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Appunti di storia della fisica

(A.A. 2016/2017)

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Nota

Seguono gli appunti presi durante il corso di storia della fisica da 6CFU tenuto dal professore

Franco Ventriglia presso l’ateneo dell’università Federico II di Napoli, integrati con immagini e

brani tratti dalle slides del corso e dai testi letti durante le lezioni. Il corso, dopo una breve

panoramica sulla fisica antica, verte nella totalità sugli sviluppi della scienza tra la fine del 1600

e l’inizio del 1900, con particolare attenzione agli aspetti di elettrodinamica. Il testo è in

continuo aggiornamento e sicuramente pieno di errori ed incongruenze dovute alla mancanza

di una revisione generale. Qualsiasi segnalazione o suggerimento volto a migliorare questi

appunti è gradito.

Luca Scala

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Indice:

1 Elementi di fisica greca........................................................................................................................................5

1.1 Panorama storico………………………………………………………………………………………………………….5

1.2 I filosofi Milesi………………………………………………………………………………………………………………5

1.2.1 Talete (625-547)…………………………………………………………………………………5

1.2.2 Anassimandro (610-546)…………………………………………………………………….5 1.2.3 Anassimene (586-528)………………………………………………………………………..6

1.3 La scuola pitagorica e Pitagora (571-497)……………………………………………………………………...6

1.4 Eraclito (535-475)………………………………………………………………………………………………………..7

1.5 Eleati……………………………………………………………………………………………………………………………7

1.5.1 Senofane (570-475)…………………………………………………………………………….7

1.5.2 Parmenide (550-450)………………………………………………………………………….7

1.5.3 Zenone (489-431)……………………………………………………………………………….7

1.6 I filosofi pluralisti………………………………………………………………………………………………………….7

1.6.1 Empedocle (V sec.)……………………………………………………………………………...8

1.6.2 Anassagora (496-428)…………………………………………………………………………8

1.6.3 Democrito (460-370) e gli atomisti……………………………………………………...8

1.7 Platone (428-347)………………………………………………………………………………………………………...8 1.8 Aristotele (348-322)……………………………………………………………………………………………………..9

2 Il ‘500 e il primo ‘600………………………………………………………………………………………………….11

2.1 Panorama storico………………………………………………………………………………………………………..11

2.2 Sistema Tolemaico……………………………………………………………………………………………………...11

2.3 Niccolò Copernico (1473-1543)…………………………………………………………………………………..11

2.4 Giovanni Keplero (1571-1639)……………………………………………………………………………………12

2.5 Galileo Galilei (1564-1642)…………………………………………………………………………………………12

2.5.1 Teoria delle maree…………………………………………………………………………….13

2.5.2 Studi sul moto locale………………………………………………………………………….14

2.5.3 Esperimenti di piano inclinato…………………………………………………………...14

3 Il ‘600…………………………………………………………………………………………………………………………16 3.1 Panorama storico………………………………………………………………………………………………………..16

3.2 Renato Cartesio (1596-1650)……………………………………………………………………………………...16

3.2.1 La Diottrica……………………………………………………………………………………….17

3.2.2 La Geometria…………………………………………………………………………………….17

3.3 Christian Huygens (1629-1695)………………………………………………………………………………….18

3.4 Isaac Newton (1642-1727)…………………………………………………………………………………………18

3.4.1 Panorama storico dell’Inghilterra………………………………………………………18

3.4.2 Isaac Newton…………………………………………………………………………………….19

3.4.3 Calcolo delle flussioni………………………………………………………………………..19

3.4.4 Ottica………………………………………………………………………………………………..20

3.4.5 I Principia…………………………………………………………………………………………20 3.4.6 Opticks……………………………………………………………………………………………..24

4 Il ‘700…………………………………………………………………………………………………………………………28

4.1 I Newtoniani……………………………………………………………………………………………………………….28

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4.1.1 Considerazioni introduttive……………………………………………………………….28

4.1.2 Sviluppi della meccanica……………………………………………………………………28

4.1.3 Sviluppi dell’elettrologia……………………………………………………………………28

4.1.4 Sviluppi della termologia…………………………………………………………………...29

4.2 Decadenza della fisica cartesiana…………………………………………………………………………………30

4.3 Le teorie elettriche e magnetiche nel ‘700……………………………………………………………………30

4.3.1 Benjamin Franklin (1706-1790)………………………………………………………...30

4.3.2 Franz Ulrich Theodor Aepinus (1724-1802)………………………………………..30

4.3.3 Lord Henry Cavendish (1731-1810)…………………………………………………...30 4.3.4 Charles Augustin de Coulomb (1736-1806)………………………………………...31

4.3.5 Luigi Galvani (1737-1798)…………………………………………………………………32

4.3.6 Alessandro Volta (1745-1827)…………………………………………………………...32

4.3.7 Pierre-Simon de Laplace (1749-1827)………………………………………………..33

5 L’‘800…………………………………………………………………………………………………………………………34

5.1 Panorama storico………………………………………………………………………………………………………..34

5.2 Hans Christian Oersted (1777-1851)……………………………………………………………………………34

5.3 André Marie Ampere (1775-1836)………………………………………………………………………………34

5.4 Michael Faraday (1791-1867)……………………………………………………………………………………..36

5.5 James Clerk Maxwell (1831-1879)……………………………………………………………………………….39

5.5.1 Panorama storico………………………………………………………………………………39

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1 Elementi di fisica greca 1.1 Panorama Storico

Durante il primo quarto dell’ottavo secolo, si assiste al passaggio dalla vita pre-politica a quella

della polis. Si verifica il transito da una forma di proprietà comunitaria gentilizia ad una

prevalentemente privata.

Conseguentemente la conoscenza sapienziale mitica va assumendo forme sempre più razionali.

Grande interesse nell’ambito del pensiero speculativo assume il concetto di aleteia (da lantano,

nascosto, con il prefisso dell’alfa privativa), verità disvelata. Il concetto è ben raffigurato nell’opera sofoclea dell’Edipo Re, nella quale il re di Tebe, conseguentemente al dilagare di una

ferale pestilenza all’interno della città, domanderà consiglio all’indovino Tiresia, il quale svelerà

la verità mettendo a conoscenza il sovrano delle proprie colpe. Affianco al concetto di aleteia, si

appongono quello di episteme o conoscenza razionale (cfr. il termine ancora presente nella

lingua italiana di “epistemologia”, filosofia della scienza), e di doxa, conoscenza comune,

opinione dei mortali.

Il bisogno di una scienza nasce, dunque, nell’istante in cui si generi una dicotomia tra essenza

ed esistenza, nel presente caso palesata dalla contrapposizione dei tre termini che indicano

varie e mutevoli forme di realtà.

I poli principali di cultura greca si configurano, dapprima, introno alle polis di Mileto (in Ionia)

e di Elea, dalle cui agorà inizierà il primo barlume documentato di filosofia speculativa

propriamente detta (è importante, a questo punto, ricordare che per i primi pensatori i concetti di filosofia e di scienza sono intimamente connessi, e così le prime forme di pensiero fisico

nascono come elementi di filosofie naturali).

1.2 I filosofi Milesi 1.2.1 Talete (625-547)

Di costui, il primo filosofo riconosciuto come propriamente tale, ricordiamo,

in ambito fisico, la scoperta del magnete e l’indagine delle proprietà ad esso

connesse, ed in ambito matematico geometrico la formulazione di quello che va oggi sotto il nome di “teorema di Talete”.

Come gli atri due pensatori di Mileto, Talete concentra la propria indagine

speculativa sulla ricerca di un principio primo del cosmo (l’ordine universale)

che definisce archè (principio primo principiante) e che riconosce

nell’onnipresenza dell’elemento umido.

1.2.2 Anassimandro (610-546)

Mettendosi in dialogo col maestro, Anassimandro prosegue nell’indagine

naturale di un archè che individua, diversamente da Talete, nell’apeiron,

l’indefinito, l’infinito, il caos primordiale dal quale le cose possono enuclearsi

per separazione commettendo un peccato di individualizzazione (concetto

mutuato dall’antica tradizione misterica orfica), il quale potrà essere espiato unicamente col ritorno alla natura primordiale conseguente la morte.

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È, in oltre, fondamentale ricordare che Anassimandro è il primo filosofo del quale perverranno

frammenti di un’opera scritta, il perì physeos (sulla natura), nome che instaurerà una lunga

tradizione di scritti di filosofia naturale che porteranno lo stesso titolo.

1.2.3 Anassimene (586-528)

Con Anassimene osserviamo una sorta di involuzione nel pensiero milesio;

ritornando ad un principio materiale e sostanziale, come era quello di Talete,

il pensatore riconoscerà l’archè nell’aria, il pneuma, lo spirito vitale.

Essendo l’archè per i tre filosofi milesi uno ed uno solo, essi sono anche detti

fisiologi monisti o anche ilozoisti poiché furono i primi a dare una parvenza spirituale alla materia.

1.3 La scuola pitagorica e Pitagora (571-497)

Pitagora nasce a Samo nel 571. Dopo numerosi viaggi presso i caldei e gli egizi, approda alla

scena politica greca nel 530 aprendo una scuola filosofica (da alcuni considerata una setta)

presso Crotone.

Il pensiero di Pitagora è permeato di concezioni orfiche e misteriche,

oltre che matematiche e geometriche. Ed è da queste ultime due che

il filosofo formalizza una teoria che sarà chiamata di aritmo-

geometria e che permetterà, tramite la congiunzione del numero con

la forma geometrica, di sfuggire alla doxa e raggiungere l’aleteia.

L’indagine pitagorica si estende, facilmente, anche alla sfera della

musica (intimamente connessa con la matematica e la geometria),

nell’ambito della quale formulerà la famosa teoria dell’armonia delle

sfere, l’idea secondo la quale il cosmo è ordinato da precisi rapporti

musicali aritmetici.

Per Pitagora il punto è stigmé, buco, sia uno aritmetico che punto geometrico. Un segmento non

è altro che una giustapposizione di punti, e questo porta alla conclusione che ogni segmento sia

commisurabile ad un altro formato da un diverso numero di punti (sono i prodromi della nascita della teoria delle proporzioni). Tale dottrina, tuttavia, andò in crisi nel momento in cui si

scoprirono, con l’esempio del rapporto della diagonale di un triangolo equilatero con un cateto,

segmenti non commensurabili (scoperta fatta, per altro, dagli stessi pitagorici). I passi

principali della dimostrazione sono qui riportati: siano p e q primi tra loro, p2/q2=2 -> p2=2q2

ma non esistono una p ed una q che soddisfino questa relazione. Dal momento della caduta della

teoria della commensurabilità il punto fu detto semeion (segno).

All’interno della scuola Pitagorica (e per tale motivo da alcuni è stata detta setta) vi era una

sostanziale distinzione tra le dottrine. Venivano definite essoteriche quelle che chiunque

potesse ascoltare liberamente e i suoi fruitori erano detti acusmatici (appunto: ascoltatori); vi

erano poi le esoteriche, nascoste ai più ed accessibili unicamente ai matematici.

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1.4 Eraclito di Efeso (535-475)

Per Eraclito l’essenza di tutte le cose consiste nel divenire (dirà “pantha rhei”, tutto scorre).

Il principio di tutte le cose è individuato, invece, nel concetto di polemos

(conflitto), ovvero nella continua lotta d’opposizione dei contrari dalla quale

nasce l’ordine cosmico (ciascuno vive della morte degli altri, dirà il filosofo).

Il principio discorsivo del pensiero umano (logos), è invece individuato nel pur

(cfr. il termine “empiria”), il fuoco, il vero e proprio archè eracliteo.

