sia in superficie che in frattura) e rosso/grigio (superficie/frattura, a sandwich). Su tutti i resti rinvenuti non sono state notate tracce di decorazione, mentre la densità di affioramento risulta discretamente alta (3-8 u/m²) e le dimensioni dei frammenti variano da 1 a 8 cm.

Sempre nella UT-D1 (dove la superficie è di colore più scuro), l’in-dustria litica è presente con punte, raschiatoi, lame, lamelle e bulini ( foto 1.b).

Per la ceramica indicata in affioramento (scheda CBCM) nell’area individuata dalle UT-A1 e UT-A2, non è stata rilevata alcuna traccia di rilievo durante le ricognizioni, fatto riconducibile alla presenza di coltura in questa zona ( foto 2), che ne limitava la visibilità. Stando in ogni caso alle notizie ed alla descrizione fatta, dovrebbe trattarsi probabilmente di frammenti di giara in ceramica grigio-scura d’impasto grezzo (presenza d’inclusi), sia impressa a motivi geometrici sia inornata.

Oltre all’industria litica ed alla ceramica, sono presenti resti di ossa e denti di bovini (molari, genere Bos) nelle UT-Af2, UT-Cf2 e UT-Df2 ed in modo particolare nella UT-D1, dove sono stati rinvenuti anche gusci di bivalvi (glycymeris) e ciottoli dioritici di varie dimensioni utilizzati forse come macinelli o come percussori (foto 1.c e 1.d ).

Periodo storico (romano, tardo-antico, medievale)

Anche se l’indagine di superficie mirava ad un ambito cronologico

specifico (preistoria), altri materiali di epoca più recente sono stati indi-viduati sul terreno, premesso comunque che per questi non è stata fatta un’analisi specifica della loro distribuzione.

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Una cesura sembra abbattersi per il periodo protostorico, probabil-mente riconducibile allo spostamento verso le zone collinari e d’altura degli insediamenti.

Ad epoca romana sembrano invece essere attribuibili dei frammenti laterizi (tegole, coppi) e sporadici resti di ceramica del tipo acromo ad im-pasto discretamente depurato di colore giallo-ocra e rossiccio. Difficile indi-viduarne la tipologia, dato il numero e soprattutto la dimensione dei fram-menti (<5 cm); dovrebbe forse trattarsi di ceramica da mensa. La densità dei resti è notevolmente scarsa (0-2 u/m²), distribuiti soprattutto nell’area che dal limite Sud-est del vigneto arriva sino al gruppo di case (Caprini) in di-rezione Nord-ovest.

Al periodo tardo-antico, e ancor più a quello medievale, vanno pro-babilmente ricondotti dei frammenti di ceramica fine d’impasto depurato con vetrina verdastra opaca semitrasparente, distribuiti nella stessa area sopra citata. Anche in questo caso l’esiguità dei resti e la loro ridotta di-mensione rendono difficile l’inquadramento tipologico. Facendo le dovute congetture dovrebbe trattarsi di ceramica da mensa (ciotole o piatti), mentre per la loro distribuzione vale quanto detto per la ceramica d’epoca romana (foto 3).

Una fornace sul Rio Maggiore

Capitolo a parte merita la scoperta, sulla riva sinistra del Rio

Maggiore, della presenza ipogea di una struttura basale, riconducibile pro-babilmente ad una fornace per la cottura di manufatti in argilla.

Durante la prima ricognizione, difatti, è stata notata la presenza sul terreno di frammenti piuttosto grandi (5-15 cm) d’argilla cotta di un colore rosso corallo, partendo dal lato Sud-ovest del vigneto a circa 100-150 metri dal Rio Maggiore. Proseguendo verso questa direzione, la densità aumen-tava notevolmente (2 u/m²) portando a rilevare una zona di affioramento ben precisa a 15 metri dalla riva sinistra del corso d’acqua; in questo punto si notava un’area circolare del diametro di circa 8 metri (UT-B1) su di un livello leggermente più alto (microrilievo, indiziario di strutture sepolte), la cui densità d’affioramento (>20 u/m² - UT-Bf3) e la colorazione rossastra del terreno deponevano a favore di una presenza ipogea ( foto 4 e 5).

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A fianco di quest’area, a 30 metri a Est, veniva rilevata un’altra zona simile, ricca anch’essa di frammenti di laterizi (UT-bf1, UT-bf2).

Il terreno, in questa zona arato, presenta uno scheletro particolarmente importante composto soprattutto da sabbie e argille depositate dalle alluvio-ni del torrente, il quale sino ai primi anni ’50 tracimava con frequenza, avendo una portata ben maggiore dell’odierna.

