Appunti Di Storia Della Chiesa I - Prof. Vacca 2000-01

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APPUNTI DI STORIA DELLA CHIESA I Dalle lezioni del Prof. Vacca LA STORIA DELLA CHIESA - LA CHIESA NELLA STORIA La Storia della Chiesa cerca di ricostruire, con metodi rigorosamente scientifici, il passato della società ecclesiastica, la sua evoluzione attraverso i secoli e i tratti particolari che l’hanno caratterizzata in ogni epoca, così come si possono rilevare attraverso le tracce che questo passato ha lasciato nei documenti scritti (in particolare la varia produzione letteraria dei primi secoli cristiani), nei monumenti archeologici e in altre fonti passate al vaglio della critica storica elaborata da generazioni di eruditi. Lo storico della Chiesa ci descrive le vicende concrete della Chiesa inserite nel quadro più generale degli avvenimenti, senza alcun intento né apologetico né edificante, mosso unicamente dalla preoccupazione di mostrare e spiegare quel che è avvenuto. In altre parole, possiamo dire che la Storia della Chiesa studia le espressioni della Chiesa, il vissuto della Chiesa, come la Chiesa ha, cioè, realizzato e vissuto la sua vocazione. La Chiesa è rappresentata nella Scrittura e nella tradizione patristica o liturgica da una serie di immagini complementari, che mettono ciascuna in luce, in modo speciale, uno degli aspetti di questa realtà complessa, benché sia sempre necessario guardarne altre, per comprenderne la piena portata. La si presenta come l’Arca che ci salva dalla morte, come al tempo del diluvio; come un popolo, il Popolo di Dio, radunato dai quattro angoli della terra per ricevere i suoi doni in un quadro comunitario liberamente accettato; come l’Israele nuovo, erede della promessa fatta al primo; come il Regno di Dio sulla terra, in cui sono già realmente presenti, benché in forma ancora velata, i beni, il cui possesso, farà la gioia dell’eternità; come un tempio, fatto di pietre viventi nel quale è offerto a Dio il solo culto che Gli sia gradito; come la Sposa di Cristo, animata dal suo Signore e legata a Lui da un amore reciproco; come una madre, che genera i cristiani alla vita nuova; come il Corpo di Cristo, che riceve tutta la vita dalla propria unione intima a Lui e che, come ogni corpo vivente, deve presentare una stretta unità delle membra e degli organi nella diversità delle funzioni. La Chiesa, quale Corpo di Cristo, è realtà divina e l’incarnazione del Verbo fonda la Chiesa. Tutte queste immagini non traducono in modo adeguato il mistero totale della Chiesa, ma esse ne evocano gli aspetti essenziali, che devono essere compresi in funzione del piano di salvezza concepito da Dio per l’umanità. Quindi, la Chiesa, come concepita da Dio quale organo della salvezza dell’umanità, in prolungamento dell’opera redentrice del Suo Figlio unigenito, appare così agli occhi del teologo in ascolto della Parola di Dio come un grande sacramento in cui tutto significa sensibilmente e, nello stesso tempo, procura efficacemente la vita della grazia. 1

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APPUNTI DI STORIA DELLA CHIESA IDalle lezioni del Prof. Vacca

LA STORIA DELLA CHIESA - LA CHIESA NELLA STORIALa Storia della Chiesa cerca di ricostruire, con metodi rigorosamente scientifici, il

passato della società ecclesiastica, la sua evoluzione attraverso i secoli e i tratti particolari che l’hanno caratterizzata in ogni epoca, così come si possono rilevare attraverso le tracce che questo passato ha lasciato nei documenti scritti (in particolare la varia produzione letteraria dei primi secoli cristiani), nei monumenti archeologici e in altre fonti passate al vaglio della critica storica elaborata da generazioni di eruditi.

Lo storico della Chiesa ci descrive le vicende concrete della Chiesa inserite nel quadro più generale degli avvenimenti, senza alcun intento né apologetico né edificante, mosso unicamente dalla preoccupazione di mostrare e spiegare quel che è avvenuto.

In altre parole, possiamo dire che la Storia della Chiesa studia le espressioni della Chiesa, il vissuto della Chiesa, come la Chiesa ha, cioè, realizzato e vissuto la sua vocazione.

La Chiesa è rappresentata nella Scrittura e nella tradizione patristica o liturgica da una serie di immagini complementari, che mettono ciascuna in luce, in modo speciale, uno degli aspetti di questa realtà complessa, benché sia sempre necessario guardarne altre, per comprenderne la piena portata.

La si presenta come l’Arca che ci salva dalla morte, come al tempo del diluvio; come un popolo, il Popolo di Dio, radunato dai quattro angoli della terra per ricevere i suoi doni in un quadro comunitario liberamente accettato; come l’Israele nuovo, erede della promessa fatta al primo; come il Regno di Dio sulla terra, in cui sono già realmente presenti, benché in forma ancora velata, i beni, il cui possesso, farà la gioia dell’eternità; come un tempio, fatto di pietre viventi nel quale è offerto a Dio il solo culto che Gli sia gradito; come la Sposa di Cristo, animata dal suo Signore e legata a Lui da un amore reciproco; come una madre, che genera i cristiani alla vita nuova; come il Corpo di Cristo, che riceve tutta la vita dalla propria unione intima a Lui e che, come ogni corpo vivente, deve presentare una stretta unità delle membra e degli organi nella diversità delle funzioni. La Chiesa, quale Corpo di Cristo, è realtà divina e l’incarnazione del Verbo fonda la Chiesa.

Tutte queste immagini non traducono in modo adeguato il mistero totale della Chiesa, ma esse ne evocano gli aspetti essenziali, che devono essere compresi in funzione del piano di salvezza concepito da Dio per l’umanità.

Quindi, la Chiesa, come concepita da Dio quale organo della salvezza dell’umanità, in prolungamento dell’opera redentrice del Suo Figlio unigenito, appare così agli occhi del teologo in ascolto della Parola di Dio come un grande sacramento in cui tutto significa sensibilmente e, nello stesso tempo, procura efficacemente la vita della grazia.

La Chiesa è il popolo di Dio. Questa immagine biblica, che ritorna costantemente nella liturgia, suggerisce che l’umanità rigenerata non è una polvere di individui, ma è raggruppata e strutturata intorno a dei dirigenti responsabili, che presiedono ai destini della comunità. Quindi, Storia della Chiesa è Storia del Popolo di Dio.

Nella Chiesa, tempio dello Spirito Santo, vediamo la vita divina manifestarsi in mezzo agli uomini. Dio non ha voluto che questa manifestazione si sottraesse alle condizioni ordinarie dell’umanità. I teologi attuali insistono molto su quel che chiamano il carattere teandrico della Chiesa, cioè sul fatto che la Chiesa, a immagine del Cristo, insieme vero Dio e vero Uomo e in virtù della Sua incarnazione, è una realtà nello stesso tempo divina e umana. Dice Möhler: «La Chiesa trova la sua natura nella realtà teandrica (=nell’aspetto divino). Infatti, nel mistero dell’Incarnazione, Cristo irrompe nella storia umana, fa propri i valori dell’uomo senza creare lingue nuove e, partendo dalla vita degli altri, con un discorso induttivo, agisce all’interno della vita stessa. Lo storico della Chiesa deve, quindi, cogliere come il Divino si fa storia.

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Certo, è incontestabilmente esatto vedere nella Chiesa, sulle orme della tradizione patristica, un mistero di santità, la Gerusalemme celeste, il Corpo immacolato, senza rughe né macchia, animato dal pneuma o Spirito di Dio e unito indissolubilmente a Cristo.

Oltre allo stabilire cos’era la Chiesa nella Storia, è necessario anche stabilire se si può considerare la Storia della Chiesa come teologia. Su tale quesito sono state diverse risposte:

Joseph Lartz, che in campo profano parla di filosofia della storia, vede la Storia della Chiesa come disciplina teologica, poiché la Chiesa ha origine da Dio e, quindi, lo storico è anche teologo;

H. Jedin dice che la Storia della Chiesa è storia e teologia; Alberigo, invece, dice che la Storia della Chiesa è soltanto storia e non anche

teologia e che la lettura da parte della Chiesa dei fatti storici tocca al teologo.Si tenga sempre presente, in tutto questo, che qui non si fa storiografia, che è la storia

della storiografia della Storia della Chiesa in età antica. Inoltre, non bisogna dimenticare, a proposito delle fonti, che si può attuare una lettura sincronica, ossia una lettura del testo in se stesso, come anche una lettura diacronica, ossia una lettura dello sviluppo del testo per stabilire se il testo ha subito delle modifiche.

LA CHIESA PRIMITIVALa fonte principale che abbiamo a disposizione per conoscere la vita della Chiesa nei

primi decenni è data dagli Atti degli Apostoli. Ma questo libro è scritto da S. Luca, che è un greco, ostile al giudeo-cristianesimo, che scrive per dei greci e, quindi, si interessa poco al cristianesimo di lingua aramaica. Ma proprio questo cristianesimo è il primissimo cristianesimo.

Il contesto giudaico delle origini cristiane ci è fatto maggiormente conoscere dai manoscritti del Mar Morto. La scoperta di Nag Hammadi, in particolare dello Evangelo di Tommaso, ci fanno cogliere una tradizione aramaica dei loghia di Gesù, la cosiddetta fonte Q. Ma sono anche da ricordare gli scritti giudeo-cristiani, la Didachè, la Ascensione di Isaia, le tradizioni dei presbiteri, che vanno a chiarire quegli aspetti che dal Nuovo Testamento non emergono, restano nascosti.

Scrive S. Luca all’inizio del suo vangelo: «Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo (Teofilo è chiunque ama Dio e vuole diventare suo amico), perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto».

Sempre S. Luca scrive poi all’inizio degli Atti degli Apostoli: «Nel mio primo libro ho già trattato, o Teofilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre, quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni».

Nel suo primo libro S. Luca parla di testimonianza evangelica e, ancora, di una trasmissione di messaggio. Trasmissione di messaggio che, prima della stesura dei vangeli, avveniva oralmente. Ecco, allora, che, quando si parla del cristianesimo come la religione del libro, inevitabilmente si va incontro a delle discussioni, perché il cristianesimo non è tanto la religione del libro, come nella tradizione islamica o in quella ebraica, ma è innanzitutto la religione della tradizione. L’evangelista Luca così ci trasmette che all’inizio esistevano diverse tradizioni, diversi modi di vivere l’unico messaggio: tradizioni diverse che facevano riferimento ad un unico messaggio.

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Nei primi decenni della storia del cristianesimo sono sorti diversi tipi di cristianesimo, quindi abbiamo cristianesimi e non cristianesimo, così come abbiamo le Chiese e non la Chiesa. Molto presto, anche dopo Paolo, si determinò una certa varietà di schemi, tradizioni e traduzioni dell’unico messaggio. E una diversa terminologia cristologia o ecclesiologica implica e attesta una diversa coscienza di Chiesa (v. cap. precedente).