1.5 Gli Eleati

Con questo nome ci si riferisce alla schiera di pensatori che fiorirono presso Elea e che furono

discepoli di Senofane. Tra i maggiori ricordiamo Parmenide, Zenone e Melisso.

1.5.1 Senofane (570-475)

Di Senofane è importante ricordare la critica all’antropomorfismo delle divinità e la prima concezione di dio come sferico.

1.5.2 Parmenide di Elea (550-450)

L’opera fondamentale di Parmenide di Elea (discepolo di Senofane)

è un perì physeos in versi. Inaugurando una lunga tradizione di

poemi a carattere filosofico, l’eleate finalizza la propria

composizione ad essere, per il lettore, una guida verso l’aleteia. Al

suo interno vi è descritto il viaggio di un uomo attraverso due

possibili vie; la prima è la via della doxa, dell’opinione dei mortali,

la via di chi si perde nelle molteplici rappresentazioni del mondo, la

seconda è la via che afferma “l’essere è e non può non essere, il non

essere non è e non può essere”, ed è il percorso dell’episteme, la

conoscenza razionale che si raggiunge perseguendo un principio

logico di non contraddizione. La seconda strada, tuttavia, è

impossibile percorrerla dall’inizio, così che l’uomo è necessitato ad

incamminarsi su quella della doxa, per riconoscere, poi, gradualmente la spinta a passare verso

quella dell’episteme, al termine della quale gli sarà finalmente svelata la verità (aleteia).

E mettendosi in dialogo col proprio maestro, Parmenide ritiene che questa verità consista nel

riconoscere un essere necessario, sferico, immutabile, inscalfibile, finito, perfetto, unico ed

eterno, un qualcosa di atemporale che sopravvive alle molteplici rappresentazioni del mondo.

1.5.3 Zenone (489-431)

Il compito che l’allievo di Parmenide assume su di sé è alquanto gravoso. Durante

l’intera vita Zenone tenterà di difendere le tesi sulla staticità e sulla immutabilità

dell’essere con una serie di paradossi dei quali alcuni ancora insoluti.

1.6 Filosofi pluralisti

Sotto questo nome vengono di norma raggruppati Empedocle di Agrigento, Anassagora di

Clazomene e Democrito di Abdera, i quali pensieri erano tutti accomunati da una visione

naturalistica che prevedesse una molteplicità di principi primi.

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1.6.1 Empedocle (V sec.)

La visione del mondo di Empedocle (descritta, anche in questo caso,

all’interno di un perì physeos in versi) è caratterizzata dalla presenza

di quattro radici (rizomata) delle quali è composto il mondo: l’aria,

l’acqua, la terra ed il fuoco (è l’inizio delle dottrine dei quattro

elementi). Le interazioni di questi principi primi (archai, plurale di

archè) sono governate da due spinte immanenti, una di attrazione

rappresentata dall’amore (Filia), ed una di separazione consistente

nell’odio (Neikos).

1.6.2 Anassagora (496-428)

Per il filosofo di Clazomene il mondo è formato da un’infinità di minuscoli

semi (spermata, detti anche da Aristotele omeomerie col significato di

essere identici in tutte le loro parti) impercettibili, infinitamente divisibili

e di varie qualità, dalle quali proporzioni si generano le qualità

macroscopiche della materia. L’ordine tra questi aggregati di semi è retto

da un principio trascendente, il Nous, l’intelletto cosmico.

1.6.3 Democrito di Abdera (460-370) e gli atomisti

Discepolo di Leucippo, Democrito compì, durante la vita, numerosi viaggi. Il suo pensiero fu

improntato prevalentemente al materialismo. Risolse la dicotomia essere/non essere di

Parmenide ed Eraclito introducendo tre costituenti della realtà: l’atomo (a-temnein, indivisibile, l’essere), il vuoto (il non essere) ed il moto degli atomi nel vuoto.

Arrivò alla concezione dell’atomo per via induttiva: separando

infinitamente la materia si arriverà ad un punto nel quale non si potrà

più operare tale suddivisione.

Per Democrito l’atomo avrà le stesse caratteristiche di immutabilità,

eternità ed indivisibilità dell’essere parmenideo, ma in

contrapposizione al pensiero di quest’ultimo, per il quale la conoscenza

della verità è raggiungibile unicamente per tramite di un ragionamento

razionale, nell’atomista è essenziale anche uno sguardo squisitamente

empirico.

Fu, in oltre, tra i primi a concepire l’esistenza di infiniti mondi e la distinzione tra qualità

oggettive e soggettive.

1.7 Platone (Atene 428-347)

Si dice che Platone comparve sulla scena sociale della polis compiendo un

rogo pubblico di libri di Democrito.

Durante la vita intraprese numerosi viaggi, tra i quali di grande

importanza furono tre a Siracusa.

Grande importanza tra gli scritti dell’ateniese assume il dialogo Timeo,

ispirato dall’omonimo pitagorico. In esso il filosofo assume all’interno della propria dottrina delle Idee elementi del pensiero pitagorico.

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La dottrina delle Idee parte dal presupposto che, come in Parmenide, i sensi degli animali siano

guide fallaci per comprendere il mondo. La realtà più alta, l’Essere (o l’idea di bene), vive in un

luogo chiamato Iperuranio (letteralmente “sopra la sfera celeste”). Se, tuttavia, nell’eleate il

principio era unico, qui il discorso di Platone diverge del tutto dalle idee del maestro

(compiendo il così detto “parmenicidio” o “parricidio”): sebbene l’idea di bene sia la più alta

delle realtà, l’essere è una molteplice congerie di Idee, tutte residenti nell’Iperuranio e che sono

diverse tra loro (al concetto parmenideo di dicotomia essere/non essere, Platone accosta la

categoria dell’essere diverso). Le Idee sono le entità trascendenti dalle quali il mondo è

generato a immagine e somiglianza. Si viene così a determinare una insormontabile frattura ontologica tra il mondo dell’essere ed il mondo dell’empiria, che Platone tenterà più volte di

colmare con diversi metodi. Il primo di questi è detto metessi e consiste nella

compartecipazione delle idee nel mondo. Osservando il fallimento di questo mezzo, Platone

parlerà, allora, di parusia (letteralmente il momento in cui il re visita un villaggio) ovvero della

manifestazione delle idee nel mondo. Il terzo ed ultimo tentativo che il filosofo opererà è quello

della mimesi, secondo la quale il mondo empirico si comporterà da imitatore delle Idee

iperuraniche. A farsi garante di questo processo è introdotta la figura del demiurgo (che

Aristotele contesterà come l’introduzione di un deus ex machina che risolva i problemi di

Platone dall’esterno) il quale crea il tempo e plasma la materia indefinita tramite la mimesi,

trasformando le Idee in rappresentazioni mobili dell’eternità. Si generano così i quattro solidi

platonici, il cubo (alcune volte dodecaedro)-terra, l’ottaedro-aria, il tetraedro-fuoco e

l’icosaedro-acqua, in una tradizione chiaramente mutuata dalle dottrine pitagoriche ed

empedoclee. (È interessante notare come queste concezioni siano riprese da Keplero nel

“Mysterium Cosmographicum” riferendo le orbite dei pianeti ai solidi platonici).

1.8 Aristotele (348-322)

Con Aristotele osserviamo la nascita della prima teoria del

movimento, caratterizzata dall’esistenza di quattro tipi di

moto: il moto sostanziale (di generazione e di corruzione), il

moto qualitativo (l’alterazione delle cose), il moto

quantitativo (l’alterazione del numero) ed il moto locale (il

mutamento di luogo). Le teorie fisiche del filosofo sono per

lo più discusse nella “Fisica” (opera che ha dato il nome alla

disciplina) nel “De Coelo” e in “Generazione e Corruzione”.

La teoria aristotelica è basata sulla concezione dei luoghi

naturali degli elementi: il luogo della terra, dell’aria,

dell’acqua e del fuoco formano le sfere sublunari e la fisica

terrestre; mentre il luogo dell’etere (o quintessenza) è il

luogo del moto degli astri e dà conto della fisica celeste.

Esistono, dunque, due tipi di moti locali: i moti naturali e

quelli violenti (una differenza ontologica che sarà ricomposta da Galilei). I primi sono moti circolari uniformi e sono caratteristici delle stelle fisse. I secondi sono alla base della fisica

terrestre e consistono in moti verticali di salita o discesa che avvengono finché gli elementi non

tornano al proprio luogo naturale (ad esempio la terra cade ed il fuoco sale); sono moti a

velocità costante. Il termine moto violento è dovuto al fatto che vi sono certe forze impresse che

quando smettono di agire fanno cessare il moto; questa idea, tuttavia, comporta alcune

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contraddizioni empiriche alle quali il filosofo tenta di ovviare negando l’esistenza del vuoto. In

un articolo del fisico Carlo Rovelli è dibattuta la teoria di quest’ultimo sul fatto che la fisica

aristotelica sia in realtà una fisica dei corpi immersi in un fluido (come sono tutti i corpi sulla

terra) tramite una “matematizzazione” delle idee sui moti violenti che si può esplicare nella

formula v ∝ w/ρ dove v è la velocità, w il peso del corpo e ρ la sua densità.

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2 Il ‘500 e il primo ‘600 2.1 Panorama storico

Durante il Rinascimento osserviamo una progressiva rimessa in stampa di numerosi classici

latini e greci.

I moriscos ed i marranos emigrano dalla Spagna nelle Fiandre in seguito alla loro persecuzione.

Tra costoro vi sono Baruch Spinoza ed Elzevier (il quale fonderà un casa editrice che presso

Leida stamperà l’opera magna di Galilei).

È il tempo della rivoluzione scientifica che convenzionalmente si usa far cominciare nel 1543.

Vediamo la figura di Niccolò Tartaglia, che a Brescia sopravvisse al saccheggio della città

rimanendo ferito (per questo fu detto “tartaglia”, balbuziente). Costui tradurrà il Libro V degli

Elementi di Euclide ed il trattato di idrodinamica di Archimede.

È in voga la concezione universale del Sistema Tolemaico.

2.2 Sistema Tolemaico

L’Universo è costituito da sfere eteree concentriche che trasportano gli astri. La Terra è immobile al centro dell’universo.

Nella sfera lunare avvengono i moti uniformi circolari degli astri.

Per i moti terrestri è ripresa la teoria aristotelica.

2.3 Niccolò Copernico (1473-1543)

Nasce a Torun in Polonia e si forma come astronomo in Italia, dove

intraprende numerosi incarichi di natura amministrativa.

Il primo tentativo di pubblicazione che operò fu un commentario.

Nel 1543 pubblica il “De Rivolutionibus Orbium Coelestium Libri

VI”, morendo poco dopo, nel quale era formulata la teoria

eliocentrica ripresa degli studi di Tolomeo. Una seconda edizione

dell’opera è datata 1566. Lo scritto si apre con una prefazione di

Andrea Osiander (il quale era stato invitato da Retico a curare

l’edizione del volume) che invita il lettore a non prendere sul serio

le teorie formulate dall’astronomo poiché esse non sono altro che

costruzioni matematiche atte a raccordarsi coi fenomeni ma che nulla hanno a che fare con la vera natura ordinata da Dio (dirà Bruno: “uno scritto di somari per somari”). Seguiva una lettera

di Nicola Schoenberg a Copernico e la dedica a Papa Paolo III.

