APRIAMO LA SCUOLA
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Unione degli Universitari - Via G.B. Morgagni 27 - 00161 Roma - Tel. 342 6510958
L’accesso all’insegnamento: le criticità de “La Buona Scuola” e le proposte per un
nuovo sistema di formazione iniziale, abilitazione e reclutamento degli insegnanti
L’accesso all’insegnamento ha subito, a partire dagli anni novanta, un travagliato percorso di riforma che
non si è mai concluso. Ha invece generato una forte sovrapposizione normativa e una conseguente
stratificazione di situazioni molto diverse tra loro tra abilitati, non abilitati e precari storici, con le varie
graduatorie ormai ingestibili ed una serie infinita di contenziosi. Questo, unitamente al sostanziale blocco
del reclutamento nella scuola pubblica, ha determinato una estrema precarizzazione degli aspiranti
insegnati, con una “coda” di quasi 200.000 persone in attesa di reclutamento.
Attualmente il sistema prevede che la formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria (per
infanzia e primaria esiste il corso di laurea abilitante e a numero chiuso di Scienze della Formazione
primaria quinquennale) passi dal conseguimento di un titolo di laurea magistrale, seguito dal superamento
di un Tirocinio Formativo Attivo (TFA) che abilita all’insegnamento. Al TFA si accede possedendo
determinati requisiti curriculari in termini di CFU in specifici settori scientifico disciplinari, previo
superamento di una prova preselettiva nazionale e di prove organizzate dai singoli Atenei, che gestiscono
anche, in autonomia, l’organizzazione dei TFA, sulla base di una programmazione nazionale degli accessi.
Per quanto concerne il reclutamento, il nostro sistema è misto: per il 50% si provvede tramite concorso
(l’ultimo risale al 2012) e per il restante 50% tramite le graduatorie ad esaurimento, riservate agli abilitati e
ormai chiuse da anni. A queste modalità di immissione in ruolo, relative al tempo indeterminato, si
aggiunge l’uso intensivo delle supplenze a termine, per le quali i singoli istituti scolastici attingono dalle
graduatorie d’istituto, cui, relativamente alla III fascia, hanno accesso anche i non abilitati.
E’ evidente che non esiste un percorso chiaro ed univoco di formazione, abilitazione e reclutamento degli
insegnanti, ma una pluralità di canali e che si sovrappongo, creando precarietà e contraddizioni.
Per avere un’idea della situazione, basti pensare che le sole GAE hanno attualmente al proprio interno più di
150.000 aspiranti docenti, cui vanno aggiunti i 10.500 abilitati del I Ciclo di TFA, i 22.500 abilitanti
dell’attuale II ciclo, quasi 9.000 laureati in Scienze della Formazione Primaria laureati dopo il 2010/2011,
55.000 diplomati magistrali, 69.000 PAS, 500 “congelati” SSIS e altre decine di migliaia di laureati prima del
2001/2002, per un totale di quasi 350.000. Dai piani di immissione in ruolo del Governo, inoltre, sono esclusi
completamente gli ITP - Insegnanti Tecnico-pratici, responsabili delle attività didattiche di laboratorio.
Questi vennero dimezzati dalla Gelmini, relegando migliaia di figure specializzate a barcamenarsi tra
esuberi, riqualificazioni e supplenze “tappabuchi”.
All’interno de “La Buona Scuola”, il Governo ha previsto un piano di reclutamento straordinario, per
assorbire parte dell’enorme coda di precariato pregressa e una riforma complessiva della formazione
iniziale, dell’abilitazione e del reclutamento degli insegnanti. Tale riforma prevede: per la formazione
iniziale, l’attivazione di magistrali semi-abilitanti all’insegnamento a numero chiuso; per l’abilitazione, dei
tirocini di sei mesi post laurea nella scuola; il ritorno al concorso nazionale come unico canale di immissione
in ruolo, con l’obiettivo contestuale di eliminare o ridurre drasticamente il ricorso alle supplenze esterne.
