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Approfondimenti M.P. Spina www.lalegislazionepenale.eu 1 3.6.2016 CONFISCA PER EQUIVALENTE IN MATERIA DI REATI TRIBUTARI: TRA EFFETTIVITÀ DEL PRELIEVO FISCALE E GARANZIE SOSTANZIALI OSSERVAZIONI A MARGINE DI CASS. 14.1.2016 N. 5728 di Marilia Pia Spina (Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Pisa) SOMMARIO: 1. Considerazioni preliminari: la confisca del profitto. – 2. (segue) La confisca per equivalente. – 3 . Il carattere ontologicamente “per equivalente” della confisca del profitto in materia di reati tributari. – 4. L’estinzione del debito tributario e la controversa questione della legittimità del sequestro preventivo in presenza di impegno a versare le somme dovute. 1. Com’è noto, il profitto del reato figura tra le res di cui l’art. 240 Cp – sotto il controverso nomen juris di “misura di sicurezza” – dispone, in via generale, la confisca facoltativa. La rilevanza del profitto confiscabile 1 può, peraltro, essere apprezzata soprattutto nell’ambito delle ipotesi speciali di ablazione: tanto in codice, quanto extra codicem, il profitto è posto a fondamento di una molteplicità – inafferrabile – di figure obbligatorie, che, svincolate dai limiti applicativi del modello codicistico, innervano il sistema in misura sempre crescente; è di tutta evidenza, del resto, come – perlomeno rispetto a certe forme di criminalità – la forza dissuasiva dell’ablazione dei profitti illeciti possa risultare superiore a quella espressa dalla privazione della libertà personale. Tra le predette figure speciali rientra la fattispecie prevista in materia di reati tributari (art. 12 bis d. lgs. 10.3.2000 n. 74), sulla quale soffermeremo la nostra attenzione. Tuttavia, sembra opportuno, preliminarmente, ripercorrere i caratteri generali dell’istituto ablatorio, di cui ogni ipotesi speciale costituisce, di fatto, una peculiare “declinazione”. In sede di determinazione concettuale della nozione di profitto, il referente fenomenico – apparentemente piuttosto intuitivo, ma, in realtà, suscettibile, in sede interpretativa, di insidiose dilatazioni – può essere individuato nel «prodotto indiretto del reato» (secondo le indicazioni della dottrina più risalente, in riferimento, ad esempio, al denaro ricavato dalla vendita della cosa rubata), oppure, in modo più lineare, nel «lucro, il vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato» 2 . 1 Sulla crescente rilevanza del profitto in materia di confisca, v., per tutti, A. Alessandri, Criminalità economica e confisca del profitto, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini e C.E. Paliero, III, Milano 2006, 2103 ss., e D. Fondaroli, Splendori e miserie della confisca obbligatoria del profitto, in Principi costituzionali in materia penale e fonti sovranazionali, a cura di Ead., Padova 2008, 117 ss. 2 Cass. S.U. 3.7.1996, Chabni, in CP 1997, 972 ss. Per una ricognizione degli indirizzi giurisprudenziali

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CONFISCA PER EQUIVALENTE IN MATERIA DI REATI TRIBUTARI:

TRA EFFETTIVITÀ DEL PRELIEVO FISCALE E GARANZIE SOSTANZIALI OSSERVAZIONI A MARGINE DI CASS. 14.1.2016 N. 5728

di Marilia Pia Spina

(Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Pisa)

SOMMARIO: 1. Considerazioni preliminari: la confisca del profitto. – 2. (segue) La confisca per

equivalente. – 3 . Il carattere ontologicamente “per equivalente” della confisca del profitto in materia di reati tributari. – 4. L’estinzione del debito tributario e la controversa questione della legittimità del sequestro preventivo in presenza di impegno a versare le somme dovute.

1. Com’è noto, il profitto del reato figura tra le res di cui l’art. 240 Cp – sotto il

controverso nomen juris di “misura di sicurezza” – dispone, in via generale, la confisca facoltativa.

La rilevanza del profitto confiscabile 1 può, peraltro, essere apprezzata soprattutto nell’ambito delle ipotesi speciali di ablazione: tanto in codice, quanto extra codicem, il profitto è posto a fondamento di una molteplicità – inafferrabile – di figure obbligatorie, che, svincolate dai limiti applicativi del modello codicistico, innervano il sistema in misura sempre crescente; è di tutta evidenza, del resto, come – perlomeno rispetto a certe forme di criminalità – la forza dissuasiva dell’ablazione dei profitti illeciti possa risultare superiore a quella espressa dalla privazione della libertà personale.

Tra le predette figure speciali rientra la fattispecie prevista in materia di reati tributari (art. 12 bis d. lgs. 10.3.2000 n. 74), sulla quale soffermeremo la nostra attenzione. Tuttavia, sembra opportuno, preliminarmente, ripercorrere i caratteri generali dell’istituto ablatorio, di cui ogni ipotesi speciale costituisce, di fatto, una peculiare “declinazione”.

In sede di determinazione concettuale della nozione di profitto, il referente fenomenico – apparentemente piuttosto intuitivo, ma, in realtà, suscettibile, in sede interpretativa, di insidiose dilatazioni – può essere individuato nel «prodotto indiretto del reato» (secondo le indicazioni della dottrina più risalente, in riferimento, ad esempio, al denaro ricavato dalla vendita della cosa rubata), oppure, in modo più lineare, nel «lucro, il vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato»2.

1 Sulla crescente rilevanza del profitto in materia di confisca, v., per tutti, A. Alessandri, Criminalità economica e confisca del profitto, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini e C.E. Paliero, III, Milano 2006, 2103 ss., e D. Fondaroli, Splendori e miserie della confisca obbligatoria del profitto, in Principi costituzionali in materia penale e fonti sovranazionali, a cura di Ead., Padova 2008, 117 ss. 2 Cass. S.U. 3.7.1996, Chabni, in CP 1997, 972 ss. Per una ricognizione degli indirizzi giurisprudenziali

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Pertanto, la qualificazione formale della confisca in termini di “misura di sicurezza” – valida fintantoché l’intervento ablativo sia primariamente orientato a scopi di prevenzione speciale – sarebbe imperniata su una presunzione di pericolosità del profitto del reato, considerato in re ipsa espressivo di una generica vis incentivante alla reiterazione del delitto, quando permanga nelle mani del reo3.