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Il sistema copernicano era così concepito: la Terra gira su se stessa ed attorno al Sole, che è il

centro dell’universo. Le stelle fisse sono molto lontane rispetto a quest’ultimo. L’apparente

moto retrogrado dei pianeti è dovuto alla differente velocità con cui essi girano attorno al Sole.

Tuttavia, come era uso fare in quell’epoca, divergendo il modello dalle osservazioni

sperimentali, per “salvare i fenomeni” introdusse gli epicicli sull’orbita circolare dei pianeti, e

per spiegare le stagioni le eccentriche (il Sole non era esattamente al centro dell’orbita).

2.4 Giovanni Keplero (1571-1639)

Nasce e si forma nella Germania protestante. Si trasferisce nella

Praga di Rodolfo II, che a quell’epoca si circondava di maghi e

alchimisti (cfr. Francis Yates).

Riceve una formazione matematica, ma di indole è più affine alla

cosmologia. Si innesta in quella concezione già diffusa che la

gravità sia una forza magnetica e Galilei non lo citerà mai nelle sue

opere diffidando del suo misticismo cosmologico.

Le sfere celesti

sono solidi

platonici inscritti l’uno nell’altro.

Nonostante le ingiunzioni contro Galilei,

Keplero, dopo aver pubblicato nel 1609

l’”Astronomia Nova”, decide di perseguire

nelle proprie ricerche e dà alle stampe nel

1619 l’”Harmonices Mundi Libri V”

dedicandolo a Rodolfo II.

2.5 Galileo Galilei (1564-1642)

Nasce a Pisa; qui viene avviato dal padre a studi di

medicina, e legge il Libro V degli Elementi di Euclide

e l’idrodinamica di Archimede sotto la guida di un

allievo di Tartaglia. Dopo aver interrotto gli studi si

dedica ad impartire lezioni di matematica.

I primi studi che compie cono rivolti alla densità dei

corpi, in questo contesto idea la bilancetta.

Ottiene l’insegnamento di matematica a Pisa e qui

entra in contrasto con i fisici di matrice aristotelica, i

quali riescono ad impedirgli il rinnovo della cattedra. Si sposta, dunque, a Firenze dove pubblica

il primo teorema per la determinazione del centro di massa di un conoide parabolico (oggi paraboloide) che invia a Clavius e a Guidobaldo del Monte. Mentre il primo non riconosce la

validità del teorema, il secondo è così impressionato da intercedere per lui facendogli ottenere

una cattedra a Padova.

Già dal 1300 si forma una corporazione di vetrai a Murano che tra le altre cose costruivano

occhiali (all’epoca oggetti di lusso preclusi ai borghesi e di appannaggio aristocratico). Galilei

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con una lente menisco convessa ed una menisco concava crea un cannocchiale. Strumenti del

genere erano già presenti nelle Fiandre tra gli Orange che li utilizzavano a scopi bellici. Galilei

stesso ne offrirà uno al Doge come strumento militare. Ne costruirà, poi, uno da 20

ingrandimenti lineari con il quale compirà un ciclo di osservazioni celesti. Le conclusioni che ne

trarrà saranno pubblicate nel “Sidereus Nuncius”. Tra queste è

fondamentale ricordare la scoperta di montagne e crateri sulla Luna, prima

ritenuta perfetta, che contribuiranno a dismettere la credenza diffusa che

la Terra sia il ricettacolo di tutte le imperfezioni. Vi sono poi la scoperta dei

corpi celesti nelle nebulose, prima ritenute effetti di riflessione sulla volta celeste, e la scoperta dei Satelliti Medicei di Giove, che con esso orbitano

attorno al Sole. Da queste osservazioni deduce che i satelliti con orbite

minori muovono più veloci di quelli lontani. Invierà un cannocchiale a Keplero, autore dei due

trattati di ottica “Ad Vitelionem Paralipomena” e “Dioptrice”, nel secondo dei quali l’astronomo

confermerà le osservazioni galileiane.

Attorno a Galilei va formandosi una scuola, tra i cui esponenti figura Benedetto Castelli che farà

da portavoce del maestro presso i Medici.

Nel 1615 invia una lettera a Cristina di Lorena, timoroso di una possibile interdizione del papa,

distinguendo le verità di ragione da quelle di fede, ma senza esito, poiché nel 1616 riceverà

un’ammonizione da parte del gesuita Roberto Bellarmino. Tacerà, dunque, fino al 1623, anno

nel quale verrà eletto papa il cardinale Barberini, uomo di formazione umanista ed aperto alle

scienze.

Galilei pubblica “Il Saggiatore” (il saggiatore era uno strumento atto a misurare il peso dei

metalli preziosi), opera di grande importanza propagandistica.

Le scoperte astronomiche di Galilei assumono una tale importanza che

Lodovico Cardi dipingerà una Vergine con ai piedi la Luna raffigurata

come la si vedeva al telescopio.

Nel 1632 è completato il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del Mondo”

e l’anno dopo sequestrato. Nel 1633 Galilei viene incarcerato, processato

e costretto all’abiura, consapevole che la sua scuola avrebbe proseguito

nella diffusione dell’opera. Il Dialogo si sarebbe dovuto chiamare “Flussi

e Riflussi”, concentrandosi principalmente sulla teoria delle maree, ma cambiò nome a causa di un’ingiunzione dell’organo di censura

ecclesiastica. L’opera si rifà ad una tradizione letteraria che affonda le proprie radici nel dialogo

platonico (è un genere, per altro, molto impiegato da matematici e fisici coevi). La discussione

si svolge tra tre personaggi: Salviati (alter-ego di Galilei), Sagredo (uomo colto ma non

scientificamente) e Simplicio (commentatore tra i più eminenti di Aristotele). È presente,

inoltre, nell’opera fondamentale successiva al Dialogo, i “Discorsi e dimostrazioni intorno a due

nuove scienze”, un ulteriore personaggio, l’Accademico, il quale enuncia teoremi in latino.

2.5.1 Teoria delle maree

Da una serie di lettere inviate a Sarpi abbiamo notizia della genesi della teoria galileiana:

imbarcatosi su un mezzo che portava acqua dolce a Venezia, Galilei nota che al fermarsi della

barca l’acqua si muove verso i bordi. Un movimento non uniforme della Terra genera, dunque,

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le maree; la teoria si intreccia con le rotazioni e le rivoluzioni della Terra previste dal modello

copernicano.

2.5.2 Studi sul moto locale

Abbiamo almeno tre/quattro opere inedite giovanili sul moto locale. Koyré ipotizza che gli

esperimenti di Galilei siano mentali a causa della impossibilità di raggiungere con i rozzi

strumenti dell’epoca le precisioni descritte dallo scienziato. Dopo aver riesumato vari scritti

inediti, Stillman Drake ha raggiunto, in seguito a vari studi, la conclusione che in effetti simili

precisioni erano possibili.

2.5.3 Esperimenti di piano inclinato

Gli esperimenti erano attuati tramite un regolo di legno dotato di un canaletto rivestito di

cartapecora nel quale era posizionata una sfera di bronzo sospesa dai binari creati dagli spigoli

del canaletto (e non posizionata all’interno di quest’ultimo). Il piano inclinato era costituito con

le proporzioni di un’altezza di uno e l’ipotenusa di dodici (braccia), in modo da evitare fenomeni

di rototraslazione. Per misurare il tempo erano a volte impiegate corde di minugia come quelle

dei liuti (il padre di Galilei era musicista), le quali scandivano il tempo vibrano al passaggio

della sfera, altre un orologio ad acqua (bacinella con canale che stillava acqua in un contenitore

che poi era pesato per ricavarne le proporzioni dei tempi). Per la prima misura era valutato il

tempo di discesa lungo tutto il piano, dopo solo lungo un quarto (in questo caso impiegava la

metà del tempo a scendere il piano), e poi per la metà, i due terzi ed i tre quarti (la base dodici

era comoda per l’alto numero di divisori).

Vigeva all’epoca la teoria delle proporzioni: non era lecito confrontare tra loro unità di misura

differenti. La velocità nell’ottica Galileiana era proporzionale sia al tempo che allo spazio.

Nella concezione aristotelica un mutamento era sempre caratterizzato da una situazione

iniziale ed una finale. Nell’ambito universitario della Merton si introdusse una regola (Marton

Rule) sui moti uniformemente difformi (oggi: uniformemente accelerati) che prevedeva di

caratterizzare il moto con medie geometriche degli spazi e dei tempi. Si credeva, ad esempio, che

ad una caduta per una altezza doppia corrispondesse il doppio del tempo (moto equabile);

Galilei provvederà alla dimostrazione della falsità di questa ipotesi: se la velocità di ogni istante

nel percorrere due braccia fosse il doppio di quella per percorrere un braccio, due gravi cadenti

da una e due braccia toccherebbero il suolo nello stesso istante, e questo è

sperimentalmente falso.

Dimostrerà il teorema della corda: il tempo per arrivare da C, D o E a B è lo

stesso.

Scoprirà analogie tra il piano inclinato ed i pendoli; la progressione dei

tempi e delle lunghezze di un pendolo sono geometriche, la prima di ragione

2, la seconda √𝟐. Le distanze in caduta corrispondenti a tempi eguali sono una progressione

algebrica di ragione 2 di numeri dispari (legge dei quadrati):

t 2t 3t 4t

1 1+3=4 4+5=9 9+7=16

In questa progressione i rapporti tra le somme dei primi n numeri successivi della progressione

dà sempre 1/3 (è l’unica progressione con tale proprietà).

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Compie, inoltre, numerosi studi sul moto dei proiettili e ha le prime intuizioni sulla

composizione dei moti (ad esempio anche il moto del pendolo, che non è verticale ma circolare).

Cavalieri fu il primo a determinare la traiettoria parabolica del moto di un proiettile.

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3 Il ‘600 3.1 Panorama storico

In questo periodo si intrecciano spesso studi di medicina con fisica e matematica.

William Gilbert compie studi sul magnetismo e pubblica il “De Magnete”; traccia anche i

meridiani magnetici per risolvere problemi di navigazione con le bussole.

In Italia studi sul magnetismo vengono portati avanti da Sagredo.

Si assiste ai primi esperimenti sul vuoto ad opera di Evangelista Torricelli (vuoto torricelliano)

e Guericke (emisferi di Magdeburgo). Lo stesso Guericke inizia a compiere studi sull’elettrologia scoprendo che la corrente si propaga su un filo conduttore.

Si tentano spiegazioni sul magnetismo con teorie che implicano vortici (interessante è

l’analogia col rotore dei campi elettrici e magnetici).

3.2 Renato Cartesio (1596-1650)

Studia al collegio di la Fleche, dove conosce padre Marin Mersenne

dell’ordine dei Paolotti (o Minimi), il quale traduce Galilei in

francese e si porrà come mediatore nella disputa tra Cartesio e

Fermat sulla geometria. Uscito dal collegio si arruola.

Le sue opere principali sono il trittico “Dioptrique”, “Le Meteores”

e la “Geometrie”, precedute dal “Discorso sul Metodo”.

Nell’ambito delle teorie sulla materia, divide la sostanza (res) in

due categorie: res cogitans e res extensa; la prima rappresenta il

pensiero, la seconda la materia come pura forma geometrica. I due

aspetti trovano punto di contatto e di mediazione nella ghiandola

pineale. In questa teoria della sostanza è facile riscontrare molti

aspetti del dualismo platonico Idee/mondo empirico.

Essendo l’universo un plenum di materia, l’unico movimento

possibile è quello circolare per contatto, il quale, avvenendo attorno

a più centri, genera vortici nel mezzo dei quali si sposta la materia più sottile, che costituisce il Sole e le stelle (etere), mentre ai cui confini

si addensa la più corposa (distinta in fluidi e solidi) per motivi di

spinte centrifughe.