La particolare colorazione di una superficie così ben delimitata indizia la presenza dell’azione del fuoco intervenuta in quest’area (UT-bf3) che, brasando il terreno particolarmente ricco di argille, gli conferiva la caratteristica colorazione rossastra (la predominanza di materiale organico avrebbe reso una colorazione bruno-grigiastra).

La maggior parte del materiale rinvenuto sembra non adattarsi ad uno schema tipologico definito. L’impasto, grossolano, è un composto d’argilla limosa digrassata con sabbia silicea, inclusi non particolarmente grandi (≤1 mm) di natura litica e con presenza d’impronte di semi e piante erbacee. Alcuni frammenti presentano uno spessore di 5 cm con facce sub-parallele rugose e con accenno di andamento ad arco. Il colore omogeneo rossastro, che caratterizza tutti i frammenti visibili, deriva dalla presenza nell’argilla di particelle di ossido di ferro (ematite) e dalla conseguente cottura a temperatura elevata in ambiente ossidante. Particolare interessante e indiziario è la presenza, come sopra detto, d’impronte vegetali impresse su alcuni resti (foto 6.a, b, c).

Riassumendo, il materiale rinvenuto sembra poter essere identificabile in un impasto d’argilla, reso intenzionalmente refrattario (scheletro regolare, quarzoso), che ha subito una cottura dopo la messa in opera (presenza di impronte vegetali), tali indizi portano a supporre che i frammenti rinvenuti possono essere attribuibili alla struttura di una piccola fornace per la cottura di prodotti d’impasto (laterizi, ceramica), forse a copertura del tipo a cupola (fig. 1). Per quanto riguarda invece le aree UT-bf1 e UT-bf2 ed il sito in UT-B2, il materiale in superficie porta ad ipotizzare la presenza di un deposito di stoccaggio/scarto dei prodotti finiti. Difficile ipotizzare una cronologia relativa anche se il materiale presente nell’area (in ogni caso abbastanza generico da tentare un approccio datante in qualche modo accurato) sembra deporre a favore del periodo tardo romano.

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fig. 1

La descrizione puntuale e dettagliata, resa dal proprietario del terreno

interpellato in merito alla presenza di tale affioramento, dava maggior conforto a quanto sin d’ora ipotizzato.

Costui difatti descrive come in passato questa zona del terreno fosse in sostanza impraticabile con l’aratro, in quanto ad ogni passaggio questo tendeva a bloccarsi, incastrandosi inesorabilmente nel terreno per cui, circa venti anni fa, egli decise di rimuovere tale impaccio operando uno scavo. Già dai primi centimetri scoprì una struttura a sezione circolare del diametro di circa 2,00 metri, formata da blocchi d’argilla rossa montata a secco, con uno spessore di parete di 30-40 cm. Giudicato essere un pozzo interrato, operò la distruzione di circa 60-80 cm di struttura, tanto da non avere più problemi con l’aratro, lasciandone intatta la rimanente parte ed interrando poi il tutto. Ricorda anche la difficoltà nell’abbattere tale struttura, molto coesa, ed il colore molto arrossato della terra che andava a rimuovere. Non ricorda in ogni caso di aver notato alcun piano orizzontale dividente la struttura (presenza di un diaframma o piano di cottura).

Conclusioni

Dalla tipologia dei manufatti litici, in particolar modo dei bifacciali,

risulta quasi sicura la loro attribuzione alla tecnica campignana, confermando così la presenza di una facies preistorica olocenica. Tale tipo di strumenti, che si diffondono dal Gargano fino al Veneto lungo il versante adriatico, abbracciano un periodo che va dal Neolitico a ceramica impressa fino al primo bronzo (Monti Lessini - Veneto). I pezzi associati (schegge di lavorazione e frammenti) sono troppo generici perché possano dimostrare la