Abbiamo, allora, una varietà di modelli, di pensiero e di tradizioni e diversi tipi ecclesiali, ritenuti ortodossi. E richiamandoci in questa logica a S. Agostino possiamo dire che le Chiese, le prime Chiese del Nuovo Testamento e, oggi, anche noi, sono diverse, ma non avverse. Dice, in particolare, S. Agostino: «La diversità non è un impedimento per la comunione; parliamo di comunione ecclesiale o comunione trinitaria appunto perché confessiamo la diversità. Non possiamo parlare di comunione trinitaria se non facciamo riferimento a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, tre Persone distinte».

Da tener presente che le radici della comunità primitiva giudaico-cristiana erano fondate sull’A.T., sulla tradizione giudaica; le altre Chiese non sono legate ad una tradizione: sono soltanto Chiese cristiane-ellenistiche che non avevano avuto rapporti con l’A.T. o con una tradizione giudaica, cioè non conoscevano la tradizione teologica e spirituale del popolo d’Israele, dei cristiani di Gerusalemme, che trovavano nel tempio, nella legge e nella circoncisione i capisaldi della propria teologia.

Non si può fare Storia della Chiesa senza partire dall’evento della Pentecoste, così come non si potrebbe scrivere la storia di Cristo prescindendo dall’Incarnazione: pur essendo avvenimenti che rientrano nella storia della salvezza, si inseriscono nel contempo nella trama della storia empirica. I dati da rilevare nell’evento Pentecoste sono:

il soggetto, che è lo Spirito Santo e la sua missione; l’oggetto, che è la comunità costituita da Gesù; il risultato, che è la predicazione degli apostoli, dispensatori della ricchezza di

Cristo; la data, che è l’ultimo giorno della festa delle Settimane dell’anno 30 a

Gerusalemme.In seguito alla Pentecoste inizia l’attività missionaria, la testimonianza degli

Apostoli: gli apostoli, che avevano ricevuto da Gesù in persona il mandato di annunciare il Vangelo, cominciano ad esercitare i poteri ricevuti dal Signore a partire proprio dall’evento Pentecoste. L’annuncio, il kèrigma, riguarda la risurrezione di Gesù, di cui gli Apostoli sono stati testimoni, poiché l’hanno visto vivo nelle apparizioni tra la Pasqua e l’Ascensione.

Essere stati testimoni del Risorto è una condizione per essere Apostolo. Paolo, infatti, verrà unito ai Dodici in virtù della sua visione.

Un’altra prova della Risurrezione di Gesù sono i miracoli compiuti dagli Apostoli, di cui gli Atti degli Apostoli ci riportano la guarigione del paralitico, come manifestazione della Pasqua, della salvezza operata da Gesù con la sua passione, morte e risurrezione.

L’ultima prova, che riguarda in particolare i Giudei, è costituita dalle profezie. Lo scopo principale del kèrigma è, infatti, quello di dimostrare che le Sacre Scritture si compiono in Gesù di Nazareth, affinché proprio i Giudei si possano convertire a Lui, riconoscendone l’origine divina (da ricordare, infatti, che i Giudei già credono in Dio e nell’A.T.).

All’inizio della missione, durante il cosiddetto concilio apostolico, nacquero delle controversie sulle condizioni di questa tra i pagani. Da queste controversie è evidente l’esistenza di diverse comunità cristiane a Gerusalemme. In particolare abbiamo:

giudei di stretta osservanza, che non condividevano assolutamente un tipo di missione che prescindesse dalla legge, dal tempio e dalla circoncisione (Gal. 2,4);

una comunità tollerante; gli ellenisti cristiani, estranei al mondo giudaico, che erano giudei di lingua

greca che si sentivano un gruppo autonomo e ben consolidato, in netta

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opposizione al primo gruppo dei giudei di stretta osservanza che parlavano l’aramaico.

Le autorità del gruppo dei giudei di stretta osservanza erano coloro che Paolo aveva definito le colonne della Chiesa, mentre come autorità del gruppo degli ellenisti erano stati eletti sette diaconi (v. Atti).

La maggiore ostilità esercitata nei confronti della comunità primitiva è quella dei grandi sacerdoti e dei sadducei. I primi, appartenenti alla casa di Seth, sono molto legati a Roma. Nel 30 il capo famiglia è Anna e il gran sacerdote in carica è Caifa. I secondi sono un partito politico-religioso fedele all’ideale sacerdotale imperniato sul tempio. Entrambi hanno lo stesso interesse, quello di rifiutare qualsiasi innovazione in campo religioso. Gli Atti, ai cap. 4, 5 e 12, ci raccontano di tre persecuzioni operate da loro nei confronti della comunità cristiana. Dopo i primi due arresti per intervento del capitano del Tempio, capo della milizia a disposizione del gran sacerdote per mantenere l’ordine nel Tempio, Pietro e Giovanni vengono rilasciati dopo essere stati citati in giudizio davanti al Sinedrio. Questo dimostra che l’odio dei gran sacerdoti e dei sadducei non era condiviso da tutti (cfr. Atti 5,36, in cui il fariseo Gamaliele interviene a favore degli Apostoli. Il suo discorso è certamente inventato da Luca in quanto si fa riferimento alla ribellione di Tenda avvenuta dieci anni più tardi). La terza persecuzione causò, invece, il martirio di Giacomo. Essa si deve all’intervento di Erode Agrippa I che nel 42 e nel 43 aveva sostituito il gran sacerdote Simone prima con Gionata e poi con Mattia, tutti figli di Anna. È chiaro che Agrippa, per favorirsi l’appoggio della casa di Anna, ha sacrificato Giacomo al loro odio. Questo episodio è di grande importanza storica perché è il primo da potersi datare con certezza. Siamo qui nell’anno 43, l’anno precedente alla morte di Agrippa, avvenuta nel 44 come ci dicono gli Atti e una testimonianza di Giuseppe Flavio.

Atteggiamento ostile nei confronti dei cristiani, ma un atteggiamento molto complesso, l’hanno invece i farisei. Questi sono favorevoli agli ebrei ed ostili agli ellenisti. Rimproveravano, infatti, a questi ultimi il loro distacco dalla questione dell’indipendenza giudaica, dal Tempio che ne era il simbolo, dalla struttura legale di Israele. Nella persecuzione contro gli ellenisti e contro Stefano sono loro ad avere la parte principale (At. 6,12).

Il gruppo più importante della prima comunità è costituito dagli ebrei. Tra di essi vi erano anche dei farisei convertiti. A quest’ambiente appartengono i Dodici. Erano il gruppo più fondamentalista, più attaccato alle tradizioni giudaiche e non poche volte si scontrò con Paolo. Luca, presentando il punto di vista di Paolo, non ne parla molto, ma possiamo ritrovare alcune tracce della Chiesa giudeo-cristiana di Gerusalemme grazie ad alcune fonti che ci parlano dell’importanza della figura di Giacomo, capo degli ebrei. Lo Evangelo degli Ebrei, lo Evangelo di S. Tommaso, gli scritti pseudo-clementini presentano il fratello del Signore come il più importante personaggio della Chiesa.

Altro, ed ultimo, gruppo da considerare è quello degli esseni. Il rapporto cristiani-esseni è certamente singolare. Essi presentano molte analogie nell’organizzazione della vita comunitaria (la condivisione dei beni, i pasti comunitari, …). Ma ciò non implica che la prima comunità cristiana sia un prolungamento della comunità sadochita. È certamente possibile che alcuni esseni siano entrati a far parte della Chiesa cristiana e, insieme a loro, molti dell’ambiente influenzato dalla loro intensa produzione letteraria. È, comunque, molto strano che, nonostante le affinità con i cristiani, degli esseni non si parla esplicitamente nel N.T. Il gruppo sembra essere stato eterogeneo: vi troviamo Giudei palestinesi, come Stefano e Filippo, che potevano appartenere all’ambiente degli Erodi, all’ambiente della Diaspora, come Barnaba che era originario di Cipro. Tra loro vi erano anche dei proseliti, cioè pagani convertiti al giudaismo… tutti, comunque, erano accomunati dall’ostilità nei confronti del sacerdozio ufficiale e delle loro affinità con l’ellenismo.

Gli Atti (21,20) ci dicono che i cristiani provenienti dal mondo giudaico sono «fortemente attaccati alla legge». Essi vivono come un gruppo particolare in seno alla

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totalità di Israele: continuano a far circoncidere i figli, a osservare il riposo del Sabato, a seguire le varie prescrizioni sulla purificazione… apparendo così come un gruppo giudaico molto fervoroso. Tuttavia, essi avevano piena coscienza di formare una comunità particolare. Gli Atti la chiamano έχχλεσίά, termine con cui nella versione della LXX si designava il popolo d’Israele riunito nel deserto (At. 7,38), quasi a dire che i cristiani sono il nuovo popolo di Dio. Mentre, inizialmente, con la parola έχχλεσίά si faceva riferimento solo alla Chiesa di Gerusalemme e, successivamente, a quella di Antiochia, man mano con essa si passò a chiamare la Chiesa universale.

Inizialmente le riunioni si tenevano nelle case private e consistevano nell’istruzione, nella frazione del pane e nella preghiera (At. 2,42). La pastorale svolta dalla prima comunità andava, quindi, oltre l’ambiente kerigmatico, toccando quello catechetico e quello omeletico.

In particolare, vediamo come gli Atti si soffermano sull’aspetto della diffusione del kerigma al di fuori della comunità e non ci parlano del contenuto delle istruzioni svolte durante le riunioni nelle case private. Ma, usando in riferimento a queste istruzioni termini come διδαχή oppure παράχλεσις, ci fanno intuire che si trattava di catechesi ed esortazioni destinate a fortificare la fede e la carità (At. 14,22; At. 15,32) oppure di omelie e colloqui familiari (questi ultimi soprattutto nel caso di grandi assemblee) (At. 20,11).

Ma oltre l’istruzione si teneva anche la frazione del pane, ossia l’Eucaristia. Il presidente, dopo aver reso grazie, benediceva il pane e il vino e, dopo aver steso le mani su di essi, pronunciava le parole del Signore alla cena.

L’Eucaristia era seguita da preghiere di particolare pertinenza degli Apostoli o degli Anziani che presiedevano l’assemblea. Tuttavia, potevano farlo anche altri membri che avevano il dono della profezia. Di essi ci parla Paolo in 1 Cor. 12,28. Le donne, sempre col capo velato, potevano compiere il ringraziamento ma erano escluse dall’insegnamento.

Da quanto qui detto sulle assemblee della prima comunità, emerge che l’elemento fondamentale della prima comunità era l’ascolto.