Cartesio, a differenza dei tentativi di Galilei, fonda una teoria fisica

non suffragata dalla matematica.

L’etere vorticoso permette il passaggio delle comete, che non sono

illusioni ottiche come alcuni credevano.

La res extensa è inerte, l’inerzia viene definita come uno stato, e per la prima volta vengono

equiparati lo stato di moto e quello di quiete.

Nell’ambito delle indagini sul magnetismo, il magnete viene considerato come un corpo con

sottilissimi canali lungo i quali il resto della materia può fluire. I magneti si attraggono poiché è favorito il passaggio di materiale.

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Parla di quantità di moto, di sua conservazione e trasmissione, ma in modo nettamente

differente da come la si considera oggi, essendo diverso il concetto sia di massa che di velocità.

Nel Discorso del Metodo vengono definite regole per “ben condurre la propria ragione a cercare

la verità nelle scienze”, mettendo in luce il problema della certezza in un mondo privo, ormai,

di verità rivelate.

Prima di pubblicare il Discorso compone “Le Monde, ou traite de la lumiere”, mai pubblicato a

causa della condanna di Galilei.

3.2.1 La Diottrica

L’ottica era distinta in diottrica (teoria della rifrazione) e catottrica (teoria della riflessione); Cartesio, nell’opera, le tratterà entrambe.

La luce è corpuscolare e si trasmette attraverso l’etere come un fluido.

Si studia il comportamento della luce in analogia ad una palla

della pallacorda. Alla base di tutto vi è un principio di

“determinazioni al moto”, ovvero di conservazione della

quantità di moto. Se il suolo dove la luce incide è duro, la luce

che incide su di esso viene riflessa, essendo impedita nella

componente verticale del moto (legge di riflessione). Per quanto

riguarda la rifrazione, quando la luce incide sul suolo, lo

attraversa con una perdita di velocità che la porta a variare in

direzione (legge di rifrazione). Se l’angolo di alzo è basso non si verificherà il fenomeno (riflessione totale). Supponendo vi

sia un mezzo che aumenti la sua velocità nel punto di

incidenza, la luce tenderà ad essere normale al piano. Per la

luce vale l’inverso di quanto accadrebbe per la palla di

pallacorda: se il mezzo è meno denso vi è una maggiore

resistenza al suo passaggio, se invece è più denso si verifica

un transito più veloce; Fermat afferma esattamente l’inverso,

impostando il problema come un problema di minimo: bisogna minimizzare il tempo che la luce

impiega per arrivare da un punto ad un altro: i tempi di percorrenza nel primo mezzo, sommati

ai tempi di percorrenza nel secondo, devono essere tali che il tempo totale sia minimo.

Si discute, anche, una teoria della diottrica per correggere la miopia (con l’elaborazione di una teoria dell’occhio e della formazione delle immagini sulla retina) ed una sulla formazione degli

arcobaleni.

3.2.2 La Geometria

“Algebrizzazione” della geometria: le dimensioni elevate ad una potenza assumono per la prima

volta un significato. Considera le dimensioni di spazio con diversi esponenti come curve

omogenee. Introduce riferimenti, inizialmente non ortogonali, poi di questo ultimo tipo perché

più semplici per la risoluzione di luoghi geometrici.

Unifica la precedente distinzione tra curve algebriche e meccaniche (che si descrivono con

strumenti meccanici come il compasso), e distingue le curve in algebriche e trascendenti.

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Risolve il problema della determinazione della tangente ad una curva: la tangente è la

perpendicolare al raggio del particolare cerchio che interseca la curva in un solo punto.

3.3 Christian Huygens (1629-1695)

Allievo di Cartesio, a mano a mano si discosterà da questo.

Contrapporrà il concetto di vis viva (forza viva, energia cinetica) a quello cartesiano di quantità di moto.

È il primo ad affermare la natura ondulatoria della luce. Media la

disputa tra Cartesio e Snell sulla legge di rifrazione: Golius trova un

manoscritto non pubblicato e non datato di quest’ultimo e lo invia a

Huygens; ma Cartesio ha già formulato la legge prima del

ritrovamento. In effetti la legge fu formulata indipendentemente da

entrambi.

3.4 Isaac Newton (1642-1727) 3.4.1 Panorama storico dell’Inghilterra

Il Seicento è segnato dallo sviluppo delle monarchie assolute, la Guerra dei Trent’anni (che

porterà ad un progressivo inasprimento della chiesa romana) e dal dilagare della peste in

Europa.

Si verifica lo sviluppo delle enclosures (nascita della proprietà privata) che trasforma i

contadini in braccianti. Il fenomeno prende piede dalla requisizione e vendita delle proprietà

ecclesiastiche ad opera del sovrano Enrico VIII. Conseguentemente si forma il nuovo ceto della

Gentry (dal latino gentes) ed il ceto intellettuale dei preti.

In Scozia la struttura ecclesiastica è episcopale, simile a quella feudale nella quale i feudatari

sono individuati nelle figure dei vescovi.

Si osserva una migrazione di massa della popolazione inglese a Londra.

Parallelamente ad un massiccio ammodernamento della tecnologia, nascono i cottagers, piccoli

proprietari terrieri che lavorano e commerciano in lana.

Il sovrano inglese Carlo I Stuart impone tassazioni non approvate dal parlamento (tra cui la

“Shipmoney” sui commerci marittimi), questo si ribella ed il re lo scioglie (“Short Parliament”).

Viene, in oltre, aumentato il numero di cariche nobiliari iniziando una vera e propria

compravendita dei titoli. I nuovi ceti e gli Scozzesi si ribellano; viene convocato un nuovo

parlamento (“Long Parliament”) il quale impone al sovrano di giustiziare alcuni suoi statisti

(come ad esempio il primo ministro).

Sullo scenario sociale inglese un ruolo fondamentale assumono anche i puritani (di origine

calvinista), i battisti ed i quaccheri.

In seguito a nuovi scontri tra il re e i ceti in ascesa, Firefax e Cromwell fondano la “New Model Army” che costringe Carlo I a ritirarsi in Scozia, dove gli abitanti lo catturano e lo consegnano

all’Inghilterra. Verrà costituito un nuovo parlamento che processerà il re, lo riconoscerà

colpevole e lo farà decapitare.

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Cromwell, salito al potere, sterminerà i diggers (“zappatori”) ed i levellers (contadini di

tendenza estremista) fondando il Commonweath. Metterà a ferro e fuoco l’Irlanda per sedare

le rivolte.

Nello stesso periodo assume un ruolo chiave la figura di Henry Oldenburg. Dapprima

ambasciatore di Cromwell a Brema, diventerà, poi, segretario della Royal Society. Fonda nel

1665 le “Philosophical Transactions” (transactions ha il significato di “atti”), la prima rivista

scientifica pubblicata in Europa (Newton vi pubblicherà il suo primo articolo nel 1672).

James Gregory (1638-1675) inventa la teoria delle serie oggi dette di Taylor, ma non

pubblicherà i suoi risultati a causa di una precedente stroncatura del proprio lavoro ad opera di Huygens. Costruisce anche un telescopio a riflessione (telescopio gregoriano).

Tra il 1665 e il 1666 la peste dilaga a Londra decimando la popolazione. A questo si aggiunge

nel 1666 il grande incendio di Londra. Nel frattempo la repubblica cade e sale al trono Carlo II

Stuart.

3.4.2 Isaac Newton

Nel 1661 dopo studi accademici inizia a frequentare il Trinity

College di Cambridge. Da giovane legge Hobbes, i Principia

Philosophie di Cartesio, opere di Hooke e i Discorsi e i Dialoghi

di Galilei.

Nel 1666, a causa della peste, abbandona l’università e si

dedica a studi di chimica (riguardo questa, è bene ricordare che muovendo dalla tradizione ermetico-alchemica dei suoi

tempi, reinterpreterà tutto alla luce del punto di vista più

propriamente “chimico” di Boyle), alchimia (le prime

conclusioni dell’inglese saranno edite nella “Conclusio”, opera

postuma), matematica e fisica per conto proprio. Svilupperà

in quel periodo il calcolo delle flussioni.

Attraverso la Geometrie di Cartesio apprende la geometria analitica e da Oughtred la notazione.

Quest’ultimo, servendosi della creazione dei logaritmi naturali di Napier avvenuta qualche

tempo prima, inventa il regolo logaritmico e la notazione “sin”, “cos” e “x”.

In opposizione ai Principia Philosophie, la maggior opera di Newton sarà chiamata

“Philosophiae Naturalis Principia Mathematica”. Qui Newton dimostrerà le proprie teorie “more

geometrico”, in modo rigorosamente geometrico.

Nel 1669 Barrow indica Newton come suo successore alla Cattedra Lucasiana, e quest’ultimo

terrà qui nel ’69, nel ’70 e nel ’71 tre corsi di ottica.

Nel 1676 invia due epistole a Leibniz (“Epistula prior” ed “Epsitula posterior”) dando inizio alla

polemica sull’invenzione del calcolo infinitesimale.

3.4.3 Calcolo delle flussioni

Nell’autunno del 1666, a 24 anni, scrive un’opera contenente le regole del calcolo delle flussioni.

La terminologia del manoscritto risente sia della matematica che della meccanica, così una

curva è definita, ad esempio, per moto continuo di punti.

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Si definisce fluente una grandezza che fluisce (variabile); mentre la flussione di una fluente è

ciò che si ottiene considerando gli incrementi della fluente rispetto ad intervalli costanti di

tempo piccoli a piacere (derivata).

Il tempo è visto come una fluente a flusso equabile (è un parametro matematico, non fisico e

misurabile).

Del 1670 è, invece, il “Tractatus de metodis serierum et fluxionum”, nel quale si affronta lo

studio della natura delle curve secondo il problema diretto e quello inverso:

Problema diretto: data la lunghezza dello spazio in modo continuo (s(t)) trovare la velocità del moto (�̇�(𝑡)) ad un tempo qualsiasi (è un problema di differenziazione).

Problema inverso: data la velocità del moto in modo continuo, trovare la lunghezza del moto ad un tempo qualsiasi (è un problema di integrazione).

Un esempio di come Newton affronti il problema è il seguente: supponiamo di avere la relazione

tra due fluenti: x3-ax+axy-y3=0, vogliamo le relazioni che intercorrono tra le flussioni.

Moltiplichiamo il primo termine del primo membro per 3�̇�

𝑥, il secondo per 2

�̇�

𝑥, il terzo per

�̇�

𝑥 ed

il quarto per 0. Otteniamo 3�̇�x2-2a�̇�x+a�̇�y. A questo dobbiamo sommare la flussione per y:

partendo dall’equazione iniziale moltiplichiamo i termini rispettivamente per 0, 0, �̇�

𝑦 e 3

�̇�

𝑦.

Sommiamo ed otteniamo 3�̇�x2-2a�̇�x+2a�̇�y-3�̇�y=0.

3.4.4 Ottica

All’epoca la luce era considerata incolore: l’ottica era una disciplina matematica, il colore di

competenza della filosofia naturale.

Newton legge la Diottrica di Cartesio e la “Micrographie” di Hooke. Compie studi su diffrazione,

riflessione ed aberrazioni.

In “A letter of mister Isaac Newton containing a new theory about light and colors” (1672)

compie il primo tentativo di unificare luce e colori attraverso esperimenti con prismi. Hooke

contesta le teorie di Newton e innesta un violento scontro.

