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brescia MUSICA ANNO XXVII N° 133 - APRILE 2013 BIMESTRALE DI INFORMAZIONE E CULTURA MUSICALE DELL’ASSOCIAZIONE FILARMONICA “ISIDORO CAPITANIOSPEDIZIONE IN A.P. 70% - FILIALE DI BRESCIA 133 n principio era “il Grande Fratello”. A- mato o odiato, co- munque capostipite in Italia della saga dei reality show. Format dal sicuro successo, perché fa leva sulla curiosità morbosa che si può nu- trire verso la sfera privata altrui. Grazie a teleca- mere perennemente ac- cese, sempre on line in televisione e su svariati canali mediatici, i prota- gonisti diventano “per- sonaggi” tanto più fa- mosi quanto più “origi- nali” e bizzarri. In un tempo di ossessi- va tutela della propria privacy ci sentiamo for- se obbligati a invadere quella altrui? Quanti di noi hanno provato un certo ribrezzo di fronte all’opera del filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham che, nel 1791, progettava il Panopti- con, il carcere ideale. Qui un unico guardiano poteva sorvegliare in ogni momento tutti i pri- gionieri, che erano quin- di costretti a convivere sotto lo sguardo attento del suo controllo. Il con- cetto di visibilità pareva a Bentham e ai vari intel- lettuali che hanno ripre- so il suo pensiero – per tutti si può citare George Orwell con il suo 1984 una punizione quasi sen- za rispetto per la dignità umana. Oggi questa stessa visibilità sembra essere diventata una meta ambita, l’occasio- ne della vita, un modo per affermare il proprio riscatto sociale, sfon- dando nel mondo dello spettacolo. Ma quando la capa- cità narrativa del format originario viene meno? Cambiano gli scenari, da fattorie in rovina a isole sperdute. Cambia anche il canovaccio: andare alla ricerca del talento. “Amici” di Maria de Filippi ha messo in mostra per anni cantan- ti, ballerini, attori e quan- t’altro, mostrando alti e bassi, artistici e umani, di tanti ragazzi, ma an- che dei tanti maestri e tutor che li seguivano nel percorso. Certo si cerca di dimo- strare l’impegno profuso dai tanti protagonisti, ma si mostra anche il lo- ro privato, nei vari mo- menti ripresi dalle tele- camere durante le gior- nate, in ogni ambiente di vita, dalle cucine alle segue alla pagina 2 I APRILE 2013 IN QUESTO NUMERO: •ANNIVERSARI: DOWLAND,VERDI, WAGNER, MASCAGNI •IL FESTIVAL PIANISTICO •RICORDO DI ENZO JANNACCI E ARMANDO TROVAJOLI •CURIOSITÀ SU ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI •SPAZIO AMATORIALE: I QUINDICI ANNI DELLA ABMB ALL’AFFANNOSA RICERCA DEL TALENTO NEI REALITY SHOW LA MUSICA NON VINCE di PAOLA DONATI

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bresciaMUSICA

ANNO XXVII N° 133 - APRILE 2013BIMESTRALE DI INFORMAZIONE E CULTURA MUSICALE

DELL’ASSOCIAZIONE FILARMONICA “ISIDORO CAPITANIO”SPEDIZIONE IN A.P. 70% - FILIALE DI BRESCIA

133

n principio era “il Grande Fratello”. A-mato o odiato, co-munque capostipite

in Italia della saga deireality show. Format dalsicuro successo, perchéfa leva sulla curiositàmorbosa che si può nu-trire verso la sfera privataaltrui. Grazie a teleca-mere perennemente ac-cese, sempre on line intelevisione e su svariaticanali mediatici, i prota-gonisti diventano “per-sonaggi” tanto più fa-mosi quanto più “origi-nali” e bizzarri.

In un tempo di ossessi-va tutela della propriaprivacy ci sentiamo for-se obbligati a invaderequella altrui? Quanti dinoi hanno provato uncerto ribrezzo di fronteall’opera del filosofo egiurista inglese JeremyBentham che, nel 1791,progettava il Panopti-con, il carcere ideale.Qui un unico guardianopoteva sorvegliare inogni momento tutti i pri-gionieri, che erano quin-di costretti a conviveresotto lo sguardo attentodel suo controllo. Il con-cetto di visibilità parevaa Bentham e ai vari intel-lettuali che hanno ripre-so il suo pensiero – per

tutti si può citare GeorgeOrwell con il suo 1984 –una punizione quasi sen-za rispetto per la dignitàumana. Oggi questastessa visibilità sembraessere diventata unameta ambita, l’occasio-ne della vita, un modoper affermare il proprioriscatto sociale, sfon-dando nel mondo dellospettacolo.

Ma quando la capa-cità narrativa del formatoriginario viene meno?Cambiano gli scenari,da fattorie in rovina aisole sperdute. Cambiaanche il canovaccio:andare alla ricerca deltalento. “Amici” di Mariade Filippi ha messo inmostra per anni cantan-ti, ballerini, attori e quan-t’altro, mostrando alti ebassi, artistici e umani,di tanti ragazzi, ma an-che dei tanti maestri etutor che li seguivano nelpercorso.

Certo si cerca di dimo-strare l’impegno profusodai tanti protagonisti,ma si mostra anche il lo-ro privato, nei vari mo-menti ripresi dalle tele-camere durante le gior-nate, in ogni ambientedi vita, dalle cucine alle

segue alla pagina 2

I

APRILE 2013IN QUESTO NUMERO:

•ANNIVERSARI: DOWLAND,VERDI, WAGNER, MASCAGNI

•IL FESTIVAL PIANISTICO

•RICORDO DIENZO JANNACCI EARMANDO TROVAJOLI

•CURIOSITÀ SU ARTUROBENEDETTI MICHELANGELI

•SPAZIO AMATORIALE:I QUINDICI ANNI DELLAABMB

ALL’AFFANNOSA RICERCA DEL TALENTO NEI REALITY SHOW

LA MUSICA NON VINCEdi PAOLA DONATI

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rametri sia stato scalzato, infat-ti i giudici non vedono il candi-dato, ma possono fare la loroprima scelta solo in base allaperformance. Sintomo di og-gettività? Si dovrà giudicaredal prosieguo del format. Cer-to che vedere tra i selezionato-ri una delle vincitrici di un ta-lent, e di nemmeno molto tem-po fa, dà da pensare dell’ef-fettiva competenza ed espe-rienza di chi è chiamato a giu-dicare. L’elemento certo danon mettere in dubbio è la pre-

ponendo principalmente co-me spazi aperti alla creativitàe alla sperimentazione, ma so-lo come una continua esecu-zione di repertori molto noti efamosi – “orecchiabili” per po-ter diventare una sorta di ka-raoke nazional-popolare? –ecco che si ribadisce il concet-to non di “talent” ma solo di“reality show”.

Altro dato che fa pensare èla lampante carriera dei vinci-tori e degli altri “personaggi”che escono da questi format.Compaiono come artisti giàaffermati in tutte le emittentiradiofoniche nazionali e an-che nelle varie competizioni,Festival di Sanremo in primis. Èsufficiente vincere un talentshow per essere consacratinell’olimpo degli artisti nostra-ni? È l’unico trampolino di lan-cio per entrare nella carrieraartistica? I nomi di vincitori diquesti talent più o meno re-centi vengono in mente, manon altrettanto immediate ledate di tour o di concerti. Manon ricordiamo nemmeno di-stintamente di chi sia la voceche capita di sentire, tanto siconfondono nella mente.Quelli che ricordiamo sono altrinomi, di artisti che vengonoda altri canali, dalla “gavetta”.Forse che iniziare già dall’altotolga la voglia di darsi da fare,di distinguersi, di farsi ricorda-re? Il talent dovrebbe essereun grande trampolino di lan-cio, invece sembra essere pro-prio un fastoso inizio per unacerta fine.

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camere da letto, non soloquindi durante lo spettacolo insenso stretto.

Su questa scia si muovono ivari talent che stanno intasan-do le reti televisive. “X factor”,“Io canto”, “Italia got’s talent”sotto una superficie molto di-versa vanno nella stessa dire-zione. Giovani cantanti si sotto-pongono al primo giudizio; sesuperato si inizia un camminodi studio e perfezionamentoche, attraverso sfide con gli al-tri partecipanti, decreterà ilvincitore finale. Ma chi è il vin-citore? La tipologia sembra aquesto punto essere uno stan-dard: intonato, ma non trop-po, di bell’aspetto, ma anchequi non troppo. Il/la ragazzo/adella porta accanto? Forse sì.Ma sicuramente con qualcosain più. Quel qualcosa che i giu-dici sembrano cercare contanta bramosia.

Che i giudici siano compe-tenti, in grado di giudicare ap-punto, è questione ormai di-battuta. Un cantante può abuon diritto esprimersi sullequalità canore di un candida-to, una produttrice discografi-ca di lunga data sulle possibi-lità di successo, una personadello spettacolo sulla capacitàdi “bucare lo schermo”. Lamedia delle tre fa il vincitore.Quindi non vince la musica,come spesso si dice, ma vincela ragione di mercato.

Ora è arrivato “The Voice ofItaliy”. Sembra che uno dei pa-

SOMMARIO DEL N° 133

pag. 1 La musica non vince di Paola Donari

pag. 3 Santina dopo Frati all’Aab di e.e.Biscrome di al.m.

pag. 4 Anniversari: John Dowland di Paola DonatiAl Foyer con Wagner e Verdi di Carlo BianchiPietro Mascagni di Roberta Pedrotti

pag. 8 Il Festival pianistico internazionaledi Marco Bizzarini

pag. 9 La “nuova” Società dei concerti di Bresciadi Luigi FertonaniLe 4 Stagioni della musica

pag. 10 L’attività concertistica a Brescia di Luigi Fertonani

pag. 11 Rock e dintorni:La scomparsa di Enzo Jannaccidi Rosario RampullaNuovi volumi sui Beatles di Piero TarantolaArmando Trovajoli: chi era costui?di Lorenzo Magno

pag. 14 Jazz: Segnalazioni discografichedi Giuseppe Gioacchini

pag. 15 Angelo Baselli e la “Ballata di uomini e cani” di Marco Paolini a cura di Carlo Bianchi

pag. 16 Curiosità sulla biografia di Arturo Benedetti Michelangeli di Alberto Chiari

pag. 18 Un’iniziativa di Luigi Fertonani per Punto Tv a cura di Giacomo Baroni

pag. 19 Spazio amatoriale: I quindici anni dell’Abmb a cura di Paolo Tesi A colloquio con il presidente dell’Uscia cura di Bona Pellizzari

pag. 22 Tra i libri:La storia nei programmi di saladi Carlo BianchiLa dimensione religiosa della musicadi Augusto Mazzoni

pag. 24 La musica nella letteratura: Fedele di Antonio Fogazzaro

Illustrazioni fuori testo:immagini di Enzo Jannacci

senza di una colonna dellospettacolo italiano come Raf-faella Carrà. In fondo le modepassano, ma lei no.

Al di là delle proprie prefe-renze in fatto di visione Tv, unacerta monotonia nelle propo-ste delle varie emittenti, pub-bliche, private, pay Tv, è undato di fatto. Mettere in mostratanti “talenti” espone al peri-colo di illudere che il talentosia una qualità innata, eredita-ta alla nascita, come l’altezzao il colore degli occhi, e che si

LA MUSICA NON VINCE

debba solo aspettare che pos-sa venire scoperto da qualcu-no. Forse ci si dovrebbe porre ildubbio che ai tantissimi che sipresentano alle selezioni perquesti format e al pubbliconon passi per nulla l’idea cheper coltivare e far maturare untalento ci si debba applicare,con tanto studio, sacrificio ededizione. Anche se sembrache qualcosa si stia muovendoin direzione contraria, se si ag-giunge il fatto che questi luo-ghi televisivi non si stanno pro-

I giudici di“X factor”

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allo scorso 8 di aprile Dino Santina è il nuo-vo presidente dellaAssociazione Artisti

Bresciani, carica fino a pochesettimane fa ricoperta da Va-sco Frati. Immaginiamo cheVasco Frati da persona intelli-gente e colta qual è abbiacercato un successore all’al-tezza e siamo convinti abbiafatto la scelta migliore.

Frati e Santina sono due figu-re particolarmente care alIa“Isidoro Capitanio” della qualesono stati presidenti, il primo,per alcuni anni, a partire dal1985, il secondo dal 1996 al2011. Entrambi hanno contribui-to in modo determinante allacrescita culturale e organizzati-va dell’Associazione. VascoFrati le ha conferito un impulsonotevole (proprio in un periodoin cui la “Isidoro Capitanio” vi-veva una situazione di stallo)culminato con la creazione e ilconsolidamento di BresciaMusi-ca. Dino Santina ne ha ancorpiù ampliato l’attività didattica,formativa, concertistica ed edi-toriale con la realizzazione diprogetti e iniziative che hannoattribuito maggiore qualità allapresenza della Banda cittadinanel tessuto culturale della città.

Ora insieme si dedicano al-l’Aab (Frati ne è divenuto presi-

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“Alfabetizzazione”

li anniversari (centenari, etc.)sono, come è noto, una buona occasione per richia-mare l’attenzione su qualcu-

no o qualcosa. Quest’anno, comeben sappiamo, è toccato a Verdi e aWagner. E per essi, opportunamente,le proposte di ascolto si sono infittite,con, collateralmente, la volonterosapartecipazione della cosiddetta cartastampata, con buone dosi di informa-zione e anche di discussione. Non di-sponiamo di dati che testimonino lepercentuali d’ascolto, di attenzione edi partecipazione. Resta perciò senzarisposta documentata l’eventuale do-manda che in proposito si potrebbeavanzare: quali dosi di richiamo rie-scono ad ottenere, presso il più largopubblico di possibili e augurabili fruito-ri, queste iniziative, questo “invito” aconoscere, a frequentare realtà di co-sì sovrana grandezza come, appunto,in questa occasione, Verdi e Wagner?

Non ci si accusi di snobistico pessi-mismo se affermiamo che non è il ca-so di farsi illusioni: la disattenzione, l’in-differenza, la “estraneità” rispetto a si-mili offerte sono presenti in modomassiccio. E non è un problema cheriguardi solo la musica. Pensiamo allacaduta di ascolti che, in Tv, hannoavuto le letture dantesche di Benigni(“letture” magari per più versi discuti-bili, ma certamente eccezionale stru-mento di divulgazione). Così ha com-mentato un cronista: “Agli italiani del-la Divina Commedia non gliene freganiente”. Diremo, più correttamente: sisono create le condizioni per cui inItalia la disattenzione per questi valoriè largamente diffusa.

Si dirà: ma è sempre stato così! Lacultura, in tutte le sue manifestazioni,è sempre stata una faccenda di mi-

noranze. Sì, è vero. E i tentativi di “al-fabetizzazione” – di diffusione capilla-re della cultura – non hanno mai avu-to molto successo. Fra i tanti guai dicui soffriamo, anche questo c’è, enon è detto che sia un male minore. Sipuò infatti sospettare, e magari con-vincercene, che tanta rozzezza, insi-pienza, caduta etica e civile cui assi-stiamo sia dovuta anche a questamancata “alfabetizzazione”.

Wagner ideologoe Wagner musicista

proposito di Wagner. Riaffio-ra sempre, nei suoi confron-ti, il disagio, anzi il fastidio, per il suo antisemitismo e per

l’uso che il nazismo ha fatto della suamusica in chiave pesantemente an-tiebraica. Abbiamo letto, in una pagi-na di un quotidiano dedicata a Wa-gner, “che la sua musica sia stata l’i-deale accompagnamento delle dot-trine naziste, non lo si può certo nega-re”. Ma è proprio così difficile chiarirequesta questione? Sì, non c’è dubbio,Wagner ha fatto proprie le tesi più roz-ze dell’antisemitismo che circolavanell’Europa (non solo in Germania)del sec. XIX. Ha scritto, in proposito,delle autentiche, e pesanti, scioc-chezze. Diciamolo allegramente: do-vrebbe vergognarsene. Tanto più chementre dava voce al suo antiebrai-smo coltivava amicizie con ebrei, ealle cui competenze volentieri si affi-dava. Ma è altrettanto vero che il suoantisemitismo era uno degli ingredien-ti dell’orizzonte ideologico ch’egliconfusamente andava elaborandonel corso degli anni. Un orizzonte ideo-logico nel quale c’è dentro un po’ ditutto. Abbozzi di socialismo e di anti-

capitalismo; l’oro – il denaro – comemaledizione; la mitologia germanicacome celebrazione della pienezzadell’umano; elementi di religiositàbuddista e cristiana (il peccato e la“redenzione”) etc. etc. Se non proprioconfusione, un agglomerato di spuntie di istanze certamente non coeren-temente organizzate e concettual-mente chiarite e fondate, rimaste allostato di suggestione, fonti di emozionie di “passioni” (per usare un parolache piaceva a Wagner, secondo ilquale gli ebrei non sono capaci di“passioni”, che sono invece il fulcrodell’anima germanica).

Ma Wagner era, invece, non c’èdubbio, un grande musicista, un “in-ventore” di magmi sonori che lo hanreso protagonista della storia dellamusica. Ed è per questo che, giusta-mente, Barenboim (ebreo), e poi an-che altri, sono riusciti, dopo anni di ri-fiuto, a eseguire la musica di Wagneranche in Israele. Perché – è importan-te rendersene conto - la musica nonè portatrice di ideologie, ma “espres-sione”, “voce” in cui si esprime lacomplessa molteplicità dell’umano.La Cavalcata della Walkirie è una pa-gina di dirompente e affascinanteenergia, anche se non crediamo nel-le Walkirie e nel Walhalla; l’Epicedio diSigfrido è una pagina di tragica in-tensità anche se non siamo dei culto-ri della germanicità nibelungica.

* * *Si potrebbe obiettare: ma Wagner

non è soltanto “musicista”; la sua mu-sica, se si eccettuano poche pagineminori, fa tutt’uno con il suo teatro, siidentifica quindi con vicende oggettodi narrazione scenica, con personag-

gi, “parole”, “idee”. È possibile pre-scindere da tutto ciò? Non c’è il ri-schio, pensando Wagner soltanto co-me “musicista” (come “organizzatoredi suoni” – per usare una definizioneche è cara a chi rifiuta di attribuire al-la musica altro significato che non siala totale purezza e autonomia del“suono” – che valgono indipendente-mente dal loro manifestarsi in fusionecon “altro”) di darne una lettura ridut-tiva, di impoverirlo o addirittura di tra-dirlo? Tanto più se ricordiamo che aWagner l’“altro” importava assai, e in-sisteva nel parlare di “opera totale”.Insomma, è lecito ascoltare il “suono”e trascurare tutto il resto? Estrarre dal-la “totalità” quel che può essereascoltato in un concerto sinfonico (laCavalcata della Walkirie, appunto; l’E-picedio di Sigfrido, appunto; e viaelencando)? Sì, il rischio c’è. Ma, aparte la legittimità di “antologizzare”Wagner per goderlo come “musicista”(non è un “tradirlo”), è sicuramentesempre opportuno “leggerlo”, “cono-scerlo” nella sua integralità , cioè nelsuo essere “uomo di teatro”, ancheperché, frequentando il suo teatro, siavverte che, sempre, è il “suono or-ganizzato” che soprattutto conta.Con esiti spesso di perfetta fusione frail “suono” e “tutto il resto” (l’“altro”).Per esempio, in assoluta continuità,nel Tristano. Però non sempre.

L’aveva avvertito Strawinski quan-do, un po’paradossalmente, ebbe adire che c’è più musica in La donnaè mobile di Verdi che in certe interescene wagneriane. Qualche volta, ef-fettivamente, il teatro wagneriano –sia pur detto con molta cautela – nonriesce del tutto persuasivo: sono so-prattutto i momenti nei quali la musi-ca fa da stampella all’enfasi ideologi-ca. Per fortuna solo talvolta.

al.m.

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DUE EX PRESIDENTI DELLA “ISIDORO CAPITANIO”

SANTINA DOPO FRATI ALL’AABD dente ononario), così come in-

sieme per molti anni si sonopreoccupati della vita della “Isi-doro Capitanio” di cui non si so-no dimenticati e nei confrontidella quale conservano ancoraun forte legame. Se c’è biso-gno del loro aiuto o di un loroconsiglio non esitano a offrirli.

Purtroppo anche l’Aab è sof-facata dalle problematicheeconomiche che ormai damolti anni rendono difficile lavita a molte associazione cultu-rali bresciane, compresa la“Capitanio”. Siamo però con-vinti che il nuovo presidente Di-no Santina con la sua energiasaprà rendere ancora floridal’attività di una delle associa-zioni più prestigiose e importan-ti della città. Di certo non man-cano gli stimoli culturali per su-perare una situazione oggetti-vamente difficile.

A Frati e Santina dobbiamodire grazie (non solo noi cheabbiamo avuto la fortuna diconoscere la qualità, il valoree l’efficacia del loro impegno)per la competenza, la passio-ne, la generosità e l’intelligen-za che hanno messo e checontinuano a impiegare al ser-vizio della città. A entrambi ilnostro più sincero augurio dibuon lavoro.

e.e.

Il 5 per mille per la “Isidoro Capitanio”L’associazione Amici della Banda cittadina di Brescia

per lo sviluppo sociale e sostenibile si impegna a sostenere tutte le attività

della Banda cittadina di Brescia.

Nell’apposita casella della dichiarazione dei redditiscrivete il codice fiscale

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Può essereconsiderato il più insigne compositore di song

de pizzicare. Un sistema quindiche prescinde dalla conoscen-za della lettura della musica eche favorirà una grande diffu-sione del liuto sia a livello ama-toriale sia a livello professionisti-co – in realtà si trovano moltissi-me intavolature per liuto digrande difficoltà esecutiva.

Le parti vocali, che solita-mente erano pubblicate in setdi fascicoli di ridotta dimensio-ne, nelle stampe di Dowlandsono raccolte in un unico volu-me di grande formato: in duefacciate accostate le singoleparti trovano posto distribuen-dosi circolarmente sui quattrolati, così che gli esecutori potes-sero leggere tutti insieme posi-zionandosi circolarmente intor-no a una superficie d’appog-gio. Le composizioni potevanoessere eseguite in molti modi di-versi: un cantante poteva ese-

guire la melodia principale e unliutista accompagnarlo se-guendo l’intavolatura oppurepoteva essere eseguita a quat-tro voci senza liuto o ancoracon strumenti ad arco a sostitui-re o a raddoppiare le voci.

I song sono spesso composi-zioni strofiche, molte usano ritmie modelli di danza, e alcune diqueste sono delle vere e pro-prie rielaborazioni di danze perliuto già esistenti, fattore checontribuì sicuramente al lorosuccesso. Esempi possono esse-re Can She Excuse my Wrongscomposta sul tema dell’ariatradizionale The Woods so Wildoppure sul tema della cosid-detta Frog Galliard il song Now,o now, I needs must part. Dow-land fu tra i primi a comprende-re le potenzialità dell’utilizzodello strumento solista, elemen-to che, insieme agli aspetti piùmadrigalistici e contrappuntisti-ci del suo stile, emerge già conla seconda raccolta, nellaquale i song diventano piùspiccatamente solistici.

Nel Second Booke of Songsor Ayres (1600), Dowland lasciaintendere che le prime compo-sizioni siano per strumento solo,per viola da gamba e liuto. Illato “semper dolens” di Dow-land è sempre più marcato e

proprio qui compare la versio-ne a song della celebre Lachri-mae, che inizia con le mesteparole “Flow my Tears”. Il com-positore era così legato a que-sto tema da firmarsi occasio-nalmente come “Jo. Dolandide Lachrimae”. Si suppone chealla versione solo strumentaledi Lachrimae pavane scrittanel 1596 furono poi aggiunte leparole, un testo forse dello stes-so Dowland. Le Lachrimae so-no una musica più astratta ri-spetto ad altri brani basati suforme di danza; le singole frasimusicali inoltre tendono a esse-re molto più tese e lunghe, e distampo prettamente imitativoe contrappuntistico. Le versionistrumentali di Dowland di que-sto brano includono anche laversione per liuto solo, Lachri-mae e Galliard to Lachrimae, euna versione per consort stru-mentale, Lachrimae antiquae(1604). Dowland inoltre pub-blicò Lachrimae, or SeavenTeares (Londra, 1604), una col-lezione di musica per concertiche includeva un ciclo di setteLachrimae pavane basate sulmotivo strappalacrime.