Sennonché, già da questa prima, sommaria, ricognizione dell’oggetto d’ablazione, si può inferire che l’inquadramento normativo poggia su un baricentro alquanto “malfermo”.

A prescindere dai profili della disciplina generale – regime di irrevocabilità, inapplicabilità a seguito di proscioglimento per difetto di imputabilità, applicabilità in sede di sospensione condizionale – che rendono tutte le fattispecie di cui all’art. 240 Cp (comprese quelle facoltative) “anelastiche” rispetto alle effettive condizioni di pericolosità, si può osservare che, in ragione della natura dell’oggetto, la confisca del profitto (ma d’ora in avanti si intenda, tout court, del “provento”, valendo considerazioni analoghe anche per il prodotto ed il prezzo) presenta “strutturalmente” un “tasso di ipoteticità” della prognosi molto più elevato di quanto non possa dirsi nel caso della confisca dello strumento. A ben vedere, infatti, poiché il profitto si colloca, nella catena cronologico-eziologica, in una posizione successiva al fatto, l’interprete non può fare affidamento su di un rapporto di strumentalità già inveratosi nel passato e che possa fungere da termine di riferimento per la formulazione di un adeguato giudizio prognostico. L’esito special-preventivo, dunque, non sembra rappresentare il primario orientamento teleologico, ma soltanto una conseguenza accessoria, eventuale, dell’intervento ablativo.

Si tratta, a questo punto, di valutare se quale “sanzione” – intesa, genericamente, come reazione statale alla violazione di un obbligo giuridico – la misura ablatoria sia ispirata da finalità restitutorie (ripristino della situazione giuridica antecedente all’illecito), o se, invece, rivesta un carattere punitivo.

In particolare, nonostante si possa essere indotti a desumere la natura restitutoria della confisca del profitto dall’elisione di acquisti privi di un titolo giuridico, non si può fare a meno di notare che, a differenza di quanto avviene nelle sanzioni restitutorie4, l’oggetto della misura risulta, almeno nella generalità dei casi, ontologicamente eterogeneo rispetto all’interesse giuridico leso dall’illecito. Inoltre, la restitutio opera in una direzione, per così dire, “unilaterale”, dal momento che,

in tema di profitto confiscabile, R. Borsari, Diritto penale, creatività e co-disciplinarità. Banchi di prova dell’esperienza giudiziale, Padova 2013, 360 ss., G. Fidelbo, La nozione di profitto confiscabile nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Orientamento di giurisprudenza - Rel. 41/14 Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario – Sezione penale, 2014 (reperibile all’indirizzo http://www.cortedicassazione. it/cassazione-resources/resources/ cms/documents/ Relazione_pen_41_14.pdf.), e F. Mucciarelli – C.E. Paliero, Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in www.penalecontemporaneo.it, 20.4.2015. 3 La pericolosità in materia di confisca deve intendersi, infatti, in senso “relazionale”, come scaturente, cioè, dal rapporto tra la cosa e il soggetto: ex multis, v. G. Bettiol – L. Pettoello Mantovani, Diritto penale. Parte generale12, Padova 1986, 990. 4 Su questi aspetti, T. Padovani, Lectio brevis sulla sanzione, in Le pene private, a cura di F.D. Busnelli e G. Scalfi, Milano 1985, 55 ss.

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essendo le res ricondotte coattivamente nella sfera giuridica dello Stato, si perviene, comunque, ad una situazione diversa da quella antecedente all’illecito: in altri termini, la neutralizzazione delle conseguenze del reato si verifica solo nei confronti del reo, e non nei confronti dell’offeso, la cui condizione – giuridica e materiale – non beneficia, per effetto della confisca, di alcuna “reintegrazione”.

Si può parlare, tutt’al più, di una compensazione nei confronti della collettività offesa dal reato, dalla portata meramente simbolica, riconducibile ad un’idea repressivo-retributiva5: la ratio della misura sembra risiedere, dunque, nell’esigenza di impedire che il reato possa fruttare alcuna utilità a colui che lo ha commesso, secondo l’antico brocardo – non privo di venature eticizzanti – “crimen non lucrat”6. Una simile conclusione, del resto, risulta suffragata dagli stessi Lavori preparatori del Codice Rocco, nei quali si evidenzia l’opportunità «che al colpevole venga sottratto ciò che era precisamente obbietto del disegno criminoso e che egli sperava di convertire in mezzo di maggior lucro e di illeciti guadagni».

Tutto ciò premesso, però, non si deve trascurare il fatto che – al di là di ogni tentativo di decifrare la mens legis, comunque destinato a rimanere un’ipotesi, senza possibilità di convalida – esiste, de jure condito, una qualificazione normativa con la quale occorre “fare i conti”.

Sennonché, paradossalmente, la soggezione alla lettera della legge può ridondare a vantaggio di quelle stesse garanzie minacciate dalla “truffa delle etichette”: all’interprete, in sede di applicazione, spetta il compito fondamentale di “riallineare” l’istituto allo scopo dichiarato, valorizzando le finalità di prevenzione speciale e rifuggendo da soluzioni ermeneutiche che, al contrario, ne implementino i connotati punitivi.

Pertanto, atteso che l’“allentamento” del legame eziologico tra la cosa ed il reato presupposto inevitabilmente accentua il carattere ipotetico della prognosi, con il rischio che la misura ablativa risulti insensibile a reali fattori di pericolosità, piegandosi a finalità meramente repressive, si rende necessario adottare soluzioni interpretative che circoscrivano l’ablazione alle sole res la cui idoneità incentivante possa apprezzarsi alla luce delle dinamiche esecutive del fatto commesso.