1675: lettera ad Oughtred (segretario della Royal Society) nella quale commenta l’interazione

tra luce ed etere: la luce è sostanza, non accidente dell’etere; l’etere, dove più denso, devia la

luce.

Nel 1678 invia una lettera a Boyle sull’etere. Questa sostanza si annida nei pori di tutti i corpi

diventando più sottile; i fenomeni ottici sono interazioni luce-etere: la luce riscalda

quest’ultimo che varia densità; laddove è più rigido riflette, dove più morbido rifrange. Ci si

avvia ad una matematizzazione dell’ottica.

Nel corso dei suoi studi costruirà vari telescopi ed uno lo invierà al sovrano Carlo II.

3.4.5 I Principia

Newton coniò il termine di meccanica (dal greco mechané, macchina) razionale,

contrapponendolo alla meccanica pratica; di essa la geometria viene considerata una branca.

In quel periodo l’architetto Christopher Wren insieme con Hooke e l’astronomo Halley erano

soliti riunirsi in un circolo intellettuale nel quale si discuteva di fisica. Accadde che si iniziarono

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a domandare che tipo di forza potesse determinare il moto dei pianeti; Hooke ne propose una

che andasse come l’inverso del quadrato delle distanze, ma, dopo essere stato invitato da Wren

a farlo, non riuscì a fornire una solida dimostrazione. Halley, discutendo del fatto con Newton,

apprese che quest’ultimo aveva calcolato che una forza centrale (tipo di forza teorizzata da

Huygens) causasse orbite ellittiche, quali erano quelle dei pianeti. Spinto dall’astronomo, il

fisico pubblicò un trattato, che poi avrebbe preso come spunto per la successiva redazione dei

Principia.

È nel 1687 che, finalmente, viene consegnata alle stampe la prima edizione dell’opera. I volumi,

in numero esiguo di copie, sono così richiesti che presto viene domandata una seconda edizione.

Fin dal momento della messa in circolazione, l’autore è accusato di ateismo, ma in suo soccorso

si schiera in fondatore della filologia classica nonché teologo Richard Bentley. Costui, dopo aver

letto l’opera (chiedendo prima ad un matematico e poi allo stesso autore consigli su come

leggerla) scriverà un manifesto contro l’ateismo difendendo, tuttavia, i Principia e ponendoli

come esempio di teoria fisica anti-epicureista.

La seconda edizione, datata 1704, è curata dal matematica Cotes, un collaboratore di Newton il

quale costringe quest’ultimo a correggere alcune parti e chiarificarne altre. Al testo originario

è premessa una prefazione del curatore ed uno scolio generale (lo scolio, scritto da uno

scoliaste, è un commento; scolio ha anche il significato di un componimento poetico fuori dal

metro che era intonato al termine di occasioni conviviali) scritto da Newton su se stesso.

Una terza edizione, infine, è del 1726 (anno precedente la morte dell’autore) curata dal matematico Pemberton.

Tra il dicembre del ’92 ed il febbraio del ’93 Newton invia a Bentley alcune missive nelle quali

tenta di evitare qualsiasi contrasto con le dottrine ecclesiastiche dovuto dall’accusa di

quest’ultimo di voler esplicitare la causa della forza gravitazionale nella sua opera (dirà “la

causa della gravità è ciò che io non pretendo di conoscere”, desiderando non gli si attribuisca la

concezione di una gravità innata e l’assenza di etere nel cosmo).

Le prime traduzioni dal latino al francese furono operate molto a senso, e la prima edizione

critica è pubblicata nel ‘900 ad opera di Bernard Cohen.

È fondamentale riconoscere che Newton non teorizzò mai uno spazio vuoto né alcuna azione a

distanza, ma, figlio dei suoi tempi, era piuttosto convinto l’universo fosse riempito di etere.

L’orbita delle comete (descritta da tre osservazioni) era approssimata ad una parabola anziché

un’ellisse.

I Principia constano di tre libri:

Libro I: “Principia Mathematica”, trattato di meccanica razionale operato con il calcolo

delle flussioni.

Libro II: Idrodinamica (o Fluidodinamica), serviva per fondare una teoria dei vortici che

contrasti quella cartesiana. Questa parte dell’opera subì pesanti rimaneggiamenti nella

II e III edizione.

Libro III: “Philosophiae Naturalis”, vi si applica la matematica del libro I ai fenomeni

naturali reali. Nelle edizioni successive alla II, a questo libro era accostato un “Sistema

Mundi”, versione divulgativa del volume.

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Il libro I si apre con una serie di definizioni:

Massa (o quantità di materia): è il prodotto della densità per il volume (oggi questa definizione ci pare eccessivamente tautologica); come si osserva da una serie di

esperimenti con il pendolo, essa è proporzionale al peso. L’unica sostanza per la quale la

definizione non è valida è l’etere.

Quantità di moto: indica la misura del moto ed è pari al prodotto velocità per massa. Il movimento totale (quantità di moto totale) è la somma dei movimenti delle singole parti.

Vis insita: disposizione a resistere della materia; a causa di questa ciascun corpo persegue nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme (sarà, poi, questo

argomento del primo principio); questa forza è proporzionale al corpo e identica

all’inerzia di una massa a parte che nel modo di concepirla (tendenza a resistere ad una

forza esterna impressa, ma anche impulso come nella tradizione post-aristotelica).

Forza impressa: azione esercitata su un corpo per mutarne lo stato. Cessata la causa la

forza non permane. Nasce dall’urto, dalla pressione o dalla forza centripeta (di questo

genere sono la gravità, la forza magnetica e quella forza che devia i moti rettilinei dei

pianeti). Se non vi fosse gravità e resistenza dell’aria, un proiettile se ne andrebbe dalla

Terra di moto rettilineo uniforme.

Dopo le definizioni ed uno scolio su spazio e tempo (nel quale viene contrapposta una nozione

di spazio assoluto in contrapposizione allo spazio relativo), sono formulate le tre leggi o assiomi

del movimento (oggi per essi è utilizzata la notazione introdotta da Euler):

“ciascun corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, eccetto che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse” (nello scolio a questa legge

tratterà anche del moto dei proiettili e dei moti circolari)

“il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa, ed avviene lungo la

linea secondo la quale la forza è stata impressa” (in formule: �̅� =Δ�̅�

Δ𝑡 ⇒

𝑑�̅�

𝑑𝑡 dove è da

osservare che la notazione vettoriale risale a Gibbs (fine ‘800 inizio ‘900) e la notazione

di derivazione come rapporto di differenziali a Leibniz)

“ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia, le azioni di due corpi

sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte”

Segue il corollario (principio d’indipendenza dei moti simultanei): “un corpo spinto da forze

congiunte, descriverà la diagonale di un parallelogramma nello stesso tempo nel quale

descriverebbe separatamente i lati”.

Proseguendo per altri corollari, si giungerà, in fine, ad uno scolio nel quale l’autore afferma che

i principi dei quali ha fin ora discusso erano, in realtà, già stati formulati da matematici e

confermati da numerosi esperimenti (chiara è l’allusione a Galilei, al quale accrediterà

l’ispirazione per la concezione della seconda legge).

La sezione I (“metodo delle prime ed ultime ragioni”) del libro I (“moto dei corpi”) si apre con la

prima definizione di limite: “le quantità, come anche i rapporti fra quantità, che costantemente

tendono all’eguaglianza in un qualsiasi tempo finito, e prima della fine di quel tempo si

accostano l’una all’altra più di una qualsiasi differenza data, divengono infine eguali” (lemma I).

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Segue il lemma II: preso un arco di funzione continua in un tratto in cui

è monotona, mediante la formula di Newton-Cotes (∫ 𝑓(𝑥)𝑑𝑥 ≈𝑏

𝑎

∑ 𝑓(𝑥𝑖)Δ𝑥𝑖𝑛𝑖=1 la quale approssima numericamente l’integrale con un

rettangoloide dal passo costante; con il crescere di n, l’errore può,

tuttavia, divergere), la approssima con plurirettangoli inscritti e

circoscritti. Al limite dell’ampiezza degli intervalli che va a 0, l’ultima

ragione (termine col quale Newton indicava il limite) della loro

differenza è nulla. È questa la prima definizione di integrale indefinito.

Il lemma III è, poi, una generalizzazione del secondo con intervalli diseguali.

Nella sezione II (“ricerca delle forze centripete”) è

formulato il seguente teorema fondamentale (teorema

I, proposizione I): “le aree che i corpi ruotanti

descrivono, con i raggi condotti verso il centro immobile

delle forze, giacciono sugli stessi piani e sono proporzionali ai tempi”. Il risultato è invertito dal

successivo teorema II proposizione II: “ogni corpo che

si muove lungo una qualche linea curva descritta su un

piano, e, con il raggio condotto verso un punto o

immobile o che si muove di moto rettilineo uniforme,

descrive intorno a quel punto aree proporzionali ai

tempi, è spinto da una forza centripeta che tende al

medesimo punto”.

Il teorema IV proposizione IV afferma in sostanza che, nel caso centripeto, 𝐅 ∝ 𝐯𝟐

𝐫. Il corollario

VI a questo risultato è accreditato a Wren, Hooke ed Halley e recita: “se i tempi periodici sono in ragione della potenza 3/2 dei raggi e, per conseguenza, le velocità inversamente

proporzionali alla radice quadrata dei raggi, le forze centripete saranno inversamente

proporzionali ai quadrati dei raggi: e viceversa”.

La sezione III contiene la descrizione di moti che avvengono lungo sezioni coniche (vedi ad es.

proposizione XVII problema IX).

Nelle sezioni XII-XIII è affrontato il moto di corpi estesi sferici.

Significativi sono i seguenti teoremi:

Teorema XXX proposizione LXX: “se verso i singoli punti di una superficie sferica tendono uguali forze centripete che decrescono

proporzionalmente al quadrato delle distanze dai punti, dico che un

corpuscolo posto dentro tale superficie non è attratto da queste forze

verso alcuna parte”

Teorema XXXIII proposizione LXXIII: “se verso ciascun punto di una qualsiasi sfera data tendono uguali forze centripete decrescenti secondo

il quadrato delle distanze dai punti, dico che un corpuscolo posto

all’interno della sfera è attratto da una forza proporzionale alla sua

distanza dal centro della stessa”

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Teorema XXXIV proposizione LXXIV: “poste le stesse cose, dico che un corpuscolo posto fuori della sfera è attratto con forza inversamente proporzionale al quadrato della sua

distanza dal centro della medesima”

Teorema XXXV proposizione LXXV: “se verso i singoli punti di una data sfera tendono

uguali forze centripete, decrescenti secondo il quadrato delle distanze dai punti, dico che una qualsiasi altra sfera simile viene attratta dalla medesima con forza inversamente

proporzionale al quadrato della distanza dai centri”

Teorema XXXVI proposizione LXXVI: “se delle sfere, nell’avanzare verso la circonferenza, sono comunque

dissimili (per densità di materia e per forza attrattiva), ma

nell’avanzare lungo circonferenze a ogni data distanza dal

centro sono ovunque simili, e se la forza attrattiva di

ciascun punto decresce secondo il quadrato della distanza

del corpo attratto, dico che l’intera forza, per effetto della quale una di tali sfere attrae

l’altra, è inversamente proporzionale al quadrato della distanza dei centri”.

Nel libro II viene fondata la fluidodinamica come scienza.

