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    LICEO CLASSICO “F. SCADUTO” – BAGHERIA

    APPUNTI DI STORIA DELLA MATEMATICA

    A CURA DEL PROF. CIRO SCIANNA

    LA MATEMATICA ANTICA :

    DAI BABILONESI AGLI EGIZIANI.

    LA MATEMATICA GRECA CLASSICA.

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    IndiceIndiceIndiceIndice

      LLLLa matematica antica: dai babilonesi agli egiziania matematica antica: dai babilonesi agli egiziania matematica antica: dai babilonesi agli egiziania matematica antica: dai babilonesi agli egiziani

    1.  Quando nasce la matematica?  p. 3 

    2.  Storia e preistoria della matematica p. 5 

    3. 

    La storia politica della Mesopotamia  p.7

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    11.  La matematica egizia e le s$e %onti p.17

    1.  Le applicazioni egiziane della matematica p.18

    13.  La matematica dell’antichit&: l’eredit& com$ne p.0

    ••••  'esti cons$ltati p.

      La creazione della matematica greca classicaLa creazione della matematica greca classicaLa creazione della matematica greca classicaLa creazione della matematica greca classica

    1. 

    Lo s%ondo p.3

    .  Le %onti generali p.!

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    3.  Le principali sc$ole del periodo classico p.!

    !.  La sc$ola ionica p.5

    5.  La sc$ola pitagorica p.6

    6.  La sc$ola eleatica e la sc$ola atomista p.(

    7.  La sc$ola so%istica p.31

    8. 

    La sc$ola platonica p.3!

    (.  La sc$ola di #$dosso p.36

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    10. L’astronomia e$dossiana p.38 

    11.  La sc$ola aristotelica p.!0

      La matematica greca ellenisticaLa matematica greca ellenisticaLa matematica greca ellenisticaLa matematica greca ellenistica

    1.  Il periodo a$reo della matematica greca p.!3

    ••••  'esti cons$ltati p.!5

    LA MATEMATICA ANTICA: DAI BABILONESI AGLI EGIZIANI

    1.  Quando nasce la matematica?

    La matematica, se intesa come disciplina organizzata e indipendente, non esisteva prima dell’entrata

    in scena dei Greci del periodo classico compreso fra il 600 e il 300 a.C.; se intesa invece

    genericamente come l’impiego di numeri e figure geometriche, essa cominciò a svilupparsi migliaia

    di anni prima dell’opera compiuta dai greci dell’età classica. In senso lato, il termine matematica

    include il contributo di molte civiltà anteriori, tra le quali il posto più importante spetta a quellababilonese e a quella egiziana. Presso tutte queste civiltà, la matematica non possedeva una propria

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    metodologia e non era impiegata se non per fini immediatamente pratici. Essa era uno strumento,

    una serie di regole semplici e tra loro non collegate che permetteva di superare i problemi della vita

    di tutti i giorni: il computo del calendario, l’agricoltura, il commercio. A queste regole si giunse per

    tentativi ed errori, attraverso l’esperienza e la semplice osservazione; per di più molte di esse erano

    solo approssimativamente corrette. Potremmo caratterizzare la matematica di queste civiltà antiche

    definendola una matematica empirica. La matematica empirica dei babilonesi e degli egiziani servì

    solo come base preliminare all’opera dei greci.

    Benché la cultura greca non fosse del tutto libera da influenze esterne (i greci colti viaggiavano e

    studiavano in Egitto e in Babilonia), ciò che i greci crearono è tanto diverso da quello che

    ereditarono quanto l’oro dall’orpello.

    Perché avvenne questo ? Fu l’irreprimibile desiderio dei Greci di comprendere il mondo fisico che

    li spinse a creare e ad apprezzare la matematica. Essa era una parte dell’investigazione della natura

    e costituiva la chiave per la comprensione dell’universo in quanto le leggi matematiche sono

    l’essenza della sua organizzazione. La matematica era, per i Greci, lo strumento per scoprire la

    verità. Come tale, essi non potevano più basarsi sui risultati rozzi, empirici, limitati, confusi e

    spesso approssimativi che erano stati raccolti dai loro predecessori, specialmente dagli egiziani e dai

    babilonesi.

    Ogni civiltà degna di questo nome ha ricercato la verità. L’uomo intelligente non può fare a meno di

    cercare di capire la molteplicità dei fenomeni naturali, di risolvere il mistero della presenza

    dell’uomo sulla terra, di comprendere lo scopo della vita e di interrogarsi sul destino umano. In tutte

    le civiltà antiche erano i capi religiosi a rispondere a questi interrogativi, e tutti accettavano le loro

    parole; l’unica eccezione è costituita dall’antica civiltà greca. I greci scoprirono, e questa fu la più

    grande scoperta compiuta dall’uomo, il potere della ragione. Furono i greci dell’età classica a

    rendersi conto che l’uomo è dotato di un’intelligenza, di una mente che, talvolta aiutata

    dall’osservazione e dalla sperimentazione, può scoprire la verità.

    Non è ancora chiaro che cosa condusse i greci a questa scoperta. Fu nella Ionia, una colonia grecadell’Asia Minore, che per la prima volta alcuni uomini cominciarono ad applicare la ragione in

    ambito umano. Molti storici hanno cercato di spiegare questo processo analizzando le condizioni

    politiche e sociali: per esempio gli ionici erano molto meno condizionati da quei vincoli religiosi

    che invece dominavano la cultura greca in Europa. In ogni caso abbiamo una conoscenza tanto

    frammentaria della storia greca anteriore al 600 a.C. da non poter giungere ad una spiegazione

    definitiva.

    Col passar del tempo i greci indagarono con strumenti razionali i sistemi politici, l’etica, lagiustizia, l’istruzione e numerosa altre attività umane. Il loro contributo principale che influenzerà

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    in maniera decisiva tutte le civiltà posteriori, fu di accettare la più grande sfida lanciata alla ragione:

    la comprensione delle leggi naturali. Prima di dare questo contributo, sia i greci sia le altre civiltà

    antiche consideravano la natura qualcosa di caotico, d’incostante e di terrificante. Gli eventi naturali

    o non venivano spiegati oppure erano attribuiti alla volontà arbitraria degli dei che poteva essere

    resa propizia solo con preghiere, sacrifici e altri rituali. I babilonesi e gli egiziani, le cui civiltà

    erano a un livello molto alto già dal 3000 a.C., avevano notato delle periodicità nei movimenti della

    luna e del sole e, pur basando su di esse i loro calendari, non vi scorsero alcun significato profondo.

    I maggiori pensatori greci rifiutarono le dottrine tradizionali, le forze soprannaturali, le

    superstizioni, i dogmi, e ogni altra cosa che potesse essere di ostacolo al pensiero.

    Essi furono i primi a esaminare e a tentare di capire gli aspetti multiformi, misteriosi e complessi

    della natura. Contrapposero le capacità della loro mente al caos di eventi apparentemente casuali

    dell’universo e si assunsero il compito di illuminarli con la luce della ragione. Bandirono tanto la

    mitologia quanto la credenza che gli dei governassero a loro arbitrio l’uomo e il mondo fisico.

    Essi giunsero infine a elaborare la dottrina secondo cui la natura è ordinata e agisce secondo un

    grandioso disegno. Tutti i fenomeni percepibili dai sensi, dai moti planetari allo stormire delle

    foglie, possono essere inseriti in una struttura precisa, coerente e intellegibile; insomma la natura

    segue un disegno razionale e l’uomo, sebbene non possa modificarlo, può nondimeno comprenderlo

    con la mente.

    L’applicazione della matematica fu il passo decisivo che fugò dai processi naturali ogni ombra di

    mistero, di misticismo e di apparente caos, e li sostituì con un modello comprensibile. In ciò i greci

    mostrarono un intuito fecondo e originale, pari quasi a quello che li guidò alla scoperta del potere

    della ragione. L’universo segue un disegno matematico e attraverso la matematica l’uomo può

    impadronirsi del segreto di tale disegno.

    I greci ricercarono quindi con determinazione la verità, specialmente sulla struttura matematica

    della natura. E quindi anche la matematica, con i suoi elementi fondamentali del numero e delle

    figure geometriche, doveva essere un corpo di verità. Il ragionamento matematico, volto a stabilireverità valide anche per i fenomeni fisici (per esempio per il moto degli astri), doveva condurre a

    conclusioni assolutamente certe. Come potevano essere raggiunti questi obiettivi ? Come si può

    ricercare la verità, assicurandosi nello stesso tempo che ciò che si è trovato sia vero ? Anche per

    questo i greci idearono un progetto risolutivo. Tale progetto si sviluppò gradatamente nel periodo

    che va dal 600 al 300 a.C., culminando nella formalizzazione del cosiddetto metodo assiomatico-

    deduttivo da parte di Euclide.

    2.  Storia e preistoria della matematica

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    La prima forma di matematica utilizzata dall’uomo primitivo era quella legata al conteggio.

    Nel 1937, in Cecoslovacchia, sono state rinvenute delle lunghe ossa di lupo con tacche incise,

    databili attorno al 30.000 a.C., nelle quali è chiaramente ravvisabile la traccia di un conteggio. In

    esse sono riportate cinquantacinque tacche, suddivise a gruppi di cinque, e ciò sembra indicare che

    il 5 sia da considerare come base di un sistema primitivo di numerazione. Intorno al 25.000 a.C. alla

    rudimentale aritmetica si affiancò un’iniziale forma di geometria: in quell’epoca comparvero infatti

    le incisioni di disegni geometrici primitivi.

    Le civiltà primitive non andavano al di là della distinzione fra uno, due e molti; altre possedevano i

    numeri interi più grandi ed erano in grado di effettuare operazioni su di essi; altre ancora giunsero a

    riconoscere i numeri come concetti astratti, ad adottare speciali parole per indicare i singoli numeri,

    ad introdurre dei simboli per i numeri e anche ad usare basi quali dieci, venti o cinque per denotare

    unità di quantità più grandi. Si possono anche trovare le 4 operazioni dell’aritmetica, per quanto

    limitate a numeri piccoli, e il concetto di frazione, ristretto tuttavia a 1/2, 1/3 e simili ed espresso a

    parole. In aggiunta a ciò, vennero anche riconosciute le nozioni geometriche più semplici, quali

    quelle di retta, cerchio ed angolo. E’ forse interessante notare che il concetto di angolo deve essere

    sorto dall’osservazione dell’angolo formato dalle parti inferiore e superiore della gamba o del

    braccio umani, perché in molte lingue la parola che indica il lato di un angolo coincide con quella

    che indica il braccio o la gamba. Le applicazioni della matematica in queste civiltà primitive si

    limitavano alle più semplici operazioni legate al commercio, al calcolo grossolano delle aree dei

    campi, alla decorazione geometrica sulle ceramiche, al ricamo di disegni sui tessuti e alla

    registrazione del tempo.