Lachrimae è l’unica raccol-ta che presenta sette pavanesul tema omonimo. Le danzesono collegate tra loro da unmotivo discendente di quattronote – il tetracordo discenden-te frigio la-sol-fa-mi – e si richia-mano a vicenda grazie a unraffinato gioco di relazioni ar-moniche. Tutte prendono av-vio dall’incipit della melodia efanno pensare nella loro scrit-tura allo stile della canzone so-listica con accompagnamen-to. Dowland dedicò Lachri-mae alla regina Anna di Dani-marca (la moglie di Giacomo Ie sorella di Cristiano IV). La de-dica fa pensare, anche per-ché potrebbe in un certo esse-re una rappresentazione deltrasferimento di alcuni artisti in-glesi presso la corte danese,come accadde anche per ilcompositore William Brade e illiutista Daniel Norcombe.

* * *In effetti già nel 1595 Dow-

land aveva inviato una letteraa Sir Robert Cecil dove, fra le al-tre cose, affermava di aver ri-nunciato al credo cattolico, equesto forse gli facilitò un defi-nitivo ritorno in patria. Dopo al-cuni anni trascorsi tra Germa-

nia e Italia, nel 1598 ottenne unincarico come liutista di cortedi Cristiano IV di Danimarca,peraltro con uno stipendio al-quanto cospicuo. Godeva an-che di molte libertà, e infattitrascorse più di un anno in In-ghilterra nel 1603-04, quandopubblicò Lachrimae. Le lungheassenze dalla corte danese fu-rono una delle cause del suo li-cenziamento, avvenuto nel1606, quando finalmente tornòstabilmente a Londra. Alla pub-blicazione di Lachrimae, Dow-land era un famoso liutista di fa-ma europea. Ne è testimonian-za anche il fatto che Dowlandnon pubblicò praticamentenulla per liuto solo, ma altri nonsi fecero remore a farlo per lui.Nella prefazione della raccoltadelle sette pavane su Lachri-mae, Dowland dichiara di esse-re incappato in diverse edizionidelle proprie composizioni perliuto, pubblicate senza il suo no-me e il suo consenso: ecco allo-ra la pubblicazione proprio del-le Lachrimae, raccolta avallatadal compositore.

Nel 1612 Dowland, nella pre-fazione della sua ultima opera,A Pilgrimes Solace, viene de-scritto come il liutista di LordWalden e nell’ottobre dellostesso anno ottenne l’incaricodi liutista del re. Dowland si au-todefinisce spesso “semper do-lens” e “infelice inglese”. Nellaprefazione di A Pilgrimes Sola-ce, raccolta dal clima sommes-so, sembra presentarsi un uomoche si sente una vittima del suotempo e alla quale non è dimo-strata alcuna stima: Dowland silamenta infatti del proprio statodi abbandono, per le critiche dichi lo riteneva ormai un com-positore dallo stile superato, eper un giudizio di Tobias Hume,virtuoso di viola in un periododominato dal liuto: secondoHume la viola poteva eseguiremusiche più varie di quanto po-tesse fare il liuto. Sembra cheDowland abbia smesso di com-porre proprio in questo periodo;infatti le forme della sua musicaper liuto, come la fantasia, lapavana e la gavotta, divenne-ro ben presto fuori moda allacorte di Giacomo I.

Alcuni brani liutistici conte-nuti in A Pilgrimes Solace sonomolto introspettivi. Gli ultimi trebrani furono scritti per il ma-sque nuziale durante le cele-brazioni del matrimonio traTheophilus, Lord Walden (il pa-trono di Dowland) e Lady Eliza-beth Home nel marzo 1612. Ladeclamazione qui sembra pre-varicare la melodia e le partistrumentali richiamano l’ac-compagnamento di un conti-nuo. Compaiono nel contem-po anche danze dalle armo-nie vivaci, graziose e leggere,e lunghe linee melodiche, dalgrande impatto drammatico.

Nella raccolta Musicall Ban-quet (1610) di Robert Dowland,suo figlio, compaiono tre branidi John. In Darkness Let MeDwell, scritto probabilmentenel 1606, presenta un accom-pagnamento irrequieto e lineevocali lunghe e sostenute, finoa culminare nel silenzio finale,elemento che testimonia co-me Dowland abbia esploratotutti i limiti dello stile polifonicoe si sia spinto fino a una inten-sità espressiva che non si pre-senterà in Inghilterra almeno fi-no a Purcell.

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JOHN DOWLAND (1563-1626)

SEMPER DOLENSdi PAOLA DONATI

uello che si conoscedi John Dowland lo si può apprendere principalmente dal-

le pubblicazioni delle sue ope-re. Nato nel 1563, qualcuno so-stiene di origini irlandesi, qual-cuno di Westminster, studiamusica fin da bambino, quan-do è avviato alla pratica delliuto, strumento di cui divenneben presto un professionista.

Nel 1580, all’inizio della suacarriera si trasferì a Parigi, cittànella quale si recò al seguito diSir Henry Cobham e proprionella capitale francese si con-verte al Cattolicesimo, fattoche segnerà decisamente ilsuo futuro. Nel 1588 ottenne in-sieme a Morley il baccellieratoin musica all’università diOxford, ma non si sa altro dellesue attività prima del 1594,quando gli fu negato un postoalla corte inglese proprio per-ché di credo cattolico.

Lasciò l’Inghilterra alla voltadell’Italia, tornando per alcuniperiodi a Londra. Dowlandpubblicò comunque nella ca-pitale inglese la sua prima rac-colta di musica, The First Bookof Songes or Ayres (1597). Fu unimmediato successo: la gran-de popolarità di cui Dowlandgodrà può essere testimoniataanche dalla diffusione di que-sta raccolta, della quale sonopervenute fino a noi cinqueedizioni, e la pavana Lachri-mae in essa contenuta è spes-so presente nelle rappresenta-zioni teatrali inglesi. Inoltre,questa prima raccolta serviràanche da esempio compositi-vo e stilistico per altri musicisti alui coevi o di poco posteriori.

Dowland può essere consi-derato il più insigne tra i com-positori di song, termine concui si indica una struttura moltosemplice, in cui si elabora untesto poetico di scarsa lun-ghezza che sarà poi eseguitoda un cantante solo o accom-pagnato da formazioni etero-genee. Per quanto riguardal’Ayre, anche qui Dowland puòessere considerato tra i fonda-tori di questo genere, che inepoca elisabettiana consta inuna composizione polifonicaa 4 o 5 voci oppure in unacomposizione monodica conaccompagnamento di liuto; inentrambi i casi generalmentela voce più importante è quel-la superiore.

Le composizioni di Dowlandsono originali, emotivamenteintense. Sono molte le tecnichecompositive utilizzate, come l’i-mitazione e l’illustrazione musi-cale delle parole del testo ver-bale – aspetti che derivano dallinguaggio madrigalistico – el’inserimento di effetti dramma-tici con l’uso di passaggi decla-mati. Accanto a testi moltomelanconici troviamo anchebrani dai toni più leggeri.

* * *Le raccolte di Dowland sono

anche le prime pubblicazioni dicomposizioni inglesi per liuto eper la prima volta fu usata nel-la stampa la scrittura in intavo-latura, tipica di questo stru-mento: non si indicano le notesu un pentagramma, bensì sirappresenta graficamente ilmanico dello strumento e si in-dicano solo il ritmo da seguire,quali tasti premere e quali cor-

QANNIVERSARI

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go, illustrando, oltre al caratte-re ideologico-sociale del ciclo,il recupero del mito che in essoavviene, nonché l’ambiente fi-sico che doveva rendere ilpubblico partecipe del rito –descrizioni e immagini del tea-tro di Bayreuth. Accenni dun-que al Gesamtkunstwerk wa-gneriano, parola, suono e dram-ma che “a differenza dell’ope-ra lirica italiana e francese pre-cedente devono avere un ruo-lo paritario già a livello di pro-gettazione”. La scrittura dei te-sti da parte del compositore di-viene cruciale. La tecnica delLeitmotiv ha suggerito infineanalogie rispetto altri campidella narrazione – Il gattopar-do di Luchino Visconti e laMontagna incantata di Tho-mas Mann.

* * *Nella seconda conferenza,

Ermanno Paccagnini ha parla-to dei modi in cui Verdi si rap-portava ai vari Solera e Cam-marano, Piave e Ghislanzoni,fino a Boito; in che misura lescelte degli argomenti e lastruttura del libretto dipendes-sero dal compositore o nonpiuttosto dai librettisti, i rappor-ti fra l’opera e le fonti lettera-rie, la lotta di Verdi per ottene-re ciò che voleva da un puntodi vista drammaturgico, i suoinumerosi interventi, a partireda quando si rese conto di es-sere non solo musicista bensìpadrone della scena musicale– “Verdi torturatore dei suoi li-brettisti”, notava caustico Ro-berto Gazich nella presenta-zione. Paccagnini infatti ha de-lineato dapprima una sorta ditimore reverenziale di Verdi neiconfronti dei librettisti, per giun-gere a un ribaltamento deiruoli in cui Verdi diviene Deusex machina.

Paccagnini ha poi accen-nato agli aspetti umani dietroqueste collaborazioni – gli at-teggiamenti reverenziali di So-lera quando egli in forte diffi-coltà si rivolge a Verdi – non-ché al ruolo della personalità

come Il mulino del Po o I mise-rabili o i Fratelli Karamazov li co-nosce appunto in Tv. Così, nel-l’Ottocento il melodramma èuna cinghia di trasmissione a li-vello popolare per i grandi ro-manzi, dall’Ernani ai Lombardia I masnadieri. Meglio ancorase, come nel caso della Travia-ta, il romanzo ha già avuto unariduzione teatrale”.

L’operazione insomma, qua-le che sia il rapporto tra Verdi ei librettisti, è quella di trovareuna funzionalità drammaturgi-co-musicale all’interno di unariduzione che allo stesso tem-po mantenga elementi fonda-mentali del romanzo. Elencan-do i vari tipi di rapporto Verdi-li-brettista, Paccagnini non haomesso il caso in cui i versi sonosemplicemente brutti e Verdichiede, ad esempio ad An-drea Maffei per il Macbeth, difarli diventare belli. Un ritornoimperioso della figura del li-brettista avviene con Boito, loscapigliato, che nello scritto Al-l’arte italiana Ode saffica conil bicchiere in mano dà a Verdidel “vecchio e cretino”, salvopoi riallacciare un rapportoche porterà all’Otello e al Fal-staff. Il difficile rapporto con lascapigliatura ha chiuso l’inter-vento: Ghislanzoni e l’Aida,con un Verdi che costruisce il li-bretto e poi dice a Ghislanzoni:“Adesso fai in versi quello cheio ho già scritto in prosa”.

* * *Paolo Bolpagni ha preso

spunto da dove Gazich avevaconcluso, cioè dal Gesamt-kunstwerk wagneriano, perparlare dell’influenza di Wa-gner sulle espressioni figurativenell’Europa di fine Ottocento.Influenza notevole, determina-ta non solo dalla potenza evo-cativa delle opere di Wagner,ma appunto dall’ideale di“opera d’arte totale” che Wa-gner elaborò nei saggi teorici emise in pratica nelle realizzazio-ni teatrali “pur con tutti i limiti ei ‘tradimenti’ del caso”. Wa-gner era autore dei testi dellesue opere ma anche delle di-dascalie delle partiture, in cuidescriveva con grande preci-sione ambientazioni ed effettiluminosi, esercitando così uncontrollo totale sul risultatoestetico complessivo. Di con-seguenza “l’azione del para-digma wagneriano assunse im-mediatamente svariate con-

oli dedicati da Hans Makart al-la Tetralogia. Ma fu dopo lamorte del compositore nel1883 che si sviluppò un’autenti-ca moda iconografica wa-gneriana. Il critico Teodor DeWyzewa teorizzò in Francia l’e-sistenza di una vera e propria“pittura wagneriana”. La raffi-gurazione dei miti nibelunghicie di motivi e personaggi trattida Lohengrin e Parsifal ne co-stituiva un aspetto fondamen-tale. In seguito mostre, libri esaggi sono stati dedicati aquesto singolare filone artisticoche investì l’Europa fin de sié-cle. Bolpagni ha citato Lenba-ch, von Max, Makart, Stassen,Fantin-Latour, Redon, Delville,de Groux, Egusquiza, Beard-sley, Kandinskij, “persino l’inso-spettabile Klee”.

Ma il cuore della conferenzaè stata l’Italia, dove questi ar-gomenti sono stati poco af-frontati sia a livello di studio siadel reperimento di opere, “manel mondo artistico italiano difine Ottocento non era affattomancata una ricezione dell’i-deale estetico wagneriano”.Bolpagni ha indicato un consi-stente corpus italiano di dipinti,incisioni, illustrazioni, disegni esculture ispirate ai drammi wa-gneriani. Da Vespasiano Bigna-mi a Cesare Viazzi (la Cavalca-ta delle valchirie 1911), da Gio-vanni Battista Carpanetto adAdolfo Magrini, da Achille Bel-trame ad Aroldo Bonzagni,Giovanni Costetti, LodovicoPogliaghi, Adolfo De Carolis,Eugenio Prati, Giuseppe Palan-ti, Adolfo Wildt (il Puro folle -Parsifal del 1930).

Infine, i due veri protagonistidel “wagnerismo” nelle arti inItalia: Lionello Balestrieri (1872-1958) e Mariano Fortuny (1871-1949). Il primo, realizzò dipinti estampe all’epoca popolarissi-me: Il Crepuscolo degli Dei,Parsifal, Tristano e Isotta, Lawalkiria, Tannhäuser, Morte diTristano, Parsifal nel tempioetc. Mariano Fortuny nel suoCiclo wagneriano creò qua-rantasette dipinti e numeroseincisioni e studi scenografici.Più tardi i bozzetti per la Valchi-ria che sarebbe stata allestitaalla Scala nel 1950, diretta daFurtwängler. Bolpagni ha con-cluso definendo la moda delwagnerismo una delle rivela-zioni più tipiche dello spirito finde siécle “fra tardo-naturali-smo, simbolismo e liberty”.

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uest’anno gli “Incon-tri del Foyer” al Tea-tro Sociale di via Cavallotti sono ini-

ziati nel segno di Wagner e Ver-di. La prima sezione era intitola-ta infatti “Celebriamo i due bi-centenari” ed era costituita dadue conferenze, “Wagner e latragedia classica” e “Verdi e isuoi librettisti”, tenute rispettiva-mente da Roberto Gazich il 22gennaio e da Ermanno Pacca-gnini il 5 febbraio. A Wagner èstato dedicato un ulteriore ap-puntamento con Paolo Bolpa-gni il 19 marzo: “Wagner e ilwagnerismo nelle arti visive”.

La conferenza di Gazich, cu-ratore dell’intera rassegna, toc-cava un tema che per certiaspetti era già stato affrontatodal noto latinista e grecista bre-sciano l’anno scorso, ovvero ilritorno della tragedia e dellacategoria storico-estetica deltragico nell’epoca moderna.L’assunto da cui parte Gazichper incentrare questa prospetti-va interdisciplinare su Wagner èche lo stesso compositore ab-bia per primo “invaso il campodegli altri” dando alle stampe,oltre alle sue opere, anche unaproduzione letteraria e saggisti-ca imponente: molti volumi discritti, un ricco epistolario, mi-gliaia e migliaia di pagine “cheindicano un raro spessore intel-lettuale in un compositore”.

Dapprima Gazich ha eviden-ziato come il pensiero e l’operadi Wagner abbiano svolto unruolo importante nella storiadella cultura in generale, adesempio per i romanzi di Tho-mas Mann “che senza il filtro diWagner non possono esserecompresi né a livello di conte-nuto né di metodo” e ovvia-mente per la figura di Nietz-sche “che in Wagner trovò lostimolo per abbandonare la fi-lologia classica e diventare il fi-losofo da cui dipende tutto ilpensiero del Novecento”.

Proprio Nietzsche dunque haofferto il destro per toccare iltema del tragico. I passi diNietzsche riportati da Gazichindicavano infatti come il filo-sofo riconoscesse in Wagner“un Eschilo redivivo” e comeegli, da grande esperto sia diWagner che di Eschilo, nonavesse sbagliato il paragone.Quando Wagner e Nietzsche siincontrarono alla fine degli an-ni Sessanta l’interesse precipuoper entrambi era appunto perla tragedia. Nietzsche la stavastudiando, mentre Wagner vo-leva riportare lo spirito della tra-gedia antica nella Germania enell’Europa di metà Ottocento.“A noi sono rimasti solo i testi;ma la tragedia, come ripeteràNietzsche, era parola, musica eazione teatrale, riverberate dalcoinvolgimento vibrante deglispettatori, coscienti di parteci-pare a un rito della polis. È que-sto ciò che Wagner ha cercatodi ricreare”.

Gazich ha identificato la “ri-creazione” wagneriana nellaTetralogia L’anello del nibelun-

dei librettisti nel passaggio frale varie fasi della produzioneverdiana, in particolare il pas-saggio dalla collaborazionecon Solera, personaggio bohè-mien del tutto risorgimentalecon cui Verdi musica il Nabuc-co e i Lombardi alla prima cro-ciata, alla successiva collabo-razione con Piave: “Lui che in-vece ha un carattere mite e in-troverso introduce una varian-te nella librettistica di Verdi, sipassa dalle vicende con tantipersonaggi e masse corali auna dimensione molto più con-tenuta, intimista, fatta di affet-tuosità fra personaggi menonumerosi”.

Non è mancato un riferimen-to alla funzione divulgativa delmelodramma rispetto alla fonteletteraria: “Mi piace pensare al-l’opera lirica nell’Ottocento co-me agli sceneggiati televisivi diBolchi nel dopoguerra – dicevaPaccagnini – quando si diffon-de la televisione ma l’analfabe-tismo è ancora grande, moltagente non legge, e i romanzi

ANNIVERSARI

Q

TRE CONFERENZE NELL’AMBITO DEGLI “INCONTRI” AL TEATRO SOCIALE

AL FOYER CON WAGNER E VERDIdi CARLO BIANCHI

Relatori Roberto Gazich, Ermanno Paccagnini ePaolo Bolpagni

notazioni anche sulversante iconogra-fico e nella ricercadi una fusione trapittura e musica”.

Un filone figura-ti-vo ispirato ai dram-mi wagneriani risali-va agli anni Sessan-ta dell’Ottocen-to(Michael Echter eHenri Fantin-Latour),o ancora più addie-tro (Anselm Feuer-bach), per prosegu-re con il ciclo degli

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però spegnerne lo spirito criti-co e amaramente realista. Èuna cultura nella quale i giova-ni si sentono a disagio, eredid’un passato di eroi politici e ti-tani artistici in un mondo nuovoche ha il profitto e l’ordine co-me nuovi ideali.

La società che è cambiatamodifica anche i rapporti fra legenerazioni, giacché Rossini, ilNapoleone della musica, com-pone prevalentemente fra gliultimi strascichi imperiali dellaRivoluzione e le tormentate vi-cende della Restaurazione perun teatro di organizzazione im-presariale. Verdi pure inizia lacarriera trattando con gli im-presari per poi tenere a batte-simo il nuovo sistema editorialee i suoi eredi non saranno più inrapporto con un Barbaja o un

appena composto La forza deldestino per S. Pietroburgo. Boi-to, di vent’anni più anziano, hapotuto vivere quest’epocacon altra consapevolezza, conl’irrequietezza intellettuale delgiovane scapigliato dal genioindomito: ribellarsi all’ingom-brante generazione dei padricon spirito arguto, vulcanico,guarda lontano con ambizio-

ne e porta a compimentoun’unica opera, Mefistofele,che però racchiude in sé tuttele contraddizioni di cui, nel be-ne e nel male, il suo tempo èportatore più o meno consa-pevole. Come il giovane Car-ducci, che inneggia a Satana,ma poi troverà comoda siste-mazione quale cantore ufficia-le del nuovo Regno. Boito restaun intellettuale sui generis, siriappacifica con Verdi, ma nonè un accomodamento, bensì ilreciproco riconoscimento didue grandi dal cui incontro na-scono capolavori (Falstaff eOtello, ma anche la revisionedel Simon Boccanegra). Verdistesso, d’altra parte, non è cer-to un uomo del nuovo ordineborghese, è un uomo d’antichiideali mazziniani poco propen-so a mescolarsi con il modernogioco del potere.

Se non più difficile, certo piùdisorientata è la condizionedei nati a cavallo dell’Unità,fra i quali solo Puccini avrà laforza di ergersi realmente, pie-namente fra i grandi musicistidi respiro europeo.

Gli altri compositori dellaGiovine Scuola si guardano in-torno, non attendono dagli im-presari i libretti, ma hanno im-parato (da Verdi, in gran parte,quando non direttamente daldemiurgo Wagner) a cercareda sé la propria strada, a trat-tare con poeti, drammaturghied editori direttamente, dapari a pari. Più liberi, più auto-nomi, ma anche più soli, si tro-vano alle spalle il cigno di Bus-seto e quello di Bayreuth, de-vono fare i conti con il Trovato-re e Tristano, con Aida e con ilRing, né possono più vivere al-la loro ombra, come per esem-pio un Ponchielli (1834-1886) oun Lauro Rossi (1810-1885). De-vono appropriarsi del mondo,crearne uno proprio.

Mascagni è un toscano ri-belle, un po’ come Puccini,ma a differenza di questi nonha una tradizione musicale infamiglia e segue studi musicaliirregolari nella sua gioventùbohèmienne. Poi, nel 1890, l’e-sordio folgorante: Cavalleriarusticana trionfa al concorsoindetto da Sonzogno per unanuova opera e subito trionfasui palcoscenici. La scelta delsoggetto era perfetta, sullascia anche del successo riscos-so dalla trasposizione teatraledella novella di Verga, prota-gonista Eleonora Duse. I temisono i più melodrammaticipossibile: amore, gelosia, tradi-mento, onore, seduzione, af-fetti familiari. Difficile pensare aqualcosa di maggior presa sulpubblico, soprattutto ora chenon sono più iscritti in cornicistoriche o fantastiche, ma nel-la quotidianità contempora-nea. La borghesia post 1789amò rispecchiarsi nell’operasemiseria, ora quella dell’Italiapost risorgimentale si diverte aosservare il popolo e a imme-desimarsi in esso. Quasi unanuova versione dell’Arcadia in-scenata dall’aristocrazia an-cien régime: un’Arcadia sen-suale e sanguinosa, dramma-turgicamente perfetta nellasua concisione che addiritturapare migliorare per incisivitàl’originale teatrale verghiano(più dispersivo rispetto alla ful-

segue alla pagina 7

bresciaMUSICA6 - ANNIVERSARI

PIETRO MASCAGNI (1863-1945)

TOSCANO RIBELLEdi ROBERTA PEDROTTI

ascere esattamente cinquant’anni dopo Verdi e Wagner (e cin-quanta prima di Brit-

ten) significa trovarsi in una po-sizione senza dubbio scomodaper il ricordo dei posteri, maanche e soprattutto apparte-nere a una generazione di arti-sti destinata a confrontarsi conun’eredità pesantissima e unmondo profondamente cam-biato rispetto a quello dei loropadri.

È naturale che ogni età sitrovi a doversi confrontare conil passato, ma la metà dell’Ot-tocento vede compiersi l’epo-ca delle rivoluzioni costituen-do, dopo decenni di lotte emutamenti, una nuova so-cietà, con una nuova classedirigente identificata con nuo-ve idee di nazione. La Storia ècambiata: la generazione diVerdi viveva i risorgimenti euro-pei, e dunque il confronto conil titano Rossini era anche quel-lo di tutti i loro coetanei con laRivoluzione e la Restaurazione,con l’età di Napoleone e degliultimi avanzi e sussulti dell’an-cien régime. Ma la gioventùdell’Italia unita non ha più nul-la per cui combattere, e, co-me gli ateniesi figli dei marato-nomachi o i nostri compatrioticresciuti dopo la Resistenza,come ogni generazione venu-ta dopo una grande battaglia,devono conquistare una pro-pria identità.