Ne consegue che, stante l’attuale qualificazione legislativa, deve intendersi “profitto confiscabile” solo una “conseguenza immediata”7 del reato, o, tutt’al più,

5 Si avverte però, che la dottrina, ispirata dall’opera di A. Eser, Die strafrechtlichen Sanktionen gegen das Eigentum, Tübingen 1969, passim, tende a distinguere il fine compensativo/riparatorio della confisca da quello propriamente afflittivo/general-preventivo. 6 Sulla funzione repressiva della confisca del profitto, per tutti, G. Grasso, sub art. 240 in Commentario sistematico del Cp2, a cura di M. Romano, G. Grasso e T. Padovani, III, Milano 2011, 610, e T. Padovani, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, Pisa 2014, 149. 7 G. Grasso, sub art. 240 in Commentario sistematico del Cp2, cit., 615; in giurisprudenza, per un’interpretazione restrittiva della nozione di profitto, v., ad es., Cass. 24.5.2004, Curatela Fall. in proc. Focarelli, in CP 2004, 3087 ss., e Cass. S.U. 25.10.2005, Muci, in CP 2006, 1382 ss. Contra, A.M. Maugeri, Relazione introduttiva. I modelli di sanzioni patrimoniali nel diritto comparato, in Le sanzioni patrimoniali come moderno strumento di lotta contro il crimine: reciproco riconoscimento e prospettive di armonizzazione”, a cura di Ead., Milano 2008, 13, paventa il rischio che l’indirizzo restrittivo possa ampliare i margini di operatività della confisca di valore.

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“mediata” da un solo rapporto di scambio8, nonostante taluni recenti indirizzi giurisprudenziali si spingano ad affermare la confiscabilità – per di più in via “diretta”, non già “per equivalente” – di qualsiasi “surrogato” del profitto, a condizione che possa ricostruirsene la genesi delittuosa9.

L’imprescindibile rilevanza della pertinenzialità fa sì, inoltre, che quando si configuri, pur in conseguenza del reato, un rapporto sinallagmatico lecito, non debbano ritenersi confiscabili il costo sostenuto10 dal reo o il giusto corrispettivo incamerato per l’esecuzione del contratto11, in quanto la liceità, per così dire, agisce come causa sopravvenuta idonea ad interrompere il nesso causale tra reato e profitti.

Infine, poiché le virtualità criminogene e le esigenze special-preventive possono valutarsi solo con riguardo a ciò che si trova concretamente nella disponibilità del reo, è necessario, se si vuole invocare la fattispecie generale, che il profitto assuma una consistenza materiale tangibile, tale da realizzare un mutamento «attuale e di segno positivo»12 nel patrimonio del soggetto: quando questi abbia conseguito, per effetto dell’illecito, un risparmio di spesa, deve poter riscontrarsi un «ricavo effettivamente introitato e non decurtato dei costi che si sarebbero dovuti sostenere, vale a dire un risultato economico positivo»13.

Ogni altra soluzione ermeneutica, che prescinda dal presupposto della pertinenzialità, risulta, dunque, irrimediabilmente incompatibile con la qualificazione formale, con il conseguente ed immediato “sconfinamento” nell’area della confisca per equivalente.

2. Nell’ultimo ventennio, l’azione combinata di sollecitazioni sovranazionali e

istanze interne di “semplificazione” applicativa – probatoria in primis – dello strumento ablativo ha indotto il legislatore ad introdurre, contestualmente ed in seno a molte delle nuove fattispecie di confisca obbligatoria, la figura della c.d. confisca per equivalente, che consente l’apprensione di beni (somme di denaro o altre utilità, come indicato dalle singole disposizioni) di valore corrispondente ai proventi diretti del reato nelle ipotesi in cui questi ultimi non siano attingibili con la confisca ordinaria.

8 A. Alessandri, Confisca nel diritto penale, in DigDPen 1989, 52. 9 In particolare, Cass. S.U. 25.10.2007, Miragliotta, in DPP 2008, 1295 ss., con nota di R. Lottini; Cass. S.U. 25 6.2009, Caruso, in CP 2010, 90 ss., con nota di V. Manes, e in RIDPP 2011, 777 ss., con nota di A.M. Maugeri. 10 Sul carattere afflittivo della confisca del profitto lordo, espressamente, A.M. Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano 2001, 567. Per le oscillazioni giurisprudenziali tra principio del lordo e principio del netto, v. F.C. Bevilacqua, La natura problematica del profitto confiscabile nei confronti degli enti, in RIDPP 2009, 1114 ss. 11 Cass. S.U. 27.3.2008, Fisia Italimpianti s.p.a. e a., in RIDPP 2008, 1738 ss., che, precisamente, parla di «effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente». 12 Cass. 28.11.2013, Italease, in CP 2014, 3234 ss., con nota di A. Fux. 13 Cass. S.U. 27.3.2008, Fisia Italimpianti, cit.; Cass., 28.11.2013, Italease, cit.; Cass., 20.12.2013, Riva F.I.R.E. s.p.a., in CP 2014, 1534 ss., con nota di P. Silvestri; Cass. 3.4.2014, Fondiaria Sai s.p.a., in www.penalecontemporaneo.it., 27.6.2014.

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Nonostante il proprium della confisca per equivalente risieda, come già anticipato, nella netta cesura del nesso di pertinenzialità tra il reato e la cosa, l’intervento ablativo, lungi dal “costituire un escamotage per superare l’onere della prova”14, deve comunque calibrarsi sull’originario risultato dell’illecito, secondo un procedimento che, muovendo dal valore del bene irreperibile (auspicabilmente, da calcolare in modo “specifico”, già in sede di applicazione del sequestro preventivo), lo esprima in termini pecuniari, e poi ricerchi, nel patrimonio del reo, cose che a quel valore corrispondano; di conseguenza, non possono essere oggetto di ablazione per equivalente beni aventi un valore eccedente l’entità dell’accertato profitto del reato15.

Al requisito della pertinenzialità tra bene confiscabile e reato si sostituisce, dunque, una sorta di “pertinenzialità tra beni” (l’oggetto “originario” e l’oggetto “definitivo” della confisca), determinata dall’equivalenza dei loro valori, che si impone come “misura della proporzionalità” dell’intervento ablativo: canone, quest’ultimo, di imprescindibile rilevanza, se si considera che – più ancora di quanto si sia riscontrato in tema di confisca diretta – «costituendo una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti, la confisca per equivalente assume preminente carattere sanzionatorio» 16 (rectius, punitivo), o, se si vuole, «natura di vera e propria sanzione»17.