Gli Atti (2, 45 e altri versetti) si soffermano anche sull’economia della comunità. Riprendendo un po’ il modello delle comunità sadochite, i cristiani mettono tutto in comune, anche se non bisogna dimenticare che questo impegno non era obbligatorio. Una cassa comune permetteva anche di sovvenire ai bisogni dei più poveri, ai quali le prime comunità erano molto attente. Proprio per non trascurare il servizio dei poveri, gli Apostoli ordinano i Diaconi, tra cui Stefano, sentendo il bisogno di veri e propri collaboratori. Questa istituzione riguardava, però, solo la comunità ellenista, perché gli ebrei avevano già dei presbiteri (spesso erano gli anziani della comunità) tra cui spiccava maggiormente Giacomo il Giusto.

LA CHIESA FUORI DI GERUSALEMMEAl di fuori di Gerusalemme, si pensa che in Galilea si sia coniata ben presto una

comunità cristiana. Di essa ci parlano gli Atti al cap. 9,31, anche se solo citandola. A Nazareth sono state scoperte delle iscrizioni giudeo-cristiane arcaiche che attestano un’evangelizzazione molto antica e, d’altra parte, dati i legami familiari di molti apostoli con la Galilea sarebbe inverosimile pensare che essa non sia stata evangelizzata molto presto. I primi cristiani hanno sicuramente avuto molti contatti con le sette presenti in questa zona, soprattutto con gli zeloti. Cullmann ha avanzato l’ipotesi che molti Apostoli provenissero da ambiente zelota, in ogni caso Simone lo zelota, e che, data la loro provenienza dalla Galilea, agli occhi dei Giudei di Gerusalemme, i discepoli di Gesù avrebbero potuto passare per zeloti.

Altra comunità esterna a Gerusalemme era quella di Samaria. Gli Atti collegano l’origine della Chiesa di Samaria all’espulsione degli ellenisti da Gerusalemme, avvenuta nel 37. Tra questi si parla di Filippo, che scende in Samaria (8,5). Inizialmente, pensa Cullmann, gli ellenisti furono ben accolti dai Samaritani: avevano, infatti, in comune

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l’ostilità nei confronti del sacerdozio di Gerusalemme e della Teocrazia del Tempio. Ma a causa dell’ambiente sincretista la missione non ebbe esito felice. Emblematico è l’episodio di Simone il mago. Questi era discepolo di Dositeo, che applicava a sé il brano Dt. 18.15, sul profeta annunciato da Mosè. Entrambi rappresentano una corrente ascetica ed escatologica simile a quella di Qumran, ma con molti elementi magici e sincretici. Quando Simone verrà respinto da Pietro, egli con alcuni discepoli rappresenterà una buona parte della comunità cristiana di Samaria, ponendo le basi per lo sviluppo dello gnosticismo.

Tra i gruppi religiosi presenti nell’ambiente giudaico troviamo anche le sette battiste (Sabei e Masbotei). Sicuramente, agli occhi dei giudei di Gerusalemme, i primi cristiani venivano confusi con gli appartenenti a questo gruppo, sia perché avevano in comune l’importanza attribuita al Giordano, considerato fiume sacro, sia perché Cristo e i Sabei venivano spesso indicati con il termine di Ναξωραιος (osservante).

La missione cristiana toccò anche le città greco-romane della Palestina, per lo più situate sulla zona costiera (Gaza, Joppe, Cesarea…). Qui il rapporto tra gli Apostoli e i pagani fu inizialmente difficile. Da un lato, infatti, i missionari cristiani provenienti dall’ambiente giudaico non consideravano lecito il contatto con i pagani, da un altro lato alcuni, come Pietro, capirono che non si può negare a nessuno la salvezza mediante il Battesimo (cfr. Cornelio).

Oltre a quella di Samaria, nel 37 nacque anche la comunità di Damasco, in seguito all’espulsione degli ellenisti da Gerusalemme. D’altra parte sappiamo che questa comunità ha un’antica origine perché Paolo ci si recò nel 38 per operarvi degli arresti. Questa comunità era, quindi, formata in gran parte da ellenisti e anche da sadochiti convertiti, i quali si erano stabiliti a Damasco già in precedenza.

La città più importante del cristianesimo pagano fu, comunque, Antiochia. Anch’essa fondata nel 37, ricevette la visita di Barnaba nel 42 (questo ci dice quanto fosse importante per gli Apostoli vegliare sulle comunità per mantenere l’unità). Ad Antiochia i discepoli di Gesù furono chiamati per la prima volta “cristiani”. La comunità doveva essere piuttosto consistente, tanto da meritarsi l’attenzione dei Romani e di uno storico come Svetonio, che li chiamò: «Iudaei impulsore Chresto tumultuantes». Antiochia, di fronte a Gerusalemme, viene addirittura così ad essere il centro dell’espansione del Cristianesimo nell’ambiente ellenistico pagano.

Da evidenziare come gli Atti ci dicono che ad Antiochia la comunità era divisa in due: una proveniente dal mondo pagano, un’altra dal giudaismo. Queste non potevano nemmeno celebrare l’Eucaristia insieme, giacché era vietato per gli ebrei consumare i pasti con i pagani e l’Eucaristia, come già detto, avveniva proprio all’interno di un pasto.

Come Antiochia, ad opera di Barnaba ed anche ad opera di Paolo venne evangelizzata gran parte dell’Asia. (cfr. Atti)

LA CRISI DEL GIUDEO-CRISTIANESIMOProprio i primi anni di vita della comunità, anni che sono anche di missione (40-70)

sono segnati avvenimenti molto importanti. A parte la distruzione del Tempio nel 70, che vibrerà un grave colpo al giudaismo e al giudeo-cristianesimo, collochiamo in questo periodo due controversie in seno alle comunità cristiane: quella di Antiochia e quella di Gerusalemme, entrambe avvenute nel 49.

Riguardo la controversia di Antiochia, bisogna ricordare come Paolo, Barnaba e Tito erano rientrati ad Antiochia nel 49 riferendo i risultati della missione tra i pagani. I gentili non erano tenuti ad osservare le prescrizioni giudaiche, tra cui la circoncisione. Ma ecco che, nello stesso anno, arrivano ad Antiochia alcuni giudei-cristiani dichiarando obbligatoria la circoncisione per tutti. Alcuni hanno voluto vedere questi giudei come appartenenti alla tendenza di Giacomo, altri, invece, come Gregory Dix, hanno criticato questa tesi dicendo che fin da principio i pagani non erano tenuti alla circoncisione e questa novità era da attribuire alla situazione politica che il giudaismo viveva in quel momento. Secondo Dix e Danielou, infatti, ammettere i non circoncisi nella comunità

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avrebbe potuto comportare una profonda spaccatura tra il cristianesimo e il giudaismo, come infatti avvenne, in un periodo in cui le rappresaglie tra i nazionalisti israeiliti e Roma si facevano sempre più violente e numerose. Dunque, sotto la spinta di questi nazionalisti, alcuni giudeo-cristiani cercarono di mantenere l’unità con la comunità giudaica, dichiarando obbligatoria l’osservanza delle leggi, prima fra tutte la circoncisione.

D’altra parte, però, Paolo e Barnaba avvertivano il pericolo che correva il cristianesimo se fosse stato ancora legato al destino temporale di Israele. Ecco, quindi, che si riunisce il primo Concilio a Gerusalemme.

Al Concilio di Gerusalemme sono presenti Pietro e Giovanni che rappresentano i Dodici, Giacomo che rappresenta la comunità locale di Gerusalemme, Sila e Giuda tra gli anziani e Paolo insieme a Barnaba. Dalla lettura degli Atti si evince che pian piano viene delineandosi il quadro dell’organizzazione gerarchica della Chiesa delle origini. Gli Apostoli costituivano un ordine a parte ed erano garanti della comunione della Chiesa. Paolo viene considerato uno come loro. Accanto troviamo la gerarchia degli anziani, con a capo Giacomo, e quella dei missionari. La disputa è tra Paolo, in particolare, e i giudeo-cristiani sulla necessità della circoncisione per quanti provengono da ambienti pagani. Alla fine Pietro e Giacomo si pronunceranno in favore di Paolo, precisando che i pagani sono tenuti solo all’astensione dalle carni immolate agli idoli, dalle carni soffocate e dalle fornicazioni (precetti noachici). La concessione dell’evangelizzazione dei Gentili senza l’obbligo della circoncisione dimostra una grande apertura teologica, ma, al tempo stesso, avrebbe dato avvio alla propria autodistruzione, per ricevere poi il colpo di grazia nel 70 d. c. con la distruzione di Gerusalemme.

Tuttavia, non si può certo dire che furono rispettate pienamente le disposizioni del Concilio. Nel 49, infatti, Pietro, durante un viaggio verso una nuova missione, si fermò ad Antiochia, dove dapprima cercò di dividersi tra le due comunità cristiane, ma quando giunsero alcuni della cerchia di Giacomo, decise di non mangiare più con i pagano-cristiani, condizionando anche Barnaba a fare lo stesso. Chiaramente, quando Paolo lo seppe, glielo rinfacciò apertamente.

Quello di Pietro non può, però, essere considerato solamente un gesto di viltà. Il fatto è che, se da una parte Paolo era preoccupato di liberare il cristianesimo dai suoi legami con un giudaismo troppo chiuso che rischiava di ostacolare l’annuncio evangelico, dall’altra Pietro avvertiva il pericolo di una defezione dei giudei-cristiani, cui tuttavia deve dimostrare che era possibile essere fedeli alla fede cristiana ed alla legge giudaica.

In seguito al Concilio inizia l’espansione del Cristianesimo nelle zone pagane. Tale espansione è dovuta essenzialmente a Paolo. All’inizio del 50 Paolo attraversa la Siria e la Cilicia per poi giungere in Galazia nella Frigia del Nord e nella Misia. Egli era partito da Gerusalemme insieme a Sila; a Listra prendono come compagno Timoteo e in Misia Luca, che scriverà gli Atti.

Ma la missione paolina giunge anche in Europa. In Macedonia si ferma a Filippi, dove viene arrestato ma subito rilasciato per il suo titolo di cittadino romano. A Tessalonica predicò in una sinagoga convertendo molti greci, molte donne e anche molti giudei. Alcuni, però, si ingelosirono e cercarono di sobillare il popolo contro Paolo. Ad Atene predicò nell’Aeropago dinanzi a stoici ed epicurei. Infine, va a Corinto dove resta per circa due anni (dal 51 al 52) (cfr. Atti 16/18).

In seguito, Paolo si diresse ad Efeso, dove, nonostante le insistenze, non si volle fermare, preferendo andare a Gerusalemme per salutare i fratelli. Da qui ripartì per Antiochia e ripercorse tutto il tragitto già fatto fino a ritornare ad Efeso. In questa cittadina della Lidia trovò una comunità, che aveva ricevuto l’annuncio di Gesù da un certo Apollo, e ne battezzò i membri, in quanto Apollo aveva impartito loro semplicemente il battesimo penitenziale di Giovanni. In 1 Cor. 2,6-11 Paolo farà riferimento a Apollo: tra le righe possiamo leggere una certa critica nei riguardi della sua predicazione, che presentava i caratteri della gnosi (per gnosi allora si intendeva

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l’apocalittica che rivela i segreti celesti, i nomi degli angeli), di una speculazione fine a se stessa, di una sapienza di questo mondo e non di Dio.

