Appunti per una storia della fotografia al femminile ... · “L’anatomia è il destino”...

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Appunti per una storia della fotografia al femminile’ è il tema della II edizione della Biennale Internazionale della Fotografia di Brescia. Dedicata alle donne protagoniste della fotografia, e non oggetti, non deve far pensare ad atteggiamenti di rivendicazioni femministe. L’arte non ha sesso. Sottolineare ‘le differenze’, supposte, sarebbe mortificante proprio per le donne che hanno lasciato, e continuano a lasciare, impronte indelebili nell’evoluzione della fotografia come arte autonoma. L’obiettivo, ambizioso e doveroso, è di tracciare una guida di ‘appunti’ per mettere in risalto un patrimonio di cultura e creatività che traspare dalla storia della fotografia internazionale, fin dagli albori e che, per quasi centosettant’anni, ha imposto un modo spesso assolutamente insolito di vedere. Una storia della fotografia, osservata da angolature diverse, che non mancherà di stupire per genialità e sensibilità, per innovativi atteggiamenti e libertà espressiva. Le donne in fotografia sono state tante e bravissime, ed oggi sono protagoniste delle più rilucenti sfaccettature di un diamante purissimo, la fotografia nelle arti visuali, che sta regalando galattiche avventure nell’universo dell’immagine. Il percorso, assai complesso, tocca i punti focali dei generi in fotografia e attraversa le epoche e le diverse culture d’Europa e Americhe, e del nascente impegno in Africa, Asia, Australia, in spazi pubblici e gallerie private. Le frontiere non esistono, nemmeno i confini alla creatività, miracolo della fotografia. Un’affascinante ‘giro del mondo’ a bordo della macchina del tempo che, dal 1860 alle ricerche contemporanee, plana in tantissimi Paesi e si sofferma a mettere in luce genialità incomparabili con immagini indimenticabili. È la prima rassegna internazionale che recupera la cifra femminile, ‘appunti’ preziosi per riflettere, indagare, rivedere e tentare di scrivere la storia della fotografia con equilibrio. “L’anatomia è il destino” sentenziò Sigmund Freud, condannando drasticamente l’umanità in gabbie di ruolo ben definite: maschio e femmina. Dimenticò tutte le varianti possibili di coloro che, oltre a rifiutare i ruoli, non si sentono nel destino anatomico dell’anagrafe. Il dottor Freud, con le sue teorie, ha radicalizzato, purtroppo gli stereotipi della società occidentale, con gravi danni proprio nell’ambito delle arti. Una sua discepola, Karen Horney, già nel 1923 cominciò a confutare questa pericolosa, e ingannevole, dottrina e argomentò che è la cultura e non la biologia ad incidere in modo determinante e primario sulla personalità. E in riferimento ad un’altra perniciosa teoria freudiana, l’invidia che le donne proverebbero nei confronti del sesso maschile, in ‘New Ways in Psychoanalysis’, del 1939, scrisse: “Il desiderio di essere un uomo…potrebbe essere l’espressione del desiderio per tutte quelle qualità o privilegi che la nostra cultura considera maschili come la forza, il coraggio, l’indipendenza, il successo, la libertà sessuale e il diritto di scegliere il proprio partner.” Ozioso sottolineare che la Horney ebbe un padre terribilmente autoritario e che la sua volontà di studiare medicina, nel 1906, fu osteggiata dalla famiglia perché professione disdicevole per la buona società del tempo. ‘The Women’s Eye’, pubblicato nel 1973, è forse il primo libro che prende in considerazione la fotografia al femminile: Gertrude Käsebir, Frances Benjamin Johnston, Margaret Bourke-White, Dorothea Lange, Berenice Abbott, Barbara Morgan, Diane Arbus, Alisa Wells, Judy Dater, Bea Nettles, riunite insieme e non hanno nulla a vedere fra loro, se non il sesso. Anne Tucker apre il testo della prefazione con: “È l’anatomia un destino? Siamo molto lontani da rispondere a questa domanda. Tutti i dati al momento disponibili riflettono le differenze fra donne e uomini imposte dalla società patriarcale nella quale viviamo. Fino a che le divisioni saranno così rigidamente definite ed imposte, sarà impossibile sapere se le differenze sono naturali, e se lo sono, in ogni caso forzano le relazioni ai tradizionali stereotipi. Certe sensibilità sono esclusive del femminile? Si possono decifrare tali sensibilità in particolare nell’arte di un individuo?L’arte può e potrebbe essere distinta come femminile o maschile? …Esiste di fatto un’arte femminile? O, ponendo la questione in altro modo, si può identificare il sesso dell’artista attraverso la sua arte?...La gente spesso presume certe distinzioni fra arte maschile e femminile. Trova delle differenze nelle attitudini e descrive queste differenze usando gli stessi aggettivi con i quali abitualmente si descrivono i comportamenti. Gli uomini sono ritenuti più distaccati dai loro soggetti, clinici, piuttosto che compassionevoli nell’osservazione. Arguti, le donne prive di senso dell’umorismo. Le donne realizzano morbide, delicate immagini. Non sono dure, ostili, o crudeli.” La Tucker toccava anche argomenti spinosi: la dipendenza economica, l’educazione impartita, lo scudo che la società frapponeva alle donne artiste, ed altri problemi che in trent’anni sono stati, in parte, superati. Sottolineava, inoltre, che quegli aggettivi d’identificazione maschile e femminile, in molti casi, sono del tutto capziosi. Sono perfettamente d’accordo e, aggiungo che è impossibile stabilire ‘il sesso’ dell’immagine. Vi sono donne che usano la macchina fotografica come un bastone da baseball piantato nello stomaco ed uomini di una delicatezza così leggera da commuovere il cuore di pietra. Eugene W. Smith, insuperabile fotogiornalista per impegno morale e superba qualità d’immagine, era talmente coinvolto in ciò che vedeva, e fotografava, da compenetrarsi in un solo essere con i suoi tragici soggetti. Sembra che dalle sue fotografie sgorghino le lacrime che non sapeva trattenere. Cinico? Distante? Eugene W. Smith,Tomoko Uemura in her Bath, Minimata, 1972 Mentre, Margaret Bourke-White è esemplare della capacità di vedere con i propri occhi gli orrori più