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presenza di manufatti di altri periodi, anche se una parvenza di tecnica levalloisiana (possibile retaggio tecnologico tardo-pleistocenico presente in alcuni casi anche in ambito olocenico) e soprattutto di microliti (lamelle in particolare) indiziano forse anche la presenza di una cultura mesolitica. Per quest’ultima ipotesi il dato geomorfologico non contrasta, dato che ci troviamo su un T3 (terrazzo alluvionale di terzo ordine) della sinistra del Cesano, databile all’incirca all’interglaciale Riss-Wurm. Altro dato a favore di quest’ultima ipotesi, interessantissimo anche se ancora non è stato possibile avere la documentazione, è la notizia di una datazione all’isotopo 14C (radiocarbonio) eseguita nei primi anni sessanta da alcuni ricercatori paleobotanici elvetici su alcuni campioni di piante e carboni rinvenuti in sequenza stratigrafica nei pressi dell’area di San Gervasio (a poche centinaia di metri a nord-est dell’area in questione). Sono stati riconosciuti, in quel caso, tracce di bivacchi (almeno quattro) sovrapposti in serrata successione (da dieci ad un massimo di venti centimetri in sequenza stratigrafica) con la lettiera ancora ben visibile, composta da graminacee e piante erbacee di ambiente umido-paludoso. Il calcolo del decadimento del radioisotopo 14C – se confermato – daterebbe i campioni a 8000 ± 120 anni, vale a dire una datazione calibrata (CalPal2004_SFCP, N. Pierpaoli) in anni calendario di 8683-9024 y.BP (anni dal presente).

Viene facile formulare l’ipotesi, pur se azzardata mancando ancora un solido supporto oggettivo, della presenza di insediamenti stagionali (zone di caccia) già dalla fine dell’ultima glaciazione (ipsitermico incipiente, a cavallo tra le cronozone Boreale e Atlantico), con lo stanziamento e l’aggregazione, a partire dal periodo Sub-Boreale, in questa porzione di territorio facente parte del fondo vallivo del basso Cesano.

L’area indagata è dunque particolarmente interessante per lo studio del paleoambiente e delle dinamiche antropiche preistoriche nella bassa valle del Cesano e più in generale nell’area nord marchigiana, soprattutto se si considera la possibile contemporaneità con il sito di Ripabianca di Monterado, il quale dista a meno di due chilometri in direzione sud-est. Approfondimenti e ricerche sarebbero quindi auspicabili, in particolar modo nelle aree individuate dalle UT-D1, UT-cf2 e UT-B1, dove in quest’ultima sarebbe altresì importante metterne in luce la struttura ipogea, al fine di valutarne l’effettiva tipologia e cronologia e soprattutto il contesto.

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Il lavoro sin qui svolto, lungi dall’avere alcuna pretesa particolare in ambito archeologico se non quella della semplice segnalazione e comunicazione, è un tentativo di “leggere” più attentamente il paesaggio che ci circonda e in cui viviamo, prendendo coscienza che l’ambiente odierno è il risultato di una svariata concomitanza di fattori intervenuti nel tempo a modificarlo, in cui l’uomo di volta in volta si è dovuto adattare interagendovi, riuscendo ad “addomesticare” alcuni aspetti, modificandolo a sua volta, lasciando di conseguenza le tracce della propria presenza. Per questo credo che anche piccoli indizi o per meglio dire “tracce delle tracce” presenti sul territorio, se opportunamente indagate e studiate, possono a mio avviso avere un grande potenziale conoscitivo circa la ricostruzione degli ambienti antropici e non e degli ecofatti che hanno caratterizzato, in un passato lontano, il paesaggio del nostro territorio.

Con questo non voglio certo dire che bisogna pensare all’archeologia moderna come ad una scienza esatta. Dal punto di vista teoretico (a me particolarmente caro), non è mia intenzione fare l’esaltazione della “new-archeology”, vale a dire di quella teoria positivista nota anche con il nome di archeologia processuale, che con tutti i suoi strascichi, rimasugli e ripensamenti già da quasi un quarantennio è oggetto di accesi dibattiti; piuttosto credo più semplicemente che i tempi siano maturi nel nostro Paese per tentare un modo nuovo di fare archeologia, soprattutto a livello istituzionale, in cui ancora troppo spesso la monumentalità prevale come priorità sulla ricerca e tutela, lasciando poco, o per nulla, spazio ad un sereno confronto circa nuovi approcci e nuove idee e in cui, anzi, mancano quasi del tutto la comunicazione e la pubblicazione dei dati e dei risultati delle ricerche, e purtroppo a volte anche l’accesso agli archivi.