Le nazioni borghesi e capita-liste sorte dai movimenti dellaprima metà del XIX secolohanno bisogno di un’arte chele rispecchi e non le contraddi-ca; hanno bisogno di crearegenerazioni di giovani formatiin funzione del loro ordinamen-to. È la cultura che Nietzschebolla come filistea rinnegandoil Wagner che da rivoluzionarios’era fatto amico dei potentinel nuovo Reich del pragmati-smo bismarkiano e dei sogni diLudwig. È la cultura che ufficia-lizza Verdi, lo elegge a simboloe lo vuole in parlamento, senza

Dopo Cavalleria un percorso variegato e tortuoso

N

Merelli, ma divisi fra contratticon Ricordi, Sonzogno e Luc-ca. La nuova produzione restaviva, ma cresce anche il con-cetto di repertorio, di ripresaregolare di una rosa più o me-no ampia di titoli favoriti: dun-que il mercato, il rapporto conuna critica sempre più specia-lizzata – ma anche sempre piùspesso legata agli interessi de-gli editori – e con il pubblico so-no mutate, e muteranno an-cora, di lì a pochi anni, con l’in-venzione e la crescente diffu-sione dei sistemi di registrazio-ne e riproduzione del suono.

* * *Mascagni nasce a Livorno

nel 1863, l’Italia s’è appenafatta, di lì a poco anche Romasarà parte del Regno, Verdi ha

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tura e non è questo il luogo perindagarli approfonditamente.Certo, restando alla mera que-stione artistica, gli esiti dellaproduzione mascagnana si di-ramano in diversi rivoli fra solu-zioni interessanti e perfino affa-scinanti e, all’opposto, delusio-ni e fallimenti, inseguendosempre non solo il successo pri-migenio, ma anche l’affranca-mento, il superamento di quelsuccesso.

Mascagni, emblema di unagenerazione in cerca d’iden-tità e affermazione, è un musi-cista non accademico, istinti-vo, compositore ma anche di-rettore d’orchestra di buonacarriera quando questa figuraprofessionale comincia a deli-neare definitivamente la suaautonomia. Guarda, cometanti suoi coetanei, al mondodel café chantant, alle nuoveforme più popolari, quandonon commerciali, di teatro mu-sicale, tenta la strada dell’ope-retta con la piccante Sì, storiadella donna che non sa dire dino a nessun uomo. Accogliecon lungimirante entusiasmo lanascita del cinema e realizza lacolonna sonora originale di Ra-psodia satanica di Nino Oxilia: ilfilm è un capolavoro dominatoda Lyda Borelli, ma è anche ilprimo per il quale siano com-

poste appositamente musichepensate per accompagnare insincrono perfetto la proiezione.Sancisce dunque la nascita diun genere che vedrà brillarenel mondo compositori italianicome Rota e Morricone. Ancoroggi il film è proposto con ese-cuzioni dal vivo della partitura,come avvenne proprio a Bre-scia pochi anni fa in dittico conCavalleria rusticana.

Tanto eclettismo, tanta in-quieta curiosità, tanto deside-rio di rivalsa segnano il cammi-no di chi è nato in un mondonuovo, senza battaglie d’artee ideali ma con padri titanici ascrutare dall’alto, di chi ha col-to a ventisette anni un succes-so epocale mai più ripetuto. Lafama è giunta, sempre all’om-bra del primo capolavoro, acoronare la vicenda emble-matica del giovane toscano ri-belle, dal genio inquieto, infinericonosciuto fra gli artisti più in-signi d’Italia da un regime desi-deroso di prestigio. Cosa poi illivornese Pietro, sanguigno eanarchico, pensasse veramen-te resta un mistero, il mistero diun artista che ha visto l’Italiaappena nata crescere, insan-guinarsi in due guerre e vende-re l’anima (momentaneamen-te, ma con conseguenze dolo-rose ancor oggi) a una dittatu-ra, per poi morire all’indomanidella Liberazione. Il mistero delcompositore di una sola operache pure ha esplorato ognipossibilità nella sua carriera dimusicista.

Forse la sua identità risiedepiù nella vasta produzione tea-trale, sinfonica, sacra e vocaleche seguì il capolavoro verista,eppure questo resta il principa-le testimone e testamento arti-stico di Mascagni, magari mal-trattato da una tradizione cheha spesso confuso il verismocon un becero effettismo, maanche rivelato da interpreti ebacchette intelligenti nella suaessenza di lucida lettura delmondo reale, di un naturalismoche non rinnega la poesia.

bresciaMUSICA - 7segue dalla pagina 6

minante novella). E, pure, conlo spazio per grandi romanzeaccattivanti, e per quel pizzicodi folklore corale che profumad’agrumi e di antichi rituali pa-squali.

* * *Sì, Cavalleria rusticana ha

tutto per piacere al pubblico,ma Mascagni e i suoi librettistiMenasci e Targioni-Tozzetti nonsi limitano ad appagare unadomanda commerciale: l’o-pera funziona perché ben co-struita, perché coglie la stradadella nuova poetica veristaadattandola alla natura delteatro musicale, perché com-prende perfettamente lo spiri-to dei tempi, l’evoluzione del-l’opera e ne dà un’interpreta-zione originale, compiuta, con-cisa, perché dà una rappre-sentazione archetipica dellepassioni umane in un contestoreale eppure sospeso nel tem-po.

Il miracolo però non si ripe-terà: Mascagni si può alloradefinire il compositore di unasola opera? Un artista che haindovinato un formidabile de-butto destinato a non ripetersi?Certo, quando tenta la stradadi una seconda Cavalleria i ri-sultati sono per lo più deluden-ti. La strada tracciata in origineera già tanto netta che ogniaggiunta suona falsa o super-flua: un esempio è Amica, sto-ria di un’orfana contesa dadue fratelli fino alla tragedia,opera decisamente sfortuna-ta, debolissima nella dramma-turgia. Va un po’ meglio, manon troppo, con I Rantzau, fai-da familiare a lieto fine.

L’opera verista conta duecapolavori, Cavalleria rustica-na e i Pagliacci di Leoncaval-lo, alla cui ombra sorgono, inun terreno difficile e poco fe-condo, per lo più una miriadedi imitazioni senza un’autenti-ca evoluzione, pochi testi real-mente vitali. La Giovine Scuola

tenta con più fortuna altre stra-de, come quella del drammastorico o esotico, cogliendo lemode del tempo che dalla let-teratura del popolo, dei campie delle fabbriche ora guardaalle leggende, alle lontanesensualità, al medioevo goti-co. Proprio percorrendo que-ste strade l’eclettico e ambi-zioso Mascagni esplora soluzio-ni che il tentativo di ripetere ilsuccesso di Cavalleria gliavrebbe precluso. Continua aricercare, a lavorare sulla scrit-tura orchestrale, sempre piùdensa e articolata, e su unavocalità drammatica, spessotesa com’è quella di Folco del-l’Isabeau, terrore dei tenori.Inevitabilmente la sua genera-zione subisce il fascino delcromatismo wagneriano, delWort-Ton-Drama, e ne trae ispi-razione per costruire una pro-pria identità.

Puccini ci riuscì, dimostran-dosi personalità distinta, nonimitatore ma grande fra i gran-di. Mascagni ci provò misuran-dosi con la monumentale tra-gedia dannunziana di Parisina,con il suo medioevo perverso esensuale, o con il Giapponeesotico ed erotico di Iris, leg-genda liberty della fanciullarapita da un perverso libertinoe mutata in fiore con la morte.

O Isabeau, principessa costret-ta a cavalcar nuda per il bor-go, con il solo ardente Folco aviolare il divieto di posare gliocchi su di lei: ancora leggen-da, ancora medioevo, comenella cupa vicenda scozzesedi Guglielmo Ratcliff. Quandoresta nella quotidianità amaanche l’elegia, delicata comeè quella dell’amico Fritz e delsuo tenero amore per Suzel olacrimevole, come nel casodell’orfana olandese Lodolet-ta, innamorata del pittore ebenefattore Flamand. Oppuretorna all’opera buffa, allacommedia dell’arte, con Lemaschere.

* * *Un percorso tanto variegato

e tortuoso, ambizioso ed eclet-tico, non può non destare undibattito critico tuttora inesau-sto fra detrattori e sostenitori,che accusano i primi di pre-concetti intellettuali e politicicontro il verismo e l’ufficializza-zione che molti compositoridella generazione di Mascagnie di quelle immediatamentesuccessive ricevettero dal regi-me fascista. Il problema dell’a-desione più o meno convinta,dell’indifferenza o dell’avver-sione alla dittatura è ancoraaperto per molti uomini di cul-

ANNIVERSARI

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La London Symphony Orchestra e Sir Antonio Pappano

secolo di vita del Festival. “Sen-za dubbio – spiega il maestroOrizio – ci sono stati grandicambiamenti. Per esempio,nel Novecento non era difficileaccertare tra i grandi pianistichi avesse una vocazionebeethoveniana e chi invece sitrovasse più a suo agio conChopin. Se guardiamo ai pro-tagonisti del Festival nelle edi-zioni storiche metterei ClaudioArrau tra i primi e Nikita Maga-loff tra i secondi. Oggi non ve-do più veri discendenti né diArrau né di Magaloff. Sembra-no scomparsi i beethovenianipuri e gli chopiniani puri. I mas-simi pianisti del nostro tempohanno altre caratteristiche, illoro dominio tecnico è sbalor-ditivo, ma tendono a concen-trarsi su repertori ristretti, per

mero delle note sbagliate erapari a quello delle note giuste.L’ideale del “concerto perfet-to”, un tempo forse alla porta-ta del solo Arturo BenedettiMichelangeli, oggi si realizzasempre più spesso. D’altra par-te è un peccato non riscontra-re più la generosità straordina-ria di Magaloff. Credo inoltreche lo stesso virtuosismo, oggicosì evoluto, dovrebbe pursempre essere in grado di su-scitare forti emozioni. Pertantonon mi dispiacerebbe se inconcerto si recuperasse l’emo-zione del rischio, anche a co-sto di sbagliare qualche nota. Igrandi campioni di salto in al-to, prima o poi, fanno caderel’asticella, ma se stabiliscono ilrecord, l’impresa è emozio-nante. Mi pare che ai nostri

giorni, in campo concertistico,predomini la tendenza oppo-sta della prudenza. Forse nonguasterebbe riflettere sugliesempi del passato”.

Un altro aspetto di cambia-mento riguarda la possibileevoluzione del “rito” tradizio-nale del concerto classico,sempre più spesso sottoposto arevisioni e ripensamenti di variogenere. “A questo proposito –dichiara Pier Carlo Orizio – laprudenza è d’obbligo, anchese non mi dispiacerebbe uncoinvolgimento più attivo delpubblico, magari affrancatoda un galateo troppo rigido eingessato che, per esempio,inibisce l’applauso spontaneotra un brano e l’altro, anchequando si tratta di uno Studiodi Chopin magistralmente ese-guito. Spesso si sente dire che ilconcerto classico è invecchia-to, che è in crisi, che prima opoi scomparirà. Personalmen-te non sarei così drastico. Tal-volta si dice che la democra-zia è la peggior forma di go-verno: sarà, ma finora nessunoè riuscito a inventare qualcosadi meglio. Se il Festival vaavanti con tanto successo dacinquant’anni, se abbiamotante richieste di abbonamen-ti, vuol dire che questa formulafunziona benissimo ancor oggi.Perciò, come Festival, conti-nueremo a proporre concertinel modo tradizionale, abbia-mo maturato un’esperienza dimezzo secolo in questo ambi-to, il resto non è di nostra stret-ta competenza. O meglio, suparti collaterali del Festival cipuò essere lo spazio per la spe-rimentazione, ma sul nucleoportante, accanto a un sem-pre auspicabile rinnovamentodei programmi e a una costan-te apertura alla musica con-temporanea, seguiamo la stra-da maestra imboccata daipadri fondatori”.

bresciaMUSICA8 -n Festival pianistico dal carattere riassun-tivo e celebrativo, peruna volta a tema li-

bero e senza vincoli nei con-fronti della dilagante modadegli anniversari musicali. Cosìsi presenta l’edizione 2013 delcinquantesimo compleanno,un traguardo davvero lusin-ghiero per la manifestazione diBrescia e Bergamo che a buondiritto si può ormai annoverarenel “patrimonio immateriale”della nostra collettività.

Dal 28 aprile al 12 giugno ilTeatro Grande ospita dodiciappuntamenti affidati a solisti eorchestre di primo piano. Incartellone spiccano la LondonSymphony Orchestra diretta daSir Antonio Pappano, il compo-sitore polacco Krzysztof Pende-recki alla testa della BeethovenAcademy Orchestra, la RussianNational Orchestra sotto la gui-da di Mikhail Pletnev, il concer-to inaugurale con la NonaSinfonia di Beethoven affidataal maestro concittadino Um-berto Benedetti Michelangeli,l’estroso temperamento diFranco Battiato (di ritorno al Fe-stival dopo che un suo pezzopianistico venne premiato alConcorso Stockhausen nel1978), il pianoforte di GrigorySokolov, Alexander Lonquich,Boris Petrushansky e Yuja Wang,il violino di Uto Ughi. E ancoragli attesi debutti a Brescia diuna triade di giovani pianistid’eccezione: il ventunenne rus-so Daniil Trifonov, vincitore delConcorso Ciajkovskij di Moscanel 2011, il diciottenne cana-dese Jan Lisiecki e il ventotten-ne polacco Rafal Blechacz,quest’ultimo trionfatore delConcorso Chopin di Varsavianel 2005.

Insomma, nonostante la crisieconomica del 2013 non ri-sparmi nessuno (anche sul Fe-stival si sono abbattuti pesantitagli), si profila comunque unagrande festa per la manifesta-zione di Brescia e Bergamofondata nel 1964 dal maestroAgostino Orizio nel nome di Ar-turo Benedetti Michelangeli.

Per quanto riguarda i pro-grammi scelti dagli artisti, YujaWang propone molto Rach-maninov, Andrea Bacchetti leVariazioni Goldberg di Bach,Trifonov il Primo Concerto diCiajkovskij, Lisiecki tutti gli Studiop. 10 di Chopin, Lonquich laSonata D 960 del predilettoSchubert, Blechacz un florile-gio chopiniano (ma non solo),infine Sokolov affianca gli Im-provvisi di Schubert alla roccio-sa e monumentale Sonata op.106 di Beethoven. Fra le pagi-ne del Novecento e contem-poranee, si segnalano la Ciac-cona in memoria di Papa Gio-vanni Paolo II di Krzysztof Pen-derecki, il Concerto per orche-stra di Lutoskawski, Fratres diArvo Pärt e una composizionesinfonica del maestro brescia-no Giancarlo Facchinetti. Sera-ta a sorpresa per Franco Bat-tiato accompagnato dall’Or-chestra del Festival e dal piani-sta Carlo Guaitoli.

* * *Ci troviamo ora a colloquio

con il direttore artistico PierCarlo Orizio e gli chiediamoanzitutto in che modo è cam-biato, a suo parere, il mondodel pianoforte in questo mezzo

Orchestre e pianisti fra tradizione econtemporaneità

esempio in un anno portano intournée solo un programma ein genere non amano rischiare.A Magaloff si poteva chiederedi eseguire al Festival qualun-que composizione, anche fuo-ri repertorio, e il maestro accet-tava volentieri la sfida. Un con-certista immenso come Rich-ter, se era in stato di grazia, eraimpeccabile, altrimenti il nu-

LA CINQUANTESIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL PIANISTICO

UN TRAGUARDO LUSINGHIEROdi MARCO BIZZARINI

U

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Lunedì 20 Maggio ore 18:30 - Fondazione del Teatro Grande - I concerti del ConservatorioGiovani musicisti del Conservatorio Luca Marenzio - Ridotto del Teatro Grande

Lunedì 20 Maggio ore 20:45 - Conservatorio Luca Marenzio - Le stagioni del ConservatorioLa Creation du monde - Ensemble cameristico “Stile classico e moderno”

Antonio Segafreddo direttore - Auditorium S. Barnaba

Mercoledì 22 Maggio ore 20:45 - Festival Pianistico Internazionale di Brescia e BergamoJan Lisiecki pianoforte - Teatro Grande

Giovedì 23 Maggio ore 21:00 - Associazione Filarmonica Isidoro Capitanio39° anniversario della strage di Piazza della Loggia

Concerto della Banda cittadina di Brescia - Porticato Palazzo Loggia

Venerdì 24 Maggio ore 20:45 - Festival Pianistico Internazionale di Brescia e BergamoFranco Battiato - Orchestra del Festival - Carlo Guaitoli pianista e direttore - Teatro Grande

Venerdì 24 Maggio ore 21:00 - Associazione L’Art - FrammentiNostro mondo quotidiano, :suoni, parole - a cura di Monica Conti - Piccolo Teatro Libero

Sabato 25 Maggio ore 21:00 - Coro Filarmonico di Brescia - Fabio Piazzalunga direttoreConcerto in memoria delle Vittime di Piazza della Loggia - Chiesa di San Giovanni

Sabato 25 Maggio ore 21:00 - Associazione L’Art - FrammentiNostro mondo quotidiano, suoni, parole - a cura di Monica Conti - Piccolo Teatro Libero

Sabato 25 Maggio ore 21:00 - Associazione Danzarte - Brescia Festival di DanzaEstrad’eau - Compagnia Susanna Beltrami - Danza contemporanea - Chiesa di San Cristo

Lunedì 27 Maggio ore 18:00 - Associazione Cieli Vibranti - Musica e…Corso di introduzione alla musica - Centro Clinico Brescia - Via Grazie, 3 Brescia

Fondazione del Teatro Grande - I concerti del ConservatorioGiovani musicisti del Conservatorio Luca Marenzio - Ridotto del Teatro Grande

Lunedì 27 Maggio ore 20:45 - Conservatorio Luca Marenzio - Le stagioni del ConservatorioIl piacere della nuova musica - Brani degli studenti delle classi di composizione - Teatro S. Carlino

Martedì 28 Maggio ore 20:45 - Festival Pianistico Internazionale di Brescia e BergamoConcerto in memoria delle Vittime di Piazza della Loggia

Orchestra del Festival - Pier Carlo Orizio direttore - Chiesa di San Francesco d’Assisi

Giovedì 30 Maggio ore 21:00 - Associazione Scena Sintetica - Scuola dell’attore Emo Marconi“Sogno di una notte …” da W. Shakespeare - Saggio finale degli allievi - Chiesa di San Desiderio

Venerdì 31 Maggio ore 21:00 - Associazione Scena Sintetica - Scuola dell’attore Emo Marconi“Sogno di una notte …” da W. Shakespeare - Saggio finale degli allievi - Chiesa di San Desiderio

Sabato 1 Giugno ore 21:00 - Associazione Scena Sintetica - Scuola dell’attore Emo Marconi“Sogno di una notte …” da W. Shakespeare - Saggio finale degli allievi - Chiesa di San Desiderio

Domenica 2 Giugno ore 10:00 - 24:00 - Associazione Beatlesiani - The Beatles Day 2013Nave di Harlock

Domenica 2 Giugno orario da definire - Associazione Filarmonica Isidoro CapitanioFesta della Repubblica - Concerto della Banda cittadina di Brescia - Cortile Palazzo Broletto

Domenica 2 Giugno ore 15:30 - Associazione Usci - Bresciaincoro - Concerti corali itinerantiDiversi cori aderenti Usci - Vie, piazze, case di riposo, ospedali

Domenica 2 Giugno ore 20:45 - Festival Pianistico Internazionale di Brescia e BergamoUto Ughi violino - Bruno Canino pianoforte - Teatro Grande

Martedì 4 Giugno ore 18:00 - Associazione Cieli Vibranti - Musica e…Corso di introduzione alla musica - Centro Clinico Brescia

Martedì 4 Giugno ore 20:45 - Festival Pianistico Internazionale di Brescia e BergamoAlexander Lonquich pianoforte - Teatro Grande

Mercoledì 5 Giugno ore 17:45 - Associazione Filarmonica Isidoro CapitanioSaggio degli allievi della scuola popolare di musica - Auditorium San Barnaba

Giovedì 6 Giugno ore 21:00 - Associazione Favole del Sol - Arenasonica 2013Concerto Rock - Arena Parco Castelli

bresciaMUSICA - 9

Venerdì 7 Giugno ore 20:45 - Conservatorio Luca Marenzio - Le stagioni del ConservatorioShakespeare dance & music - Ensemble “La Follia” - Andrea Arrivabene controtenore

Luciano Bertoli attore - Chiesa di S. Cristo

Venerdì 7 Giugno ore 21:00 - Associazione Favole del Sol - Arenasonica 2013Concerto Rock - Arena Parco Castelli

Venerdì 7 Giugno ore 21:00 - Associazione Scena SinteticaGerundivo: forma mediale del futuro passivo - Vita e poesia di Osip Mandel’stamTatyana Kachurina e Armando Leopaldo attori - Georgy Evteev, Claudio Gioiosi,

Stefano Lonati e Bruno Provezza musicisti - Chiesa di San Desiderio

Sabato 8 Giugno ore 16:00 - Associazione Oltre la musica - Musica e oltre…Inaugurazione Mostra di pittura - Gruppo Brescia Arte guidato dal M°Giuliano Lorandi

Intermezzo musicale - Jacopo Dutti chitarraSala SS. Filippo e Giacomo

Sabato 8 Giugno ore 20:45 - Festival Pianistico Internazionale di Brescia e BergamoRafal Blechacz pianoforte - Teatro Grande

Sabato 8 Giugno ore 21:00 - Associazione Favole del Sol - Arenasonica 2013Concerto Rock - Arena Parco Castelli

Sabato 8 Giugno ore 21:00 - Associazione Scena SinteticaGerundivo: forma mediale del futuro passivo - Vita e poesia di Osip Mandel’stamTatyana Kachurina e Armando Leopaldo attori - Georgy Evteev, Claudio Gioiosi,

Stefano Lonati e Bruno Provezza musicisti - Chiesa di San Desiderio

Domenica 9 Giugno ore 15:30 - Associazione Elea in collaborazione con Arte con noiLa Domenica a teatro - Percorsi teatralizzati nel centro storico: Corso Magenta

Serena Facchini e Ermanno Nardi attori - Partenza da Caffè della Stampa

Domenica 9 Giugno ore 16:30 - Associazione Cantores Silentii - Antiche risonanze in Santa GiuliaMissa de Beata Virgine di Giovanni Contino - Gruppo Vocale Cantores Silentii

Ruggero Del Silenzio direttore - Museo di Santa Giulia - Chiesa di San Salvatore

Domenica 9 Giugno ore 21:00 - Associazione Favole del Sol - Arenasonica 2013Concerto Rock - Arena Parco Castelli

Lunedì 10 Giugno ore 20:45 - Festival Pianistico Internazionale di Brescia e BergamoGrigory Sokolov pianoforte - Teatro Grande

Mercoledì 12 Giugno ore 20:45 - Festival Pianistico Internazionale di Brescia e BergamoOmaggio ad Arvo Pärt - I Virtuosi Italiani - Jan Latham-Koenig direttore

Boris Petrushansky pianoforte - Gabriele Cassone tromba - Teatro Grande

Venerdì 14 Giugno dalle ore 19:00 - Associazione Danzarte - La Strada FestivalLa strada come palcoscenico artisti di teatro urbano, danza, musica e arti circensi

Centro storico di Brescia

Venerdì 14 Giugno ore 21:00 - Associazione Scena SinteticaGerundivo: forma medialedel futuro passivo - Vita e poesia di Osip Mandel’stamTatyana Kachurina e Armando Leopaldo attori - Georgy Evteev, Claudio Gioiosi,

Stefano Lonati e Bruno Provezza musicisti - Chiesa di San Desiderio

Sabato 15 Giugno dalle ore 15:00 - Associazione Danzarte - La Strada FestivalLa strada come palcoscenico artisti di teatro urbano, danza, musica e arti circensi

Centro storico di Brescia

Sabato 15 Giugno ore 21:00 - Associazione Scena SinteticaGerundivo: forma mediale del futuro passivo - Vita e poesia di Osip Mandel’stamTatyana Kachurina e Armando Leopaldo attori - Georgy Evteev, Claudio Gioiosi,

Stefano Lonati e Bruno Provezza musicisti - Chiesa di San Desiderio

Domenica 16 Giugno dalle ore 15:00 - Associazione Danzarte - La Strada FestivalLa strada come palcoscenico artisti di teatro urbano, danza, musica e arti circensi

Centro storico di Brescia

Martedì 18 Giugno ore 20:45 - Jazz in Eden in collaborazione con il Conservatorio Luca MarenzioOmaggio a Wayne Shorter - Big Band del Conservatorio

Corrado Guarino direttore - Nuovo Eden

arebbe stato un vero e proprio “delit-to musicale” lasciar affondare nel si-lenzio i 143 anni di storia della Società dei Concerti di Brescia, costretta a

chiudere a causa delle difficoltà finanziarie.Così, è stato con un senso di grande sollievoche abbiamo ricevuto la comunicazione diuna conferenza stampa convocata a Palaz-zo Loggia per importanti comunicazioni inproposito, il 18 marzo scorso: il presidente del-la Società dei Concerti di Brescia Elena Fran-chi, alla presenza del sovrintendente del tea-tro Grande di Brescia, ha siglato un’intesacon la Fondazione del Grande della qualeAdriano Paroli è membro appunto come sin-daco.