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‘Appunti per una storia della fotografia al femminile’è il tema della II edizione della BiennaleInternazionale della Fotografia di Brescia. Dedicataalle donne protagoniste della fotografia, e nonoggetti, non deve far pensare ad atteggiamenti dirivendicazioni femministe. L’arte non ha sesso.Sottolineare ‘le differenze’, supposte, sarebbemortificante proprio per le donne che hanno lasciato,e continuano a lasciare, impronte indelebilinell’evoluzione della fotografia come arte autonoma.L’obiettivo, ambizioso e doveroso, è di tracciare unaguida di ‘appunti’ per mettere in risalto un patrimoniodi cultura e creatività che traspare dalla storia dellafotografia internazionale, fin dagli albori e che, perquasi centosettant’anni, ha imposto un modo spessoassolutamente insolito di vedere.Una storia della fotografia, osservata da angolaturediverse, che non mancherà di stupire per genialità esensibilità, per innovativi atteggiamenti e libertàespressiva.Le donne in fotografia sono state tante e bravissime,ed oggi sono protagoniste delle più rilucentisfaccettature di un diamante purissimo, la fotografianelle arti visuali, che sta regalando galatticheavventure nell’universo dell’immagine.Il percorso, assai complesso, tocca i punti focali deigeneri in fotografia e attraversa le epoche e lediverse culture d’Europa e Americhe, e del nascenteimpegno in Africa, Asia, Australia, in spazi pubblici egallerie private.Le frontiere non esistono, nemmeno i confini allacreatività, miracolo della fotografia.Un’affascinante ‘giro del mondo’ a bordo dellamacchina del tempo che, dal 1860 alle ricerchecontemporanee, plana in tantissimi Paesi e sisofferma a mettere in luce genialità incomparabili conimmagini indimenticabili.È la prima rassegna internazionale che recupera lacifra femminile, ‘appunti’ preziosi per riflettere,indagare, rivedere e tentare di scrivere la storia dellafotografia con equilibrio. “L’anatomia è il destino” sentenziò Sigmund Freud,condannando drasticamente l’umanità in gabbie diruolo ben definite: maschio e femmina. Dimenticòtutte le varianti possibili di coloro che, oltre a rifiutare iruoli, non si sentono nel destino anatomicodell’anagrafe.Il dottor Freud, con le sue teorie, ha radicalizzato,purtroppo gli stereotipi della società occidentale, congravi danni proprio nell’ambito delle arti.Una sua discepola, Karen Horney, già nel 1923cominciò a confutare questa pericolosa, eingannevole, dottrina e argomentò che è la cultura enon la biologia ad incidere in modo determinante eprimario sulla personalità.E in riferimento ad un’altra perniciosa teoriafreudiana, l’invidia che le donne proverebbero neiconfronti del sesso maschile, in ‘New Ways inPsychoanalysis’, del 1939, scrisse: “Il desiderio diessere un uomo…potrebbe essere l’espressione deldesiderio per tutte quelle qualità o privilegi che lanostra cultura considera maschili come la forza, ilcoraggio, l’indipendenza, il successo, la libertàsessuale e il diritto di scegliere il proprio partner.”Ozioso sottolineare che la Horney ebbe un padreterribilmente autoritario e che la sua volontà distudiare medicina, nel 1906, fu osteggiata dalla

famiglia perché professione disdicevole per la buonasocietà del tempo. ‘The Women’s Eye’, pubblicato nel 1973, è forse ilprimo libro che prende in considerazione la fotografiaal femminile: Gertrude Käsebir, Frances BenjaminJohnston, Margaret Bourke-White, Dorothea Lange,Berenice Abbott, Barbara Morgan, Diane Arbus, AlisaWells, Judy Dater, Bea Nettles, riunite insieme e nonhanno nulla a vedere fra loro, se non il sesso.Anne Tucker apre il testo della prefazione con: “Èl’anatomia un destino? Siamo molto lontani darispondere a questa domanda. Tutti i dati al momentodisponibili riflettono le differenze fra donne e uominiimposte dalla società patriarcale nella quale viviamo.Fino a che le divisioni saranno così rigidamentedefinite ed imposte, sarà impossibile sapere se ledifferenze sono naturali, e se lo sono, in ogni casoforzano le relazioni ai tradizionali stereotipi. Certesensibilità sono esclusive del femminile? Si possonodecifrare tali sensibilità in particolare nell’arte di unindividuo?L’arte può e potrebbe essere distinta comefemminile o maschile?…Esiste di fatto un’arte femminile? O, ponendo laquestione in altro modo, si può identificare il sessodell’artista attraverso la sua arte?...La gente spessopresume certe distinzioni fra arte maschile efemminile. Trova delle differenze nelle attitudini edescrive queste differenze usando gli stessi aggettivicon i quali abitualmente si descrivono icomportamenti. Gli uomini sono ritenuti più distaccatidai loro soggetti, clinici, piuttosto checompassionevoli nell’osservazione. Arguti, le donneprive di senso dell’umorismo. Le donne realizzanomorbide, delicate immagini. Non sono dure, ostili, ocrudeli.”La Tucker toccava anche argomenti spinosi: ladipendenza economica, l’educazione impartita, loscudo che la società frapponeva alle donne artiste,ed altri problemi che in trent’anni sono stati, in parte,superati. Sottolineava, inoltre, che quegli aggettivid’identificazione maschile e femminile, in molti casi,sono del tutto capziosi.Sono perfettamente d’accordo e, aggiungo che èimpossibile stabilire ‘il sesso’ dell’immagine.Vi sono donne che usano la macchina fotograficacome un bastone da baseball piantato nello stomacoed uomini di una delicatezza così leggera dacommuovere il cuore di pietra.Eugene W. Smith, insuperabile fotogiornalista perimpegno morale e superba qualità d’immagine, eratalmente coinvolto in ciò che vedeva, e fotografava,da compenetrarsi in un solo essere con i suoi tragicisoggetti. Sembra che dalle sue fotografie sgorghinole lacrime che non sapeva trattenere. Cinico?Distante?