Si può osservare, infatti, che, nella confisca per equivalente, il presupposto della pericolosità risulta non solo “irrilevante”, perché soverchiato dal regime obbligatorio, ma anche “carente” da un punto di vista sostanziale, trattandosi di res eziologicamente avulse dal reato e, pertanto, assolutamente “neutre” in termini di forza incentivante.

Per di più, l’esito ablativo – oltre a risolversi, come per tutte le ipotesi di confisca, in un generico ristoro della collettività offesa dal reato – riguarda beni non necessariamente privi di idoneo titolo di acquisto: la finalità restitutoria è, dunque, “doppiamente simbolica”. Piuttosto, l’istituto sembra orientato a veicolare il messaggio che, anche laddove “il crimine sia riuscito, apparentemente, a pagare”, l’azione repressiva dell’ordinamento interverrà ad impedire che in capo al reo si consolidi un risultato economico positivo.

Dalla conclamata natura punitiva della confisca per equivalente discendono taluni, prevedibili, corollari.

Anzitutto, in ossequio all’art. 25 co. 2 Cost. e all’art. 7 Cedu, deve ritenersi inapplicabile il regime di retroattività previsto, in via generale, dall’art. 200 Cp per le misure di sicurezza: sennonché, in riferimento alla fattispecie di cui agli artt. 322 ter e 640 quater Cp, è lo stesso legislatore ad esplicitare la regola dell’irretroattività, prevedendo, in seno alla l. 29.9.2000 n. 300, un’apposita norma transitoria (l’art. 15);

14 D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, Bologna 2007, 250. 15 Ex plurimis, Cass. 17.1.2012, 5609, in www.italgiure.giustizia.it. 16 Cass. 16.1.2004, Napolitano, in FI 2004 (II), 685 ss. 17 Cass. S.U. 27.3.2008, Fisia Italimpianti, cit. Tuttavia, M. Amisano Tesi, Confisca per equivalente, DigDPen 2008, 191 ss., non contesta che la confisca per equivalente sia misura di sicurezza.

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quanto alle altre ipotesi di confisca per equivalente, rimedia al silenzio della legge una copiosa giurisprudenza18.

In secondo luogo, avuto riguardo alle ipotesi di concorso di persone, si deve considerare che, data la natura autenticamente punitiva della confisca per equivalente, l’inflizione della misura a carico di uno solo dei concorrenti – a prescindere dal profitto che sia effettivamente transitato nel suo patrimonio – reca un grave vulnus alle garanzie di personalità, colpevolezza e proporzione.

Pertanto, nonostante la giurisprudenza maggioritaria ritenga applicabile la confisca per equivalente a “ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del prezzo o profitto accertato, salvo ovviamente l’eventuale riparto del relativo onere nei rapporti interni tra i vari concorrenti”19, sembra più corretto propendere per il principio del trattamento unitario dei correi – previsto dall’art. 110 Cp – nel suo significato “monistico” e non “solidaristico”: invero, il regime di solidarietà passiva – tipico del risarcimento del danno da reato, ex art. 187 Cp – presuppone una funzione compensativa estranea alla figura ablatoria.

Infine, con riferimento al principio di personalità della responsabilità penale la portata afflittiva della confisca per equivalente comporta l’ineludibile necessità che i beni oggetto di ablazione siano appartenenti al reo, e che, quando questi ne abbia la disponibilità solo «indirettamente e per interposta persona»20, l’intervento ablativo sia subordinato ad una rigorosa prova del carattere meramente formale dell’intestazione.

Per lo stesso ordine di ragioni, si deve ritenere che – nei casi di comproprietà tra reo e terzo estraneo – l’ablazione non possa esorbitare dalla quota del reo; sembra discutibile, dunque, che la Suprema Corte ritenga ammissibile il sequestro preventivo – come si dirà, analogo, per contenuto afflittivo, alla confisca – sul bene nella sua interezza “quando si tratti di cose indivisibili o sussistano comprovate esigenze di conservazione del bene, tanto per impedirne la dispersione, quanto per assicurarne l’integrità del valore”21.

In definitiva, rebus sic stantibus, non pare casuale la distribuzione topografica delle fattispecie di confisca per equivalente: la funzionalità general-preventiva e la natura punitiva dell’istituto sono volte a presidiare istanze di tutela dotate di particolare rilevanza politico-criminale, quali il contrasto alla criminalità organizzata (artt. 322 ter Cp – nella misura in cui la criminalità organizzata profitta degli illeciti dei pubblici ufficiali contro la P.A. – 644 Cp, 648 quater Cp, e 11 l. 16.3.2006 n. 146), il contrasto alla criminalità economica/d’impresa (art. 187 d. lgs. 24.2.1998 n. 58, fattispecie di cui al d. lgs. 8.6.2001 n. 231 e art. 2641 Cc) e interessi tipicamente statali (artt. 322 ter Cp, 474 bis Cp, 640 quater Cp e – proprio in materia di reati tributari – art. 1 co. 143 l. 24.12.2007 n. 244, oggi sostituito dall’art. 12 bis d. lgs. 10.3.2000 n. 74).

18 Nel caso dei reati tributari, dunque, deve ammettersi l’applicabilità della confisca per equivalente solo per i fatti successivi all’1.1.2008, data di entrata in vigore dell’art. 1 co. 143 l. 24.12.2007 n. 244: v., ad es., Cass. 24.9.2008, Canisto, in CP 2009, 3417 ss., con nota di F. Mazzacuva. 19 Così Cass. 16.1.2004, Napolitano, cit. 20 Questa la lettera dell’art. 600 septies Cp; similmente, gli artt. 644 Cp, 12 sexies d.l. 8.6.1992 n. 306 , 11 l. 16.3.2006 n. 146 e 648 quater Cp parlano di “disponibilità anche per interposta persona”. 21 Cass. 27.1.2011 n. 6894, in www.penalecontemporaneo.it, 1.7.2011.