Natalino Pierpaoli

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CARTA TOPOGRAFICA DI RIFERIMENTO Carta Topografica Regionale – Regione Marche, quadrante 110 III (1:25000)

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DIARIO DI RICOGNIZIONE 10/ 2002

Progetto di ricerca: Archeologia del territorio di Mondolfo e della bassa valle del Cesano. Contesto geografico: Ponte Rio di Mondolfo (PU), area Rio Stacciola – Rio Maggiore – riva sinistra del fiume Cesano Ambito cronologico / Ipotesi di presenza: preistoria – insediamento neolitico coevo a Ripabianca. Calcolitico continuità di frequentazione. Ricognizioni preliminari: 4 e 5 ottobre 2002 (mattino, cielo nuvoloso). I° Ricognizione Data: 16 Ottobre 2002 (mercoledì) – ore: 15:00 Meteo: poco nuvoloso, vento da S-SW 5 nodi, temp. 23°C, umidità 53%, press.bar. 1014 hPa, visibilità buona. II° Ricognizione Data: 17 Ottobre 2002 (giovedì) – ore: 11:30 Meteo: nuvoloso, vento da SW 3,5 nodi, temp. 21°C, umidità 83%, press.bar. 1009 hPa, visibilità buona. III° Ricognizione Data: 19 Ottobre 2002 (sabato) – ore: 09:45 Meteo: nuvoloso, vento da N-NW 8,1 nodi, temp. 16°C, umidità 63%, press.bar. 1015 hPa, visibilità buona. Numero ricognitori: 1 Strumenti: Garmin GPS 12ch (paralleli), fotocamera digitale Kodak DC3200 (f.3.6 39mm – 1,2 Mpxl), palina metrica, PC pentium III 450 Mhz, 128 Mb RAM Rilievi GPS: datum WGS84, proiezione geodetica, accuratezza <15m, sensibilità 0,10”, posizionamento assoluto, visibilità satelliti: 9-10, agganciati: 6-10 Riferimento cartografico: IGM f.110 q.III SE (1:25000) – OFCR Regione Marche sez. 281060 – Fiume Cesano (1:10000) Ubicazione: Descrizione: riva sinistra del fiume Cesano posto tra la sinistra del Rio Maggiore e la

destra del Rio Stacciola a 250m SE della SS424 Valcesano Comune: Mondolfo Località: Ponte Rio Toponimo: via Rio Maggiore casa: Caprini (Rio Maggiore - IGM) fondo: Caprini, Bargnesi, Onori, Montanari, Frattini

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Riferimenti di rete: (1) casa Caprini lato Est - N43°43’51.4” E13°06’13.5” (UTM 33 N4843737.4, E347283.22 – GPS wyp4) alt. 36 m slm (2) Vigneto f. Caprini – 1° filare a NW, estremità NE - N43°43’52.6” E13°06’24.1” (UTM 33 N4843769.0, E347521.21 – wyp5) alt. 35 m slm. Area di ricerca: 20 ha, perimetro 2540 m, compresa tra il Rio Maggiore (SW) e Rio Stacciola (NE), casa Caprini (NW) e casa Tomasetti (SE). Area indagata: 3,52 ha, perimetro 1245 m, compresa tra i due torrenti, per i primi quattro filari del vigneto a SE di c. Caprini e parte del terreno a NW e SE dello stesso – area a SE del vigneto a S di c. Caprini (0,172 ha, perimetro 202 m). Tipologia e caratteristiche del terreno: terrazzo alluvionale fiume Cesano di terzo ordine (T3 - pleistocene), scheletro limo-argilloso. Agricolo a coltivazione intensiva 95.2% (seminativo - cereali, ortaggi) e a coltura stabile 4,8% (vigneto). Visibilità: Arativo diffuso (66.9%), copertura a piantagione (30.2%, di cui 25.3% tra i filari del vigneto - cavoli e mais), e a maggese (2.9%).

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CARTA ARCHEOLOGICA

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- 1 - Punte e lame (proprietà Caprini)

- 1.a - Ceramica, frammenti di olla

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- 1.b - Raschiatoi, lame e bulini (frammenti, schegge, UT-D1)

- 1.c - molare di bovino (g. Bos) e guscio di bivalve (glycymeris)

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- 1.d - Ciottoli cristallini (diorite, UT-D1)

- 2 -

Vigneto SE, coltura stagionale tra il 1° e 2° filare (UT-A1 e UT-A2)

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- 3 - Affioramento di ghiaia fluviale con presenza di ceramica (periodo storico)

- 4 - - 5 - UT-B1, particolare colorazione della superficie

- 5.a - Frammenti in superficie (UT-Bf3)

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- 6.a - - 6.b -

- 6.c - Frammento di argilla con particolare d’impronta vegetale (UT-Bf3).

________________________ I materiali fotografati, visto il rischio di dispersione sul terreno, sono stati prelevati, etichettati e consegnati, assieme ad una relazione corredata da una cartografia di riferimento, alla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche (18/11/2002, ricognizione congiunta con il direttore archeologo di zona).

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