Il libro III si apre con quattro regole per filosofare (che Newton spesse volte si riserverà di

violare):

1. “delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono

vere e bastano a spiegare i fenomeni” (è questo il principio del “rasoio di Occam”, detto

anche da Ernst Mach “principio di economia delle cause”)

2. “perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno attribuite ad effetti naturali

dello stesso genere”

3. “le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che

appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile impiantare esperimenti, devono essere

ritenute qualità di tutti i corpi” (le qualità dei corpi si conoscono solo tramite

esperimenti)

4. “nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni, devono,

nonostante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto più

possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più esatte

o vengono assoggettate ad eccezioni” (primato dell’esperimento sulle iportesi).

Ricordiamo, inoltre, la proposizione XIII: “i pianeti sono mossi lungo ellissi che hanno un fuoco

nel centro del Sole, e, con i raggi condotti a quel centro, descrivono aree proporzionali ai tempi”.

Nello scolio generale sarà formulato dall’autore il concetto di “hypotheses non fingo”.

3.4.6 Opticks

La prima edizione dell’opera è datata 1704, mentre nel 1706 è edita la prima traduzione in

latino e nel 1717 la terza. L’ultima edizione è postuma, ma curata sempre da Newton.

Il fisico ritiene che la materia sia formata da atomi inosservabili dotati di qualità infuse da Dio.

La luce è una sostanza che può essere studiata dalla matematica.

L’opera è così articolata:

Libro I:

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o Definizioni

o Assiomi

o Proposizioni e teoremi (la cui dimostrazione è sperimentale)

Libro II: o Quattro sezioni con questioni riguardanti l’ottica e i colori (vengono qui trascritte

le lezioni di ottica del 1669/71)

Libro III: o All’inizio corrispondenza con padre Francesco Grimaldi (scopritore della

diffrazione)

o Newton interrompe la trattazione ed al posto formula una serie di domande

(questions) in gran parte concernenti la questione dell’etere:

Nella prima edizione da 1 a 16

Nella seconda edizione da 17 a 23

Nella terza edizione da 24 a 31

Libro I:

Definizioni:

Definizione I: “Con i raggi di luce intendo le minime parti di essa, sia quelle successive lungo le

medesime linee, sia quelle contemporanee lungo linee diverse”

Definizione II: “La rifrangibilità dei raggi di luce è la disposizione di essi ad essere rifratti o

deviati dal loro percorso nel passaggio da un corpo o mezzo trasparente in un altro. E una

maggiore o minore rifrangibilità dei raggi è la disposizione di essi ad essere deviati più o meno

dal loro percorso a parità di incidenza sul medesimo mezzo”. Nel 1676 a Parigi Rømer riuscì ad

eseguire il primo calcolo in assoluto sulla velocità della luce concludendo che il diametro della

Terra fosse percorso nell’arco di 22 minuti (in realtà sono circa 16). Newton definisce qui la

rifrangibilità in modo che essa possa accordarsi ad una visione di luce a velocità finita (come

quella di Rømer) o a velocità infinita (come quella dei matematici del tempo).

Definizione III: “La riflessibilità dei raggi è la disposizione di essi ad essere riflessi o ad essere deviati nel medesimo mezzo da un qualche altro mezzo sulla cui superficie essi cadono. I raggi

sono più o meno flessibili secondo che siano rinviati più o meno facilmente”

Sono poi definiti gli angoli di riflessione e rifrazione e la luce monocromatica (per Newton

semplice, omogenea e uniforme).

Definizione IV: “Chiamo primari, omogenei e semplici i colori della luce omogenea, ed eterogenei

e composti quelli della luce eterogenea”

Assiomi:

Assioma I: “Gli angoli di riflessione e di rifrazione giacciono su uno e medesimo piano insieme

all’angolo di incidenza”

Assioma II: “L’angolo di riflessione è uguale all’angolo di incidenza”

Assioma III: “Se il raggio rifratto viene rinviato direttamente al punto di incidenza, esso sarà rifratto lungo la linea già descritta dal raggio incidente” (principio di reversibilità del cammino

ottico).

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Assioma IV: “Una rifrazione da un mezzo più raro in uno più denso si effettua verso la

perpendicolare; cioè in modo tale che l’angolo di rifrazione è minore dell’angolo di incidenza”

Assioma V: “Il seno di incidenza sta o esattamente o con molta approssimazione in una ragione

data al seno di rifrazione”

Teoremi:

Teorema I Proposizione I: “I raggi di luce che differiscono quanto ai colori, differiscono anche nei

gradi di rifrangibilità”

Teorema II Proposizione II: “La luce del Sole è costituita di raggi differentemente rifrangibili”

Libro II:

Definizione XIII: “Chiamerò impulsi (fits) alla facile riflessione i ritorni della disposizione di un

raggio qualsiasi ad essere riflesso, e impulsi alla facile trasmissione i ritorni della sua

disposizione ad essere trasmesso, e chiamerò intervallo fra i suoi impulsi lo spazio esistente tra

ogni ritorno e il successivo ritorno”. Come è possibile notare, qui Newton non fa alcun accenno

a quella teoria dell’etere che nelle sue corrispondenze aveva definito come la causa della

riflessione e della rifrazione, ma preferisce, in ambito accademico, affidarsi ad una definizione

vacua di “impulso”.

Proposizione XIII: “La ragione per cui le superfici di tutti i corpi trasparenti spessi riflettono

una parte della luce incidente su essi, e rifrangono il resto, è che alcuni raggi al momento della

loro incidenza si trovano in impulsi alla facile riflessione, e altri in impulsi alla facile

trasmissione”

Libro III:

Il libro III si apre con una descrizione del fenomeno della diffrazione: “Grimaldi ci ha informati

che se un raggio della luce del sole viene immesso in una camera oscura attraverso un foro

molto piccolo, sotto questa luce le ombre delle cose saranno più ampie di quanto sarebbero se

i raggi passassero presso i corpi secondo linee rette, e che queste ombre hanno tre frange, o

bande, o ordini paralleli di luce colorata adiacenti ad esse […]”.

Questione 1: “I corpi non agiscono a distanza sulla luce e per effetto della loro azione non

incurvano i raggi di essa; e questa azione non è (a parità delle altre cose) massimamente forte

alla minima distanza?”

Questione 5: “I corpi e la luce non agiscono mutuamente uno sull'altro; cioè a dire, i corpi sulla

luce durante l'emissione, la riflessione, la rifrazione e l'inflessione di essa, e la luce sui corpi al fine di scaldarli e di immettere le parti di essi in un moto vibratorio in cui consiste il calore?”

Questione 6: “I corpi neri non sono riscaldati dalla luce più facilmente di quelli di altri colori,

per il fatto che cadendo la luce su di essi non viene riflessa all’esterno, ma al contrario penetra

nei corpi ed è sovente riflessa e rifratta nel loro interno, finché viene soffocata e perduta?”

Questione 17: Newton compie una analogia tra le onde dell’acqua in uno stagno e la luce.

Questione 21: “Questo mezzo [l'etere, ndr], non è molto più raro dentro i corpi densi del sole,

delle stelle, dei pianeti e delle comete che nel vuoto spazio celeste esistente tra essi? […]”

Questione 22: è esposto il problema della resistenza dell’etere.

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Nelle questioni 27 e 28 l’autore bolla come errate tutta una serie di teorie che si basano sulla

modificazione dei raggi luminosi.

Questione 29: “I raggi di luce non sono corpi molto piccoli emessi da sostanze luminose? […]”

Questione 30: “I grossi corpi e la luce non sono convertibili gli uni nell’altra, e non è possibile che

i corpi ricevano gran parte della loro attività dalle particelle di luce che entrano nella loro

composizione? […]”

Questione 31: “Le parti più piccole dei corpi non hanno certe potenze, virtù o forze per effetto

delle quali agiscono a distanza, non solo sui raggi di luce per rifletterli, rifrangerli e fletterli, ma

anche le une sulle altre, al fine di produrre una gran parte dei fenomeni della natura? […]”

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4 Il ‘700 4.1 I Newtoniani 4.1.1 Considerazioni introduttive

Nell’approccio alla filosofia naturale successivo all’opera di Newton si riconoscono due

principali tendenze, una di stampo euclideo e formale, e l’altra propria dell’ottica newtoniana,

nella quale confluiscono diverse tradizioni ed approcci ai problemi eterogenei. A causa della

difficoltà di formalizzazione di fenomeni fisici non ancora ben inquadrai in un modello generale,

come i fenomeni elettrici, magnetici e termici, i newtoniani preferiranno la seconda tendenza.

Osserviamo, in definitiva, lo sviluppo di due principali linee di sviluppo della fisica tra la fine

del ‘600 e l’inizio del ‘700:

Produzione e raccolta di dati su fenomeni empirici da essere poi composti in un quadro

unitario e matematizzato(corrente di stampo baconiano)

Approfondimenti matematici riguardo l’analisi e la meccanica (corrente seguita, ad

esempio, da Euler, D’Alembert, Daniel Bernoulli e Lagrange)

Ci occuperemo in particolare della prima linea, essendo la seconda di competenza più stretta di

una storia della matematica, più che della fisica.

4.1.2 Sviluppi della meccanica

Dal punto di vista dei successivi sviluppi delle teorie meccaniche formalizzate nei

Principia, grande importanza assume l’opera di S’Gravesande (1688-1742) che

nel 1720 a Leida pubblica “Phisices elementa mathematica experimentis

confermata, sive: introductio ad philosophiam newtonianam”.

4.1.3 Sviluppi dell’elettrologia

Nel 1709 Francis Hauksbee (1666-1713), collaboratore di Newton come sperimentatore,

riedita una raccolta di propri saggi premettendo una introduzione nella quale omaggia Boyle e

Newton, e solleva una questione a proprio parere trascurata dall’autore dei Principia: esiste

una forza di natura elettrica tra i corpuscoli (è uno dei primi a notare che tal volta è anche

repulsiva) che non va come l’inverso dei quadrati delle distanze ed è in tutto e per tutto distinta dalla forza gravitazionale. Operando un esperimento di elettrizzazione di una boccia di vetro

all’interno della quale era stato creato vuoto torricelliano, nota il manifestarsi di una lieve

luminosità. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, lo scienziato non interpreta il

fenomeno alla luce del nuovo metodo newtoniano, ma reintroduce un concetto di effluvio

elettrico che si genera nella sfera per eccitazione.

A Stephen Gray (1666-1736) è dovuta la scoperta dei corpi conduttori, così chiamati

successivamente da Jean Desaguileres (1683-1739).

Charles-François de Cisternay Dufay (1698-1739) studiando l’elettrizzazione per strofinio

rinviene alcune anomalie nei fenomeni (come ad esempio in caso di corpi umidi), e scopre

l’elettrizzazione per contatto. Propose una teoria dei fenomeni elettrici che si basava

sull’esistenza di due forme di elettricità, quella vetrosa e quella resinosa che si respingono con

se stesse e si attraggono tra loro. Dal 1733 collabora con l’abbate Nollet. Con la sua opera

termina la ricerca sui fenomeni elettrici come puro passatempo curioso e inizia lo studio

sistematico delle proprietà elettriche.

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Nel frattempo presso la Royal Society Watson avvia un progetto di intensificazione dei rapporti

tra gli scienziati continentali e quelli inglesi, provvedendo alla diffusione, tra le altre, delle

nuove teorie elettrologiche.

Tra il 1745 e il 1746 Musschenbroek comunica a De Reaumur le proprietà della Bottiglia di

Leida: nata per accumulare carica elettrica nell’acqua, la bottiglia ne accumulava così tanta da

dare una notevole scossa elettrica a chi la toccasse (prima descrizione scientifica di una scossa

elettrica). De Reaumur lo comunicò a Nollet che rese nota la notizia in Francia con una

pubblicazione dal titolo “Essai sur l’electricité des corps” (1746), tradotta in italiano l’anno

seguente con in appendice un saggio di Whatson.