Da notare che, mentre Corinto ed Efeso vengono condizionate da Apollo, in Galazia assistiamo ad una “giudaizzazione del cristianesimo”: i galati, infatti, liberati da Cristo, ritornano in schiavitù tramite l’osservanza delle pratiche giudaiche. Ad essi scriverà Paolo tra il 54 e il 57, cioè durante il suo soggiorno ad Efeso.

Durante la missione di Paolo dobbiamo ricordare gli imperatori e persecutori Nerone e Domiziano, di cui dopo si parlerà più approfonditamente. Qui va ricordato che Tertulliano ci dice che la persecuzione di Nerone può essere definita violenta, poiché bastava il solo nome di cristiani per essere perseguitati, e sistematica, tant’è vero che Nerone promulga un vero e proprio editto contro i cristiani. Ancora, Eusebio di Cesarea ci dice che Domiziano accusa i cristiani di ateismo. L’ulteriore irrigidimento di Roma contro i cristiani è forse dovuto al fatto che essi vengono ancora confusi con i giudei. Ciò che è certo è che i cristiani venivano condannati perché non rinunciavano alla fede in Cristo, abbracciando così una religione considerata rivoluzionaria, perché non aveva carattere nazionale.

Inoltre va ricordato che nel 66 ha inizio la guerra giudaica in Palestina, che si concluderà con il massacro della popolazione giudaica e con la distruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito, nel 70. Siamo, quindi, nello stesso periodo della prima repressione giudaica ad opera dei romani.

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LA CHIESA E L’IMPERO (I – II SECOLO)Nei primi decenni della storia del cristianesimo si ha il regno di Claudio (45-54).

Siamo in un periodo in cui la Chiesa non costituisce una realtà tale da poter porre problemi di ordine sociale e politico all’Impero. I cristiani vengono considerati dai romani come facenti parte di una setta giudaica, come tante. Le fonti romane a proposito di questo periodo storico sono le opere di Svetonio, il quale nel “De vita cesarum” rivela la presenza di cristiani nella comunità giudaica di Roma (49 d.C.).

I problemi per i cristiani iniziano, invece, con la salita al potere di Nerone, il quale, come ci dice Svetonio, «condannò ai supplizi i cristiani, razza dedita ad una superstizione nuova e colpevole». Ma lo storico che ci parla delle persecuzioni è Tacito nei suoi “Annales”. Questi dice chiaramente che l’imperatore aveva accusato nell’anno 54 d.C. i cristiani di essere stati la causa dell’incendio di Roma, visto che erano già aborriti «per le loro infamie». Ma la cosa più importante che troviamo nel racconto di Tacito sono le motivazioni dell’accusa. Accanto al rimprovero di attività sediziosa troviamo quella di covare «odium humani generis». In realtà, questa era un’accusa già rivolta ai giudei, insieme alle accuse di adorare una testa di asino e di incesto, di cui ci parla Giuseppe Flavio.

Tertulliano ci dice che la persecuzione di Nerone può essere definita violenta nel primo periodo, poiché bastava il solo nome di cristiani per essere perseguitati, e sistematica nel secondo periodo, tant’è vero che Nerone promulga un vero e proprio editto contro i cristiani e si ha il martirio di alcuni esponenti della comunità cristiana a Roma. In tale periodo vengono martirizzati anche Pietro e Paolo. I cristiani vengono, in particolare, sottoposti a 3 supplizi: crocifissione, venatio e tunica molesta. Per le donne, invece, si allestivano botti piene d’acqua e si facevano li affogare (cfr. anche Atti dei Martiri).

A Galba, Ottone e Vitellio (68), sotto i quali non si hanno tracce di persecuzione, succedono Vespasiano (68-79) e Tito (79-81); al primo si deve la distruzione deve la distruzione del Tempio nel 70, ma neanche durante il loro impero si hanno tracce di persecuzione. Non si hanno persecuzioni in questi anni forse perché i romani sono impegnati nella repressione giudaica. Ma con Domiziano esse riprendono essenzialmente nei confronti dei parenti di Gesù, al fine di reprimere il messianismo giudaico. Di Domiziano ce ne parlano Clemente Romano ed Eusebio di Cesarea. A Roma, invece, tra gli altri vengono martirizzati il cugino di Tito e Domiziano, Flavio Clemente, insieme alla moglie Domitilla. Quest’ultima, in realtà, fu mandata in esilio a Ponza nel 96. Ma fu soprattutto in Asia minore che si registrano le persecuzioni di Domiziano, cui fa riferimento il Libro dell’Apocalisse.

Questo libro ci parla anche dell’atteggiamento dei cristiani nei confronti dell’Impero. In particolare, se Paolo cercava, secondo quanto ci testimoniano le sue Epistole, di esortare i cristiani a sottomettersi all’autorità imperiale nella paura che la Chiesa venisse coinvolta nell’opposizione dei Giudei contro Roma e a seguire il destino d’Israele, adesso l’Impero diventa il nemico: la bestia che sale dal mare di cui parla l’Apocalisse sembra rappresentare proprio il potere imperiale. Nerone viene identificato con l’anticristo. Il libro di Giovanni, dunque, insieme agli Oracoli sibillini e all’Ascensione di Isaia, testimoniano un atteggiamento diverso dei cristiani nei confronti di Roma rispetto a quello auspicato da Paolo, un atteggiamento sicuramente più ostile.

Ma, nonostante quanto detto appena adesso sull’ostilità dei cristiani verso l’Impero, dobbiamo sempre tener presente che molti cristiani erano comunque considerati ottimi cittadini, leali e sottomessi al potere. I cristiani non erano, quindi, dei ribelli, ma furono ugualmente condannati. Il motivo della condanna è la loro non rinuncia alla fede in Cristo (cfr. Atti dei Martiri). Il cristianesimo non era, infatti, considerata (e non lo sarà fino al 311-313) considerata religio licita. E sarà poi anche considerata religione di stato con Teodosio nel 380-381. Ma nel primo e secondo secolo, secondo quanto leggiamo da Tacito e Plinio, il cristianesimo è considerato il contrario di una religione, ossia una superstizione. Ed attorno a questa “superstizione” nacquero strane credenze, che

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provocavano l’ostilità dei romani. In particolare, i romani erano accusati di ateismo, cene tiestee (da Tieste), ossia mangiare carne dei propri figli, e unioni edipoidee, ossia di incesto.

Nel II secolo, l’ascesa al potere degli Antonimi inaugura un periodo di maggiore tranquillità per i cristiani. È durante il regno di Nerva (96-98) che si colloca la lettera di Clemente, vescovo di Roma, alla Chiesa di Corinto, in cui si erano verificati dei fermenti di ribellione nei confronti dei presbiteri. Clemente dichiara di non aver avuto prima la possibilità di scrivere, a causa del periodo particolarmente turbolento che stavano vivendo (si riferisce alle persecuzioni sotto Domiziano) e approfitta ora di un momento di distensione.

A Nerva succede Traiano (98-117). Possediamo un documento importantissimo riguardo il suo regno. Si tratta della lettera di Plinio il Giovane, proconsole della Bitinia, il quale scrive all’imperatore chiedendogli istruzioni sui processi contro i cristiani. Traiano risponde con una lettera detta Rescritto Traiano, in cui precisa che non bisogna andare alla ricerca dei cristiani per condannarli, bensì bisogna prendere dei provvedimenti contro di loro solo nel caso in cui essi vengono denunciati e decidono di non abiurare. Ma sottolinea anche che non si devono condannare i cristiani sulla base di una denuncia anonima, bensì sulla base di un regolare processo.

Questi due documenti sono importantissimi, innanzitutto perché da essi si evince che i cristiani erano numerosi. E, nonostante alcuni, interrogati a più riprese, rinunciassero a Cristo, era impossibile costringere quelli che erano veramente cristiani, come dice Plinio. Inoltre, quello che espone i cristiani ad una condanna legale non è una legge contro di loro, ma semplicemente il loro nome, la loro appartenenza ad una setta a cui si imputavano i costumi immorali di cui già parlato.

È interessante notare che lo stato di precarietà in cui vivono i cristiani in questo periodo non è dovuto tanto all’atteggiamento degli imperatori, quanto all’ostilità del popolo pagano. È durante il regno di Traiano che il vescovo di Antiochia, Ignazio, subirà il martirio (107)

A Traiano succede Adriano (117-138). Il periodo che coincide con il suo impero è abbastanza tranquillo per i cristiani. Egli, in una lettera ad un proconsole dell’Asia, conferma che non bisogna condannare i cristiani semplicemente su delle accuse, bensì bisogna istituire un processo regolare. Da ricordare che sotto il regno di Adriano si ha la seconda repressione giudaica ad opera di Adriano (132-135).

Segue al trono imperiale Antonino Pio (138-161). Sotto di lui si stabilisce che i cristiani non devono essere perseguitati semplicemente per il loro nome, quanto piuttosto perché rei di una colpa.

Abbiamo, poi, il regno di Marco Aurelio (161-180). Nel suo regno possiamo distinguere due periodi:

1. intorno al 167, nel quale ogni disgrazia, ogni calamità naturale, come ci dice Tertulliano, “sono causati” dai cristiani;

2. dal 174 al 178, in cui si intensificano le persecuzioni in Gallia in modo veramente cruento (in Gallia nel 177 vengono martirizzati circa 59 cristiani).

Marco Aurelio, tuttavia, rimane affascinato dall’atteggiamento dei martiri cristiani. Per l’imperatore filosofo, infatti, la dignità di un uomo, la sua nobiltà d’animo, si misura dalla disposizione interna con cui egli si pone dinanzi al mistero della sua morte.

Segue al potere Commodo (180-192). Sotto di lui muoiono i 12 martiri scillitani (Cartagine). Sia durante l’impero di Marco Aurelio che durante quello di Comodo, i cristiani vengono perseguitati perché vengono identificati con i montanisti, che avevano un atteggiamento di totale rifiuto nei confronti dello Stato e della società in genere. Tra questi ci sarà anche Tertulliano. (il montanismo è un’esplosione di profetiamo).

Dopo Comodo l’Impero resta in uno stato di pericolosa anarchia. Sale al potere Settimio Severo. Sotto di lui e sotto il governo dell’imperatore Massimo il Trace (193-238) assistiamo generalmente ad un atteggiamento molto tollerante nei confronti dei cristiani, dovuto alla tendenza sincretista del popolo romano. Ma non va dimenticato che

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proprio Settimio Severo emise un editto che proibiva il proselitismo ai cristiani, cioè in pratica impedisce la diffusione del cristianesimo. Questo di Settimio Severo fu il primo atto giuridico rivolto direttamente contro i cristiani. Ma è da notare che Severo non intendeva tanto colpire la Chiesa come tale, quanto certe tendenze estremiste. I gruppi colpiti sono, infatti, quelli che si collegano alle tendenze messianiche, in particolare i montanisti.