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Il piano di reclutamento straordinario dovrebbe immettere in ruolo buona parte degli attuali iscritti alle
graduatorie, circa 140.000 persone, mentre il primo concorso, da avviarsi nel 2015 ed espletarsi entro il
2019, servirebbe ad assorbire altri 40.000 docenti, tra le 200.000 (stimate a ribasso) che hanno a vario titolo
diritto ad insegnare.
Da una parte, il proposito di sanare l’accumulo insostenibile di precarietà attuale nelle graduatorie,
mediante un reclutamento straordinario, per poi ricondurre esclusivamente ai concorsi l’immissione in
ruolo futura, appare positivo (la stessa Costituzione indica nel concorso il solo canale di accesso al pubblico
impiego) ma presenta molti profili di incertezza. Dall’altra solleva numerose perplessità il piano di riforma
della formazione iniziale e dell’abilitazione dei futuri insegnanti, nonché il percorso stesso con cui si vuole
attuare il reclutamento straordinario e avviare i concorsi.
Magistrali semi-abilitanti e tirocinio
Attivare le magistrali semi-abilitanti significherebbe creare un livello specifico di formazione universitaria
per gli aspiranti insegnanti, rendendo certamente più chiaro e coerente il percorso per gli studenti.
Attualmente, infatti, questi sono costretti a strutturare il proprio percorso all’interno di offerte formative
dei corsi di laurea che sono spesso inadeguate, in funzione dell’accesso alle classi di concorso, a loro volta
decisamente troppo numerose e non coordinate con le classi di laurea rispetto ai requisiti curriculari di
accesso.
Da un lato, si guadagnerebbe in chiarezza e coerenza della formazione, dall’altro la si renderebbe molto
settoriale e indirizzata quasi esclusivamente ad un futuro accesso all’insegnamento, con un titolo di studio
difficilmente spendibile altrimenti. Se è questa la direzione, però, non si capisce perché non prevedere che
questi corsi di laurea siano di per sé abilitanti, ma necessitino di un ulteriore percorso di tirocinio abilitante
post-laurea.
Tale tirocinio, della durata di sei mesi, si svolgerebbe all’interno di una scuola e prevedrebbe una
valutazione finale da parte di un “docente-mentore” in accordo con il dirigente scolastico. In caso di
valutazione negativa si potrebbe ripetere una seconda volta il tirocinio, ma in caso di una nuova valutazione
negativa non sono previsti ulteriori tentativi e ci si dovrebbe orientare, con le difficoltà del caso, verso altre
percorsi professionali, con un titolo universitario ultra specialistico. Non è chiaro, peraltro, su che basi un
docente e un dirigente scolastico dovrebbero svolgere la valutazione e con quali strumenti di supervisione.
La nostra proposta:
Riteniamo che il corso di laurea stesso dovrebbe essere abilitante e che l’attività di tirocinio vada spostata
all’interno del biennio magistrale, occupando l’intero ultimo semestre. In questo modo si consentirebbe
anche una valutazione concorrente del tirocinante da parte sia del tutor scolastico, che di un equivalente
figura universitaria.
In sostanza: dei corsi di laurea strutturati in modo da indirizzare in maniera chiara e specifica verso
l’insegnamento, ma che mantengano comunque una formazione specialistica che consenta la possibilità di
inserimento in altri percorsi post-laurea, come i dottorati di ricerca.
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Numero chiuso e requisiti di accesso
Fin dalle linee guida de “La Buona Scuola”, si chiarisce che queste magistrali semiabilitanti sarebbero a
numero chiuso. Si tratta certamente di un elemento di forte criticità che deve portare, però, ad una
valutazione complessiva del percorso formazione > abilitazione> reclutamento. La sovrapposizione
normativa degli ultimi vent’anni ha creato un sistema nel quale, con l’esclusione di Scienze della formazione
primaria, l’abilitazione si consegue con un percorso post-laurea, senza che abbia rappresentato però un
canale esclusivo di accesso al reclutamento. Con le numerose eccezioni e deroghe create negli anni, infatti,
hanno di fatto avuto accesso a graduatorie e concorsi anche candidati non abilitati. I percorsi abilitanti
principali però (SSIS e TFA) sono sempre stati a numero chiuso.