Eugene W. Smith,Tomoko Uemura in her Bath, Minimata, 1972

Mentre, Margaret Bourke-White è esemplare dellacapacità di vedere con i propri occhi gli orrori più

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inenarrabili, non distogliere lo sguardo e riprendereper la memoria eterna. Dolci e delicate le suefotografie dei campi di concentramento nazisti?

Margaret Bourke-White, Buchenwald inmates

La Bourke-White, bella e di grande fascino, è statafra le più ‘maschili’, per adeguarci alla terminologiacara agli anatomisti, delle fotografe.Dalla Otis Steel Company, acciaio, tanto per smentirele attitudini romantiche, viene assunta in qualità difotografa industriale. È l’inizio della sua clamorosacarriera, 1928.Nel 1935, durante la Depressione, la rivista Fortunela incarica di documentare la situazione negli stati delsud, la accompagna Erskine Caldwell, il grandescrittore che diventerà il suo secondo marito.Sofisticata dama – il suo studio di New York èl’esaltazione dell’Art Deco, con un gentile animale dacompagnia: un alligatore in una vasca – la realtà conla quale si confronta la sconvolge a tal punto cheracconta di aver avuto un terribile incubo: venivainseguita dalle rilucenti Buick che aveva fotografatoper la pubblicità. Le automobili cercavano ditravolgerla, di inghiottirla. “Non potrò mai più trovarmidi fronte ad una luccicante automobile, stivata diinsulsi sorrisi.” Fortune non pubblicherà il servizio,troppo crudo per una rivista patinata.Le immagini saranno raccolte due anni dopo nel libro‘You Have Seen Their Faces’ (Avete visto i loro volti)con i testi di Caldwell. Dura, volitiva, coraggiosa, e diintensa sensibilità. Le sue fotografie non lascianoalcuno spazio all’immaginazione, rigorose, prive disbavature, testimoniano ciò che è.Esemplare la ripresa ‘Bread Line during Louisvilleflood, Kentucky 1937’ della Bourke-White che coglieuna scena paradossale: povera gente, nella maggiorparte nera, in fila per ricevere del cibo, sovrastata daun enorme manifesto che glorifica ‘Il più alto standardmondiale di vita’ degli Stati Uniti con l’immagine diuna famiglia felice a bordo di un’automobile.

Margaret Bourke-White, Bread Line during Louisville flood, Kentucky, 1937

È una fotografia tremenda, l’ironia è caustica ecolpevolizzante. Rappresenta la sintesi spietata dellereali condizioni di un Paese spaccato a metà, ‘Howthe Other Half Lives’ è il libro di immagini che JacobRiis aveva mandato alle stampe nel lontano 1890.

Jacob Riis, 5 centesimi per un posto, New York 1890

Mancano, le donne, di umorismo?Lisette Model ne è stata maestra con tutta l’abilità dichi sa cogliere con un sorriso, senza offendere ecalcare…l’obiettivo. “Non si deve mai riprendereun’immagine se non si è appassionatamenteinteressati a quel soggetto.” Era la filosofia cheguidava la sua coscienza di che cosa fosse lafotografia.La serie sulla Costa Azzurra, del 1937, è esilarante,questi personaggi sembrano essere gli interpreti diuna commedia buffa, grotteschi al limite dellaverosimiglianza rappresentano la decadenzaeuropea, inconsapevoli di quali dure prove dovrannosostenere da lì a un paio di annicon la II guerra mondiale.L’attitudine della Model a cogliere la naturale comicitàsi paleserà anche negli Stati Uniti, dove si trasferirànel 1937, affascinata dalla vivacità e dalla singolaritàdi New York.

Lisette Model, Donna con vestito a fiori, Promenade des Anglais, Nizza,1937Lisette Model, Donna a Coney Island, 1942

Karen Horney contrastava la teoria de ‘L’anatomia èil destino’ con la cultura e Lisette Model ne è l’idealemodello. Ricca, di padre italo-austriaco e di madrefrancese, venne educata privatamente, amante dellamusica, negli anni giovanili, il suo maestro fu ilcompositore Arnold Schoenberg, possedeva tutti glistrumenti intellettuali per osservare l’umanità condisincanto.La sua allieva, Diane Arbus apparteneva anch’essaad una ricca famiglia ed aveva ricevutoun’educazione raffinata, eppure questi privilegi furonoda lei sfruttati in senso opposto a quello di Lisette.Il suo non è più umorismo o sobria ironia, ma asprosarcasmo. Riusciva ad esasperare le caratteristichedegradanti degli individui quando riprendeva gentecomune, ad esempio ne ‘Il bambino con in mano unagranata giocattolo’ sembra che abbia atteso, o forseprovocato, l’espressione più degenerata;

