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1 APPUNTI di ECONOMIA MONETARIA (CORSO PROGREDITO) Giancarlo Bertocco* Corso di Laurea Magistrale Anno Accademico 2010-11 *Questo testo è stato realizzato sulla base degli appunti presi durante le lezioni tenute nell‟anno accademico 2009-10, dalle studentesse Debora Diana e Federica Geranio che ringrazio.

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APPUNTI di

ECONOMIA MONETARIA

(CORSO PROGREDITO)

Giancarlo Bertocco*

Corso di Laurea Magistrale

Anno Accademico 2010-11

*Questo testo è stato realizzato sulla base degli appunti presi durante le lezioni

tenute nell‟anno accademico 2009-10, dalle studentesse Debora Diana e Federica

Geranio che ringrazio.

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Indice

Presentazione del corso (Le due interpretazioni della crisi) 3

PARTE PRIMA: LA TEORIA MAINSTREAM (NEOCLASSICA)

DELLA FINANZA

1. Moneta e credito secondo la teoria mainstream 31

2. Il ruolo degli intermediari finanziari 39

3. Finanza e crescita economica 44

4. La neutralità della finanza: l’analisi di Merton e Bodie 53

PARTE SECONDA: LA TEORIA KEYNESIANA DELLA FINANZA 59

1. La moneta bancaria e la natura del credito (Cannan/Schumpeter/Hicks) 62

2. Moneta bancaria e fluttuazioni del reddito e dell’occupazione 71

2.1 Teoria della preferenza per la liquidità e fluttuazioni del reddito 72

2.2 La teoria dei fondi mutuabili 85

2.3 La risposta di Keynes alla teoria dei fondi mutuabili 93

2.4 Decisioni di investimento, aspettative e incertezza 101

2.5 Moneta bancaria e decisioni di investimento 106

2.6 La spiegazione delle fluttuazioni del reddito e dell’occupazione 108

3. Speculazione e intraprendenza nell’analisi di Keynes. 111

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Presentazione del corso (Le due interpretazioni della crisi)

Un corso di economia monetaria si occupa, evidentemente, di moneta.

Occuparsi di moneta significa spiegare qual è il ruolo della moneta nel sistema

economico.

Nel corso di Macroeconomia abbiamo descritto modelli macroeconomici in cui

compare il mercato della moneta: Domanda e Offerta di moneta.

I concetti di domanda e offerta di moneta sono importanti.

Cosa significa domandare moneta? Non significa desiderare moneta.

Moneta fondo di valore: componente della ricchezza, domandare moneta

significa decidere di impiegare una parte della ricchezza in moneta.

Offerta di moneta: creazione di moneta

Quantità di moneta esistente vista da due prospettive diverse: chi crea moneta, chi

possiede moneta.

Nel corso di Macroeconomia abbiamo visto due diverse teoria della moneta, due

diverse spiegazioni del ruolo della moneta.

TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA, teoria neoclassica della moneta.

TEORIA KEYNESIANA DELLA MONETA.

TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA, Principio della neutralità della

moneta. Cosa significa?

Non significa che la moneta è irrilevante poiché essa riduce i costi dello

scambio rispetto ad una economia di baratto.

La quantità di moneta non conta; reddito e ricchezza di un paese non

dipendono dalla quantità di moneta in circolazione. Y e N dipendono da

fattori reali, non da fattori monetari. Economia di mercato, basata sul sistema

dei prezzi, raggiunge spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione grazie

a: i) flessibilità dei salari; ii) flessibilità del tasso di interesse. (vedere

successivamente)

Variazioni di M influenzano i prezzi; l‟inflazione è un fenomeno monetario.

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TEORIA KEYNESIANA DELLA MONETA. Afferma il principio della non

neutralità della moneta.

Keynes critica la teoria neoclassica: afferma che una economia di mercato

non è in grado di raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena

occupazione.

Una economia di mercato è caratterizzata da fluttuazioni del reddito e

dell‟occupazione che dipendono dalle fluttuazioni della domanda aggregata:

D Y non vale la Legge di Say (vedere successivamente)

La moneta non è neutrale perché è un elemento importante per spiegare le

fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione.

Per Keynes un‟economia monetaria non è semplicemente una economia in

cui si usa moneta, ma è una economia in cui la presenza della moneta è un

elemento importante per spiegare le fluttuazioni del reddito e

dell‟occupazione; per spiegare perché non c‟è piena occupazione

Modello IS-LM: MrIY

Questa è una sintesi di alcuni argomenti trattati nel corso di macroeconomia; in

questo corso di occuperemo di un argomento strettamente collegato alla moneta:

la FINANZA.

In questo periodo storico esiste una ragione particolare che giustifica l‟attenzione

per il tema della Finanza e della relazione tra Moneta e Finanza ed è costituito

dalla profonda crisi economica che ha colpito l‟economia mondiale a partire dalla

seconda metà del 2007.

In questi anni sono stati pubblicati moltissimi lavori che analizzano le cause della

crisi e tutti questi lavori sottolineano che all‟origine della crisi economica c‟è stata

una crisi finanziaria; questo rende particolarmente importante studiare il

fenomeno della finanza.

L‟obiettivo di questo corso è studiare il ruolo macroeconomico della Finanza e

quindi analizzare le cause della crisi.

Cominciamo a dare una prima definizione di FINANZA.

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Il fenomeno della Finanza si fonda sui concetti di Debito e di Credito. Un

sistema finanziario è costituito dall‟insieme dei mercati, degli strumenti

finanziari e delle istituzioni che rende possibile e che gestisce queste relazioni

di debito e di credito. Quindi l‟importanza macroeconomica del sistema

finanziario è legata al numero di creditori e debitori e all‟ammontare dei questi

contratti di debito/credito.

Esiste una stretta relazione tra MONETA e FINANZA perché la moneta è

l‟oggetto tipico del rapporto tra creditori e debitori. Il tipico contratto che lega

creditori e debitori è quello con il quale il creditore cede una certa quantità di

moneta al debitore il quale si impegna a restituire al creditore, ad una certa

scadenza futura, lo stesso ammontare di moneta aumentato di un premio

costituito dal tasso di interesse.

Questa semplice definizione di Finanza ci permette di dare una prima definizione

del concetto di CRISI FINANZIARIA.

Si ha una crisi finanziaria quando un numero significativo di debitori non è in

grado di restituire il prestito ottenuto.

La crisi finanziaria che ha dato origine alla crisi economica mondiale è stata

provocata dalla insolvenza di una particolare categoria di debitori; si tratta di

coloro che, soprattutto negli Stati Uniti, avevano sottoscritto una particolare tipo

di mutui costituito dai MUTUI SUBPRIME.

Per descrivere le caratteristiche di questi mutui subprime consideriamo, in primo

luogo le caratteristiche di un mutuo. Un mutuo è un prestito garantito dal valore

del bene che viene acquistato con questo finanziamento, ad esempio una

abitazione. In caso di insolvenza del debitore, il creditore ha il diritto di vendere

il bene che è oggetto della garanzia, la casa, ottenendo in questo modo il rimborso

del prestito.

Il mutuo è quindi, tipicamente, una operazione poco rischiosa per il creditore,

tipicamente una banca, per due ragioni:

i) la banca presta una somma che copre fino al 60-70 % del valore dell‟abitazione,

quindi da un lato finanzia soggetti che possiedono un capitale sufficiente ad

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acquistare una parte significativa dell‟immobile e dall‟altro ottiene in garanzia un

bene il cui valore è significativamente superiore a quello del prestito. In questo

modo si tutela dal rischio di una caduta del valore del bene che garantisce il

prestito;

ii) in secondo luogo la banca normalmente finanzia soggetti che dimostrano di

possedere un reddito che consente loro di soddisfare gli impegni di restituzione

del prestito.

I mutui subprime sono una categoria di mutui particolarmente rischiosi perche

non soddisfano queste due condizioni. Si tratta infatti di mutui che:

i) venivano concessi per importi pari o addirittura superiori al valore

dell‟immobile che doveva essere acquistato;

ii) venivano concessi a soggetti che possedevano redditi molto bassi

Nei primi anni del decennio passato, si è registrato, soprattutto negli Stati Uniti,

un forte aumento di questa particolare categoria di mutui. Nei primi anni i

mutuatari furono in grado di far fronte al loro impegno di restituzione del prestito

e non si registrò un alto numero di insolvenze poiché da un lato prevedevano per i

primi anni condizioni favorevoli di rimborso, cioè basse rate, ed inoltre questa

basse rate erano favorite anche dai bassi tassi di interesse che si registravano in

quel periodo. Ma a partire dal 2004-2005 i tassi di interesse cominciarono a salire

e le rate di rimborso diventarono più onerose; questo provocò un forte aumento

delle insolvenze, cioè del numero dei mutuatari che non furono in grado di

rimborsare il prestito.

Queste insolvenze legate alla forte incremento dell‟erogazione dei mutui

subprime, provocarono la crisi finanziaria.

L‟altro elemento che caratterizza questa esperienza è costituito dal fatto che la

crisi finanziaria non ha colpito soltanto il sistema finanziario e quindi una parte

del sistema economico, cioè non ha colpito soltanto le banche che hanno erogato i

mutui e i clienti delle banche che avevano acquistato i titoli di credito emessi dalle

banche, ma ha dato origine ad una profonda crisi economica.

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L‟economia mondiale si trova infatti a partire dal 2008-2009 in una profonda

recessione, la peggiore recessione dopo la crisi del ‟29. La crisi attuale è stata

associata alla crisi del ‟29 e ad un altro evento di importanza storica: la

STAGFLAZIONE degli anni ‟70 del secolo scorso.

La crisi mondiale quindi non è un evento di secondaria importanza, ma un

fenomeno di rilevanza storica, cioè un fenomeno che sarà ricordato nei libri di

storia, come è ricordata la crisi del ‟29 e la stagflazione degli anni ‟70.

Dobbiamo sottolineare che i primi due eventi hanno avuto un impatto enorme

sulla teoria macroeconomica, in quanto hanno spinto gli economisti a modificare

lo schema teorico utilizzato per interpretare il funzionamento del sistema

economico.

La crisi del ‟29 ha dato origine alla nascita della macroeconomica moderna. Come

abbiamo visto nel corso di macroeconomia, la crisi del ‟29 è all‟origine della

nascita della teoria Keynesiana.

La Grande Depressione ridusse la fiducia degli economisti nei confronti della

teoria classica che affermava che una economia di mercato è in grado di

raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione e le crisi potevano

essere soltanto fenomeni passeggeri che venivano superati spontaneamente dal

sistema economico grazie alla flessibilità dei salari e del tasso di interesse. Nel

1936 Keynes pubblicò la sua opera fondamentale in cui sosteneva che una

economia di mercato è soggetta a fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione e che

la flessibilità dei prezzi e dei salari non è in grado di evitare significative e

prolungate cadute del reddito e dell‟occupazione.

La teoria Keynesiana sostituisce la teoria neoclassica e diventa la teoria

dominante negli anni fino agli anni ‟70 quando si manifesta il fenomeno della

Stagflazione.

I primi decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, gli anni ‟50 e

‟60 furono caratterizzati da alti tassi di crescita del reddito, da alta occupazione e

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da bassa inflazione e questi significativi risultati vennero considerati come un

effetto dell‟efficacia delle politiche keynesiane.

Negli anni settanta la situazione cambia significativamente: la crescita rallenta ed

aumenta significativamente l‟inflazione, questa combinazione di stagnazione e di

alta inflazione viene indicata con il temine di stagflazione. Questo nuovo

fenomeno spinse gli economisti a mettere in dubbio l‟efficacia delle politiche

Keynesiane. Inoltre a partire dagli anni sessanta l‟economista americano Milton

Friedman elaborò una profonda critica nei confronti della teoria keynesiana che

mostrava che le politiche keynesiane erano efficaci soltanto in condizioni

particolari (in presenza di illusione monetaria).

La critica di Friedman alla teoria keynesiana ebbe un effetto enorme sulla teoria

macroeconomica; indusse gli economisti ad abbandonare la teoria keyneisiana e

ad accettare una nuova teoria elaborata sulla base delle critiche di Friedman, che

riproponeva le conclusioni fondamentali della teoria neoclassica, cioè della teoria

che Keynes aveva criticato negli anni trenta. A partire dagli anni ‟70 la teoria

dominante è costituita da una nuova versione della teoria neoclassica che

afferma la validità di due fondamentali proposizioni di questa teoria:

i) che un‟economia di mercato è in grado di raggiungere spontaneamente

l‟equilibrio di piena occupazione;

ii) il principio della neutralità della moneta (teoria quantitativa della moneta)

Ci possiamo quindi chiedere se anche questa crisi, come è avvenuto in

conseguenza degli altri due fenomeni a cui essa è stata associata, indurrà gli

economisti a modificare la teoria macroeconomica. Questa è una domanda che si

sono posti molti economisti in questo periodo, dando risposte differenti.

Un primo esempio che possiamo citare è costituito da un importante economista

italiano, Guido Tabellini, rettore della Bocconi il quale ritiene che non sia

necessario modificare il modello teorico:

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Non c'è alcun dubbio che la crisi in corso sarà ricordata come un evento d'importanza

storica, paragonabile alla Grande Depressione del '29 e alla spirale inflazionistica che è

seguita al crollo di Bretton Woods e al primo shock petrolifero negli anni 70. Entrambi

quegli eventi hanno avuto un profondo impatto, non solo sulla realtà economica e

politica, ma anche sul mondo delle idee.

La Grande Depressione ha portato alla rivoluzione keynesiana e ha trasformato il modo

di pensare su ruolo e obiettivi della politica economica e sui confini tra stato e mercato.

L'inflazione degli anni 70 è stata seguita dalla controrivoluzione monetarista guidata

dalle idee di Milton Friedman E questa volta? Vi sarà un'altra rivoluzione nelle idee

degli economisti circa i compiti della politica economica e il funzionamento di

un'economia di mercato?Io penso di no. (Guido Tabellini, Il mondo ritorna a correre

l’Italia non si fermi, Il Sole 24 ore, 24 giugno 2009).

Economisti altrettanto autorevoli ritengono invece che la crisi attuali dimostri i

limiti della teoria mainstream e ritengono quindi necessario abbandonare la teoria

mainstream e recuperare l‟insegnamento di economisti come Keynes. Questa è la

posizione di due premi Nobel dell‟economia come Joseph Stiglitz e Paul

Krugman. Stigliz ad esempio afferma:

“ Continua lo scambio di accuse su chi è responsabile della peggior recessione

mondiale dai tempi della Grande Depressione: i finanzieri che sono stati incapaci

di gestire il rischio o i regolatori che non sono riusciti a fermarli. Ma una parte

non indifferente della colpa spetta agli economisti di professione. Hanno

rassicurato i regolatori fornendo modelli di mercati che si auto-regolavano, si

auto-correggevano ed erano efficienti. Regnava sovrana l’ipotesi del mercato

efficiente. Oggi l’economia è andata a rotoli insieme, si può sperare, al

paradigma economico che prevaleva negli anni prima della crisi.” (Stiglitz, 21-

08-2010)

Prima di analizzare le ragioni su cui si basano queste due contrapposte

proposizioni, conviene ricordare in maniera più precisa l‟impatto che i due

precedenti fenomeni hanno avuto sulla macroeconomia, poiché in questo modo

possiamo ricordare alcuni aspetti significativi della teoria mainstream.

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La crisi del ‟29, come abbiamo già ricordato può essere considerata l‟evento che

ha dato origine alla nascita della teoria Keynesiana. Come abbiamo visto nel corso

di macroeconomia, la tesi fondamentale sostenuta da Keynes consiste

nell‟affermare che un‟economia di mercato è soggetta a crisi, a fluttuazioni del

reddito e dell‟occupazione e non è in grado di raggiungere spontaneamente

l‟equilibrio di piena occupazione.

Secondo Keynes le fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione sono provocate

dalle fluttuazioni della domanda aggregata dovute soprattutto all‟instabilità delle

decisioni di investimento.

Possiamo ricordare gli aspetti più significativi della teoria di Keynes partendo dal

modello neoclassico che Keynes critica. Il modello neoclassica viene descritto

considerando due mercati: il mercato del lavoro e il mercato dei beni.

Il mercato del lavoro è caratterizzato da:

- funzione di domanda di servizi di lavoro da parte delle imprese, Nd →

funzione decrescente rispetto al salario reale e coerente con il principio di

massimizzazione dei profitti delle imprese:

- funzione di offerta di lavoro che riflette il comportamento delle famiglie, Ns

→ funzione crescente rispetto al salario reale:

In corrispondenza di Nd = NS avremo un livello occupazionale pari a NE, ossia

l‟equilibrio di piena occupazione.

Nd = f con f’ < 0

Ns = g con g’ > 0

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D = YPO

NE

Nd

Ns

𝑾

𝑷 E Equilibrio di piena occupazione

𝑊

𝑃

Nd ; Ns

Figura 1

Affinché le imprese possano massimizzare i profitti occorre anche che esse

riescano a vendere tutto ciò che producono. In altri termini secondo la Teoria

Neoclassica condizione necessaria affinché si realizzi il reddito di piena

occupazione è che esista una domanda aggregata capace di assorbire il reddito di

piena occupazione:

Il reddito di piena occupazione è il livello di reddito che viene prodotto quando

vengono impiegati NE lavoratori.

Il reddito dipende dal livello occupazionale infatti Y = Y (N) e più precisamente si

tratta di una relazione diretta in quanto all‟aumentare del livello di occupazione, il

livello di reddito aumenta. Quando N = NE allora Y = YPO.

Dunque secondo la Teoria Neoclassica condizione necessaria affinché si abbia

una domanda aggregata capace di assorbire il reddito di piena occupazione è:

D = YPO

D= C (Y; r) + I ( attesi; r),

Nd

Ns

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Y r

rE

S (YPO; r)

I ( attesi; r)

Funzione di produzione aggregata

Y = h ( ; N)

E’

S (YE’ ; r)

YE’

r1 Teoria

Neoclassica

Teoria Keynesiana

Se vogliamo specificare le condizioni necessarie affinchè: D = YPO poiché i

consumi dipendono dal reddito dobbiamo inserire il valore di YPO nella funzione

dei consumi, quindi otterremo:

C (YPO; r) + I ( attesi; r) = YPO

YPO C (YPO; r) = I ( attesi; r)

S (YPO; r) = I ( attesi; r)

Figura 2

Nd ; Ns

E

N

Equilibrio di piena occupazione

Ns

Nd

NE

N

YPO

NE

S; I

S = I

risparmio S

Perché si realizzi l‟equilibrio di piena occupazione è

necessario che il tasso di interesse (r) assuma il valore in

corrispondenza del quale gli investimenti sono uguali al

risparmio di piena occupazione.

NE‟

NE‟

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Keynes critica la teoria neoclassica affermando che normalmente in una economia

di mercato il livello degli investimenti assume un valore inferiore rispetto a quello

dei risparmi di piena occupazione.

Se I<S(YPO) allora il livello della domanda aggregata D<YPO; in questo caso le

imprese non riusciranno a vendere tutto quello che producono quindi ridurranno il

reddito e l‟occupazione.

In altri termini, secondo Keynes vale il principio della domanda effettiva (e non la legge

di Say come per la Teoria Neoclassica): le decisioni di produzione delle imprese

dipendono dal livello della domanda aggregata e il sistema economico non è

normalmente in grado di raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione.

Keynes spiega in vari modi le ragioni per cui normalmente gli investimenti sono inferiori

al flusso dei risparmi di piena occupazione; la spiegazione presentata nel modello IS-LM

consiste nel sottolineare il fatto che il tasso di interesse non dipende dalle decisioni di

risparmio e di investimento, ma è un fenomeno monetario dipende cioè dalla domanda e

dall‟offerta di moneta e quindi può assumere un valore differente da quello coerente con

l‟equilibrio di piena occupazione pari ad rE.

Supponiamo infatti che assuma un valore pari a r1 > rE. Secondo la teoria neoclassica lo

squilibrio tra S(YPO, r1) > I verrebbe eliminato dalla riduzione del tasso di interesse;

secondo Keynes invece, questo squilibrio sarà eliminato dalla variazione del livello del

reddito. Il reddito si abbasserà fino a quando non si raggiungerà YE < YPO a cui

corrisponde un livello di occupazione pari a NE‟ < NE; e questa situazione di

disoccupazione involontaria rimarrà anche in presenza di un salario reale pari a W/PE

C‟è un secondo aspetto, oltre al primo che riguarda la spiegazione della crisi e delle

fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione, della teoria keynesiana che abbiamo

sottolineato nel corso di macroeconomia. Questo secondo aspetto riguarda il ruolo

economico dello Stato. Keynes afferma infatti che esistono strumenti che possono essere

usati dalle autorità di governo per incrementare il reddito e l‟occupazione; questi

strumenti sono costituiti dalla politica fiscale e dalla politica monetaria.

Come abbiamo ricordato la teoria keynesiana divenne la teoria dominante dopo la fine

della secondo guerra mondiale e fino agli anni ‟70 quando si manifesta il fenomeno della

stagflazione che la teoria keynesiana non sembra in grado di spiegare. Negli anni ‟60

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u0

infatti il modello keynesiano tradizionale costituito dal modello IS-LM aveva subito una

importante innovazione costituita dall‟introduzione della curva di Phillips.

La curva di Phillips è il risultato di uno studio empirico sulla relazione tra le

seguenti due grandezze:

tasso di variazione dei salari monetari: =

tasso di disoccupazione: u = =

In particolare:

Figura 3

La curva di Phillips è caratterizzata da:

relazione inversa tra il tasso di variazione dei salari monetari e il tasso di

disoccupazione:

= f (u) con f‟<0

esiste un particolare valore del tasso di disoccupazione in corrispondenza del quale

il tasso di variazione dei salari monetari è pari a 0: se u = u0

= 0

Per spiegare questa relazione decrescente tra il tasso di variazione dei salari monetari e il

tasso di disoccupazione si può assumere che la forza contrattuale dei lavoratori, cioè la

capacità dei lavoratori di ottenere aumenti salariali, vari in funzione del livello di reddito

e quindi del livello di occupazione: in corrispondenza di un alto tasso di disoccupazione

la forza contrattuale dei lavoratori sarà bassa in quanto questi ultimi subiscono la

concorrenza dei disoccupati; quando invece il tasso di disoccupazione è basso il tasso di

0

u

Curva di Phillips

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u0 0 u1

u0

0

1 1

0

* *

1

0 0

u u1 Y1 Y0

variazione dei salari monetari è elevato e quindi la forza contrattuale dei lavoratori è

consistente.

La curva di Phillips può essere rappresentata anche come relazione crescente tra tasso di

inflazione e il reddito reale:

Figura 4

Per spiegare questa relazione assumiamo che le imprese domandino lavoro in

maniera coerente con il principio di massimizzazione dei profitti le imprese

assumono un numero di lavoratori N in corrispondenza del quale la produttività

marginale del lavoro è pari al salario reale:

N → PMaL (N) =

da cui P =

Esiste dunque una relazione diretta tra prezzi e salari monetari e quindi tra tasso di

variazione dei salari monetari e tasso di inflazione.

In corrispondenza della combinazione 0 si ha:

In corrispondenza della combinazione 1 invece si ha:

0

u = u0 → N = N0 → Y = Y0 → = 0 (ossia Wt = Wt-1) → = 0

Curva di Phillips: le due curve sono equivalenti

Y

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0

Y0 Y1

stagflazione

0

u0 u1

stagflazione

Il modello keynesiano degli anni sessanta, basato sulla curva di Phillips, portava a

concludere, a differenza del semplice modello IS-LM con prezzi e salari dati, che

livelli maggiori di reddito e quindi di occupazione possono essere ottenuti solo a

fronte di tassi di inflazione più elevati. Tra Y e esiste quindi una relazione

crescente.

Il modello IS-LM con Curva di Phillips entrò in crisi negli anni „70 quando si

sviluppò il fenomeno della stagflazione → la bassa crescita dei redditi e l‟elevata

inflazione erano infatti incoerenti con questo modello.

Figura 5

Alla fine degli anni sessanta una critica teorica nei confronti modello keynesiano

IS-LM con curva di Phillips. Padre della controrivoluzione monetarista la quale

determinò il declino della teoria keynesiana fu Milton Friedman.

Friedman criticò la relazione della curva di Phillips affermando che il modello

keynesiano basato su questa relazione assume che i lavoratori si comportano in

u1 < u0 → N1 > N0 → Y1 >Y0 → 1 > 0 → 1 > 0

La stagflazione è incoerente con il modello IS-LM con curva di Phillips il

quale prevede invece una relazione crescente tra inflazione e reddito.

u Y

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maniera irrazionale in quanto continuano ad aspettarsi un tasso di inflazione pari a

zero anche quando l‟inflazione effettiva è maggiore di zero.

L‟equazione della curva di Phillips è:

Y=f( )

Quindi in corrispondenza di Y= Y0 si avrà = 0 e in corrispondenza di Yα > Y0 si

avrà α> 0, ad esempio =5%. Friedman mostra che questa relazione è stabile solo

se i lavoratori di fronte ad un tasso di inflazione del 5% continuano ad aspettarsi

un tasso di inflazione pari a 0 ma questo è appunto, irrazionale.