Per dare un’idea dei numeri, alle prove pre-selettive del primo ciclo di TFA si sono presentati 115.500
candidati e ne sono stati abilitati 10.500. Il II Ciclo, avviato nell’autunno scorso, abiliterà circa 22.000
docenti su 160.000 candidati. Mediamente l’11% dei candidati ha conseguito l’abilitazione.
Alla base di tale affollamento nel percorso per l’insegnamento ci sono vari fattori concorrenti. Tra questi:
l’assenza di un canale di accesso univoco, il sostanziale blocco del reclutamento nel sistema pubblico, la
generale incapacità del nostro sistema produttivo di assorbire laureati (nonostante ne abbiamo una delle
percentuali più tra i paesi dell’area OCSE) e la mancanza di un sistema efficace in uscita, cioè sul fronte
previdenziale, dove il progressivo innalzamento dell’età pensionabile ha fatto anche sì che i nostri docenti
abbiano l’età media più alta d’Europa con una percentuale di giovani irrisoria (0,5% under 30 nella
secondaria contro una media del 9,6% nell’UE a 27, 9,5% under 40 contro il 25,2%).
La nostra proposta:
Un’analisi sistemica di tutta la filiera dell’insegnamento è dunque indispensabile per costruire un nuovo
modello di accesso e crediamo sia profondamente sbagliato porre un blocco all’accesso a livello
universitario. Si deve ragionare, invece, di una programmazione di medio periodo delle immissioni in ruolo,
con una pianificazione pluriennale dei concorsi e dei posti messi a bando, che renderebbe gli studenti
consapevoli delle effettive possibilità di accesso al ruolo negli anni successivi. Questo, unito ad un
orientamento e un tutoraggio reali, darebbe loro tutti gli strumenti per scegliere liberamente se inserirsi nel
percorso per diventare insegnanti, già durante la triennale, senza l’esigenza del numero chiuso.
E le magistrali a ciclo unico?
La modalità di accesso all’insegnamento per gli studenti dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, come
Giurisprudenza, Architettura, Ingegneria edile o Veterinaria, non è contemplata all’interno delle linee guida
de “La Buona Scuola”. Sebbene l’obiettivo di questo sistema sia fornire, attraverso le magistrali specifiche,
un percorso chiaro agli studenti verso la carriera dell’insegnamento, non appare ragionevole che quanti si
iscrivano a magistrali a ciclo unico siano aprioristicamente esclusi dalla possibilità di diventare insegnati. A
maggior ragione considerando il fatto che ci sono insegnamenti impartiti nelle scuole che necessitano della
formazione specialistica acquisita in quei corsi di studio. Altrettanto penalizzante sarebbe chiedere a questi
studenti di riscriversi ad una magistrale abilitante dopo aver conseguito il proprio titolo di studio
magistrale.
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Tempistiche di attivazione delle nuove magistrali e transizione per gli attuali studenti
Data la mole non irrilevante di lavoro necessaria all’attivazione di nuovi corsi di laurea e l’incertezza sui
tempi di emanazione dei decreti attuativi della delega sulla scuola, è possibile che non si riesca ad attivare i
nuovi corsi abilitanti in tempo per l’avvio dell’A.A. 2015/16. Al momento non è previsto nessun percorso
transitorio per chi conseguirà, quest’anno o nel prossimo, una laurea Magistrale e si troverà quindi a dover
aspettare l’attivazione delle nuove magistrali, in assenza di un ulteriore ciclo di TFA. Stesso dicasi per coloro
che si iscriveranno quest’anno ad una laurea magistrale, e che dovranno quindi trasferirsi, in caso di
attivazione dei nuovi corsi.