    Ora, se consideriamo che le popolazioni primitive crearono i primi insediamenti costruendo

    abitazioni e praticando l’agricoltura e l’allevamento del bestiame fin dal 10.000 a.C., ci si può

    rendere conto di quanto lenti furono i primi passi mossi dalla matematica più elementare. Circa

    cinque millenni fa, finalmente, fecero la propria comparsa le prime forme di matematica sviluppata

    presso i Babilonesi e gli Egiziani.Intorno al 3.000 a.C. può essere datata la prima testimonianza matematica scritta conosciuta: sulla

    sommità dello scettro di Menes, rappresentante della prima dinastia dei Faraoni, troviamo registrate

    numericamente con la scrittura a geroglifici, alcune prede di guerra. Gli Egiziani si mostrarono

    pienamente in grado di rappresentare grandi quantità attraverso i numeri: 400.000 buoi, 1.422.000

    capre e 120.000 prigionieri.

    Nel Vicino Oriente Antico, una vasta area che comprende la Mesopotamia, l’invenzione del calcolo

    precedette quella della scrittura; ciò è dimostrato dal rinvenimento, nei siti archeologici della vastaarea geografica compresa tra le coste del Mediterraneo e l’Iran orientale e tra la Turchia e Israele, di

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    oggetti di forme diverse che servivano a svolgere operazioni di calcolo, i cosiddetti “contrassegni”.

    I contrassegni sono piccoli oggetti d’argilla che rappresentavano unità di calcolo, come, per

    esempio, una certa misura di cereali o un capo di bestiame.

    Gli scavi stratigrafici e la datazione dei materiali reperiti hanno consentito d'inserire in una cornice

    cronologica l'evoluzione di questo sistema di calcolo. I primi contrassegni apparvero verso l'8000,

    contemporaneamente all'addomesticamento degli animali e delle piante; la loro distribuzione

    geografica corrisponde a quella dei primi insediamenti sedentari in Siria e in Iraq. Sembra quindi

    che la consuetudine di registrare gli oggetti dotati di un valore economico possa essere correlata alla

    nascita dell'agricoltura. La necessità di tenere i conti nacque dal nuovo modo di vita basato sulla

    pianificazione del raccolto e sull'immagazzinamento del cibo; i contrassegni furono inventati per

    soddisfare questa necessità. Verso il 6000 essi erano già diffusi in tutto il Vicino Oriente,

    rimanendo sostanzialmente immutati per due millenni. Nel periodo preistorico, tra l'8000 e il 4500,

    il repertorio dei contrassegni era composto da forme semplici e includeva poche forme geometriche,

    in particolare coni, sfere, cilindri, tetraedri e ovoidi; la superficie dei manufatti era in generale priva

    di segni incisi. Questi primi contrassegni semplici rappresentavano prodotti della terra e

    dell'allevamento, vale a dire, quantità di cereali e capi di bestiame.

    I vari sistemi per denotare i numeri nella scrittura cuneiforme, che vide la luce intorno al 3.300 a.C.,

    si possono interpretare proprio come una continuazione diretta dei contrassegni.

    I testi cuneiformi trovati nell’area templare dell’Eanna, nella città di Uruk, risalenti al 3.200 circa

    facevano uso di una famiglia accuratamente elaborata di sistemi numerici interrelati: un sistema

    sessagesimale e uno bisessagesimale (cioè 60x60) di numeri per contare, un sistema di numeri per

    misurare capacità, uno per misurare aree e uno per misurare il tempo.

    La complessità della famiglia di sistemi numerici, e la complessità di numerosi tipi di testi

    amministrativi risalenti al periodo dei primi documenti scritti, rendono evidente che già 5.200 anni

    fa l’insegnamento della numerazione deve aver svolto un ruolo importante nelle scuole scribali

    mesopotamiche. Come mostrano i testi che ci sono pervenuti, il curriculum scolastico degli scribanel primo periodo della scrittura doveva comprendere gli elementi fondamentali dell’aritmetica,

    semplici calcoli di aree, divisioni e la risoluzione di alcuni sistemi di equazioni lineari. E’ questo

    l’inizio della tradizione matematica in Mesopotamia.

    Proprio in considerazione della prima presenza di una scrittura matematica, cominceremo il nostro

    viaggio attraverso la storia della matematica, dall’esame dell’aritmetica e della geometria che

    fiorirono nelle civiltà dell’Antico Egitto e dell’Antica Mesopotamia.

    3.  La storia politica della Mesopotamia

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    I Babilonesi furono i primi, insieme agli Egiziani, a portare un contributo al corso principale della

    matematica.

    Il termine “babilonese” copre una serie di popolazioni che, contemporaneamente o successivamente

    occuparono l’area situata fra i fiumi Tigri ed Eufrate e nelle loro vicinanze; questa regione è cono-

    sciuta come Mesopotamia e fa ora parte del moderno Iraq.

    Queste popolazioni vivevano in città indipendenti quali Babilonia, Ur, Nippur, Susa, Assur, Uruk,

    Lagash, Kish e altre. Intorno al 4000 a.C. i Sumeri, popolazione di razza diversa dai Semiti e dagli

    Indoeuropei, si insediarono in una parte della Mesopotamia. La loro capitale era Ur e la parte dei

    territori che essi controllavano venne chiamata Sumeria. Sebbene la loro cultura raggiungesse il suo

    culmine intorno al 2250 a.C., già prima, nel 2500 a.C. circa, i Sumeri vennero sottomessi

    politicamente dagli Accadi, una popolazione semitica la cui città principale era Accad e che era

    allora guidata dal sovrano Sargon. La civiltà sumera fu sopraffatta da quella accadica. Un periodo di

    alto livello culturale si ebbe durante il regno del re Hammurabi (1700 a.C. circa), che è noto per

    essere stato il promulgatore di un famoso codice di leggi.

    Intorno al 1000 a.C. le migrazioni e l’introduzione del ferro provocarono ulteriori cambiamenti.

    Successivamente, nell’Ottavo secolo a.C., la regione cadde sotto il dominio degli Assiri, che si

    stabilirono principalmente nella regione del Tigri superiore. Per quanto ne sappiamo, essi non

    aggiunsero nulla di nuovo alla cultura già esistente.

    Un secolo dopo l’impero assiro venne spartito tra i Caldei e i Medi, i quali ultimi erano assai vicini

    ai Persiani che stavano più a est. Questo periodo della storia mesopotamica (VII secolo a.C.) viene

    spesso citato come periodo caldeo. Il Vicino Oriente venne conquistato dai Persiani guidati da Ciro

    intorno al 540 a.C. I matematici persiani, quali Nabu-rimanni (c.490 a.C.) e Kidim (c.480 a.C.),

    divennero così noti ai Greci.

    Nel 330 a.C. Alessandro Magno conquistò la Mesopotamia. Il periodo che va dal 300 a.C. alla

    nascita di Cristo viene detto “seleucidico”, dal nome del generale greco Seleuco che s’impadronì

    per primo del controllo della regione dopo la morte di Alessandro avvenuta nel 323 a.C.Tuttavia la fioritura della matematica greca aveva già avuto luogo e dall’epoca di Alessandro

    Magno fino al VII secolo d.C., quando entrarono in scena gli Arabi, l’influenza greca fu

    predominante in tutto il Vicino Oriente. La maggior parte dei contributi apportati dai babilonesi alla

    matematica appartengono all’epoca che precede il periodo seleucidico. Nonostante i numerosi

    cambiamenti di dominazione succedutisi in Mesopotamia, vi fu, per quel che riguarda la

    Matematica, una continuità di cultura, tradizioni e pratica dai periodi più antichi fino almeno

    all’epoca di Alessandro Magno.

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    4.  La matematica babilonese

    Le nostre principali informazioni concernenti la civiltà e la matematica babilonesi sia antiche sia più

    recenti provengono dai testi scritti su tavolette di argilla. Queste tavolette venivano incise quando

    l’argilla era ancora morbida ed erano poi sottoposte a cottura. Per questo motivo quelle che sono

    sopravvissute alla distruzione sono in buono stato di conservazione. Esse risalgono principalmente a

    due periodi: quello intorno al 2000 a.C. e, in numero maggiore, quello che va dal 600 a.C. al 300

    d.C. Le tavolette più antiche sono le più importanti per la storia della matematica. La lingua e la

    scrittura delle tavolette più antiche sono quelle accadiche, appartenenti al gruppo semitico, che

    avevano soppiantato la lingua e la scrittura antecedenti dei Sumeri. Le parole della lingua akkadica

    erano costituite da una o più sillabe e ogni sillaba era rappresentata da un insieme di segmenti

    rettilinei. Gli Accadi usavano uno stilo a sezione triangolare che veniva appoggiato con una certa

    angolazione sull’argilla e produceva incisioni a forma di cuneo che potevano essere orientate in

    modo diversi. Per tale motivo questo tipo di scrittura è diventato noto con il nome di scrittura

    cuneiforme .

    La ricerca sulla matematica mesopotamica conobbe il suo periodo pionieristico a partire dalla

    seconda metà dell’800, quando cominciarono a essere comprese la metrologia e le notazioni

    numeriche usate nei testi amministrativi cuneiformi. Tra il 1916 e il 1945 si ebbe un rapido aumento

    di testi matematici cuneiformi provenienti dai musei del Vecchio e Nuovo Mondo, individuati e

    pubblicati (anche se, spesso ritrovati nel corso di scavi non autorizzati, non avevano una

    provenienza nota), dei quali cominciò a essere compresa la difficile e particolare terminologia. A

    partire dagli anni settanta del novecento si è avuta una ripresa di questi studi, che si sono allargati ai

    testi matematici e metro-matematici del III millennio, sono state rimesse in questione traduzioni e

    interpretazioni consolidate dei testi già pubblicati, e sono apparsi i primi studi generali sull’intero

    corpus dei testi matematici mesopotamici.

    L’aritmetica più progredita della civiltà babilonese è quella akkadica. I numeri interi venivano

    scritti nel modo seguente:

    Due fattori sembrano aver favorito uno sviluppo sorprendentemente rapido della matematica nelperiodo compreso tra il 1.900 e il 1.600 (periodo paleobabilonese). Innanzitutto l’invenzione di un

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    sistema di notazione posizionale per il sistema di numerazione sessagesimale, nel quale uno stesso

    simbolo ha diverso valore se scritto prima di altri, avvenuta probabilmente intorno al 2.500.