Per quanto concerne Nollet, quest’ultimo rifiutò la teoria dei due generi di elettricità di Dufay

in nome di un principio di economia delle cause che faceva da sostegno ad un principio alla base

dei fenomeni elettrici, magnetici e termici costituito da una materia fluente.

4.1.4 Sviluppi della termologia

Durante la prima metà del ’700 vengono ideati i primi termometri. Amontors (1663-1703)

realizza un termometro a mercurio a forma di u e pubblica “Moyen de substituer commodement

l’action du feu a la force des hommes et de cheaveaux” (metodo per sostituire comodamente

l’azione del fuoco alla forza degli uomini e dei cavalli).

Prendono l’avvio le prime ricerche sulle sostanze termometriche e nascono le prime scale:

Fahrenheit (1686-1736) a mercurio

De Reaumur ∼1730 ad alcool, gli estremi sono la temperatura di congelamento ed ebollizione dell’acqua

Celsius 1742 prima scala centigrada con 0 fissato alla temperatura di ebollizione dell’acqua e 100 al suo congelamento

Strömer inverte i punti fissi della scala Celsius

Non è, tuttavia, ancora chiara la distinzione tra calore e temperatura, che spesso vengono

identificati l’uno con l’altro.

Le principali teorie sulla natura del calore riconducono quest’ultimo ad agitazione termica o ad

effluvio (calorico o flogisto).

Lomonosov e Richmann (1711-1753) dibattono sulla teoria corpuscolare e quest’ultimo,

compiendo esperimenti sul mescolamento di liquidi a temperature diverse, inizia a distinguere

calore da temperatura, distinzione che diverrà definitiva grazie alle ricerche di Joseph Black in

seguito alla scoperta del calore latente, che a differenza del calore libero non è misurato da un

termometro (essendo la temperatura costante durante una transizione di fase). Queste

scoperte contribuirono a mettere in forte crisi la teoria dell’agitazione molecolare, che sotto vari aspetti non era compatibile con i dati empirici rilevati.

È dovuta a Laplace e Lavoisier, poi, la creazione dei primi calorimetri a ghiaccio.

Un ultimo aspetto fondamentale da tenere a mente sono le forti contaminazioni delle ricerche

sulla termologia ed il progresso della tecnica operato durante la Prima Rivoluzione Industriale,

sostanziato nella creazione delle prime macchine termiche ad opera di Savery, Newcomen e

Watt (già allievo di Black).

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4.2 Decadenza della fisica cartesiana

Tre furono gli aspetti che in massima parte condussero al definitivo abbandono della fisica

Cartesiana:

Dal punto di vista astronomico Bradley dimostrò definitivamente la finitezza della velocità della luce compiendo esperimenti sull’aberrazione stellare

Dal punto di vista cosmologico furono per la prima volta stimate in maniera sistematica le dimensioni tra i corpi celesti dell’universo conosciuto. Il procedimento operato si

basava sull’assunzione che tutte le stelle, poste alle medesime distanze dalla Terra,

avessero la stessa intensità luminosa del Sole, e che questa decrescesse come l’inverso

del quadrato della distanza. L’unico elemento incognito si configurava come la stima

della distanza Terra-Sole, risolta, tuttavia, da Cassini tramite un metodo di

triangolazione

Dal punto di vista terrestre Clairaut basandosi su nozioni di fluidodinamica newtoniana

e sviluppando un teorema che porta lo stesso nome, nell’ipotesi che la Terra fosse

costituita da strati uniformi riuscì a stabilire che essa fosse un ellissoide di rotazione, organizzando anche una spedizione scientifica in varie parti del globo per dimostrarlo

sperimentalmente.

4.3 Le teorie elettriche e magnetiche nel ‘700 4.3.1 Benjamin Franklin (1706-1790)

In Inghilterra, Benjamin Franklin compie una serie di studi con la bottiglia di Leida e sul potere

delle punte. A costui è dovuto un modello ad un fluido delle teorie elettrostatiche. Contro il

modello ad effluivi se ne viene a formare uno basato su atmosfere elettriche: stratificazioni sovrapposte a differente carica.

4.3.2 Franz Ulrich Theodor Aepinus (1724-1802)

Discendente di Johannes Huck (discepolo di Martin Lutero), il quale aveva cambiato il proprio

cognome in Aepinus (dal latino “alto”), ereditò da questo il cognome.

Scoprendo una proprietà della tornalina (detta anche “lapis electricus”, pietra elettrica) dà il

via ai primi studi di piroelettricità.

Studiando i condensatori, giunse presto a rinunciare alla teoria di Franklin (che per altro

mostrava una forte criticità laddove sarebbe stata necessaria una ulteriore forza attrattiva per

far interagire il fluido elettrico con la materia ordinaria).

Scrive il “Tentamen” (“saggio”) che non ebbe molto successo poiché oscuro e contrario alla

interpretazione mondana dei fenomeni elettrici come fenomeni “curiosi”.

4.3.3 Lord Henry Cavendish (1731-1810)

Legge il Tentamen di Aepinus.

Ipotizza per la prima volta che le parti di fluido elettrico si respingono tra loro con legge (𝟏𝒓⁄ )n

con n<3, e sostiene che n debba essere proprio 2 poiché sarebbe l’unico modo per spiegare come la carica di una sfera sia vista in lontananza concentrata nel suo centro.

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4.3.4 Charles Augustin de Coulomb (1736-1806)

Coulomb si forma come ingegnere militare e compie studi sulle spinte

dei terrapieni e sugli attriti tra solidi.

Fonda lo studio della torsione dei fili metallici.

L’opera principale di Coulomb sono i “Memoires”, al loro interno

troviamo uno studio sulla magnetizzazione di aghi (finalizzato alla

costruzione di bussole efficienti) ed uno sulla torsione. In quest’ultimo

è descritta la bilancia a torsione, con la quale determina

sperimentalmente la legge dell’inverso del quadrato per la forza elettrica.

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β1=α1=36°

β2=4β1=144° α2= α1/2=18°

β3=4β2=576° α3= α2/2=9°

βn+1/βn=(αn/αn+1)2

Nel corso dell’opera, sono formulate tre osservazioni sull’esperimento. La II, in particolare,

informa il lettore che tutti gli esperimenti sono stati compiuti nell’arco di due minuti onde

evitare la dispersione della carica generata con l’elettrizzazione. La III riguarda la distanza tra

le due sfere, che, ovviamente, non è esattamente α ma è pari alla corda dell’arco, ovvero

2Rcos(α/2), così il braccio di torsione risulta Rcos(α/2), ma sen(α/2)∼ cos(α/2) per α/2<30°.

Il metodo sopra descritto può essere, però, utilizzato solo per la valutazione della forza

repulsiva, per quella attrattiva è impiegato un altro strumento basato su un pendolo.

Analizzò, poi, il campo elettrico in un conduttore e le condizioni all’interfaccia tra due mezzi.

Circa il magnetismo tentò esperimenti meno fortunati con aghi lunghi, ed arrivò ad enunciare

la medesima legge dell’inverso del quadrato anche per il fluido elettrico. Tuttavia, nel tentativo

di fondare la magnetostatica, scisse i fenomeni elettrici da quelli magnetici compiendo una

rottura con le precedenti teorie unificatrici.

4.3.5 Luigi Galvani (1737-1798)

Diede inizio alle teorie sull’elettricità animale a causa di uno strano

episodio: su un tavolo era poggiata una rana scuoiata e nelle vicinanze

si trovava una bottiglia di Leida; allo scoccare di una scintilla dalla bottiglia, un muscolo della rana si contrasse.

4.3.6 Alessandro Volta (1745-1827)

Sul caso della rana di Galvani, Volta si pronunciò rifiutando la teoria

dell’elettricità animale e teorizzando che l’avvenimento fosse dovuto ad un

pezzo di metallo ed il muscolo si comportasse da oscilloscopio.

Categorizzò i conduttori in base ad una scala costruita in modo che

prendendo due elementi distanti, tra di loro nascessero fenomeni di

conduzione.

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Scoprì l’effetto Volta: costruendo una catena di conduttori eterogenei, ai suoi capi non si

generano fenomeni elettrici; se si crea una catena di due elementi alternati ricorsivamente, ai

capi di questa ci sarà la stessa ΔV qualsiasi sia il numero di loro coppie

impilate.

Costruisce l’elettroscopio condensatore e la schiacciata di Volta (elettroforo).

Costruisce, inoltre, la prima pila con argento e zinco; mentre prima l’unico

generatore era la bottiglia di Leida (che essendo un condensatore si

esaurisce presto), la pila così creata è stabile nel tempo.

Incardinato su schemi di precisione e chiarezza concettuale, Volta non si concentrerà mai sull’aspetto creativo della scienza.

Con Volta inizia una vera e propria “newtonianizzazione” delle scienze

elettriche.

4.3.7 Pierre-Simon de Laplace (1749-1827)

Di umili origini, arriva a Parigi a 22 anni reduce di alcuni lavori

scientifici; qui si mette sotto il protettorato di D’Alembert e

ricopre incarichi amministrativi di primo piano durante la

Rivoluzione Francese, il regno di Napoleone e la Restaurazione.

Considera l’astronomia il prototipo di scienza matematizzata,

poiché in essa tutte le teorie discendono da singoli principi.

Parallelamente a Immanuel Kant sviluppa l’ipotesi cosmologica di Kant-Laplace.

È, inoltre, il formulatore di una teoria della probabilità moderna.

Studia il modo in cui uno sferoide elettrizzato possa attrarre un

corpo di massa M (elettricamente o gravitazionalmente).

[L’equazione di un ellissoide è 𝑥2

𝑎2 +𝑦2

𝑏2 +𝑧2

𝑐2 = 1, se a=b=c è una sfera, se a=b≠c è uno sferoide

(ellissoide di rotazione)]. In questo ambito introduce il primo concetto di potenziale

elettrostatico, poi sviluppato dall’allievo Poisson. Per risolvere il problema in coordinate

curvilinee opera uno sviluppo in serie di potenze.

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5 L’‘800 5.1 Panorama storico

Dopo l’opera di Immanuel Kant, improntata sulla definizione di forme pure a priori di spazio e

tempo improntata su una tradizione prettamente newtoniana, l’Illuminismo volge al termine e

si apre l’epoca del Romanticismo e dell’idealismo (quest’ultimo portato avanti massimamente

da Fichte, Schelling ed Hegel). Si viene così a formare la corrente della Romantische Natur

Philosophie (iniziata da Schelling), nella quale predomina una visione organicistica ed olistica

della natura.

5.2 Hans Christian Oersted (1777-1851)

Segue la corrente della Natur Philosophie.

È amico di Richter, che scopre gli effetti magnetici dovuti ad una pila elettrica.

Nel luglio 1820 pubblica “experimenta circa effectum conflictus electrici in acum magneticum”

(nell’ambito della Natur Philosophie la corrente elettrica era ritenuta nascere da un conflitto

tra cariche), nel quale sono esposti esperimenti a sostegno di tre tesi:

il conflitto elettrico agisce sui poli magnetici

il conflitto elettrico non è confinato all’interno del conduttore ma agisce anche in

prossimità di quest’ultimo

il conflitto elettrico forma un vortice attorno al filo

Tra gli esperimenti figurava quello dell’ago magnetico posto in prossimità di un filo percorso

da corrente:

Il terzo punto è una conseguenza del fatto che ponendo l’ago rispettivamente sopra e sotto il

filo, esso orientasse il nord verso l’alto e verso il basso.