Possiamo illustrare l‟irrazionalità di questo comportamento ricordando il concetto

di tasso naturale di disoccupazione. E‟ il tasso di disoccupazione coerente con

l‟equilibrio di piena occupazione, cioè con una situazione in cui domanda e

offerta di lavoro sono uguali e quindi il prezzo del lavoro, cioè il salario è stabile;

quindi il tasso naturale di disoccupazione e il tasso di disoccupazione coerente con

un tasso di variazione dei salari monetari e dei prezzi pari a zero.

Il tasso naturale di discoccupazione corrisponde a u0.

In particolare, secondo Friedman il tasso naturale di disoccupazione è diverso da

zero (u0 ≠ 0) nonostante sia coerente con l‟equilibrio di piena occupazione poiché:

Ns = occupati + disoccupati

Nd = occupati + posti vacanti

Si tratta di posti di lavoro che le imprese intendono occupare, ma che non sono

ancora stati occupati perché le imprese sono ancora in fase di selezione del

personale.

La presenza di posti vacanti ha senso solo se si elimina l‟ipotesi di l‟omogeneità

dei lavoratori assunta dal modello IS-LM, ossia l‟ipotesi per cui essi hanno tutti le

stesse caratteristiche e qualità.

Sapendo che l‟equilibrio di piena occupazione si ottiene in corrispondenza di Nd

= Ns, si avrà:

OCCUPATI + POSTI VACANTI = OCCUPATI + DISOCCUPATI

POSTI VACANTI = DISOCCUPATI

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0 t 1

il tasso naturale di disoccupazione ha due caratteristiche fondamentali:

1. è coerente con la stabilità dei salari monetari, ossia con = 0;

2. è coerente con la piena occupazione, ossia con Nd = Ns.

Affinché si possa ottenere u1 < u0 è necessario un livello di occupazione N1 > N0 .

Per ottenere N1 è a sua volta necessario che:

Ns = N1 ossia che i lavoratori siano disposti a lavorare al salario reale S ;

Nd = N1 ossia che le imprese siano disposte ad occupare N1 lavoratori al salario

reale D.

Poiché il livello dei salari reali che spinge i lavoratori a offrire N1 unità di lavoro è

diverso dal livello dei salari reali che spinge i datori di lavoro a dare occupazione a N1

lavoratori, ossia poiché D < S , le condizioni per ottenere u1 sembrano irrealizzabili.

Secondo Friedman invece il passaggio da N0 a N1 è realizzabile solo nel caso in

cui i lavoratori soffrano di illusione monetaria, ossia confondano i salari

monetari con i salari reali.

Per definire il concetto di illusione monetaria occorre introdurre l‟ipotesi

fondamentale secondo cui i salari monetari e i prezzi vengono fissati in tempi

diversi:

DISOCCUPAZIONE FRIZIONALE = disoccupazione temporanea legata al fatto che le imprese non hanno ancora terminato il processo di selezione del personale.

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19

E

N0 Nd ; Ns

S

D

N1

u0 u1

= 0

N0 N1

Figura 6

Nel momento 0 vengono fissati i salari monetari sulla base della contrattazione tra

imprese e lavoratori; i prezzi, invece, vengono fissati dalle imprese durante il periodo t

cioè in un momento successivo a quello in cui avviene la contrattazione tra imprese e

lavoratori.

Per questi motivi, l‟equazione della funzione di offerta di lavoro Ns cambia nel modo

seguente:

Nd

Equilibrio di piena occupazione

Ns

u

Curva di

Phillips

Nd; Ns

Ns

Nd

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20

Ns = f Ns = f

Per quel che riguarda, invece, la funzione di domanda di lavoro Nd, al tempo 0 le

imprese conoscono Wt e saranno esse stesse a determinare il livello dei prezzi

durante il periodo t, quindi la funzione di domanda di lavoro resta pari a Nd = g

Una volta definite queste ipotesi ci chiediamo quali sono le condizioni necessarie

affinché anche in questo caso si possa ottenere N1 > N0 :

Ns = N1 se = S

Nd = N1 se = D < S

Avremo quindi: = S > D =

>

Wt e Pt venivano fissati nello stesso momento.

I prezzi vengono determinati dopo la

contrattazione quindi al tempo 0 i lavoratori

conoscono solo i salari monetari e non

anche il livello dei prezzi per definire

l‟offerta di lavoro i lavoratori devono

elaborare una previsione circa il livello

futuro dei prezzi ( ). Di conseguenza il

salario reale atteso dai lavoratori sarà pari a

.

<

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E 1

N0 Nd ; Ns

S =

1,05

D =

0,95

N1

Lo squilibrio tra salario reale atteso e salario reale effettivo offerto dalle imprese si

può realizzare solo se i lavoratori soffrono di illusione monetaria, ossia sbagliano a

prevedere il livello futuro dei prezzi.

Es. supponiamo di avere:

- W0 = 1, PMaL (N0) = 1 e quindi P0 = = 1

- PMaL (N1) = 0,95

Per ottenere N1 > N0 occorre che:

Ns = N1 se = S = 1,05 → i lavoratori sono disposti ad offrire N1

unità di lavoro se il salario reale atteso è pari a 1,05

Nd = N1 se = D = PMaL (N1) < PMaL (N0)

Figura 7

= 1,05 da cui = 1,05 *

Sarà quindi possibile ottenere N1 > N0 a condizione che i lavoratori sbaglino le loro

previsioni sui prezzi al tempo t: < .

0,95 1

Nd

Ns

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Si supponga che i lavoratori si aspettino prezzi stabili e quindi pari a quelli del periodo

precedente in questo caso avremo: = P0 = 1

Di conseguenza: = 1,05 * = 1,05 * 1 = 1,05

Dall‟espressione dei salari effettivamente ottenuti = PMaL (N1) = 0,95 si ricava che

il prezzo fissato dalle imprese per assumere N1 lavoratori è pari a Pt = =

1,1 < .

È quindi possibile espandere l‟occupazione da N0 a N1 solo se i lavoratori sbagliano le

proprie aspettative circa il livello futuro dei prezzi.

Le aspettative dei lavoratori possono essere espresse anche in termini di tasso di

inflazione:

Tasso di inflazione atteso al tempo t:

= = = 0

Dato che i prezzi attesi sono stabili, il tasso di inflazione atteso è pari a 0.

Tasso di inflazione effettivo al tempo t:

= = = 10%

Per essere indotti ad espandere l’occupazione i lavoratori dovranno ricevere un aumento del

5% del salario monetario che, data la stabilità dei prezzi, viene dagli stessi interpretato

come un aumento del 5% anche dei salari reali.

É possibile espandere il livello di occupazione da N0 a N1 solo se i lavoratori

commettono un errore di previsione circa il livello del tasso di inflazione,

ossia solo se < . In particolare, l’errore di previsione determina una

discrepanza tra il salario reale atteso dai lavoratori e il salario reale

effettivamente percepito dai lavoratori stessi.

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Questo ha una conseguenza importante: il tasso di inflazione coerente con un

determinato livello di reddito e quindi di occupazione non è costante, come

afferma il modello keynesiano, ma dipende dal tasso di inflazione atteso dai

lavoratori. Infatti è possibile ottenere Y>Yo solo se i lavoratori commettono un

errore di previsione quindi la relazione stabile non è tra il livello del reddito e il

tasso di inflazione, ma tra il livello del reddito e l‟errore di previsione.

Per ottenere Y1 > Yo l‟errore di previsione deve essere pari a 10 punti percentuali:

= 10% , questo implica che se il tasso di inflazione effettivo da associare a Y1

dipenderà dal tasso di inflazione atteso dai lavoratori.

Chiediamoci quale dovrà essere il tasso di inflazione che si dovrà realizzare in t+1 per

ottenere sempre un livello di reddito pari a Y1. La risposta è che questo valore

dipenderà dal tasso di inflazione atteso dai lavoratori .

Se i lavoratori si aspettano un tasso di inflazione pari a 0 allora il tasso di

inflazione effettivo necessario a mantenere Y1 sarà sempre pari a 10%. Questa,

osserva Friedman è l‟ipotesi implicita nella curva di Phillips che afferma che

esiste una relazione stabile tra reddito e tasso di inflazione; questa ipotesi assume

però che i lavoratori si comportino in modo irrazionale poiché in presenza di un

tasso di inflazione pari al 10% continueranno a prevedere un tasso di inflazione

pari a zero.

Friedman ipotizza che i lavoratori elaborino le loro aspettative di inflazione

mediante un meccanismo di aspettative adattive, cioè in base ai valori passati

dell‟inflazione; in questo caso se osservano un tasso di inflazione pari al 10% non

si aspetteranno un tasso di inflazione pari a zero, ma un tasso superiore a zero:

>0. In questo caso il valore del tasso di inflazione coerente con Y1 non potrà

rimanere pari al 10% ma dovrà raggiungere il livello in corrispondenza del quale

l‟errore di previsione, da cui dipende la distanza tra il salario reale atteso dai

lavoratori e il salario reale effettivamente pagato dalle imprese, sia sempre pari a

10 punti percentuali.

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Quindi affinché in t+1 si mantenga un livello di occupazione pari a N1, l‟errore di

previsione del periodo t+1 deve essere uguale all‟errore di previsione del periodo

t:

=

Friedman mostra quindi che esiste una relazione stabile non tra Y e bensì tra Y

e l‟errore di previsione dei lavoratori quindi si avrà Y = g ( -e), invece della

originale curva di Phillips che presuppone che e = 0 e quindi corrisponde a: Y =

f( ). In termini lineari avremo: Y = Y0 + ( ); quando = 0 il reddito

sarà al suo livello naturale, soltanto con un errore di previsione superiore a zero si

potrà ottenere un valore del reddito reale superiore a Yo.

Se assumiamo che i lavoratori elaborino le loro aspettative in base al meccanismo

delle aspettative adattive, allora doppiamo concludere che è possibile espandere il

livello dell‟occupazione e del reddito (Y1) solo se le autorità monetarie accettano

un tasso di inflazione continuamente crescente. La figura 8 mostra che la

posizione della curva di Phillips dipende dal valore di e

Condizione necessaria affinchè il livello di reddito rimanga pari a Y1 è che le

autorità monetarie siano disposte ad aumentare continuamente la quantità di

moneta; questo però è una ipotesi irrealistica poiché nessuna autorità monetaria è

disposta a accettare un tasso di inflazione crescente.

Ci possiamo chiedere allora quali sono gli effetti di una variazione della quantità

di moneta ad un tasso costante. Quali sono ad esempio, gli effetti della decisione

delle autorità monetarie di aumentare la quantità di moneta al tasso annuo del

10%;

Possiamo rispondere a questa domanda in termini logici:

10%

0

Errore di previsione in t Errore di previsione in

t+1

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25

Y0 Y1

(t+2)

3

= 20%

= 10%

= 30%

= 0

= 10%

= 20%

(t)

Curva di Phillips nel lungo periodo

(t+1)

l‟inflazione tende ad un valore finito, infatti abbiamo visto che

l‟inflazione potrà crescere continuamente soltanto se la quantità di moneta

cresce continuamente;

l‟errore di previsione commesso dai lavoratori tende a 0, infatti l‟errore

di previsione è costante solo se l‟inflazione è crescente;

se l‟errore di previsione tende a zero, il reddito tende al livello naturale

Y0

In conclusione, se il reddito tende a Yo, allora la variazione della quantità di

moneta non avrà alcun effetto permanente sul reddito e provocherà soltanto un

aumento del tasso di inflazione. Quindi nel lungo periodo, al di fuori del caso di

inflazione crescente, la politica monetaria non è in grado di influenzare il livello

del reddito; le autorità monetarie possono soltanto scegliere il tasso di inflazione

da associare al livello naturale del reddito; se decidono di variare la quantità di

moneta al 10% otterranno un tasso di inflazione del 10%; se scegliessero un tasso

del 20% provocherebbero un tasso di inflazione del 20% ecc. nel lungo periodo

quindi, la curva di Phillips diventa verticale (figura 8)

Figura 8

Y

Curve di Phillips nel breve periodo

Y0 è pari al reddito naturale YN, il quale corrisponde al tasso naturale di disoccupazione u0 coerente con l’equilibrio di piena occupazione.

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In corrispondenza di Y0 si ha proprio il tasso naturale di disoccupazione u0, il

quale, essendo coerente con un tasso di inflazione stabile, è definito NAIRU (Non

Accelerating Inflation Rate Unemployment). In corrispondenza di Y1> Y0, invece,

si ha u1< u0 e quindi un tasso di inflazione crescente.

La conclusione di Friedman circa gli effetti della politica monetaria, cioè delle

variazioni della quantità di moneta coincidono con quelle della teoria quantitativa

della moneta. Friedman quindi propone di superare la teoria keynesiana e di

accettare una nuova versione della teoria neoclassica basata sul concetto di tasso

naturale di disoccupazione, sull‟introduzione delle aspettative adattive, che sarà

definita monetarismo.

L‟opera di Friedman ha avuto un impatto enorme sulla evoluzione della teoria

macroeconomica; a partire dagli anni ‟70 diminuisce il consenso nei confronti

della teoria keynesiana. Negli anni 80-90 il monetarismo subisce una significativa

evoluzione grazie all‟introduzione del concetto di aspettative razionali; Robert

Lucas è il principale artefice di questa nuova versione del monetarismo che è

definita nuova macroeconomia classica e che diventa la teoria mainstream cioè

la teoria generalmente accettata dagli economisti, mentre la teoria keynesiana

diventa una teoria minoritaria.

C‟è un aspetto paradossale in questa evoluzione della teoria macroeconomica:

abbandono della teoria keynesiana e affermazione del monetarismo e della nuova

macroeconomia classica. Dobbiamo ricordare infatti che la teoria di Keynes si

basa su due punti fondamentali:

i) una spiegazione delle ragioni per cui una economia di mercato è soggetta a

crisi, a fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione;

ii) la specificazione di strumenti, politica fiscale e monetaria, che possono essere

usati per spingere il sistema verso la piena occupazione.

La critica di Friedman si concentra sul secondo punto; egli ha dimostrato che le

politiche keynesiane possono funzionare soltanto in certe condizioni; ha

dimostrato che:

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i) in un mondo in cui i lavoratori chiedono aumenti dei salari monetari

proporzionali all‟incremento del reddito, cioè non sono disposti ad accettare

incrementi di reddito e di occupazione a salari monetari costanti,

ii) non è possibile attraverso politiche keynesiane espandere in modo permanente

il livello di occupazione oltre a quello naturale che corrisponde alla situazione in

cui l‟errore di previsione è pari a zero.

L‟aspetto paradossale della reazione degli economisti alla critica di Friedman sta

nel fatto che questa critica non affronta il primo punto della teoria di Keynes, cioè

non mette in discussione la spiegazione della crisi e della instabilità del sistema

economico. Infatti il problema che Keynes poneva non era quello di espandere il

livello dell‟occupazione oltre la piena occupazione; Keynes affermava che anche

nel caso in cui i salario reale desiderato dai lavoratori fosse pari a W/PE, fosse

cioè coerente con la piena occupazione ciò non è sufficiente per garantire la piena

occupazione poiché è necessario che si creino le condizioni affinchè le imprese

riescano a vendere ciò che producono. Questo aspetto della teoria Keynesian, il

primo punto, è stato completamente dimenticato.

Si tratta di una reazione paradossale; sarebbe come se, facendo un esempio che

riguarda la medicina, di fronte alla dimostrazione dell‟inefficacia di una certa

medicina nel curare una determinata malattia, i ricercatori invece di concludere

che è necessario trovare un farmaco più efficace concludessero che la malattia

non esiste.

Dopo aver ricordato schematicamente la reazione degli economisti di fronte alla

crisi del ‟29, e alla stagflazione degli anni ‟70, ritorniamo o alla domanda che ci

siamo posti: la crisi attuale indurrà gli economisti a modificare il modello teorico

generalmente accettato prima della crisi come è successo nei due casi precedenti?

Abbiamo visto che esistono opinioni nettamente diverse: i sostenitori della teoria

mainstream sostengono che non è necessario abbandonare questa teoria; al

contrario gli economisti Keynesiani ritengono che sia necessario abbandonare la

teoria mainstream e ripartire da Keynes.

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Queste due diverse risposte sono associate a due diverse spiegazioni delle

caratteristiche della crisi finanziaria e della crisi economica.

Il primo gruppo di economisti, che accetta la teoria mainstream e considera

un‟economia di mercato come una economia intrinsecamente stabile, capace di

raggiungere spontaneamente l‟equilibrio di piena occupazione considera la crisi

come un FENOMENO ACCIDENTALE, UN INCIDENTE TEMPORANEO,

cioè come un fenomeno estraneo al normale funzionamento del sistema

economico. La crisi viene considerata quindi, come la conseguenza del

comportamento scorretto o fraudolento di alcuni soggetti o istituzioni finanziarie

ed economiche.

Il secondo gruppo considera la crisi come un FENOMENO STRUTTURALE,

cioè come un fenomeno strettamente connesso al normale funzionamento del

sistema economico, cioè come un fenomeno che può essere spiegato in base alle

caratteristiche stesse di un sistema finanziario complesso.

Possiamo spiegare la differenza tra queste due interpretazioni con un esempio

molto banale. Paragoniamo la crisi ad un incidente aereo.

La prima spiegazione che considera la crisi come un incidente temporaneo

afferma che la crisi (l‟incidente) non può essere stato provocato da problemi al

motore, cioè da problemi strutturali, poiché il motore (il sistema economico) è

efficiente, ma deriva o dall‟imperizia del pilota o dal fatto che il pilota fosse

ubriaco; in entrambi i casi la responsabilità ultima della crisi deve essere attribuita

all‟istituzione che avrebbe dovuto valutare l‟abilità del pilota o impedire ad un

pilota ubriaco di pilotare l‟aereo.

La seconda spiegazione invece, pur non escludendo naturalmente che la crisi

(l‟incidente) possa essere provocata da un pilota incapace o ubriaco, sottolinea che

il motore non è strutturalmente sicuro e quindi che questo rende le crisi (gli

incidenti) possibili. Quindi i sostenitori di questa seconda tesi ritengono

necessario al fine di evitare le crisi non soltanto incentivare i controlli per evitare

che piloti ubriachi o incapaci si mettano alla guida di un aereo, ma ripensare al

modo di costruire gli aerei e quindi, mettono in discussione il modo tradizionale

di costruire gli aerei.

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Vediamo un esempio di queste due diverse interpretazioni.

La prima è sempre di Tabellini, il quale ritiene che non si debba abbandonare lo

schema teorico mainstream e quindi considera la crisi come un incidente

temporaneo:

Come sarà ricordata questa crisi nei libri di storia economica? Come una crisi sistemica

e un punto di svolta, oppure come un incidente temporaneo e presto riassorbito dovuto

ad una crescita troppo rapida dell’innovazione finanziaria? Se guardiamo alle cause

delle crisi, e alle lezioni da trarne, la risposta è senz’altro la seconda. In estrema sintesi,

la crisi è scoppiata per via di alcuni specifici problemi tecnici riguardanti il

funzionamento e la regolamentazione dei mercati finanziari, ed è stata acuita da una

serie di errori commessi durante la gestione della crisi. Sebbene si tratti di problemi

complessi, essi possono essere affrontati e risolti con adeguate seppure profonde riforme

della regolamentazione finanziaria. Se sapremo imparare da questi errori e gestire bene

l’uscita dalla crisi, il mondo dell’economia tornerà a essere come prima, anzi meglio di

prima, con meno eccessi e più stabilità. Parlare di crisi del capitalismo, di fine della

globalizzazione, di crisi di un sistema e di un modo di pensare, sarebbe una solenne

stupidaggine (Guido Tabellini, Idee e regole per il mondo dopo la tempesta, Il Sole 24

ore, 7 maggio 2009).

Un sostenitore della seconda interpretazione è il premio Nobel Paul Krugman che accusa

gli economisti mainstream di non aver saputo prevedere la crisi proprio perché il modello

teorico da essi accettavano consideravano la crisi come un evento accidentale e quindi

avevano in pratica cancellato l‟idea che una crisi potesse verificarsi:

Pochi economisti avevano intuito che la crisi stava arrivando, ma l’aspetto più grave è

un altro: la possibilità che nell’economia di mercato potessero verificarsi dei fallimenti

catastrofici non rientrava nel loro orizzonte. Negli anni d’oro, gli economisti finanziari si

erano convinti che i mercati fossero intrinsecamente stabili, che i titoli e le altre attività

finanziarie avessero sempre un prezzo giusto. Nelle loro previsioni non c’era nulla che

lasciasse immaginare un crollo come quello dell’anno scorso.

Cosa è successo agli economisti? E che strada prenderanno ora? Gli economisti sono

andati fuori strada perché hanno confuso la bellezza, rivestita di calcoli matematici

affascinanti, con la verità. Prima della grande depressione la maggior parte degli

economisti pensava che il capitalismo fosse un sistema perfetto o quasi. Quell’idea

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diventò insostenibile di fronte alla disoccupazione di massa, ma quando il ricordo della

grande depressione è svanito, gli economisti sono tornati ad innamorarsi della vecchia

visione idealizzata: un’economia in cui individui razionali interagiscono in mercati

perfetti.

Tornare a Keynes, ecco cosa penso che debbano fare gli economisti. In primo luogo

devono accettare la scomoda realtà che i mercati finanziari sono ben lontani dalla

perfezione, che sono soggetti a incredibili abbagli e alla irrazionalità della folla. In

secondo luogo, devono riconoscere che l’economia keynesiana resta la migliore struttura

a nostra disposizione per spiegare recessioni e depressioni. In terzo luogo dovranno fare

del loro meglio per inglobare nella macroeconomia le realtà della finanza (Paul

Krugman, Gli errori degli economisti, 18 settembre 2009).

In queste lezioni analizzeremo queste due interpretazioni della crisi. Per compiere

questa analisi abbiamo bisogno di conoscere in che modo la teoria mainstream da

un lato e quella keynesiana dall‟altro, analizzano il ruolo della finanza. Quindi

nelle prossime lezioni descriveremo LA TEORIA NEOCLASSICA DELLA

FINANZA e la TEORIA KEYNESIANA DELLA FINANZA.

Nella seconda parte del corso analizzeremo le due interpretazioni della crisi.

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31

LA TEORIA MAINSTREAM (NEOCLASSICA) DELLA FINANZA

Possiamo specificare tre aspetti fondamentali della teoria mainstram della finanza

che riguardano:

1. La definizione della relazione tra moneta e credito (finanza);

2. la teoria degli intermediari finanziari, cioè la spiegazione delle ragioni della

presenza di intermediari finanziari;

3. la relazione tra sistema finanziario e crescita economica.

1. Moneta e credito secondo la teoria mainstream.

Abbiamo osservato che esiste uno stretto legame tra moneta e credito poiché la

moneta è l‟oggetto tipico di un contratto di credito.

Riconosciuta questa ovvia relazione, dobbiamo osservare che il primo elemento

che caratterizza la teoria mainstream della finanza consiste nel distinguere

nettamente moneta e credito, cioè nel separare nettamente il fenomeno della

moneta dal fenomeno del credito. Possiamo distinguere due ragioni che

giustificano questa posizione della teoria mainstream.

A) In primo luogo, la teoria mainstream afferma che la natura del fenomeno del

credito è indipendente dalle caratteristiche dell‟oggetto del contratto di credito.

Abbiamo detto che l‟oggetto tipico del contratto è costituito dalla moneta; questo

però non esclude, che l‟oggetto del credito possa essere qualunque altro bene. La

teoria mainstream afferma che le caratteristiche del fenomeno del credito non

cambiano in relazione all‟oggetto del credito. Sia nel caso in cui l‟oggetto del

credito sia un cavallo che nel caso in cui sia una somma di denaro, il creditore

riceve dal debitore la promessa che egli restituirà l‟oggetto del credito ad una data

scadenza impegnandosi a corrispondere, eventualmente, un premio al creditore.

Quindi il fenomeno del credito non deve essere confuso con la moneta poiché

questo fenomeno può esistere indipendentemente dalla moneta.

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32

B) Concentriamoci ora sui contratti di credito che hanno per oggetto moneta

Anche in questo caso, secondo la teoria mainstream, è necessario separare

nettamente moneta e credito cioè è necessario distinguere nettamente il processo

di creazione della moneta dal processo di creazione del credito e quindi

distinguere nettamente il mercato della moneta dal mercato del credito e questo

significa distinguere domanda e offerta di moneta rispetto a domanda e offerta di

credito.

I concetti di domanda e di offerta di moneta li conosciamo, li abbiamo descritti

nei corsi di macroeconomia e di economia monetaria; vediamo di specificare le

caratteristiche delle funzioni di domanda e di offerta di credito secondo la teoria

mainstream. Questo ci permette di sottolineare un elemento fondamentale della

teoria mainstream della finanza.