L’intesa raggiunta verteva sulla cosiddetta“cessione del marchio” della Società deiConcerti alla Fondazione del Teatro Grande:d’ora in poi si parlerà di “Società dei Concer-ti del Teatro Grande (dal 1868)” e la data in-serita nel nome è un importante riconosci-mento della lunga storia di questa associa-zione musicale bresciana, la più antica, bat-tuta solo dalla Banda cittadina di Brescia“targata” 1797.

Per tutto l’Ottocento e fino appunto alla fi-ne del secolo scorso la Società dei Concertiè stata un punto di riferimento di grande im-portanza nella vita musicale bresciana, an-che se negli ultimi anni purtroppo il pubblicoera andato via via riducendosi a dispetto diuna programmazione musicale sempre man-tenuta su standard molto alti.

È così che la Società dei Concerti di Bre-scia, fondata da Antonio Bazzini e che haavuto nella sua storia un eccezionale appor-to da parte della famiglia Franchi, ha dovu-to chiudere i battenti. La riapertura ora sigla-ta lascia la direzione artistica alla Fondazionedel Teatro Grande anche se alcune caratte-ristiche come il tradizionale concerto gratui-to per gli studenti sono state conservate.

Vantaggi? Molti, a partire dagli ambienti incui si svolgeranno i concerti, in Sala Grande eal Ridotto, naturalmente. Aumenta dunque la“quota musicale” al Teatro Grande che van-ta già varie collaborazioni ad esempio colConservatorio di Brescia e che ha dato vitadue anni fa a un “suo” gruppo, l’Ensembleappunto del Teatro Grande.

Luigi Fertonani

SLA “NUOVA” SOCIETÀ DEI CONCERTI DI BRESCIA

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realizzato al pianoforte daMassimiliano Motterle, seratamolto applaudita e che ha fat-to scoprire al pubblico pagineinconsuete e particolarmentesuggestive.

* * *Se la stagione della GIA si è

svolta come sempre in San Bar-naba, a poche centinaia dimetri da piazzetta Arturo Bene-detti Michelangeli il pubblicodel Teatro Grande ha potutoassistere anche dall’inizio delnuovo anno ad altri interessan-ti appuntamenti musicali pro-grammati dalla Fondazione.Anzitutto due sono stati gli ap-puntamenti importanti nelmondo della danza a comin-ciare dall’originale, alternativaversione di Romeo e Giuliettacol Ballet du Grand Théâtre deGenève ma anche, in feb-braio, il Galà di Danza in occa-sione del Premio “Danza&Dan-za” nel corso del quale sono

stati presentati al pubblico bre-sciano giovani talenti di livellointernazionale, fra i quali moltie bravi italiani.

Due gli avvenimenti concer-tistici di particolare valore: il pri-mo col recital pianistico di An-drej Gavrilov, un vero e proprioritorno sulla scena brescianadel grande artista russo dopomolti anni d’assenza; persona-lissimo il suo Chopin, e carisma-tica la figura di questo artistamolto applaudito dal nostropubblico. Il secondo grandeavvenimento è stato il concer-

to del 17 marzo, con AntonioPappano alla guida dell’Or-chestra dell’Accademia diSanta Cecilia: è stato un vero eproprio avvenimento, graziealla grandissima professionalitàma anche al fascino di un di-rettore che ha saputo letteral-mente trascinare il suo com-plesso in una straordinaria in-terpretazione della Sinfonia“Patetica” di Ciajkovskij.

Altri punti a favore di unaprogrammazione variegata cheil pubblico bresciano sembragradire sempre più e che pro-seguirà fino al giugno prossimocon altre manifestazioni.

* * *Una menzione speciale infi-

ne per ricordare il 2 marzo,giorno d’apertura ufficiale del-la nuova Metropolitana di Bre-scia: un’occasione particolareche si è voluto accompagnarecon la musica, dalle 17 fino al-le mezzanotte. Su tutta la linea

della Metropolitana, nelle va-rie stazioni – ma in alcuni casianche sugli affollatissimi trenicon performances a sorpresa –musica classica e jazz, musicapop e installazioni. Un vero eproprio percorso musicale cuihanno dato vita ad esempiogli allievi del Conservatorio “Lu-ca Marenzio” impegnati inconcerti jazz nelle stazioni SanPolo, Cimabue e Ospedale, dimusica classica nella stazioneBresciadue e corali alla stazio-ne Volta; cantanti lirici e il Lyri-cOpera Ensemble si sono esibi-ti nella stazione Marconi, men-tre a Sanpolino era in program-ma il Dj set di Marco Obertini,alla stazione Lamarmora ilConcerto per pianoforte delcompositore bresciano Gian-carlo Facchinetti del pianistasuo allievo Daniel Espen. Nonsono mancati appuntamentialla fermata della Stazione FScon il Daniel Martin Open Trioper un programma jazz, men-tre l’Associazione Filarmonica“Isidoro Capitanio” - Banda cit-tadina di Brescia si è esibita nelpiazzale della Stazione FS in unrepertorio popolare. E ancora,i Beatlesiani d’Italia Associati diRolando Giambelli a Mompia-no, e a Casazza il Bifunk MetroBrass Band con le sue sonoritàfunk-metropolitane mescolatecon le atmosfere jazz dellestreet-band.

La grande kermesse musica-le è continuata in serata an-che presso la stazione Vittoriadove l’Associazione Scena Ur-bana ha proiettato immagini in3D sul Palazzo delle Poste; il tut-to è culminato, in un vero eproprio bagno di folla, colgruppo bresciano Plan de Fu-ga, e col concerto del France-sco Renga Special Trio (allachitarra acustica Fulvio Arnol-di, alla chitarra elettrica Stefa-no Brandoni e al piano e alletastiere Vincenzo Messina).

Una vera e propria, massic-cia “colonna sonora” che haaccompagnato la curiositàdei bresciani alla scoperta del-la nuova struttura, inauguratadopo tanti anni di cantieri ed’attesa.

bresciaMUSICA10 -

L’ATTIVITÀ CONCERTISTICA A BRESCIA

STAGIONI “METROPOLITANE”di LUIGI FERTONANI

on è col pianto gre-co sulla situazione at-tuale, che rischia di risultare un po’ fasti-

dioso, che vogliamo iniziare:ma con lo scatto d’orgoglioche alcune delle realtà musi-cali bresciane sembrano mo-strare a dispetto delle diffi-coltà, indiscutibili e gravi in re-lazione alla situazione econo-mica. Così, è con vero piacereche registriamo il successo del-la XLIV stagione concertisticadella GIA, dei Giovani Interpre-ti Associati guidata da Massi-miliano Motterle e da SergioMarengoni e che, con unaprogrammazione seppure unpo’ ridotta rispetto agli stan-dard degli anni precedenti, si èfelicemente conclusa. E aquesti risultati si è potuto giun-gere, non dimentichiamolo,anche grazie al contributo diFondazione Asm, FondazioneCab e del Comune di Brescia.

Mantenendo tra l’altro quasicompletamente la gratuitàdegli appuntamenti, eccet-tuato il concerto inauguralecon l’Orchestra da Camera diBrescia diretta da Andrea Din-do che si è presentato anchecome solista nel Kinderkonzertdi Franco Margola. Molto inte-ressante anche, nel program-ma di questa serata inaugura-le, la presenza della celebrefavola musicale di Pierino e illupo di Prokof’ev, la famosaguida agli strumenti musicalinarrata dalla voce recitante diLorenzo Notaristefani; un’at-tenzione particolare al mondodei giovani dunque, in questocaso a quello dell’infanzia.

Le grandi glorie del pianofor-te come Paolo Bordoni si sonoaffiancate ai giovani emer-genti come per il concerto del-l’Ensemble del Teatro Grandenel quale, con Salvatore Qua-ranta, Alfredo Zamarra e so-prattutto Sandro Laffranchini alvioloncello, si notava la pre-senza del giovane violinistabresciano Daniele Richiedei,sempre più richiesto e impe-gnato su più fronti musicali. Eancora a giovani talenti, sta-volta pianistici, è stato riservatoanche l’appuntamento del 7marzo con Stefania Rota eMargherita Santi, superpremia-te in tutta una serie di concorsie che hanno voluto offrire alpubblico bresciano anche unomaggio pianistico ai duegrandi festeggiati di questo2013, Wagner e Verdi, attraver-so ovviamente le pagine di Li-szt.

Un altro omaggio a Verdi,questo un po’ particolare, èstato realizzato dal sopranoDavinia Rodriguez accompa-gnato al pianoforte da MarinoNicolini per tutta una parte de-dicata al Cigno di Busseto, vi-sto però attraverso un reperto-rio non operistico e raro, primadi passare a fogli d’album diPuccini e poi della scuola spa-gnola. La conclusione dellastagione della GIA con un re-pertorio per la mano sinistra

Dai concerti della GIA alle iniziative della Fondazionedel Teatro Grande

N

Andrej Gavrilov

Massimiliano Motterle

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liati e offesi”. I tempi per un al-bum interamente in meneghi-no sono oramai maturi, ed ec-co quindi che – nel 1964 – vie-ne pubblicato La Milano di En-zo Jannacci, album contenen-te uno dei suoi capolavori as-soluti, El portava i scarp deltennis.

* * *Ma, come detto, quando si

analizza questa prima fase del-la storia artistica di Jannaccinon si deve trascurare comeproprio il dialetto, con la suamusicalità a volte aspra, altrevolte commovente, fosse per-fetto per dare ancor più uma-nità ai suoi personaggi, frutto diuna finzione musicale ma, inrealtà, così veri, crudamenteveri. De André, ad esempio, isuoi protagonisti li faceva vive-re con un italiano pulito, a vol-te forbito. Jannacci, invece,trovava nel milanese la chiavegiusta per aprire, a sé stesso ol-tre che agli ascoltatori, unmondo dove giusto la sua in-credibile sensibilità riusciva acogliere la poesia.

A guardarli adesso, a mezzosecolo di distanza, i suoi anni‘60 appaiono davvero ricchissi-mi di suggestioni. Ci sono le col-laborazioni con Sandro Ciotti(Veronica), un’altra gemmacome Sfiorisci bel fiore, ma an-

che le prime, convincenti com-parsate in televisione, ospite diprogrammi che hanno fatto lastoria del costume italiano: co-me “Canzonissima”, o “Quellidella domenica”, seguiti annidopo da “Senza Rete”. Maquesto iperattivismo non inari-disce per nulla la sua vena dicompositore, che regala il suotormentone – forse – più cono-sciuto, Vengo anch’io? No, tuno, titolo di un Lp del 1969 do-ve Jannacci si cimenta anchecon Mexico e nuvole di PaoloConte. Quando si dice due gi-ganti…

Sempre degli stessi anni è Hovisto un re, brano co-firmatocon Dario Fo e lucido esempiodi come un apparente can-zoncina possa nascondere laforza di una potente e acumi-nata critica sociale.

Richiestissimo in Tv, campio-ne di vendite grazie a Vengoanch’io…, Jannacci – compli-ce, probabilmente, qualchedissapore con la censura Rai –si allontana per un po’ dallescene, preferendo dedicarsinuovamente alla medicina,così da completare la propriaspecializzazione. Cinema, pic-colo schermo e qualche al-bum rendono, comunque, va-lido il primo lustro degli anni‘70, durante il quale approfon-disce la conoscenza e la colla-

borazione con un duo di comi-ci che pare perfettamente in li-nea con la sua verve impossibi-le da incasellare in schemi pre-costituiti, ovvero Cochi e Rena-to. Nascono così alcune indi-menticabili canzoni a metà traumoristico e demenziale, co-me E la vita, la vita, La gallina,Il bonzo, L’uselin della comare.

Incredibilmente, appartieneproprio a questo decennio tut-to sommato poco proficuo ilsuo album migliore, lanciatoda un altro singolo che è uncolpo di genio, Quelli che…,strepitoso brano dalla strutturaaperta, valida per ogni formu-lazione possa venire in mente.Una canzone completamentefuori dal tempo, poi resa nuo-vamente celebre parecchi an-ni dopo, quando venne utiliz-zata come sigla da una tra-smissione Tv.

* * *Conclusi i Settanta in un rela-

tivo oblio, Jannacci torna aruggire all’inizio degli anni ‘80con Ci vuole orecchio, altrobrano dai soni surreali. Nuova-mente in prima linea sul frontedelle sette note, Janancci ri-prende a pieno regime anchea teatro e in tv, subendo peròun duro colpo, la morte delgiornalista Beppe Viola, cheaveva lavorato in più occasio-

ni con lui, sia per spettacoliteatrali sia per canzoni, tra lequali Vincenzina e la fabbrica.Enzo Jannacci, comunque, haancora molto da dire, scrivere,raccontare. Si concede un re-vival col vecchio amico Ga-ber, con un mini Lp firmato Ja-Ga Brothers, regala qualchelampo dell’antico splendore,(L’importante è esagerare),ma enfatizza nel contempo ilsuo lato più malinconico, co-me testimonia la dolente Seme lo dicevi prima, struggentebrano contro la droga portatoa Sanremo nel 1989.

Spesso affiancato dal figlioPaolo, valido musicista e arran-giatore, Jannacci continua alavorare e incidere, facendonuove amicizie “di peso”, co-me quella con Paolo Rossi, colquale nel 1994 porta a Sanre-mo la dissacrante I soliti accor-di. Poi, complice anche qual-che problema di salute, iniziauna nuova, dolorosa fase dioblio. Non tanto come artista,ma come musicista che incidedischi. Per ben sette anni, infat-ti, Jannacci non trova una casadiscografica disposta a investi-re sul suo lavoro. Un ostracismodoloroso, perché l’artista non sisente certo pronto alla pensio-ne. Pur consolandosi con tour euna vittoria del Premio della cri-tica a Sanremo, Jannacci vuo-le tornare a incidere. Ci riescenel 2001, pubblicando un discodi tutto rispetto quale Come gliaeroplani, in cui – a dispettodegli anni passati – conferma lapropria statura d’autore e inter-prete, regalandosi anche unaintensa versione di Via delCampo, di Fabrizio De André.C’è tempo ancora per un nuo-vo lavoro discografico, L’uomoa metà, per un concerto cele-brativo dei suoi settant’anni,poi la sua attività si dirada, An-che se, nel dicembre del 2011,Fabio Fazio gli dedica un lungospeciale in Tv, invitando alcunidegli amici storici di Jannacci,come Dario Fo, Cochi e Renatoe Ornella Vanoni.

Anche a non voler esseretroppo enfatici, è davvero diffi-cile pensare ad un artista assi-milabile a Enzo Janancci, unesplosivo concentrato di folliapoetica, umorismo, grinta, co-micità. Un portento come po-chi, che elevava la canzonepopolare a dolorosa, intensa otragicomica forma d’arte, gio-cando con lo stile e la passio-ne che sono proprie solo deigrandi. Stroncato da un maleincurabile lascia un’ereditàsterminata, in cui gli album daricordare (colonne sonorecomprese) sono moltissimi. Unlascito che lenisce solo parzial-mente il dolore per aver persoun amico come pochi. Un arti-sta legato al suo tempo e, no-nostante questo, incredibil-mente moderno e attuale. No,non ci sarà più un altro EnzoJanancci.

bresciaMUSICA - 11no strano, stranissimo poeta. Stralunato, cu-rioso della vita, estro-so ma capacissimo di

stare dietro le quinte. Ancheper anni. No, difficilmente cisarà un altro Enzo Jannacci. Unaltro artista capace di canta-re, scrivere, recitare, lavorareper cinema e teatro, ma senzamai farlo davvero per mestie-re. Del resto, Jannacci (scom-parso lo scorso 29 marzo aquasi 78 anni) era medico, pro-fessione che non ha mai ab-bandonato, a fronte dei suc-cessi, della fama, dell’amoredel pubblico e degli addetti ailavori. Nonostante uno spesso-re, umano prima ancora cheartistico, assolutamente irripeti-bile.

Nato a Milano nel giugno1935, Jannacci ha attraversatocome una stella assolutamenteunica ben oltre cinquant’annidi musica italiana. Formatosiinizialmente al Conservatorio,scopre ben presto una gammaespressiva molto più ampia,passando persino dal jazz. Ma,come tanti altri suoi gloriosicompagni di viaggio, è il rockand roll a rappresentare la pri-ma, vera folgorazione. Sonoanni (parliamo dei favolosi fif-ties italiani, quelli in cui la musi-ca tradizionale, diciamo il bel-canto, veniva affiancati dalleinfluenze dei juke box america-ni, dove cominciavano a im-pazzare Elvis & Co) di poderosoapprendistato sonoro, in cuiJannacci comincia a definireuno dei suoi aspetti peculiari,manifestando ben presto un in-nato talento di intrattenitore ecabarettista oltre che di suona-tore. Così Jannacci diventa ta-stierista prima del gruppo diTony Dallara (uno dei primi “ur-latori”), quindi di un giovaneAdriano Celentano, non anco-ra “Molleggiato”.

Ma Jannacci non si limita astare dietro le tastiere. Perfet-tamente inserito in un ambien-te milanese che pare sfornarecantanti a ripetizione (oltre allostesso Celentano, si ricordanoRicky Gianco e nomi un po’più sbiaditi come Guidone oClem Sacco), Jannacci trovaun partner d’eccezione, desti-nato anch’egli a diventareuno dei cardini della canzonee del teatro-canzone italiani,Giorgio Gaber. Con il nome di“I due corsari”, Gaber e Jan-nacci incidono i primi 45 giri, la-vori acerbi ma già in grado dirivelare le attitudini dei due.Jannacci, in particolare, mo-stra quella vena surreale checaratterizzerà gran parte dellasua produzione futura. Sonobrani quali Birra, Tintarella di lu-na e Una fetta di limone a mo-strare il suo talento fuori dal co-mune, specie per l’incredibilepoliedricità.

Nel 1961 partecipa comeautore a Sanremo, regalandoa Gaber la poco fortunataBenzina e cerini, poi il teatrocomincia ad attrarlo a sé. Trauna comparsata al cinema eruoli da protagonista sul palco-scenico, conosce Dario Fo, al-tro momento centrale per lasua evoluzione. Tra il 1963 ed il1964 arrivano le prime canzoniin dialetto milanese, forse la lin-gua che meglio di ogni altra èstata utile a Jannacci per de-scrivere il suo mondo popolatodi reietti, povera gente, “umi-

ROCK E DINTORNI

LA SCOMPARSA DI ENZO JANNACCI

QUEL POETA COSÌ STRANOdi ROSARIO RAMPULLA

Un esplosivo concentrato di grinta, amarezzae umorismo surreale

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canzone che comunque Paulha recentemente “sdogana-to” proponendola dal vivo ne-gli ultimi tour.

Il debito ad altre pubblica-zioni è riconosciuto dallo stessoZanetti (per prima quella di IanMcDonald che lui stesso tra-dusse ai tempi) ma l’opera inquestione è interessante per-ché offre una lettura menotecnica. Il libro quindi va benesia agli appassionati che co-munque troveranno qualcosache non sapevano e anche achi si avvicina al favoloso mon-do dei Fab Four per la primavolta. E dopo? Paul McCartneyha intrapreso una carriera soli-sta di grande successo carat-terizzata (ed è inevitabile datala lunghezza) da alti e bassi.

* * *A questo punto entra in sce-

na Perasi.

Luca ci ha messo dieci anniper completare questo librofrugando tra documenti e ar-chivi, intervistando non so piùquante persone che hannoavuto a che fare con l’universomusicale di Sir Paul. Sì perché ilnostro ha vivisezionato più di350 canzoni, le ha inserite nelloro contesto storico per rac-contarle al lettore passo dopopasso insieme ad aneddoti cu-riosi e interessanti, spesso sco-

nosciuti anche ai fans. Perasi èuna vecchia conoscenza deibeatlemaniaci, ha infatti pub-blicato negli anni Novanta lafanzine Paper McCartney e hafinalmente messo nero su bian-co la sua enciclopedica cono-scenza delle gesta del baro-netto. Il libro contiene una ana-lisi delle canzoni in senso crono-logico, è facile così capire l’itercreativo di Paul, spesso disordi-nato e frammentario nel suo la-voro in sala d’incisione. Non so-lo ricerca d’archivio, ma an-che le testimonianze dirette dichi ha partecipato alle incisionicon la possibilità di ascoltarecose assolutamente inedite.

Nel libro ci sono intervistecon produttori e ingegneri delsuono come Alan O’Duffy (Ve-nus and Mars) e Mike Stavrou(Tug of War) che hanno svela-to il metodo di lavoro di Paul instudio. Paul è infatti un abilissi-

mo costruttore di suoni, ecletti-co, creativo, capace di spa-ziare dal pop e dalle ballads disuccesso alla musica ambient(non mancano i dischi di The fi-reman), capace di fonderedue melodie allo stato embrio-nale in una bellissima canzonemediante procedimenti beneanalizzati nel libro. Questo vo-lume vedrà presto anche unaedizione inglese con la prefa-zione di Tony Clark (produttoreed ingegnere del suono adAbbey Road con i Beatles econ Paul McCartney negli anniSessanta e Settanta) ed è giàin circolazione la seconda edi-zione italiana. Fondamentale.

* * *Last But not Least il libro di

Peter Ciaccio, pastore metodi-sta: si è sempre occupato delrapporto tra fede cristiana, ci-nema e letteratura. Ora que-sto particolare rapporto pren-de in esame la musica dei Bea-tles. Sì, proprio quelli che ave-vano dichiarato di essere piùpoplari di Gesù e che scatena-rono la rivolta dell’America bi-gottona e benpensante. Si ri-cordano i falò dei loro dischiorganizzati da fanatici religiosi.Secondo l’autore, i Beatles so-no ancora il simbolo di un pe-riodo di ribellione verso quelloche era (ed è) il potere costi-tuito (comprese le chiese).Ciaccio prende in esame i die-ci comandamenti e ne ricercasia i punti di contatto sia i pun-ti di dissonanza con la musicadei baronetti.

Torniamo a Helter Skelter. Lacanzone viene analizzata nelsuo contesto storico. Il branonacque come risposta di Mc-Cartney a chi lo aveva accu-sato di comporre solo canzonimelense. Decise allora di com-porre questa canzone chemolti considerano il primo pez-zo di metal. Il testo, come ab-biamo visto, era assolutamen-te innocuo. Manson fece dipiù e arrivò ad elencare tuttele canzoni del White Albumche gli avevano ispirato la suafolle ideologia. Ricordiamoche il titolo della canzone ven-ne trovato scritto sulle pareticon il sangue delle vittime.Ciaccio sostiene che non c’èalcun legame tra i Beatles e laviolenza, anzi, il loro era unmessaggio d’amore.