Fonti di questo periodo sono Tertulliano (Ad Nationes, Ad Martyres, Apologetieum), Eusebio di Cesarea e la sua Storia Ecclesiastica e gli Atti dei Martiri. Eusebio di Cesarea, nel libro V della sua opera, ci dice, in particolare, che durante questo periodo entra a far parte della comunità cristiana anche gente molto ricca, che devolverà, alla propria morte, molti beni alla Chiesa. Ci informa anche che i giudici che portano avanti i processi non sono agguerriti; anzi, se cercano di fare apostatare i cristiani è solo per salvarli.

Durante il periodo da Settimio Severo a Massimo il Trace, come già detto, i cristiani godettero, quindi, per lo più, di uno stato di tolleranza, interrotto solo da brevi periodi di persecuzioni più o meno estese, delle quali non è facile stabilire con precisione la natura e il fondamento giuridico. Stranamente e paradossalmente, in questo periodo di relativa calma, si ha una fase di decadenza morale della Chiesa, mentre è nei periodi di persecuzione che la Chiesa vive momenti di gloria e di grande testimonianza evangelica. In questo arco di tempo, all’inizio del secolo terzo, fino forse alla fine, all’interno dell’impero si ha un periodo di tolleranza, favorito anche dal sincretismo religioso. Sotto Settimio Severo la situazione dei cristiani continuò ad essere quella stabilita dai rescritti degli imperatori Antonimi, da quello di Traiano sino a quello di Marco Aurelio. Gli scritti di Tertulliano ci attestano tale situazione in Africa, dove abbiamo frequenti esplosioni di odio anticristiano, di violenza da parte del popolo.

Rimane da spiegare anche l’esplosione persecutoria avvenuta tra il 202 e il 203, quando si ebbe quella che con maggiore o minore proprietà, viene chiamata la persecuzione dei catecumeni, perché vengono soprattutto perseguitate e chiuse molte scuole di catechismo.

Ad Alessandria fu particolarmente presa di mira la celebre scuola catechetico ed il suo capo, che era Clemente. Anche nelle province africane imperversò, dunque, la persecuzione, della quale i martiri più celebri sono le sante martiri Perpetua e Felicita e altri quattro catecumeni, ai quali si aggiunse spontaneamente il loro catechista Saturo, che li battezzò in carcere.

Successivamente a Settimio Severio salì al trono dell’Impero Antonino Caracolla (211-217). Egli, nel 212, promulga la nota costituzione antoniana, con la quale estendeva il diritto di cittadinanza romana a tutti i sudditi liberi dell’Impero. Ad egli succede Eliogabalo (218-222), durante il cui regno il cristianesimo comincia ad essere considerato come religione lecita all’interno dell’Impero. Nonostante questa apertura verso il Cristianesimo si hanno alcuni tentativi di persecuzione che, tuttavia, vengono circoscritti alle regioni dell’Africa settentrionale.

L’avvento di Massimo il Trace (235-238), proclamato imperatore dai legionari, interruppe la pace di cui i cristiani avevano goduto negli ultimi decenni. Sotto Massimo si ha quella che viene chiamata la persecuzione del clero, all’inizio della quale ci si chiede se l’imperatore abbia promulgato o no qualche editto. Sembra certo che Massimo cominciò con l’epurazione del palazzo imperiale di tutto il personale cristiano, servi e funzionari. Dalle fonti cristiane si ha la notizia che le misure di Massimo ebbero risonanza a Cesarea di Palestina.

Questa persecuzione fu aspra e violenta con molte esecuzioni, sebbene all’inizio si era estesa soltanto alla città di Roma.

Dopo la scomparsa di Massimo il Trace, il Cristianesimo tornò a godere uno stato di tolleranza sotto i Gordiani e Filippo L’Arabo. A Filippo succedette Decio e si ebbe la quasi certezza che sarebbe scoppiata una violenta persecuzione promossa dal nuovo imperatore. I procedimenti contro i cristiani occupano una buona parte del 250 e proprio in questa data l’imperatore promulga un editto che imponeva, non solo a coloro che

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erano conosciuti come cristiani o erano sospettati di esserlo, bensì a tutti gli abitanti dell’impero, un atto di adesione alla religione ufficiale dell’Impero, partecipando ai sacrifici da compiersi agli dei ufficiali. Un tale obbligo imposto indistintamente a tutti i sudditi dell’Impero era da confermarsi con l’attestato scritto dalla commissione preposta ai sacrifici (libellus).

Sembra che l’intenzione di Decio fosse che non si facessero subito molte istituzioni e di convincere i cristiani prima di condannarli. La persecuzione di Decio si estese nelle grandi città dell’Impero: Roma, Alessandria, Cartagine.

LA POLEMICA ANTI-CRISTIANA E L’OPERA DEGLI APOLOGISTI NEL II SECOLOPrima di procedere parlando della Chiesa e dell’Impero nel III secolo e di approfondire

il periodo sotto il controllo dell’imperatore Decio, è bene fermarsi a vedere la polemica anti-cristiana che nasce nel II secolo e, soprattutto, soffermarsi sull’opera degli apologisti.

Dobbiamo innanzitutto dire che l’accoglienza e la diffusione del Cristianesimo erano rese difficili dal fatto che il nuovo culto di questa divinità non era sostenuto da una tradizione (anche se le sue radici in realtà risalgono all’antico popolo d’Israele).

In generale, possiamo dire che, per gli intellettuali del tempo, i cristiani facevano parte di un mondo di mistagoghi orientali, inquietanti per le loro arti magiche e per i loro costumi.

Tra i più importanti testimoni ricordiamo: Frontone, delle cui accuse ci parla Minucio Felice nella sua opera Ottavio. I

cristiani vengono accusati, in particolare, di antropofagismo, incesto e ateismo (inteso non in senso moderno, bensì semplicemente come rifiuto di offrire il culto alle divinità romane). Le accuse di Frontone risalgono all’inizio del regno di Antonino (138-161), ma Giustino fa intendere che esse sono fondate, forse, per quanto riguarda gli gnostici. Il problema era che, agli occhi dei romani, non c’era alcuna differenza tra la Grande Chiesa e le varie sette come quella degli gnostici o dei montanisti.

Luciano di Samosata, un cinico che nel suo De morte Peregrino presenta i cristiani in una veste molto diversa da quella di Frontone. Essi, infatti, non vengono considerati dei criminali, quanto piuttosto dei poveri ingenui che il primo ciarlatano di turno riesce ad imbrogliare.

Crescente, che è anch’egli un cinico, il quale ammira i cristiani perché sono capaci di condurre una vita filosofica, ma li accusa di credulità e di superstizione.

Celso, che nel suo Discorso veritiero espone le ragioni del conflitto, cioè il poco rispetto per gli istituta veterum, la loro misconoscenza della sacralità della civitas romana e, ancora, il loro ostinato rifiuto di sottomettersi al culto dell’Imperatore. Celso ha scorto bene il rapporto e la dipendenza de Cristianesimo dal giudaismo, cogliendo anche il punto di contrasto tra l’antico Israele e il nuovo Israele, tra la tradizione giudaica e quella cristiana, per cui introduce un giudeo che disquisisce contro i cristiani, parlando dei quali li definisce gente fuggiasca, scismatica, apostata dalla legge mosaica e dalla fede tradizionale. Dopo che il giudeo ha confutato il Cristianesimo, Celso stesso confuta il giudaismo, perché così pensa di ledere, di rovinare i fondamenti del Cristianesimo. Secondo Celso, i libri sacri non sono libri storici, la Bibbia non è un libro storico; le narrazioni della creazione e la caduta dei progenitori, così come le narrazioni del diluvio, dei patriarchi, le stima e le definisce delle fiabe, novelle per far gioire i bambini. A suo parere, il popolo giudaico non discende da Abramo, Isacco, Giacobbe, ma da una banda di egiziani ribelli fuggiaschi; Mosè non ha alcuna originalità nella sua legislazione, in quanto ha attinto da altri. L’attesa di un salvatore dal cielo è veramente assurda perché Dio è immutabile. Celso fa anche obiezioni contro Gesù, del quale dice che era nato da una povera donna di campagna, la quale, essendo stata riconosciuta rea di adulterio, era

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stata scacciata dal marito. Dopo che Gesù venne alla luce, si recò in Egitto, dove imparò le arti magiche, delle quali poi si avvalse per ingannare gli uomini e farsi passare per Dio. Celso comprese che il punto principale della fede cristiana è l’incarnazione del Verbo, proclamando l’impossibilità di ciò, perché a suo parere questa contraddice l’essenza di Dio, perché come abbiamo visto, secondo Celso, Dio è immutabile.Celso riconosce anche l’importanza degli argomenti dei cristiani per provare la divinità di Gesù, l’avveramento delle profezie in lui o i suoi miracoli e, perciò, si sforza di demolirli, proponendo una sua tesi razionalistica che ritiene impossibile le profezie che si rivolgono a Gesù e i miracoli compiuti dallo stesso. Quindi, una tesi pagana che ritiene le profezie simili ad oracoli e identifica i miracoli con i fatti prodigiosi operati dai maghi e dai prestigiatori. Infine, secondo Celso, della risurrezione di Gesù, definita il miracolo dei miracoli, dice che è frutto solo della fantasia di una donna isterica.

Dinanzi a tante accuse i cristiani cercarono di dissipare in tutti i modi i pregiudizi su di loro, che via via si erano formati nell’animo dei pagani e nel tentativo di rendere manifesta all’opinione pubblica la vera natura del cristianesimo. Diedero così vita ad un certo numero di opere letterarie di difesa, dette appunto apologie. Tra i maggiori rappresentanti di questo genere letterario troviamo scrittori greci e latini.

Tra gli apologisti greci ricordiamo: Giustino, che è uno dei più importanti letterati cristiani, vissuto sotto il regno di

Antonino. La sua figura è quella del pensatore greco convertito alla ricerca di creare un ponte tra la cultura greca e il cristianesimo. Di lui ci parla Eusebio di Cesarea. Tra i suoi scritti, oltre al Dialogo con Trifone, ricordiamo due Apologie:

o Una indirizzata ad Antonino Pio, che ha lo scopo di giustificare la fede cristiana e di difenderla dalle accuse mossele ingiustamente (qui Giustino confuta la tesi degli accusatori circa l’ateismo dei cristiani, distinguendo le idee dagli uomini;

o Una indirizzata a Marco Aurelio e a Lucio, in cui elabora la teologia del Logos spermatikos, secondo cui il Logos eterno, la verità divina affidata alla Chiesa cristiana può essere ritrovata in germe anche nelle altre culture, sopratutto in quella greca. Ciò spiega come mai alcune verità sono rintracciabili già nei grandi filosofi del passato, come Socrate. La ragione umana, infatti, è espressione del Verbo seminale presente nell’uomo. Tuttavia, solo il cristianesimo è in possesso della verità totale e sicura.