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Diane Arbus, Child with a hand toy grenade, New York, 1962Diane Arbus, Brooklyn couple, 1962

così ferma la giovane coppia per strada e nerestituisce un ritratto di squallida parodia. Prova unsadico piacere nel sottolineare la diversità dellepersone emarginate e sfortunate, e nell’inasprire leapparenze patetiche fino a trasformarle in caricaturesadiche.Non aveva alcun rispetto per gli altri, e non è vero,come alcuni sostengono, che è stata la pioniera di unnuovo stile documentario. La crudeltà non è uno stileed è stata la più cattiva in assoluto nell’intera storiadella fotografia, uomini compresi.Priva di compassione, di senso della solidarietà, diamore, si è suicidata, e come può un essere umanocontinuare a vivere se considera i suoi simili solo neilati oscuri?A qualcuno verrà in mente Joel Peter Witkin perriabilitare la Arbus, credendo che egli sia andato benoltre. Il lavoro di Witkin può far rabbrividire, ma siregge su un concetto agli antipodi: riscattare gliinnocenti che il Cielo ha punito con le malformazionipiù crudeli e renderli protagonisti della vita, inelaboratissime messe in scena, restituendo lorodignità e bellezza.

Joel Peter Witkin, Harvest

L’espressione creativa non ha sesso.Vi ho preparato un gioco per divertirci insieme.Dopo quel lontano 1973, si sono susseguite, negliStati Uniti soprattutto, mostre e saggi dedicati alledonne fotografe.Che gli Stati Uniti abbiamo rivolto attenzione a taleargomento piuttosto che l’Europa, e non parliamo diAsia e Africa, è naturale: là la genealogia dellafotografia al femminile risale alla dagherrotipia, Laprima professionista, Julia Shannon, pubblica unannuncio come dagherrotipista e levatrice già nel1850, in California.Racconta Peter E. Palmquist nella sua ricerca pressoil Women in Photography International Archive dellaBeinecke Library all’Università di Yale: “ In Californiavi è una ricca ed unica storia delle donnefotografe…Questa storia ha inizio probabilmenteaddirittura prima della corsa all’oro, quando unagiovane donna (di circa 12-14 anni) EpifaniaGertrudis ‘Fanny’ Vallejo ritrasse probabilmente lamadre in un dagherrotipo, fu montato in un anelloche portò il padre Generale Vallejo.”Temo che Palmquist si sia lasciato trasportaredall’eccessivo entusiasmo, e patriottismo.Improbabile che una ragazzina riuscisse a mettere apunto tutte le complesse operazioni del processo didagherrotipia, e poi un dagherrotipo tanto piccolo daessere incastonato in un anello lascia perplessi. Lacorsa all’oro ha inizio nel 1848, a quell’epoca, la

California apparteneva ancora al Messico (soltantonel 1850 l’alta California diventerà uno stato USA).Un aneddoto con tante ombre che tuttavia affascina epermette una riflessione.In molti Paesi dell’America Latina le donne sono statee sono le migliori fotografe, spesso le più importanti.In Messico, Tina Modotti ha tracciato la via a ManuelAlvarez Bravo, seguito dalle sue discepole che hannodimostrato intelligenza indipendente e creativitàoriginale.

Manuel Alvarez Bravo, Obrero en huelga asesinado, 1934

La Modotti ha anche costruito la coscienza al vederedi Edward Weston che altrimenti, temo, avrebbecontinuato sulla bella strada lastricata del ritrattistaalla moda.

Edward Weston, Tina Modotti, CaliforniaEdward Weston, Tina Modotti, Messico 1924

L’Argentina vanta un solo autore/autrice di prestigiointernazionale: Annemarie Heinrich. La dolceAnnemarie, fragile dal carattere di bambù flessibilealle offese del tempo, nel 1926, a quattordici anni,dalla Germania emigra con la famiglia a BuenosAires. Nemmeno ventenne apre il suo primo studio,ritratto, nudo, teatro. Per la sua origine tedesca,durante la II guerra mondiale soffrì di emarginazione,non poteva acquistare pellicole ed utilizzò quellecinematografiche. Lo raccontava con serenità, egrande dolore, unito alla cupa disperazione di esserela mancata suocera di un desaparecido: il giovanefidanzato della figlia Alicia che aspettava un bambino.Annemarie è il mito della fotografia argentina, edesemplare autrice di un’epoca, per la compostezzadelle sue inquadrature, la bravura nel modulare leluci che plasmano le forme e le linee. Ogni artista diteatro (attori, musicisti, ballerini) che andava aBuenos Aires si recava nello studio di Annemarie perun ritratto, come tutta l’alta società.Le Americhe ‘parlano’ al femminile in fotografia e nesono coscienti, anche se negli Stati Uniti laprepotenza maschilista ha tenuto spesso le donne insotto tono.Per questo motivo, negli ultimi due decenni si sonomoltiplicate le organizzazioni e gli eventi al femminile,a volte di esasperata rivendicazione femminista, ingenere di pacata volontà a correggere le vistose‘dimenticanze’ ed attribuire le corrette collocazioniall’interno della storia della fotografia.