La teoria mainstream della finanza sottolinea infatti che esiste una stretta relazione

tra le funzioni di domanda e offerta di credito e le decisioni (le funzioni) di

investimento e di risparmio. Ricordiamo le caratteristiche di queste due funzioni:

a) le decisioni di investimento vengono associate alle imprese che per realizzare

la produzione ricorrono a due fattori produttivi: lavoro e capitale. L‟impresa

realizzerà quindi una decisione di investimento quando deciderà di aumentare lo

stock di beni capitali. Le decisioni di investimento vengono prese confrontandone

i costi (ossia il valore monetario dei beni capitali che dovranno essere acquistati) e

i benefici (ossia i maggiori profitti che deriveranno dalla realizzazione

dell‟investimento).

b) le decisioni di risparmio vengono prese invece dalle famiglie che

percepiscono redditi da lavoro e da capitali. La loro scelta riguarderà

l‟utilizzazione di questi redditi: consumo o risparmio. La scelta di non consumare

oggi parte del reddito è finalizzata ad un‟espansione dei consumi futuri. Tale

scelta viene effettuata confrontandone costi (ossia i minori consumi presenti) e

benefici (ossia i maggiori consumi futuri resi possibili dalla decisione di

risparmiare) e dipenderà, in primo luogo, dal reddito corrente e dai redditi attesi.

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33

L‟elemento fondamentale che permette di spiegare la relazione tra domanda e

offerta di credito e decisioni di investimento e di risparmio è costituito dal

fenomeno della dissociazione tra decisioni di risparmio e di investimento, cioè è

costituito dal fatto che decisioni di risparmio e decisioni di investimento vengono

prese da soggetti diversi. Se infatti i soggetti che investono (le imprese) fossero

anche i soggetti che risparmiano allora il fenomeno del credito e quindi della

finanza, afferma la teoria mainstream, diventerebbe irrilevante (Gurley and

Shaw). Il fenomeno del credito diventa importante e quindi importante il ruolo

della finanza, quando esiste un forte grado di dissociazione tra decisione di

risparmio e di investimento, quando cioè chi investe non risparmia e chi risparmia

non investe.

Possiamo distinguere i soggetti economici in due categorie: famiglie e imprese ed

assumere che le famiglie che ricevono redditi da lavoro e da capitale in forma

monetaria, prendano decisioni di consumo e di risparmio, mentre le imprese

prendono decisioni di investimento. In questo caso le imprese potranno realizzare

gli investimenti soltanto se ottengono moneta attraverso un contratto di credito,

cioè se esprimono una domanda di credito. Domanda di credito a cui si

contrappone l‟offerta di credito che coincide con i reddito monetari risparmiati

dalle famiglie e che le famiglie sono disposte a prestare alle imprese.

L‟offerta di credito è determinata dalle decisioni di risparmio → LS = S;

la domanda di credito è determinata dalle decisioni di investimento → Ld = I.

Un mercato è definito oltre che dalle funzioni di domanda e di offerta anche da un

prezzo il quale, reagendo agli squilibri tra domanda ed offerta, dovrebbe fissarsi al

livello che garantisce l‟equilibrio del mercato cioè al livello che assicura

l‟equilibrio tra domanda ed offerta; cioè al livello che assicura:

LS = Ld (mercato del credito)

A cui corrisponde l‟equilibrio tra risparmi e investimenti:

S = I (mercato dei beni)

L‟equilibrio tra risparmi e investimenti è la condizione che garantisce l‟equilibrio

sul mercato dei beni (condizione IS), quindi come ricordiamo dal corso di

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Eq. sul mercato dei beni Eq. sul mercato del credito RE

S = I

Macroeconomia, quando c‟è equilibrio sul mercato dei beni si avrà equilibrio

anche sul mercato del credito; i due mercati secondo la teoria neoclassica sono

equivalenti, si sovrappongono perfettamente.

A questo punto dobbiamo ricordare qual è il prezzo che mette in equilibrio il

mercato dei beni e il mercato del credito. Questo prezzo è secondo la teoria

neoclassica, il tasso di interesse; questo è il prezzo del credito; il tasso di interesse

influenza, come sappiamo, le decisioni di investimento e le decisioni di risparmio;

le fluttuazioni del tasso di interesse garantiscono l‟equilibrio tra S e I e tra

domanda e offerta di credito. secondo la Teoria Neoclassica: il tasso di interesse è

un fenomeno reale che dipende dalle decisioni di risparmio e di investimento:

questa definizione del tasso di interesse e della relazione tra mercato del credito e

dei beni compare in tutti i manuali di finanza; ad esempio Bodie, Kane, Marcus

Figura 1

La curva di offerta di credito è inclinata positivamente perché, al crescere del

tasso di interesse reale, le famiglie sceglieranno di posticipare i consumi correnti,

ossia di risparmiare di più. La curva di domanda di credito è invece inclinata

negativamente perché, al ridursi del tasso di interesse reale, aumentano gli

credito

R

Ld = I

Ls = S

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investimenti delle imprese in beni capitali. La domanda di credito è quindi

associata alle decisioni di investimento delle imprese.

Le decisioni di risparmio non dipendono soltanto dal tasso di interesse ma anche

dal reddito; quindi la posizione della funzione del risparmio dipende dal reddito;

come ricorderete, la teoria neoclassica assume che il reddito sia sempre al livello

di piena occupazione quindi l‟equilibrio sul mercato dei beni determina il livello

del tasso di interesse coerente con l‟equilibrio di piena occupazione.

La relazione tra mercato del credito e mercato dei beni, e tra domanda e offerta di

credito e le decisioni di investimento e di risparmio ci consente di sottolineare che

secondo la teoria neoclassica, la funzione fondamentale del sistema finanziario

consiste nel rendere possibile, nel facilitare il trasferimento del risparmio dalle

famiglie alle imprese. Il sistema finanziario è l‟insieme degli strumenti, dei

mercati e dei soggetti che rende possibile il trasferimento del risparmio dalle

famiglie alle imprese.

La relazione tra mercato del credito e mercato dei beni ci consente anche di

chiarire le ragioni per cui credito e moneta sono fenomeni nettamente separati

secondo la teoria neoclassica. Il mercato del credito infatti è formato da grandezze

flusso; domanda e offerta di credito infatti dipendono dalle decisioni di risparmio

e di investimento che sono grandezze flusso, mentre domanda e offerta di moneta

sono riferite a grandezze stock: l‟offerta di moneta specifica la quantità di moneta

creata dalla Banca Centrale mentre la domanda di moneta definisce le condizioni

che spingono i possessori di ricchezza ad accumulare la quantità di moneta creata

dalle autorità monetarie.

Se il mercato della moneta è distinto dal mercato dal credito allora il prezzo che

caratterizza il mercato della moneta sarà diverso da quello che caratterizza il

mercato del credito. Se il prezzo del credito è costituito dal tasso di interesse qual

è il prezzo della moneta? Qual è la variabile che reagisce agli squilibri tra

domanda ed offerta di moneta? La variabile che elimina questi squilibri? Questa

variabile è costituita dal livello dei prezzi P; variazioni della quantità di moneta

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che provocano squilibri tra domanda ed offerta di moneta producono variazioni

del livello dei prezzi.

Questo aspetto della teoria mainstream è messo ben in evidenza da Friedman. C‟è

un testo in particolare, in cui Friedman affronta chiaramente questo punto; nel

1980 Friedman e Schwartz pubblicano una monumentale Storia Monetaria degli

Stati Uniti e della Gran Bretagna; la loro analisi si basa su di una schema teorico

ben preciso: la teoria quantitativa della moneta (p. 17, punto 1)

Friedman e Schwartz espongono una versione della teoria quantitativa della

moneta basata su due elementi: a) distinzione tra quantità nominale di moneta e

quantità reale di moneta. (p.17, punto 2); b) i concetti di domanda e di offerta di

moneta. F e S considerano le due funzioni come indipendenti poiché riflettono

decisioni di soggetti diversi; da un lato i possessori di ricchezza che domandano

moneta e sono interessati a detenere una certa quantità di moneta in termini reali;

dall‟altro le autorità monetarie che controllano la quantità di moneta in termini

nominali. Essendo le due funzioni indipendenti ci può essere una discrepanza tra

domanda e offerta di moneta cioè la banca centrale può aver creato una quantità di

moneta superiore a quella che, dati i prezzi, i tassi di rendimento e la quantità di

ricchezza esistente, il pubblico desidera possedere. F e S descrivono le

conseguenze di questo squilibrio; l‟eccesso di offerta di moneta darà origine ad un

incremento della domanda di beni che farà aumentare i prezzi. E‟ la variazione dei

prezzi ad eliminare lo squilibrio tra domanda ed offerta di moneta (p. 18, 3-4)

F e S osservano che lo squilibrio tra domanda e offerta può essere provocato da

una variazione della domanda di moneta o da una variazione dell‟offerta di

moneta; essi concludono però, osservando l‟esperienza degli Stati Uniti e della

Gran Bretagna, che la variazioni nella domanda di moneta sono piuttosto lente,

mentre sono state molto più frequenti le variazioni della quantità nominale di

moneta creata dalle autorità monetarie (p. 19, 5)

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Dopo aver ricordato gli elementi significativi della teoria quantitativa della

moneta F e S rispondono ad una importante critica che è stata mossa ai sostenitori

di questa teoria. Secondo questa critica la teoria quantitativa non specifica

chiaramente il meccanismo attraverso il quale le variazioni della quantità

nominale di moneta determinate dalle autorità monetarie influenzano il livello dei

prezzi (p. 26, 1)

F e S ritengono che questa critica sia ingiustificata poiché si basa sull‟ipotesi che

il mercato della moneta funzioni in modo diverso rispetto ai mercati normali;

invece il mercato della moneta funziona come tutti gli altri mercati, quindi uno

squilibrio tra domanda e offerta di moneta farà variare il prezzo della moneta.

(p.26, 2)

F e S osservano che questa idea secondo cui il mercato della moneta ha

caratteristiche analoghe a quelle di ogni altro mercato non è stata compresa a

causa di due ragioni. In primo luogo la confusione tra grandezze flusso e

grandezze stock (p. 26, 3) Il secondo elemento riguarda la tendenza a confondere

la moneta con il credito e quindi il prezzo della moneta con il prezzo del credito.

(p.26, 4)

F e S sottolineano che il prezzo della moneta non è il tasso di interesse, che è il

prezzo del credito, ma corrisponde alla quantità di beni e servizi che possono

essere acquistati con una unità di moneta; corrisponde quindi al reciproco del

livello dei prezzi. Questa definizione del prezzo della moneta è coerente con la

specificazione della funzione fondamentale della moneta: quella di essere un

mezzo di scambio. Secondo F e S un eccesso di offerta di moneta provoca una

caduta del prezzo della moneta e quindi un aumento del livello dei prezzi e

viceversa. Le ragioni della relazione tra moneta e prezzi possono essere comprese

ricordando l‟esempio della costruzione della strada finanziata mediante la

creazione di nuova moneta, utilizzato da Friedman e descritto nel corso di

macroeconomia; questo esempio mostra che secondo la teoria quantitativa esiste

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una relazione diretta tra quantità di moneta in circolazione livello della domanda

aggregata.

Nel caso del mercato del credito invece, uno squilibrio tra domanda e offerta di

credito non ha alcun effetto sul livello dei prezzi. Questo significa che non esiste

alcuna relazione tra ammontare del credito e livello della domanda aggregata; un

eccesso di offerta di credito, ad esempio non ha alcun effetto sul livello della

domanda aggregata. Infatti un eccesso di offerta di credito implica un eccesso di S

rispetto agli I, questo provocherà una caduta del tasso di interesse che spingerà le

imprese ad espandere gli investimenti assicurando in questo modo l‟equilibrio tra

S e I e quindi tra domanda e offerta di credito. Il livello della domanda aggregata

complessivamente non cambia, rimarrà quello coerente con l‟equilibrio di piena

occupazione.

C‟è un‟ultima osservazione a proposito della relazione tra moneta e credito

definita dalla teoria mainstream da sottolineare. Il fatto che questa teoria consideri

il mercato del credito come equivalente al mercato dei beni spiega perché nei

modelli macroeconomici elaborati della teoria mainstream il mercato del credito

non appaia e sia presente soltanto il mercato della moneta. Questo punto è ben

descritto da McCallum.

McC spiega nell‟introduzione del suo libro le ragioni per le quali egli si concentra

sul mercato della moneta trascurando il mercato del credito. (p. 26, 1) Egli

osserva il mercato del credito e in generale il sistema finanziario ha un ruolo

molto importante nel sistema economico (p. 27, 2) e quindi sottolinea che il

cattivo funzionamento del sistema finanziario avrà conseguenze molto pesanti sul

funzionamento del sistema economico (p. 28, 3)

E quindi si chiede per quali ragioni si può trascurare l‟analisi del mercato del

credito e quindi del sistema finanziario. La risposta sta nel fatto che i rapporti di

credito e di debito su cui si fonda il sistema finanziario sono espressione delle

decisioni di risparmio e di investimento descritte quando si specifica il mercato

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dei beni, quindi è sufficiente considerare queste relazioni una sola volta quando si

specifica il mercato dei beni (p. 28, 4-5) McC conclude quindi, che è privo di

significato distinguere tra il settore reale e il settore finanziario del sistema

economico poiché sono la stessa cosa (p. 30, 5)

2. Il ruolo degli intermediari finanziari.

Il secondo elemento che caratterizza la teoria mainstream della finanza è costituito

dalla spiegazione della presenza degli intermediari finanziari. Il sistema

finanziario non è costituito soltanto dai rapporti di credito e debito che

caratterizzano il mercato del credito, ma all‟interno di questo mercato operano dei

soggetti che vengono normalmente chiamati intermediari come le banche

commerciali, le banche di investimento, le compagnie di assicurazione, ecc.

Quindi un aspetto importante di una teoria della finanza consiste nello spiegare le

ragioni che giustificano la presenza di intermediari finanziari.

Spiegare le ragioni della presenza degli intermediari finanziari significa, secondo

la teoria neoclassica, spiegare le ragioni per le quali le famiglie non trasferiscono

direttamente i loro risparmi alle imprese, ma preferiscono cederli a degli

intermediari che si occuperanno di trasferirli alle imprese. Dato che la presenza di

questi intermediari costituisce un costo che deve essere sostenuto dai risparmiatori

e/o dalle imprese, ci dobbiamo chiedere quali servizi vengono forniti dagli

intermediari al fine di giustificare i costi associati alla loro presenza.

La risposta elaborata dalla teoria neoclassica consiste nel sottolineare la presenza

all‟interno del mercato del credito, di ostacoli, di imperfezioni, che rendono

difficile il trasferimento diretto del risparmio dalle famiglie alle imprese.

L‟ostacolo sul quale si è maggiormente concentrata la teoria economica negli

ultimi quarant‟anni è costituito dalla presenza di imperfetta informazione o di

asimmetrie informative.

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Negli ultimi decenni, a partire da uno studio di Akerlof del 1970 si è sviluppata

una importante branca della teoria economica definita economia

dell‟informazione, la quale descrive il funzionamento di mercati caratterizzati

dalla presenza di asimmetria informativa. In un generico mercato si ha AI quando

le parti che devono realizzare lo scambio (compratore e venditore) non

possiedono le stesse informazioni circa le caratteristiche del bene scambiato.

Prima dello studio di Akerlof la teoria economica dava per scontato che ci fosse

sempre perfetta informazione all‟interno di un mercato.

Akerlof ha illustrato il funzionamento di un mercato caratterizzato dalla presenza

di AI con un esempio molto efficace che riguarda il mercato delle auto usate. Su

questo mercato è facile immaginare una situazione di AI, in cui compratore e

venditore non hanno le stesse informazioni circa le caratteristiche del bene

scambiato. Possiamo ipotizzare che il venditore, conosca bene la qualità dell‟auto

che intende vendere poiché l‟ha utilizzata per qualche tempo, mentre per quanto

riguarda il compratore, possiamo assumere che egli non conosca affatto le

caratteristiche dell‟auto.

Akerlof mostra che la presenza di AI ha importanti conseguenze sulle

caratteristiche dell‟equilibrio che si determina sul mercato del credito.

a) La prima conseguenza è costituita dal fatto che all‟interno dello stesso mercato

delle auto usate vengono scambiate auto di qualità diversa. Supponiamo infatti

che esistano, per semplicità, soltanto due categorie di auto: auto di buona qualità e

auto di cattiva qualità. Naturalmente i compratori saranno disposti a pagare due

prezzi diversi per queste categorie di auto:

- auto di buona qualità → P1 = 1000

- auto di cattiva qualità → P2 = 500

P1 e P2 sono i prezzi che i compratori sono disposti a pagare per i due tipi

di auto.

Supponiamo inoltre che soltanto i venditori siano in grado di distinguere le auto

buone dalle auto cattive, mentre i compratori non lo sono. In questo caso tutte le

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auto usate verranno scambiate sullo stesso mercato; se al contrario, anche i

compratori fossero in grado di riconoscere la qualità delle auto allora le due

categorie di auto sarebbero scambiate su due mercati diversi e a prezzi differenti.

b) La seconda conseguenza riguarda il prezzo che si forma all‟interno del nostro

mercato di auto usate in presenza di AI. I due gruppi di auto vengono venduti

sullo stesso mercato e quindi allo stesso prezzo. Possiamo facilmente concludere

che questo prezzo sarà inferiore a 1000 poiché i compratori sanno che esiste il

rischio di acquistare un‟auto di cattiva qualità, e sarà superiore a 500 poiché sanno

che esiste la possibilità di acquistare auto di buona qualità. Possiamo quindi

osservare che la presenza di asimmetrie informative avvantaggia quindi i

proprietari di auto di cattiva qualità e penalizza invece i venditori migliori, ossia i

proprietari di auto di buona qualità che sono costretti a vendere ad un prezzo

inferiore rispetto a quello al quale riuscirebbero a vendere se il mercato fosse

caratterizzato da perfetta informazione.

L‟analisi di Akerlof è stata applicata al mercato del credito caratterizzato dalla

presenza di debitori (ossia le imprese che devono realizzare l‟investimento) e

creditori (ossia i risparmiatori). Anche in tal caso si può determinare una

situazione di asimmetria informativa, si può ipotizzare cioè, che il debitore,

l‟impresa, possegga maggior informazioni circa la redditività futura e il grado di

rischio del progetto di investimento che intende realizzare rispetto al creditore-

risparmiatore. Sul mercato del credito si può determinare una situazione analoga a

quella che caratterizza il mercato delle auto usate di Akerlof.

Supponiamo che sul mercato del credito esistano due tipologie di debitori,

caratterizzate da differente rischiosità del prestito:

debitori di buona qualità, i quali hanno un‟alta probabilità di rimborsare il

prestito e di pagare gli interessi;

debitori di cattiva qualità, i quali presentano un alto rischio di insolvenza.

E supponiamo inoltre che i creditori-risparmiatori non siano in grado di

distinguere le due categorie di debitori. Questo implica che tutte le imprese

A

l

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i

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e

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verranno finanziate alle stesse condizioni ( nel mercato delle auto usate tutte le

auto venivano vendute allo stesso prezzo) → i debitori di cattiva qualità

risulteranno avvantaggiati, mentre i debitori di buona qualità risulteranno

penalizzati rispetto a quanto succederebbe in un mondo con perfetta informazione

in cui i buoni debitori sarebbero finanziati a condizioni migliori rispetto ai cattivi

debitori.

Le conseguenze della presenza di AI sugli operatori migliori (possessori di auto di

buona qualità; debitori meno rischiosi) permettono di spiegare le ragioni della

presenza di soggetti come gli intermediari finanziari. Continuiamo a descrivere

l‟analisi di Akerlof il quale mostra che, nel caso del mercato delle auto usate, i

costi che gravano sui proprietari di auto buone, che non riescono a vendere la loro

auto al prezzo di 1000, ma sono costretti ad accettare un prezzo inferiore, costi

che vengono definiti costi di informazione, stimolano la nascita di operatori,

Akerlof li definisce mercanti, che si specializzano nel valutare la qualità delle auto

usate.

Nel caso del mercato delle auto usate questi mercanti potrebbero essere

meccanici che si specializzano nel valutare la qualità dell‟auto e garantiscono la

qualità dell‟auto acquistata. La presenza di questo soggetto consente ai proprietari

di auto di buona qualità di vendere la propria auto ad un prezzo vicino a quello

che si sarebbe determinato in caso di perfetta informazione (1000) al netto della

ricompensa per il meccanico; mentre i proprietari di auto di cattiva qualità saranno

costretti a vendere la loro auto al prezzo di 500. La presenza del meccanico

all‟interno del mercato delle auto usate consente quindi di eliminare gli effetti

della presenza di AI; grazie al meccanico si riproducono risultati analoghi a quelli

che si sarebbero avuti in presenza di perfetta informazione: si creano due mercati

distinti delle auto usate nei quali le due categorie di auto vengono vendute a prezzi

differenti.

La teoria mainstream degli intermediari finanziari trasferisce queste conclusioni al

mercato del credito. Gli intermediari finanziari svolgono all‟interno del mercato

del credito la stessa funzione che i meccanici svolgono nel mercato delle auto

L

a

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usate di Akerlof. La funzione fondamentale degli intermediari finanziari, e in

particolare delle banche, che sono la tipica forma di intermediario, consiste nel

valutare la qualità dei debitori e quindi di ridurre le AI tra creditori e debitori. La

presenza degli intermediari consentirà ai debitori di buona qualità di finanziarsi a

condizioni migliori rispetto a quelle che dovrebbero sopportare in un mondo senza

intermediari; la riduzione dei costi di informazione giustifica quindi il pagamento

dei costi di intermediazione corrispondenti ai salari e profitti degli intermediari

finanziari. (Fama, Goodhart, Blinder, Stiglitz)

Questa analisi delle ragioni della presenza degli intermediari finanziari ci permette

di sottolineare due aspetti significativi della teoria mainstream.

1) Secondo questa teoria esiste un mondo ideale caratterizzato dalla presenza di

perfetta informazione in cui:

a) tutte le risorse risparmiate vengono impiegate negli investimenti più efficienti;

b) i risparmiatori trasferiscono direttamente le risorse risparmiate alle imprese

senza necessità dell‟intervento di intermediari finanziari; in questo mondo ideale

gli IF non hanno alcun ruolo.

2) Questo mondo ideale non è una costruzione astratta che non ha alcun rapporto

con i sistemi economici concreti, ma costituisce il punto di arrivo verso cui

converge una economia caratterizzata dalla presenza di imperfezioni come le

asimmetrie informative. La presenza di intermediari finanziari serve infatti ad

eliminare gli effetti delle AI e a fare in modo che nel mondo reale si riproducano

i risultati che si otterrebbero in un mondo ideale in cui i risparmiatori finanziano

direttamente le imprese e non esistono intermediari finanziari.

Possiamo quindi osservare che la teoria mainstream afferma il principio della

neutralità della finanza; questo principio non significa che la finanza, intesa come

mercato del credito e intermediari finanziari è irrilevante, ma significa affermare

che la funzione del sistema finanziario consiste nel fare in modo che una

economia caratterizzata da imperfezioni come le asimmetrie informative ottenga

gli stessi risultati che caratterizzano il mondo ideale con perfetta informazione in

cui il mercato del credito coincide con il mercato dei beni e gli intermediari

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finanziari non hanno ragione di esistere. La finanza è neutrale poiché non

influenza in alcun modo i risultati ottenuti dal mondo ideale.

Queste conclusioni sono confermate dalle considerazioni circa la relazione tra

finanza e sviluppo economico.

3. Finanza e crescita economica

L‟ultimo punto della teoria mainstream riguarda l‟analisi della relazione tra

finanza e sviluppo economico, cioè la specificazione delle ragioni per le quali la

finanza, il sistema finanziario, può essere visto come un elemento importante

nello spiegare il processo di sviluppo economico. Questa analisi, come vedremo, è

coerente con il principio di neutralità della finanza descritto sopra.

Pagano (1993) spiega questa relazione mediante un modello che deriva da un

fondamentale modello teorico elaborato negli anni ‟50 dall‟economista americano

Robert Solow. La prima equazione del modello di Pagano descrive

relazione tra reddito e stock di beni capitali → eq. 1:

dove: A rappresenta la produttività del capitale;

Kt è lo stock di beni capitali al tempo t ed è l‟unica grandezza

variabile.

Il reddito è una funzione lineare crescente dello stock di beni capitali. Il

capitale è l‟unico fattore produttivo considerato in quanto si ipotizza che il

numero di lavoratori impiegato (N) sia costante nel tempo; quindi N, in

quanto costante, può essere trascurato (p.613, 0).

La seconda equazione specifica:

relazione tra investimenti e stock di beni capitali:

Yt = A * Kt

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Indichiamo con K lo stock di beni capitali disponibili all‟inizio di ogni

periodo; ipotizziamo inoltre, che si produca un unico bene (es. grano o

pesce) che può essere consumato (al fine di garantire la sopravvivenza delle

famiglie) o investito (impiegato quindi come mezzo di produzione). In ogni

periodo possiamo individuare inoltre un certo flusso di investimenti che

permette di aumentale lo stock di beni capitale. Ad esempio, gli investimenti

saranno costituiti dalla quantità di grano (o di pesce) che serve a pagare i

lavoratori che producono aratri (o barche). Per definire la relazione tra lo

stock di beni capitale e il flusso degli investimenti possiamo considerare due

casi: Quindi avremo:

a) i beni capitali durano in eterno; in questo caso vale la relazione:

eq. 2:

b) i beni capitale sono deperibili;:

eq. 2’:

Le equazioni appena analizzate mettono in luce che lo stock di beni capitali

varia di periodo in periodo in funzione dello stock di investimenti realizzato

nel periodo precedente.

La terza equazione definisce:

relazione tra risparmi e investimenti

Il modello di Solow segue l‟impostazione neoclassica secondo cui le

decisioni di investimento sono determinate dalle decisioni di risparmio S →

I (p.614, 1)

Se Yt-1 è la produzione di grano realizzata in t-1:

una parte sarà consumata Ct-1 = f (Yt-1) = c Yt-1

c = propensione marginale al consumo (0<c<1 es. c=0,8)

una parte sarà risparmiata St-1 = f (Yt-1) = s Yt-1

δ definisce la frazione di beni capitali

deteriorata dall’uso.

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s = (1-c) = propensione marginale al risparmio (s = 1-c = 1-0,8 =

0,2)

Eq. 3:

Possiamo illustrare il significato di questa relazione ipotizzando che si

produca un solo bene: grano (pesce); il grano si produce oltre che con lavoro

e semente anche con un bene capitale che può essere un aratro oppure un

trattore. L‟aratro/trattore verrà prodotto mediante lavoro. In questo caso

l‟investimento consiste nel destinare una parte del grano prodotto a pagare e

a permettere la sopravvivenza dei lavoratori che producono l‟aratro il

20% del grano prodotto che serve a pagare i lavoratori che producono

aratri/trattori costituisce il risparmio.

La produttività dello stock di capitale dipende dalla tecnologia produttiva: se la

produzione avviene mediante lavoro, sementi e aratro la produttività del capitale

impiegato sarà più bassa rispetto al caso in cui si produce con lavoro, sementi e

trattore.

Il modello definito dalla teoria mainstream specifica una relazione causale tra

risparmi e reddito:

→ dato Yt-1 è determinato St-1 = s Yt-1

→ dato St-1 l‟equazione 3 determina It-1, ossia l‟ammontare degli investimenti

che vengono realizzati in t-1

→ dato It-1 l‟equazione 2 determina Kt, ossia lo stock di beni capitali

disponibile al tempo t

→ dato Kt l‟equazione 1 determina Yt.

il livello degli investimenti dipende dalle decisioni di

risparmio.

Yt dipende dal risparmio che si determina nel periodo precedente → tanto

maggiore è il risparmio, tanto maggiori saranno gli investimenti, lo stock dei

beni capitali e quindi il reddito.

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Queste relazioni si basano sull‟ipotesi secondo i risparmi determinano gli

investimenti e secondo cui tutte le risorse risparmiate vengono investite. In

questo caso non c‟è alcun ruolo per il sistema finanziario; sono le decisioni di

risparmio che influenzano il processo di accumulazione del capitale e quindi il

livello del reddito; il sistema finanziario, la cui funzione è facilitare il

trasferimento del risparmio dalle famiglie alle imprese può essere trascurato come

diceva McCallum.

Pagano introduce il sistema finanziario in questo modello modificando

l‟equazione 3 e ipotizzando che in un sistema economico in cui esista un sistema

finanziario sviluppato non tutto l‟ammontare di risparmio viene investito.

In questo caso quindi avremo:

eq. 3.1:

dove = quota delle risorse risparmiate che non viene investita. Tale

quantità corrisponde all‟insieme dei salari e dei profitti che viene assorbito dal

sistema finanziario. Si tratta quindi del costo del sistema finanziario; la presenza

del sistema finanziario sottrae risorse agli investimenti (615,1)

Sulla base delle tre relazioni Pagano spiega come il sistema finanziario può

influenzare la crescita economica; a questo scopo definiamo il tasso di crescita:

tasso di crescita del reddito:

sapendo che e avremo:

con 0<Φ<1

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sapendo che avremo:

Poiché: e avremo:

dove frazione di bene capitale deteriorata dall‟uso (grandezza indipendente

dal sistema finanziario)

Sulla base di questa definizione del tasso di crescita Pagano conclude che il

sistema finanziario può influenzare il tasso di crescita del sistema economico in

tre diversi modi (614, 3). In particolare influenza:

costo del sistema finanziario

propensione al risparmio

produttività del capitale

In primo luogo un sistema finanziario evoluto può incrementare il tasso di

crescita aumentando Φ mediante la riduzione dei costi di intermediazione

(615, 1,2)

Il grado di sviluppo del sistema finanziario determina infatti il livello dei

costi di intermediazione:

- un sistema finanziario evoluto genera bassi costi di intermediazione;

- un sistema finanziario arretrato genera alti costi di intermediazione.

grandezze influenzate dal sistema finanziario

Il grado di sviluppo del sistema finanziario influenza Φ, s e A e attraverso

queste grandezze influisce sul tasso di crescita del sistema economico.

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Anche al sistema finanziario si può quindi applicare la nozione tipica del

settore industriale secondo cui il progresso tecnologico tende a ridurre i

costi → l‟innovazione finanziaria misura l‟evoluzione del sistema

finanziario e tende a ridurre i costi di intermediazione.

Il secondo canale attraverso il quale il sistema finanziario influenza il tasso

di crescita consiste nell‟incrementare la produttività del capitale, e quindi il

valore del parametro A, indirizzando le risorse risparmiate verso gli

impieghi più produttivi (615, 3).

Il terzo canale attraverso il quale il sistema finanziario influenza il tasso di

crescita è costituito dal valore della propensione al risparmi –s-. Un

aumento di –s- determina un incremento degli investimenti e quindi dello

stock di capitale e infine del livello di reddito. Pagano osserva che gli effetti

della presenza di un sistema finanziario evoluto sulla propensione al

risparmio non sono facili da definire; si possono distinguere infatti due

effetti che hanno segno opposto.

In primo luogo se si assume che la propensione al risparmio sia influenzata

positivamente dal livello del tasso di interesse allora si dovrebbe concludere

che la presenza di un sistema finanziario evoluto consente di ottenere una

maggiore propensione al risparmio poiché assicura ai risparmiatori

rendimenti più elevati in quanto indirizza le risorse risparmiate verso gli

impieghi più redditizi. Assicurando ai risparmiatori rendimenti più elevati, li

spinge a risparmiare di più. con e quindi al

crescere del tasso di interesse conviene risparmiare. Di conseguenza un

sistema finanziario in grado di offrire tassi di interesse più alti è in grado di

aumentare la propensione al risparmio.

In secondo luogo Pagano ricorda che un aumento di-r- potrebbe ridurre la

propensione al risparmio poiché si potrebbe ipotizzare che i risparmiatori si

pongano un limite al flusso di risparmio che è determinato dal livello di

reddito futuro che intendono ottenere; in questo caso al crescere del tasso di

interesse diminuisce il flusso di risparmio necessario ad ottenere un dato

livello di reddito futuro. Supponiamo che un operatore voglia ottenere un

certo reddito futuro:

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| | |

presente futuro

L‟individuo nel tempo presente percepisce redditi da lavoro, mentre nel

periodo futuro va in pensione e il suo obiettivo è quindi mantenere lo stesso

tenore di vita che aveva nel periodo presente → l‟obiettivo non è la

massimizzazione del reddito futuro, ma ottenere lo stesso livello di reddito

del presente.

La decisione di risparmiare oggi dipende anche dal tasso di interesse: tanto

maggiore è il tasso di interesse, tanto minore dovrà essere il risparmio

necessario ad ottenere un dato livello di reddito futuro.

.

I

In conclusione, osserva Pagano, la relazione tra la presenza di un sistema

finanziario evoluto e la propensione al risparmio può avere segno positivo o

negativo. Anche se l‟effetto della Finanza su –s- è ambiguo, non è ambiguo

l‟effetto complessivo; La relazione positiva tra sviluppo del sistema

finanziario e tasso di crescita del sistema economico passa quindi attraverso

Φ e A.

Possiamo osservare che l‟analisi di Pagano è coerente con il principio di

neutralità della finanza poiché essa sottolinea che la presenza di un sistema

finanziario evoluto consente di avvicinare i risultati di una economia reale a

quelli di una economia ideale in cui tutti i risparmi sono investiti e sono

impiegati nel modo più produttivo.

Conclusioni analoghe a quelle di Pagano si trovano in un lavoro più recente

(Chou) il cui obiettivo consiste nello spiegare in che modo la finanza può

influenzare il tasso di crescita del sistema economico (78, 1)

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La conclusione è che il segno della relazione tra sviluppo del sistema

finanziario e propensione marginale al risparmio può essere negativa.

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Partendo sempre dal modello di Solow, Chou sviluppa un modello che ha

caratteristiche simili a quello di Pagano; in particolare anche Chou osserva che in

una economia reale non tutti i risparmi vengono investiti; quindi anche in questo

caso avremo:

Chou giustifica in modo diverso le ragioni di questa relazione. Nel lavoro di

Pagano dipende dai costi di intermediazione: non tutto il risparmio viene

investito, una parte viene destinata a salari e profitti degli intermediari finanziari;

nel lavoro di Chou rappresenta i risparmi impiegati in attività liquide, ma

non produttive, ossia in moneta (p. 80, 1,2, 3)

Chou, a differenza di Pagano, introduce nella sua analisi la moneta; l‟analisi di

Pagano era sviluppata in termini di beni (grano o pesce), Chou invece, ipotizza

che i redditi siano pagati in moneta e che i risparmi siano costituiti dalla quota

reddito monetario che non viene usata per acquistare beni di consumo (cioè grano

o pesce). E quindi può concludere che: i) tutti i risparmi vengono trasformati in

investimenti solo se i risparmiatori cedono tutta la moneta alle imprese attraverso

il mercato del credito; ii) questo risultato può essere ottenuto soltanto in presenza

di un sistema finanziario evoluto che consente di offrire ai risparmiatori strumenti

finanziari che hanno caratteristiche di rendimento e di rischio tali da indurli a

cedere moneta in cambio di questi titoli. Se questi titoli non esistono, quindi se il

sistema finanziario non è evoluto, allora i risparmiatori decideranno di accumulare

moneta; in questo caso solo una parte dei risparmi servirà a finanziare gli

investimenti. Quindi il valore di riflette il grado di efficienza dl sistema

finanziario (80, 4).

Ci possiamo chiedere a questo punto come si manifesta il grado di evoluzione del

sistema finanziario? La risposta di Chou è che un sistema finanziario evoluto è un

sistema capace di creare una ampia offerta di strumenti finanziari che sono in

grado di soddisfare le preferenze dei risparmiatori e di indurli quindi a cedere

moneta in cambio di questi strumenti finanziari (81, 5). Possiamo illustrare questo

concetto ricordando le argomentazioni con le quali viene giustificata la presenza

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degli intermediari finanziari. Un operatore avverso al rischio potrà essere indotto a

sottoscrivere titoli di credito se esistono sul mercato titoli di credito poco

rischiosi. In un mondo caratterizzato da asimmetrie informative buoni e cattivi

debitori verranno finanziati allo stesso tasso di interesse. La rischiosità media però

può essere così elevata da indurre l‟operatore avverso al rischio a non

sottoscrivere titoli di credito.

Ma se nel sistema finanziario viene introdotta la figura dell‟intermediario

finanziario, i debitori verranno finanziati a condizioni differenti e il nostro

operatore avverso al rischio potrà scegliere tra due categorie di titoli:

titoli rischiosi con elevati tassi di rendimento;

titoli meno rischiosi con più bassi tassi di rendimento

e quindi l‟operatore potrà decidere di sottoscrivere titoli poco rischiosi.

Il valore di Φ rappresenta l‟efficienza del sistema finanziario, la quale dipende dal

numero dei prodotti finanziari disponibili sul mercato.

L‟analisi Chou e l‟esplicita considerazione della presenza della moneta ci

permette di fare alcune osservazioni su cui torneremo nelle lezioni successive.

La prima osservazione consiste nel domandarci a cosa serve la moneta in un

mondo in cui si produce un solo bene quale il grano? Questa domanda nasce dal

fatto che secondo la teoria mainstream la funzione fondamentale della moneta è

quella di essere un mezzo di scambio, che riduce i costi dello scambio rispetto ad

una economia di baratto.

La presenza del sistema finanziario evoluto determina l’incremento del

valore di Φ e consente di moltiplicare l’offerta di strumenti finanziari per

consentire ai risparmiatori di ridurre la quota di risparmio impiegata

moneta.

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In secondo luogo possiamo osservare che la presenza della moneta cambia la

relazione tra risparmi ed investimenti rispetto a quanto accade in un mondo in cui

si considera solo la presenza di grano (o pesce):

in un mondo in cui si considera solo la presenza di grano i lavoratori

vengono pagati in grano e quindi risparmiare significa non consumare il

grano prodotto. Il grano è un bene deperibile quindi potrà essere consumato

o investito (cioè servirà come salario per pagare i lavoratori che producono

aratri) → la decisione di risparmio implica necessariamente la decisione di

investimento.

se introduciamo la moneta stiamo immaginando che tutti i lavoratori che

producono grano vengano pagati in moneta e quindi questi risparmiatori

possono decidere di non spendere tutto il loro reddito per acquistare grano e

di tenere i loro risparmi in un cassetto o sotto il materasso per un certo

periodo di tempo.

Possiamo osservare, infine, che anche l‟analisi di Chou è coerente con il principio

di neutralità della finanza. Il contributo che il sistema finanziario può fornire al

processo di crescita consiste nell‟incrementare il valore di Φ, ossia la quota di

risparmio impiegata in titoli ovverosia di fare in modo che Φ tenda a 1, ossia che

la quota di risparmio impiegata in moneta si riduca a 0.

4. La neutralità della Finanza: L’analisi di Merton e Bodie

Il concetto de neutralità della finanza, che caratterizza la teoria mainstream della

Finanza, può essere ben illustrato dal lavoro di Merton e Bodie. Questo articolo

descrive l‟evoluzione della teoria della finanza negli ultimi decenni; gli autori

osservano che si possono individuare diversi approcci. Il primo è costituito della

finanza neoclassica.

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Secondo Merton e Bodie la FINANZA NEOCLASSICA studia il ruolo della

finanza considerando un mondo senza imperfezioni in cui gli individui sono

perfettamente razionali. In questo mondo la finanza coincide con il mercato del

credito che a sua volta coincide con il mercato dei beni. I risparmi e gli

investimenti determinano quindi il tasso di interesse che a sua volta determina i

prezzi degli strumenti finanziari. (p.1, 1)

Negli ultimi anni si sono sviluppati altri due approcci teorici che invece criticano

le due ipotesi sulle quali si basa la finanza neoclassica:

1. NEW INSTITUTIONAL ECONOMICS si concentra su un mondo

caratterizzato da imperfezioni e dalla presenza di costi di transazione, di

tasse e altre frizioni che caratterizzano il mondo reale;

2. BEHAVIORAL ECONOMICS invece introduce l‟ipotesi di razionalità

limitata di agenti che non sono completamente informati. (p.4, 2)

Il mondo ideale descritto dalla finanza neoclassica, non è una costruzione

puramente astratta, ma costituisce un punto di riferimento per il mondo reale

analizzato dagli altri due approcci; costituisce cioè il modello a cui tende il

sistema reale. Nel mondo ideale descritto dalla finanza neoclassica, il sistema

finanziario coincide con il mercato del credito, le istituzioni non contano perché i

risparmiatori finanziano direttamente le imprese (S → I): gli intermediari

finanziari non influenzano i prezzi di equilibrio e l‟allocazione del rischio. (p.5, 3)

La teoria neoclassica della finanza ha un limite importante in quanto trascurando

la presenza di imperfezioni non è in grado di spiegare l‟esistenza di istituzioni che

nascono con lo scopo di superare gli effetti di queste imperfezioni. La presenza di

imperfezioni e di razionalità limitata degli operatori giustifica il sorgere di

Per quasi tre decadi la scienza della finanza largamente basata sulla finanza

neoclassica ha avuto un impatto molto forte sulla finanza concreta.

La tesi che Merton e Bodie sostengono è che questi approcci non sono tra

loro alternativi, ma complementari.

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istituzioni, gli intermediari, i quali fanno sì che i risultati prodotti da un‟economia

caratterizzata da imperfezione e razionalità limitata convergano verso i risultati di

un mondo ideale in cui gli operatori sono razionali e non vi sono imperfezioni. La

funzione degli altri due approcci è quella di spiegare che lo scopo delle istituzioni

finanziarie consiste nel‟annullare gli effetti della presenza di imperfezioni e dei

limiti nel comportamento razionale degli individui. (p4, 4, 5) (p. 5, 6)

Merton e Bodie definiscono il loro approccio Functional and Structural

Finance – FSF; con questa espressione possiamo definire la teoria mainstream

della finanza (p. 5, 7) (p.6, 8) che ha le seguenti caratteristiche:

la finanza neoclassica serve a determinare i valori di equilibrio dei prezzi e

la distribuzione di equilibrio delle risorse, ma non a spiegare la presenza

delle istituzioni finanziarie. Nel mondo ideale i risparmiatori finanziano

direttamente le imprese e le scelte dei risparmiatori e delle imprese

determinano il tasso di interesse; si può anche assumere che risparmiatori e

imprese siano in grado di creare una pluralità di strumenti finanziari (azioni,

obbligazioni) che rappresentano le posizioni di debito e di credito i cui

prezzi di equilibrio vengono fissati all‟interno di mercati caratterizzati da

perfetta informazione e in cui operano soggetti perfettamente razionali.

New istitutional economics e Behavioral economics invece servono a

spiegare l‟evoluzione della struttura finanziaria e quindi a giustificare la

presenza degli intermediari finanziari, i quali non hanno alcuna influenza

nel determinare ma i prezzi e l‟allocazione delle risorse che caratterizzano

il mondo ideale verso cui converge il mondo reale.

Merton e Bodie presentano tre esempi per illustrare la loro tesi.

1. Il primo riguarda la giustificazione della presenza degli intermediari finanziari.

(p.7, 9) L‟analisi di Merton e Bodie giustifica l‟esistenza degli intermediari con la

presenza di imperfetta informazione; in un mondo senza imperfezioni e senza

costi di transazione un risparmiatore sarebbe indifferente tra:

- scegliere autonomamente un portafoglio

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- scegliere un portafoglio tra quelli selezionati dagli operatori professionali

la cui presenza non avrebbe alcun ruolo

Al contrario, in presenza di asimmetrie informative e costi di transazione diventa

rilevante la presenza di intermediari finanziari come i fondi di investimento, i

quali raccolgono informazioni per definire i portafogli efficienti con le migliori

combinazioni rendimento-rischio.

In questo modo gli operatori saranno incentivati a ricorrere agli intermediari

finanziari piuttosto che a scegliere autonomamente il portafoglio.

2. Il secondo esempio riguarda la descrizione degli effetti dell‟innovazione

finanziaria. Possiamo definire l‟innovazione finanziaria come il processo di

creazione di nuovi strumenti finanziari, di nuovi mercati e di nuove istituzioni

finanziarie. Secondo Merton e Bodie negli ultimi 30 anni si è manifestato un

intenso processo di innovazione finanziaria che ha avuto sostanzialmente due

effetti molto positivi:

- coerentemente con quanto affermato da Chou, l‟innovazione finanziaria

avrebbe permesso di espandere l‟offerta di strumenti finanziari e quindi

di ridurre la quota di risparmio impiegata in attività liquide non

produttive (moneta) e dunque non impiegata per finanziare gli

investimenti delle imprese;

- l‟innovazione finanziaria ha favorito la mobilità dei capitali tra i vari

Paesi, ossia il processo di globalizzazione del sistema finanziario. Essa

ha quindi permesso di superare gli ostacoli che impedivano la

circolazione del capitale tra i vari Paesi consentendo al sistema

finanziario di raggiungere una maggiore efficienza. Per illustrare questo

secondo punto Merton e Bodie presentano un esempio molto efficace.

(p.2-3, 10-11)

Il terzo esempio riguarda gli effetti della presenza di razionalità limitata. Gli

autori riconoscono che i risparmiatori prendono le loro decisioni finanziarie in

condizioni di razionalità limitata come dimostrano molti studi empirici (p.9, 13)

Secondo Merton e Bodie, però, questo non implica che sui mercati finanziari si

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determini un sistema dei prezzi sbagliato e quindi una allocazione delle risorse

inefficace poiché la presenza delle istituzioni finanziarie permette di annullare gli

effetti della razionalità limitata (p. 9, 13)

Dal lavoro di Merton e Bodie emerge una visione molto ottimistica circa il

funzionamento del sistema finanziario, il ruolo degli intermediari finanziari e gli

effetti dell‟innovazione finanziaria; una visione coerente con il principio della

neutralità della finanza. Questa visione ottimistica emerge anche dal modo in cui i

due autori considerano il fenomeno delle crisi finanziarie (p. 3, 12) Essi

considerano le crisi come conseguenze di „incidenti‟ provocati dal

comportamento scorretto di qualche operatore, cioè come fenomeni che non

derivano dalle caratteristiche strutturali del sistema finanziario.

Possiamo riassumere i punti fondamentali della teoria mainstrem della finanza:

1. In primo luogo secondo la Teoria Neoclassica della finanza il fenomeno del

credito deriva dalle decisioni di risparmio e di investimento. Il fondamentale

obiettivo del sistema finanziario consiste nel facilitare il trasferimento di risorse

dai risparmiatori alle imprese. Il mercato del credito coincide con il mercato dei

beni quindi l‟offerta di credito coincide con le decisioni di risparmio.

2. Il secondo elemento significativo riguarda la separazione tra la moneta e il

credito → il processo di creazione di moneta è indipendente dal processo di

creazione del credito, infatti:

l‟offerta di moneta è indipendente rispetto all‟offerta di credito e

dipende dalle decisioni delle autorità monetarie;

l‟offerta di credito è riconducile alle decisioni di risparmio.

3.Il terzo elemento riguarda la specificazione della funzione degli intermediari

finanziari che è quella di ridurre gli effetti della presenza di imperfezioni, di

asimmetrie informative e di razionalità limitata degli operatori.

4. L‟ultimo punto riguarda la specificazione della relazione tra finanza e sviluppo

economico; la teoria mainstream sottolinea che nel mondo reale non tutto il

risparmio si traduce in investimenti → con 0<Φ<1. Compito degli

intermediari finanziari è spingere il valore di Φ verso l‟unità; nel mondo ideale

infatti Φ = 1 e quindi S = I.

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Su questi elementi si fonda il concetto di neutralità della finanza che caratterizza

la teoria mainstream della finanza secondo cui esiste un mondo ideale all‟interno

del quale il sistema finanziario coincide con il mercato del credito e i risparmiatori

trasferiscono direttamente risorse alle imprese senza alcun bisogno degli

intermediari. Il ruolo degli intermediari finanziari consiste nel fare in modo che il

mondo reale produca gli stessi risultati che si otterrebbero in un mondo ideale

caratterizzato da perfetta informazione.

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LA TEORIA KEYNESIANA DELLA FINANZA

Quella che viene definita come teoria keynesiana della finanza è in realtà il

prodotto del lavoro di numerosi economisti come Wicksell, Keynes, Schumpeter.

Dal loro lavoro emerge una teoria della finanza completamente diversa da quella

mainstream; una teoria che non accetta i punti fondamentali della teoria

mainstream descritta nelle pagine precedenti. Secondo la teoria keynesiana della

finanza:

1. non vale l‟uguaglianza tra mercato del credito e mercato dei beni →

l‟offerta di credito è indipendente dalle decisioni di risparmio, questo porta

a considerare il tasso di interesse come un fenomeno monetario;

2. esiste uno stretto legame tra il processo di creazione di credito e il processo

di creazione della moneta;

3. le banche non sono semplici intermediari che prestano ciò che raccolgono;

4. viene abbandonato il principio della neutralità della finanza secondo cui

esiste un mondo ideale verso il quale converge il mondo reale grazie

all‟azione del sistema finanziario.

Per presentare la teoria keynesiana della finanza partiamo dal concetto di moneta

e dalla distinzione, già analizzata nel corso di macroeconomia, tra moneta merce e

moneta segno:

moneta merce: - ha un valore intrinseco (es. sale, metalli preziosi,…);

- è prodotta mediante lavoro;

- ha dei costi di produzione;

- può essere prodotta da chiunque mediante lavoro.

moneta segno: - non ha alcun valore intrinseco → è la moneta

cartacea;

- non è prodotta mediante lavoro;

- ha costi di produzione pari a 0;

- non può essere prodotta da chiunque, ma solo da

determinati soggetti.

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La teoria neoclassica non dà particolare rilievo al passaggio dalla moneta merce

alla moneta segno, ritiene cioè che l‟impiego della moneta segno non abbia

cambiato in modo significativo né la natura e il ruolo della moneta né le

caratteristiche del fenomeno del credito. La teoria keynesiana della finanza ritiene

invece che l‟impiego di una moneta segno abbia profondamente cambiato la

natura della moneta e la natura del credito.

Per spiegare questo punto fondamentale della teoria keynesiana, è necessario

sottolineare che la moneta segno a cui fa riferimento la teoria keynesiana della

finanza è costituita dalla moneta bancaria. Nel corso di macroeconomia abbiamo

identificato la moneta segno con le banconote create dalla banca centrale

mediante le operazioni di mercato aperto. In realtà le banconote create dalla Banca

Centrale Europea non sono l‟unica moneta segno usata nelle nostre economie;

un‟altra moneta segno viene utilizzata ed è costituita dalla moneta bancaria, cioè

dalle passività emesse dalle singole banche (es. assegni, carte di credito,

bancomat,…).

M = CIRC(moneta legale) + DEP

Le passività delle banche (DEP) costituiscono la componente più rilevante della

moneta(80-90%).

La Teoria Neoclassica afferma che il passaggio dall‟uso della moneta merce alla

moneta segno e in particolare all‟impiego della moneta bancaria non ha avuto

alcun effetto sulla struttura del sistema economico.

La Teoria Keynesiana ritiene invece che l‟impiego di una moneta segno come la

moneta bancaria abbia cambiato la struttura del sistema economico; in particolare

ha modificato il ruolo della moneta e la natura del credito.

Secondo la Teoria Neoclassica anche in un sistema in cui si utilizza la moneta

segno si continua ad applicare la teoria quantitativa della moneta e quindi il

principio di neutralità della moneta.

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Keynes sottolinea l‟importanza di tale passaggio introducendo una distinzione tra

due tipi di sistema economico:

real exchange economy → si tratta di un‟economia di baratto che usa la

moneta merce come semplice mezzo di scambio (Keynes 1933, 408, 1);

monetary economy → si tratta di un‟economia in cui si usa moneta segno

ed in particolar modo moneta bancaria (Keynes 1933, 408, 2).

Ciò che distingue le due economie non è l‟impiego della moneta; in entrambe le

economie viene usata moneta. Nel primo caso l‟uso della moneta non cambia la

struttura del sistema economico che resta una economia di baratto; la moneta

usata, una moneta merce, è un semplice mezzo di scambio che riduce i costi dello

scambio ma non modifica le caratteristiche del sistema economico, vale il

principio della neutralità della moneta.

Una monetary economy invece, non è semplicemente una economia in cui si usa

moneta, ma è un‟economia in cui l‟impiego di una moneta segno come la moneta

bancaria cambia la struttura del sistema economico rispetto ad una economia di

baratto. La moneta in questo caso non può essere considerata neutrale poiché non

si possono spiegare gli aspetti significativi di una monetary economy senza

considerare la presenza della moneta, mentre si possono descrivere le

caratteristiche di una economia di baratto trascurando la moneta.

In particolare ci concentreremo su due aspetti che differenziano una monetary

economy rispetto ad una economia di baratto e la cui rilevanza è associata

all‟impiego della moneta bancaria:

1- il primo riguarda la natura del fenomeno del credito e la specificazione della

relazione tra moneta e credito e del ruolo delle banche;

2- il secondo riguarda il fenomeno delle fluttuazioni del reddito e

dell‟occupazione e quindi il fenomeno delle crisi.

Secondo Keynes l’introduzione della moneta bancaria ha cambiato la

struttura del sistema economico.

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62

1. La moneta bancaria e la natura del credito (Cannan/Schumpeter/Hicks)

Secondo la teoria mainstream il fenomeno del credito è indipendente dalla

presenza della moneta bancaria, cioè le caratteristiche di questo fenomeno non

dipendono dalla presenza delle banche; come abbiamo detto la natura del

fenomeno del credito è indipendente dall‟oggetto del credito: un bene reale o

moneta. Secondo la teoria neoclassica il credito è il contratto mediante il quale il

risparmiatore trasferisce risorse all‟impresa; introducendo le banche (che secondo

la teoria neoclassica sono dei semplici intermediari che facilitano il trasferimento

di risorse da risparmiatori a imprese) nel sistema economico non cambia la natura

del credito poiché la sua origine continua ad essere costituita dalle decisioni di

risparmio, ossia sono sempre i risparmiatori che finanziano le imprese.

Le teoria keynesiana della finanza afferma invece che:

a) con la diffusione della moneta bancaria si elimina il legame tra decisioni di

risparmio e offerta di credito; le banche infatti possono finanziare le imprese

creando nuova moneta quindi l‟offerta di credito diventa indipendente rispetto alle

decisioni di risparmio;

b) esiste uno stretto legame tra il processo di creazione della moneta e il processo

di creazione del credito; in un mondo che utilizza una moneta bancaria le banche

creano moneta offrendo credito alle imprese; in altri termini la moneta viene

creata mediante un contratto di credito;

c) le banche non sono semplici intermediari che prestano ciò che raccolgono.

Secondo la Teoria Neoclassica le banche sono semplici intermediari finanziari che

favoriscono il trasferimento di risorse tra i risparmiatori e gli investitori, ossia

prestano ciò che raccolgono depositi = prestiti. Esiste dunque una relazione

causale del tipo DEP → L, ossia l‟ammontare dei depositi determina le decisioni

di credito. Secondo la Teoria Keynesiana, invece, la relazione causale sarà

opposta in quanto sono le decisioni di credito che determinano l‟ammontare dei

Keynes invece afferma che in un mondo in cui si usa la moneta bancaria le banche possono

finanziare le imprese creando moneta.

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depositi: L → DEP. Le banche non sono più semplici intermediari in quanto

offrono credito creando moneta.

Possiamo illustrare questi punti che caratterizzano la teoria keynesiana della

finanza utilizzando le argomentazioni con le quali Schumpeter criticò la teoria

neoclassica del credito e delle banche. Scumpeter elaborò la sua critica

prendendo di mira l‟articolo di Edwin Cannan “The meaning of bank deposits” del

1921 che costituisce una presentazione molto efficace della teoria neoclassica del

credito e delle banche, quindi prima di descrivere la critica di Schumpeter,

dovremo presentare gli aspetti più significativi dell‟analisi di Cannan.

Cannan inizia il suo saggio lamentandosi del fatto che la teoria tradizionale delle

banche e dei depositi bancari fosse stata messa in discussione. (28, 1)

La teoria tradizionale considera le banche come dei semplici intermediari che

prestano ciò che ottengono in deposito; C. cita alcune definizioni di banca e di

banchiere che ritiene perfettamente valide (28, 2-3)

Egli sottolinea che il termine deposito usato per definire le passività delle banche

è particolarmente appropriato in quanto permette di osservare che il deposito

bancario ha le stesse caratteristiche di una generica operazione di deposito che ha

per oggetto un bene qualsiasi, ad esempio il deposito bagagli (28, 4)

In realtà C. osserva che esistono due differenze tra il deposito bancario e il

deposito bagagli, ma aggiunge che queste differenze non sono tali da giustificare

la conclusione che la natura dei depositi bancari sia diversa da quella dei depositi

bagagli.

In primo luogo, nel caso in cui si depositi un oggetto, il depositante si aspetta che

colui che riceve l‟oggetto in deposito gli restituisca lo stesso oggetto e non un

oggetto simile. (29, 5)

In secondo luogo, il depositante si aspetta che l‟oggetto prestato non venga

utilizzato da colui che lo riceve in deposito (29, 6)

Queste due caratteristiche non valgono nel caso della moneta. Chi deposita

moneta presso una banca non è interessato ad ottenere la restituzione delle stesse

identiche monete o banconote depositate, ma dello stesso ammontare di moneta.

Questa differenza si spiega con il fatto che le unità di moneta sono perfettamente

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omogenee e quindi perfettamente sostituibili (29, 7). Inoltre, l‟omogeneità della

moneta elimina le obiezioni dei depositanti circa il fatto che la moneta depositata

possa essere prestata. (29, 8-9)

C. conclude che queste differenze non giustificano la tesi secondo cui i depositi

bancari hanno una natura diversa dai depositi di un oggetto; ciò che rende uguale

la natura di questi depositi è costituito dal fatto che in entrambi i casi ciò che può

essere prestato dipende dall‟ammontare dei depositi (30, 9)

D(depositi)L(prestiti).

C. aggiunge che questa conclusione circa la natura dei depositi non è messa in

discussione da due fenomeni che vengono ricordati per criticare la teoria

tradizionale. Il primo è costituito dal fatto che l‟ammontare dei depositi raccolti da

una banca è un multiplo del circolante/moneta legale posseduto dalla banca. Una

banca potrebbe, ad esempio, avere deposti per 1 miliardo di unità di moneta e

circolante per 250 milioni e quindi avere un ammontare di depositi pari a quattro

volte le riserve di circolante. Poiché anche i depositi possono essere definiti

moneta, in quanto vengono utilizzati come mezzi di pagamento, si potrebbe

concludere che la banca ha creato moneta per 750 milioni poiché a fronte di

circolante per 250 milioni ha creato un ammontare di depositi di 1 miliardo.

Questa conclusione, osserva Cannan, è completamente sbagliata poiché questo

esempio ci dice molto semplicemente che la banca ha raccolto depositi per 1

miliardo e ha erogato prestiti per 750 milioni accumulando riserve per 250

milioni. Questa sequenza causale potrebbe essere applicata anche al deposito delle

borse nel caso in cui il depositario decidesse di prestare il 75% delle borse

depositate (31, 11)

Il secondo fenomeno è costituito dal fatto che l‟ammontare dei depositi bancari in

un certo paese è un multiplo dell‟ammontare della moneta legale di quel paese.

Questo è un fenomeno che differenzia i depositi bancari dai depositi bagagli: il

numero delle borse depositate presso i depositi bagagli di un paese non può

superare quello delle borse esistenti nel paese. Questa differenza secondo Cannan,

non mette in discussione la relazione causale tra depositi e prestiti, ed è

giustificata dal fatto che l‟oggetto dei depositi bancari, a differenza delle borse,

viene usato come moneta. Chi riceve in prestito la moneta deposita la utilizza,

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65

allo stesso modo in cui chi riceve in prestito una borsa la usa. Ma l‟impiego dalla

moneta ha conseguenze diverse rispetto all‟impiego della borsa; usare moneta non

significa accumularla in un cassetto, ma spenderla per acquistare beni; chi ottiene

la moneta in pagamento la depositerà nuovamente presso la banca la quale

presterà il 75% di quanto depositato; in questo modo l‟ammontare dei depositi

bancari, a differenza di quanto succede per le borse, sarà un multiplo del

circolante come mostra la tabella 1 (31, 12)

Tabella 1

CIRC = 1000 DEP = 1000 L = 750

RIS = 250

DEP = 750 L = 0,75 * 750 =

562,5

RIS = 0,25 * 750 =

187,5

DEP = … L = …

RIS = …

Il valore dei depositi converge quindi verso un multiplo dell‟ammontare iniziale

del circolante. Più precisamente avremo:

dove è il moltiplicatore dei depositi.

I prestiti danno origine a nuovi depositi.

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66

Sulla base di queste argomentazioni C. ribadisce la validità della teoria

tradizionale delle banche e critica le nuove teorie che invece affermano che le

banche creano moneta (32, 13)

Schumpeter nella prima metà del „900 presenta una teoria del credito e delle

banche completamente diversa da quella neoclassica e utilizza il lavoro di Cannan

come bersaglio delle sue critiche.

In primo luogo, S. per esporre la sua teoria, riassume gli aspetti più significativi

della teoria del credito accettata dagli economisti agli inizi del „900. S. sottolinea

che secondo la teoria tradizionale il credito nasce da una decisione di risparmio: la

moneta (moneta metallica) che non viene spesa, viene risparmiata e questa

decisione dà origine al fenomeno del credito. (1113, 1)

S. osserva che secondo la teoria tradizionale il fenomeno del credito precede la

presenza delle banche, è indipendente dalla presenza delle banche. Le banche

possono essere introdotte in un momento successivo e la loro presenza non

cambia la natura del credito; il vero creditore è il risparmiatore , le banche sono

dei semplici intermediari (1113, 2)

Questa analisi è ritenuta valida anche nel caso in cui i depositi bancari siano usati

come mezzo di pagamento (1113, 3)

S. cita Cannan come rappresentante più significativo dei sostenitori della teoria

tradizionale che afferma che la natura dei depositi bancari è analoga quella dei

deposti che hanno per oggetto un bene reale (1113, 4)

S. critica questa tesi osservando che esiste una differenza fondamentale tra le due

categorie di depositi. Sia nel caso del depositi bancario che nel caso del deposito

bagagli, il depositante ottiene una ricevuta che attesta il deposito. Esiste però,

afferma S., una differenza profonda tra la ricevuta emessa dalla banca e quella

emessa dal titolare del deposito bagagli.

Schumpeter critica la teoria neoclassica del credito e delle banche descritta

da Cannan secondo cui il fenomeno del credito è indipendente dall’esistenza

delle banche → Secondo Schumpeter la presenza delle banche modifica la

natura del credito.

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la ricevuta rilasciata dalla banca è un sostituto perfetto della moneta legale,

ossia può essere usata come mezzo di pagamento proprio come la moneta

legale. Colui che deposita moneta non rinuncia all‟ uso della moneta perché

può utilizzare la relativa ricevuta bancaria come mezzo di pagamento;

la ricevuta rilasciata dal titolare del deposito bagagli dà diritto alla

restituzione della borsa, ma non sostituisce tale bene. Colui che deposita la

borsa rinuncia quindi all‟uso della stessa fino al momento della restituzione.

La banca quindi, afferma Schumpeter, crea moneta poiché il depositante non

rinuncia ad impiegare moneta poiché può effettuare pagamenti utilizzando la

ricevuta ottenuta dalla banca, cioè trasferendo il credito nei confronti della banca

e allo stesso tempo, anche colui che è stato finanziato dalla banca può spendere

moneta (1114, 5)

Questo fenomeno è peculiare della moneta e non ha alcun riscontro nel mondo

delle merci (1114, 5)

S. sottolinea che la presenza delle banche cambia la natura dei depositi e del

credito. In un mondo senza banche in cui l‟oggetto del credito è costituito da un

bene reale o dalla moneta legale, la decisione di depositare questo oggetto o la

moneta, comporta la rinuncia ad utilizzare l‟oggetto depositato, e prestare un

oggetto o moneta significa rinunciare a questo oggetto o alla moneta. Questo non

vale nel caso in cui esistano le banche e i depositi bancari siano utilizzati come

mezzo di pagamento, e siano quindi sostituti praticamente perfetti della moneta.

In questo caso il depositante non rinuncia ad utilizzare la moneta depositata

poiché riceve un sostituto perfetto della moneta legale. Quindi la banca non può

La conclusione di Schumpeter è che la presenza delle banche cambia la

natura del credito → il fenomeno del credito è strettamente legato alla

presenza delle banche, le quali creano moneta.

Nel caso del deposito bancario cambia quindi la natura del credito: il

depositante non rinuncia a usare la moneta che ha depositato, in quanto può

pagare mediante assegno anziché mediante moneta.

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essere considerata come un intermediario che trasferisce al debitore un oggetto o

una quantità di moneta che il depositante rinuncia ad impiegare.

S. sottolinea che la presenza delle banche e la diffusione dell‟impiego della

moneta bancaria inducono a ridefinire il significato non solo del concetto di

credito ma anche della relazione tra decisioni di risparmio e credito e quindi del

concetto di risparmio (1114, 6)

Secondo la teoria tradizionale, come abbiamo visto, c‟è una stretta relazione tra

risparmi e offerta di credito; chi risparmia rinuncia a consumare risorse che

vengono messe a disposizione di chi decide di investire. Questa sequenza può

valere in un mondo in cui si produce un unico bene, come ipotizza la teoria

tradizionale. L‟esempio tipico, come abbiamo visto è costituito dal grano;

risparmiare grano significa rinunciare a consumarne una parte, la quale potrà

essere investita o ceduta a qualcun altro perché venga impiegata come mezzo di

produzione.

In un mondo in cui esiste moneta bancaria, invece, il risparmiatore che deposita la

propria moneta presso la banca:

da un lato, consente ad un imprenditore di realizzare investimenti;

dall‟altro, riceve dalla banca uno strumento che svolge le stesse funzioni

della moneta depositata.

A differenza del mondo in cui si produce solo grano, il risparmiatore non rinuncia

quindi all‟utilizzo delle risorse risparmiate.

S. conclude quindi che è necessario abbandonare l‟idea che le banche siano

intermediari che prestano ciò che raccolgono e capovolgere la relazione causale

tra depositi e prestiti. (1114, 6)

Per illustrare questa relazione causale: L D possiamo osservare che le banche

possono creare sostituti perfetti della moneta legale non soltanto non soltanto nel

La banca crea moneta nel momento in cui concede credito e da questa

operazione di finanziamento scaturiscono i depositi cambia la relazione

causale tra prestiti e depositi: sono i prestiti che determinano i depositi,

ossia L → DEP

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momento in cui raccolgono depositi; infatti esse possono creare sostituti perfetti

della moneta nel momento in cui decidono di finanziare un‟impresa. Questo punto

è bel illustrato da John Hicks (uno dei primi economisti ad ottenere il premio

Nobel per l‟economia e autore del modello macroeconomico IS-LM) in “Una

teoria della storia economica” afferma che le banche moderne sono il risultato di

un processo di evoluzione che si articola in tre fasi:

1^ FASE: nella prima fase la moneta utilizzata è fondamentalmente quella aurea e

le banche sono dei semplici intermediari finanziari → prestano ciò che

raccolgono

Depositante → banca → debitore

Lo stato patrimoniale di una banca era quindi così caratterizzato:

Banca

attività passività

Crediti 1000 Depositi 1000

La ricevuta che il depositante otteneva dalla banca non poteva essere utilizzata

come mezzo di pagamento, ma semplicemente dava diritto al depositante stesso a

ricevere quanto depositato ad una certa scadenza. (108, 1)

2^ FASE: nella seconda fase le banche modificano le caratteristiche delle loro

passività (depositi) rispetto a quelle delle attività → le banche rendono liquidi i

depositi, ossia si rendono conto di poter assicurare ai depositanti la conversione a

vista (cioè immediata) dei depositi in moneta aurea. Questo è possibile in

considerazione del fatto che:

non tutti i depositanti chiederanno il rimborso del loro deposito nello stesso

momento;

In tale fase la banca agisce come un puro intermediario; il depositante rinuncia

all’utilizzo della moneta fino alla scadenza.

Le caratteristiche dell’attivo e del passivo delle banche sono perfettamente omogenee anche per quanto riguarda la scadenza (ad esempio sia prestiti che

depositi scadono tra un anno .

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a fronte dei depositi le banche tengono una riserva che corrisponde ad una

frazione dei depositi.

In questa fase le banche emettono quindi delle ricevute che garantiscono la

convertibilità a vista in moneta aurea. (109, 2)

In questa fase, dunque, le banche non sono più semplici intermediari come nella

prima fase, ma creano perfetti sostituti della moneta e i depositanti ora non

dovranno rinunciare all‟impiego della moneta fino alla scadenza.

Inoltre, a questo punto i prestiti bancari si differenziano profondamente dai prestiti

aventi ad oggetto beni reali: mentre le ricevute rilasciate dalla banca svolgono la

stessa funzione della moneta legale depositata presso la banca stessa, nel caso dei

prestiti aventi ad oggetto beni reali la relativa ricevuta non può essere riutilizzata

come mezzo di pagamento.

Il fatto che le passività delle banche vengano utilizzate come mezzo di pagamento

permette di passare alla terza fase.

3^ FASE: In questa fase le banche finanziano direttamente le imprese cedendo ad

esse titoli di credito che contengono la promessa della banca a convertire quel

titolo in moneta legale (banconote), oppure autorizzando le imprese ad emettere

ordini di pagamento che esse si impegnano a soddisfare a vista; si entra così nella

terza fase (110, 3)

Le argomentazioni di Schumpeter e Hicks coincidono con quelle che si trovano

nei lavori di Keynes e ci consentono di illustrare il primo elemento che distingue

una monetary economy rispetto ad una real exchange economy. Questo primo

In altri termini, le passività delle banche diventano liquide e possono essere

utilizzate come mezzo di pagamento equivalente alla moneta.

Secondo la Teoria Keynesiana le banche non sono semplici intermediari

finanziari bensì soggetti che finanziano le imprese creando moneta quindi

l’offerta di credito risulta essere indipendente dalle decisioni di risparmio.

Gli investimenti vengono infatti finanziati tramite credito bancario, ossia

mediante la creazione di moneta bancaria.

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elemento riguarda la natura del credito, la relazione tra moneta e credito e la

specificazione del ruolo delle banche. In un mondo che impiega moneta bancaria:

a) si elimina il legame tra decisioni di risparmio e offerta di credito; b) si mette in

rilievo lo stretto legame tra il processo di creazione di moneta e il processo di

offerta di credito poiché la moneta viene creata mediante un‟operazione di

credito; c) le banche non possono essere considerate come semplici intermediari.

2. Moneta bancaria e le fluttuazioni del reddito e dell’occupazione

Il secondo elemento che caratterizza un‟economia monetaria è costituito dalle

fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione, causate dalle fluttuazioni della

domanda aggregata. Keynes definisce le fluttuazioni della domanda aggregata

come un fenomeno monetario cioè come un fenomeno che può essere spiegato

dalla presenza della moneta

Di conseguenza un‟economia monetaria non si trova sempre in una situazione di

equilibrio di piena occupazione e ciò è dovuto, in ultima analisi, alla presenza

della moneta bancaria.

Keynes fornisce tre spiegazioni della ragione per cui la presenza di moneta segno

genera fluttuazioni della domanda aggregata e quindi del reddito e

dell‟occupazione:

1. la prima spiegazione è rintracciabile nei lavori preparatori del 1933 alla Teoria

Generale;

2. la seconda spiegazione è rintracciabile nella Teoria Generale del 1936;

3. la terza spiegazione è rintracciabile nei lavori pubblicati tra il 1937 e il 1939 in cui

Keynes risponde ad alcune critiche rivolte alla Teoria Generale.

Noi concentreremo la nostra analisi soprattutto sulle ultime due spiegazioni; c‟è

una differenza significativa tra queste due spiegazioni. Quella presentata nella

Teoria generale, basata sulla teoria della preferenza per la liquidità e sul concetto

di domanda speculativa di moneta considera la presenza di una moneta segno

controllata direttamente dalle autorità monetarie e che possiamo far coincidere

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con la moneta legale che la banca centrale modifica mediante le operazioni di

mercato aperto. La terza spiegazione invece, considera esplicitamente la presenza

di una moneta bancaria.

2.1 Teoria della preferenza della liquidità e fluttuazioni del reddito.

Nella Teoria Generale Keynes critica la teoria classica secondo cui il tasso di

interesse dipende dalle decisioni di risparmio e di investimento ed assume il

livello che asicura un flusso di domanda aggregata capace di assorbire il reddito di

piena occupazione. (Legge di Say). Egli presenta una teoria alternativa che

considera il tasso di interesse come un fenomeno monetario determinato dalla

domanda e offerta di moneta. Keynes infatti sostiene che la presenza di moneta

segno elimina il legame tra risparmio, offerta di credito e tasso di interesse: in un

mondo in cui si usa moneta segno il risparmiatore può decidere di accumulare una

somma crescente di moneta nel tempo annullando così il legame che secondo la

teoria neoclassica intercorre tra il risparmio e l‟offerta di credito. La moneta

segno, infatti a differenza del grano non è deperibile quindi può essere accumulata

per un periodo indefinito di tempo; quindi un soggetto che riceve un reddito in

moneta, può decidere di non spendere parte di questo reddito e di impiegare il suo

risparmio accumulando moneta. In questo caso, afferma Keynes, egli risparmia

ma la sua decisione di risparmio non influenza il tasso di interesse poiché non si

traduce in una offerta di credito come succederebbe nel caso in cui il nostro

soggetto fosse pagato in termini di grano. In questo caso infatti, se decidesse di

non consumare una parte del suo reddito non potrebbe conservarla per un periodo

indefinito di tempo, poiché il grano è deperibile, quindi dovrebbe prestarla a

qualcuno che la impiegherà in modo produttivo.

Keynes quindi sottolinea che la decisione che influenza il tasso di interesse non è

la decisione di risparmiare ma la decisione relativa al modo di impiegare il

risparmio, e corrispondentemente al modo di impiegare la ricchezza. Queste due

decisioni sono collegate in quanto esiste una stretta relazione tra risparmi e

ricchezza poiché la ricchezza corrisponde alla somma dei flussi di risparmi

realizzati nel tempo.

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73

II decisione è legata alla presenza di moneta

bancaria non deperibile, la quale può dare origine ad

un contratto di credito.

Keynes osserva che in un mondo in cui esiste moneta e i redditi sono pagati in

moneta un soggetto economico che percepisce un reddito deve prendere due

decisioni:

1. in primo luogo dovrà decidere quanta parte del suo reddito egli consumerà

e quanta invece egli accantonerà in qualche forma disponibile per il

consumo futuro;

2. una volta fatta questa scelta, dovrà prendere un‟altra decisione: in quale

forma egli conserverà le disponibilità per il consumo futuro che ha

accantonate, provengano esse dal suo reddito corrente o dal risparmio

precedente? Vorrà mantenerle nella forma di disponibilità liquide immediate

(ossia in moneta) o è disposto ad abbandonare la disponibilità immediata per

un periodo determinato o indefinito, lasciando alle condizioni future del

mercato di determinare a quali condizioni egli potrà convertire, ove

necessario, la disponibilità di attività patrimoniali in potere d‟acquisto

immediato su beni in generale? In altri termini, qual è il grado della sua

preferenza per la liquidità?

Il risparmiatore, oltre a porsi il problema di quanto risparmiare, deve quindi

chiedersi come impiegare la ricchezza costruita continuando a risparmiare nel

tempo (moneta o titoli?):

La ricchezza è costituita da moneta e da titoli. I titoli sono un‟attività finanziaria

che dà diritto a ricevere somme future. Il nostro individuo può scegliere di

impiegare la propria ricchezza tenendo moneta oppure può cedere moneta in

cambio di titoli.

Y

C

S

Moneta

Titoli

W

I decisione

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W’

A livello aggregato si avrà:

Figura 1

Il tasso di interesse non influenza la decisione di risparmio (I decisione),

bensì la scelta relativa alla composizione della ricchezza (II decisione).

r

Md

Mdspeculativa

W MdT (Y0)

L’individuo potrà al massimo

esprimere una domanda di moneta

pari alla sua ricchezza W.

La domanda di moneta per le

transazioni non dipende dal tasso di

interesse.

r

Md, Ms

Md

W aggregata

S

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75

Il tasso di interesse è la ricompensa riconosciuta a chi rinuncia alla liquidità per un

periodo determinato. Esso quindi mette in equilibrio la domanda e l‟offerta di

moneta:

l‟offerta di moneta MS è determinata dalle decisioni delle autorità

monetarie;

la domanda di moneta Md si compone della domanda di moneta

transazionale e della domanda di moneta speculativa:

= f (Y;r) = Md transazioni (Y) + Md speculativa (r)

f‟ (Y) >0 e f‟ (r) < 0

Questa presentazione della teoria keynesiana del tasso di interesse presenta un

importante limite che riguarda il modo in cui è specificata la domanda speculativa

di moneta:

Mentre la moneta ha un rendimento nullo, i titoli garantiscono un rendimento

positivo nel tempo.

Per renderci conto di questo limite supponiamo che i i titoli abbiano una durata

annuale, un rendimento positivo e un grado di rischio pari a zero, ossia assicurino

Md MdT (Y)

MdS (r) riguarda la composizione della ricchezza al netto della domanda di

moneta per le transazioni, ossia:

MdS → W – MdT (Y) = W’ Moneta → rM = 0

Titoli → rB = r > 0

La domanda di moneta Mdspeculativa è alta quando il tasso di interesse r è

basso, ossia se r è basso allora la quantità di ricchezza impiegata in moneta

è alta e quella in titoli è bassa.

Viceversa la domanda di moneta Mdspeculativa è bassa quando il tasso di

interesse r è alto, ossia se r è alto allora la quantità di ricchezza impiegata

in moneta è bassa e quella in titoli è alta.

VN = 1 r > 0

0 1

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con certezza il pagamento dell‟interesse e la restituzione del prestito. In questo

caso l‟operatore sceglierà certamente di investire in titoli piuttosto che in moneta

poiché, a parità di rischio, assicurano un rendimento maggiore. rM è infatti

sempre pari a 0.

Il rendimento atteso è massimo quando B = W‟.

Di conseguenza, se escludiamo la possibilità che i titoli siano a rischio insolvenza,

possiamo considerare il tasso di interesse come un tasso di rendimento certo. In

particolare, se il tasso di interesse è maggiore di 0 l‟individuo sceglierà

certamente di investire tutta la ricchezza in titoli qualunque sia il valore di r

poiché si avrà che rB > rM=0.

Condizione necessaria per poter costruire la relazione inversa tra tasso di interesse

e domanda di moneta speculativa è l‟esistenza di incertezza circa il valore

futuro del tasso di interesse. Possiamo introdurre l‟incertezza se consideriamo

titoli a lungo termine; ad esempio:

VN = Valore nominale del titolo, corrisponde al valore di rimborso.

r = tasso corrente al tempo 0 r1, r2, r3, … = cedole del titolo a reddito fisso

L‟ammontare degli interessi che viene pagato di anno in anno prende il nome di

cedola e nel nostro esempio ipotizziamo che sia sempre pari al 5 %.

Per ogni rB > 0 la domanda di moneta (MdS) sarà sempre pari a 0.

VN = 1 r = 5 %

0 1 2 n

r1 = 5 % r2 = 5 %

3

r3 = 5 %

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P1 sarà il prezzo del titolo dopo un anno dall‟emissione, P2 il prezzo cui il titolo

potrà essere ceduto dopo 2 anni dall‟emissione, e cosi via.

r1 = tasso di interesse corrente in t1

t = tempo

r = flusso degli interessi pagato ad ogni anno (cedola)

Se n = → si avrà un titolo irredimibile il cui prezzo sarà:

se r1 = r = 5% allora P1 = 1 quindi non ci sarà alcuna variazione del valore di

mercato del titolo

se r1 > r → P1 < P0 = VN = 1

se r1 < r → P1 > P0 = VN = 1

In caso di titoli a lungo termine, il rendimento del titolo dipenderà quindi dalle

seguenti due componenti:

1. dal flusso degli interessi;

2. dai guadagni/perdite in conto capitale legati alle variazioni del prezzo del

titolo, ossia alla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto del

titolo.

Possiamo quindi definire con maggior precisione la figura dello speculatore → si

tratta di un soggetto che prende decisioni circa la composizione della ricchezza

non solo in base al flusso di interessi generati dal titolo (rendimento e cedola), ma

anche considerando i guadagni/perdite in conto capitale.

Il possessore del titolo può decidere di cederlo in qualunque momento prima della sua

naturale scadenza, vedendolo a un determinato prezzo P.

P1 = VA (r1; t; r)

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78

Lo speculatore dovrà quindi elaborare delle aspettative circa il valore futuro del

titolo, ossia delle aspettative circa il valore futuro del tasso di interesse.

Per semplicità, ipotizziamo che le aspettative dello speculatore vengano elaborate

prendendo come riferimento il periodo di un anno, cioè lo speculatore elabora una

previsione circa il valore che il titolo assumerà tra un anno.

Il rendimento complessivo del titolo (R) sarà pari a:

dove r = tasso di interesse fissato al momento dell‟emissione del titolo, è

una grandezza certa nel nostro esempio=5%;

g = guadagno/perdita in conto capitale, calcolato sulla base

dell‟aspettativa circa il valore che il titolo assumerà tra un anno

Sapendo che il prezzo del titolo al momento dell‟acquisto è pari a P0 = 1 e che il

prezzo atteso del titolo è Pe = P1 avremo:

Secondo Keynes le aspettative vengono elaborate in condizioni di incertezza,

ossia non esistono criteri oggettivi che consentano allo speculatore di prevedere in

termini probabilistici il valore futuro dei titoli e quindi il valore futuro del tasso di

interesse.

Supponiamo che lo speculatore attribuisca probabilità pari a 1 a un determinato

valore futuro del tasso di interesse re egli si comporta come se conoscesse con

R = r + g

Dal momento che lo speculatore ha una conoscenza incerta circa il valore

futuro del tasso di interesse, elaborerà le sue aspettative in modo

soggettivo: ogni speculatore ha i propri criteri per formulare le aspettative

circa il valore futuro del tasso di interesse.

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certezza tale valore; questo equivale ad attribuire probabilità pari ad 1 al fatto che

il valore futuro dei titolo sarà: P1 = r/re. In questo caso il rendimento complessivo

del titolo sarà pari a:

re è il tasso di interesse che lo speculatore si aspetta si realizzerà tra un

anno; r è un valore certo;

dal momento che lo speculatore si comporta come se conoscesse il valore futuro

del tasso di interesse, anche re è una grandezza certa.

Di conseguenza anche è un valore certo.

W’ può essere investito in Moneta: rM = 0

Titoli:

A questo punto il criterio di decisione circa la scelta tra moneta e titoli a lungo

termine consiste nel confrontare due rendimenti che sono entrambi certi per lo

speculatore:

se R > 0 allora la sua ricchezza W‟ sarà completamente impiegata in titoli

→ W‟ = B;

se R = 0 lo speculatore sarà indifferente tra investire in moneta o in titoli;

se R < 0 allora lo speculatore investirà tutta la sua ricchezza in moneta →

W‟ = M.

Per il singolo speculatore il rendimento complessivo di un titolo (R) è quindi una grandezza

certa. L’incertezza deriva dal fatto che ogni speculatore esprime una diversa aspettativa.

Dal momento che r è sicuramente maggiore di 0, R < 0 se ossia se re = r1 > r

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80

Di conseguenza se il nostro speculatore prevedesse un aumento del tasso di

interesse tra un anno tale da provocare un rendimento complessivo negativo, egli

impiegherebbe tutta la sua ricchezza in moneta.

La negatività del tasso di interesse complessivo R dipende dalla variabilità del

tasso di interesse.

Dato il valore del tasso di interesse atteso (re = r1) il rendimento complessivo del

titolo dipenderà dal tasso di interesse corrente (r) → dato re, R cresce al crescere

di r.

R = 0 se

Esempio: se re = 5% allora r* = 5%/(1+5%) = 4,76% R = 0

Se lo speculatore si aspetta tra un anno un tasso di interesse del 5% e il tasso corrente è

del 4,76% allora il tasso di rendimento complessivo del titolo sarà pari a:

Se r = r* allora R = 0

Se r > r* allora R > 0

Se r < r* allora R < 0

Dato re, tra tutti i valori del tasso di interesse corrente, possiamo

individuare quel particolare valore del tasso di interesse corrente r* che

rende il rendimento complessivo del titolo R pari a 0 → r* viene definito

tasso critico.

perdita in conto capitale che compensa

perfettamente il guadagno in conto interessi.

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81

W’

Il comportamento dello speculatore dipenderà dal tasso di interesse atteso:

Figura 2

Se r > r* R > 0 W‟ = B MdS = 0

Se r = r* R = 0 e lo speculatore sarà indifferente tra moneta e titoli

Se r < r* R < 0 W‟ = M

Possiamo ottenere una funzione di domanda speculativa aggregata sommando

ogni funzione di domanda dei singoli speculatori → ciò che cambia per ogni

speculatore è il tasso critico, il quale dipende dal tasso di interesse atteso.

Supponiamo che ci siano 3 speculatori A, B e C i cui tassi di interesse attesi tra un

anno sono rispettivamente:

0

Mdspeculativa

r Al diminuire di r cambia il valore della

domanda speculativa di moneta

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82

W’A W’B W’C

rA* = 23%

rB* = 20%

rC* = 4,76%

W’A W’A+W’B

rA* = 23%

rB* = 20%

rC* = 4,76%

W’A+W’B+W’C

reA = 30%

reB = 25%

reC = 5%

Possiamo a tal punto trovare il tasso di interesse critico per ogni speculatore, ossia quel tasso di interesse che rende indifferente la scelta tra investire in

moneta o in titoli:

Figura 3

A: r > rA* = 23% W’A = B B: r > rB* = 20% W’B = B C: r > rC* = 4,76% W’C = B

r < rA* = 23% W’A = M r < rB* = 20% W’B = M r < rC* = 4,76% W’C = M

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83

rA*

rC*

r

Possiamo ora costruire la curva di domanda di moneta aggregata:

la domanda di moneta in corrispondenza di rA*= 23% è pari a 0

se il tasso di interesse è compreso tra il 20% e il 23%, l‟individuo A

domanda moneta, mentre B e C continuano a domandare titoli la

domanda aggregata di moneta corrisponderà alla domanda di moneta

espressa da A, ossia W‟A

se il tasso di interesse è compreso tra il 4,76% e il 20%, A e B domandano

moneta, mentre C continua a domandare titoli la domanda aggregata di

moneta corrisponderà a W‟A + W‟B

se il tasso di interesse è inferiore al 4,76%, tutti e tre i soggetti domandano

moneta, mentre la domanda di titoli è nulla la domanda aggregata di

moneta sarà data da W‟A + W‟B + W‟C

Se vi fosse un numero infinito di speculatori, la curva di domanda aggregata non

sarebbe a gradini, ma potrebbe essere approssimata con una curva continua

inclinata negativamente rispetto al tasso di interesse:

Figura 4

A parità di offerta di moneta, il valore del tasso di interesse dipenderà dalla

funzione di domanda di moneta, la quale è data da Md = MdT (Y) + MdS (r; re).

La posizione della funzione di domanda di moneta dipende:

Md SPECULATIVA AGGREGATA

W COMPLESSIVA

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84

rA*

rC*

W COMPLESSIVA

r0

r1

MdT (Y)

dal reddito (se varia il reddito la curva di domanda per transazioni si sposta);

dalle aspettative degli speculatori circa il valore futuro del tasso di interesse.

Nel grafico seguente possiamo vedere ciò che accade nel momento in cui

aumentano i tassi di interesse attesi dagli speculatori: i tassi di interesse critici

aumentano e conseguentemente la funzione di domanda di moneta si sposta verso

l‟alto.

Figura 5

In corrispondenza di r0 sul mercato della moneta viene quindi a determinarsi una

situazione di eccesso di domanda di moneta (il pubblico desidera più moneta di

quella che possiede); al tempo stesso, sul mercato dei titoli si presenta una

situazione di eccesso di offerta di titoli.

Le aspettative degli speculatori possono quindi spingere il tasso di interesse verso

valori in corrispondenza dei quali non si avrà un equilibrio di piena occupazione,

ossia in corrispondenza dei quali la domanda aggregata è insufficiente ad

assorbire il reddito di piena occupazione. Keynes considera il tasso di interesse

A tal punto il pubblico cercherà di vendere titoli per ottenere più moneta e

quindi avremo: PB ↓ → r ↑ → r1 > r0

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85

un fenomeno convenzionale in quanto dipende fondamentalmente dalle

aspettative degli operatori circa il valore futuro del tasso di interesse stesso, le

quali sono definite su fondamenta non oggettive.

Keynes nella Teoria Generale non considera esplicitamente la moneta bancaria; la

moneta è costituita dalle passività della banca centrale che è in grado di variarne

l‟offerta mediante le operazioni di mercato aperto. Keynes, invece, considera

esplicitamente la presenza di moneta bancaria nei lavori del 1937-39 rispondendo

alle critiche mosse alla Teoria Generale da due economisti, Ohlin e Robertson.

2.2 La teoria dei fondi mutuabili

Ohlin e Robertson criticano la Teoria Keynesiana del tasso di interesse

presentando una nuova versione della Teoria Neoclassica del tasso di interesse

che viene chiamata teoria dei fondi mutuabili, la cui origine può essere fatta

risalire al grande economista svedese Wicksell.

Questa teoria introduce due importanti cambiamenti nella Teoria Neoclassica del

credito e del tasso di interesse → mentre la caratteristica fondamentale della teoria

neoclassica consisteva nell‟identificare l‟offerta di credito con le decisioni di

risparmio, i sostenitori della teoria dei fondi mutuabili:

1. affermano che in un‟economia in cui si utilizza moneta i risparmiatori

possono scegliere di impiegare una parte dei loro risparmi in moneta, ma

questo non cambia la natura del credito → Ls = S – ∆H dove ∆H =

incremento delle scorte monetarie accumulate dai risparmiatori;

2. riconoscono che le banche non sono semplici intermediari, ma possono

offrire credito creando moneta. Si tratta di un punto che Wicksell sottolinea

in un suo lavoro del 1898 ancor prima del lavoro del 1911 di Schumpeter.

Quindi l‟offerta di fondi mutuabili sarà pari a Ls = S- ΔH + ΔM, ΔH= incremento

delle scorte monetarie accumulate dai risparmiatori e ΔM = nuova moneta

bancaria. La domanda di moneta invece continua a coincidere con le decisioni di

investimento: Ld = I.

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86

Sapendo che la condizione di equilibrio sul mercato del credito è definita da Ls = Ld

avremo:

S – ∆H + ∆M = I

S + ∆M = I + ∆H

Offerta di fondi mutuabili Domanda di fondi

mutuabili

Possiamo confrontare la condizione di equilibrio definita dalla teoria dei fondi

mutuabili con quella definita dalla teoria neoclassica:

La condizione di equilibrio nella Teoria Neoclassica assume H = 0 e M =

0, ed è data da S (YPO; r) = I (лA; r);

La condizione di equilibrio nella Teoria dei fondi mutuabili, assume H ≠ 0

e M ≠ 0, ed è data da S + ∆M = I + ∆H.

Qualora ∆H = 0 e ∆M = 0 allora il valore del tasso di interesse di equilibrio

definito dalla Teoria dei fondi mutuabili risulta essere pari a quello di equilibrio

della Teoria Neoclassica.

Per passare dalla Teoria Neoclassica alla Teoria dei fondi mutuabili dobbiamo

spiegare come si determinano ∆H e ∆M. Supponiamo che:

∆M sia il risultato delle scelte discrezionali delle banche e sia dato e

maggiore di 0;

∆H sia espressione del fatto che i risparmiatori scelgono di tenere una parte

dei loro risparmi in moneta e sia anch‟essa una grandezza data e maggiore

di 0.

Vi sono due casi da considerare:

La conclusione di Ohlin e Robertson è che il tasso di interesse è la grandezza

che mette in equilibrio domanda e offerta di fondi mutuabili.

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S (YPO,r) = I (лA; r0) S, I

0

r

∆M=∆H 1

1. ∆H = ∆M → il valore del tasso di interesse di equilibrio non varia rispetto a

quello definito dalla teoria neoclassica;

2. ∆H ≠ ∆M → il valore del tasso di interesse di equilibrio sarà diverso da

quello definito dalla teoria neoclassica.

CASO 1: H = M

Figura 1

La combinazione 0 corrisponde all‟equilibrio neoclassico ( H= M=0), mentre la

combinazione 1 all‟equilibrio secondo la teoria dei fondi mutuabili.

∆M>0 determina lo spostamento verso il basso della funzione di offerta di fondi

mutuabili (la quale mantiene la stessa inclinazione) proprio in misura pari a M.

∆H>0 determina lo spostamento verso l‟alto della funzione di domanda di fondi

mutuabili (la quale mantiene anch‟essa la stessa inclinazione poiché H è

indipendente dal tasso di interesse r) proprio in misura pari a H.

Poiché M = H, si viene a determinare lo stesso tasso di interesse definito dalla

Teoria Neoclassica.

CASO 2: H ≠ M, in particolare supponiamo M > 0 e H = 0

r0

S (YPO; r)

I = I (лA; r)

Ls = S (YPO; r) + ∆M

Ld = I (лA; r) + ∆H

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S (YPO,r) = I (лA; r0) S, I

0

r

1

In corrispondenza della combinazione 0 si ha piena occupazione e i prezzi sono

stabili.

M > 0 determina lo spostamento verso il basso della funzione di offerta di fondi

mutuabili; la funzione di domanda di fondi mutuabili, invece, rimane invariata

poiché H = 0.

In corrispondenza di r0 si determina quindi un eccesso di offerta di fondi sulla

domanda, il quale comporta la caduta del tasso di interesse.

La nuova posizione di equilibrio sarà in corrispondenza della combinazione 1.

Figura 2

Dato che M ≠ H, il tasso di interesse che mette in equilibrio il mercato dei

fondi mutuabili è diverso da quello definito dalla Teoria Neoclassica.

Wicksell e i sostenitori della teoria dei fondi mutuabili distinguono due tipologie

di tasso di interesse:

r0

S (YPO; r)

I = I (лA; r)

Ls = S (YPO; r) + ∆M

r1

Secondo la Teoria Neoclassica il tasso di interesse è sempre pari a r0.

Secondo la Teoria dei fondi mutuabili, invece, il tasso di interesse può

essere diverso da r0.

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89

1. tasso di interesse naturale r0 definito dalla Teoria Neoclassica in

corrispondenza del quale S (YPO) = I. Si tratta del tasso di interesse che si

determina in un sistema economico in cui le risorse risparmiate vengono

direttamente scambiate tra risparmiatori e imprese e quindi le banche non

hanno ragione d‟esistere;

2. tasso di interesse monetario rM è il tasso di interesse influenzato dalle

decisioni del sistema bancario: esso è infatti determinato dal processo di

creazione di moneta seguito dalle banche per offrire credito. Si tratta quindi

del tasso di interesse che si determina in un mondo in cui si fa uso di moneta

bancaria.

La diversità del tasso di interesse monetario rispetto al tasso di interesse naturale

(r0 ≠ rM) genera inflazione o deflazione.

Infatti:

in corrispondenza della combinazione 0 si ha piena occupazione e i prezzi

sono stabili;

in corrispondenza di r1 < r0 la domanda aggregata è maggiore rispetto al

reddito di piena occupazione e, dal momento che questa espansione non

determina un incremento permanente del reddito e dell‟occupazione,

l‟eccesso di domanda aggregata non può che generare inflazione.

Di fronte alla presenza di inflazione la Banca Centrale e di conseguenza le singole

banche aumenteranno il tasso di interesse monetario portandolo al livello del tasso

di interesse naturale. Nel lungo termine, dunque, il tasso di interesse tende al

livello naturale.

Poiché non è possibile mantenere costantemente il tasso monetario ad un valore

differente rispetto al tasso naturale ci possiamo chiedere perché le banche non

fissano direttamente r = r0, ossia non fissano fin da subito il tasso di interesse

monetario al livello naturale? Questo non avviene poiché le banche non

L’inflazione è causata dalla presenza di un tasso di interesse monetario (fissato dalle banche)

inferiore rispetto al tasso di interesse naturale.

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S (YPO,r0) = I (лA; r0) S, I

0

r

conoscono il valore del tasso di interesse naturale r0 cioè il valore che si sarebbe

determinato in un mondo in cui le banche non hanno ragione d‟esistere e non si fa

uso di moneta bancaria.

Il tasso di interesse naturale può variare in funzione del comportamento delle

imprese e dei risparmiatori, e sono proprio queste variazioni che determinano la

differenza tra r0 e rM. Se r0 = rM piena occupazione e prezzi stabili. La domanda

aggregata uguaglia l‟offerta aggregata:

Figura 3

Se aumenta la propensione ad investire allora a parità di tasso di interesse

cambiano le aspettative di profitto degli imprenditori, i quali decideranno di

investire di più. Poiché sul mercato del credito le banche non adeguano

immediatamente il tasso di interesse, si determinerà un eccesso di domanda di

fondi mutuabili rispetto all‟offerta, il quale comporterà un incremento del tasso di

interesse fino al nuovo livello del tasso di interesse naturale r1 (figura 4, punto 2).

Rispetto alle combinazioni 0 e 1, in corrispondenza della combinazione 2 si ha

inflazione poiché, a fronte di un aumento degli investimenti, i risparmi restano

Di conseguenza il tasso di interesse naturale r0 è solo una grandezza teorica che si determina

in un mondo in cui non si usa moneta bancaria.

r0 = rM

S (YPO; r)

I = I (лA; r)

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S (YPO,r0) = I (лA; r0) S, I

0

r

∆M

1

r0 = rM

r1

2

inalterati e il tasso di interesse monetario risulta diverso dal nuovo tasso di

interesse naturale r1 (punto 1).

Questo processo di inflazione continua fintanto che il sistema bancario non porta

il tasso di interesse monetario al nuovo livello del tasso di interesse naturale r1.

Figura 4

La Teoria dei fondi mutuabili ci permette di comprendere le ragioni per le quali la

teoria del credito di Schumpeter e di Hicks e come vedremo di Keynes, non è stata

accettata. Infatti la teoria dei fondi mutuabili consente di conciliare una teoria che

considera le banche come soggetti capaci di creare moneta (e non come semplici

intermediari finanziari) con le conclusioni della Teoria Neoclassica secondo cui

un‟economia di mercato tende sempre a raggiungere spontaneamente l‟equilibrio

di piena occupazione e la finanza e il mercato del credito sono grandezze neutrali

che non influenzano l‟equilibrio.

Secondo la Teoria dei fondi mutuabili, infatti, l‟unico effetto della presenza del

sistema bancario è quello di determinare situazioni in cui il livello del tasso di

interesse monetario può essere inferiore al livello del tasso di interesse naturale.

Questa discrepanza determina una situazione di inflazione eliminabile riportando

rM al livello r0.

La Teoria dei fondi mutuabili, nonostante riconosca che le banche non sono

semplici intermediari finanziari, afferma che la presenza delle banche non cambia

S (YPO; r)

I = I (лA; r)

Ls = S (YPO; r) + ∆M

I’ (лA’; r) + H

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le caratteristiche del sistema economico rispetto a quelle definite dalla Teoria

Neoclassica, quindi afferma il principio della neutralità della finanza. Esiste un

mondo ideale in cui il tasso di interesse è al suo livello naturale; nel mondo reale

la presenza delle banche può solo influenzare il tasso di inflazione quando rM è

diverso da r0.

Dagli anni ‟70 gli economisti sono quindi tornati ad accettare la Teoria

Neoclassica grazie all‟affermazione:

della controrivoluzione monetarista ad opera di Milton Friedman;

della Teoria dei fondi mutuabili, la quale, pur riconoscendo che le banche

non sono semplici intermediari e che queste sono in grado di creare

moneta, riafferma le conclusioni della Teoria Neoclassica.

La Teoria dei fondi mutuabili ha influenzato e continua ad influenzare la strategia

di politica monetaria delle autorità monetarie contemporanee, le quali sono quindi

consapevoli che l‟inflazione è provocata da un tasso di interesse monetario

inferiore rispetto al tasso di interesse naturale e del fatto che per frenare tale

inflazione occorre controllare i tassi di interesse.

L‟inflation targeting è infatti la regola di decisione adottata dalle autorità

monetarie per frenare l‟inflazione attraverso la manovra del tasso di interesse, in

particolare attraverso la manovra del tasso di sconto con cui la Banca Centrale

finanzia le banche ordinarie.

Per controllare l‟inflazione le autorità monetarie non manovrano quindi la quantità

di moneta in circolazione poiché quest‟ultima, essendo costituita soprattutto dalle

passività a vista emesse dalle singole banche (essenzialmente depositi), è al di

fuori del controllo delle autorità monetarie.

Attraverso la manovra del tasso di interesse le autorità monetarie sono in grado di frenare

l’inflazione l’inflation targeting è quindi coerente con l’impostazione teorica della Teoria

dei fondi mutuabili.

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93

2.3 La risposta di Keynes alla teoria dei fondi mutuabili

Nei lavori del 1937-39 in cui replica ad Ohlin e Robertson, Keynes considera

esplicitamente la presenza della moneta bancaria; fino ad allora egli aveva invece

considerato l‟offerta di moneta come una grandezza esogena controllata dalle

autorità monetarie.

L‟esplicita considerazione dell‟esistenza delle banche e della moneta bancaria

permette a Keynes di spiegare un aspetto significativo del principio della

domanda effettiva e cioè la relazione causale D → Y alla quale può essere

associata un‟altra importante relazione, ossia I → S (le decisioni di risparmio sono

una conseguenza delle decisioni di investimento).

Di fronte a tale relazione causale I → S sorge un problema: le imprese non

possono finanziare le loro decisioni di investimento attraverso i risparmi, poiché

questi ultimi sono una conseguenza delle decisioni di investimento. Attraverso

quale meccanismo quindi le imprese finanziano le loro decisioni di investimento,

ossia ottengono il potere d‟acquisto necessario a realizzare le loro decisioni di

investimento? Attraverso la concessione di credito da parte delle banche.

Le imprese riusciranno quindi ad espandere gli investimenti attraverso

l‟incremento della domanda di credito, la quale genererà un aumento del tasso di

interesse a meno che le banche non siano pronte a prestare più liquidità

(espandere l‟offerta di credito).

dI → → dS = dI

Keynes sostiene che le decisioni di investimento delle imprese vengono

finanziate attraverso il credito bancario e quindi esse potranno risultare

influenzate dal comportamento delle banche che offrono credito e creano

moneta, ma non dal comportamento dei risparmiatori poiché i risparmi sono

una conseguenza degli investimenti.

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94

Le banche rivestono dunque un ruolo fondamentale nel consentire l‟incremento

del reddito e dell‟occupazione: condizione necessaria per realizzare investimenti

non è la disponibilità di risparmi, ma l‟espansione dell‟offerta di credito da parte

delle banche.

Possiamo quindi descrivere il processo di creazione della moneta distinguendo

due fasi:

1. Nella prima le banche creano moneta offrendo credito che serve a finanziare

gli investimenti.

2. Nella seconda fase si devono specificare le condizioni che spingono i

possessori di ricchezza ad accumulare moneta bancaria, ossia a domandare

moneta.

Per spiegare queste due fasi costruiamo un modello teorico che considera da un

lato il mercato del credito, dall‟altro il mercato della moneta. Consideriamo quindi

una nuova versione del modello IS-LM all‟interno del quale vengono considerati:

mercato del credito; consente di descrivere la prima fase del processo di

creazione della moneta

mercato dei beni;

mercato della moneta; consente di descrivere la seconda fase.

Mercato del credito è caratterizzato dalle seguenti funzioni:

1. ∆Ld = I → la funzione di domanda di credito indica il flusso di credito

domandato dalle imprese in un certo periodo per finanziare le decisioni di

investimento;

2. I = I (Π; rL) la seconda equazione descrive la funzione degli investimenti

3. il tasso di interesse sui prestiti bancari per finanziare gli investimenti viene

fissato dalle banche in funzione del tasso ufficiale di sconto rS, ossia del

tasso al quale le banche possono ottenere finanziamenti dalla BC:

rL = S * (1 + q ) con q > 0

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4. le banche adeguano l‟offerta di credito alla domanda di credito che

proviene dalle imprese quindi la condizione di equilibrio del mercato del

credito sarà: Ld = Ls

Queste equazioni determinano 4 incognite con il seguente ordine di soluzione:

l‟eq. 3, dato S e dato q, determina rL;

l‟eq. 2, dato rL e dato пA, determina il livello degli investimenti I;

l‟eq. 1, dato I, determina la domanda di credito da parte delle imprese;

l‟eq. 4, dato ∆Ld, determina ∆Ls ossia l‟offerta di credito necessaria a

soddisfare la domanda di credito espressa dalle imprese al fine di realizzare

le loro decisioni di investimento.

Mercato dei beni

Il reddito è determinato dal livello della domanda aggregata ed in particolar modo

dall‟ammontare degli investimenti, della spesa pubblica e dalla propensione al

risparmio.

5. Y = f (I; ; )

Dato il livello degli investimenti I, l‟eq. 5 determina quindi il reddito Y.

La specificazione del Mercato della moneta ci consente di spiegare le condizioni

che si devono realizzare affinché i possessori di ricchezza siano disposti ad

accumulare la moneta creata dalla banche. Consideriamo il vincolo di bilancio del

sistema bancario:

6. ∆D + ∆FINBC = ∆L + ∆RIS

la spesa pubblica e la propensione al risparmio sono

grandezze esogene.

Le passività delle banche sono

date dal flusso dei depositiΔD e

dall’indebitamento delle banche

nei confronti della ΔFINBC.

Le attività delle banche sono date

dall’ammontare dei prestitiΔL e

dalle riserve ΔRIS.

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96

7. Le riserve sono costituite da passività della BC, ossia da moneta legale emessa

dalla BC detta anche base monetaria. L‟ammontare delle riserve è proporzionale

all‟ammontare dei depositi:

∆RIS = qK ∆D con 0 < qK < 1

8. Le banche si procurano la moneta legale necessaria per costituire le riserve

indebitandosi presso la Banca Centrale quindi si avrà:

∆RIS = ∆FINBC

9. ∆FINBC = ∆BM → tale equazione specifica l‟operazione attraverso la

quale la Banca Centrale crea base monetaria. Tale operazione consiste nel

finanziamento delle aziende di credito.

Poiché dall‟eq. 8 risulta ∆FINBC = ∆RIS e dall‟eq. 6 ∆D + ∆FINBC = ∆L +

∆RIS allora si avrà ∆D = ∆L, dove ∆L è determinato dalle equazioni 1-4 e,

conseguentemente, l‟eq. 6 determina ∆D.

L‟eq. 7, dato ∆D, determina l‟ammontare delle riserve ∆RIS.

L‟eq. 8, dato ∆RIS, determina ∆FINBC.

L‟eq. 9, dato ∆FINBC, determina ∆BM.

É ora possibile descrivere il mercato della moneta caratterizzato da:

10. offerta di moneta: Ms = st-1 + ∆D

11. la domanda di moneta dipende dal reddito, dal tasso di interesse sui titoli,

dal tasso di interesse atteso (che è una grandezza data) e dall‟ammontare

della ricchezza:

coefficiente di riserva:

quantità di moneta esistente

all’inizio del periodo.

nuova moneta creata dal sistema

bancario per offrire credito alle imprese

al fine di finanziare le loro decisioni di

investimento.

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Md = f (Y; rB; E; W)

12. la ricchezza è pari a: W = t-1 + St (Y)

13. la condizione di equilibrio sul mercato della moneta è data da:

Md = Ms

L‟eq. 12, dato Y, determina il livello della ricchezza W.

L‟eq. 10, dato ∆D, determina l‟offerta di moneta Ms.

L‟eq. 13, data Ms, determina la domanda di moneta Md.

L‟eq. 11, dati Md, Y, W e E, determina il tasso di interesse sui titoli rB che mette

in equilibrio la domanda e l‟offerta di moneta.

Il modello macroeconomico keynesiano che considera esplicitamente la presenza

della moneta bancaria presenta dunque le seguenti tre caratteristiche:

1. tale modello mette in evidenza la relazione tra moneta bancaria, offerta di

credito bancario e decisioni di investimento delle imprese analizzando le

due fasi del processo di creazione di moneta:

→ fase I descritta mediante il mercato del credito: le banche creano

moneta per finanziare le decisioni di investimento delle imprese;

→ fase II descritta mediante il mercato della moneta: si specificano le

condizioni che spingono i possessori di ricchezza ad accumulare

moneta bancaria.

2. questo modello è coerente con il principio della domanda effettiva secondo

cui le decisioni di investimento determinano quelle di risparmio. In

particolare, le decisioni di investimento sono determinate sul mercato del

credito dalle eq. 1 4, l‟eq. 5 determina il livello di reddito ed infine l‟eq. 12

determina i risparmi.

3. La terza caratteristica riguarda la spiegazione della presenza di

disoccupazione involontaria. Il principio della domanda effettiva ci porta ad

osservare che le fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione dipendono, in

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98

r

I (лA; r)

I (лA; r)

2

I (лA; rL > rNAT)

rNAT

I (лA; rNAT) = S (YPO)

1

rL

particolare, dalle fluttuazioni degli investimenti. Nel modello descritto

abbiamo ipotizzato: a) che le banche fissino il tasso di interesse in funzione

del tasso di sconto determinato dalle autorità monetarie, quindi le autorità

monetarie determinano il tasso di interesse che influenza le decisioni di

investimento delle imprese. Si tratta di un‟ipotesi diversa da quella della

Teoria Generale secondo cui le autorità monetarie possono influenzare il

tasso di interesse mediante le operazioni di mercato aperto; b) inoltre

abbiamo ipotizzato che le banche soddisfino completamente la domanda di

credito che le imprese esprimono al tasso di interesse fissato dalle banche

stesse.

Queste due ipotesi ci portano a concludere che, in questo sistema, che non è

quello descritto dalla teoria neoclassica, poiché l‟offerta di credito è

indipendente dalle decisioni di risparmio, sembra piuttosto facile ottenere la

piena occupazione. Infatti se si assume che le autorità monetarie controllino

il tasso di interesse monetario rl e che esista un certo livello del tasso di

interesse in corrispondenza del quale gli investimenti desiderati dalle

imprese sono coerenti con il reddito di piena occupazione (definiamolo

tasso naturale rNAT) , allora si deve concludere che affinchè il sistema

raggiunga la piena occupazione è sufficiente che le autorità monetarie

spingano il tasso di interesse al livello rl al livello del tasso naturale. (figura

1)

Figura 1

In corrispondenza del tasso

di interesse naturale il

livello degli investimenti

desiderati dalle imprese

uguaglia i risparmi di piena

occupazione.

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99

Se rL = rNAT PIENA OCCUPAZIONE :

I (лA; rNAT) → YPO → S (YPO) = I (лA; rNAT)

Se rL > r NAT DISOCCUPAZIONE INVOLONTARIA:

I (лA; rL > rNAT) < I (лA; rL = rNAT) → Y1 < YPO

Per spingere il sistema verso la piena occupazione le autorità monetarie dovranno

abbassare il tasso di interesse monetario e portarlo al livello del tasso di interesse

naturale.

Entrambi i modelli assumono che possa esistere una differenza tra il tasso di

interesse monetario e il tasso di interesse coerente con la piena occupAZIONE e

che le autorità possano eliminare tale discrepanza spingendo il sistema verso una

situazione di equilibrio caratterizzata da piena occupazione e prezzi stabili.

Anche il modello keynesiano sembra quindi accettare il principio di neutralità

della finanza secondo cui esiste un mondo ideale all‟interno del quale i

risparmiatori finanziano direttamente le imprese e il tasso di interesse monetario è

uguale a quello naturale.

In realtà tale conclusione trascura un elemento fondamentale della teoria

keynesiana, cioè trascura il fatto che le decisioni di Investimento non dipendono

soltanto dal tasso di interesse ma anche dalle aspettative di profitto. Se le

aspettative sono molto pessimistiche allora, come abbiamo visto nel corso di

Il modello keynesiano sembra quindi essere sostanzialmente simile al

modello dei fondi mutuabili.

A questo punto la tesi secondo la quale la presenza delle banche e della

moneta bancaria cambia le caratteristiche del sistema bancario non sembra

quindi essere giustificata.

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100

S, I

macroeconomia, gli investimenti possono essere inferiori a quelli necessari per

ottenere la piena occupazione anche con un tasso di interesse pari a zero.

L‟elemento trascurato consiste nel fatto che secondo Keynes non necessariamente

esiste un valore positivo del tasso di interesse r > 0 in corrispondenza del quale gli

investimenti delle imprese sono pari al risparmio di piena occupazione, ovvero in

corrispondenza del quale D = YPO.

Secondo Keynes, infatti, I e S dipendono anche dalle aspettative di profitto delle

imprese e dalle aspettative di reddito futuro dei risparmiatori:

a parità di tasso di interesse, gli investimenti variano in relazione alle

aspettative di profitto delle imprese:

- se le aspettative di profitto aumentano allora anche gli investimenti

aumentano;

- se le aspettative di profitto diminuiscono allora anche gli investimenti

diminuiscono.

a parità di reddito corrente e di tasso di interesse:

- se le aspettative di reddito futuro sono alte allora i risparmi diminuiscono;

- se le aspettative di reddito futuro sono basse allora i risparmi aumentano.

Nel caso in cui gli investimenti si riducano (le aspettative di profitto delle imprese

peggiorano) e i risparmi aumentino (le aspettative di reddito futuro dei

risparmiatori diminuiscono) si avrà:

Figura 2

E

I’

rNAT

S’

I ( attesi; r)

S (YPO; r) r

r < 0

r = 0

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101

Un‟economia monetaria, ossia un‟economia in cui si usa moneta bancaria, sarà

quindi caratterizzata da:

1. cambiamento della natura del credito: il credito

non coincide più con le decisioni di risparmio;

2. fluttuazioni del reddito e dell‟occupazione con

conseguente manifestazione di crisi e disoccupazione involontaria;

3. presenza di aspettative che possono far sì che

non esista alcun tasso di interesse naturale in corrispondenza del quale si

abbia piena occupazione.

Le aspettative di profitto degli imprenditori, così come quelle degli speculatori,

vengono elaborate in condizioni di incertezza.

Possiamo definire questa relazione tra moneta bancaria e aspettative/incertezza

che caratterizza la teoria keynesiana considerando due punti:

1. relazione tra investimenti e aspettative/incertezza;

2. relazione tra moneta bancaria e investimenti.

2.4 Decisioni di investimento, Aspettative e Incertezza

Per spiegare la relazione tra decisioni di investimento, aspettative e incertezza

prendiamo come riferimento il cap. 12 della Teoria Generale in cui Keynes

analizza il fenomeno dell‟investimento e specifica i fattori che influenzano le

decisioni di investimento.

Secondo Keynes esiste una relazione tra la presenza della moneta bancaria e

l’importanza delle aspettative e dell’incertezza → aspettative e incertezza

sono fenomeni che caratterizzano un sistema all’interno del quale si usa

moneta bancaria.

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102

Keynes inizia il capitolo specificando che le decisioni di investimento dipendono

dal confronto tra il tasso di interesse e l‟efficienza marginale del capitale che a sua

volta è determinata in funzione del costo monetario dell‟investimento (il prezzo di

offerta di un capitale) e delle aspettative di profitto (il rendimento prospettico del

capitale) (p. 333, 1)

Tra tutti i valori del tasso di interesse esisterà un particolare valore (che definiamo

r*) in corrispondenza del quale il valore attuale dei profitti futuri è pari al costo

dell‟investimento:

VA (лA; r*) = I dove r* = efficienza marginale del capitale

Se r = r* l‟impresa è indifferente;

Se r < r* → VA (лA; r < r*) > VA (лA; r*) = I l‟impresa effettua

l‟investimento;

Se r > r* → VA (лA; r > r*) < VA (лA; r*) = I l‟impresa non effettua

l‟investimento.

In questo capitolo Keynes si concentra sul rendimento prospettico degli

investimenti (le aspettative di profitto) ed associa il concetto di aspettative al

concetto di incertezza: le aspettative di profitto vengono elaborate in condizioni

di incertezza. Keynes definisce in modo efficace il significato di incertezza in un

articolo pubblicato nel 1937 in cui riassume i punti fondamentali della Teoria

Generale. (1937, p.661, 1)

Keynes osserva che non è possibile prevedere i risultati futuri di un investimento

allo stesso modo in cui si prevedono i risultati di una puntata alla roulette; non

esistono elementi che consentono di prevedere in termini probabilistici i risultati

futuri di un investimento. Nel capitolo 12 della Teoria Generale Keynes sottolinea

con forza la relazione tra aspettative e incertezza (p.335, 3) Nel caso della

ferrovia, della miniera di rame, ecc. non esistono elementi che consentono di

specificare le aspettative in termini probabilistici.

Secondo Keynes le aspettative di profitto vengono elaborate in condizioni di

incertezza, ossia non esistono metodi oggettivi che consentano

all’imprenditore di prevedere in termini probabilistici i profitti futuri.

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103

Il fatto che le decisioni di investimento vengano prese in condizioni di incertezza

ha una conseguenza fondamentale; secondo Keynes queste decisioni possono

essere realizzate soltanto da persone speciali, capaci di prendere decisioni che non

sono fondate su di un preciso calcolo dei costi e dei benefici, cioè da persone

dotate di animal spirits. (pp. 347-8, 5; p. 336, 4)

Keynes critica la teoria classica (neoclassica) per aver trascurato la dimensione

dell‟incertezza; egli considera la teoria classica capace di descrivere soltanto un

mondo senza incertezza, cioè un mondo basato soltanto sulle decisioni di

consumo, in cui le decisioni di investimento non sono rilevanti. (1937, p.661, 2)

Secondo Keynes è necessario elaborare una nuova teoria per descrivere un mondo

in cui le decisioni di investimento assumono un peso rilevante.

E‟ probabilmente eccessivo affermare che la teoria classica descrive un mondo

senza investimenti; ciò che distingue le due teorie riguarda le caratteristiche degli

investimenti: la teoria classica considera decisioni di investimento che vengono

prese in assenza di incertezza, mentre Keynes considera decisioni di investimento

prese in condizioni di incertezza.

Gli investimenti descritti dalla teoria classica sono quelli che caratterizzano un

mondo in cui si produce un solo bene, come la corn economy descritta da Smith o

la fishermen economy descritta da Böhm-Bawerk. In queste economia, come

abbiamo visto descrivendo la teoria neoclassica della finanza, le decisioni di

investimento dipendono dalle decisioni di risparmio; gli investimenti

corrispondono cioè al grano (pesce) non consumato ed utilizzato per incrementare

la produzione futura. Possiamo pensare al grano usato come semente o al grano

(pesce) usato per pagare lavoratori impiegati nella produzione di beni capitale

come l‟aratro o il trattore (barca).

Possiamo osservare che queste decisioni di investimento vengono prese in assenza

di incertezza per due ragioni: a) in un mondo in cui si produce un unico bene i

risultati dell‟investimento possono essere definiti in termini fisici poiché questi

risultati coincidono con la produzione di grano (pesce) ottenuta mediante

l‟investimento, coincidono cioè con la produttività marginale, misurata in termini

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104

di unità di prodotto, dell‟investimento; b) anche in questo caso ci può essere

naturalmente, una variabilità dei rendimenti dell‟investimento, ma questa

variabilità è dovuta a quelli che Schumpeter definisce, fattori extraeconomici, ad

esempio alle condizioni climatiche che modificano il raccolto, oppure a fenomeni

socio-politici come lo scoppio di una guerra.

Nel caso degli investimenti considerati da Keynes invece la variabilità dei

rendimenti, che non è prevedibile in termini probabilistici, deriva da fattori

economici. Ci possiamo rendere conto di questo fatto osservando che Keynes

descrive una economia (una monetary economy) in cui non si produce un solo

bene, ma più beni che Keynes elenca, come abbiamo visto (335,3) quando

descrive gli investimenti. Le decisioni di investimento sono lo strumento

attraverso il quale si introducono nuovi beni: la ferrovia, il rame, il transatlantico,

un nuovo farmaco, ecc.

Gli investimenti considerati da Keynes hanno le stesse caratteristiche delle

innovazioni descritte da Schumpeter. Il fenomeno delle innovazioni può

consistere nella realizzazione di un nuovo prodotto, o di un nuovo processo

produttivo con il quale si realizzano i beni esistenti, o ancora, nell‟apertura di

nuovi mercati. Possiamo quindi considerare gli investimenti descritti da Keynes

come lo strumento attraverso il quale si realizzano le innovazioni.

Il legame tra decisioni di investimenti e innovazioni ci permette di spiegare la

rilevanza della dimensione dell‟incertezza. Possiamo distinguere almeno due tipi

di innovazioni: le innovazioni che modificano il processo produttivo con cui si

realizza un bene esistente e le innovazioni con le quali si producono nuovi beni.

Il primo tipo di innovazioni può essere introdotto anche in un mondo in cui si

produce un unico bene, come la corn economy; esempio di innovazione possono

essere l‟aratro o il trattore. In questo caso l‟investimento corrisponde alla quantità

di grano che serve a pagare i lavoratori impiegati nella costruzione dell‟aratro o

del trattore. Queste innovazioni aumentano la produttività del lavoro impiegato

per produrre grano, ma non producono incertezza perché si rimane all‟interno di

un sistema economico in cui si produce un unico bene e il profitto

dell‟imprenditore corrisponde alla differenza tra la produzione realizzata e quella

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105

utilizzata per pagare i lavoratori (l‟imprenditore, come dice la teoria classica, e

come ci ricorda Keynes, assumerà un nuovo lavoratore se la produttività

marginale in termini di prodotto e superiore al costo marginale che corrisponde al

salario reale).

La relazione tra decisioni di investimento, innovazioni e incertezza diventa

significativa se si considera il secondo tipo di innovazioni che porta

all‟introduzione di nuovi beni. Queste decisioni di investimento caratterizzano un

mondo in cui si producono più beni, e un mondo in cui si producono più beni è un

mondo in cui vale una legge di produzione diversa da quella che caratterizza una

corn economy. In un mondo in cui si producono più beni i profitti attesi da un

imprenditore non vengono definiti in termini di quantità di beni prodotti, ma in

termini di entrate monetarie ottenute grazie alla vendita dei beni prodotti.

In altri termini nella monetary economy descritta da Keynes l‟obiettivo di un

imprenditore che produce, ad esempio, automobili non è quello di ottenere un

profitto in termini di automobili ma è quello di ottenere un profitto monetario

grazie alla vendita delle automobili. In questa economia il fine del nostro

imprenditore non è produrre automobili ma vendere automobili in cambio di

moneta; la fase della vendita non coincide necessariamente con quella della

produzione. Questa mancata coincidenza dà rilievo alla dimensione

dell‟incertezza e rende l‟incertezza un fenomeno economico in quanto la

variabilità dei profitti futuri misurati in termini monetari non è legata a fenomeni

extraeconomici che possono influenzare la produzione di automobili, ma deriva

dai fattori, di natura economica che influenzano la domanda di automobili.

Le caratteristiche dell‟incertezza che caratterizza la monetary economy descritta

da Keynes possono essere illustrate considerando il seguente esempio.

Supponiamo di essere in una economia in cui si produce soltanto grano e che un

imprenditore decida di impiegare lavoratori non per costruire aratri o trattori che

permettano di ottenere una maggior quantità di grano in futuro, ma decida di

impiegare lavoratori per costruire un nuovo bene, ad esempio una ferrovia.

Questa decisione, a differenza di quella di costruire aratri o trattori, è presa in

condizioni di incertezza poiché non esiste alcuna legge fisica che ci permette di

calcolare quanto grano il nostro imprenditore sulla base del grano impiegato a

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106

produrre la ferrovia come succede invece, nel caso dell‟aratro o del trattore. Nel

caso della ferrovia infatti, il grano che otterrà dipende dalla quantità di biglietti

che riuscirà a vendere.

2.5 Moneta bancaria e investimenti

Il secondo anello della sequenza causale tra moneta bancaria e incertezza è

costituito dalla relazione tra moneta bancaria e decisioni di investimento. Per

spiegare questo legame dobbiamo ricordare che la realizzazione degli

investimenti che hanno le caratteristiche appena descritte, richiede la presenza di

imprenditori dotati di animal spirits, cioè di imprenditori capaci di prendere

decisioni in condizioni di incertezza.

Per realizzare i loro investimenti questi soggetti hanno bisogno di potere

d‟acquisto: la moneta bancaria costituisce lo strumento che consente agli

imprenditori dotati di animal spirits di realizzare le decisioni di investimento in

condizioni di incertezza.

L‟importanza della presenza della moneta bancaria può essere spiegata con un

esempio; supponiamo che in una corn economy emerga un imprenditore che,

seguendo i suoi animal spirits, progetti di costruire una ferrovia e questo richieda

l‟impiego di un certo numero di lavoratori per dieci anni. Supponiamo inoltre che

che la tecnologia esistente renda possibile produrre una quantità di grano

sufficiente a garantire il mantenimento dei lavoratori impiegati nella produzione

di grano e di quelli che potrebbero essere utilizzati per realizzare la ferrovia.

In questo caso possiamo osservare che la ferrovia potrebbe essere realizzata anche

in una corn economy senza l‟impiego di una moneta bancaria. Infatti la

costruzione della ferrovia potrebbe essere finanziata dai produttori di grano che

prestano all‟imprenditore-innovatore il grano necessario a pagare i lavoratori

impiegati nella produzione della ferrovia. Essi otterranno in cambio dal debitore,

La presenza della moneta bancaria è la condizione necessaria affinché si

possano realizzare investimenti in condizioni di incertezza.

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107

il diritto di ottenere, quando la ferrovia sarà costruita, una quantità di grano pari a

quella prestata aumentata di un premio in conto interessi.

Possiamo osservare che ci sono almeno due elementi che rendono difficile

questa operazione. Il primo è costituito dal fatto che è molto difficile per il

produttore di grano valutare se l‟imprenditore che intende realizzare la ferrovia

sarà in grado di restituire il capitale prestato poiché il contratto di credito che si

deve realizzare per costruire la ferrovia è molto diverso da quello che si realizza

normalmente in una corn economy mediante il quale i produttori che hanno un

eccesso di grano lo prestano ad altri imprenditori che utilizzeranno il grano per

produrre altro grano. In questo caso, data la tecnologia produttiva, è facile per il

creditore calcolare il rendimento del grano prestato e quindi calcolare il tasso di

interesse da applicare al contratto di credito. Nel caso della ferrovia questa

valutazione è molto più difficile perché non esiste alcuna legge fisica che permetta

di calcolare quanto grano verrà ottenuto dalla vendita dei biglietti della ferrovia

partendo dalla quantità di grano impiegata per costruire la ferrovia.

La seconda difficoltà riguarda la durata del prestito; il nostro imprenditore dovrà

trovare produttori di grano disposti ad aspettare dieci anni prima di ottenere la

restituzione del prestito.

La realizzazione della ferrovia diventa più semplice in un mondo in cui si utilizza

una moneta bancaria. In questo caso il nostro imprenditore-innovatore dovrà

convincere le banche, non i produttori di grano, della bontà dell‟investimento. Le

banche finanzieranno la costruzione della ferrovia creando nuova moneta che

l‟imprenditore utilizzerà per pagare i lavoratori che a loro volta la utilizzeranno

per acquistare il grano. I produttori di grano non avranno difficoltà a cedere il

grano in cambio di moneta bancaria, che è perfettamente liquida, non deperibile e

può quindi essere usata come mezzo di pagamento in qualsiasi momento futuro.

E sebbene essi vendano il grano ai lavoratori impiegati nella realizzazione della

ferrovia, i produttori di grano non sono i creditori dell‟imprenditore che realizza la

ferrovia che è indebitato invece nei confronti delle banche che, a loro volta

saranno indebitate nei confronti di chi accumula la moneta bancaria. I soggetti che

accumulano moneta bancaria possono essere i produttori di grano se assumiamo

che essi decidano di accumulare la moneta ottenuta vendendo grano, oppure altri

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108

soggetti che decidono di accumulare la moneta ottenuta in cambio della vendita di

beni o servizi.

Le banche svolgono quindi un ruolo fondamentale in una monetary economy; esse

valutano le richieste di finanziamento degli imprenditori-innovatori e quindi

condividono con essi la responsabilità di decidere quale investimenti devono

essere realizzati; con le loro decisioni influenzano il processo di sviluppo del

sistema economico. Si tratta di un ruolo molto diverso da quello di puri

intermediari che esse possono svolgere all‟interno di una corn economy che

consiste nel facilitare il trasferimento del grano dai produttori agli imprenditori

che intendono espandere la produzione di grano futura.

Le banche svolgono inoltre una funzione differente rispetto a quella definita da

Wicksell e dai sostenitori della loanable funds theory. Sebbene essi riconoscano

che le banche non sono semplici intermediari poiché offrono credito creando

nuova moneta, essi affermano che l‟impiego della moneta bancaria non cambia la

struttura del sistema economico rispetto a quella che caratterizza una corn

economy in cui i beni capitale sono scambiati in natura, senza l‟impiego della

moneta, il mercato del credito coincide con il mercato dei capitali e il tasso di

interesse è pari al tasso naturale di interesse.

2.6 La spiegazione delle fluttuazioni del reddito

La presenza di moneta bancaria, di aspettative e di incertezza ci consente di

spiegare perché una monetary economy è soggetta a fluttuazioni del reddito e

dell‟occupazione. Abbiamo visto (par. 2.2.2, fig. 1) che in un mondo in cui le

autorità monetarie sono in grado di controllare il tasso di interesse sembra

piuttosto facile realizzare l‟equilibrio di piena occupazione: è sufficiente che il

tasso di interesse sia fissato al livello in corrispondenza del quale le imprese

desiderano realizzare un flusso di investimenti pari al risparmio di piena

occupazione, cioè al livello del tasso naturale di interesse.

Questa conclusione si basa sull‟ipotesi che una volta fissato il tasso di interesse al

suo livello naturale (rNAT = 2%, fig. 1) le banche decidano di creare un flusso di

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109

I (лA; r)

I (лA; r)

I0 (лA; r NAT) = S (YPO)

r NAT = 2%

I1

O A B

r Ls1 Ls0

RAZIONAMENTO

DEL CREDITO

moneta che consenta alle imprese di realizzare un flusso di investimenti coerente

con il reddito di piena occupazione. Questa ipotesi sarebbe corretta se, seguendo

Wicksell e i sostenitori della LFT si assumesse che quando r=rNAT le banche si

comportano da intermediari; in questo caso, in corrispondenza di rNAT = 2% si

avrebbe un‟offerta di risparmio e quindi di credito che permette di finanziare un

flusso di investimenti coerente con la realizzazione della piena occupazione.

Figura 1

Questa ipotesi non si applica necessariamente in una monetary economy

caratterizzata dalla presenza di incertezza. Infatti dobbiamo sottolineare che la

presenza di incertezza collegata alla presenza di una moneta bancaria influenza le

decisioni delle banche. Anche le banche agiscono in condizioni di incertezza

poiché neppure loro possono prevedere in termini probabilistici i redditi futuri

connessi alla realizzazione della ferrovia. Quindi di fronte alla richiesta di

finanziamento presentata dal nostro imprenditore che desidera costruire la ferrovia

le banche decideranno sulla base delle loro discrezionali valutazioni che

dipendono dai loro animal spirits. Potrebbero quindi decidere di non finanziare

la ferrovia se giudicassero l‟investimento troppo rischioso e le previsioni

dell‟imprenditore troppo ottimistiche. Le banche quindi non si limitano a fissare il

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110

tasso di interesse e a soddisfare tutta la domanda di credito che le imprese

esprimono a quel tasso, ma selezionano i progetti di investimento e possono

decidere di razionare il credito , cioè di non soddisfare parte della domanda di

credito (fig. 1)

Secondo la Teoria dei fondi mutuabili, se il tasso di interesse è pari a rNAT = 2%, a

fronte di una domanda di credito pari a I0 , ci sarà un‟offerta di credito equivalente

alla domanda stessa:

Ls0 = I0= S (YPO)

Invece secondo la Teoria Keynesiana l‟offerta di credito è indipendente dalle

decisioni di risparmio e le banche, in corrispondenza del tasso di interesse

naturale, potranno offrire credito in misura inferiore alla domanda di credito.

se Ls1 < Ls0 I1 < I0 Y1 < YPO.

Possiamo descrivere una situazione di razionamento del credito modificando le

equazioni che descrivono il mercato del credito esplicitate nel par. 2.2.2. Avremo

quindi:

1. ∆Ld = I = OB → la domanda di credito indica il flusso di credito

domandato dalle imprese in un certo periodo per finanziare le decisioni di

investimento;

2. I = I (п; rL) funzione degli investimenti;

3. il tasso di interesse sui prestiti bancari viene fissato dalle banche in

funzione del tasso ufficiale di sconto rS, ossia del tasso al quale le banche

possono ottenere finanziamenti dalla BC:

rL = S * (1 + q ) con q > 0

4. Ls = = OA l‟offerta di credito viene autonomamente determinata

dalle banche sulla base della valutazione dei progetti di investimento.

Quando le banche non soddisfano una parte della domanda di credito si

parla di razionamento del credito.

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111

= OA < Ld = OB quindi si ha razionamento del credito.

3. Speculazione e intraprendenza nell’analisi di Keynes.

La presenza di moneta bancaria e il legame tra moneta bancaria, decisioni di

investimento e incertezza ci consentono di spiegare un altro importante

fenomeno che caratterizza una monetary economy: la speculazione.

Questo fenomeno può essere definito sulla base di due concetti la cui rilevanza

deriva dalla presenza di una moneta come la moneta bancaria. Il primo è costituito

dal concetto di ricchezza. Il fenomeno della speculazione è associato infatti al

problema della scelta di un soggetto economico relativa alla composizione della

ricchezza. Questo problema è ben evidenziato da Keynes quando osserva che ogni

individuo che riceve un reddito monetario deve prendere una doppia decisione:

deve decidere in primo luogo quanta parte del reddito destinare all‟acquisto di

beni di consumo e quanta parte risparmiare. Il reddito risparmiato si somma alle

attività patrimoniali possedute dal nostro soggetto il quale dovrà quindi prendere

una seconda decisione relativamente alla composizione della propria ricchezza;

deve decidere cioè, se accumulare moneta o se cedere moneta in cambio di altre

attività patrimoniali, titoli di credito o beni durevoli.

Il fenomeno della speculazione diventa rilevante in un mondo in cui i soggetti

economici accumulano ricchezza e l‟accumulazione della ricchezza assume

significato in una monetary economy caratterizzata da moneta bancaria, decisioni

di investimento e incertezza, cioè come abbiamo visto, in una economia

caratterizzata dalla produzione di più beni. In un mondo in cui si produce un solo

bene infatti, è difficile definire il concetto di ricchezza; la relazione tra decisioni

di risparmio e ricchezza che Keynes descrive presuppone che la ricchezza possa

crescere all‟infinito, che non esistano limiti alle dimensioni della ricchezza.

Questa ipotesi non si applica ad un mondo in cui si produce un solo bene; infatti

in un mondo che produce grano è difficile pensare ad individui che accumulano

una ricchezza senza limiti fatta di grano, e questo per due ragioni. In primo luogo

il grano è deperibile, non è quindi possibile accumulare grano per un futuro

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112

lontano, e in secondo luogo possiamo ipotizzare che esista un limite fisico alla

quantità di grano che un individuo desideri accumulare (ed è questo limite che

spiega le ragioni per cui i consumi non crescono in misura pari al reddito); è

difficile quindi introdurre il concetto di ricchezza in un mondo basato sulle

decisioni di consumo, in quella che Keynes definisce una real exchange economy.

In una monetary economy invece, il concetto di ricchezza diventa significativo

perché la moneta non è deperibile e quindi può essere accumulata per essere

utilizzata (spesa) in un periodo futuro indefinito. Naturalmente questa possibilità

presuppone che esistano numerosi beni che possono essere acquistati; beni che

possono essere divisi in due categorie. Beni che servono a soddisfare i bisogni

assoluti, che corrispondono al grano o al pesce, e beni che servono a soddisfare i

bisogni relativi per i quali come osserva Keynes, non esistono necessariamente dei

limiti:

“… occorre tener presente che (i bisogni degli essere umani) si suddividono in due

categorie –quelli assoluti, che emergono in qualunque situazione i nostri simili si trovino

a vivere, e quelli relativi, che si manifestano solo se la loro soddisfazione ci pone, o ci fa

sentire, al di sopra dei nostri simili. I bisogni del secondo tipo, quelli generati dal

desiderio di superiorità, crescono insieme al tenore di vita, e possono in effetti diventare

insaziabili. Ma per i bisogni assoluti le cose vanno diversamente…” (Keynes, Possibilità

economiche per i nostri nipoti, 1931, p. 20)

Attraverso le innovazioni finanziate mediante la creazione di moneta, in una

monetary si moltiplica l‟offerta di beni che servono a soddisfare i bisogni relativi;

questo giustifica il desiderio degli individui di accumulare ricchezza in forma

monetaria. La presenza della moneta bancaria, come abbiamo visto usando

l‟esempio della ferrovia realizzata all‟interno di una economia che produceva solo

grano, consente da un lato all‟imprenditore di realizzare l‟investimento poiché il

produttore di grano non sarebbe disposto a finanziare direttamente l‟imprenditore-

innovatore e dall‟altro consente al risparmiatore, che ha ottenuto un reddito grazie

proprio alla costruzione della ferrovia, di accumulare ricchezza accumulando

moneta.

L‟impiego della moneta bancaria permette quindi, di spiegare da un lato la

presenza di una quota rilevante di investimenti e dall‟altro il fenomeno del

risparmio e dell‟accumulazione di ricchezza. La presenza della moneta bancaria

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serve a giustificare la relazione causale tra decisioni di investimento e decisioni di

risparmio che caratterizza il principio keynesiano della domanda effettiva e

permette di sottolineare che il fenomeno del risparmio ha natura diversa rispetto a

quello definito considerando la corn economy di Smith. Infatti nel caso della corn

economy possiamo affermare che gli investimenti derivano dalla decisione di

alcuni individui di non consumare il grano prodotto; da questa decisione

scaturiscono gli investimenti. Questo è evidente nel caso in cui il risparmiatore sia

anche colui che utilizza il grano per aumentare la produzione futura, ma rimane

valida anche nel caso in cui il grano risparmiato venga prestato ad un

imprenditore. Questa non vale nel caso della ferrovia; l‟investimento della

ferrovia non scaturisce dalla decisione di risparmiare grano, e dei produttori di

grano di prestare grano all‟imprenditore che intende costruire la ferrovia ma dalle

decisioni dell‟imprenditore-innovatore e della banca che lo finanzia creando

nuova moneta. E‟ la domanda di grano finanziata dalla nuova moneta che spinge i

produttori a produrre grano: essi infatti sono disposti a cedere grano in cambio di

moneta: sono disposti cioè ad accumulare risparmio in forma di moneta mentre

non sono disposti ad accumulare grano.

Le decisioni di risparmio sono quindi una conseguenza delle decisioni di

investimento finanziate dalle banche; questa relazione causale che caratterizza il

principio keynesiano della domanda effettiva, è descritta nel modello

macroeconomico presentato nei paragrafi precedenti; il mercato del credito

permette di definire il livello degli investimenti, quindi si determina il livello del

reddito e la specificazione del mercato della moneta permette di definire le

condizioni che inducono i possessori di ricchezza ad accumulare la moneta creata

dalle banche.

Veniamo ora al secondo elemento che permette di definire il fenomeno della

speculazione; questo secondo elemento è costituito dalla presenza di strumenti

finanziari a lungo termine il cui valore futuro è incerto, in senso keynesiano,

poiché è legato ai profitti futuri generati dagli investimenti (la costruzione della

ferrovia) oppure al valore fluttuazioni del tasso di interesse.

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Possiamo considerare due categorie di questi strumenti: i titoli a lungo termine e

le azioni. Keynes considera i titoli a lungo termine quando definisce la domanda

speculativa di moneta e osserva che per giustificare la relazione tra domanda di

moneta e tasso di interesse è necessario introdurre l‟incertezza sul valore futuro

del tasso di interesse. Le fluttuazioni del tasso di interesse influenzano in modo

significativo il valore di mercato dei titoli e quindi il rendimento dei titoli se si

considerano titoli a lungo termine, e la presenza di titoli a lungo termine è

giustificata se si esce dal mondo grano di Smith e si considerano investimento che

producono risultati in un futuro lontano come nel caso della costruzione della

ferrovia. La presenza di titoli a lungo termine può essere spiegata dal fatto che,

come osserva Keynes distinguendo tra finance e funding, le imprese che

realizzano investimenti a lungo termine possono decidere di sostituire i prestiti

bancari con l‟emissione di titoli.

L‟altro strumento finanziario è costituito dalle azioni. Keynes osserva che la

diffusione delle azioni e l‟importanza della presenza di mercati in cui si

scambiano continuamente azioni caratterizza una fase in cui la proprietà e la

gestione delle imprese sono separate. La proprietà dell‟impresa è frazionata tra un

grande numero di proprietari ognuno dei quali possiede soltanto una quota molto

piccola dell‟impresa. Anche il passaggio da una fase in cui proprietà e controllo di

una impresa erano concentrate in una sola persona, alla fase in cui queste due

dimensioni sono separate può essere collegato alla crescita dell‟importanza delle

decisioni di investimento che portano alla produzione di nuovi beni e quindi alla

presenza di incertezza.

Questi elementi consentono di definire il fenomeno della speculazione. Nella

Teoria Generale Keynes definisce il significato di questo fenomeno distinguendo

tra intraprendenza e speculazione; egli infatti propone di: “… applicare il

sostantivo speculazione all‟attività di prevedere la psicologia del mercato, e il

sostantivo intraprendenza all‟attività di prevedere il rendimento prospettico dei

beni capitali per tutta la durata della loro vita…”(Keynes 1936, 345, 8)

Esiste un elemento che accomuna l‟attività dello speculatore a quella

dell‟imprenditore ed è costituita dal fatto che entrambe si basano su previsioni, su

aspettative anche se si tratta di aspettative diverse. L‟imprenditore prende le sue

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decisioni sulla base delle aspettative circa i profitti futuri degli investimenti “per

tutta la durata della loro vita” e ricordiamo che secondo Keynes questo richiede

attitudini particolari, gli imprenditori sono individui dotati di animal spirits,

mentre lo speculatore deve: “prevedere la psicologia del mercato”.

Per comprendere il significato di questa espressione è necessario sottolineare gli

effetti derivanti dalla presenza di strumenti finanziari come i titoli a lungo

termine e le azioni, e di mercati sui quali questi strumenti vengono scambiati

continuamente; Keynes li descrive in modo efficace (Keynes 1936, 336, 7)

Lo speculatore e colui che vende o acquista titoli o azioni con l‟obiettivo di

ottenere un guadagno in conto capitale; le aspettative che influenzano le sue scelte

riguardano il valore futuro delle attività finanziarie. Anche queste aspettative

vengono elaborate in condizioni di incertezza; questo però non impedisce a

Keynes di fare alcune interessanti considerazioni sul processo che porta alla

elaborazione di queste aspettative. Keynes distingue due categorie di speculatori:

speculatori professionali → coloro che prendono le loro decisioni

raccogliendo informazioni sulla situazione economica delle varie imprese,

elaborando valutazioni circa il valore futuro delle stesse. Si tratta di

decisioni prese sulla base dei cosiddetti fondamentali.

individui ignoranti → coloro che acquistano e rivendono titoli di

un‟impresa senza avere una cognizione sulle informazioni relative

all‟impresa o al sistema economico. (Keynes 1936, 340, 9, 11.1)

Keynes osserva inoltre, che nei mercati finanziari, a differenza di quanto potrebbe

sembrare logico, prevalgono gli effetti delle scelte del secondo gruppo di

speculatori (Keynes 1936, 340-1, 11.1-12). E questo condiziona il

comportamento degli speculatori professionali per i quali sarà più redditizio non

tanto elaborare previsioni sulla base della loro capacità di analizzare i dati

disponibili, ma piuttosto cercare di prevedere come il mercato valuterà i titoli e le

azioni. (Keynes 1936, 341, 12)

Keynes definisce le valutazioni del mercato, valutazioni convenzionali,

valutazioni che sono basate su: “… fattori che in realtà non esercitano una grande

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influenza sul rendimento prospettico” (Keynes 1936, p. 340, 11) e quindi

aggiunge che si tratta di valutazioni soggette a: “… variazioni violente”.

Per descrive il comportamento degli speculatori professionali Keynes usa la

metafora del concorso di bellezza (Keynes 1936, p. 342, 13)

Infine Keynes si chiede in che modo la speculazione possa influenzare le decisioni

di investimento. Egli distingue due tipi di investimento; il primo consiste

nell‟ampliare lo stock produttivo esistente, cioè nel realizzare ad esempio, nuove

imprese simili a quelle esistente. La speculazione, modificando continuamente le

valutazioni delle imprese esistenti, influenzerà la scelta di costruire nuove imprese

simili:

“…le rivalutazioni giornaliere alla borsa dei titoli, pur essendo destinate principalmente

ad agevolare il trasferimento di investimenti vecchi da un individuo all‟altro, esercitano

inevitabilmente un‟influenza decisiva sull‟ammontare degli investimenti correnti. Non

avrebbe senso, infatti, creare una impresa nuova ad un costo superiore a quello al quale

può acquistarsi un‟impresa simile già esistente; mentre vi è un incentivo a spendere per

un progetto nuovo una somma che può sembrare stravagante, se il progetto può venire

collocato nella borsa dei titoli realizzando un profitto immediato. Quindi certe categorie

di investimenti sono governate dalle aspettative medie di coloro che operano nella borsa

dei titoli, quali si rivelano nel prezzo delle azioni, piuttosto che dalle aspettative genuine

dell‟imprenditore professionale.” (Keynes 1936, p. 337, 14)

Il secondo tipo di investimenti è quello al quale Keynes associa i concetti di

aspettative a lungo termine, di incertezza, di intraprendenza e di animal spirits.

Esempi di questi investimenti sono, come si è visto: la costruzione di una ferrovia,

di un transatlantico, di un nuovo medicinale. Poiché da queste decisioni dipende il

benessere della collettività1, Keynes si chiede in che modo la speculazione possa

influenzare questo tipo di investimenti. Egli osserva che la presenza di mercati

finanziari molto liquidi e di una intensa attività speculativa può ostacolare la

realizzazione di questi investimenti poiché la speculazione può offrire più facili

occasioni di guadagno:

“L‟investimento basato su genuine aspettative a lungo termine è oggi così difficile da

essere scarsamente praticabile. Chi cerca di realizzarlo deve certamente condurre giornate

più laboriose e incorrere in rischi maggiori di chi si ingegna di indovinare meglio della

folla come la folla stessa si comporterà; e, a parità di intelligenza, potrà compiere errori

più disastrosi. … Occorre un‟intelligenza maggiore per sconfiggere le forze del tempo e

1 “E‟ pacifico che l‟intraprendenza fondata su speranze che si estendono nel futuro torna a

beneficio della collettività in complesso” (Keynes 1936, p. 348, 20 )

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la nostra ignoranza che per gabbare il prossimo. Per di più, la vita non è lunga

abbastanza: la natura umana desidera risultati solleciti, vi è un gusto particolare nel far

denaro alla svelta, e i guadagni futuri sono scontati dall‟uomo medio ad un tasso molto

alto.” (Keynes 1936, p. 343, 15-16))

Keynes quindi vede il rischio che la speculazione possa comprimere

l‟intraprendenza:

“Gli speculatori possono non causare alcun male, come bolle d‟aria in un flusso continuo

di intraprendenza; ma la situazione è seria quando l‟intraprendenza diviene la bolla d‟aria

in un vortice di speculazione. Quando lo sviluppo del capitale di un paese diventa un

sottoprodotto delle attività di una casa da gioco, è probabile che vi sia qualcosa che non

va bene. I successi conseguiti da Wall Street, come organo rispondente alla specifica

funzione sociale di instradare l‟investimento nuovo nelle direzioni più redditizie in

termini di rendimento futuro, non si possono certo ritenere uno dei più clamorosi successi

del capitalismo del laissez-faire; né vi è da stupirsene, se è corretto il mio coinvincimento

che le menti migliori di Wall Street sono state di fatto rivolte verso scopi diversi”

(Keynes 1936, p. 345, 18)

La prevalenza della speculazione sull‟intraprendenza avrebbe costi sociali molto

rilevanti:

“Lo scopo sociale dell‟investimento consapevole dovrebb‟essere di sconfiggere le oscure

forze del tempo e dell‟ignoranza che avviluppano il nostro futuro. Invece, lo scopo

privato dei più esperti investitori di oggi è to beat the gun come dicono gli americani

(scattare prima del segnale di partenza), mettere nel sacco la gente, riuscire a passare al

prossimo la moneta cattiva o svalutata.” (Keynes 1936, p. 341, 19)

Per questa ragione Keynes conclude il capitolo chiedendosi quali misure

potrebbero essere adottate per frenare il fenomeno della speculazione. Egli

considera favorevolmente l‟introduzione di una imposta sulle negoziazioni che

potrebbe ridurre la liquidità dei mercati. Keynes accenna inoltre all‟introduzione

di misure più drastiche che limitino fortemente la liquidità del mercato, anche se

riconosce che queste misure potrebbero avere effetti negativi sugli investimenti:

“Lo spettacolo dei moderni mercati di investimento mi ha talvolta portato alla

conclusione che un rimedio utile per i nostri mali contemporanei potrebbe essere quello di

rendere un investimento permanente e indissolubile come il matrimonio, salvo che per

causa di morte o altro grave motivo. In tal modo, infatti, si obbligherebbe l‟investitore ad

orientare la sua mente verso le prospettive di lungo termine e verso queste soltanto. Ma se

si riflette un momento su questo espediente, si vede come si urti contro un dilemma, e ci

si rende conto come la liquidità del mercato spesso faciliti – benché talvolta ostacoli –

l‟attuazione di nuovi investimenti. Giacché il fatto che ciascun investitore singolo si

compiace di considerare “liquido” il suo investimento (benché questo non possa valere

per tutto l‟insieme degli investitori) tiene calmi i suoi nervi o lo rende assai più disposto

ad assumersi un rischio.” (Keynes 1936, p. 346-7)

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