    Importante fu anche un mutamento nel clima culturale, cioè il passaggio da uno Stato centralizzato

    e da una burocrazia onnipresente e presumibilmente caratterizzata, per quanto attiene all’in-

    segnamento delle tecniche di calcolo, da un approccio meramente utilitaristico, a una burocrazia

    meno onnipresente e più aperta alle istanze individuali.

    5.  Le operazioni aritmetiche e le tavole matematiche e metrologiche

    Nel sistema babilonese i simboli che denotavano 1 e 10 erano fondamentali. I numeri da 1 a 59

    venivano formati combinando fra loro un numero maggiore o minore di questi simboli. I processi di

    addizione e sottrazione consistevano perciò semplicemente nell’aggiungere o togliere simboli. Per

    indicare l’addizione i Babilonesi accostavano i numeri l’uno all’altro come , che significa 16.

    La sottrazione veniva spesso indicata con il simbolo . Così, significa 40 – 3. Nei testi

    astronomici di un periodo successivo compare la parola “tab”, che significa “addizione”. Veniva

    anche effettuata la moltiplicazione di interi e le divisioni tra numeri interi. Poiché dividere per un

    intero n è la stessa cosa che moltiplicare per il suo inverso 1/n, venivano usate in questo contesto le

    frazioni. I Babilonesi convertivano i reciproci 1/n in frazioni sessagesimali non usando però simboli

    speciali per le frazioni. Le frazioni sessagesimali, cioè numeri minori di uno espressi mediante gli

    inversi delle potenze di 60, ma con denominatori sottintesi, continuarono ad essere usate dai greci

    Ipparco e Tolomeo e poi nel Rinascimento e fino al XVI secolo, quando furono sostituite dai

    decimali in base 10.

    L’inizio dell’uso del sistema di notazione posizionale per i numeri sessagesimali è strettamente

    legato alla compilazione delle prime tavole cuneiformi matematiche e metrologiche, le quali a loro

    volta si rivelarono uno strumento di fondamentale importanza per risolvere i problemi relativi alla

    misurazione, facilitando i calcoli relativi.

    I tipi più comuni di tavole matematiche sono le tavole di moltiplicazione, le tavole di quadrati o diradici quadrate e le tavole di reciproci o inversi. In queste tavole si trovano soltanto numeri

    sessagesimali, scritti in notazione posizionale.

    Le tavole metrologiche, invece, elencano le notazioni tradizionali, in ordine crescente, per un

    assortimento scelto di numeri che rappresentano misure appartenenti a uno dei sistemi di capacità,

    di metallo, di area, di lunghezza: per ognuna delle misure selezionate la tavola metrologica indica

    anche il suo valore come multiplo sessagesimale di una certa unità di base.

    6.  L’algebra babilonese

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    Distinti dai testi che contengono le tavole e che forniscono molte informazioni sul sistema numerico

    babilonese e sulle operazioni con i numeri sono i testi che trattano problemi algebrici e geometrici.

    Il più antico documento di probabile significato algebrico, anche se la sua interpretazione ha

    suscitato varie polemiche, risale ad una civiltà riportata alla luce nel 1975 da una spedizione

    italiana: la civiltà di Ebla, città dell’attuale Siria.

    La tavoletta scritta in cuneiforme, trovata negli scavi di Ebla, fa parte del cosiddetto “archivio

    reale”, ricco di circa 20.000 tavolette risalenti al 2.500 a.C. circa. La tavoletta in questione è stata

    decifrata da Giovanni Pettinato ed interpretata dal matematico Tullio Viola e dalla sua allieva

    Isabella Vino. Essa è stata redatta da un certo Jsma-Ja (che potremmo considerare il nome del primo

    matematico a noi noto), scriba di Kish, città sumera della Mesopotamia. Alla fine della tavoletta

    (parte sinistra), prima del nome (o della firma) del “professore-scriba”, si trova scritto

    come ad indicare un vero e proprio esercizio assegnato agli studenti di Ebla.

    Secondo la traduzione più attendibile, viene in sostanza richiesto per quale numero deve essere

    moltiplicata la base 60 della numerazione sumera per ottenere i vari numeri presentati; cioè la

    tavoletta presenta le seguenti equazioni:

    ……………..

    La circostanza che sia stato uno studioso di un’altra città a redigere la tavoletta, consente di

    accentuare il carattere algebrico della tavoletta poiché probabilmente si trattava di una esercitazione

    volta ad insegnare agli studenti di Ebla ad esprimere in numerologia sumerica alcuni numeri

    significativi. Infatti, tutto il problema è basato su un sistema di scrittura sessagesimale proprio della

    Mesopotamia sumerica, mentre il sistema vigente ad Ebla era quello decimale, sicché gli studenti,

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    oltre a risolvere il problema puramente matematico, lo dovevano pensare e scrivere secondo un

    sistema di scrittura a loro non congeniale.

    Possiamo anche pensare che i sumeri mostrassero agli eblaiti la maggiore praticità del loro modo di

    scrivere i numeri in una forma sostanzialmente posizionale che rappresenta, per il più importante

    studioso di matematica antica Otto Neugebauer (1899-1990),

    Un problema fondamentale dell’algebra babilonese più antica chiede di trovare un numero che,

    aggiunto al suo reciproco, fornisca un numero dato. In notazione moderna, i Babilonesi cercavano

    e tale che

    ,

    Queste due equazioni sono equivalenti a un’equazione quadratica in x, e precisamente:

    Essi formavano , poi ed infine

    ,

    che forniscono la risposta cercata. In effetti i Babilonesi conoscevano la formula per la risoluzione

    delle equazioni di 2° grado. Altri problemi, come quello di trovare due numeri aventi somma e

    prodotto assegnati, venivano ricondotti al problema precedente.E’ ormai opinione comune, in seguito ai notevoli studi di Otto Neugebauer e di altri studiosi che

    hanno consentito di avere traduzioni sicure di molte tavolette con incisi numerosi problemi

    (dell’ordine delle centinaia), che i contenuti delle tavolette babilonesi,(1900-1.600 a.C. circa), si

    trovassero già ad un notevole livello algebrico.

    L’algebricità dei problemi babilonesi si ricavava principalmente dalla circostanza che poteva

    accadere di trovare la somma di un’area con una lunghezza; l’incongruità di una tale operazione

    fece infatti dedurre che allorché si parlava di sommare “un quadrato con un lato” in realtà si

    usavano nomi geometrici intesi soltanto come numeri, distaccati da un originale significato

    geometrico, così come oggi si somma “un cubo con un quadrato” senza pensare alle

    figure geometriche da cui provenivano i nomi usati. Ma questo svincolo mutava l’esercizio

    7.  La geometria babilonese

    La geometria come noi la conosciamo ha avuto origine in Mesopotamia, sviluppandosi

    gradualmente nel corso di tre millenni e più. Un'affermazione così decisa è sostenuta da un'analisi

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    precisa di quali risultati siano dovuti ai “geometri” della Mesopotamia (che erano poi scribi o

    insegnanti), a quali concetti geometrici abbiano dato vita e in che senso ciò che facevano merita di

    essere chiamato geometria.

    A quanto sembra, i primi oggetti geometrici, già nel periodo degli esordi della scrittura o anche

    prima, furono campi di forma rettangolare o quasi, la cui superficie era misurata in termini di unità

    d'area. L'idea di misura dell'area nacque in modo naturale in una società agricola come era quella

    della Mesopotamia: si trattava di una grandezza che poteva essere calcolata come la lunghezza del

    solco prodotto dall'aratro moltiplicata per il numero dei solchi e per la distanza costante tra i solchi.

    È significativo il fatto che ancora nel periodo babilonese, (1900-1.600 circa), nei testi matematici i

    rettangoli misuravano di solito 30 corde (una corda era circa 60 m) per 20 corde, cioè la grandezza

    di un campo il cui prodotto era sufficiente a nutrire una famiglia.

    Mezzo millennio più tardi il quadrato fece il suo ingresso nei testi matematici paleosumerici (2900-

    2370). L'idea di quadrato può essere di origine metrologica, perché le unità di misura più piccole

    per le aree nel sistema sumerico erano le unità di “giardino”, l'area di un quadrato di lato 1 pertica

    (6m circa), e l'unità di “diga (di terra)”, l'area di un quadrato di lato 1 corda.

    Nel periodo paleosumerico compaiono anche per la prima volta i cerchi, in un disegno su una

    tavoletta d'argilla (rinvenuta all’inizio del XX secolo nella città sumerica di Shuruppak) che mostra

    quattro cerchi inscritti in un quadrato. L'idea di cerchio doveva nascere naturalmente come

    immagine della Luna, o del Sole, o come il segno numerico D del contrassegno di argilla per

    misurare quantità di orzo e di altri cereali.

    Doveva poi essere noto da molto tempo che l'area del triangolo è la metà dell'area del rettangolo

    avente la stessa base e la stessa altezza; non abbiamo però testi che ci permettano di verificare

    questa ipotesi. Sono state inoltre trovate un paio di tavolette neosumeriche (2.200-2.000) con mappe

    di campi, nelle quali un campo di forma irregolare è suddiviso in settori rettangolari, trapezoidali e

    triangolari, e l'area totale è determinata come somma delle aree di questi. Un’altra tavoletta

    dell’epoca paleoaccadica (2.600-2.350) che riporta il disegno di un trapezio equidecomposto ènotevole non soltanto perché si tratta del più antico testo che riguarda trapezi decomposti, ma anche

    perché è il più antico testo matematico in cui è considerata una figura troppo piccola per

    rappresentare un vero campo coltivato: si tratta infatti di un trapezio di area uguale a 1 pertica

    quadrata.

    Il concetto generale di angolo era sconosciuto nella geometria babilonese, o comunque tenuto in

    scarsa considerazione, secondo quanto risulta dai documenti conosciuti. D'altra parte, almeno nel

    caso tridimensionale, la pendenza uniforme dei lati di un canale, di un muro o di una piramide eraregolarmente espressa dalla variazione orizzontale corrispondente allo spostamento verticale di

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    un'unità di lunghezza. Inoltre, anche in assenza di un concetto generale di angolo, il concetto di

    triangoli simili era ben chiaro ed era utilizzato in molte situazioni. È molto importante osservare che

    le tavole babilonesi di costanti per figure geometriche usano in modo essenziale i concetti gemelli

    di similitudine 'lineare' e 'quadratica', ossia il fatto che, in figure simili di qualunque tipo, lunghezze

    corrispondenti sono proporzionali e le aree sono proporzionali ai quadrati di queste lunghezze.