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Il ‘Women in Photography International’ è statofondato nel 1981 con l’intento di: ‘comunicare idee,opportunità e la passione per la fotografia’. Ognianno il WPI lancia un concorso, suddiviso in diversecategorie, ma è beffardo che della giuria faccianoparte anche degli uomini. Dal 1985, onora con ilDistinguished Photographers Award le donne chehanno contribuito in modo significativo all’evoluzionedella fotografia. Nel dicembre dell’anno scorso a RuthBernhard, per il suo centesimo compleanno, è statoriservato uno speciale riconoscimento.In quell’occasione, la Bernhard ha rilasciato una sortadi testamento morale: “Ogni volta che realizzo unafotografia celebro la vita che amo e la bellezza checonosco e la felicità che ho provato. Tutte le miefotografie rispondono alla mia intuizione…Dopo cosìtanti anni, sono ancora motivata dallo splendore chela luce crea nel trasformare un oggetto in qualcosa dimagico. Ciò che gli occhi vedono è un’illusione delreale. L’immagine in bianco e nero è ancora un’altratrasformazione. Ciò che davvero esiste, non potremosaperlo mai.”Paesi assolutamente insospettabili si stannosvegliando con un impeto inatteso, e con finalitàmirabili.Il 29 dicembre scorso, a Kabul, in Afghanistan, si èinaugurata una mostra, la prima in assoluto nellastoria del Paese, di quaranta donne, appena istruitealla fotografia in un corso di dieci giorni, finanziatodall’United Nations Population Fund.Dieci giorni sembrano pochi, però queste donne sonoin stato di estrema necessità. Durante le tre decadi diguerra civile, soltanto a Kabul si contano 30.000vedove, circa due milioni e mezzo fra vedove e privedi risorse economiche nell’intero Paese. Ilprogramma, che sarà esteso ad altre province, leeducherà ad un mestiere che permetterà loro disopravvivere, stimolerà l’autostima e, diconseguenza, migliorerà la loro posizione sociale.

Altri problemi di miseria e malattia, deve affrontare laRepubblica Democratica del Congo e chiede ilcontributo delle donne, ancora.“Grazie alle mie fotografie, desidero rendere piùconsapevoli le persone sull’AIDS, mostrare loro leconseguenze della malattia e consigliarle. Ma,desidero anche dimostrare la speranza che hoancora in vita, malgrado la mia malattia.”La dichiarazione di Julie, una delle quindici donneche la Fondation Femmes Plus di Kinshasa haistruito alla fotografia, in un programma del ChristianAid. Rimasta sola, dopo la morte del marito, dellapiccola bambina e dei genitori, emarginata dallacomunità a causa della sieropositività, come altredonne nelle sue condizioni, viveva per strada. Unastoria ricorrente per tutte, con pochissimeinsignificanti varianti.

Donne intelligenti, capaci di apprendere una nuovatecnica e forti abbastanza da documentare la loro vitaquotidiana, le visite in ospedale e la tragicaesperienza di questo flagello sociale.Fin dall’inizio del corso, hanno incominciato a sentirsimeglio fisicamente e a curare il loro aspetto (igienepersonale, abiti, pettinatura e un filo di civetteriafemminile).

Alcune hanno gia ricevuto commissioni per servizifotografici.La fotografia come sistema taumaturgico.

A volte, purtroppo, le notizie che danno speranzavengono annullate da episodi barbari.“ Reporters Senza Frontiere oggi hanno fermamentecondannato i maltrattamenti fisici, incluse percosseed abusi sessuali, che hanno subito tre donnefotografe straniere dalla polizia di Città del Messico,quando sono state arrestate durante un pesanteattacco ad una manifestazione pacifica in unsobborgo di San Salvador Ateneo, il 4 maggio. Levittime sono María Sostres, spagnola, SamanthaDietmar, studentessa tedesca di fotografia eValentina Palma Novoa, studentessa cilena diantropologia e cinema. La polizia ha confiscatoanche macchine fotografiche, pellicole, registratori elibretti di appunti. In un’intervista a WRadio, Sostresha dichiarato: “I poliziotti ci hanno schiaffeggiato,fotografate e filmate, ci hanno spinto in unacamionetta, chiuso le tende e picchiate. C’erasangue, ci hanno violentato e spogliate.”Si direbbe un’infame storia di tempi remoti e tirannici,avvenuta in una qualche contrada dalle sopraffazionisovrane.Quel 4 maggio è del 2006, poco più di un mese primadell’inaugurazione della Biennale.Le donne in fotografia, comunque, hanno subitopressioni psicologiche, ostracismi e isterici rifiuti.La determinazione, la chiarezza della volontà sonoda sempre le leve che le hanno spinte nel perseguireun cammino non facile, anche per le più privilegiate.Esempio è Julia Margaret Cameron, la prima grandeautrice che si è inserita nella storia della fotografia.Signora della buona società inglese, colta,cosmopolita, appassionata ed eccentrica, inizia adedicarsi alla fotografia a quarantotto anni, quandooramai le donne dell’epoca erano in assoluto declino.È nell’isola di Wight che avviene il miracolo, un’isolache deve emanare particolari onde magiche: viviveva Alfred Tennyson e la Cameron, andandolo atrovare, decise di acquistare due cottages dovefissare la propria residenza.Oscar Gustav Rejlander, nel 1863, si recò daTennyson per riprenderne il ritratto. L’incontro fufatale, la Cameron già ammirava il celebre fotografo,il primo che compose un’allegoria complessa con bentrenta negativi diversi, e pare che fu proprio lui a

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fornirle i primi insegnamenti del processo al collodioumido.

Oscar Gustav Rejlander, Le due strade della vita, 1857

“Trasformai la carbonaia in camera oscura e il pollaiocon le vetrate nella mia ‘casa a vetri’. La società delleoche e dei polli cambiò subito in quella dei poeti,profeti, pittori e deliziose dame, che hanno resoimmortale l’umile costruzione contadina.”In quello studio, la dama inglese obbligava a posaredavanti al suo apparecchio a lastre ogni vicino,conoscente, amico, membro della famiglia e, persino,fermava i passanti per la strada.Un furore creativo che ebbe dei risultati unici. I suoiritratti, soffusi da una malinconia sottile; le sueimmagini simboliche così ben studiate nellacomposizione equilibrata sono dei capolavori dialtissima classe.Fu criticata, dai fotografi professionisticontemporanei, per la mancanza di messa a fuocoprecisa, un elemento che definiva all’epoca la periziatecnica. Infatti, le fotografie della Cameron sonosempre ‘morbide’, dai contorni sfumati e dai dettagliincerti. Elementi di grande fascino visuale cheprecorrono lo stile pittorialista.Scelta o casualità? Ho sempre riflettuto sul fatto chela Cameron dette inizio alla sua avventura infotografia già in età matura. Smise nel 1875, quandoraggiunse il marito a Ceylon dove possedevano vastepiantagioni di tè, poco più di dieci anni di attivitàfeconda e ricchissima. Era presbite? Non meraviglia,semmai la meraviglia è nel risolvere unamenomazione visiva in opera d’arte.Lo sfumato, i contorni labili, la vaghezza dei segnisaranno, appunto, le virtù stilistiche del movimentopittorialista che, nato in Europa, sarà negli Stati Unitila liberazione dalle convenzioni obsolete dellafotografia professionale, per dar vita alla liberacreatività.Il pittorialismo venne importato da Alfred Stieglitz,che per undici anni aveva studiato in Germania eAustria, venendo a contatto con le punte piùavanzate della fotografia del tempo.