Vengono via via analizzati ilegami tra la musica dei Bea-tles e la memoria, l’idolatria, labestemmia, il lavoro, il sesso emolti altri ancora in un libretto(104 pagine) che si legge tuttod’un fiato e che vede la musi-ca dei quattro di Liverpool inun’ottica nuova. Il lavoro gettauna luce nuova sull’opera delgruppo, molto interessante eassolutamente da conoscere.

* * *Franco Zanetti, Il libro bianco

dei Beatles. La storia e le storiedi tutte le canzoni, Milano,Giunti 2012, pp. 448, € 20,00.

Luca Perasi, Paul McCart-ney: Recording Sessions (1969 -2011). Un viaggio alla scopertadelle registrazioni di Paul Mc-Cartney, Editore Ilmiolibro.it,2012, pp. 484, € 28, 00.

Peter Ciaccio, Il vangelo se-condo i Beatles. Da Mosè aigiorni nostri passando per Liver-pool, Torino, Claudiana 2012,pp. 111, € 9,50.

bresciaMUSICA12 -

i occupiamo di ben trenuovi libri sull’opera dei Beatles. La biblio-grafia sui Fab Four è

oramai sterminata. Perché al-tre tre libri? E perché ce nedobbiamo interessare? Tantoper cominciare Franco Zanettiè di Brescia e trattandosi Bre-sciaMusica di rivista, appunto,bresciana, mi sembra ovvio se-gnalare l’opera di un concitta-dino. Soprattutto se l’opera èben congegnata e ben scritta.I brani dei Beatles, solo quellidella discografia ufficiale finoal 1970, niente dischi postumianche se di valore come i seivolumi della “Anthology”, sonoanalizzati in dettaglio con mol-tissime notizie che rendono in-teressante la lettura anche achi dei Beatles ha solo una co-noscenza superficiale.

L’opera dei Fab Four ha da-to luogo a numerosi studi, ognicanzone è stata analizzata indettaglio e vivisezionata, ai te-sti sono stati attribuiti numerosisignificati. In tutto questo i ba-ronetti sono solo raramente in-tervenuti, lasciando che le leg-gende sulle loro canzoni cre-scessero sempre più. Interes-santi al riguardo le schede su Iam the Walrus e Helter Skelter.Riuscire e capire cosa vogliadire John in questa canzone èimpresa impossibile. Lo stessoJohn diede qualche chiari-mento, ma il testo appare unodei più criptati di tutta la disco-grafia del gruppo. Diverso il di-scorso su Helter Skelter di Paulche venne presa come ispira-zione da Charles Manson (det-to “Satana”) per i suoi efferatidelitti. Manson sostenne che iltesto del brano conteneva fra-si che incitavano all’odio e al-l’omicidio. Nulla di tutto questonaturalmente, Helter Skelter èuna attrazione tipica da lunapark in cui il pubblico sale al-l’interno di una torre e ne scen-de con uno scivolo a spirale.Da qui la fama sinistra della

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NUOVI VOLUMI SUI BEATLES

TRE PER I QUATTROdi PIERO TARANTOLA

Libri di Franco Zanetti, Luca Perasi ePeter Ciaccio

ROCK E DINTORNI

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molto recenti suscita imbaraz-zo, tristezza e rimpianto. In me,naturalmente, senza pretese digeneralizzazione.

* * *In esordio, Trovajoli era un

jazzista e ha suonato con altrigrandi (absit iniuria verbis) mu-sicisti. Per citare a caso, disordi-natamente, dalle cronachedell’epoca: Duke Ellington,Louis Armstrong, Miles Davis,Chet Baker, Stephan Grappelli,Django Reinhardt. Oltre natu-ralmente a colleghi italiani. Peresempio, in trio con Gorni Kra-mer (peraltro al contrabbas-so!) e Gil Cuppini, esibendosiaddirittura alla Salle Pleyel diParigi. Ma anche si esibì comesolista concertista, suonandonel 1951 musiche di Gershwinsotto la direzione di A. Rodzin-sky al Teatro San Carlo di Na-poli e di Willy Ferrero alla Basili-ca di Massenzio in Roma.

Negli anni ‘50 tra le idee diTrovajoli vi era probabilmenteanche quella discutibile di in-trodurre in Italia la musica jazzda concerto nello stile deigrandi complessi degli anni ‘20come quelli di Paul Whitemane poi dello stesso Gerswhin: ri-cordate il Concerto in Fa? Ola Rapsodia in Blue?

Ma chi era Trovajoli per ilgrande pubblico? Quanti pos-sono dire di ricordare il suo viso,le sue esecuzioni? Pochissimidavvero.

Trovajoli lavorava silenziosa-mente, producendo un fiumedi ottima musica, assumendospesso professionalmente unaposizione antica e straordina-ria, comune a quasi tutti i gran-di musicisti di altri tempi: la suacreatività e genialità, la suacompetenza messe a disposi-zione dei committenti, di chicioè gli chiedeva di comporremusica, ovviamente retribuita.

So bene di affermare unconcetto che urta contro lagrande sensibilità di critici, stori-ci musicali, di competenti qua-lificati (io certo non lo sono)molto differenti. Tra essi sembraprevalere l’idea “romantica”che nulla e nessuno debba in-fluenzare l’attività produttiva diun artista, isolato nella suasplendida solitudine creativa. Irisultati visibili (o udibili?) di taleperaltro giustificato orienta-

mento sono a volte imbaraz-zanti. Ma il rapporto tra com-mittente e autore a me pareun rapporto sano: un vero arti-sta (che sia anche un vero pro-fessionista) riesce, mantenen-do la sua identità, a farsi ap-prezzare da chi gli paga la pro-duzione. Inutile ricordare quan-ti nel passato produssero cosemeravigliose rispettando queltipo di contesto socio-econo-mico in apparenza limitativo.La differenza è quella che esi-ste tra chi ha qualcosa da diree chi non la ha. Oppure, perfi-no peggio, spesso ora la po-tenza economica di commit-tenti semianalfabeti (musical-mente, si intende) riesce ad im-porre per la musica che possia-mo chiamare di consumo au-tori ed esecutori che proprio

non hanno nulla da dire (madevono mantenere le loro avolte multiple famiglie) se nonbalbettii rumorosi molto scandi-ti ritmicamente, amplificati amigliaia di watt, eseguiti di fron-te a folle deliranti. La cosa fun-ziona e in fondo non fa male anessuno, a parte il fastidio acu-stico. Molti davvero credonoche si tratti di musica straordi-naria. Tante famiglie ci campa-no, anche bene.

* * *Ma torniamo a Trovajoli. Ha

composto canzoni da conside-rare tra le più belle della cosid-detta musica leggera dal 1950a oggi. Per “canzoni” intendocomposizioni musicali di duratalimitata, accompagnate daun testo. In fondo le prime“canzoni” molto apprezzatenel nostro Paese sono state learie da opere liriche e da ope-rette, le romanze composte peresempio da Francesco PaoloTosti, ma anche certe canzonidialettali soprattutto napoleta-ne, alcune delle quali sono giu-stamente considerate dei vericapolavori, sino alle canzonipopolarissime prodotte dal duoBixio/Cherubini e dalla coppiaBracchi/D’Anzi. A scanso diequivoci, buone canzoni sonostate composte anche in tempipiù vicini a noi. La elencazioneragionevolmente più estesa delrepertorio di canzoni italianedal Novecento ai giorni nostri èun compito da storico del co-stume che non sono certo ingrado di svolgere.

Dove sistemare Trovajoli inquesto panorama? In un ambi-to ristretto che riguarda i veriprofessionisti. Pare che parec-chi tra gli autori di canzoni ita-liane in realtà non conoscesse-ro la musica, come del restonon conosceva la grammati-ca musicale Irving Berlin, unodei più importanti autori dicanzoni Usa.

Trovajoli lavorava molto perla Rai. La sua orchestra alla Raidegli anni ‘50 comprendevatrenta musicisti a partire da12 violini. L’orchestrazione deibrani eseguiti era sua comesue erano alcune canzoni mol-to belle, complesse armonica-mente, neanche troppo sem-plici da eseguire. Tanto per ci-tare a caso, El negro Zumbon.Ma era sua la strumentazionedi canzoni non sue come Vialed’autunno di Giovanni D’Anzi,(a proposito di autori… pococolti musicalmente) che vinse ilFestival di Sanremo nel 1953.Ma ricordiamo anche Dimmiun po’ Sinatra, Che m’è ‘mpa-rato a fà dedicata a SophiaLoren, ’Nun je da’ retta, Roma.

Ho ricordato i committenti.Per tutta la sua vita a Trovajolifurono richieste colonne sono-re di film di successo: da “RisoAmaro” (con Goffredo Petras-si), con la regia di Giuseppe DeSantis, ad “Anna” di AlbertoLattuada, e poi per decine dipellicole dirette da Mario Mo-nicelli, Vittorio De Sica, MarcoVicario, Dino Risi, Luigi Magni,Ettore Scola. Ricordiamo la co-lonna sonora de “La ciociara”e di “Matrimonio all’italiana”.Nel complesso le sue colonnesonore furono almeno trecen-to.

Trovajoli scriveva, scrivevabuona musica in silenzio. Nel1962, l’incontro con Garinei eGiovannini e la produzione diuna commedia musicale, Ru-gantino apprezzata letteral-mente in tutto il mondo, repli-cata in teatri importanti inter-nazionali per settimane e setti-mane. Chi non ha canterellatoRoma nun fa la stupida stase-ra? Più tardi, nel 1973, Pasqua-le Festa Campanile ne fece unfilm, con Adriano Celentano.

Nel 1965, sempre per la cop-pia Garinei e Giovannini, com-pose altre commedie musicali:Ciao Rudy in cui Marcello Ma-stroianni aveva la parte di Ro-dolfo Valentino e Aggiungi unposto a tavola con Johnny Do-relli, Paolo Panelli, Bice Valori ealtri.

La elencazione rischia di di-ventare noiosa. Un poco comequando in un museo si dice:“Uffa, un altro capolavoro...”.

Abbiamo perso ArmandoTrovajoli che stava lavorandoancora. È morto mentre elabo-rava al pianoforte la trasposi-zione musicale della Tosca diMagni. Se ne è andato e dav-vero lascia un vuoto: dove lotroviamo un altro musicista del-la sua qualità? Spero proprio disbagliarmi per pessimismo seni-le e resto in attesa di autori cheoffrano a un orecchiante co-me me composizioni dotate diun poco di genialità, buongu-sto, magari accompagnateda testi che non abbiano pre-tese di oscuro ermetismo a na-scondere il nulla. Posso fareesempi, di oscuro ma chiasso-so ermetismo tanto musicaleche letterario, a nascondere ilnulla? O rischio insulti?

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uando muore una persona l’ampiezza dei necrologi, le e-spressioni di com-

pianto, la compartecipazionedelle genti al lutto dipendonoessenzialmente dalle cono-scenze reali o immaginarie cheil pubblico ha o aveva dellapersona deceduta. Abbiamovisto come il recente decessodi Jannacci e Califano abbia-no richiamato folle. Il 28 feb-braio 2013 ci ha lasciato il mae-stro Armando Trovajoli, all’etàdi 95 anni. Su qualche giornalela notizia è stata commentatacon un discreto rilievo. Il Mae-stro, riconfermando il suo stile,ha chiesto e ottenuto che lanotizia fosse data con un mesedi ritardo. Mi chiedo quanti deilettori sapessero chi in realtàfosse il personaggio deceduto.

Chi scrive queste note è unorecchiante musicofilo, perso-na non dotata di seria culturamusicale, cui la morte di Tro-vajoli ha suscitato emozione,forse un poco maggiore diquella di altri personaggi dellamusica cosiddetta leggera.Sempre che abbia un sensomisurare, pesare, confrontare ildispiacere, il cordoglio.

Sono un accanito consuma-tore di musica, ottantenne. Hoascoltato per molti anni la ra-dio italiana a partire dagli annidell’infanzia e poi ascoltandodischi (qualcuno ricorda i V Di-sk del dopoguerra?) prima a78 giri, poi a 45 e 33 giri e i na-stri delle musicassette eserci-tandomi a distinguere e ap-prezzare musica da musica, diogni genere, sulla base di crite-ri assolutamente personali cer-to discutibili. Mi chiedo chi oltrea me si ricordi i benemeritiConcerti Martini e Rossi dellaEIAR, poi Rai tenutisi dal 1936 al1964?

In Italia la musica jazz sinoagli anni ‘50 era qualcosa disemiclandestino. Si deve esse-re vecchio come me per ricor-dare con nostalgia la esecu-zione del Trio Lescano di Le tri-stezze di San Luigi, traduzionepoliticamente corretta di SaintLouis Blues alla faccia del Min-culpop (per esteso Ministerodella Cultura Popolare)? Lecomposizioni swing dovevanoessere definite “con ritmo sin-copato”: tecnicamente il ter-mine era corretto visto chespesso i motivi jazz conteneva-no accenti “in levare”.

A partire dagli anni ‘50 tra imolti musicisti italiani, autorie/o esecutori di musica chia-miamola leggera, jazzistica eanche solo “di consumo” èemerso Armando Trovajoli.

È emerso silenziosamente.Era un ottimo pianista, diplo-mato al Conservatorio di Ro-ma. Per ricordare una cosabanale, sapeva leggere e scri-vere musica; era capace di or-chestrare brani musicali, cioèdi costruire brani musicali apartire da un’idea, sua e di al-tri. Il confronto, improponibile,con altri autori passati e anche

È MORTO LO SCORSO 28 FEBBRAIO

ARMANDO TROVAJOLI: CHI ERA COSTUI?di LORENZO MAGNO

ROCK E DINTORNI

Un lavoro silenzioso ma creativo e geniale

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mer Concert Series la scorsaestate presenta il consueto mixdi brani originali, come il Pon-cho Sanchez medley o Prome-nade di Francisco Torres, trom-bonista, produttore e direttoremusicale, e poi classici del jazzcome Mambo Inn / On GreenDolphin Street, omaggi al leg-gendario collega Mongo San-tamaria (Afro blue) o al com-pianto Clare Fischer (Morning),che di Sanchez fu bandleadere mentore. Ma non manca unblues come Crosscut Saw o untradizionale sempiterno comeA ti na ma per finire con un tra-scinante Son son chararì. In-somma puro divertimento dal

primo all’ultimo solco (o megliobit), con eccellenti solisti a in-cendiare ulteriormente, se maice ne fosse bisogno, questogodibilissimo concerto.

* * *Pete Escovedo, Live from

Stern Grove Festival (ConcordPicante)

ncora latin jazz califor-niano registrato in pre-sa diretta: anche il timbalero Pete Esco-

vedo è a capo di un’ampiaformazione di una dozzina dielementi, della quale fannoparte i tre figli, tutti percussioni-

sti, Juan, Peter Michael, e Shei-la, meglio nota come Sheila E.e qui in veste di special guest.Anche qui la formula prevedeun paio di standards, PicadilloJam (Tito Puente) e Fly me tothe Moon, ma la maggior par-te delle composizioni sono ori-ginali, con qualche sconfina-mento verso il Brasile (Brasileiroappunto) e con un suono piùlevigato, talora fusion, soprat-tutto a opera del chitarristaRay Obiedo, al quale i cinquefiati contribuiscono con unasonorità ricca di coloriture e di-namiche perfettamente soste-nuti da una ottima ritmica. Gliospiti si distinguono particolar-

mente in Suenos de los torreros(la tromba pirotecnica di Artu-ro Sandoval), True or False (conil sax tenore di Dave Koz), e So-lo tu (le congas di una semprebravissima Sheila Escovedo). Illeader si ritaglia un momentoda cantante solista in Fly me tothe Moon: non è certo Sinatrama lo swing non manca.

* * *Kenny Dorham Quintet, Ma-

tador + Inta Somethin’ (Phoe-nix)

a Phoenix continua la sua serie di ristampe di album del periodo d’o-ro dell’hard bop anni

‘60, accoppiando in un soloCd due dischi del quintetto deltrombettista Kenny Dorham,che vedeva la presenza fissaal sax contralto di Jackie Mc-Lean. Matador, del 1962, conla ritmica di Bobby Timmons,Teddy Smith e J.C. Moses, e In-ta Somethin’ del 1961, con laritmica di Walter Bishop jr., Le-roy Vinnegar e Art Taylor. Il di-sco del ‘61 è registrato dal vi-vo, e paragonandolo al suc-cessivo registrato in studio, pre-senta una più accentuata ca-pacità di rispondere alle solle-citazioni tra i solisti e il pubblico,con una piccola qualità dispontaneità in più. I momentimigliori del Cd vengono daMelanie, mini suite in tre particomposta da McLean per Ma-tador, ed il finale San FranciscoBeat composta da Dorhamper Inta Somethin’. Una buonaoccasione per riascoltare duegrandi boppers, coadiuvati dadue diverse ma impeccabilisezioni ritmiche, in due albumfiniti In disparte nella disco-gra-fia dei due musicisti ma meri-tevoli di un nuovo, approfondi-to ascolto. Buona la riedizio-ne con ampie note di coperti-na.

* * *Odean Pope, Odean’s Three

(In+Out)

un vero piacere ria-scoltare Odean Pope, ormai ultrasettanten-ne saxofonista ascol-

tato una ventina d’anni fa an-che in Italia nel quartetto diMax Roach, e autore di alcunipregevoli dischi per l’etichettaitaliana Soul Note. QuestoOdean’s Three, presentato nel-le note di copertina dal suogrande ammiratore Joe Lova-no, lo vede nell’ardua forma-zione del trio con il bassista LeeSmith e il leggendario batteri-sta Billy Hart. La lunga perma-nenza di Pope nel quartettosenza pianoforte di Roach hacertamente temprato il sas-sofonista di Philadelphia, e iltrio gli permette di sciorinaretutta la sua ampia tavolozzatimbrica e coloristica, con echidi Rollins, Rivers e Ayler, in im-provvisazioni ricche di effetti epassionalità, in una alternanzadi brani ritmicamente aggressi-vi con ballads nelle quali si hamodo di ascoltare l’elegantebasso di Lee. In tutti i brani, fir-mati da Pope, giganteggia lapropulsione di Billy Hart, gran-de maestro della batteria.Spiccano il quinto titolo, Bluesit, e il sesto, Blues for Eight, dal-la ingegnosa e originale lineatematica.

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Poncho Sanchez and his la-tin jazz Band, Live in Hollywood(Concord Picante)

on questo album il con-guero Poncho Sanchezcelebra il suo trenten-nale con l’etichetta

Concord, per la quale firma ilsuo ventiseiesimo disco, senzacontare le compilation. Latinjazz collaudato e senza parti-colari sorprese, ma che sprizzaenergia da ogni poro e man-tiene immutata negli anni lasua danzabilità con infuoca-te improvvisazioni strumentali.Questo Cd registrato dal vivoall’Hollywood & Highland Sum-

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SEGNALAZIONI DISCOGRAFICHEdi GIUSEPPE GIOACCHINI

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JAZZ

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bresciaMUSICA - 15

i è conclusa il 10 aprile al teatro comunale di Cervia la tournée in-vernale dello spetta-

colo Ballata di uomini e cani diMarco Paolini – attore bellune-se noto al grande pubblico an-che per le sue performance intelevisione. Ispirata a tre rac-conti di Jack London, Mac-chia, Bastardo e Preparare unfuoco, ambientati nel grandenord America dei cercatorid’oro, la Ballata di uomini e ca-ni vede fra i musicisti in scenaaccanto a Paolini, oltre al soli-to chitarrista/cantante LorenzoMonguzzi (ex Mercanti di Li-quore) e al fisarmonicista Gian-luca Casadei, anche il clari-nettista Angelo Baselli, da mol-ti anni strumentista della Ban-da cittadina di Brescia “IsidoroCapitanio” nonché docentepresso la Scuola popolare dimusica della medesima Asso-ciazione Filarmonica.

Abbiamo dunque raccoltole impressioni di Baselli riguardoa questa sua esperienza pro-fessionale di alto livello. Il suopunto di vista è utile anche percomprendere uno spettacoloche differisce un poco dallaconsueta struttura teatrale/musicale ricercata da Paolini.Solitamente infatti i monologhidi Paolini sono accompagnatisolo dalla chitarra e dalla vocedi Monguzzi, a creare una sor-ta di “sfondo” sonoro e sceno-grafico, mentre nella Ballata diuomini e cani i tre musicisti inte-ragiscono continuamente conl’attore sulla scena quasi comedelle vere e proprie contropar-ti.

“L’idea di Paolini era di crea-re una narrazione musicale pa-rallela a quella delle parole – ciriferisce Angelo – che non fos-se però strutturata a tavolino.Lui non lavora mai su un testofisso, non ha un vero e propriocopione. Piuttosto, ha un ca-novaccio dello spettacolo sucui ogni sera inserisce delle va-riazioni, spesso improvvisa. Lastessa cosa voleva farla con laparte musicale. Noi tre chesuoniamo abbiamo alcunipunti scritti, pochi in verità, esulla base di questi improvvisia-mo seguendo quello che fa lui.Cerchiamo di assecondarci avicenda. Lo scambio fra la par-te musicale e l’attore diventamolto forte in particolare nelsecondo racconto, Bastardo,la storia di un cane e del suopadrone che si odiano e cer-cano di uccidersi l’uno conl’altro, dove noi dunque, fraparole e musica, cerchiamo direndere l’idea dello scontro. Ingenerale, ogni sera ci sono deicambiamenti, magari a uno dinoi tre viene da fare un ritmo egli altri due lo seguono, oppureè Paolini che decide di darepiù enfasi a una certa parte esta a noi tre assecondarlo, ecosì via. Abbiamo fatto ognivolta uno spettacolo diverso,specialmente nelle prime fasidella tournée”.

Tu però sei un musicista di

estrazione classica, non ti seiformato sull’improvvisazione,come un jazzista.

“All’inizio in effetti non è sta-to semplice, ma non si tratta diimprovvisazione in senso jazzi-stico, non devo certo fare cosealla Charlie Parker. Anzi, fin dal-l’inizio Paolini ci ha detto di‘non fare i musicisti’, perchénoi non siamo lì per fare unconcerto. Non dobbiamo ri-cercare il bell’assolo o curare ilfraseggio, perchè il ‘fraseggio’lo fa già lui, con le parole, e lamusica non deve distrarre l’a-scoltatore dal racconto. Inquesto tipo di teatro, poi, il mu-sicista non può pensare alle so-lite frasi di quattro-otto battute,alla lunghezza standard degliassoli etc. perché i tempi dellascena sono diversi. Se l’attorecioè finisce la frase in un certo

modo, bisogna finire insieme alui, non si può puntare su unastruttura musicale regolareperché rischierebbe di esseretroncata. Noi improvvisiamoma nel senso che creiamo mu-sica al momento, facciamocerti suoni, certi ritmi, riprendia-mo certi motivi, seguendosempre quello che fa Paolini, esempre in base al materiale dipartenza”.

Che tipo di materiale? aquali musiche attingete?

“Prima che arrivassimo io eGianluca c’erano solo alcunitesti di Woody Guthrie musicatida Lorenzo. Poi a Paolini è ve-nuta l’idea di ampliare la scel-ta, non però con la musica folktipicamente americana deicercatori d’oro del Klondike,alla Yankee doodle per inten-derci, bensì usando musiche di

Verdi. Dopotutto, anche quellaera musica popolare negli Sta-ti Uniti al tempo in cui scrivevaJack London, anche grazie aimolti emigrati italiani. Circola-vano molte trascrizioni di musi-che verdiane per organicibandistici, spesso si suonavanocon un semplice organetto. L’i-dea di Paolini era quella di fa-re una piccola banda tipoquelle americane ‘da esercitodella salvezza’. Devo dire chemi sono trovato bene proprioper il fatto di provenire dal-l’ambiente bandistico, doveavevo sempre suonato trascri-zioni verdiane”.

Quali temi avete scelto?“Inizialmente l’idea era di

utilizzare soprattutto temi dalla‘trilogia popolare’, Rigoletto,Trovatore e Traviata. Alla fineabbiamo mantenuto i temi del

Rigoletto e del Trovatore, men-tre della Traviata non è rimastoquasi nulla. È molto presenteinvece La forza del destino coni due temi principali. Ripetoperò che negli arrangiamentidello spettacolo questi temivengono decisamente trasfor-mati. Il tema c’è, ma viene uti-lizzato come materiale perl’improvvisazione, in certi casi èquasi irriconoscibile, può di-ventare un valzer, poi un tan-go, poi una marcetta…. sonotemi molto malleabili quelli ver-diani, che si adattano un po’ atutto, forse proprio perché so-no comunque già popolari inpartenza, come la ‘trilogia’appunto. Oltre a questi temi cisono vari accompagnamentiche Lorenzo ha scritto quandolo spettacolo era portato inscena solo da lui e da Marco,semplici giri di accordi su cuiimprovvisiamo e che integria-mo con il materiale nuovo”.

Paolini ha una preparazionemusicale?

“Non è un musicista, non hauna preparazione tecnica, maè un lettore e un ascoltatoreonnivoro, da Bruce Springsteenall’opera, appunto. È moltoappassionato di Verdi. Certeopere forse le conosce anchemeglio di noi”.

Mai successo che qualcosain scena sia andato storto?

“No, perché lui ha un granmestiere, un’esperienza im-pressionante, e riesce semprea fare venire bene le cose, an-che se non sono preparate atavolino. Se per caso qualcosasi perde in una parte della nar-razione, puoi star sicuro che luite la recupera dall’altra, conuna maestria davvero ecce-zionale. Alla fine il canovaccioc’è sempre tutto. La bravura diPaolini del resto la vedi nellasua capacità di calamitarel’attenzione del pubblico perun tempo così lungo, oltre dueore. Con un monologo, non èfacile”.

Per quanto riguarda gli ar-rangiamenti, come avete la-vorato?

“Abbiamo trascritto le melo-die e le armonie originali diVerdi, in modo da poterle ese-guire con chitarra e fisarmoni-ca. Da lì abbiamo preso lemosse per l’improvvisazione epoi abbiamo iniziato a suonar-le con Marco, per vedere co-me si potevano incastrare conla recitazione. Voglio sottoli-neare che un tramite fonda-mentale fra noi e Paolini è sta-to Stefano Nanni, arrangiatoreche lavora anche per VinicioCapossela. Ha una grande co-noscenza tecnica e un grandeorecchio. Molto della riuscitadi questa collaborazione ladobbiamo a lui”.

La tournée di Ballata di uo-mini e cani riprenderà l’annoprossimo. Informazioni su tempie luoghi delle date e sulla strut-tura narativa dello spettacolo,con note curate dallo tessoPaolini, si possono trovare sul si-to dell’attore www.jolefilm.it.

ANGELO BASELLI E LA “BALLATA DI UOMINI E CANI” DI MARCO PAOLINI

VERDI NEL KLONDIKEa cura di CARLO BIANCHI

S

[Foto Calimero]

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bresciaMUSICA16 -

CURIOSITÀ SULLA BIOGRAFIA DI ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI

INFANZIA E GIOVINEZZA A BRESCIAdi ALBERTO CHIARI

Questo articolo rappresentala conclusione del corso di“Strumenti e metodi della ricer-ca bibliografica” tenutosi alConservatorio “Luca Maren-zio”. Lo pubblichiamo non soloperché pensiamo che conten-ga notizie – talune inedite –che possono interessare chilegge questo giornale, ma an-che per stimolare l’interessedei giovani musicisti a cercaree studiare i documenti – anco-ra molti sono da scoprire – del-la vita musicale della nostracittà.

m.s.

* * *uando all’età di 4 anni Arturo Bene-detti Michelangeli si presentò al Civico

Istituto “Venturi” di Brescia, persostenere l’esame di ammissio-ne, la commissione non potéignorare la giovanissima etàdel candidato e sollevare del-le perplessità. Lo stesso Miche-langeli ricorda, in una testimo-nianza raccolta dall’allievoMario Conter, che il giorno del-l’ammissione il segretario e-sclamò: “Ma questo non è unasilo infantile!”. Tuttavia, mal-grado le eccezioni sollevateper la puerile età, Arturo fuprescelto tra una ventina diconcorrenti e affidato alla glo-riosa e valente scuola del M°Paolo Chimeri.

Ruolo dunque fondamenta-le ebbe, nella formazione diArturo Benedetti Michelangeli,la scuola del M° Chimeri: qui in-fatti si compirono i primi e deli-catissimi anni di studio e d’im-postazione tecnica che lo por-teranno alle alte vette che apochissimi è dato raggiungere.

Nei verbali dell’Istituto “Ven-turi” 1921-1931, attualmenteconservati nell’archivio delConservatorio “Luca Maren-zio” di Brescia, si legge, in oc-casione dell’esame di primocorso della scuola del maestroChimeri tenutosi il 4 dicembre1926, sotto il nome dell’allievoArturo Benedetti Michelangeli,accanto alla massima votazio-ne, la speciale lode dell’allora

Q

Il rapporto con Paolo Chimeri e l’incontro con Luigi Rognoni

leggendo un’epistola presenteall’Archivio di Stato della cittàdi Brescia che conserva unaparte dell’archivio “Venturi”(rubrica XV, 11/1). La SignoraAnna Gorio vedova Bettoni, inmemoria del defunto maritoM° Filippo Bettoni, decise dielargire un premio annuale dilire 500 per l’anno 1929-1930 al-l’allievo più meritevole sceltotra quattro concorrenti presen-tati dal direttore Romanini alprof. cav. Alessandro Scrinzi [?]capo della IV Divisione. Gli al-lievi prescelti erano: Stefani Er-nestina (scuola di pianoforteprincipale, M° Isidoro Capita-nio), Benedetti Michelangeli(scuola di pianoforte principa-le, M° Paolo Chimeri), BotticiniMario (scuola di violoncello, M°Fernanda Buranello), RomanoEnrico (scuola di violino, M° Ro-mano Romanini).

anni e mezzo) dà sicuro affida-mento di una riuscita assoluta-mente superiore alla normale”.

Pur essendo un eccezionaleallievo, capace di impressio-nare il celebre direttore Roma-nini, Michelangeli ebbe un rap-porto “anomalo” con l’Istituto“Venturi”; egli infatti non fre-quentò mai regolarmente icorsi delle materie comple-mentari. Lo si può constatare

direttore Romano Romanini:“Sotto l’impressione veramen-te e raramente provata, trovoche a questo bambino (sei an-ni e due mesi) deve schiudersiun avvenire brillante e radio-so”. Presenti in commissione,oltre al direttore, erano i signoridott. Paolo Tosana e il M° Pao-lo Chimeri.

Sempre nei sopracitati ver-bali dell’Istituto “Venturi” si tro-va, in corrispondenza degliesami di pianoforte principaledi terzo corso del giorno 29 no-vembre 1928, un’ulteriore notasottoposta alla massima valu-tazione dell’allievo Michelan-geli che dice: “La commissioneconstatando i continui brillantirisultati della scuola di pia-noforte principale conferma ilgiudizio riguardante l’allievoBenedetti Michelangeli Arturoe cioè ancora bambino (otto

La lettera così si conclude:“Dato che l’allievo Benedetti-Michelangeli non entrerebbea concorrere ai premi nonavendo egli mai frequentato icorsi regolari delle materiecomplementari dell’Istituto, néquesto né gli anni precedenti;pur riconoscendo i molteplicimeriti dell’allievo, [di] StefaniErnestina e di Botticini Mario,propongo venga assegnato ilpremio all’allievo Romano Enri-co che ottenne pure, oltre lamassima votazione nel violino, ipieni voti nelle materie com-plementari degli esami annua-li di pianoforte e solfeggio can-tato. Unico punto debole ful’armonia con punti 6 e mezzo:questo però non diminuisce aparer mio, i meriti superiori chein ogni altro ramo dimostra l’al-lievo Romano Enrico. Con os-sequi, il Direttore Romano Ro-manini”.

Nella sezione dell’archiviodell’Istituto “Venturi”, ancoraconservata presso il Conserva-torio “Luca Marenzio”, si trova,in una risma di fogli dattiloscrit-ti (“Brescia, gennaio 1929 annoVIII, all’Ill. Sig. Podestà”), un do-cumento nel quale si legge,sotto il titolo “scuola di pia-noforte principale. M° Cav. Uff.Paolo Chimeri”, quanto segue:“Durante l’anno scolastico,questa scuola ebbe un funzio-namento irregolare causa del-la prolungata malattia delMaestro. L’irregolarità perònon fu causa, di sospensionedelle lezioni perché queste fu-rono tutte impartite regolar-mente ma nell’abitazione delMaestro e non nell’Istituto. Gliallievi come al solito sono statitre e tutti e tre hanno ottenutoagli esami il massimo dei voti.Due essendosi licenziati, lascuola è rimasta con un soloallievo (un allievo giovanissimoe di abilità eccezionali). Il M°Chimeri non intende assumersialtri allievi data la sua età, mapunto per l’amore che portaall’Istituto al quale dedica lasua opera gratuitamente dapiù di trent’anni e per l’interes-

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bresciaMUSICA - 17segue dalla pagina 16

samento che ha per l’allievo dieccezione, ha dichiarato cheanche nell’anno scolastico1929-30 impartirà le lezioni neigiorni, soliti, di giovedì e dome-nica”.

* * *Dalla primavera del 1929, al-

l’età di nove anni, Michelan-geli iniziò a frequentare le lezio-ni private a Milano (dove loaccompagnava ogni settima-na la madre) presso il M° Gio-vanni Anfossi.

Il 22 ottobre 1931, ad appe-na undici anni, ottenne la “li-cenza normale” in pianoforte,con il massimo dei voti e la lo-de, come privatista al Conser-vatorio “Giuseppe Verdi” di Mi-lano.

Due mesi prima del diplomadi magistero, a conclusionedel ciclo istituzionale di Stato,nell’aprile del 1934, Michelan-geli e tutta Brescia perdevanoil vegliardo, autoritario e stima-to maestro Paolo Chimeri ricor-dato dall’avvocato AntonioGrassi, in una commemorazio-ne tenuta la sera del 9 maggio1934, come “colui che fu unodei più autentici rappresentan-ti della scuola pianistica e del-le correnti estetiche del suotempo […], uno dei maestri cu-stodi e continuatori delle tradi-zioni musicali dell’Ottocentoitaliano […], l’autorevole uomoda cui ebbe nome mezzo se-colo della vita artistica brescia-na, nessuna lode era più ambi-ta della sua, nessun biasimopiù del suo era temuto”.

I cittadini bresciani, dai musi-cisti più illustri ad amici e sem-plici conoscenti, resero merita-to ossequio al Maestro parteci-pando numerosi alle esequie.

Presso la Fondazione Casa diDio in Via Moretto n° 4 a Bre-scia, si conserva il cosiddetto“Archivio Paolo Chimeri” checomprende tutti i libri musicalidi proprietà di questa istituzio-ne, compresi i numerosi volumiappartenuti al M° Chimeri. Inol-tre l’archivio possiede numero-se fotografie del maestro e an-che il suo “libro dei morti” sulquale si possono leggere nu-merose firme di cordoglio di sti-mati colleghi ed amici; traqueste compare anche quelladi “Benedetti Arturo”. Una cu-riosa fotografia, in particolare,ritrae il lungo corteo che segui-va il carro funebre: si può ipo-tizzare che il ragazzo ritrattoappena dietro la testa del se-guito di persone che circonda-no il feretro, posto a destra delsacerdote, con la mano sini-stra in tasca, sia il quattordi-cenne Michelangeli. Il giovaneallievo rendeva così omaggioal primiero Maestro. Lo stessoMichelangeli ricorda: “Era buo-no e generoso. Era un granpersonaggio. Quando morì mitrovai solo a vegliarne la sal-ma”.

Dopo il “diploma di magiste-ro” in pianoforte, conseguitonel giugno del 1934, Michelan-geli rimase allievo privato diAnfossi fino al 1939.

La famiglia di Michelangeliera d’origine nobile e non vo-leva che il proprio figlio diven-tasse un pianista. Per volontàdei genitori, infatti, Arturo do-vette studiare medicina perdue anni.

Nel maggio del 1938 si eraclassificato settimo al concor-so pianistico della Regina Elisa-betta del Belgio e l’anno suc-cessivo vinse il prestigioso con-corso di Ginevra, tale afferma-zione gli valse la cattedra “perchiara fama” presso il Conser-vatorio di Bologna.

È interessante notare che nelfebbraio 1938, un anno primadella gloriosa vittoria ginevrina,Michelangeli eseguì (forse uni-ca volta nella sua carriera) perla Società dei Concerti di Bre-scia, in data 11 febbraio, unaserie di composizioni di Schön-berg in occasione di una dellesei lezioni di “critica ed esteti-ca musicale” intitolata “ArnoldSchönberg e l’Espressionismoin musica”, relatore Luigi Ro-gnoni.

Così commenta la lezione,su il popolo di Brescia, il criticomusicale: “Alla conferenza se-guirono pratici esempi. ArturoBenedetti Michelangeli sedet-te al pianoforte e con la suatecnica meravigliosa e prodi-giosa eseguì tre difficilissimemusiche dell’apostolo dell’ato-nalità: il secondo studio del-l’op. 11 che lo Schömberg [sic]creò nel 1909 quando ancorala nuova estetica era in forma-zione; e i sei piccoli pezzi del-l’op. 19 che appartengonopienamente al nuovo credodel musicista viennese; e la Sui-te op. 25 formata da un prelu-dio e quattro tempi di danza:Minuetto, Gavotta, Musette eGavotta. Dopo l’audizione lanostra convinzione sull’espres-sionismo è la seguente: l’esteti-ca di Schömberg è sempreun’idea letteraria. Ma la espli-cazione formale dell’espressio-nismo e cioè l’atonalità è unagrande conquista tecnica.Con questa musica ArnoldSchömberg ci dona un’artestrana, allucinata, paradossa-le, ma terribilmente tragica epensosa. Soppresse nel sensotradizionale e l’armonia e lamelodia, i suoni generano ef-fetti di “accordi”, eterei, astrali,astratti. Le musiche piacquero;e il pubblico le ascoltò conbuona volontà e applaudì ge-nerosamente. Gli applausi na-turalmente erano rivolti ancheall’interpretazione penetrantee diligente del pianista Bene-detti Michelangeli. Anche l’o-ratore fu festeggiato per la suadotta fatica; noi esprimiamoun augurio: ritorni il M° Luigi Ro-gnoni per qualche altra utile enecessaria lezione sulla musicamoderna. (13.02.1938)”.

Tale articolo, a una superfi-ciale analisi, potrebbe appari-re come un normale e consue-to commento a una seratamusicale; tuttavia se si leggo-no gli scritti di Luigi Rognonipresenti nel libro Luigi Rognoni– Intellettuale europeo – scrittie testimonianze si trova un par-ticolare articolo risalente al 6giugno 1935, pubblicato sulBollettino Mensile di vita e Cul-tura Musicale intitolato AlfredoCasella e il provinciale. In talearticolo, il dotto musicologoanalizza, in modo acuto, il pa-norama musicale nazionalecontemporaneo denunziandola “presenza massiccia di com-positori italiani che hanno scel-to di adagiarsi comodamente,a scanso di ogni pericolo di in-successo, in una comoda,quanto arretrata e priva di ve-

ro significato storico, tradizioneottocentesca”.

Il panorama musicale italia-no, identificato da Rognonicon il termine di “provinciali-smo”, appariva dunque deplo-revole e arretrato; “Un paeseche a malapena sopportavaDebussy e Strauss e che sabo-tava con fischi e rumori i con-certi di compositori come Ca-sella, Malipiero, Petrassi e Dal-lapiccola”. Rognoni, prove-niente dall’atmosfera parigina,viennese, berlinese, riprenden-do contatto con la propria na-zione, carico di una forte espe-rienza “europea”, e deciso aporre tale bagaglio spirituale adisposizione del proprio Paese,incontrò un ambiente assaiostile a tale azione moderniz-zante, un Paese dove ogni la-voro “nuovo” veniva imman-cabilmente sabotato.

* * *Tuttavia, incredibilmente, a

Brescia il valente musicologovenne invitato a tornare “perqualche altra utile e necessa-ria lezione sulla musica moder-na”. Sempre nel libro appena

citato, a pagina 36 è presenteuna nota marginale che narraquanto segue: “Alla fine del1937 l’avv. Grassi che dirigevala Società dei Concerti di Bre-scia mi aveva invitato a teneredue ‘lezioni’ sulla musica con-temporanea, che io localizzaiin Erik Satie e i Sei e in ArnoldSchönberg e la sua scuola, […]raccolsi diverse sottoscrizionitra i giovani bresciani che ven-nero alla mia ‘lezione’ suSchönberg. Per Satie me l’erocavata con qualche facileesecuzione al pianoforte; maper illustrare Schönberg, chequasi nessuno conosceva aquell’epoca, occorreva unpianista. L’avv. Grassi mi disseche vi era un giovane moltodotato e di straordinaria tecni-ca: inviai un mese prima a Bre-scia l’op. 11, l’op. 19 e l’op. 25di Schönberg, perché glieledessero da studiare: ero moltodubbioso, soprattutto per laSuite op. 25. Dissi che sareigiunto a Brescia almeno duegiorni prima della ‘lezione’. Ar-rivai e mi fu presentato un gio-vane bresciano, un ragazzo al-to, allampanato, taciturno. Ci

mettemmo al lavoro: egli ave-va imparato con sorprendentefacilità tecnica le opere diSchönberg. Ci mettemmo allavoro: io gliele analizzai, misforzai di fargli comprendereche andavano eseguite comeopere ‘tradizionali’ […]. Egli miascoltava docilmente, un po’meravigliato, ma capiva, ripe-teva, penetrava nel senso del-la musica di Schönberg. Il gio-vane pianista si chiamava Ar-turo Benedetti Michelangeli. Lacoerenza e l’esecuzione dellemusiche schönberghiane an-darono lisce: il pubblico eraper la maggior parte, compo-sto da giovani, e contraria-mente a Venezia, applaudiro-no e poi mi subissarono di do-mande”.

Mentre Rognoni vedeva, acausa dell’Anschluss, svanireogni suo sforzo a favore del-l’“arte degenerata”, Bresciaassaggiava sostanzialmente,grazie alla lungimirante Societàdei Concerti, uno spicchio dimusica contemporanea; poi,dall’autunno 1938, tutto rientrònel proibizionismo a causa del-le orrende leggi razziali.

CAMPAGNA ASSOCIATIVA 2013

Quota minima € 20,00 (Socio ordinario)

€ 100,00 (Socio benemerito)

Il versamento può essere effettuato tramite il c/c postale n° 10580256 intestato a: Associazione Filarmonica “Isidoro Capitanio”

Banda cittadina di Brescia Via delle Battaglie 61/1 - 25122 Brescia

o con bonifico bancario - Iban: IT72Q0350011210000000018860(specificare il nominativo e l’indirizzo del socio)

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Avete intrapreso delle colla-borazioni? Quali sono previstein futuro?

“Man mano che la nostratrasmissione si è fatta conosce-re, alcuni artisti hanno cercatodi tornare, o di proporre nuoviprogetti. Ad esempio GabrieleZanetti, dopo aver suonatodavanti alle nostre telecame-re, ci ha ricontattato, offrendo-ci con l’Informal Quartet unospettacolo molto particolare,con brani nuovi improvvisati ein prima assoluta. Contatti cigiungono anche da chi ci se-gue su Youtube. Internet è unacarta vincente: i video, previoconsenso degli artisti, si posso-no vedere o rivedere sul nostrocanale LaCameradellaMusi-ca, e alcuni ne approfittanoper allegarli ai propri curricula.Una collaborazione particola-re ha poi permesso l’ingressodella danza, anche se in pic-cola parte, nella nostra trasmis-sione: lo spettacolo ‘La scatoladei sogni, Omaggio a ClaudeDebussy’, all’interno del festi-val organizzato dal Conserva-torio. Curato dal maestro Ra-

nucci e da Luisa Cuttini, si èsvolto in San Barnaba, ed èstato trasmesso dalla nostra re-te. Un successo che verrà pre-sto riproposto. Poi la recentepresenza del Conservatorio aShangai, per una sorta di mo-stra-mercato dedicata a real-tà economiche e culturali, haofferto l’opportunità di proiet-tare alcune puntate in Cina.Tra le esibizioni passate sulloschermo, quella di una piani-sta di Pechino, Chen Xi, è statasicuramente un biglietto da vi-sita gradito”.

Quali sono i criteri che gui-dano la selezione di chi si esi-bisce?

“È nostra intenzione riservaresempre uno spazio al Conser-vatorio. Una metà delle tra-smissioni è dedicata infatti adallievi o ex allievi, mentre unaparte è di esplorazione pura. Ilpunto di vista tecnico è un al-tro fattore non trascurabile nel-la scelta: abbiamo solo due te-lecamere su binari, che si pos-sono muovere ma limitata-mente; i microfoni sono quat-tro o cinque ma non di più. Di-

venta molto difficile, se non im-possibile, gestire organici trop-po numerosi”.

La necessità di un program-ma di questo tipo può esserel'indizio della mancanza a Bre-scia di ambienti nei quali per-mettere ai giovani di talento diesibirsi?

“Si tratta di un aspetto sicu-ramente collegato. Molti musi-cisti che hanno partecipato al-la trasmissione ci hanno dettoche pur facendo concerti nonottengono un’adeguata visibi-lità: due righe sul giornale co-me annuncio e al massimouna piccola recensione. Com-parsi sulla nostra rete, invece,molti sono stati contattati perfare dei concerti. Pochi spaziquindi e poca visibilità costitui-scono il problema. L’attenzio-ne che gli procuriamo noi nonsi esaurisce in televisione, maha una ricaduta concreta intermini di occasioni”.

Il mezzo come influisce sulcontenuto? È differente il valo-re della musica classica in te-levisione? In che misura il for-mato televisivo obbliga a pro-porre un “prodotto” diverso?

“Il formato televisivo deveobbedire ad alcuni canoni. Lastessa durata della trasmissioneè già una scelta: quarantacin-que minuti, dei quali circa tren-tatré-trentasei di musica. Qualisono i brani, quanto dura ognu-no, tutto deve essere concor-dato e cronometrato. Si fannole presentazioni e delle brevi in-terviste, senza dimenticare l’ob-bligo di uno spazio dedicato al-la pubblicità. I tempi devonoessere rispettati molto scrupolo-samente. La trasmissione infattinon va in onda esclusivamentea Brescia, ma anche a Verona,e deve poter essere inserita inpalinsesti molto rigidi. È poichiaro che un programma diquesto tipo, che vuole raggiun-gere tutti, deve fare i conti conil pubblico televisivo, che spes-so non è preparato a brani lun-ghi come ad esempio unasinfonia. Consigliamo sempre aimusicisti di eseguire dei pezziche durino dai sei agli otto mi-nuti, così da lasciare la possibi-lità di interrompere la trasmissio-ne con dei commenti. La televi-

sione influisce indubbiamentesu ciascuna scelta”.

Il pubblico che segue la mu-sica classica in televisione èdiverso da quello che invece sireca ai concerti dal vivo?

“Sicuramente. La televisioneraggiunge potenzialmente tut-ti. In base a questo abbiamodeciso ad esempio, insieme aSara Centenari, che le presen-tazioni dei brani non possonoessere troppo tecniche. Dueparole per inquadrare l’autoree il pezzo. Il regista ha suggeri-to che potrebbe essere interes-sante qualche puntata con uncompositore che faccia senti-re e spieghi un suo tema, alpianoforte. Questa è una delleevoluzioni possibili, un ap-profondimento sul brano, ditanto in tanto. L’opinione piùdiffusa è che il nostro sia unprogramma bello e facile.Questo dice molto: spiegazionitroppo difficili potrebbero esse-re fatali, perché molte personehanno bisogno di essere intro-dotte alla materia”.

Sperate che LaCameradel-laMusica possa attirare nuoviascoltatori e fruitori, e chequindi possa avere una rica-duta anche extratelevisiva?

“Questo è l’intento. Gli artistigiovani e meno giovani, quan-do si ripresenteranno in con-certi dal vivo avranno sicura-mente qualche spettatore inpiù. È un processo ovviamentemolto lento, ma può dare deirisultati. Tutti ci dicono chequesta trasmissione è l’unicaad avere questo taglio. Speria-mo che la crisi economica cipermetta di continuare la no-stra esplorazione musicale”.

Si evolverà in futuro la tra-smissione? Nuove idee?

“Oltre all’idea di proporredelle piccole analisi musicali, sipensava di fare in futuro dellepuntate monografiche, anchea seguito del successo riscossocon lo spettacolo ‘La scatoladei sogni’. Sarebbe bello an-che celebrare alcune ricorren-ze: una puntata natalizia adesempio, con varie partecipa-zioni, un progetto che restamolto difficile perché va tuttoprogrammato con moltissimoanticipo”.

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UN’INIZIATIVA DI LUIGI FERTONANI PER BRESCIA.TV

DARE (TELE)VISIBILITÀ ALLA MUSICAa cura di GIACOMO BARONI

ue anni fa mi trova-vo a Bolzano, in oc-casione del concor-so pianistico Busoni.

Ho notato che negli stessi gior-ni, sotto i portici della città, era-no previsti degli appuntamenticon vari pianisti: ragazzi delConservatorio o di altre scuoledi musica si esibivano tra le viedel centro, a fianco dei con-correnti del Busoni. Guardan-do le esibizioni ho visto che lagestione dei pianoforti, unaventina in totale, compresi al-cuni verticali o a mezza coda,era affidata al bresciano Pas-sadori, in quanto concessiona-rio Steinway, sia per la Lombar-dia che per l’Alto Adige. È sta-to lui a spiegarmi l’intento degliorganizzatori del festival: ga-rantire presenza, diffusione evisibilità della musica in città almassimo grado. La cosa mi hamolto stupito, e tornato a Bre-scia ho pensato che anche noiavremmo potuto intraprende-re un progetto simile”.

Luigi Fertonani spiega così lospirito originario della trasmis-sione LaCameradellaMusica:una vetrina dove i giovanialunni del Conservatorio, co-me anche i professionisti delpanorama musicale brescianoe non, possano trovare la giu-sta attenzione, con la speran-za di avvicinare nuove fasce dipubblico alla musica dal vivo.

Il programma, curato e con-dotto dal giornalista di Bre-sciaoggi insieme alla presenta-trice Sara Centenari, va in on-da da gennaio 2012 su Bre-scia.tv, in prima visione il saba-to e in replica la domenica.

“Teletutto aveva già tentatoiniziative di carattere musicale,perché allora non proporrequalcosa anche su Brescia.tv?È stato ancora una volta Pas-sadori che mi ha suggerito disfruttare gli spazi del Conserva-torio. Un luogo ideale, che of-friva una sala splendida e mol-ti strumenti. Il direttore, Balza-retti, era interessato al proget-to, e dopo un iniziale rifiuto do-vuto ai costi previsti, l’idea haconvinto anche il direttore diBrescia.tv, Chiarini. Abbiamoorganizzato un incontro tra noitre e Fappani, quest’ultimostrumentista della Banda citta-dina, ma anche regista di mol-te trasmissioni della nostraemittente, nel quale tracciarele linee generali del program-ma. Come detto, è stato scel-to per le riprese il salone DaCemmo, uno sfondo bello esuggestivo, dove far suonaresia gli allievi del Conservatoriodi Brescia e Darfo, sia musicistiprofessionisti, riservandoci co-munque una grande libertànella selezione degli esecutori.Abbiamo definito una formache fosse la più semplice possi-bile, con introduzioni fatte dame e da Sara Centenari, e po-chi mezzi: due telecamere, im-pianto voci, microfoni, tre oquattro fari. La proposta fino aoggi ha spaziato in tutti i gene-ri, in un’esplorazione tesa a da-re al pubblico un’idea che siala più ampia possibile, passan-do dai brani per pianoforte al-la musica antica, dal jazz alleopere di compositori brescianicome Ugoletti o Facchinetti,ma dedicando spazio anche astrumenti più particolari comel’arpa, il sassofono, l’organo, ea vari tipi di organico”.

D

L’“Informal Quartet” durante la registrazione di una trasmissione

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bresciaMUSICA - 19

Associazione Bande Musicali Bresciane si è costituita nel set-tembre del 1998 su ini-

ziativa di un gruppo di personelegate all’ambito bandistico lo-cale con l’intento di favorire losviluppo nella provincia di Bre-scia di organizzazioni bandisti-che e musicali in genere. Gliobbiettivi dell’associazione so-no la diffusione della culturamusicale, la sensibilizzazione ela formazione dei giovani, non-ché la tutela degli interessi edell’immagine degli associatiAbmb nei confronti della Pub-blica amministrazione. L’asso-ciazione è impegnata in qual-siasi iniziativa che possa poten-ziare la sua attività. Alla fine delmese di aprile è stato rinnovatoil Consiglio di amministrazionecon la riconferma alla carica dipresidente di Livio Raineri, alquale ci rivolgiamo per parlaredella storia e del consolida-mento dell’Abmb sul territorio.

Per quale motivo è maturatanel 1998 l’esigenza di creareun’associazione che riunisse lebande bresciane?

“L’idea è venuta al M° Cle-mente Duni. Intendeva con-cretizzare una convinzione delM° Giovanni Ligasacchi, il qua-le fin dagli anni ‘70 aveva rite-nuto importante la costituzionedi un’associazione che aggre-gasse le bande musicali delBresciano. Io e Augusto Corsiniabbiamo raccolto il suggeri-mento. Ci siamo sentiti sprona-ti a fondare l’Abmb. Insieme aClemente Duni abbiamo tro-vato gli altri componenti delgruppo dei fondatori, tuttepersone in qualche modo le-gate ai gruppi bandistici delnostro territorio”.

Come avete avviato l’attivitàdell’Abmb? Quante erano leAssociazioni bandistiche chesubito hanno aderito al proget-to?

“Da subito ci siamo impe-gnati nella ricerca di un com-mercialista che avesse la buo-na volontà di rendersi disponibi-le a fare da consulente per gliaspetti giuridico-fiscali: lo ab-biamo trovato in Cesare Duina.Insieme abbiamo steso lo statu-to e il 16 Settembre 1998 ci sia-mo presentati dal notaio per lasottoscrizione dell’atto costituti-vo. I complessi bandistici chefin dall’inizio hanno aderito al-l’Associazione erano 23. La na-scita di Abmb è stata possibilegrazie anche all’importante so-stegno dell’allora assessore allaCultura della Provincia di Bre-scia Tino Bino e dall’assessore alBilancio Walter Bonardi. Soste-gno della Provincia di Bresciache è proseguito anche perqualche anno durante la presi-denza di Alberto Cavalli”.

Quali sono state le difficoltàmaggiori che avete incontratosoprattutto all’inizio del percor-so?

“Si potrebbe pensare che ledifficoltà maggiori fossero ini-zialmente causate dalla man-canza di risorse economiche

che invece ci erano garantitein modo adeguato dall’Asses-sorato alla cultura provinciale.Ciò che invece rese l’avviodella nostra attività turbolentofu l’aspro confronto, o megliolo scontro, con l’Anbima pro-vinciale, che non tollerava lapresenza sul territorio di un’al-tra associazione di aggrega-zione bandistica e ci contra-stava con tutti i mezzi. Fortuna-tamente la nostra perseveran-za è stata ripagata dalla cre-scita costante degli associatiall’Abmb”.

Quali sono state le attivitàprincipali che Abmb ha pro-mosso e sostenuto in questi an-ni?

“Tutti gli anni si organizzanoconcerti, raduni bandistici perbande senior e giovanili, nel li-mite delle nostre possibilità. Tut-tavia il nostro principale obietti-vo è quello di dare informazio-ni e strumenti adeguati sul mo-do migliore di operare, con sta-tuti in regola, rispetto per le leg-gi vigenti, nella convinzioneche ciò possa fortemente con-tribuire alla crescita delle ban-de musicali e possa essere utileinsegnamento anche per legiovani generazioni”.

Come sono i rapporti con glienti pubblici e in particolarecon la Provincia di Brescia?C’è stato sostegno al progetto

Abmb e soprattutto aiuto fi-nanziario?

“Come dicevo, inizialmentepotevamo contare su un soste-gno importante dell’Assessora-to alla cultura. Poi, da qualcheanno a questa parte, tutto ècambiato e non abbiamo po-tuto far altro che riscontrare untotale disinteresse da partedella Provincia di Brescia. Dal2012, si è riaperto il dialogocon l’attuale assessore allaCultura, Silvia Razzi”.

E come sono i rapporti conle altre associazioni di catego-ria?

“Ormai da anni non abbia-mo più ostacoli da parte di An-bima, in verità neanche colla-borazione. Va considerato il fat-to che in questo momentoAbmb vanta 93 gruppi associa-ti rispetto ai 112 del territoriobresciano. A livello nazionaleabbiamo da quattro anni costi-tuito il Tavolo permanente delleFederazioni regionali o provin-ciali italiane, che attualmente èpresieduto dalla delegazionecomasca. Il Tavolo permanenteè stato creato per avere più vi-sibilità a livello nazionale, quindiper non essere solo delle isolateentità locali. Questa esperienzaper noi è molto importante,però ora ci fa dire con moltasincerità e amarezza che del la-voro delle Bande musicali che

tanto fanno per lo sviluppo del-la cultura musicale su tutto il ter-ritorio nazionale non importaniente a nessuno: l’interesse neinostri confronti da parte delleistituzione si evidenzia solamen-te in campagna elettorale...”.

Dall’alto della tua esperien-za ci puoi dire quali sono i pre-gi e le carenze delle Associa-zioni bandistiche bresciane?

“Il pregio principale è certa-mente la grande volontà di fa-re, di creare soprattutto grup-po magari anche divertendosi.Raggiunto però questo obietti-vo ci si sente appagati e non cisi rende conto c’è ancora mol-to da lavorare. Bisogna insistereperché l’impegno delle perso-ne sia maggiormente qualifica-to, rendendo tutti consapevoliche anche se si opera in unambiente amatoriale l’atteg-giamento sia a tutti i livelli – ar-tistico, organizzativo e ammini-strativo - più professionale. Se-gnali incoraggianti incomincia-mo a vederli, speriamo che siprosegua in questa direzione”.

Il panorama bandistico bre-sciano non è quindi molto di-verso da quello nazionale.

“Sì è vero. Proprio attraversoil lavoro con il Tavolo perma-nente abbiamo verificato chele problematiche bresciane so-no comuni anche alla maggiorparte delle bande italiane. Ab-

biamo però anche constatatoche negli ultimi vent’anni si so-no formati bravi maestri, bravistrumentisti, si sono create del-le scuole di musica che funzio-nano veramente bene, cosìcome abbiamo purtroppo pre-so atto della difficoltà diffusasu tutto il territorio nazionale direperire le risorse finanziarie ne-cessarie per sostenere e quali-ficare ulterioremente l’attivitàdi ogni singolo complesso”.

Cosa si dovrebbe fare permigliorare ulteriormente laqualità delle bande musicali?

“Prima di tutto è necessarioche le associazioni bandistichesiano riconosciute, non solo for-malmente, a livello istituzionalee conseguentemente valorizza-te e considerate per il ruolo chesvolgono per le comunità di ri-ferimento. Solo così si potreb-bero raggiungere obiettivi piùambiziosi ed evitare atteggia-menti provincialistici che indu-cono i diversi gruppi a occu-parsi e preoccuparsi solo delproprio orticello. Un salto ulte-riore di qualità si potrà dunquefare solo quando a livello nazio-nale si riuscirà a creare un ‘siste-ma bandistico’ fatto di sinergiee di obiettivi culturali, artistici,didattici e organizzativi in gra-do di far crescere in modocompatto tutto il movimento”.

Quanto è fondamentale ilcoinvolgimento dei giovaniper la crescita dei complessibandistici?

“I giovani sono la risorsa piùimportante per la musica deldomani. Siamo consapevoliche se saremo sempre in gra-do di coinvolgerli avremo neglianni a venire tanti strumentistie insegnanti sempre megliopreparati che saranno in gra-do di creare un effetto moltipli-catore nei confronti delle nuo-ve generazioni. Speriamo chetutto venga attuato nei modi etempi giusti”.

L’

LIVIO RAINERI CI RACCONTA I QUIDICI ANNI DELL’ABMB

FARE GRUPPO DIVERTENDOSIa cura di PAOLO TESI

SPAZIO AMATORIALE

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A COLLOQUIO CON ERNESTO MARINI, PRESIDENTE DELL’USCI

UN VASTO PATRIMONIO CORALEa cura di BONA PELLIZZARI

rizzare i vari cori della città edella provincia, di organizzarliin modo che si possano esibirenon solo nelle sale da concer-to, ma anche in piazze e viedella città, per diffondere l’a-more per la musica corale.

“La finalità principale dellanostra delegazione è di pro-muovere iniziative culturali esociali per incrementare l’atti-vità corale, valorizzando l’im-portante ruolo aggregativo eformativo dei cori e fondereculture diverse di canto corale.Ci interessiamo alla ricerca, al-la conservazione e diffusionedel patrimonio culturale classi-co e popolare con riferimentoanche al ricco e vario patrimo-nio bresciano. Questa musicanon sarebbe conosciuta senon esistessero le nostre realtàamatoriali che la eseguonocon studio e passione. Ognicoro ha la sua storia, il suo va-

sciano. Quest’anno, ricordan-do Giulio Tonelli a conclusionedella rassegna per il 25° dellamorte, i cori eseguiranno, sottoil porticato della loggia di Bre-scia, due composizioni di To-nelli: O Pastori, O che ghera treraarì”.

Quanti sono i cori iscritti allavostra delegazione?

“Per ora sono 47, con organi-ci diversi: cori maschili, corifemminili, misti, voci bianche egospel. Ci scambiano partitu-re, consigli sull’esecuzione, scel-ta di opere da eseguire”.

Sappiamo che vi dedicateanche alla musica sacra. Qua-le è l’iniziativa più importante?

“La rassegna ‘Musica Divi-na’, che si svolge in DuomoVecchio e nelle Pievi storichedella provincia, come a Ma-guzzano di Lonato, Pieve di Pi-sogne e altre. È una rassegnacon cui l’USCI augura alla po-polazione della provincia felicimomenti di vita”.

Quali altri concerti avete inprogramma nel corso dell’an-no?

“Abbiamo organizzato la pri-ma rassegna “Dodici mesi dicoralità”, in collaborazionecon il TCI. Il primo concertosarà il 20 aprile 2013, l’ultimo il14 marzo del 2014, e si svolge-ranno tutti nella chiesa di S.Giorgio, a Brescia, di pomerig-gio dalle 16,00 alle 18,00 conrepertorio che attinge a tuttele forme del canto corale: sa-cro, profano, polifonico, go-spel”.

Importante è dedicarsi aicori di adulti, ma più importan-te ancora dedicarsi ai cori digiovani in modo da far usciredall’ombra le esperienze che sisvolgono nelle scuole a cura diinsegnanti volonterosi. Si inse-gna il canto nei Licei musicalidi recente istituzione, ma nellealtre scuole l’insegnamentodella musica è purtroppo assailimitato, se non quasi nullo, enei programmi attuali non esi-

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bresciaMUSICA20 -

ono innamorato della voce umana e delle sue molteplici poten-zialità. Ciò che essa

riesce a evocare nell’animo èsuperiore, per me, alla voce diuno strumento. Far parteciparealtri alla mia passione, contri-buisce in maniera determinan-te alla formazione delle perso-ne non solo dal punto di vistamusicale, ma anche sociale;aiuta a mettersi in relazionecon i vari componenti. Il singo-lo non esiste, esiste il coro”.

Inizia così l’intervista al mae-stro Ernesto Marini, direttore delcoro “S. Vitale corista in Fran-zacurta” di Borgonato e presi-dente dell’USCI (Unione So-cietà Corali Italiane), accom-pagnato dal segretario Vin-cenzo Benedini, amministrato-re ma soprattutto “corista”, edal maestro Tommaso Ziliani,direttore del coro “Il Labirinto”(vedi intervista del settembre2008), commissario artisticodella delegazione di Brescia,promotore di iniziative e orga-nizzatore di eventi musicali.

Iniziamo dal coro di Borgo-nato, nel quale si esplica lapassione del Maestro per ilcanto corale.

“Sono direttore da 28 anni.La mia passione per il cantocorale mi ha spinto a tenermiaggiornato, frequentando cor-si e seminari di specializzazio-ne: nel 1990 corso di canto co-rale, docenti Bernardino Streitoe Angelo Mazza a Brescia; dal24 luglio al 3 agosto dello stes-so anno direzione corale aBobbio, docente Korn; dal 27luglio al 5 agosto del 1992 dire-zione corale, storia della musi-ca e vocalità a Este, docentiAcciai, Berrini, Woodbury; nel-l’anno accademico 1992/1993direzione e pratica corale a Vi-mercate, docenti Corsero, Ac-ciai, Berrini; dal 1989 al 1995corsi estivi e weekend di cantogregoriano presso la Scuola Ci-vica di musica di Cremona. Lamia prima esperienza risale aquando in collegio – avevoquindici, sedici anni – diressiper la prima volta un coro. Daallora iniziai il mio percorso distudioso del canto corale unitoal desiderio di diffondere l’a-more per il canto, di coinvol-gere altri cori e scambiarciesperienze e consigli. Ho ac-cettato la nomina di presiden-te dell’USCI di Brescia perchémi aiuta a realizzare le mieaspettative. Proprio quest’an-no si sono svolte le elezioni peril rinnovo del Consiglio diretti-vo, formato da 11 componen-ti, e della Commissione artisti-ca, 5 componenti, che rimar-ranno in carica per tre anni”.

La nostra rivista ha già parla-to dell’USCI e della delegazio-ne di Brescia, nata nel 2006,che ha un proprio statuto insintonia con quello dell’UnioneRegionale Lombarda, a suavolta associato alla Federazio-ne Nazionale Italiana Associa-zioni Regionali Corali. Sappia-mo che ha il compito di valo-

S

lore è un patrimonio che vavalorizzato e l’USCI diventa unorganismo di riferimento perfarsi portavoce dei vari coriiscritti, delle loro esigenze, so-stenere e promuovere la lorocrescita qualitativa e culturale.È inoltre un interlocutore privile-giato per i rapporti con entistatali e privati. Seguendo que-sti principi, organizziamo con-certi in città e provincia colla-borando con enti pubblici eprivati e associazioni culturali;istituiamo corsi di aggiorna-mento per maestri di coro e cirivolgiamo ad altre organizza-zioni musicali per diffondere lacultura ‘corale’ e musicale ingenere. Infine curiamo pubbli-cazioni di raccolte di canti. Èappena stato pubblicato il Ivolume di Canti popolari bre-sciani a cura, sia per la sceltadei canti che per la veste tipo-grafica, di Tommaso Ziliani ed

Ennio Bortolotti, direttore di uncoro di voci bianche, il ‘Carmi-nis Cantores’. È inoltre in pro-gramma l’uscita del secondovolume, seguita da una serie di25 concerti, eseguiti sempredai cori dell’USCI, dal prossimomese di ottobre fino al gen-naio del 2014”.

Il “Brescia in coro” è unadelle vostre iniziative più inte-ressanti…

“La manifestazione si svolgela prima domenica di giugnoe, quest’anno, siamo arrivatialla settima edizione. I cori siesibiscono nelle vie, nelle piaz-ze, nelle chiese del centro sto-rico e nel carcere di Verziano,con grande affluenza di pub-blico incuriosito e attento, riu-scendo così a diffondere l’a-more per l’ascolto del canto ea trovare qualcuno che inizia acantare in un coro. Ogni annosi ricorda un compositore bre-

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stono nuovi spiragli di apertu-ra. Inutili sono state le richiestedi Abbado, Muti, Accardo, diinsegnanti dei Conservatori edi scuole di musica per un in-segnamento obbligatorio dellamusica nelle scuole di ogni or-dine e grado. Offrire ai giovanialmeno l’esempio di “arte co-rale” può far crescere l’amoreper la musica e il canto.

“L’USCI considera importan-te la diffusione del canto nellescuole. Quest’anno, in colla-borazione con l’Ufficio scolasti-co, abbiamo curato una rasse-gna, dal titolo ‘Cori di classe’,rivolta esclusivamente alleclassi della scuola elementaree media. Si è svolta il 9 marzopresso l’Auditorium S Barnaba,con la partecipazione di diecicori iscritti – sei delle elementa-ri, quattro delle medie – a cui siè aggiunto un coro dell’Istituto‘Sraffa’, non per concorrere,ma solo per eseguire un cantocome prova della preparazio-ne. I cori si sono esibiti davantia una commissione, i cui mem-bri erano: Ruggero Del Silenzio,Angela Fertonani, Gloria Busi,Mario Tononi, Piercarlo Gatti:maestri diplomati e insegnanti,appartenenti all’USCI. Hannoespresso un giudizio diviso in trefasce, oro, argento e merito, escelto tre cori delle elementari:Istituto comprensivo di Rudia-no, insegnante e direttrice Lau-ra Pedretti; Istituto comprensi-vo ‘Giovanni Paolo II’ di Azza-no Mella, insegnante e direttri-ce Laura Lizzini; Scuola ele-mentare ‘Bruno Munari’ di Pue-gnago del Garda, insegnanteEmnanuela Ziliani, direttore En-nio Bertoletti; uno delle medie:Istituto ‘Maddalena di Canos-sa’ di Brescia, insegnante e di-rettore Roberto Bulla. Rappre-senteranno la provincia di Bre-scia alla rassegna regionaledell’USCI il 20 aprile, a Milano,in una esibizione alla Sala ‘Ver-di’ del Conservatorio”.

Vedere ragazzi impegnatinel canto corale rafforzaquanto abbiamo sempre scrit-to nella nostra rivista: l’impor-tanza dell’educazione musica-

bresciaMUSICA - 21le nelle scuole. Abituarli a can-tare in coro, fa loro capire checantare insieme arricchisce lacultura, ma soprattutto aiuta amaturare nei rapporti sociali,insegna che nel coro tutti han-no la medesima importanza.

“Non esiste infatti il ‘singolo’,esiste solo l’insieme, il ‘coro’.Saper stare in gruppo non si-gnifica ‘vivere nell’ombra’ de-gli altri, ma cooperare attiva-mente per raggiungere risultatinel miglior modo possibile.Cantare in coro educa alla re-sponsabilità verso se stessi e glialtri e il coro diviene così un au-tentico fattore di civiltà. Perquesto organizzeremo nuova-mente il medesimo tipo di con-corso. Tra le altre iniziative ab-biamo anche organizzato unincontro con il maestro GiorgioMazzuccato, incontro che ab-biamo chiamato ‘Coro aper-to’. Sono stati esaminati alcunibrani, conosciuti da quattrogruppi corali, sono seguite indi-cazioni sull’esecuzione con lapartecipazione sia degli uditorieffettivi che di quelli che vole-vano allargare il loro orizzontemusicale. È stata un’esperien-za positiva per tutti i parteci-panti”.

In occasione del venticin-quesimo anniversario dellamorte del maestro Giulio Tonel-li, le cui composizioni testimo-niano la sua molteplice attivitàdi organista, insegnante emaestro di coro, gli avete de-dicato un ciclo di concerti.

“Ci sono state venticinquemanifestazioni, in città e pro-vincia, con concerti vocali, or-ganistici, messe cantate con lapartecipazione, a titolo gratui-to, dei coristi dell’USCI, di mae-stri organisti ed ex allievi deimaestri Giulio e Gian Paolo To-nelli. L’ultimo incontro, ‘Ricor-dando Franco Margola e Giu-lio Tonelli’, è avvenuto il 28 di-cembre del 2012 con musichedi Margola, a vent’anni dallasua morte, di cui è stata ese-guita in prima esecuzione asso-luta La nuova Betlem, Cantatadella Notte di Natale (opera in-compiuta) ricostruita e orche-strata da Tommaso Ziliani; diGiancarlo Facchinetti, Inter-

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mezzo elegiaco per archi, inmemoria dell’organista GianPaolo Tonelli. Per l’occasione èstato pubblicato, sempre dal-l’USCI, l’ultimo e conclusivo vo-lume delle composizioni di To-nelli intitolato Exultet, curatocome gli altri da Tommaso Zilia-ni, che racchiude anche ope-re di altri compositori brescia-ni”.