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3. Le considerazioni sin qui svolte dovrebbero essere sufficienti a dimostrare

che, in materia di reati tributari, ragioni di natura ontologica fanno sì che la confisca assuma, nella generalità dei casi, carattere “per equivalente”22. Infatti – salvo che il reo abbia conseguito delle somme di denaro a seguito di indebito rimborso – il profitto confiscabile si identifica, nella maggioranza dei casi, con il risparmio di spesa derivante dal mancato pagamento del tributo (in cui la giurisprudenza ricomprende anche interessi e sanzioni eventualmente dovuti a seguito dell’accertamento)23: un’entità immateriale, dunque, e, per di più, di valore negativo, che, non sussistendo nella realtà naturalistica, non può costituire oggetto di apprensione. Lo strumento ablatorio, di conseguenza, dovendo necessariamente orientarsi verso ciò che è concretamente esistente nel patrimonio del reo, finisce per riguardare beni eterogenei, da un punto di vista sostanziale, rispetto all’originario profitto, e in alcun modo pertinenziali al reato.

Né i termini della questione appaiono diversi nei casi in cui la misura ablatoria concerne beni fungibili, come, ad esempio, somme di denaro, nonostante una recentissima giurisprudenza 24 statuisca che, pur ove siano in gioco vantaggi immateriali, la fungibilità della res è sufficiente a determinare il carattere “diretto”, e non “per equivalente”, dell’ablazione. In verità, per poter parlare di confisca diretta, sembra indispensabile che un quid novi sia confluito, per effetto del reato, nel patrimonio del reo, e si sia poi dissolto tra beni dello stesso genere.

Ad ogni modo, nulla sembra ostare, sul piano assiologico, a che la confisca per equivalente si applichi non solo nei casi di “improcedibilità di fatto” della confisca diretta, ma anche quando la natura immateriale del profitto la renda ab origine impossibile25, purché il vantaggio immateriale direttamente derivato dal reato sia individuabile, quantificabile con esattezza, attuale e non futuro, altrimenti si “porrebbe il destinatario nella condizione di vedersi privato di un bene già a sua disposizione in ragione di un’utilità non ancora concretamente realizzata”26.

Sennonché, nell’epoca antecedente all’espressa previsione normativa, in materia di reati tributari la confisca per equivalente non risultava esperibile – se non nei limitati casi in cui le condotte rivestissero carattere transnazionale e ricadessero

22 M. Romano, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in RIDPP 2015, 1687 s. 23 Così Cass. S.U. 31.1.2013, Adami, in www.italgiure.giustizia.it. Per approfondimenti, v. Orientamento di giurisprudenza - Rel. 30/13 Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario – Sezione penale, in tema di sequestro e confisca per equivalente nei reati tributari (reperibile all’indirizzo http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Relazione_ penale_30_13.pdf.). 24 Cass. S.U. 30.1.2014, Gubert, in CP 2009, 2797 ss., con nota di G. Varraso, e Cass. S.U. 26.6.2015, Lucci, in www.italgiure.giustizia.it. 25 Di quest’avviso L. Fornari, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale moderno, Padova 1997, 39 e 114, e Id., sub art. 240, in Commentario breve al codice penale5, a cura di A. Crespi, G. Forti e G. Zuccalà, Padova 2008, 625. Contra, limitano la confisca per equivalente alla sola “improcedibilità” di fatto della confisca diretta, F. Bottalico, Confisca del profitto e responsabilità degli enti tra diritto ed economia: paradigmi a confronto, in RIDPP 2009, 1733, e D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca, cit., 62. 26 Cass. S.U. 27.3.2008, Fisia Italimpianti, cit.

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entro l’ambito di applicabilità della fattispecie di cui all’art. 11 l. 16.3.2006 n. 146 – e neppure per il tramite dell’art. 640 quater Cp, dovendosi risolvere il concorso tra frode fiscale e truffa aggravata ai danni dello Stato nel senso della “consunzione” della seconda nella prima, e non viceversa27.

Il vuoto di effettività è stato colmato dall’art. 1 co. 143 l. 24.12.2007 n. 244 (legge finanziaria 2008), che – in relazione ai delitti di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11 d. lgs. 10.3.2000 n. 74 – rinviava, in quanto applicabili, alle disposizioni di cui all’art. 322 ter Cp, fattispecie relativa ai reati contro la P.A. e oggetto di accese dispute interpretative in ragione della previsione differenziata, tra co. 1 e co. 2, della confisca per equivalente, rispettivamente, del solo prezzo e del solo profitto28.

La nuova norma presentava un aspetto critico: il carattere generico del rinvio – senza alcuna indicazione del preciso segmento normativo dell’art. 322 ter al quale dovesse intendersi riferito – aveva suscitato non pochi problemi ermeneutici circa il parametro di commisurazione dell’equivalenza in materia di reati tributari (il prezzo, il profitto, o entrambi?)29. Al tempo stesso, però, la neo-introdotta fattispecie aveva il pregio di estendere la portata applicativa dello strumento ablatorio oltre i rari casi (pacificamente riconducibili alla fattispecie generale di cui all’art. 240 Cp) in cui si potesse accertare la stretta pertinenzialità tra un concreto afflusso di denaro nel patrimonio del reo e l’evasione dell’imposta30.

In conseguenza dell’espressa previsione normativa, per di più, i reati fiscali risultavano attratti nell’alveo applicativo dell’art. 321 co. 2 Cpp, con la conseguenza che il p.m. poteva chiedere al G.i.p. di disporre il sequestro preventivo per equivalente, anche parametrando la portata della cautela reale alle presunzioni legali previste dalle norme tributarie (comunque non idonee – lo ricordiamo – a fondare l’ipotesi accusatoria nell’ambito del procedimento penale, stante l’autonomia di quest’ultimo dal procedimento tributario)31.

Oggi, per effetto del recentissimo d. lgs. 24.9.2015 n. 158, l’originaria norma è abrogata e sostituita dal nuovo art. 12 bis d. lgs. 74/2000, che estende a tutti i reati tributari previsti dal decreto la confisca obbligatoria e per equivalente del profitto e del prezzo, precisando, tuttavia, che quest’ultima «non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario, anche in presenza di sequestro», con l’ulteriore avvertenza che, invece, «nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta».