Taziano, discepolo di Giustino, il quale pubblica un Discorso ai Greci, in cui confuta gli errori greci. Mentre il suo maestro aveva un atteggiamento positivo nei confronti della cultura classica, in lui ritroviamo uno sguardo meno benevolo, soprattutto per la filosofia greca.

Atenagora, che nella Supplica ai cristiani, indirizzata a Marco Aurelio ed a Comodo, difende la Chiesa dalle accuse di ateismo, di cene tiestee e di unioni edipoidee, rivelando il contrasto tra la tolleranza che i romani e la legge romana riconoscono a tutti i popoli dell’impero di praticare liberamente i loro culti, e l’intolleranza verso i cristiani, che sono esposti alle sanzioni e alle persecuzioni per il loro solo nomen christianorum, la loro religione.

Lettera a Diogneto, che è uno scritto anonimo in cui l’autore risponde ad un pagano, di nome Diogneto, che gli aveva posto alcune domande. La lettera critica il mondo pagano affermando la verità della religione cristiana rivelata dal Figlio di Dio e descrivendo la condotta soprannaturale dei cristiani. Invita, infine, Diogneto a credere nel Vangelo per ricevere i benefici di Dio.

Teofilo, vescovo di Antiochia che cerca di provare la verità del Cristianesimo dal punto di vista storico.

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Melitone, che indirizza un’apologia all’imperatore Marco Aurelio, i cui frammenti ci sono tramandati da Eusebio di Cesarea. Egli ricorda all’Imperatore che Antonino aveva proibito di introdurre delle innovazioni nei confronti dei cristiani.

Tra gli apologisti latini ricordiamo, invece: Tertulliano, che vive nel periodo in cui sale al trono Settimio Severo, a cavallo

tra il II e il III secolo. Nelle sue opere esalta il coraggio dei martiri, alla cui testimonianza deve la sua conversione, e difende il Cristianesimo dalle accuse dei pagani.Nel 206 inizia a simpatizzare per il Montanismo, fino anche a rompere definitivamente con la Chiesa nell’anno successivo. Egli, infatti, sosteneva un Cristianesimo di lotte, di rifiuto dell’Impero, respingendo ogni contatto col mondo pagano. I vescovi di Roma e di Cartagine, di contro, seguivano una politica più moderata, preoccupati delle condizioni del popolo cristiano e del suo sviluppo. È proprio nel 207 che si colloca la sua pubblicazione del martirio di Perpetua e Felicita, per esaltare l’ideale del martirio e accentuare il suo rigorismo morale. Egli, inoltre, accusò la Chiesa di mondanizzare il Cristianesimo, soprattutto in seguito all’editto di Papa Callisto (217-220) con cui venivano ammesse alla penitenza tutte le colpe. Per Tertulliano ciò era inammissibile poiché alcuni peccati erano considerati da lui e dai montanisti irremissibili, e questi erano l’adulterio, l’omicidio e l’apostasia.Le opere di Tertulliano sono:

o Ad Nationes, che è una difesa del Cristianesimo e, nello stesso tempo, un’accesa polemica e condanna della immoralità e dissolutezza dei costumi pagani;

o L’Apologeticum, indirizzata ai governatori delle province romane e dove l’autore difende il Cristianesimo soprattutto dalle accuse politiche (disprezzo della divinità dell’imperatore, delitto di lesa maestà, ecc.) e rimprovera l’Impero di usare un metodo parziale nel modo di far rispettare le sue leggi, giacchè solo ai cristiani viene negato il diritto di difendersi (e ciò è tanto più grave se consideriamo che solo nella religione Cristiana si sviluppa la pienezza della santità);

o Ad Scapulam, che è una lettera in cui si minaccia del castigo di Dio il persecutore Scapola.

IL NUMERO DECENNARIO DELLE PERSECUZIONIPrima di proseguire parlando della Chiesa e dell’Impero nel III secolo bisogna fare

qualche passo indietro e parlare del numero decennario delle persecuzioni.Per lungo tempo era comune tra gli storici della Chiesa contare dieci persecuzioni dal

secolo primo al secolo quarto. Alcuni diranno che soltanto dieci imperatori erano stati persecutori. Quindi, gli imperatori da Nerone a Diocleziano, cioè dall’inizio alla fine delle persecuzioni sono dieci. Pertanto, in questo arco di tempo di persecuzioni, i Cristiani ogni giorno potevano essere chiamati in tribunale. Nella sua piena formulazione, la numerazione di leggi di persecuzioni si trova in P. Orosio, nella Storia contro i pagani e il numero di dieci lo si riferisce alle pieghe che, secondo il libro dell’Esodo, colpirono il popolo d’Egitto. L’autore qualifica, come primo imperatore persecutore, Nerone; poi Domiziano, Traziano, Marco Aurelio, Settimio Severo, Massimo il Trace, Decio, Valeriano, Aureliano, Massimiliano, Diocleziano.

Dopo la sanguinosa persecuzione di Diocleziano nel secolo quarto, non era stata scatenata alcuna persecuzione, anzi la Chiesa aveva potuto godere di pace e prosperità.

Già Agostino di Ippona, circa un decennio dopo Orosio, rivela la debolezza storica e teologica della tesi di Orosio, perché egli aveva dimenticato altri imperatori che erano stati persecutori anche nei confronti del Cristianesimo, come Giuliano l’apostata e Valente. Riguardo all’ultima persecuzione, Agostino affermava che è certo che essa vi

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sarà. In alcuni contesti la Chiesa non ha persecutori, non viene perseguitata perché i suoi figli non sono testimoni; perché se fossero testimoni sarebbero perseguitati. Le autorità romane, nella loro azione contro il Cristianesimo, si proposero lo stesso scopo che avevano adottato nella repressione di altre religioni straniere.

Con la morte di Pietro, con il suo martirio, coincide la fine di Nerone. L’altra persecuzione, quella di Domiziano, viene riportata in primo luogo dalle fonti cristiane coeve; ne parla intanto Clemente Romano; con essa comincia la lettera ai Corinzi, dove l’autore mette in relazione le tribolazioni del suo tempo con quelle sofferte dalla comunità romana sotto Nerone. Egli non specifica oltre la durata o l’estinzione delle persecuzioni; certamente sembra che sia stata improvvisa. Alcuni passi dell’Apocalisse parlano di tribolazioni che i cristiani hanno sofferto o stanno per soffrire in conseguenza dei provvedimenti domiziani, contro di loro, riguardo il culto all’imperatore da loro rifiutato. In questi passi e nelle lettere anche del N.T., si parla di persecuzioni in atto che riflettono la situazione nelle chiese dell’Asia al tempo di Domiziano. Da essi si ricava che non si tratta di un tumulto popolare nel quale, ad esempio, poté trovare la morte Antima, ma di persecuzione sistematica mossa dall’autorità imperiale. Con Domiziano i cristiani vengono perseguitati solo per il loro “nome”: perché cristiani vengono perseguitati. Forse i Giudei ebbero qualche parte nella persecuzione. Molto importante è la testimonianza di Eusebio di Cesarea nella Storia Ecclesiastica. Lo stesso Eusebio nel Cronicon indica la fonte pagana di queste informazioni, come le informazioni di Brutius e di Dione Cassio, circa le persecuzioni di Domiziano. Dalla citazione di Eusebio vediamo come tra i cristiani troviamo anche gente notabile e non soltanto il popolo, la plebe, addirittura nel campo giuridico, ecc. Svetonio ci dice che Domiziano fece uccidere molti senatori e tra di essi alcuni consolari che furono accusati come “macchinatori di novità”.

Dall’Apocalisse si ricava, dunque, che i Cristiani furono condannati per la loro professione di fede. Secondo Flavio Clemente e Flavio Domitilla furono condannati per empietà verso gli dei, cioè di ateismo. Altri affermano che i Cristiani vengono condannati perché avrebbero adottato costumi giudaici, ma sembra che il delitto di empietà verso gli dei è il motivo principale delle condanne.

Circa l’estensione, i martiri e la durata delle persecuzioni affermiamo, dalle testimonianze di Clemente Romano, di Eusebio, che la persecuzione sembra essersi estesa solo nell’ambito della città di Roma come lo era stata quella di Dione. Dai primi capitoli dell’Apocalisse, dunque, si deduce che essa si estende anche alle province dell’Asia. Circa la durata della persecuzione di Domiziano, se si deve portare fede alle testimonianze di Tertulliano, la persecuzione cessò già prima della morte di Domiziano, che avvenne nel 96, mentre Nerone moriva suicida nel 68.

I colpiti della persecuzione di Domiziano erano stati i cristiani delle classi elevate. Dalla lettera di Ignazio di Antiochia ai Romani si possono ricavare alcune informazioni circa questa persecuzione. Ignazio parla della comunità romana, formata anche da personalità eminenti. La reazione degli intellettuali contro il Cristianesimo troverà la sua espressione nelle opere di alcuni intellettuali di pagani che esprimono il loro disappunto nei confronti delle novità del Cristianesimo, del quale dicevano che era religione inconciliabile con il complesso dei valori religiosi e culturali che la tradizione romana aveva da tempo ormai consacrato.

Testimonianza importante circa le persecuzioni del II secolo è, invece, data dalla Lettera di Plinio a Traiano, relativamente al comportamento dei Cristiani, e dal rescritto di Traiano a Plinio. Questa lettera di Plinio a Traiano ci presenta la diffusione del Cristianesimo tra gente di ogni età, di ogni ceto, dell’uno e dell’altro sesso. La propagazione del Cristianesimo aveva avuto per effetto una caduta del culto pagano. Notiamo, al di là di qualche esagerazione da parte di Plinio, un quadro abbastanza completo della persecuzione. Ancora, nel secondo secolo la religione cristiana è ancora illicita e i seguaci della nova religio sono ogni giorno esposti ad essere denunciati e puniti con la pena capitale. Il rescritto di Traiano, una specie di costituzione imperiale, dice che non bisogna mai dare risposta agli uomini che accusano i cristiani, perché essi

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non hanno credibilità, sono indegni, mancano di correttezza. Bisogna essere, intanto, comprensivi e, poi, non ci possono essere leggi universali. Non bisogna andare alla ricerca dei Cristiani per denunciarli e, senza prove cortissime, non si possono condannare.