5.3 André Marie Ampere (1775-1836)

Inizialmente professore di matematica e studioso di chimica, filosofia e teologia, Ampere iniziò

nell’ottobre 1820 un’attività febbrile di sperimentazione (nonostante non vi fosse molto portato) dopo aver letto il saggio di Oersted.

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Nel 1831 in un saggio getta le basi per la prima teoria elettrodinamica; il fenomeno magnetico

è, di fatti, da lui interpretato in termini di corrente elettrica (della quale, tuttavia, non proporrà

alcun modello). In accordo a tale teoria, il magnetismo è dovuto a correnti microscopiche,

laddove l’elettricità è causata da correnti macroscopiche che corrono lungo i meridiani

terrestri.

Nei suoi esperimenti tenterà, senza molto successo, di estromettere il campo magnetico

terrestre utilizzando aghi astatici (aghi liberi di ruotare lungo un piano ortogonale al campo

magnetico terrestre in quel punto) e un prototipo di quelle che saranno le bobine di Helmholtz.

Postulò l’azione reciproca del campo magnetico e degli elementi di corrente, e da questo derivò

lazione di un elemento di corrente su un altro.

Valutò le azioni reciproche di due elementi di corrente nel modo seguente:

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Bisogna considerare le interazioni AM-BP, AM-PQ, AM-QH, MG-BP, MG-PQ,

MG-QH e sommarle. Sia m la forza che agisce tra due elementi paralleli

quando sono perpendicolari alla linea che unisce i loro centri e sia n la forza

che agisce tra AM e BP:

F=ncosαcosβ+msenαsenβcosγ=m(senαsenβcosγ+𝑛

𝑚cosαcosβ).

𝑛

𝑚 viene

preso nullo “senza inconvenienti”; si ottiene così F∼senαsenβcosγ

𝑟2 .

Tenta esperimenti su fili sinusoidali senza approdare, però, ad alcun risultato; idea, però, il

metodo di zero.

Impiega, per i suoi esperimenti, apparati molto complessi e costosi, a scopo dimostrativo più

che esplorativo.

5.4 Michael Faraday (1791-1867)

Imparò a leggere presso un tipografo che stampava per la Royal Institution (istituzione di

divulgazione scientifica dove lavorava, tra gli altri, il chimico Davy, fondatore

dell’elettrochimica). Dopo aver inviato a Davy un commento sulle sue lezioni, è convocato da

questo come apprendista ed inizia, così, la sua attività come chimico.

Nel 1824 è eletto membro della Royal Society.

Compie numerose scoperte, come ad esempio un cloruro di carbonio ed il benzene (1825), e

costruisce nuovi tipi di vetri ottici.

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Nel 1831 scopre l’induzione.

La prima esperienza consisteva di un apparato

come in figura costituito da un toro di legno con

avvolti alle sue estremità due solenoidi collegati,

rispettivamente, l’uno ai capi di un galvanometro

e l’altro ai capi di una pila (che nel frattempo era

stata perfezionata grazie alle ricerche di

Wollaston, Berzelius e Davy). L’idea era quella di

verificare se il campo magnetico potesse generare una corrente.

La seconda esperienza consisteva della

preparazione di due tavole di legno con al di sopra

posti un circuito collegato ad un galvanometro ed un altro collegato ai capi di una pila. Le due

tavole venivano fatte scorrere in moto relativo l’una rispetto all’altra e si osservava la

generazione di una corrente.

La terza esperienza si configurava in modo identico alla prima ma era usato un toro di ferro

dolce in luogo di quello di legno. Si osservava la nascita di una corrente maggiore rispetto ai

casi precedenti.

La quarta esperienza riguardava la ricerca di un effetto magnetico diretto. Nella configurazione

del primo esperimento, era sostituito al galvanometro un cilindro di vetro con un ago all’interno che mutava orientazione a seconda della chiusura o apertura del circuito.

La quinta esperienza consisteva in un apparato composto da

due magneti a barra collegati da una sbarra di ferro dolce sulla

quale era avvolto un solenoide (termine introdotto da Ampere

dal greco sòlen, canale) connesso ai capi di un galvanometro.

Da questi esperimenti, Faraday concluse che:

Dai magneti è possibile generare una corrente

Esiste una identità di azione tra magneti e correnti voltaiche

Quando la corrente si trova nel conduttore con la corrente indotta, il conduttore si trova

in uno stato particolare (stato elettrotonico), che non mostra alcun effetto elettrico noto.

Fu proprio la teorizzazione di questo stato elettrotonico a condurlo, in seguito, alla scoperta dei

fenomeni di autoinduzione e mutua induzione.

Si aggiungeva, così, un ulteriore metodo di generazione di corrente oltre alla pila voltaica ed

alle macchine elettrostatiche (bottiglia di Leida): l’induzione.

Risale al 1832 una serie di esperimenti su pile voltaiche e soluzioni elettrolitiche che lo

condurranno a formulare le due leggi di Faraday:

1. La massa di una sostanza prodotta in corrispondenza di un elettrodo (durante l’elettrolisi)

è direttamente proporzionale alla quantità di carica Δq trasferita a quell’elettrodo

2. La Δq che passa attraverso più soluzioni di elettroliti produce o fa consumare un egual

numero di equivalenti chimici di quella sostanza.

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Si rivolge a Wheawell (linguista inventore del termine “scienziato”) per

elaborare un linguaggio dell’elettrochimica, ed in questo ambito conia i

termini anodo, catodo e ione.

Nel 1833 diviene full professor di chimica presso la Royal Society.

Riporta a considerazioni elettriche il concetto di affinità chimica.

Il passaggio di corrente nei mezzi è favorito da una particolare disposizione

molecolare (una sorta di polarizzazione).

Per quanto concerne la visione della forza nella concezione di Faraday, è bene ricordare che

quest’ultimo ebbe sempre a mente una visione unificatrice non solo di esse, ma delle intere dottrine fisiche che trattavano le singole forze. L’azione, inoltre, non avviene a distanza come

postulato dai newtoniani, ma a contatto.

Già nel 1821 Davy aveva riprodotto gli esperimenti di Oersted concludendone che il filo si

magnetizzasse temporaneamente, e compiendo nuove esperienze basate sull’osservazione di

fili paralleli percorsi da correnti in senso inverso, aveva dedotto si generasse una sorta di

vorticosità intorno al filo; Faraday rigettò le ipotesi di Davy ed introdusse, per spiegare il

fenomeno dell’induzione, il concetto di linee di forza, aprendo la strada al concetto odierno di

“flusso tagliato”. L’evoluzione storica del concetto di linea di forza negli scritti di Faraday si

svolge lungo cinque tappe fondamentali:

1831: memoria sull’autoinduzione: introduzione del concetto di linea di forza magnetica (fittizia) e di stato elettrotonico (reale)

1836-7: introduzione del concetto di linea di forza elettrica e di stato di polarizzazione elettrostatica: stato di sforzo dovuto alle azioni continue in un dielettrico che induce

un’orientazione delle molecole (capacità induttiva specifica)

1840: Hare solleva la questione se queste azioni contigue non siano in realtà a distanza essendoci il vuoto tra le molecole

1846: “thoughts on ray vibrations”: la linea di forza acquisisce significato fisico oltre che geometrico

1852: rinuncia allo stato elettrotonico e piena esistenza delle linee di forza (le interazioni dei corpi sono spiegate con interazioni tra linee di froza).

Faraday fu sempre contrario alla teoria atomista. È del 1844 una lettera di risposta inviata a

Richard Taylor circa dubbi di quest’ultimo su una lezione tenuta da Faraday alla Royal Society.

Al suo interno vi si legge la principale protesta dell’inglese circa le ipotesi atomiste: supponiamo

di considerare un corpo macroscopico isolante, questo sarà fatto di atomi isolanti e spazio

anch’esso isolante. Prendiamo, ora, un corpo conduttore, gli atomi sono conduttori e lo spazio

deve essere conduttore; malo spazio non può essere sia isolante che conduttore, quindi l’ipotesi

di partenza che esistano atomi nello spazio è errata. Riprendendo le teorie di Boscovich,

introdurrà il concetto di materia e di atomo come centro di forza. La materia è un’atmosfera di forza.

Seguirà, inoltre, tre direttrici di indagini:

L’effetto magneto-ottico, e nello specifico il potere rotatorio di alcune sostanze

La ricerca di un effetto elettro-ottico (effetto Kerf), che tuttavia non sarà in grado di individuare

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Il diamagnetismo della materia.

Nel 1846 scriverà in risposta ad una missiva di Richard Phillips, “Thoughts on ray vibrations”,

nella quale l’inglese, trovandosi sempre a disagio nel considerare teorie dell’etere, ipotizza che

la luce sia una vibrazione di raggi.

Ipotizza che tutte le azioni fisiche si propaghino a velocità finita, e nota che la velocità della luce

e quella della propagazione del segnale elettrico sono dello stesso ordine.

Sarà sempre un fermo oppositore dei newtoniani; nel 1852, di fatti, all’interno della memoria

“on the physical character of the lines of magnetical forces”, afferma che le linee di forza e lo stato

elettrotonico non sono compatibili con le azioni a distanza promulgate dalla scuola newtoniana.

Nel 1857, inoltre, dopo la scoperta e l’affermazione del principio di conservazione dell’energia,

interverrà nuovamente contro i newtoniani con lo scritto “on the conservation of force”, nel

quale affermerà che le cause della gravità sono da ricercarsi nelle particelle e nello spazio.

5.5 James Clerk Maxwell (1831-1879) 5.5.1 Panorama storico

In Germania operano Neumann, Lenz, Weber, Riemann, Kirchhoff ed Helmholtz, i quali si

riferiscono a schemi matematici avanzati basati sui concetti di azione a distanza e potenziale

effettivo e compiono ricerche su fenomeni di paramagnetismo.

In Inghilterra Thomson crea un nuovo modello di etere elastico.

Si vede lo sviluppo della dinamica lagrangiana e del formalismo hamiltoniano.

Gabriel Stokes sviluppa il teorema di Stokes e le equazioni di Navier-Stokes.

Vediamo la contrapposizione di modelli elettrici e magnetici ad un fluido (Franklin, Aepinus,

Cavendish, Watson) e a due fluidi (Coulomb, Poisson).

Partendo proprio da questa concezione a due fluidi, Simon Poisson e George Green formalizzano

il modello, e quest’ultimo introduce il concetto di potenziale. William Thomson (Lord Kelvin)

riprenderà gli studi di Green sulla base di analogie tra l’equazione del calore di Fourier e le

equazioni che regolano il comportamento di corpi carichi immersi in un dielettrico; porterà

avanti, inoltre, le considerazioni di Faraday sulle linee di forza geometriche.

La scuola continentale, invece, considera ogni corpo scomponibile in particelle elementari che

agiscono a coppie con interazioni che vanno come l’inverso del quadrato della distanza, e che

poi vanno integrate su tutto lo spazio. In aggiunta a questa visione corpuscolare, si affianca una

considerazione fluidistica che permette l’applicazione di metodi matematici idrodinamici agli altri campi della fisica.

Fresnel, dal canto suo, rigetta le teorie continentali a favore dell’ipotesi ondulatoria.

Georg Ohm riprende l’applicazione di metodi idrodinamici alla corrente. Come Kelvin, nota

l’analogia tra l’equazione del calore ed i corpi carichi immersi in un dielettrico. Postula una

azione a corto raggio, ponendo il primo passo dal concetto di azione a distanza a quello di campo.