27 Sul tema, A. Noceti – M. Piersimoni, Confisca e altre misure ablatorie patrimoniali, Torino 2011, 127 ss. 28 Per approfondimenti sulla fattispecie di cui all’art. 322 ter Cp, M. Pelissero, sub art. 3 l. 29.9.2000 n.300, in LP 2001, 991 ss. Si deve precisare, però, che il dibattito è ormai sopito, dacché l’art. 1 co. 75 lett. o l. 6.11.2012 n. 190 ha aggiunto il riferimento al profitto a chiusura del controverso 322 ter co. 1 Cp. 29 Si avverte, comunque, che è piuttosto raro rinvenire un prezzo confiscabile in materia di reati tributari: tale potrebbe essere, ad es., la retribuzione corrisposta all’emittente di fatture false o al soggetto che ha occultato o distrutto le scritture contabili. 30 Rimanevano escluse, comunque, le violazioni in materia di IRAP, non costituente imposta sui redditi in senso tecnico: Cass. 15.11.2011 n. 11147, in www.italgiure.giustizia.it. 31Cass. 21.5.2015 n. 26746, e Cass. 21.1.2016 n. 5733, entrambe in www.italgiure.giustizia.it.

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Passando, a questo punto, alla natura giuridica della fattispecie – posto che il regime obbligatorio basta ad escludere la ratio special-preventiva, e, dunque, la funzione di misura di sicurezza – si deve riconoscere che, in questo caso, non sembra potersi negare aprioristicamente una finalità restitutoria, consistente nel ripristino dell’ordine finanziario dello Stato leso dall’illecito tributario32.

Tuttavia, a ben vedere, un esito autenticamente ripristinatorio appare ravvisabile solo nelle ipotesi di confisca – si badi bene, diretta – delle somme oggetto di indebito rimborso, e cioè quando lo Stato riacquisti, per il tramite dell’intervento ablativo, ciò che prima deteneva e che, per effetto dell’illecito, gli è stato sottratto. Diversamente, nei casi – come si è detto, maggioritari – in cui l’ablazione riguardi i risparmi di spesa, poiché la modificazione in pejus del patrimonio del reo non consegue ad un’eguale diminuzione del patrimonio statale, ma solo ad un mancato incremento di quest’ultimo, il risultato dell’apprensione non consiste, propriamente, nel ripristino di uno status quo ante, bensì, piuttosto, nella realizzazione di uno stato conforme a diritto, in cui il reo, però, versa in una situazione patrimoniale deteriore rispetto a quella precedente.

Tenuto conto di queste considerazioni e di quelle già svolte in sede di ricognizione dei caratteri generali della confisca per equivalente (posto che necessariamente tale è l’ablazione dei risparmi di spesa), si deve propendere per la natura punitiva della fattispecie.

Ragionevole sembra, pertanto, il recente approdo della Suprema Corte a Sezioni Unite33, che ha definitivamente negato la confiscabilità per equivalente dei beni societari in conseguenza degli illeciti tributari commessi dagli amministratori nell’interesse della persona giuridica34, non rientrando i reati fiscali nel novero delle fattispecie di cui agli artt. 24 e ss. d. lgs. 8.6.2001 n. 231: una diversa conclusione, in effetti, risolvendosi innegabilmente in malam partem, sarebbe contraria al principio di legalità, prima ancora che a quello di colpevolezza.

4. Una riflessione sulla confisca in tema di reati tributari non può prescindere

dal considerare, sia pur sinteticamente, il profilo della sorte della misura ablativa in caso di estinzione del debito tributario, tanto più che, come già anticipato, l’attuale previsione di cui all’art.12 bis d.lgs. 74/2000 espressamente dispone – con una formulazione, a dire il vero, piuttosto anodina – l’ “inoperatività” della confisca “per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario, anche in presenza di

32 Cass. 24.9.2008, Canisto, cit. 33 Cass. S.U. 30.1.2014, Gubert, cit.; per la giurisprudenza anteriore, v. Orientamento di giurisprudenza- Rel. 30/13, cit. Il tema meriterebbe una trattazione ben più ampia. Non potendo svolgerla in questa sede, segnaliamo, per approfondimenti, taluni contributi, tutti reperibili in www.penalecontemporaneo.it: T. Trinchera, Confisca per equivalente di beni appartenenti alla società e reati tributari: la parola passa alle Sezioni Unite, 12.12.2013; Id., La sentenza delle Sezioni Unite in tema di confisca di beni societari e reati fiscali, 12.3.2014; L. Troyer – S. Cavallini, Reati tributari commessi dagli amministratori e confisca per equivalente dei beni societari: stop and go della giurisprudenza di legittimità, 19.3.2013. 34 Purché quest’ultima non rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni.

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sequestro”, ferma, comunque, l’obbligatorietà dell’intervento ablativo nei casi di mancato versamento.

In tale direzione, è opportuno prendere le mosse da una recente pronuncia resa della Suprema Corte35: in punto di fatto, si tratta di un ricorso per Cassazione, ex art. 325 Cpp, avverso l’ordinanza del 14.7.2015 con il cui Tribunale di Fermo, in sede di riesame ai sensi dell’art. 324 Cpp, aveva confermato – pur riducendone il valore – il sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente ex art. 1 co. 143 l. 244/2007, disposto dal G.i.p. per il reato di cui all’art. 10 bis d. lgs. 74/2000.

In particolare, oggetto di doglianza è il venir meno dei presupposti della confisca per equivalente – e, conseguentemente, del sequestro ad essa prodromico – in seguito all’intervenuta rateizzazione del debito erariale e al pagamento delle prime due rate: la ricorrente adduce, da una parte, che il carattere sanzionatorio della confisca per equivalente ne impedisce l’applicazione quando vi sia stato adempimento del debito tributario, anche nelle forme delle speciali procedure conciliative previste dall’ordinamento fiscale, rilevando queste ultime ai fini dell’art. 13 d. lgs. 74/2000; dall’altra, che la rateizzazione del debito di imposta comporta un effetto novativo del rapporto obbligatorio intercorrente tra contribuente e amministrazione finanziaria, rispetto al quale non sussistono più i presupposti della misura ablatoria.