Alfred Stieglitz, Spring showers, 1902

Le donne compresero rapidamente la granderivoluzione stilistica e concettuale della fotografiapittorialista, divenendo presto le più sensibiliinterpreti, apprezzate da Stieglitz che espose le loroopere alla galleria 291 e le pubblicò nell’insuperatarivista Camera Work.Anne Brigman, Alice Boughton, Gertrude Käsebir,Ema Spencer, Eva Watson-Schütze rappresentano lagrande arte della fotografia nei primi decenni delNovecento negli Stati Uniti.Naturalmente, non sono nemmeno menzionate neisaggi di storia della fotografia che hanno dominato lacultura fino ad oggi: Beaumont Newhall e HelmutGernsheim, o sorvolate a volo d’uccello nellepubblicazioni più recenti e monumentali.Perdute nell’oblio della cancellazione di identità,come tirare un tratto di penna o meglio, in terminicontemporanei, pressare il tasto can del computer efrantumarle nell’hard disk.Erano donne e avevano seguito uno stile altamentedisprezzato dai guru teorici che vedevano lafotografia secondo dei parametri diretti/straight, cioèquel tipo di fotografia teorizzato da Stieglitz

Alfred Stieglitz, The Steerage, 1907

e che diventerà l’ossessiva cecità della produzioneamericana, fino alla rivolta negli anni Ottanta.Le nostre fantastiche donne erano tutteprofessioniste di successo, con studi ben avviati enon semplici amatrici che per diletto borghese,anziché ricamare, riprendevano scenette familiari.Sublimi nell’espressione creativa, sensibili alletendenze culturali, abili nella padronanza delletecniche anche più impegnative come la stampa alplatino, le loro immagini sono, inoltre, latestimonianza vivida dell’epoca.Il patrimonio che hanno lasciato è un’ereditàfondamentale per apprezzare appieno quanto lafotografia può essere sublime coinvolgimento.In quegli stessi anni, in Europa la coscienza collettivaaveva subito il duro trauma di una guerra, la Imondiale. Nulla poteva essere come prima e lafotografia, strumento principe per indagare non solola realtà oggettuale, soprattutto la realtà interiore,abbandona la visione romantica per assumere ruolidiversi.Sorge la grande scuola della Bauhaus, emerge lavolontà di sperimentare, di osservare il mondo escomporlo in nuove avventurose esperienze.Lucia Moholy, che spinge il marito Làzslò Moholy-Nagy

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Lazlo Moholy-Nagy, Gelosia, 1927

ad interessarsi alla fotografia, è attivissima in moltiprogetti della Bauhaus, dal 1923 al 1928. Il suostrumento è la fotografia, riprende i ritratti dei docentidella scuola - i più grandi artisti dell’avanguardiastorica - l’architettura e gli spettacoli del teatroall’interno della Bauhaus, interpretando appieno lapulizia severa dell’arte modernista. Il suo esempio èstato determinante per l’evoluzione in fotografia dellaBauhaus.Il suo lavoro è di recente riscoperta e valutazione,ovviamente. Fino a pochi anni fa era, ben di rado,menzionata solo come moglie del grande genio.Nel 1919, si iscrive al laboratorio di ceramica, lagiovane Toni von Haken, conosce EberhardSchrammen, a capo dei laboratori dei metalli e dellapietra, che già aveva contribuito alla creazione dellaBauhaus stessa.Nel 1929, si trasferiscono a Gildenhall, una comunitàd’artisti appena fondata. Inventano una tecnica chedenomineranno Foto-Grafik, complessa sintesi difotogramma (la fotografia senza l’uso della macchinafotografica che risale addirittura agli alboridell’invenzione della fotografia con i disegnifotogenici di Henry Fox Talbot,

Henry Fox Talbot, Disegno fotogenico, 1834 ca.

e quasi un secolo più tardi, ‘riscoperta’ da Man Ray,

Man Ray, Rayogramma

delizia di dada e surrealisti) e découpage (l’arte di ritagliareframmenti d’immagine per creare nuove composizioni,ritornato tanto alla moda oggi). Al fotogramma/découpagesi dedicò anche Picasso assieme ad André Villers, conrisultati, a dire il vero, inverecondi.

La von Haken sceglie come tema fondamentale delsuo lavoro il mondo infantile: i giochi, l’apprendimentoe le meravigliose scoperte del Creato (i piccolianimaletti del bosco, l’aquario, i fiori). È un’immaginesintetica di grande estensione narrativa, èun’invenzione sperimentale che non ha avutoseguaci per l’estrema difficoltà di realizzazione.La Germania, e l’area tedesca, la Francia degli anniVenti e Trenta sono il fecondo territorio dove siesprimeranno genialità al femminile di prodigiosaforza: Ilse Bing, Lotte Jacobi e Trude Fleischman,quest’ultima è una riscoperta recentissima, malgradosia stata una professionista affermata con studio aVienna, dove le giovani speranze della fotografiainternazionale approdavano in cerca di consigli. Inseguito, si rifugiò negli Stati Uniti per continuare ilproprio lavoro.Negli anni Novanta, si affaccia timidamente lascoperta di Claude Cahun – e nell’attuale impeto diesplorazioni che sta scavando le falde profonde dellafotografia come una sonda perforatrice ne saltanofuori di recuperi belli, e disutili, per la gioia degliautentici cultori, e degli smaliziati galleristi.Lucy Schwob, francese, adotta uno pseudonimo esceglie ‘Claude’ come primo nome che è siamaschile che femminile. Di nuovo la volontà evidentedi annullare le identità anagrafiche. È il 1917 e rifiutail ruolo di donna che la società le impone, ma lointerpreta, nei più diversificati personaggi, inautoritratti, forse un pò ingenui, di certo interessantiper meglio definire le frange meno note delsurrealismo.Gli Stati Uniti ignoreranno le esperienze dellafotografia sperimentale e tutta l’arte dell’avanguardiastorica, con un notevole ritardo nell’evoluzione chesarà recuperato soltanto negli anni Sessanta conl’invenzione autoctona della Pop Art.Nei primi decenni del secolo, pertanto, alla correntepittorialista si contrappone una visione razionalistache sarà dominante, almeno nella stesura dei saggisulla storia della fotografia pubblicati in epocaposteriore.Berenice Abbott è un inconsueto prodigio dioggettività, sempre che si possa applicare taletermine alla fotografia che oggettiva non lo è mai.Durante il suo soggiorno a Parigi, comprende lastraordinarietà delle escursioni e vagabondaggifotografici di Eugène Atget, un altro che ha ricevuto labenedizione di imbattersi in un ‘contesto’ made inUSA, altrimenti sarebbe stato polverizzato in unaqualche nebulosa.Rientrata a New York, viene incaricata di un progettoimponente: testimoniare la città. ‘Changing New York’

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uscirà nel 1939, dopo dieci anni di lavoro. Nel 1958,inizia una serie di fotografie per illustrare i fenomenidella fisica.Tutte le immagini della Abbott, a primo sguardosembrano, pure/dirette/straight, secondo laterminologia e la teoria tanto adorata dallastoriografia critica statunitense, ed è stata la fortunadella Abbott , una delle rarissime autrici che vienemenzionata nei testi.Di fatto, la sua visione è così sottilmente di astratta, epersonalissima, interpretazione, e così avveniristica,da aver ingannato i noiosissimi obsoleti censori dellalibertà creativa.Con gli anni Ottanta, finalmente, la fotografia negliStati Uniti si risveglia dal lungo e pernicioso letargoche l’ha esclusa dalle eccitanti avventure dell’Europa.E sono proprio le donne in prima linea con la fantasiadelle costruzioni di Sandy Skoglund che mette allaberlina, in surrealistiche ed attualissime realizzazioni,la classe media e le irresponsabili azioni della societàcontemporanea. Tutto sembra gioioso e ludico nellesue immagini, eppure là è palesato il pericolo, el’alienazione collettiva. Cindy Sherman, in uncontinuo trasformismo, ha fatto di se stessa soggettoe interprete. Tutti gli stereotipi femminili, come sonovissuti nella mente degli uomini, sono riprodotti inautoritratti, con un’ironia mordace. Un repertorio diimpersonificazioni che, con il passare degli anni, hainvestito altri territori con rocambolesca fantasia.Anche Orlan è la protagonista diretta delle proprieopere. Qui, però, ci scontriamo con un fenomeno dimetamorfosi non fittizia: Orlan, a partire dagli anniNovanta, si è sottoposta a dolorosissime edinterminabili operazione chirurgiche per trasformarsifisicamente. Chirurgia estetica che è la negazione delcostume corrente, e dei condizionamenti di unasocietà che celebra la giovinezza e la bellezza adogni costo.Sorpresa da come i canoni di bellezza varino nellediverse culture e civiltà, ha dapprima studiato a fondol’iconografia delle etnie precolombiane per creare laprima serie ‘Self-Hybridation’, elaborata al computer,che proseguirà, in anni successivi, rivolgendosiall’Africa ed agli indiani americani.Era molto bella Orlan, secondo i criteri occidentali, edimostra, oggi, che certi concetti sono privi disignificato, piuttosto presentano variabili infinite.‘L'anatomia non è il destino’ perchè modificabile,anche senza ricorrere al bisturi, e ogni individuo èlibero di scegliere l’aspetto esteriore che più siaccorda al proprio sentire.In sintonia con questa coscienza recuperata, ilgiapponese Yasumasa Morimura cancella il ruolo chel’anagrafe gli ha imposto e incarna, in unafinzione/desiderio, personaggi della più squisitafemminilità: dive del cinema, desiderateardentemente dagli uomini, icone dell’arte europea el’immaginario ossessivo di Frida Kahlo, la piùambigua e sfuggevole delle artiste moderne,