Tale scenario rischia di penalizzare gravemente molti studenti o neolaureati. Reiscriversi alle nuove
magistrali abilitanti, infatti, significherebbe conseguire, per gli studenti già laureati, un secondo titolo
magistrale. Questo, a normativa vigente, li esclude a priori da tutti i benefici del diritto allo studio e alle
agevolazioni sulla contribuzione studentesca.
La nostra proposta:
E’ indispensabile una gestione attenta della transizione al nuovo sistema. Da un lato, prevedendo
l’attivazione di un III ciclo di TFA nel 2015/16, già coerente, rispetto alla programmazione degli accessi, con
la disponibilità di immissione in ruolo dei prossimi anni. Dall’altro, strutturare meccanismi di accesso alle
magistrali che agevolino gli studenti già laureati e quelli che, già iscritti ad altro corso di laurea magistrale,
vogliano trasferirsi.
Modalità di attivazione delle magistrali
Non si conoscono ancora i dettagli dell’iter che si vorrà seguire per l’attivazione di questi nuovi corsi di
laurea, ma è probabile che dovranno attenersi a tutti i vincoli della normativa vigente in termini di
accreditamento iniziale e periodico (AVA). Nell’attuale contesto di blocco del turn-over, gli Atenei sono già
in difficoltà a rispettare i criteri di accreditamento, soprattutto quelli di docenza, per molti corsi di laurea. Il
timore è che alcune Università si trovino nell’impossibilità di attivare nuovi corsi di laurea, a meno di
chiuderne altri. Inoltre, l’attivazione di almeno una magistrale abilitante sarebbe fortemente incentivata,
soprattutto nei dipartimenti i cui corsi hanno una maggiore vocazione all’insegnamento, per non perdere
attrattività ed iscritti. Questo potrebbe creare un incentivo a chiudere un altro corso di laurea, non
abilitante, per poter liberare docenti e attivarne uno abilitante.
La nostra proposta:
Riteniamo elementi indispensabili, non solo ovviamente per l’attivazione delle nuove magistrali, lo sblocco
totale del turn-over per gli atenei a partire dall’anno in corso e un rifinanziamento del sistema universitario
che lo riconduca ai livelli del 2009. In assenza di interventi in questa direzione, l’attivazione di nuovi corsi di
laurea rischierebbe di danneggiare ulteriormente la qualità dell’offerta formativa dei nostri Atenei, o di
essere limitata ai soli Atenei “virtuosi” secondo i discutibilissimi criteri ANVUR.
L’attuale impianto normativo gelminiano, peraltro, non consente una significativa differenziazione dei
percorsi all’interno dello stesso corso di laurea. A meno di non creare un numero di lauree magistrali in
rapporto di 1:1 alle classi di concorso, cosa evidentemente folle anche nel caso dell’annunciata riduzione di
quest’ultime, è indispensabile garantire la possibilità di diversificare il proprio piano di studio e di acquisire
le necessarie conoscenze specialistiche in ambiti diversi.
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Qualità formativa delle nuove magistrali
Un problema evidente è quello del tempo che verrà dedicato alle diverse discipline e al bilanciamento da
operare tra formazione delle conoscenze specialistiche e maturazione delle competenze pedagogico-
didattiche. Riteniamo che, sebbene una solida formazione specialistica sia importante, l’attuale sistema non
garantisca la costruzione di competenze adeguate, indispensabili nella formazione iniziale di un insegnante.
Le future magistrali dovrebbero assicurare, a fianco alle materie d’indirizzo, un solido impianto di
formazione pedagogico-didattica e un percorso di tirocinio adeguatamente professionalizzante all’interno
di istituzioni scolastiche:
Il DM 249/2010 (nel quale
originariamente si ipotizzavano le
magistrali abilitanti) prevedeva:
L’attuale TFA prevede
75 cfu in discipline specialistiche
18 cfu in discipline pedagogiche;
27 cfu tra tesi e laboratori
didattici.