La Corte dichiara il ricorso infondato, ritenendo, in primo luogo, che solo l’integrale pagamento del debito tributario – determinando il venir meno il profitto del reato, nella cui apprensione risiede la ratio giustificativa della confisca – escluda l’intervento ablativo, in nome della preminente necessità di scongiurare un’inammissibile duplicazione sanzionatoria. In secondo luogo, si osserva che, nonostante la rateizzazione determini la novazione dell’obbligazione tributaria, quest’ultima non può risultare rilevante agli effetti penali, essendosi irreversibilmente consumato un fatto pregno di disvalore e meritevole di sanzione. Infine, quanto alla nuova previsione di cui all’art. 12 bis d. lgs 74/2000 – sempre che se ne ammetta l’applicazione retroattiva – si reputa che la non operatività della confisca in caso di impegno ad adempiere il debito tributario, pur in presenza di sequestro, debba necessariamente intendersi non nel senso che la misura ‹‹non possa essere adottata, ma che la stessa non divenga, più semplicemente efficace, con riguardo alla parte “coperta” da tale impegno, salvo essere “disposta”, come recita il co. 2, allorquando l’impegno non venga rispettato e il versamento “promesso” non si verifichi››.

Di conseguenza, poiché, in presenza di un piano rateale di pagamento, la confisca continua ad essere consentita per gli importi non ancora corrisposti, deve ritenersi consentito anche il sequestro preventivo, che ha la funzione di garantire l’efficacia del provvedimento ablativo definitivo in vista di un eventuale inadempimento.

Merita osservare che la tesi dell’inammissibilità della confisca (e, dunque, del sequestro), in caso di totale estinzione del debito tributario era già affermata dalla

35 Cass. 14.1.2016 n. 5728, in www.italgiure.giustizia.it.

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giurisprudenza antecedente all’introduzione dell’art. 12 bis d. lgs. 74/200036, con la stessa motivazione proposta dalla sentenza in esame: in caso contrario, si incorrerebbe in un’inammissibile duplicazione sanzionatoria, venendo meno, con il pagamento, qualsiasi vantaggio derivante dal reato e, di conseguenza, la stessa ratio dello strumento ablatorio.

Nonostante la condivisibilità di tali conclusioni, le argomentazioni addotte sembrano, tuttavia, passibili di taluni rilievi critici.

Se si considera il fatto che, prima dell’intervento di riforma dell’art. 13 d. lgs. 74/2000 ad opera dell’art. 11 co. 1 d. lgs. 158/2015, l’adempimento del debito tributario non comportava in nessun caso l’estinzione del reato, valendo ad integrare, tutt’al più, una circostanza attenuante, non sembra corretto ritenere che venga meno la ragione giustificativa della confisca. Se come già anticipato, la confisca assume natura essenzialmente punitiva, essa persiste fino a quando permane la punibilità del fatto.

Un simile argomento può, semmai, risultare valido nei casi per i quali, oggi, il nuovo testo dell’art. 13 d. lgs. 74/2000 prevede che all’estinzione del debito tributario entro determinate fasi processuali – precisamente, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, per le ipotesi di omesso versamento, o prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza dell’accertamento, per le ipotesi di omessa o fraudolenta dichiarazione – consegua l’estinzione del reato37.

Inoltre, non pare che l’inapplicabilità della confisca per equivalente in caso d’integrale adempimento del debito tributario possa giustificarsi con l’esigenza di evitare la duplicazione del trattamento sanzionatorio: invero, manca, a monte, la sanzione che dovrebbe essere duplicata, dal momento che il prelievo fiscale non riveste – se considerato di per sé, senza gli interessi e le sanzioni amministrative – un carattere punitivo38.

In caso di integrale estinzione del debito tributario, il difetto di legittimità della confisca sembra, piuttosto, dipendere dalla carenza materiale del presupposto, per così dire, “naturalistico” della misura, ovvero, un profitto che si sia consolidato in capo al reo39; in maniera analoga, del resto, a quanto avviene nei casi in cui siano state eseguite le restituzioni in favore del danneggiato, anch’essi giustamente ritenuti – per principio generale40, quando non per espressa disposizione di legge – esenti da ablazione.

36 Particolarmente rilevante, in tal senso, Cass. 3.12.2012 n. 46726, in CorrTrib 2013, 591 ss, con nota di A. Iorio e S. Mecca. 37 Sull’impianto “premiale” della recente riforma, alla luce del quale dovrebbe leggersi anche la previsione dell’inoperatività della confisca, S. Cavallini, Osservazioni di “prima lettura” allo schema di decreto legislativo in materia penaltributaria, in www.penalecontemporaneo.it, 20.7.2015. 38 Cfr. M. Lanzi, La confisca diretta e di valore nei reati tributari: riflessioni e questioni aperte, in IP 2014, 177, il quale, però, adduce questa argomentazione per dimostrare come in materia di reati tributari si assista ad un “depotenziamento” del carattere sanzionatorio della confisca. 39 Tant’è vero che, come sottolinea G. Soana, Confisca per equivalente e sopravvenuto adempimento del debito tributario, in RTrimDTrib 2012, 551, nel caso dei reati tributari strutturati come fattispecie di pericolo (ad es., artt. 2, 8 e 11 d. lgs. 74/2000), in assenza di un profitto effettivamente conseguito non potrà aversi confisca per equivalente. 40 In particolare, Cass. 20.12.2006, Napolitano, in FI 2007 (II), 265 ss., astrae tale principio generale

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I nodi ermeneutici sembrano, peraltro, infittirsi quando, come nel caso in esame, il contribuente concordi con l’amministrazione finanziaria il pagamento rateale dell’imposta.

La giurisprudenza anteriore all’entrata in vigore dell’art. 12 bis d. lgs 74/2000 negava che – fino al pagamento dell’ultima rata – venissero definitivamente meno le condizioni legittimanti la confisca, ammettendo solo il dissequestro parziale, in proporzione agli importi già versati41.