    Inoltre, in una società nella quale i mattoni costituivano il principale materiale da costruzione,

    doveva risultare ovvio che i volumi di solidi simili sono proporzionali ai cubi delle altezze.

    Il concetto di figura inscritta in un'altra era noto, come pure quello di linea tangente, retta o curva.

    Fin dagli inizi nel periodo degli esordi della scrittura alla fine del IV millennio, e per tutta la sua

    storia, la matematica mesopotamica sembra orientata verso le applicazioni; essa aveva lo scopo di

    insegnare a futuri scribi e amministratori come trattare in modo efficace e corretto calcoli

    complicati con numeri e misure espresse in tutti i diversi sistemi cuneiformi di notazione. A quanto

    pare, la geometria non era studiata per sé stessa, ma soltanto perché era una fonte di problemi

    interessanti che sollecitavano l'intuizione visiva. Non c'è traccia di impostazione assiomatica nella

    geometria babilonese; non sono mai dati né definizioni né assiomi, e né enunciati o dimostrati

    teoremi. Vi sono tuttavia molte indicazioni che mostrano come la matematica, e in particolare la

    geometria, fossero insegnate in modo metodico nelle scuole paleobabilonesi.

    8.  Le applicazioni della matematica in Mesopotamia

    I Babilonesi usavano la loro conoscenza dell’aritmetica e dell’algebra elementare per esprimere

    lunghezze e pesi, per scambiare manufatti, per computare interessi semplici e composti, per

    calcolare tasse e per dividere le quote di un raccolto fra il contadino, la Chiesa e lo Stato. La

    divisione dei campi e delle eredità conduceva a problemi algebrici. Non esiste possibilità di dubbio

    circa l’influenza dell’economia sullo sviluppo dell’aritmetica nel periodo più antico.Canali, argini ed altri progetti d’irrigazione richiedevano calcoli. L’uso di mattoni sollevava

    numerosi problemi numerici e geometrici. Dovevano essere determinati i volumi dei granai e degli

    edifici e le aree dei campi. La stretta connessione fra la matematica babilonese e i problemi pratici è

    esemplificata dal seguente problema.

    Si doveva scavare un canale la cui sezione era un trapezoide e le cui dimensioni erano note. Pure

    noti erano quanto un uomo poteva scavare in una giornata e la somma del numero degli uomini

    impiegati e delle giornate da essi lavorate. Il problema consisteva nel calcolare il numero degliuomini e il numero delle giornate di lavoro.

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    Poiché la connessione fra matematica e astronomia è diventata fondamentale dal tempo dei Greci in

    poi, metteremo in rilievo le conoscenze e i risultati astronomici babilonesi. Nulla è noto dell’astro-

    nomia sumerica e l’astronomia del periodo accadico era rozza e puramente qualitativa; lo sviluppo

    della matematica precedette lo sviluppo dell’astronomia.

    Nel periodo assiro (intorno al 700 a.C.), l’astronomia incominciò ad includere la descrizione

    matematica dei fenomeni e la compilazione sistematica dei dati delle osservazioni. L’uso della

    matematica si estese negli ultimi tre secoli prima di Cristo e fu applicato specialmente allo studio

    dei moti lunari e planetari. La maggior parte dei testi astronomici risalgono a questo periodo

    seleucidico. Essi si ripartiscono in due gruppi, testi procedurali ed effemeridi, cioè tavole delle

    posizioni dei corpi celesti nei vari momenti.

    L’astronomia serviva a molti scopi, ma essa era principalmente necessaria per tenere un calendario,

    che è determinato dalle posizioni del Sole, della Luna e delle stelle. L’anno, il mese e il giorno sono

    quantità astronomiche che dovevano essere determinate accuratamente per conoscere i periodi delle

    semine e le festività religiose. A Babilonia, in parte per la connessione del calendario con le

    festività religiose e in parte perché i corpi celesti erano ritenuti dèi, il calendario era tenuto dai

    sacerdoti. Il calendario era lunario, cioè segnava le fasi della Luna. Fu usato dagli ebrei, dai greci e

    dai romani fino al 45 a.C., quando venne adottato il calendario giuliano.

    9.  La storia politica dell’Antico Egitto

    Nel mondo ellenistico, l'Egitto era considerato la culla della scienza. Nel I sec. a.C. Diodoro Siculo

    scriveva, nel primo libro della sua Bibliotheca (I, 69), che gli Egizi sarebbero stati gli inventori non

    soltanto della scrittura, ma anche della geometria. Quattro secoli prima, Erodoto, il padre della

    storiografia, aveva visitato l'Egitto e aveva riferito ( Historiae, II, 109) che sotto il re Sesostri per

    assicurare le imposte statali l'intero paese era stato lottizzato e che, dopo ogni straripamento delNilo, i terreni, a causa dei cambiamenti subiti, erano subito rimisurati; in questo modo, secondo la

    sua opinione, era stata scoperta l'arte dell'agrimensura.

    Mentre la Mesopotamia sperimentò molti cambiamenti nelle popolazioni che la governarono, la

    civiltà egiziana si sviluppò senza essere toccata da influenze straniere. Le origini di questa civiltà

    sono sconosciute, ma essa esisteva già prima del 4000 a.C. L’Egitto, come dice Erodoto, è un dono

    del Nilo. Questo fiume, che scorre da sud a nord, una volta all’anno allaga tutto il territorio che

    circonda le sue rive e lascia dietro di sé un limo fertilissimo. La maggior parte della popolazionetraeva e trae il suo sostentamento coltivando questo limo. Il resto del paese è desertico.

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    Vi erano due regni, uno nella parte settentrionale e uno in quella meridionale dell’odierno Egitto. In

    un certo periodo compreso fra il 3500 e il 3000 a.C. il faraone Mena o Menes, unificò l’Alto e il

    Basso Egitto. Da allora in poi i periodi principali della storia egiziana vengono ripartiti secondo le

    dinastie regnanti; Menes è considerato il fondatore della prima dinastia. Il periodo di maggiore

    splendore della cultura egiziana venne raggiunto durante la terza dinastia (2500 a.C. circa), lo stesso

    periodo in cui i faraoni costruirono le piramidi. La civiltà egiziana continuò la sua strada fino a

    quando Alessandro Magno conquistò l’Egitto nel 332 a.C.

    Dopo di allora, e fino al 600 d.C. circa, la sua storia e la sua matematica fanno parte della civiltà

    greca.

    Gli antichi egiziani crearono dei sistemi di scrittura originali. Il primo di essi, i geroglifici, era un

    sistema pittografico, cioè ogni simbolo rappresentava un oggetto. I geroglifici furono usati nei

    monumenti fino all’inizio dell’era cristiana. A partire dal 2500 a.C. circa, gli Egiziani usarono per

    gli scopi quotidiani quella che viene detta scrittura ieratica. Il sistema usava dei simboli

    convenzionali, che all’inizio erano semplicemente delle semplificazioni dei geroglifici. La scrittura

    ieratica è sillabica: ogni sillaba è rappresentata da un ideogramma e una parola intera è una

    collezione di ideogrammi. Il significato della parola non è legato ai singoli ideogrammi.

    A partire dal VII secolo a.C. dalla scrittura ieratica si sviluppa, a seguito di un’ulteriore limatura dei

    segni grafici, una terza scrittura, la scrittura demotica, che nell’epoca tolemaica e romana era la

    scrittura ordinaria della vita quotidiana. La scrittura veniva tracciata mediante inchiostro su fogli di

    papiro, che venivano prodotti pressando e tagliando il midollo della pianta omonima. Poiché il

    papiro secca e si sbriciola, ci sono rimasti pochissimi documenti dell’antico Egitto, se si eccettuano

    le iscrizioni geroglifiche scolpite sulla pietra.

    10. Le origini della matematica egizia

    L'Egitto è una delle aree del mondo antico in cui si sono riscontrati i primissimi segni di esistenza

    della matematica, o meglio, di una tecnica di calcolo. Gli albori si perdono nell'oscurità dell'epocapredinastica, precedente la scrittura, quando nella Valle del Nilo l'agricoltura era diventata un im-

    portante sistema economico, si erano sviluppati dei comuni rurali ed erano nati dei centri politici,

    quali le antiche circoscrizioni (nomoí ). A capo di questi territori, i più antichi documentabili alla

    fine del IV millennio, erano posti i sovrani e i principi, con le loro corti di funzionari religiosi e

    laici. Essi riscuotevano le imposte dai villaggi, che garantivano la celebrazione dei riti rivolti agli

    dèi, il mantenimento della corte e l'organizzazione di lavori di interesse collettivo, come la

    costruzione di templi e di argini, o l'espletamento delle funzioni difensive.

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    A questo periodo risale la formazione di centri abitati nei quali risiedevano i sovrani e la loro corte,

    che possono essere considerati una forma antica di capitali.

    Un esempio documentato archeologicamente è l'insediamento di Ieraconpoli, situato 780 km ca. a

    sud del Cairo: su un'area di 2,5 km2  si trovavano vasti spazi urbani formati da abitazioni

    rettangolari, l'area templare, quella palatina e diversi cimiteri.

    A partire dal 3300 ca. in poi può essere ricostruita la storia di queste aree, che continua anche in

    epoca dinastica sino all'inizio del III millennio. Per gli abitanti della Valle del Nilo la costruzione

    delle tombe regali (le più antiche delle quali sono state scoperte ad Abido, 550 km ca. a sud del

    Cairo, e a Saqqara) è stata una notevole impresa collettiva, basata su concezioni religiose. Per

    realizzare queste gigantesche costruzioni, fatte di mattoni ricavati dai sedimenti del Nilo, di legno e

    di canne, era indispensabile l'impegno collettivo di grandi masse di uomini. Il personale necessario

    proveniva dai villaggi, come per una sorta di leva al servizio della collettività, personificata dal

    sovrano, il quale fungeva da mediatore tra il mondo degli uomini e quello degli dèi.

    La precisa costruzione ad angolo retto dei primi templi, dei palazzi e delle tombe regali mostra che

    si era in grado di misurare con precisione i terreni fabbricabili e di determinare gli assi degli edifici

    in base a un orientamento stabilito. Dovevano quindi essere noti i tratti caratteristici del’agri-

    mensura, dalla quale è nata la geometria. Inoltre, la raccolta dei tributi in natura nei diversi villaggi,

    sotto forma di alimenti per la corte e per le maestranze, oppure di materiali edili,

    l'immagazzinamento e la distribuzione di questi beni, ma anche l'organizzazione degli uomini

    nell'attività edile, presuppongono la disponibilità di una forma primitiva di tecniche di calcolo. È

    dunque in questo contesto che deve essere rintracciata l'origine dell'aritmetica. Partendo da questa

    constatazione, Diodoro Siculo ( Bibliotheca, I, 81) racconta che i sacerdoti egizi, i detentori del

    sapere, avrebbero impiegato l'aritmetica solo per scopi pratici e come sussidio per la geometria.