Yasumara Moritura, Frida Khalo

in un’identificazione così cosciente da lasciare letracce della sua appartenenza culturale.Il ritratto è uno dei territori tradizionali dove ledonne hanno espresso le loro capacitàprofessionali, spesso imponendosi inconcorrenza con gli altri studi.Ed anche in questo genere, davvero popolare, laBiennale presenta delle sorprese, come DorothyWilding, la più stimata e corteggiata fra i fotografi diritratto in Gran Bretagna, e in seguito a New Yorkdove aprì un altro studio nel 1937, frequentato dallamigliore società. Nello stesso anno, in occasionedell’incoronazione di Giorgio VI, fu nominataFotografo Reale, la prima donna a ricevere questoonore.Talento naturale nel modulare la luce, i suoi ritrattisono un capolavoro di perfezione compositiva e diarmonia. Il suo archivio è conservato con rispetto edogni precauzione nella British Royal Collection. Lastessa sorte non è toccata a Ghitta Carell, nomepiuttosto noto in Italia, è stata la regina indiscussa deiritrattisti, anche se troppo spesso liquidata, da unafuria revisionista che si può applicare all’arte, conetichette stupide ‘ritrattista di regime’ e dei ‘signorid’Italia’. È vero, nel suo studio hanno posato tutti ipersonaggi che contavano fra gli anni Trenta eQuaranta: aristocrazia, alta borghesia, politica,finanza. Abilissima negli artifici tecnici (luci e ritocchi),è, comunque, riuscita a realizzare una galleria diritratti di forte potere narrativo, e spesso di grandesuggestione. È stata vittima anche di un disgustosodelitto: nel 1969 si trasferisce in Israele e affida tuttele sue lastre alla 3M che incarica un alloraimperversante personaggio, tuttora vivente, dellafotografia di organizzare l’archivio. Questopersonaggio, che ha procurato più danni allafotografia in Italia di quanti ‘infiniti dolori inflisse agliAchei’, consigliò di stampare tutte le lastre, riprodurlein negativi, operazione che eseguì personalmente afronte di congrua retribuzione, e distruggerle. Lacarta utilizzata non era adatta a restituire i sofficipassaggi tonali della Carell , tantomeno la pellicolanegativa 35 mm. troppo dura. Le lastre sono finitenella discarica, le fotografie originali della Carnellsono rare preziosità e ciò che ci rimane di unpatrimonio sono delle impossibili riproduzioni.L’accesso alle donne in fotografia si un po’ dischiuso,anche in Paesi che il mondo occidentale ritieneserrato in insormontabili muraglie.Una delle tante rivelazioni che propone la Biennale èla giovane, solo ventiquattro anni, molto bella,determinata e preparata – si è laureata in fotografiapresso il Queensland College of Arts della GriffithUniversity, in Australia - Alia Al-Shamsi, la primafotogiornalista professionista degli Emirati Arabi,lavora per due quotidiani del Dubai, unica donna.

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Alia, sotto certi profili, non sfugge alla biografia dimolti fotografi, il padre è un appassionato e regalaalla figlia la sua prima macchina fotografica quandoha solo sette anni. Apertura mentale sì, ma quandoAlia esprime il desiderio di essere fotografa, il buonsenso paterno interviene e cerca di dissuaderla. Haperso, e ha vinto un talento naturale.E qui si può porre la domanda dell’inizio, sia pure intermini diversi: il talento è parte del DNA di unindividuo?Credo proprio di sì, gli studi costanti sono il terrenosul quale sviluppare idee ed evolversi, ma se nonesistono i presupposti di base, si rimane confinatinella mediocrità.Da pochissimi anni si è dischiuso un nuovo mondo,sorprendente, la Cina che, non avendo tradizioni infotografia da rispettare o seguire, si sta inventandotutto con un anticonformismo strabiliante.Cui Xiuwen è esplosa alla ribalta internazionale ametà degli anni Novanta, a circa venticinque anni. Lesue bambine, i soggetti delle opere, sono innocentitramite di metafore complesse. L’abbigliamento -divisa scolastica, sempre con la camicetta bianca e ilfazzoletto rosso al collo- non è scelta estetica, ma‘segnaletica’ per veicolare il messaggio: biancopurezza, rosso patriottismo, secondo gli stereotipidegli anni Cinquanta in Cina. Le bambine, labambina, rappresenta se stessa, o meglio ognidonna cinese, confusa e smarrita, consapevole evolitiva, sognante e realistica, in un coacervo disentimenti e pulsioni che dal passato politicoriemergono nel presente, così diverso ed inaspettato.Paese, invece, di grande tradizione è il Giappone,dove però le donne artiste si contano ancora inpiccolissimi numeri. Shinako Sato è un’esplosione diinventiva che risolve con i mezzi più disparati:fotografie, disegni, piccoli adesivi, sculture, collages,ricami e murales. Il tema ricorrente è, ancora unavolta, la donna, sia pure analizzata in espressionidiverse, le sue fantasie e candore, la malizia e gliimpulsi. “Vi sono stati pregiudizi storici contro le donne nellapittura e nella scultura. Siccome la fotografia è una

forma d’arte più recente vi è piùapertura e accettazione. Hanno avuto piùopportunità, e sempre ci sono state buone donnefotografe quanti uomini.Nel Ventesimo secolo, Imogen Cunningham,Margaret Bourke-White e Dorothea Lange hannodimostrato la continuità delle grandi donne fotografenella storia.Non significa che abbiamo avuto una vita facile. Finoa circa un decennio fa, secondo le persone delsettore, le donne difficilmente trovavano un impiegonella fotografia commerciale o nel fotogiornalismo, epertanto erano forzate a lavorare per conto loro.”È la sintetica analisi di Joan Harrison, co-curatricedella mostra ‘Photojournalism in 80’s’, organizzatapresso il Fine Arts Center dell’Università delMassachusetts ad Amherst nel 1986.In quella stessa occasione, Carnell Capa, alloradirettore dell’International Center of Photography diNew York, espresse il proprio punto di vista: “Credoche sono state tenute fuori da attitudini maschiliste.

Ma, in qualche punto, lungo il percorso, la diga si èrotta. Le donne posseggono entusiasmo ed energiaed obiettivi.”

E vita facile, le donne, continuano a non averne, seAnnie Leibowitz è stata incaricata del calendarioPirelli nel 2000, preceduta da soltanto altre due:Sarah Moon, la prima, nel 1972 e, a distanza didiciassette anni, nel 1989, Joyce Tennyson, in unatradizione annuale che prende le mosse nel 1964,quarantadue anni fa.

Giuliana Scimé