La nuova norma sembra cristallizzare la predetta tendenza giurisprudenziale, in quanto, pur disponendo la provvisoria “inoperatività” della confisca in presenza di impegno a pagare il debito tributario (da intendersi, ragionevolmente, nel senso di un formale accordo tra contribuente e fisco), da una parte, la prevede come obbligatoria in caso di mancato versamento, dall’altra, lascia intendere – con la locuzione “anche in presenza di sequestro”– che quest’ultimo (funzionale ad evitare che «nelle more dell’adozione del definitivo provvedimento di confisca, i beni in ogni caso nella disponibilità dell’indagato possano essere definitivamente dispersi»42) possa legittimamente essere ordinato e permanere, fintantoché l’integrale estinzione del debito tributario non escluda definitivamente la possibilità di una futura confisca.

Non è chiaro, tuttavia, se la previsione dell’ “inoperatività” della confisca – con la clausola che sia “sempre disposta” quando il contribuente non abbia ottemperato – voglia significare che l’impegno non osta alla pronuncia del provvedimento ablativo da parte del giudice della cognizione, ma solo alla sua efficacia, o se, al contrario, si intenda escludere che il giudice della cognizione possa ordinare la misura definitiva, dovendo intervenire, in caso di inadempimento, il giudice dell’esecuzione (al quale, del resto, l’art. 676 Cpp riconosce il potere di disporre la confisca)43.

Lungi dal venire in aiuto all’interprete, la lettera della legge risulta contraddittoria e fuorviante: da una parte, infatti, il verbo “non opera” – almeno, stando alla sua normale portata semantica – sembra riferirsi al piano gli effetti della misura, ed induce a ritenere che il giudice, in sede di decisione, debba comunque ordinare la confisca per le somme non ancora versate, ma essa non abbia effetto fino alla scadenza del piano rateale, “ri-espandendosi”, invece, una volta che si sia consolidato l’inadempimento44; dall’altra, la previsione secondo cui, in caso di mancato versamento, la confisca è “disposta” – e non, ad es., semplicemente “applicata”, o “eseguita” – fa pensare che il provvedimento ablativo debba essere adottato dopo l’inadempimento, e, cioè, eventualmente, da parte del giudice dell’esecuzione.

Vero è che, comunque si intenda la norma, l’effetto concreto è il medesimo: in relazione alle somme coperte dall’impegno, non si procede a confisca; tuttavia,

dall’art. 19 d. lgs. 8.6.2001 n. 231, ritenendolo, in qualche modo già enunciato dall’art. 240 co. 3 Cp. 41 Cass. 19.6.2012 n. 33587, in www.italgiure.giustizia.it. 42 Cass. 29.3.2006, n. 24633, in GD 2006 (32), 90 ss. 43 Ragionevolmente, però, solo quella obbligatoria: v. G. Grasso, sub art. 240 in Commentario sistematico del Cp2, cit., 640. 44 Interessante la chiave di lettura di S. Finocchiaro, L’impegno a pagare il debito tributario e i suoi effetti su confisca e sequestro, in www.penalecontemporaneo.it, 14.12.2015, che parla di «confisca condizionalmente sospesa».

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l’adesione alla prima o alla seconda soluzione incide diversamente sull’efficacia del sequestro preventivo dopo l’accertamento. In particolare, poiché l’art. 323 co. 3 Cpp dispone che gli effetti del sequestro permangano quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate, se si propendesse per la prima alternativa, una volta disposta dal giudice della cognizione la confisca (per quanto “inoperativa” fino alla constatazione dell’inadempimento), le res continuerebbero ad essere sottoposte ad ablazione; in caso contrario, se la sussistenza di un impegno ostasse alla pronuncia del provvedimento di confisca fino alla definitiva inottemperanza, il sequestro preventivo, prevedibilmente, decadrebbe (salvo disporne la conversione in conservativo).

Quest’ultima soluzione sembra preferibile, in ragione della natura della cautela reale: in effetti, se, come insegna la giurisprudenza della Corte europea in tema di “materia penale”, si prendono in considerazione gli effetti reali della sanzione45, risulta che, a dispetto della labilità dei suoi presupposti probatori46, il sequestro ha un contenuto afflittivo esattamente coincidente – tranne che per la durata – con quello della confisca. L’istituto si rivela “viziato” da controversi profili di contrarietà al principio di colpevolezza, che, in materia di reati tributari – lungi dall’esser “sanati” dalla sussistenza di un interesse dello Stato all’effettività del prelievo fiscale (la confisca è ancora possibile, infatti, perché può ancora configurarsi l’inadempimento del contribuente) –, risultano più rilevanti che nelle altre fattispecie delittuose, data la possibilità che il reato si estingua semplicemente a seguito di adempimento del debito tributario.

Occorre, peraltro, osservare che, ammettendo che il sequestro “operi” anche quando “non opera” la confisca, fintantoché permangano dei margini di confiscabilità, di per sé la norma assicura lo stesso esito ablativo che millanta di escludere; se si adottasse l’opzione ermeneutica secondo cui la confisca dev’essere disposta solo in seguito all’inadempimento, si eviterebbe, almeno, il prolungarsi di un trattamento afflittivo in assenza di condanna.

In attesa di un intervento chiarificatore da parte del legislatore – che, auspicabilmente, miri a tutelare il credito dell’amministrazione finanziaria con garanzie, reali o personali, che non consistano in un’anticipazione della pena – in dubio sull’interpretazione della norma, pro reo.

45 Ex multis, C. eur., 9.2.1995, Welch c. Regno Unito. Per approfondimenti sulla nozione di “materia penale” nella giurisprudenza della Corte europea, V. Manes, sub art. 7 CEDU, in Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cura di S. Bartole, P. De Sena e V. Zagrebelsky, Padova 2012, 258 ss. 46 Meglio sarebbe, quantomeno, intendere il fumus commissi delicti come concreta fondatezza dell’accusa: sul punto, e, in generale, sul sequestro preventivo per equivalente, F.R. Dinacci, Le cautele per equivalente tra Costituzione, obblighi europei e positivismo giuridico, in La giustizia patrimoniale penale, a cura di A. Bargi, A. Cisterna e R. Alfonso, I, Torino 2011, 315 ss.