    11. La matematica egizia e le sue fonti

    In Egitto, a partire da 3.000 a.C., si sviluppò una notevole competenza in matematica, competenzariservata alle caste più potenti, i sacerdoti e gli scribi.

    Le fonti considerate più autentiche ed autorevoli per queste ricerche sono costituite da alcuni famosi

    papiri e rotoli; se ne sente sempre parlare e perciò vale la pena dedicare qualche riga a quelli più

    noti.

    Il più citato documento dell’antico Egitto è certo il cosiddetto  papiro Rhind ; esso fu rintracciato nel

    1858 dall’antiquario scozzese Alexander Henry Rhind (1833-1863) a Luxor (l’antica Tebe).

    Il papiro si trova in eccezionale stato di conservazione, è lungo 550 cm ed alto 33. Dalla morte diRhind si trova esposto nella III sala egizia nel British Museum di Londra. Il papiro è datato 1650

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    a.C., firmato dallo scriba Ahmes; si tratta però di una copia di un papiro scritto circa 2 secoli prima,

    come dichiara lo stesso scriba. Contiene, tra l’altro, 87 problemi di matematica. E’ interessante

    conoscere il titolo di questo papiro che si trova proprio al suo inizio:

    Anche il cosiddetto  papiro di cuoio o rotolo di pelle fu comprato da Rhind ed è conservato nello

    stesso museo; secondo molti studiosi è ancora più antico del precedente, dato che è noto che

    l’abitudine di scrivere sul papiro sostituì quella di scrivere sulla pelle, troppo costosa e deperibile.

    Per questo si considera che esso consenta di analizzare conoscenze precedenti degli Egizi sulla

    matematica.

    Altro famoso documento storico della matematica egizia è il cosiddetto papiro di Mosca, acquistato

    da W. Golemischaff a Luxor e conservato ora nel Museo delle Belle Arti di Mosca. Le sue

    dimensioni curiose sono di 560 cm di lunghezza per 8 cm di altezza. Anche in questo caso si tratta

    di una ricopiatura di un testo precedente, pare contemporaneo a quello di Rhind, in base ai

    contenuti.

    La sua traduzione è stata completata nel secolo scorso ad opera di W.W. Struve.

    Importante è anche il  papiro di Berlino, sempre del 1800 a.C., conservato al Museo di Berlino, è

    stato tradotto alla fine del XIX secolo.

    Oltre ai detti papiri , possiamo fare affidamento su varie tavole matematiche conservate soprattutto

    al Museo del Cairo.

    Interessanti reperti a carattere matematico si trovano anche al Museo Egizio di Torino.

    Tutti questi documenti non sono altro che raccolte di problemi relativi a specifiche situazioni, nelle

    quali è possibile identificare con chiarezza le procedure di calcolo utilizzate dallo scriba.

    Si tratta di testi orientati verso l'esperienza pratica, che non attribuiscono alcun valore all'indagine

    della legittimità delle procedure descritte. Tale modo di organizzare e di trasmettere il sapere è

    caratteristico dell'Antico Egitto e si ritrova anche nell'ambito della medicina, della veterinaria e dei

    testi magici; esso si ripropone ancora in testi demotici e giuridici nel III sec. a.C.La descrizione dei casi si sviluppa secondo lo schema seguente: "qualora si presenti questo e

    quest'altro problema"  ) sono nominati esempi concreti ) "tu (lo scriba) devi operare così e così" ) 

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    seguono concrete istruzioni di calcolo )  "e troverai questo e quel risultato, tu (lo) hai trovato

    esattamente" .

    I problemi, quindi, venivano enunciati verbalmente, insieme con delle semplici regole per ottenere

    le soluzioni, ma senza spiegare perché venissero usati quei metodi e perché essi funzionassero.

    Nei papiri si trovano soluzioni di problemi contenenti un’incognita che sono nel complesso

    paragonabili alle nostre equazioni lineari in un’incognita. Tuttavia, i procedimenti erano puramente

    aritmetici e non facevano parte, secondo gli Egizi, di un capitolo distinto della matematica

    concernente la soluzione delle equazioni. La limitata algebra egiziana non usava praticamente alcun

    simbolismo.

    E che dire della geometria egiziana ? Gli Egiziani non separavano l’aritmetica e la geometria. Nei

    papiri si trovano problemi che rientrano in entrambi i campi. Come i Babilonesi, gli Egiziani

    consideravano la geometria una questione pratica. Essi applicavano semplicemente l’aritmetica e

    l’algebra ai problemi concernenti aree, volumi e altre situazioni geometriche. Erodoto dice che la

    geometria egiziana ebbe origine dalla necessità di rideterminare annualmente i confini cancellati

    dallo straripamento del Nilo. Tuttavia, i Babilonesi svilupparono altrettanta geometria senza averequesta necessità. Gli Egiziani avevano delle ricette per determinare le aree di triangoli, rettangoli e

    trapezoidi. Il loro calcolo dell’area del cerchio, sorprendentemente buono, seguiva la formula

    A=(8d/9)2, dove d è il diametro. Ciò equivale a usare 3,1605 come valore di π. Non siamo certi che

    gli Egiziani conoscessero il teorema di Pitagora. Sappiamo che vi erano tenditori di corda, cioè

    agrimensori, ma nessun documento conferma la leggenda seconda la quale essi usavano una corda

    annodata a intervalli tali da dividerne la lunghezza totale in parti che stavano fra loro nei rapporti di

    3 a 4 a 5 e che potevano poi essere usate per formare un triangolo rettangolo.

    12. Le applicazioni egiziane della matematica

    Come a Babilonia, l’applicazione principale della matematica era l’astronomia, che risale alla prima

    dinastia. Per l’egiziano il Nilo era la linfa vitale. Egli traeva il suo sostentamento coltivando il

    terreno che il Nilo ricopriva di fertile limo nel corso delle sue inondazioni annuali. Tuttavia, egli

    doveva essere ben preparato per evitare gli aspetti pericolosi della piena. La sua casa, le sue

    masserizie e il suo bestiame dovevano essere temporaneamente spostati dall’area interessataall’inondazione ed egli doveva essere pronto a seminare immediatamente dopo. Era quindi

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    necessario predire l’arrivo dell’ondata di piena e ciò era reso possibile dalla conoscenza degli eventi

    celesti che lo precedevano.

    L’astronomia permise anche la compilazione di un calendario. Essi pervennero alla stima della

    lunghezza dell’anno solare osservando la stella Sirio. In un certo giorno dell’estate questa stella

    diveniva visibile sopra l’orizzonte proprio prima del sorgere del Sole. Nei giorni successivi essa era

    visibile per un periodo più lungo prima che la luce del Sole nascente la oscurasse. Il primo giorno in

    cui essa era visibile proprio prima del sorgere del Sole era noto come il sorgere eliaco di Sirio e

    l’intervallo fra due di questi giorni era di circa 365 giorni; per questo motivo gli egiziani adottarono

    un calendario civile di 365 giorni per anno.

    La concentrazione dell’attenzione su Sirio è certamente dovuta al fatto che le acque del Nilo

    cominciavano a crescere proprio in quel giorno, che venne scelto come primo giorno dell’anno.

    L’anno di 365 giorni veniva diviso in 12 mesi di 30 giorni ciascuno, più 5 giorni supplementari alla

    fine. Sebbene la determinazione dell’anno e il calendario egiziano fossero risultati di valore, essi

    non derivavano da un’astronomia ben sviluppata. In effetti, l’astronomia egiziana era rozza e molto

    inferiore a quella babilonese.

    Gli egiziani combinarono le loro conoscenze astronomiche e geometriche per costruire i loro templi

    in una posizione tale che in certi giorni dell’anno il Sole li colpisse in modo particolare. In effetti,

    alcuni furono costruiti in modo tale che nel giorno più lungo dell’anno il Sole illuminasse

    direttamente l’interno del tempio e i suoi raggi colpissero il dio posto sull’altare. Questa

    orientazione dei templi può essere trovata in qualche misura anche presso i babilonesi e i greci.

    Anche le piramidi furono orientate verso speciali direzioni celesti e la Sfinge è rivolta verso est. Le

    piramidi rappresentano un’altra applicazione della geometria egiziana. Essi si preoccupavano molto

    di dare alle basi delle piramidi la forma corretta; anche le dimensioni relative della base e

    dell’altezza avevano un importante significato (legato, pare, alla sezione aurea). Non si deve però

    esagerare eccessivamente la complessità o la profondità delle idee implicate. La matematica

    egiziana era semplice e rozza e non vi era sottinteso nessun principio profondo, contrariamente aquanto viene spesso asserito.

    13. La matematica dell’antichità: l’eredità comune

    Riesaminiamo la stato della Matematica prima dell’ingresso in scena dei Greci. Nelle civiltà

    babilonese ed egiziana troviamo un’aritmetica degli interi e delle frazioni, compresa la notazioneposizionale, i primi rudimenti dell’algebra e alcune formule geometriche empiriche. Non vi era

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    quasi simbolismo, né riflessione cosciente intorno all’astrazione, né alcuna formulazione di una

    metodologia generale e nessun concetto di dimostrazione o anche soltanto di un argomento

    plausibile che potesse convincere della correttezza di un procedimento o di una formula. In effetti,

    non vi era alcuna concezione di una scienza teoretica di alcun tipo.

    La matematica delle due civiltà non era una disciplina distinta, né veniva studiata di per sé. Essa era

    uno strumento che si presentava sotto la forma di un insieme di semplici regole prive di connessione

    fra loro, rispondenti a problemi che nascevano nella vita quotidiana della gente.

    Negli ultimi due decenni del secolo scorso è stata avanzata, da alcuni storici della matematica,

    l’ipotesi di un’influenza della tradizione mesopotamica sulla matematica in Egitto, in Grecia e in

    Cina. Tale ipotesi si fonda su un confronto punto per punto degli argomenti trattati e dei metodi

    usati nei testi matematici mesopotamici ed extramesopotamici.