18 cfu in didattica generale e didattica
speciale;
18 cfu in didattica delle discipline oggetto di
insegnamento delle classi di concorso con
laboratori e laboratori pedagogico-didattici;
19 cfu per un tirocinio di 475 ore (di cui 75
ore, pari a 3 cfu, dedicate in particolare ad
alunni con disabilità): con una prima fase di
osservazione delle
5 cfu: relazione finale.
La nostra proposta
60 cfu in discipline specialistiche, con concreta possibilità di differenziazione dei
piani di studio
36 cfu in discipline e laboratori pedagogico-didattici, inclusivi di attività
seminariali
20 cfu di tirocinio, pari a 500 ore, da svolgersi all’interno di un istituto scolastico,
seguendo un gruppo classe per l’intero quadrimestre, sotto la guida di un
docente tutor, con l’affiancamento dei docenti di ruolo e la previsione di attività
durante il quadrimestre per le quali il tirocinante assume la responsabilità del
gruppo classe, o di una parte di esso. Tale tirocinio dovrebbe svolgersi, di norma,
l’ultimo semestre del II anno, a condizione di aver già superato tutti gli esami di
profitto . Il seguire il tirocinio per l’intero quadrimestre implica la necessità di
rendere i calendari didattici e dunque le sessioni di esami e appelli, compatibili
con i calendari didattici degli istituti scolastici.
5 cfu di tesi, che deve concernere anche l’esperienza di tirocinio svolta.
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Riforma delle classi di concorso
Un’altra criticità dell’attuale meccanismo di accesso all’insegnamento, che si protrae ormai da anni, è il
sistema delle classi di concorso, troppo numerose e spesso non coerenti con le classi di laurea.
Da un lato, infatti, le nostre circa 70 classi di concorso per l’accesso all’insegnamento sono un caso unico in
Europa. Dall’altro, il collegamento tra classi di laurea e classi di concorso è farraginoso, con classi di laurea
del tutto non riconosciute, come quelle di Scienze Politiche, Relazioni internazionali o Scienze del turismo, e
i requisiti curriculari per l’accesso spesso non armonizzati con i nuovi ordinamenti didattici o con le offerte
formative dei corsi di laurea. Il DM 22 del 2005, che fissava le corrispondenze tra titoli dei diversi
ordinamenti e i requisiti e i titoli di accesso alle varie classi di concorso, è in attesa di una revisione
complessiva da anni. L’istituzione delle magistrali abilitanti supererebbe alla base il problema della
coerenza tra classi di concorso e classi di laurea, purché si fissino dei requisiti curriculari per l’accesso alle
stesse magistrali che non ripetano i medesimi errori.
La nostra proposta
E’ necessario riformare le classi concorsuali, riducendone il numero e prevedendone fin da subito
l’armonizzazione con le future classi di laurea delle magistrali abilitanti. In contemporanea, prima del III
ciclo di TFA da attivarsi transitoriamente, bisogna sanare le lacune e le incoerenze attuali del DM 22/2005,
consentendo l’accesso anche alle classi di laurea attualmente escluse
Il reclutamento
E’ evidente come l’attuale sistema di reclutamento non funzioni: tempi di attesa infiniti, incertezza, lunghi
periodi di precariato, accavallamento dei centri di reclutamento tra lo Stato e i singoli Istituti scolastici.
Risulta indispensabile ripristinare un unico canale di reclutamento tramite concorso pubblico, ma lo
scenario al momento è piuttosto confuso, sia rispetto al piano straordinario di reclutamento, senza il quale
è impossibile uscire dall’emergenzialità, sia rispetto all’avvio dei concorsi.