Vi auguriamo che tutte levostre manifestazioni servanoa far crescere gli appassionatidi musica corale e il numero dinuovi “coristi”. Non porgiamodomande al maestro Ziliani, lacui molteplice attività è pre-sente in questo scritto, perchéci vorrebbe per lui una nuovaintervista. Concludiamo l’in-contro con una domanda alsegretario, il signor VincenzoBenedini, sulla sua attività dicorista.

“La mia esperienza musicaleè iniziata come studente di or-gano, spinto dal parroco dellamia parrocchia in Franciacor-ta, ma studiavo senza troppaconvinzione. Soltanto a 52 anniho scoperto l’attrazione per ilcanto e, pur senza nessunapreparazione ma armato dibuona volontà, sono entratonel coro di Borgonato con ilmaestro Marini. Ho scoperto unnuovo orizzonte. Lavoro nell’U-SCI, esperienza per me moltostimolante perché, assieme al-l’attività di contabile, mi per-mette di stringere rapporti coni cori di altre città. Certo chemi sento più ‘corista’ che ‘am-ministratore’...”.

Grazie all’USCI per tutte leiniziative musicali promosse,soprattutto per il concorso dicanto per le scuole: un lampoche illumina il buio dei nostriprogrammi scolastici e ci fapensare ad un grande mae-stro, Zoltán Kodály, creatore diun metodo per una radicaleriforma dell’insegnamento del-la musica e del canto: “Potràdirsi veramente fortunato quelbambino che muoverà i primipassi nel mondo della musicaattraverso la propria voce,mettendo in relazione questeesperienze con la scrittura del-la note”.

L’Associazione Amici della Bandacittadina di Brescia per lo svilupposociale e sostenibile contribuisceconcretamente alla realizzazionedi tutte le attività della “Isidoro Ca-pitanio”.

Con la prossima dichiarazione deiredditi (CUD, 730, UNICO) puoi de-stinare il tuo 5 per mille alle Asso-ciazioni di volontariato: dai il tuo 5per mille per le attività della Bandacittadina di Brescia.

Sul tuo modulo di dichiarazione deiredditi:• metti la tua firma nel primo ri-quadro (associazione di volontaria-to, ecc.)• scrivi il codice fiscale della Asso-ciazione Amici della Banda cittadi-na

9 8 1 5 2 3 9 0 1 7 9A te non costa nulla! Non è alter-nativo all’8 per mille (per la Chiesa,lo Stato, ecc.).

FIRMA PER ILTUO 5 x mille ALLA BANDA CITTADINA DI

BRESCIAI contributi raccolti con il tuo 5 per mille an-dranno a sostenere le attività della Associa-zione Filarmonica “Isidoro Capitanio” - Ban-da cittadina di Brescia: • Stagione concerti-stica e Rassegna bandistica; • Pubblicazio-ne della rivista BresciaMusica; • Scuola po-polare di musica; • Progetto “Conoscere laBanda” nelle scuole; • Progetto “Facciamola Banda” nelle scuole; • Altri interventi di-dattici nelle scuole primarie e secondarie diprimo grado; • Campo estivo musicale pergiovani; • Seminari di aggiornamento e distudio per gli strumentisti della Banda citta-dina e per i docenti; • Concorsi nazionali dicomposizione ed esecuzione bandistici,scambi culturali con altre realtà bandistichee rassegne musicali; • Allestimento e mes-sinscena di favole musicali didattiche; •Coinvolgimento di affermati compositorinella realizzazione di brani per organicobandistico; • Incisioni discografiche; • Imple-mentazione dell’archivio musicale.

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Musicale Italiana e infine co-pioso autore con saggi, libri, ar-ticoli di critica musicale, cele-bri in particolare quelli per l’E-spresso, curatele e traduzionituttora di riferimento comequella degli scritti di Busoni (Losguardo lieto).

I circa ottanta saggi conte-nuti in Forma divina hanno unaconnotazione e un’origine benprecisa: si tratta nella maggiorparte di programmi di sala,dunque testi stilati da D'Amicosu richiesta dei teatri di variecittà italiane (soprattutto il Tea-tro dell’Opera di Roma e laScala di Milano, e poi Firenze,Verona, Venezia, Spoleto etc.)in occasione delle rappresen-tazioni delle opere e dei ballet-ti di cui si parla. La lunghezza

varia all’incirca fra le tre-quat-tro e le dieci-dodici pagine ela caratteristica principale èquella del taglio non “scientifi-co”, bensì “divulgativo”, datoche il programma di sala è fi-nalizzato ad informare lo spet-tatore, anche non acculturatoe specializzato, su vari aspettidella rappresentazione cui siva ad assistere.

Tuttavia, non pare correttodefinire questi scritti una “pro-duzione minore” di D'Amico.Come sottolinea Giorgio Pe-stelli nell’ampia introduzione,D'Amico “non ha mai fattoquestione di generi per impe-gnare tutto se stesso in quantoveniva scrivendo; ogni occa-sione era buona per metterealla prova le convinzioni che

stavano alla base del suo pen-siero critico”. Pensiero criticoche in questo caso contribui-sce a disegnare una storia delmelodramma, dato che i saggisono stati disposti in base all’or-dine cronologico delle operetrattate. Si parte da Orfeo edEuridice di Gluck e dalla rifor-ma dell’opera fino al program-ma per Opera di Luciano Be-rio. Dati questi due estremi, ilprimo volume contiene le ope-re composte nel Sette-Otto-cento (Mozart, Beethoven, Bel-lini, Rossini e Donizetti, Verdi,Berlioz, Bizet, Massenet, Offen-bach Wagner, Johann Strauss,Borodin, Musorgskij, Rjmskij-Kor-sakov) mentre il secondo volu-me è dedicato al Novecento,seppure partendo da opere di

fine Ottocento come la Ma-non e la Bohème di Puccini:poi opere di Richard Strauss,Bartók, Malipiero, Prokof’ev,Ravel Schönberg, Janácek,Berg, Stravinskij, Shostakovich,Weill, Casella, Hindemith, Pe-trassi, Menotti, Peragallo, Buc-chi, Barber, Britten, Turchi, Hen-ze, Testi, Rota, Berio.

* * *Scorrendo l’elenco del se-

condo volume risulta subitoevidente dunque come que-ste commissioni avessero por-tato D'Amico a occuparsi an-che di autentiche rarità – ac-canto alle più note opere deivari Berg, Schönberg Hinde-mith o Strauss o Prokof’ev – inparticolare di compositori ita-liani, da Il contrabbasso di Va-lentino Bucchi (1954) alla Colli-na di Peragallo (1947) da Ilbuon soldato Svejk di GuidoTurchi (1962), a L’albergo deipoveri di Flavio Testi (1966), Lavisita meravigliosa di Nino Ro-ta. Se, da un lato, i saggi suqueste opere furono motivatidalla contingenza della com-missione, tuttavia in essi D’Ami-co non mancava di esprimereriflessioni forti e autentiche.Con le trenta opere trattate inquesto secondo volume, daquelle più note a quelle presso-ché sconosciute, D'Amico di-mostra così di avvertire il pano-rama dell’opera novecente-sca come qualcosa di ampioe articolato. Uno dei principaliconcetti che egli trasmette inquesti saggi è appunto la suaconvinzione che il Novecentosia solo per certi aspetti il seco-lo di una supposta “crisi dell’O-

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bresciaMUSICA22 -

l doppio volume Forma divina curato da Nicola Badolato e Lorenzo Bian-coni per i tipi Olschki rac-

coglie un cospicuo numero deisaggi che Fedele D’Amico hadedicato all’opera lirica, e inminor misura al balletto, lungoquarant’anni della sua attivitàdi critico e musicologo, dall’ini-zio degli anni Cinquanta alla fi-ne degli anni Ottanta. D’Ami-co (1912-1990) è stato, ed ètuttora, anche grazie a scritticome questi, uno dei nomi fon-damentali della musicologiaitaliana del Novecento. Do-cente alla Sapienza di Roma,direttore della sezione Musicae Danza dell’Enciclopedia del-lo spettacolo, membro delladirezione della Nuova Rivista

RIEDITI ALCUNI SCRITTI DI FEDELE D’AMICO

LA STORIA NEI PROGRAMMI DI SALA di CARLO BIANCHI

I

TRA I LIBRI

ans Küng, il celebre teologo svizzero, pa-re che si sia dichiara-to felice dell'elezio-

ne di papa Bergoglio, dal qua-le si attende (così almeno spe-ra) un netto cambiamento dirotta rispetto ai due ponteficiche lo hanno preceduto. Co-me è risaputo, Küng ha avutopessimi rapporti tanto con pa-pa Wojtila quanto con papaRatzinger. Per quanto riguardaquest’ultimo, in particolare, l’a-micizia e la stima reciprocheche li legavano da giovani sisono tramutate da qualchetempo in clamorose e acutissi-me divergenze di pensiero.

Al di là delle contese teologi-che che hanno diviso Küng eRatzinger, qualcosa in comunetuttavia è rimasto tra i due: ungrande amore per la musicaclassica, che si intreccia allaprofonda fede religiosa. Se gliinteressi dell’ex-papa in cam-po musicale sono alquanto no-ti, forse lo sono di meno quellidel teologo ribelle. A render-celi palesi è ora un libro editodalla Queriniana, traduzioneitaliana di un testo in tedescodi qualche anno fa, che haper tema il rapporto tra la mu-

sica e la religione. Il volume ècostituito da un’introduzione eda quattro capitoli, che ripren-dono e rielaborano discorsi oarticoli precedenti. Come sug-gerisce lo stesso autore, si puòpensare al tutto come a unacomposizione sinfonica contanto di ouverture, tre movi-menti centrali e un finale.

Ciascuno dei capitoli inter-medi tratta di un grande musi-cista: Mozart, Wagner e Bruck-ner. Per ognuno di essi Küng svi-luppa una serie di riflessioni arti-colate concernenti il nesso tramusica e religione. Egli consi-dera con attenzione da un latola diversa personalità degli au-tori di fronte alle tematiche reli-giose (dall’apparente superfi-cialità di Mozart alla complessaparabola di Wagner fino allafede ingenua di Bruckner), dal-l’altro il contenuto specificodella loro produzione artistica.

La trattazione, non scevrada una discreta consapevo-lezza di ordine musicologico(se non sul piano autentica-mente tecnico-analitico certoalmeno su quello storico-bio-grafico) offre un’interpretazio-ne generale sui tre autori, ma sisofferma soprattutto su alcunesingole opere: la Messa dell’In-coronazione di Mozart, il Cre-puscolo degli dèi e il Parsifal diWagner, l’Ottava sinfonia diBruckner (anche se in quest’ul-timo caso l’esame è davveroappena accennato).

Con il capitolo conclusivo sigiunge in un ambito più teoreti-co. L’argomentazione riguardal’arte intesa principalmente co-me arte visiva, ma può esseresenz’altro applicata anche allamusica, cosicché l’inserimentonel libro appare giustificato.

In queste pagine finali Küng sipone la questione cruciale circa

il senso dell’arte. L’arte al giornod’oggi ha ancora senso? In taledomanda si affaccia esplicita-mente la problematica della fi-ne-morte dell’arte, cui Küng dàopportuno rilievo, mostrandosiben aggiornato sulle ultime ten-denze artistiche. Egli però non ri-tiene di dover impartire, per co-sì dire, l’estrema unzione a unmalato senza speranza.

Non che Küng rifiuti di consi-derare le ragioni di un pessimi-smo che tende a calarsi nell’o-rizzonte del nichilismo, dovel’arte, se mai pretende di ave-re un senso, sembra poterloavere solo in termini parados-sali, come denuncia di unacomplessiva mancanza di sen-so. Tuttavia l’arte, pur mante-nendo intatta tutta la sua cari-ca critica, si dovrebbe aprire auna fiducia in un senso di fon-do.

In questa prospettiva l’arte

incontrerebbe la dimensionereligiosa, senza però doverperdere la sua piena autono-mia. Si tratterebbe di riattivarel’arte come eredità, come an-ticipazione e come illuminazio-ne del senso: un’eredità chenon implica alcun passatismostoricistico, un’anticipazioneche non implica alcun pro-gressismo tecnicistico, un’illu-minazione che non implica al-cun istantaneismo impressioni-stico.

Fiducia in un senso-fonda-mento: qualcosa che forsevuole includere, oltre alla federeligiosa, ogni altro moto disperanza basilare dell’uomo.Verrebbe solo da chiedere aKüng: come possono gli artistie i musicisti contemporanei ri-conquistare per loro stessi talefiducia, quando per l’appuntola perdita di essa risulta esserequella caratteristica eminenteche, in uno smarrimento dispe-rato, dà ormai l’impronta alleloro opere più consapevoli?

* * *Hans Küng, Musica e religio-

ne. Mozart - Wagner - Bruck-ner, Queriniana, Brescia, 2012,pp. 284, € 23,50.

Un testo del teologo Hans KüngLa dimensione religiosa della musicadi AUGUSTO MAZZONI

H

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pera”, e del “sentimento ca-noro”, ma che la in verità lapartita non sia “affatto chiusa”e che “oggi una tentazionedell’opera per i compositori èmolto più viva che non qua-rant’anni fa” – come egli so-stiene in un articolo comparsosulla «Rassegna musicale» nel1962, intitolato In che senso lacrisi dell’opera, e che qui vieneriportato a mo’ di appendice.L’idea che quell’opera nel No-vecento non sia affatto unapartita chiusa si ritrova anchenella presenza, in questi saggi,di opere che, al di là della fa-ma, non rispondono ai criteridelle avanguardie del Nove-cento e considerate dunqueretrograde da una certa criti-ca di quel tempo. Al giornod’oggi, alla luce di recenti “ri-torni” musicologici e musicalisu certi compositori neo-tonalidel Novecento, gli argomentidi D'Amico acquistano a mag-gior ragione un peculiare signi-ficato.

La natura interdisciplinaredell’opera lirica offre l’opportu-nità a D'Amico per notevoliconsiderazioni in fatto di lette-ratura e di cultura generale – sivedano gli articolati e puntualiriferimenti al formalismo russonel Naso di Shostakovic, oppu-re, nel Giocatore di Prokof’ev, ilproblema dei rapporti fra il li-bretto e il testo originale di Do-stoevskij. Come nota Pestellisempre nell’introduzione, l’am-pio approccio culturale checaratterizza pressoché tuttiquesti saggi pare talvolta la-sciare l’opera quasi dimentica-ta, sullo sfondo, salvo poi rive-larsi fondamentale per la suacomprensione. Oltre a questio-ni di metodo generale, c’è lapassione di D'Amico, che, aprescindere dal meccanismodella commissione, pare esserecomunque il melodramma del-l’Ottocento. Spiccano le dodiciOpere di Verdi presentate nelprimo volume, da Nabucco a

Falstaff: un’ulteriore occasioneper celebrare il bicentenario,ma soprattutto una carrellata incui D'Amico esprime il suo pe-culiare punto di vista sulla pro-duzione verdiana, riguardo alleopere del primo periodo, cheegli non considera mancanzecolmate dalle opere della ma-turità, riguardo all’attenzione diVerdi per l’azione scenica, chesecondo D'Amico è uno dei va-lori principali del compositore,nell’ambito di una poeticaumana tesa a rifuggire i valoriborghesi e a indagare il conflit-to fra individuo e società.

* * *A conclusione del secondo

volume, risulta significativa an-che la sezione dedicata al bal-letto. Oltre cinquanta pagine,nove saggi che mostrano ca-ratteristiche analoghe a quelledei saggi sulle opere, ovveroconsiderazioni culturali moltoampie, talvolta anche in modosorprendente, e un’alternanzafra composizioni assai note eassai meno. Balletti famosissimicome Il lago dei cigni e La bel-

la addormentata nel bosco diCiajkovskij, Gisellle di Adam el’Uccello di fuoco di Stravinskij,stanno accanto alla Giara diCasella e Le sifilidi di MichailFokine (su musiche di Chopin,1909). Quest’ultimo in partico-lare stimola in D'Amico una ra-pida ma efficace disamina sul-le caratteristiche della danzamoderna riportando i cinquefondamentali principi di Fokine“che nella storia del ballettovalgono pressappoco come laDichiarazione dei Diritti dell’Uo-mo nella storia politica”. Spic-ca poi il saggio dedicato aStravinskij scritto per il Teatrodell’Opera di Roma (stagione1953-54) con Petruska, Pulci-nella, Apollon Musagète e Lebaiser de la fèe. Interessanteanche la presenza dei Quattrotemperamenti di Hindemith.

Al di sopra di tutto si stagliala prosa di D'Amico, ben piùche invidiabile.

Il libro è stato presentato invarie sedi, fra cui la Sala delCaminetto del Teatro di Regiodi Torino, il 20 marzo, in unaconferenza cui hanno parteci-

pato Pestelli, Jacopo Pellegrini,uno dei redattori del volume, eAlberto Rizzuti, studioso verdia-no dell’Università di Torino. Pe-stelli ha rimarcato come quelladell’articolo sparso fosse la for-ma mentis principale nella pro-duzione di D'Amico e come giàda tempo si registrasse l’impul-so a raccogliere scritti di questogenere per renderli reperibili.Fra le varie riflessioni, sono statericordate le conoscenze di D'A-mico non solo libresche ma an-che umane (musicisti, compo-sitori nonché personaggi delmondo culturale e letterario) acui egli attingeva per maturarele proprie idee. È stata fattaascoltare anche la sua voce,una registrazione in cui presen-tava il Ballo in maschera. Non èmancato infine un cenno alfatto che dopo la generazionedei D'Amico e dei Mila la criti-ca musicale in Italia pare esse-re andata progressivamentespegnendosi – un ulteriore ele-mento per il dibattito sulla mor-te della musica che stiamo af-frontando da tempo sulla no-stra rivista.

Imponente il lavoro per lariuscita di questo progetto edi-toriale. In una nota introduttivaal testo, Lorenzo Bianconi sot-tolinea l’importanza della col-laborazione di Caterina D'Ami-co, Pestelli e Pellegrini per il re-perimento dei testi originali el’articolata assistenza redazio-nale. Numerosi noti studiosi so-no stati contattati per consulti.La collaborazione di Nicola Ba-dolato alla curatela del volu-me rientra in un progetto di ri-cerca sull’opera italiana finan-ziato presso il DAMS di Bolo-gna.

I due volumi fanno parte del-la collana Historiae MusicaeCultores diretta dallo stessoBianconi, Virgilio Bernardoni eFranco Piperno. Veste graficaelegante, come sempre nelleedizioni Olschki.

* * *Fedele D’Amico, Forma Divi-

na. Saggi sull’opera lirica e sulballetto, Firenze, Olschki, 2013(tomo I, Sette e Ottocento; to-mo II, Novecento e balletti),pp. 578, € 54,00.

TRA I LIBRI

Immagine de “Il lago dei cigni”

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bresciaMUSICA24 - LA MUSICA NELLA LETTERATURA

Il brano di Antonio Fogazza-ro che pubblichiamo è trattada Fedele in Il fiasco del mae-stro Chieco (Racconti musica-li), Passigli editore, Firenze,1992.

* * *on vidi bene lo Zua-ne in viso che all'Hô-tel Brocco, davanti al-le candele del pia-

no, quand’egli aspettava, inpiedi, che aprissero lo strumen-to, che ne portassero via lemontagne di musica e si acco-modassero gli sgabelli. Altissi-mo della persona, si teneva im-mobile ed eretto come unastatua d’imperatore antico, le-vando sopra noi tutti la facciapiù marmorea e tragica ch’ioabbia incontrato mai. Era unafaccia color di cera, senza unpelo, dal naso, scultorio, dal-l’austera fronte imperiosa, pie-na d’anima sopra gli occhi sini-stramente chiusi, piena quasidi un arcano sguardo che vi sispandesse sotto, cercandouscita.

Non c’era moltissima gente,perché la società dell’HôtelRavizza non aveva osato af-frontare il vento e la neve. Lasignora Fedele era là, nel suocantuccio favorito. Guardavail cieco, ma non accennava divolerlo accostare.

Nei brevi momenti della miavisita allo Zuane e del tragittoall’albergo, lo avevo udito par-lar dell’arte sua con la devo-zione sincera, profonda, di unfanatico. Egli era, tuttavia, as-sai mediocre artista. Aveva piùforza ed esattezza che espres-sione, e mostrava poi, nellascelta dei pezzi, un gusto molto

dubbio. Il pubblico, tocco del-la sua sventura, applaudì il pri-mo ed il secondo pezzo, ap-plaudì più ancora il terzo, unafantasia a quattro mani in cuil’allievo del Conservatorio si fe-ce troppo onore con scarsacarità del povero cieco.

Ma il programma era sover-chiamente lungo. Parecchiuscirono a guardare il tempo,a giuocare nel gabinetto atti-guo al caffè. I pochi rimastichiacchieravano. Durante ilquinto o sesto pezzo, non ricor-do bene, la signora Fedele sialzò e venne dov’ero io, pressoal piano, nel vano della fine-stra. […].

In quel momento lo Zuanepose fine al suo faticoso pezzo.

Egli pregò alcuno dei signoripresenti a volersi compiaceredi raccogliere le offerte. Io sta-va per farmi avanti, quando lasignora Fedele mi trattenne emi chiese di avvertire lo Zuaneche una signorina gli offriva dichiudere il suo concerto conun pezzo vocale; e che sareb-be bene non uscire col piattoche poi. Io esitava, ma il ragaz-zo Prina, che stava lì a man-giarsela cogli occhi, colse avolo le parole di lei, e si affrettòa pubblicare la proposta, cuilo Zuane accolse con l’usatasolennità, fiutando l’aria men-tre parlava, in qua e in là, co-me per scoprire dove la genti-le donna fosse.

La Fedele mi sussurrò all’o-

recchio: “Lei mi accompagnal’Aria di Chiesa? Gliela ho udi-ta suonare, stasera”.

Mi scusai, con ottime ragioni.Ella preferì allora non pregarealtri e accompagnarsi da sé.Mentre si toglieva i guanti fecialzare il signor Zuane e lo con-dussi, di proposito, a sedere al-quanto discosto dal piano.

Intanto la gente, avvertitacome per incanto, rifluiva nelcaffè a udir la bella veneziana.Lo Zuane si trovò subito in mez-zo a un gruppo di persone.

La signora si pose al piano. Ioero in piedi vicino a lei; potevovedere il leggero tremito dellesue mani, l’inquietudine dellesue labbra. Mi chinai per dirleall’orecchio che avrei potuto

pregare l’allievo del Conserva-torio di accompagnarla. Scos-se il capo nervosamente e in-cominciò subito, con mano si-cura, il preludio. Prima di finirlo,mi diede un’occhiata comeper dirmi: “Le pare?”; comeper mostrarmi il suo viso palli-do, ma risoluto.

Vorrei saper esprimere la ti-mida dolcezza accorata delsuo canto quando incominciòsottovoce: Pietà, Signore, / Dime dolente.

Guardai involontariamente iPrina e i Trèzel, dei cui bisbigli,dei cui sorrisi ironici m’ero beneaccorto. Non sorridevano più.Gli occhi miei, tornando lenta-mente al piano, incontraronoa caso il volto del cieco, men-tre la dolce voce saliva con unfremito di passione alle parole:Se a te giunge il mio pregar /Non mi punisca il tuo rigor.

Lo Zuane porgeva il viso ac-cigliato verso la musica, ascol-tando a bocca semiaperta. Aun tratto lo vidi piegarsi a de-stra, sussurrar qualche cosa aun vicino che gli rispose guar-dando la Fedele, come se gliparlasse di lei. Ella cantava al-lora con uno straziante spasi-mo nella voce: Ah non fia maiche nell’inferno / Io sia danna-ta al fuoco eterno.

Lo Zuane si alzò in piedi conuna faccia terribile, agitò lebraccia verso la parte oppostaal pianoforte, quasi per farsistrada fra la gente. Tutto il pub-blico si voltò a lui, zitti così im-periosamente, ch’egli si fermòsull’atto, si ripose a sedere. Lasignora Fedele s’imbarazzòne l l ’accompagnamento ,smarrì l’intonazione, si coperseil viso con le mani.

FEDELE di ANTONIO FOGAZZARO

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