    I più antichi testi matematici egizi conosciuti, i papiri matematici ieratici, sono all'incirca del

    periodo del Medio Regno (2000-1630), come dire coevi dei testi paleobabilonesi. Le differenze più

    evidenti risiedono nell'uso della scrittura ieratica, nel sistema di numerazione (è usato quello

    decimale), negli algoritmi per la moltiplicazione e la divisione e nel modo di contare con le frazioni

    (si usano somme di unità frazionarie). I più ampi testi ieratici conosciuti, il papiro Rhind e i papiri

    matematici di Mosca, sono però, com'è il caso per i più noti testi cuneiformi di una certa mole,

    raccolte di parti di altre opere. In questi papiri sono cioè riuniti, in modo piuttosto caotico, parti di

    varia lunghezza tratte da opere più strutturate. Non sono perciò manuali che contengono

    un'esposizione particolareggiata della matematica egizia, né possono servire a dare un'idea precisa

    della portata di questa matematica nel II millennio. Tuttavia, anche in questa prospettiva limitata vi

    sono riscontri che permettono di concludere che le idee e i metodi dell'antica matematica babilonese

    erano in larga misura conosciuti anche in Egitto.

    Il problema 17 del papiro di Mosca, per esempio, su un triangolo avente una data area e un dato

    rapporto tra i lati, può essere confrontato con un esercizio simile che si trova nel testo di una tavo-

    letta paleobabilonese appartenete alla Collezione Babilonese dell’Università di Yale negli StatiUniti; o, ancora, nel problema 53 del papiro Rhind un triangolo è diviso in tre strisce parallele, e

    una divisione analoga compare nella tavoletta paleobabilonese appartenente al Museo Nazionale

    dell’Iraq a Baghdad.

    È notevole il fatto che i problemi considerati nei papiri demotici (periodi ellenistico e romano)

    coincidono largamente con problemi molto comuni della matematica babilonese: sistemi di

    equazioni lineari o quadratiche; problemi del tipo 'palo contro un muro', che fanno intervenire

    triangoli rettangoli; figure dentro figure; volume di una piramide; suddivisioni di trapezi in strisceparallele; approssimazioni di radici quadrate, e così via.

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    In ultimo, nei papiri matematici greci trovati in Egitto, in genere molto simili ai papiri demotici, i

    problemi considerati appartengono quasi senza eccezione al repertorio dei problemi comuni della

    matematica babilonese.

    In conclusione, anche se non sono stati ancora scoperti testi matematici egizi del IV o del III

    millennio, è ragionevole supporre che lo sviluppo delle tecniche di calcolo sia avvenuto di pari

    passo in Egitto e in Mesopotamia. Possono addirittura esserci stati scambi di idee e metodi, come

    suggerisce il fatto che le differenze più rilevanti tra i molti testi matematici paleobabilonesi e i pochi

    papiri matematici egizi dello stesso periodo riguardano essenzialmente il ricorso a basi di numeri

    differenti. Del periodo tardobabilonese (1.000-330 a.C.) ci sono pervenuti solo pochi testi, ma sono

    sufficienti a dimostrare che la tradizione matematica paleobabilonese si era conservata essen-

    zialmente intatta, subendo solo qualche variazione superficiale di stile. Un ampio testo matematico

    demotico egizio del III sec. a.C. dimostra in modo piuttosto chiaro che la matematica egizia di quel

    periodo aveva molto in comune con la matematica tardobabilonese, compreso il contare con

    frazioni sessagesimali. I Greci, che secondo la leggenda da loro stessi tramandata avevano appreso

    la geometria dagli Egizi, ebbero una notevole familiarità con gran parte della tradizione matematica

    babilonese, anche se la relegavano nel ruolo ancillare di matematica pratica. Se si ammette che i

    matematici greci lavorassero all'interno della tradizione mesopotamica, vengono meno alcune

    difficoltà che nascono nello studio della matematica greca, come la questione delle origini oppure la

    scelta degli argomenti trattati. È inoltre possibile che questa tradizione mesopotamica abbia

    interagito con la matematica cinese intorno al I millennio, come suggerisce la scelta degli argomenti

    e dei metodi del classico Nove capitoli, il più antico testo cinese di matematica a noi pervenuto, il

    quale si può far risalire all'epoca della dinastia Han (206 a.C. - 220 d.C.). Nella forma in cui ci è

    noto questo testo contiene materiale più avanzato di quanto non sia quello del corpus babilonese in

    nostro possesso. Gli argomenti trattati sono però gli stessi, e il tipo di problemi e i metodi di

    risoluzione si corrispondono in modo così puntuale che è ovvio supporre una notevole interazione

    tra la matematica cinese e quella babilonese in qualche periodo storico. Deboli ma innegabili traccedi quella tradizione si possono ancora trovare nell'opera di alcuni grandi matematici islamici, come

    pure, in Occidente, in numerosi e ben noti testi matematici prerinascimentali.

    Testi consultati

    •  Storia della Scienza, Enciclopedia Treccani, Vol. I

    • 

    Storia della Matematica, G. T. Bagni, Vol. I, Pitagora Editrice Bologna 

    •  Storia del pensiero matematico, M. Kline, Vol. I, Giulio Einaudi Editore 

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    •  Storia dell’Algebra, S. Maracchia, Liguori Editore 

    LA CREAZIONE DELLA MATEMATICA GRECA CLASSICA.

    1.  Lo sfondo

    Nella storia della civiltà i Greci occupano un posto preminente; nella storia della matematica sono

    l’evento supremo. Sebbene abbiano subito l’influenza delle civiltà che li circondavano, i Greci

    costruirono una civiltà e una cultura che sono le più stupefacenti fra tutte le civiltà, le più influenti

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    sullo sviluppo della cultura occidentale moderna e quelle decisive per la fondazione della

    matematica quale noi la concepiamo oggi. Uno dei grandi problemi della storia della civiltà è il dar

    conto della brillantezza e della creatività degli antichi Greci.

    Sebbene la nostra conoscenza della loro storia primitiva possa essere soggetta a correzione e ad

    ampliamento con il proseguire delle ricerche archeologiche, abbiamo oggi ragione di credere, sulla

    base dell’Iliade e dell’Odissea di Omero, della decifrazione delle lingue e degli scritti antichi e delle

    ricerche archeologiche, che la civiltà greca risalga al 2800 a.C. I Greci si stabilirono in Asia Minore,

    che potrebbe essere il loro luogo d’origine, nell’area della Grecia moderna, nell’Italia meridionale,

    in Sicilia, a Creta, a Rodi, a Delo e nell’Africa settentrionale. Intorno al 775 a.C. i Greci

    sostituirono i vari sistemi geroglifici di scrittura fino allora usati con l’alfabeto fenicio (che era

    usato anche dagli Ebrei). Con l’adozione di un alfabeto i Greci divennero più letterati e più

    facilmente in grado di registrare la loro storia e le loro idee. Non appena raggiunta una certa

    stabilità interna, i Greci cominciarono a visitare l’Egitto e la Mesopotamia e a commerciare con

    questi paesi. L’influenza degli Egiziani e dei Babilonesi fu quasi certamente avvertita a Mileto, città

    ionica dell’Asia Minore e culla della filosofia, della matematica e della scienza greche.

    Mileto era una grande e ricca città commerciale situata sulle sponde del Mediterraneo. Alle

    banchine del suo porto attraccavano navi provenienti dalla Grecia, dalla Fenicia e dall’Egitto;

    Babilonia era collegata attraverso le strade carovaniere che si dirigevano a est. La Ionia cadde sotto

    il dominio della Persia intorno al 540 a.C., benché a Mileto venisse lasciato un certo grado

    d’indipendenza. Dopo che una rivolta ionica contro i Persiani venne soffocata nel 494 a.C.,

    l’importanza della Ionia incominciò a declinare. Essa divenne nuovamente greca nel 479 a.C.

    quando la Grecia sconfisse l’impero persiano, ma già allora l’attività culturale si era spostata nella

    Grecia continentale e aveva il suo epicentro ad Atene.

    Sebbene la civiltà greca antica sia durata fino al 600 d.C., dal punto di vista della storia della

    matematica è conveniente distinguere due periodi, quello classico, che va dal 600 al 300 a.C., e

    quello alessandrino o ellenistico, che va dal 300 a.C. al 600 d.C.L’adozione dell’alfabeto, già menzionata, e il fatto che il papiro sia stato introdotto in Grecia

    durante il VII secolo a.C. possono essere giustificazioni sufficienti del fiorire dell’attività culturale

    intorno al 600 a.C. La disponibilità di questo tipo di supporto scrittorio favorì indubbiamente la

    diffusione delle idee.

    2.  Le fonti generali

    Le fonti della nostra conoscenza della matematica greca sono stranamente meno autentiche e menoattendibili di quelle di cui disponiamo per le molto più antiche matematiche babilonese ed egiziana,

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    perché non ci è pervenuto nessun manoscritto originale dei matematici greci più importanti. Uno dei

    motivi è che il papiro è deperibile; è vero che anche gli egiziani usavano il papiro, ma per un caso

    fortunato alcuni dei loro documenti matematici sono sopravvissuti. Alcune opere greche sarebbero

    potuto giungere fino a noi se le loro grandi biblioteche non fossero state distrutte.

    Le nostre principali fonti per le opere matematiche greche sono codici bizantini scritti da 500 a

    1500 anni dopo la composizione delle opere originali. Questi codici non sono riproduzioni

    letterarie, ma edizioni critiche, cosicché non possiamo sapere quali cambiamenti potrebbero essere

    stati introdotti dai curatori. Abbiamo anche traduzioni arabe delle opere greche e versioni latine

    derivate da quelle arabe. Qui di nuovo non è possibile sapere quali cambiamenti i traduttori possono

    avere apportato o quanto bene essi abbiano compreso i testi originali. Inoltre anche i testi greci usati

    dagli autori bizantini e arabi erano discutibili.

    Le notizie sul periodo classico della matematica greca le abbiamo da commenti agli  Elementi  di

    Euclide, a libri di Archimede e di Apollonio. Fra questi molto notevole è il Commento di Proclo

    (410-485 d.C.) al 1° libro degli  Elementi di Euclide; in esso si trova un intermezzo storico, assai

    ricco di notizie, che forse l’autore trasse da un’opera di maggiore mole scritta da Eudemo di Rodi,

    nel 335 a.C. circa. Da quest’opera di Proclo, da altri commenti, dalle Vite di Plutarco (50-120 d.C.)

    e da altri lavori storici si è potuto costruire il periodo pre-euclideo della matematica greca.

    La ricostruzione della storia della matematica greca, basata sulle fonti che abbiamo descritto, è stata

    un’impresa enorme e complicata. A dispetto dei grandi sforzi degli studiosi, vi sono ancora delle

    lacune nella nostra conoscenza e alcune conclusioni sono discutibili. Ciò nonostante i fatti

    fondamentali sono chiari.

    3.  Le principali scuole del periodo classico

    La matematica greca classica si sviluppò in numerosi centri che si susseguirono l’un l’altro

    costruendo ciascuno sull’opera dei predecessori. In ogni centro un gruppo informale di studiosi

    portava avanti le sue attività sotto la guida di uno o più grandi maestri.La prima di queste scuole, quella ionica, fu fondata da Talete a Mileto (c.624-c.546 a.C.) e che ebbe

    tra i suoi allievi i filosofi Anassimandro e Anassimene. Anche Anassagora apparteneva a questa

    scuola e si suppone che Pitagora abbia imparato la matematica da Talete. Pitagora fondò poi la sua

    grande scuola nell’Italia meridionale. Verso la fine del VI secolo, Senofane di Colofone (Ionia)

    emigrò in Sicilia e fondò una scuola a cui appartenevano i filosofi Parmenide e Zenone. Questi

    ultimi risiedevano a Elea, nell’Italia meridionale, dove si era trasferita la scuola e così il gruppo

    divenne noto come scuola eleatica. I Sofisti, attivi dalla seconda metà del V secolo in poi, eranoconcentrati soprattutto ad Atene. Ma la scuola più celebre di tutte è l’Accademia di Platone ad

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    Atene, di cui fu allievo Aristotele. L’Accademia ha avuto un’importanza senza pari per il pensiero

    greco. I suoi allievi furono i più grandi filosofi, matematici e astronomi della loro epoca; la scuola

    conservò la sua preminenza nella filosofia anche dopo che il ruolo di guida nella matematica passò

    ad Alessandria. Eudosso, che imparò la matematica principalmente da Archita di Taranto, fondò la

    propria scuola a Cizico, una città dell’Asia Minore settentrionale.

    Aristotele, dopo avere lasciato l’Accademia platonica, fondò un’altra scuola ad Atene, il Liceo, che

    viene comunemente detta scuola peripatetica.

    4.  La scuola ionica

    Il capo e il fondatore di questa scuola fu Talete. Sebbene non possediamo conoscenze sicure sulla

    vita e sull’opera di Talete, egli probabilmente nacque e visse a Mileto. Viaggiò a lungo e per un

    certo periodo soggiornò in Egitto, dove si dedicò agli affari e imparò molte cose intorno alla

    matematica egiziana. Incidentalmente, pare sia stato un astuto uomo d’affari.

    Talete è ricordato specialmente per avere saputo sfruttare le proprietà dei triangoli simili. Dice

    Diogene Laerzio:

    «Talete ha misurato l'altezza delle piramidi mediante l'ombra, osservando il momento in cui la

    nostra ombra è della stessa altezza di noi». E Plutarco nel  Banchetto dei sette saggi immagina un

    dialogo tra Nilosseno e Talete; Nilosseno dice a Talete, parlando del re egiziano Amasi: «Benché

    egli ti ammirò anche per altre cose, pure pregia sopra tutte la misura delle piramidi, giacché tu,

    senza fatica alcuna e senza ricorrere ad istrumenti, ma col solo infiggere il bastone all'estremo

    dell'ombra proiettata dalla piramide hai dimostrato, servendoti dei due triangoli risultanti dai

    contatti col raggio luminoso, che un'ombra ha rispetto all'altra lo stesso rapporto che l'altezza della

    piramide a quella del bastone». Proclo attribuisce a Talete la conoscenza di altre proprietà, come ad

    es., l'eguaglianza degli angoli opposti al vertice o degli angoli alla base di un triangolo isoscele o

    che un diametro divide il cerchio in due parti eguali; ma queste proprietà sono troppo semplici e

    troppo facilmente sperimentabili per dare a Talete il merito della loro scoperta. Talete è rimastocelebre per avere predetto un'eclissi solare, sembra che sia stata quella avveratasi il 28 maggio 585;

    ma è dubbio se egli avesse conoscenze profonde di astronomia; è più probabile che egli avesse

    appreso tali predizioni da qualche astronomo caldeo o egiziano o da qualche effemeride usata da

    quegli astronomi.

    Si attribuisce a Talete l’idea che una proposizione matematica espressa con precisione si potesse

    dimostrare logicamente con un ragionamento formale, innovazione che segnò la nascita del

    teorema, ora pietra miliare della matematica. Con questo passaggio la matematica cesserà di essereuna raccolta di tecniche di misurazione, di conteggio e contabilità, per diventare un’area di studio

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    astratto. Per i greci questo nuovo modo di affrontare la matematica culminerà nella pubblicazione

    degli Elementi di Euclide, il libro più diffuso di tutti i tempi dopo la Bibbia.

    Sono attribuite a Talete anche la scoperta del potere di attrazione dei magneti e quella dell’elettricità

    statica.

    La scuola ionica merita soltanto una breve citazione per quel che riguarda i suoi contributi alla

    matematica vera e propria, ma la sua importanza per la filosofia, e in particolare per la filosofia

    della scienza, è senza pari.

    L’importanza della scuola declinò quando la regione fu conquistata dai Persiani.

    5.  La scuola pitagorica

    La scuola pitagorica rappresenta un movimento di pensiero di livello scientifico molto superiore a

    quello della scuola ionica. Membri eminenti di questa scuola furono Filolao e Archita. Non esistono

    opere scritte dei Pitagorici e quanto sappiamo di loro proviene dagli scritti di altri autori, fra cui

    Platone ed Erodoto.

    Nato a Samo, un’isola situata al largo delle coste dell’Asia Minore, Pitagora abbandonò circa a

    quarant’anni la propria patria per trasferirsi nella Magna Grecia, e precisamente a Crotone in

    Calabria. Qui fondò una scuola che ebbe un notevole peso nella vita politica della città, essendo

    legata al partito aristocratico. Era organizzata sulla base di regolamenti molto rigorosi, che, tra

    l’altro, esigevano dagli scolari un lungo periodo di tirocinio prima di essere ammessi ai segreti più

    profondi della setta. Su questa base si creò assai presto la divisione fra , ascoltatori,

    e , partecipi degli insegnamenti più profondi. Verso la fine del sesto secolo, una

    sommossa provocata dal partito democratico cacciò i pitagorici da Crotone. Pitagora riparò nella

    vicina Metaponto, dove fu assassinato nel 497 a.C.

    La dottrina pitagorica s’imperniava su di un pensiero fondamentale: i numeri sono il principio di

    tutte le cose. >Col termine “numeri” i pitagorici intendevano soltanto i numeri interi, concepiti come le collezioni

    di più unità. Non fecero particolari indagini sulla natura di queste unità, limitandosi a rappresentarle

    con punti, circondati ciascuno da uno spazio vuoto. Proprio questa rappresentazione spaziale facilitò

    il passaggio dalla concezione del numero in rapporto alle cose, alla sua concezione come costituente

    fisico elementare delle cose.

    Il problema essenziale diventava allora, per i pitagorici, quello di cogliere il modo con cui dalla

    collezione di più unità si generano tutti gli esseri. Le leggi della formazione dei numeri venivano

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    considerate come leggi della formazione delle cose, e si riteneva di poter trovare in esse la vera

    ragione esplicativa del mondo fisico e morale.

    La più importante di tali leggi era costituita – secondo i pitagorici – dall’opposta struttura dei

    numeri dispari e di quelli pari. L’antitesi dispari-pari veniva così assunta a principio di una serie di

    altre nove opposizioni, che spezzano il mondo in due: limitato-illimitato; uno-molti; destra-sinistra;

    maschio-femmina; luce-tenebra; buono-cattivo; immobile-mobile; retto-curvo; quadrato-rettangolo.

    Tutto questo finiva con l’infondere ai numeri in generale, e a certuni di essi in particolare, un vero e

    proprio valore magico-simbolico. Così il numero 5 veniva assunto a rappresentare il matrimonio,

    essendo la somma del primo numero dispari, il 3, con il primo numero pari, il 2 (l’1 veniva

    considerato come “parimpari” servendo a generare sia i numeri pari che i dispari); il 4 e il 9

    venivano presi come simboli della giustizia; il 7 dell’opportunità; e così via.

    I pitagorici classificavano i numeri a seconda delle forme che si ottenevano disponendo nei vari

    modi i punti. Così, i numeri 1, 3, 6, 10 erano detti triangolari perché i corrispondenti punti potevano

    essere disposti a triangolo. Al numero triangolare 10 veniva attribuita un’importanza speciale, come

    somma dei primi quattro numeri naturali. I numeri 1, 4, 9, 16,… venivano chiamati numeri quadrati

    perché intesi come punti potevano essere disposti in un quadrato.

    Questa particolare concezione dei numeri spinse i pitagorici a studiare la geometria per via

    aritmetica. Ne sorse una disciplina che, per il suo doppio carattere, fu chiamata . Essa ebbe vita breve e la sua crisi fu causata dalla scoperta che le figure geometriche

    sono costituite non da un numero finito, ma da una infinità di punti. Il primo

    che costrinse i pitagorici a riconoscere che le figure sono costituite da infiniti punti, è proprio

    connesso a quel medesimo teorema che porta il nome di Pitagora. Ed infatti, applicando detto

    teorema ad uno dei due triangoli isosceli in cui è diviso un quadrato, si dimostra facilmente che il

    lato e la diagonale di tale quadrato non possono avere alcun sottomultiplo comune, cioè sono

    incommensurabili. Orbene, proviamo a supporre che un segmento sia generato dall’accostamento di

    una serie finita di punti (piccoli ma non nulli, e tutti eguali fra loro, come allora si immaginava): neseguirebbe che uno qualunque di questi punti risulterebbe contenuto un numero intero, e finito, di

    volte (per esempio m volte) nel lato e un altro numero intero, e finito, di volte (per esempio n volte)

    nella diagonale. Lato e diagonale avrebbero dunque un sottomultiplo comune, e non sarebbero –

    come si era dimostrato – incommensurabili. La loro incommensurabilità esige pertanto che essi

    siano costituiti da una infinità di punti.

    La leggenda racconta che il fatto scandaloso, ora riferito, fu gelosamente custodito per vari anni tra i

    segreti più pericolosi della setta. Esso fu rivelato fuori della scuola pitagorica da Ippaso diMetaponto, una delle figure più notevoli dell’antico pitagorismo. Per questo fu cacciato

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    Particolarmente ardite furono le sue concezioni in aritmetica e in acustica: quanto alla prima egli

    contribuì a sviluppare il concetto che il numero è essenzialmente un rapporto, perciò indipendente

    dalle condizioni di commensurabilità e razionalità, e potè quindi tornare a rivendicare la supremazia

    dell'aritmetica fra le scienze matematiche; quanto alla seconda, egli scoprì che il suono è dovuto al

    movimento e all'urto dei corpi, che l'aria è un corpo atto a ricevere la vibrazione e a propagarla e

    propose anche una teoria delle scale musicali.

    La tradizione, che fa di Archita uno dei maestri di Eudosso, anche se dubbia, vale certamente a

    simboleggiare la funzione del tarantino nel passaggio dalla matematica del V secolo alla grande

    fioritura che ebbe luogo nel IV.

    Da tutto quanto si è detto la conclusione che si può trarre è semplice e breve: è per opera di Pitagora

    e della sua scuola che la matematica assurge veramente a maestà di scienza.

    6.  La scuola eleatica e la scuola atomista

    Contemporanea alla scuola pitagorica fu la scuola eleata, fondata ad Elea (nell’antica Lucania, oggi

    Basilicata) da Senofane di Colofone (città della Ionia). Il suo principio fondamentale era quello

    dell’unità (indivisibilità )e immutabilità dell’essere, e questo principio fu sostenuto, dopo Senofane,

    da Parmenide che diede grande sviluppo alle dottrine eleatiche; il principio stesso condusse alla

    concezione dello spazio quale fu espressa da Anassagora di Clazomene, celebre filosofo vissuto tra

    il 500 e il 428 a.C., che influenzò con le sue idee la scuola ionica e quella eleatica.

    Anassagora giunge ad una concezione profonda dello spazio, precorrendo così Euclide e la moderna

    geometria.

    .

    Contro questa concezione insorgeva la teoria atomistica propugnata da Democrito di Abdera (460-370 circa). Secondo questa teoria la sostanza fondamentale è costituita da numerosissime particelle

    indivisibili (atomi), ed è unica, presentando diversità solo apparenti, che dipendono dalla posizione

    e dal moto di queste particelle. Democrito, in uno dei frammenti che ci sono rimasti, si esprime

    così: .

    Ma dalla concezione dello spazio, secondo Anassagora, e cioè come illimitato internamente,

    nasceva quella della sua illimitata suddivisibilità, che trovava appoggio nella scoperta dellegrandezze incommensurabili, fatta dai pitagorici; ma anche contro l’illimitata suddivisibilità dello

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    spazio insorgeva Democrito con questa argomentazione: .

    Si noti che Pitagora aveva concepito il punto come unità avente posizione e quindi senza grandezza

    alcuna, e i pitagorici ne avevano dedotto che ogni corpo geometrico è una somma di unità.

    Ma non meno accanita contro gli atomisti e i pitagorici si dimostra la scuola eleatica a sostegno dei

    suoi principi fondamentali. Dopo Parmenide è il suo allievo Zenone che con i suoi famosi

    paralogismi lancia strali infuocati alle due scuole. Ecco alcuni argomenti contro la  pluralità

    dell’essere, sostenuta da Democrito. Se 

    Se l’essere fosse multiplo dovrebbe essere nello stesso tempo infinitamente piccolo ed infinitamente

    grande. Infatti, pluralità è serie di unità indivisibili, le unità indivisibili non hanno grandezza

    (perché tutto ciò che ha grandezza è divisibile all’infinito). Ciò che non ha grandezza può essere

    aggiunto o tolto ad una grandezza senza che questa si alteri, per conseguenza la pluralità è

    infinitamente piccola. Ma la pluralità è anche infinitamente grande. Infatti ciò che non ha grandezza

    non esiste, cosicché la pluralità per esistere deve avere una grandezza, e però le sue parti devono

    essere discoste e tra esse ci deve essere una grandezza, applicando a questa lo stesso ragionamento

    si conclude che la pluralità è infinitamente grande.

    (Si noti la confusione che fa Zenone tra grandezze nulle e grandezze infinitesime; egli poi non

    riflette che la riunione di grandezze infinitesime può dar luogo ad una grandezza finita).

    Zenone fa un analogo ragionamento per dimostrare che, rispetto al numero, ciò che è multiplo è, ad

    un tempo, limitato ed illimitato.

    A sostegno dell'immutabilità dell'essere e perciò contro il movimento è celebre il paralogismo di

    Zenone che il piè veloce Achille non può raggiungere la tartaruga e quello della freccia che

    lanciata nello spazio si muove e non si muove nel tempo stesso.Zenone dice così: quando Achille sarà arrivato al posto dov'era la tartaruga, questa non vi è più

    perché si è mossa, quando egli arriverà al posto dov'era ora, la tartaruga non vi sarà più, e così via

    indefinitamente; dunque Achille non raggiungerà mai la tartaruga.

    Una freccia che vola è in ogni istante in una posizione determinata e quindi in riposo; la freccia è

    dunque in ogni istante in riposo e perciò il suo moto è apparente.

    Zenone nel primo paralogismo mostra di conoscere che una serie di tempuscoli infinitesimi può

    formare un tempo finito, nel secondo confonde la quiete istantanea con quella assoluta. Oggi i suoiλóγoι appaiono sciocchi e ridicoli; ma noi dobbiamo riferirci all'epoca in cui furono formulati, cioè

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    quando le concezioni di tempo e di spazio erano nebulose, com'erano imprecise le nozioni di

    infinitesimo e d'infinito. E però notevole il fatto che queste due nozioni, come anche quelle del

    continuo, cominciano già a manifestarsi, sebbene passerà più di un millennio perché esse divengano

    ciò che oggi sono: il fondamento della matematica (moderna). In queste discussioni noi vediamo il

    travaglio della filosofia naturale dei Greci dinanzi alle concezioni matematiche che acquistano una

    sempre maggiore astrattezza. Né le argomentazioni della scuola eleatica né quelle della scuola

    atomista potevano scuotere le salde basi della geometria secondo la concezione di Anassagora e

    della scuola italica, concezione che non poteva essere compresa subito e dalla generalità dei filosofi,

    che si lasciavano offuscare dall’ intuizione; ma il significato di quella concezione non poteva

    sfuggire ad una mente acuta come quella di Aristotele. Infatti osserva lo Stagirita che

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    L’origine di questi famosi problemi di costruzione viene riferita in vari modi. Sulla duplicazione del

    cubo ci è stata tramandata un’interessante leggenda: a Delo esisteva un celebre tempio consacrato

    ad Apollo con un altare a forma di cubo. Essendo una volta scoppiata nella città una grave

    pestilenza fu interpellato l’oracolo onde sapere quale dono il dio esigesse per far cessare la grave

    sciagura. Fu risposto che egli desiderava l’erezione di un altare, sempre di forma cubica, ma con

    volume doppio del precedente. Gli abitanti credettero di ottemperare la richiesta costruendo un

    altare con spigolo doppio; la pestilenza però, anziché cessare, subì una notevole recrudescenza. Ce

    cosa era accaduto ? Semplicissimo! La richiesta del dio non era stata eseguita; il volume dell’altare

    era stato infatti moltiplicato per otto, non per due!

    A parte la leggenda ora riferita, è chiaro che il problema della duplicazione del cubo non costituì

    altro che un ampliamento del problema della duplicazione del quadrato, che aveva potuto venir

    facilmente risolto per mezzo del teorema di Pitagora (è chiaro infatti che se il quadrato primitivo ha

    per lato l’unità, il quadrato doppio deve avere lato √2, cioè la diagonale del quadrato stesso). Ma il

    problema della duplicazione del cubo risultò subito assai più difficile, portandoci dal campo delle

    radici quadrate a quello delle radici cubiche.

    Il primo tentativo noto per risolvere uno dei tre famosi problemi fu effettuato da Anassagora,

    appartenente alla scuola ionica, che si dice abbia lavorato sulla quadratura del cerchio mentre era in

    prigione. Non sappiamo nulla di più della sua opera.

    Chi nel V secolo diede comunque il maggior contributo alla soluzione di questi problemi fu il

    matematico Ippocrate di Chio (da non confondere con il celebre medico Ippocrate di Cos), uno dei

    più notevoli ingegni della sua epoca.

    Si racconta che egli fosse un commerciante, ma, avendo perduto tutto quanto possedeva, si recò ad

    Atene dove ed insegnò la geometria, probabilmente fra il 450 e

    il 430. Fu per l’appunto la necessità di dare un ordine preciso alla propria materia di insegnamento

    che lo indusse a scrivere quello che oggi diremmo un ; tale libro ebbe il titolo

    generico di Elementi (Stoichéia) e aprì la strada ai futuri Elementi di Euclide.Volendo accennare al contributo dato da Ippocrate allo studio del problema della duplicazione del

    cubo, basta ricordare che egli dimostrò l’equivalenza fra tale problema e un altro, a prima vista

    completamente diverso, riguardante le proporzioni. Questo secondo problema consiste nella ricerca

    di una doppia media proporzionale da inserirsi fra due segmenti, di lunghezza a e 2°; si tratta in altri

    termini i trovare due segmenti incogniti x ed y tali che a : x = x : y = y : 2a. Con le nostre

    conoscenze di algebra, basta poco per ricavare da questa proporzione il valore di x: x 3 = 2a3, e

    quindi si comprende senza difficoltà l’equivalenza dei due problemi. Partendo invece dagli scarsimezzi matematici posseduti nel V secolo, la scoperta di Ippocrate presenta una notevole difficoltà;

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    8.  La scuola platonica

    La scuola platonica succedette a quella sofistica nella leadership dell’attività matematica. I suoi

    precursori, Teodoro di Cirene (nato intorno al 470 a.C.) e Archita di Taranto (428-347 a.C.), erano

    pitagorici e furono entrambi maestri di Platone. I loro insegnamenti devono essere stati la causa

    della profonda influenza pitagorica su tutta la scuola platonica.

    Teodoro è noto per aver dimostrato che i rapporti che noi indichiamo con , , ,…, sono

    incommensurabili con l’unità. Di Archita ne abbiamo già parlato nel paragrafo sulla scuola

    pitagorica.

    La scuola platonica era capeggiata da Platone e comprendeva Menecmo, suo fratello Dinostrato e

    Teeteto. Molti altri suoi membri ci sono noti soltanto di nome.

    Platone (427-347 a.C.) era nato da una nobile famiglia e nella sua giovinezza nutrì ambizioni

    politiche. Ma la sorte di Socrate (suo maestro, fu accusato di empietà e di opera corruttrice sui

    giovani, fu condannato a bere la cicuta nel 399) lo convinse che non vi era posto nella politica per

    un uomo di coscienza. Platone fece suo il fondamento della dottrina pitagorica. I suoi contatti con

    gli ultimi pitagorici furono molto stretti. Dopo la morte di Socrate, egli viaggiò lungamente.

    Secondo Cicerone, andò in Egitto e a Cirene ascoltò le lezioni di Teodoro (di cui parla con grande

    venerazione nel celebre suo dialogo Teeteto). Fu anche nella Magn