Si devono registrare alcuni martiri e circa ciò Eusebio riferisce che Antonino Pio, non solo intervenne a difesa dei Cristiani sollecitato dalle istanze di molti vescovi dell’Asia. Eusebio, parlando della persecuzione di Antonino Pio, si è servito della testimonianza di Melitone, vescovo di Sardi, e di Marco Aurelio. Melitone parlava di lettere inviate da Antonino Pio alle città di Atene, Larissa e Tessalonica e a tutti i greci, nelle quali l’imperatore proibiva sommosse contro i Cristiani. L’altra persecuzione, sotto Marco Aurelio, sembra che sia stata quella più cruenta di tutto il secolo II. Verso gli ultimi anni del regno di Antonino Pio ha origine il Montanismo, movimento entusiastico e fanatico, caratterizzato da intensa attività profetica, da un rigorismo ascetico esagerato a proposito di sostituire alla gerarchia ordinaria, ritenuta superata, gli spirituali ripieni dello Spirito, dall’attesa dell’imminente parusia e come preparazione ad essa l’isolamento completo dal mondo, anzi opposizione al mondo, allo Stato e alle sue istituzioni. Il movimento si diffuse rapidamente nella Frigia e, da parte della gerarchia, ci fu una pronta reazione, in quanto il movimento si presentava come un se paramento del Vangelo e l’instaurazione del regno del Paraclito. Quello che invece colpì maggiormente gli organi governativi furono i riflessi politici e sociali nel movimento, ossia la sua opposizione alla società, allo stato, al mondo; opposizione che arrivava fino a prendere la forma di una vera e propria ribellione. La diffusione del movimento avvenne tra gli ultimi anni di Antonino Pio, verso il 160, e si diffuse anche nel primo decennio del regno di Marco Aurelio. Ecco, quindi, che a causa dei montanisti, che erano cristiani loro stessi, furono perseguitati i cristiani come oppositori dello Stato e come individui socialmente sospetti.

Possiamo riassumere tutto quello che si è detto in questo capitolo in 5 punti:1. la religione cristiana è legalmente proscritta;2. non si hanno persecuzioni generali, come nel III secolo (v. cap. successivo), ma

la persecuzione è comunque in stato latente ed endemico e scoppia qua e là breve e violenta;

3. lo stato non si prende cura di cercare d’ufficio, ma rilascia ciò ai cittadini privati;4. generalmente i magistrati erano più inclini ad assolvere che a condannare (v.

Tertulliano).

LA CHIESA E L’IMPERO (III SECOLO)A questo punto è possibile parlare della Chiesa e dell’Impero nel III secolo.La seconda metà del III secolo è un periodo di grandi cambiamenti per l’Impero:

crollano le antiche istituzioni romane, ha inizio un periodo di anarchia, le pressioni dei popoli vicini e lontani si fanno sempre più insistenti. In questo quadro la Chiesa si colloca via via come la più grande forza spirituale dell’Impero, pronta ad animare la nuova era che si avvicina sempre di più, soppiantando il paganesimo.

Al trono imperiale, nel 250, sale Decio (250-253). Sotto il suo regno scoppia la prima persecuzione decretata dall’Impero. Decio persegue più che altro un fine socio-politico: vuole impossessarsi dei beni della Chiesa per rimpinguare le casse dello stato sempre più povero. Per questo, come ci riferisce Eusebio di Cesarea nel libro VI della sua opera, non viene condannato tanto il popolo quanto i vescovi e i presbiteri, tra cui Fabiano a Roma, Alessandro in Palestina e Dionigi ad Alessandria. La fonte sopra citata e l’epistolario di Cipriano ci riferiscono che queste persecuzioni vengono estese a tutto l’Impero, non solo alla città di Roma. L’editto obbligava tutti a sottomettersi ai culti romani. Insieme a molti martiri troviamo anche molti lapsi, cioè coloro che hanno scelto di abiurare e che fornivano i nomi dei cristiani alla Stasi, una sorta di polizia segreta. Eusebio ci dice che ad Alessandria e a Gerusalemme i laici martiri erano molti (come molti erano i lapsi) e che essi erano per lo più di alta classe. Talvolta, alcuni cristiani

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riuscivano a procurarsi un documento che serviva a certificare la loro abiura anche di nascosto e senza aver mai rinunciato mai alla loro fede in Cristo. Sono i cosiddetti libellatici, da libellus che significa certificato. Ma a causa delle persecuzioni nacque il problema in seno alla Chiesa della riammissione dei lapsi nella comunità. Alcuni presbiteri di Roma scrissero persino una lettera al vescovo di Cartagine, Cipriano, per chiedere consiglio a proposito. La stessa fu mandata ai vescovi di Sicilia (ciò attesta che la comunità cristiana in questa regione era già molto fiorente). Tale problema fu così acceso da causare due scismi, quello di Cartagine e quello di Roma.

Lo scisma di Cartagine avvenne durante il Concilio dei 252, durante il quale Privato di Lambesa fece consacrare vescovo Fortunato, nemico di Cipriano. Così la Chiesa si spaccò in due, una parte a favore del vescovo Fortunato, un’altra a favore di Cipriano. Lo scisma si ricompose molto presto a favore di quest’ultimo. Per quanto riguarda la disciplina penitenziale, primo conflitto che si rivela in occidente, Cipriano non escludeva la funzione dei «confessori», né rifiutava la possibilità che i lapsi venissero riconciliati. Tuttavia insisteva sulla necessità di una severa e prolungata penitenza. La riconciliazione, inoltre, doveva essere accordata con molta cautela, solo dopo aver accertato la reale conversione del penitente, salvo in punto di morte. In sostanza, quella di Cipriano non fu altro che la posizione di tutta la Chiesa.

Lo scisma di Roma è, invece, anche chiamato scisma Novaziano. Questo perché, intorno al 250, l’africano Novato aveva proposto al presbiterio romano la riammissione immediata dei lapsi, convincendo Novaziano a sostenerlo. Questi era uno dei presbiteri più dotti e più in vista di Roma, candidato all’episcopato. Ma, quando fu consacrato vescovo Cornelio, al suo posto, cambia immediatamente posizione, diventando un rigorista e affermando con vigore che bisognava rifiutare la possibilità di rientrare a far parte della Chiesa a quanti avevano abiurato. Così Cornelio fu costretto a convocare un concilio che condannò Noviziano. Questi, intanto, si era fatto consacrare vescovo da alcuni vescovi meridionali, provocando uno scisma che durò quasi due secoli.

A questa vicenda partecipò anche Cipriano con una sua lettera sull’unità della Chiesa, in cui il vescovo di Cartagine afferma con forza e incisività la necessità per un cristiano di rimanere fedele alla Chiesa: «Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre». Questo documento è importantissimo perché rivela come nella coscienza delle comunità cristiane si fa sempre più strada l’idea di una Chiesa fondata principalmente sugli Apostoli, sottolineando meno la visione paolina dei tre pilastri reggenti: i profeti, i dottori e gli apostoli. Un’altra fonte importante per questo periodo è Eusebio, che nel libro VI riporta una lettera di Dionigi a Novaziano.

Dobbiamo qui ricordare un’altra questione: quella circa la validità del battesimo conferito da eretici. La validità di questo tipo di battesimi non era riconosciuta da gran parte della Chiesa. Questi battesimi non erano riconosciuti validi nemmeno da Cipriano e dai concili riuniti a Cartagine nel 255 e nel 256. Il problema si sollevò nuovamente e rumorosamente in seguito alla diffusione in Africa dello scisma di Novaziano. Rimase alla fine principio della Chiesa quello di ritenere validi questi battesimi, se si sono svolti nelle condizioni richieste. Tale affermazione, contro Cipriano, la portò avanti Stefano, vescovo di Roma e testimone della tradizione.

A Decio doveva succedere il figlio Ostiniano, ma il comandante dell’esercito, Treboniano, si fece acclamare Imperatore, sostenuto dal senato e i cristiani ebbero un periodo di pace. Dopo il regno di alcuni mesi di Emiliano, sale al trono Valeriano. Questi, in un primo periodo, dal 253 al 257, assume un atteggiamento piuttosto tollerante e benevolo nei confronti dei Cristiani, ma nell’anno 257 comincia a cambiare politica ed emana un editto, con il quale proibisce il culto cristiano e le riunioni nei cimiteri e obbliga i membri della gerarchia a sacrificare.

Queste persecuzioni coinvolgono innanzitutto il laicato più in vista e la struttura gerarchica e sono causate da diversi fattori:

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l’influenza esercitata da Macriano sull’Imperatore (Macriano era un membro importante delle confraternite pagane d’Egitto animate da grande odio verso i cristiani);

la situazione finanziaria dell’Impero sempre più disastrosa, al punto che l’Impero tende ad accaparrarsi i beni ecclesiastici;

la situazione sociale disastrosa (le invasioni dei barbari, le epidemie di peste), di cui i cristiani risultavano colpevoli.

Tra le tante vittime di questa persecuzione ricordiamo S. Cipriano, il cui martirio è descritto negli Atti dei Martiri.

Un secondo provvedimento, peggiore del primo, fu quello del 258 con cui si ordina l’immediata esecuzione di quanti ancora non avessero sacrificato agli dei, sia che ricoprissero alte cariche, sia che appartenessero al volgo.

Nel 260 Valeriano viene imprigionato e fatto imperatore il figlio Galliano, che pone fine alle persecuzioni con un editto di tolleranza (Editto di pace di Galliano). Questo editto anticipa quello di Cicinio e di Costantino (312). Galliano inaugura un quarantennio di pace, fatta eccezione per il periodo in cui regnò Aureliano (270-275). Galliano restaurò l’ordine dell’Impero, mantenendo salde le frontiere contro la pressione dei barbari. È una lettera di Dionigi di Alessandria che ci informa della promulgazione dell’editto di tolleranza nel 262 a favore dei cristiani. Questo rescritto autorizzava il culto nelle chiese, che dovevano, quindi, essere restituite ai cristiani. Un altro rescritto li autorizzava ad entrare in possesso dei loro cimiteri. Tali provvedimenti non fanno ancora del cristianesimo una religio licita, ma costituiscono un riconoscimento di fatto.

Abbiamo anche testimonianze su Aureliano che ci arrivano da Eusebio. Aureliano tentò di rivalutare la tradizione religiosa antica attribuendosi i titoli di Dio, Sole e Signore. Costruì un tempio al dio sole e istituì un collegio di sacerdoti, chiamati pontefici del dio sole.

Questo rimane, comunque, un periodo di grande importanza per una Chiesa che appare sempre più organizzata. I legami tra i vescovi e le autorità civili si fanno sempre più stretti e i cristiani riescono finalmente ad inserirsi nell’amministrazione dell’Impero, ricoprendo persino cariche molto alte.

Continua in questo periodo la produzione letteraria antigiudaica e anticristiana, soprattutto per mano di un neoplatonico di nome Porfirio. Nel suo Contro i cristiani egli, con un tono polemico e sarcastico, attacca il cristianesimo e libri sacri, gli apostoli e gli evangelisti, accusandoli di essere dei falsari, pieni di contraddizioni. Pietro e Paolo vengono accusati di essere inventori di culti senza senso e i dogmi dell’incarnazione e della resurrezione di Gesù definiti assurdi. I Cristiani capirono subito l’importanza demolitrice dell’opera di Porfirio, così alcuni scrittori rivolsero la loro attenzione allo studio dei testi sacri anche per dimostrare l’attendibilità dei vangeli.

Dopo un quarantennio di relativa calma si ha la grande persecuzione di Diocleziano, che prima di procedere contro i cristiani, usa prudenza: non può non tenere conto del fatto che essi sono integrati in funzioni vitali dell’Impero. Con questa persecuzione l’Impero pagano tenta per l’ultima volta, in maniera violenta e sistematica, di annientare il cristianesimo. Molte sono state le cause che hanno spinto Diocleziano ad usare misure così forti, tra cui la convinzione che il cristianesimo fosse da ostacolo alla ricostruzione in vari settori della vita dell’Impero. Diocleziano aveva, infatti, cercato di riorganizzare la vasta estensione dell’Impero, istituendo una tetrarchia. Ogni tetrarchia è retta da due augusti affiancati da due cesari. In verità, è proprio ad uno di questi augusti, di nome Galerio, che Lattanzio attribuirà la responsabilità della persecuzione che si svolgerà dal 303 al 304. In meno di un anno 4 editti presentarono tutta la severità dell’atteggiamento di Roma nei confronti dei cristiani:

I Editto: decretò la distruzione delle chiese e dei libri sacri, l’interdizione del culto e la destituzione dei cristiani dalle alte cariche;

II Editto: ordinò l’arresto dei capi delle chiese; III Editto: ordinò il rilascio di quanti acconsentivano a sacrificare;

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IV Editto: obbligò tutti gli abitanti dell’Impero a sacrificare, pena la morte.La persecuzione di Diocleziano ha profondamente colpito la vita della Chiesa, sebbene

la violenza e la durata sono state diverse a seconda delle regioni. In Gallia e in Britannia, per esempio, venne applicato solo il primo editto. Più intensa fu in Africa e in Italia, ma ancor di più Oriente.

A Diocleziano, che abdica, succedette come Augusto in oriente nel 304 il pagano Galerio e il nuovo Cesare fu Massimino Daia, con il quale la persecuzione assumere un carattere ancora più sistematico. Si organizzano manifestazioni contro i cristiani e nelle scuole venne introdotto come testo scolastico obbligatorio gli Atti apocrifi di Pilato, blasfemi nei confronti di Gesù. Eusebio di Cesarea, nella sua opera I martiri palestinesi ci fa conoscere nei dettagli le barbarie dei sacrifici e il coraggio delle vittime.

Malgrado la sua violenza, la persecuzione fu un fallimento e Galerio nel 311, in punto di morte, fu costretto a promulgare a Neomedia un editto di tolleranza, con il quale il Cristianesimo diventa religio licita ma non ancora di stato (cosa che avverrà con Costantino). Il suo successore Massimino, dopo appena sei mesi, riprese la persecuzione, ma costretto dagli altri Augusti, Costantino e Licinio, ristabilì la pace religiosa.

Costantino era un pagano convertitosi al Cristianesimo che regnò dal 306 al 337, dopo la sua vittoria su Massimino Dacia. Subito appena salito al poter, nel 313, il suo collega Licinio emette, d’accordo con lui, un’ordinanza, nota come Editto di Milano, con la quale accorda benefici ai cristiani, soprattutto, la libertà di religione. In realtà, l’editto non deve essere ancora considerato come un atto di predilezione di Costantino nei riguardi dei cristiani. Piuttosto come un desiderio dello Stato di essere neutrale in materia di religione e di assumere un atteggiamento equo. Dal punto di vista pratico, si stabilisce che si restituiscano alla Chiesa i beni confiscati durante le persecuzioni, a partire da quelle di Diocleziano. Il testo sembra indicare che il Cristianesimo era già tanto importante da non aver bisogno soltanto di edifici per il culto, ma anche di luoghi adatti per ospitare i responsabili del governo della Chiesa. L’editto è una lettera per il governatore della Bitinia

Di grande importanza anche i quattro documenti in cui Costantino, intuendo che il fenomeno Cristianesimo non era più contenibile, ricerca una fusione tra lo Stato e la Chiesa, per dare all’Impero una nuova unità politico-religiosa.

Ecco, quindi, che i vescovi vengono riconosciuti come giudici e la domenica dichiarata festa obbligatoria. La Chiesa viene anche riconosciuta come soggetto giuridico capace di comprare, vendere e ricevere donazioni e proprietà. Nel 319 la condotta morale della Chiesa venne assunta dallo Stato, per cui vengono abrogate alcune leggi riguardanti il celibato, emanate leggi contro i ratti a scopo di matrimonio, contro la prostituzione, il concubinato, vengono presi provvedimenti per rendere più difficile il divorzio, per favorire gli schiavi e proteggerli dalle angherie dei loro signori. Inoltre, l’Impero comincia a chiudersi al paganesimo; infatti sarà vietato sacrificare agli idoli e costruire tempi pagani.

A Costantino seguirono, poi, imperatori cristiani e, quindi, la pace e il progresso della Chiesa. E finalmente il Cristianesimo è riconosciuto come religione di stato. L’unico imperatore che tornò al paganesimo e che con sé voleva portare anche l’Impero fu Giuliano l’Apostata (361-363).

Prima di proseguire vedendo come si è arrivati al primo Concilio per, quindi, esaminarlo ed esaminare anche i successivi, è bene soffermarsi su alcuni aspetti della vita della Chiesa del tempo.

Riguardo l’evangelizzazione, vediamo che, in genere, è opera delle donne (all’epoca avevamo vergini, vedove e diaconesse), che avranno un ruolo determinante, decisivo. Eusebio di Cesarea dirà che l’opera di evangelizzazione è portata avanti da alcuni apostoli itineranti. L’opera di evangelizzazione è opera di tutti i cristiani, e non solamente dei presbiteri, dei vescovi.

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Essi vendevano tutto ciò che avevano per poi portare il lieto annuncio dove urgeva la loro presenza. Essi venivano accolti dalle singole comunità cristiane in cui si trovavano e venivano ospitati per tre giorni, dopo i quali dovevano partire oppure dovevano trovarsi un lavoro, rendendosi così indipendenti economicamente.

Tra la rinuncia ai beni e l’annuncio del Cristianesimo si predicava la lieta novella e i cristiani erano visti dai pagani come tessitori, calzolai, manovali, tutta gente profondamente ignorante e priva di ogni forma di educazione come viene evidenziato da Celso. Con Giustino, la dottrina cristiana s’identifica con la vera filosofia, e i cristiani vengono definiti filosofi e, quindi, con l’afflusso di questi filosofi, ebbe inizio una nuova tappa dell’evoluzione. Quindi, il livello culturale dei cristiani è più elevato e, di conseguenza, l’evangelizzazione si fa più profonda e puntuale.

Il fervore cristiano viene accompagnato dalla competenza e dalla scienza dei cristiani. Gallieno, a proposito dei cristiani che evangelizzano, dirà che la maggior parte della gente attingeva la propria fede dalle parabole, avevano un forte disprezzo per la morte e taluni si astenevano dall’unione sessuale.

Da sottolineare ancora che l’opera di evangelizzazione della Chiesa arriva a Roma e parte da Roma, perché Roma è capitale dell’Impero e non tanto perché sede del vescovo di Roma.

Riguardo l’organizzazione ecclesiastica, parlando di ciò, parliamo anche dei vari ordini presenti nella vita della Chiesa delle origini: episcopale, presbiterale e diaconale. Accanto ai diaconi, secondo quanto è contenuto negli Atti degli Apostoli, troviamo anche le diaconesse che si recavano a visitare a domicilio le cristiane residenti in case di pagani e, soprattutto, erano presenti nell’opera di evangelizzazione della Chiesa, soprattutto nel mondo femminile. Le diaconesse le troviamo anche presenti nelle celebrazioni del battesimo, dove esse aiutavano le catecumene che dovevano ricevere il sacramento.

Nei primi secoli della vita della Chiesa, non è molto chiara la distinzione tra presbiteri ed episcopi, identificati molto spesso tra di loro. Nel quarto ed inizio del quinto secolo, con Giovanni Crisostomo, tutti i vescovi saranno apostoli, profeti e dottori e si occuperanno della vita di consacrazione delle sante vergini e tutti i Padri della Chiesa scriveranno un trattato sulla vita religiosa.

Il vescovo, chiamato Pastore, viene chiamato anche spesso Padre e doveva svolgere nei confronti della sua Chiesa le stesse mansioni che un padre di famiglia generalmente svolge nei confronti della propria famiglia. Inoltre, il vescovo doveva essere irreprensibile, sposato una sola volta, sobrio, cortese, ospitale, capace di insegnare, pacifico, farsi obbedire dai figli, avere molta dignità.

Per quanto concerne anche l’organizzazione dell’evangelizzazione, abbiamo detto che ha avuto molta importanza l’opera delle diaconesse, ma soprattutto bisogna dire che il ruolo di preminenza è stato riscontrato nei nuclei familiari cristiani. Quindi, la casa era la cellula madre del servizio evangelico e, quindi, luogo di riunione dei convertiti.

Riguardo la vita ecclesiale, infine, bisogna ricordare l’Imperatore Giuliano che, parlando dei cristiani, dirà che il loro segreto consisteva nella cura del seppellimento dei morti, nel senso di umanità, nella qualità dell’accoglienza degli stranieri. Lattanzio, parlando del Cristianesimo, dirà che è la grazia, grazia per amore, soccorrere, difendere gli altri uomini.

La Didascalia degli apostoli descrive la comunità cristiana come una comunità dedita alle attività umane e, in questa comunità, il vescovo di riservava la distribuzione dei soccorsi, in quanto egli conosceva bene le persone bisognose. Il diacono stava sulla porta ogni domenica per accogliere i fedeli, dei quali gli era noto ogni viso. Egli doveva essere l’orecchio del vescovo, la sua bocca, il suo cuore e la sua anima. Un’attenzione particolare per i Cristiani è riservata nei confronti dei poveri e, in particolare, degli orfani e delle vedove. Il vescovo si occupava del matrimonio della ragazza orfana provvedendo alla dote necessaria per il matrimonio.

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Per quanto riguarda la carità, nessuna Chiesa delle origini fu pari in carità appunto, alla Chiesa romana: lo stesso Ignazio d’Antiochia la chiama presidentessa della carità, espressione tradotta in quella che per la sua carità ha meritato il primo posto.

Per quanto concerne gli spazi liturgici, nell’età apostolica si battezza nei fiumi e vicino alle fonti. Secondo Tertulliano, Pietro avrebbe battezzato nel fiume Tevere come Giovanni nel Giordano. Una delle cure particolari dei cristiani era l’attenzione riservata ai cimiteri. Nei primi secoli non si ha una grande attenzione nei confronti dei cimiteri, cosa che avverrà subito dopo le grandi persecuzioni e, in particolar modo, ci si prenderà cura delle catacombe cristiane. Quindi, i luoghi dei martiri saranno i luoghi di raduno dei Cristiani, specialmente a Roma. La casa, invece, dove si ci riuniva era chiamata Domus ecclesiae. Dal IV secolo in poi, nella Domus ecclesiae verrà amministrato anche il battesimo.

Circa l’altare, doveva essere uno, inizialmente esso era dato da una semplice mensa e il trono del vescovo era situato tre gradini più alto rispetto al livello della mensa, secondo quanto ci è riportato nel Testamentum Domini.

I CONCILI ECUMENICI: ETERODOSSIA E ORTODOSSIA

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