Innanzitutto, sugli interventi del Governo pende la spada di Damocle della sentenza della corte di Giustizia
Europea sul precariato storico, che ha riconosciuto un abuso nella reiterazione dei contratti a tempo
determinato e ha sancito il diritto ad un’indennità risarcitoria per i precari della scuola con più di 36 mesi di
servizio. Si tratta di centinaia di migliaia di persone, molte delle quali non rientrerebbero nei piani previsti
di reclutamento straordinario e concorsuale. Un secondo elemento di criticità riguarda le molte figure che
attualmente resterebbero escluse, producendo nuove discriminazioni e contenziosi. Un altro aspetto da
considerare è lo “specchio” del precedente: se il reclutamento straordinario e il prossimo concorso devono
servire a risolvere la carenza di organico delle scuole e l’accumulo di precari, allo stesso tempo questa
massiccia immissione in ruolo non deve precludere il futuro accesso agli attuali studenti, o a chi
intraprenderà questo percorso negli anni futuri; il rischio è, infatti, che si crei un “tappo”ai nuovi ingressi.
La nostra proposta
Per fare in modo che il sistema possa tornare in equilibrio, è fondamentale accelerare sul reclutamento
straordinario e avviare una programmazione del reclutamento che tenga conto sia delle molteplici
situazioni pendenti, sia delle abilitazioni dei prossimi anni.
Innanzitutto bisogna garantire un reclutamento realmente inclusivo, tutelando tutte le figure precarie
accumulate negli anni, come gli ITP, e sanando anni di ingiustizie e discriminazioni normative che hanno
condizionato la vita lavorativa di migliaia di persone.
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In secondo luogo, le magistrali abilitanti devono essere introdotte nei tempi previsti, ossia entro il 2016,
evitando un nuovo regime di transitorietà dei TFA (al netto del III ed ultimo ciclo da attivarsi quest’anno).
Sarebbe infatti insensato far perdurare l’esistenza di questo canale, palesemente inefficace e
strutturalmente esposto a infiniti contenziosi.
L'elemento più importante è quello della programmazione del reclutamento, dato che in un sistema serio si
deve essere in grado di programmare con certezza le immissioni in ruolo nel medio periodo. Il livello
d’organico raggiunto con le nuove immissioni dovrà, come minimo, essere mantenuto costante prevedendo
quanti nuovi posti saranno messi a bando almeno nei successivi sei anni, e dunque con uno sguardo
superiore al ciclo di un solo concorso. Questo tipo di programmazione è ottenibile incrociando i
pensionamenti attesi (ultimamente più di 20.000 all’anno) con una pianificazione seria dell’organico
funzionale e del fabbisogno atteso, a patto però di mantenere un adeguato livello di finanziamento.
Contestualmente all’introduzione del nuovo percorso formativo, quindi, è necessario programmare
concorsi triennali con l'indicazione dei posti disponibili e darne comunicazione agli studenti per il tramite
delle istituzioni universitarie. Si tratta di una scelta di serietà politica e amministrativa, che metterebbe gli
studenti in condizione di investire consapevolmente nel proprio percorso di studio e di vita avendo a
disposizione finalmente un orizzonte temporale chiaro.
Tra gli obiettivi del Governo c’è anche quello dell’eliminazione del ricorso alle supplenze esterne, che però
risulta irrealistico se non aggravando enormemente il carico dell’organico, anche solo a causa della grande
disomogeneità del nostro sistema scolastico e del territorio. Di conseguenza bisogna mantenere, nel
contesto dei concorsi, la definizione di un certo numero di idonei, cioè di persone che non si immettono
direttamente in ruolo, ma possono svolgere supplenze negli anni successivi, per poi essere inseriti
successivamente. Riteniamo tuttavia che tale contingente debba essere limitato numericamente, in modo
da far fronte all’esigenza delle supplenze, ma evitando la creazione di nuove code.
Il confronto con gli studenti
Le molteplici criticità legate alla riforma del sistema rendono imprescindibile un confronto tra il Governo e
gli altri attori del sistema universitario, studenti compresi: non possiamo accettare che ancora una volta si
intervenga per decreto su un tema delicato per gli studenti e il loro futuro, senza un confronto con le
rappresentanze.
La nostra proposta:
Vogliamo la convocazione di un tavolo ministeriale di discussione prima dell’emanazione di qualsiasi
provvedimento e il pieno coinvolgimento, in tal senso, del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari.