APPROCCI NEGLI SPOSTAMENTI PER LA STABILIZZAZIONE DI ... · Per studiare la stabilità del...
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POLITECNICO DI MILANO
Facoltà di Ingegneria Civile
Corso di Laurea Magistrale in
Ingegneria Civile
APPROCCI NEGLI SPOSTAMENTI PER LA
STABILIZZAZIONE DI PENDII CON SISTEMI
CORTICALI
Tesi di Laurea di:
Bego Anna 883310
Picchioni Silvia 863687
Anno Accademico 2017-2018
SOMMARIO
Bego Anna | Picchioni Silvia 1
SOMMARIO
In questo elaborato si studia la stabilità di un pendio ideale in materiale sciolto.
Per studiare la stabilità del versante, si utilizza il metodo dell’equilibrio limite, in
particolare col metodo dei conci di Bishop si ricerca il fattore di sicurezza
minimo, associato al meccanismo di collasso del pendio. Al tal fine si fa uso del
software Geoslope ed Excel. Il sistema viene perturbato idraulicamente e si studia
l’evoluzione di FS al variare della posizione della falda.
Attraverso l’impiego dei sistemi corticali passivi si cerca la soluzione migliore
per stabilizzare il versante e prevenirne il crollo. Si progetta un intervento prima
allo stato limite ultimo e poi con il del metodo ibrido, che tiene conto degli
spostamenti che attivano le forze stabilizzanti del sistema corticale.
L’equilibrio limite e il metodo ibrido non forniscono informazioni riguardo
l’evoluzione degli spostamenti del sistema, né sul tempo necessario affinché
l’intervento stabilizzante si possa attivare. Per questo motivo si valuta infine
l’efficienza dell’opera progettata con un metodo negli spostamenti, integrando
l’equazione del moto del sistema.
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SOMMARIO ..................................................................................... 1
Indice figure ...................................................................................... 7
1. Il problema della stabilità dei pendii: le frane...................... 11
1.1. Il fenomeno e i tipi di frane ................................................ 11
1.2. Dimensioni e velocità di una frana ..................................... 14
1.3. Il rischio .............................................................................. 16
1.3.1. Le misure di mitigazione del rischio ........................... 17
1.3.2. Le opere di stabilizzazione dei pendii ......................... 18
1.3.3. Misure di stabilizzazione strutturale ............................ 19
1.3.4. Le tipologie più diffuse di opere stabilizzanti ............. 20
2. L’analisi di stabilità dei pendii ............................................... 23
2.1. Il metodo dell’equilibrio limite per l’analisi di stabilità di un
pendio ............................................................................................ 24
2.1.1. Il metodo di Fellenius (1927) ...................................... 27
2.1.2. Il metodo di Bishop (1955) .......................................... 29
2.1.3. Il metodo di Janbu (1967) ............................................ 30
2.2. Progettazione: l’approccio per sottostrutture ..................... 31
2.2.1. L’equilibrio limite e lo stato limite ultimo .................. 33
2.2.2. I metodi ibridi .............................................................. 34
2.2.3. Metodo negli spostamenti ............................................ 36
3. I Sistemi Corticali .................................................................... 39
4. Esempio di calcolo ................................................................... 55
4.1. Introduzione ........................................................................ 55
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4.2. Descrizione del problema ................................................... 56
4.3. Analisi di stabilità all’equilibrio limite ............................... 57
4.3.1. Minimizzazione della superficie di rottura circolare ... 59
4.4 Metodo dell’equilibrio limite allo stato limite ultimo ............ 61
4.4.1. Ricerca della pressione stabilizzante ............................... 66
4.4.2. Risultati del progetto allo SLU ........................................ 80
4.5 Metodo ibrido .......................................................................... 82
4.5.1. Campo di spostamenti del terreno ................................... 83
4.5.2. Curva di interazione e curva caratteristica del sistema ... 89
4.5.3. Aumento del fattore di sicurezza ..................................... 92
4.5.4. Confronto tra le spaziature .............................................. 93
4.5.5. Fattore di sicurezza per le quattro superfici .................... 95
4.5.6. Andamento di FS della S176 al variare di Hw ................ 96
4.6. Progetto dell’intervento per i meccanismi locali ................... 99
5. Metodo negli spostamenti...................................................... 103
5.1. Modello rigido visco-plastico ........................................... 104
5.1.1. Calibrazione coefficiente di viscosità η ......................... 105
5.2. Integrazione alle differenze finite dell’equazione di moto .....
........................................................................................... 107
5.3. Risultati con spaziatura S=1.75 m .................................... 110
5.3.1. Profili di velocità e forze della rete ............................ 115
5.4. Risultati con Spaziatura S=1 m. ........................................ 117
5.5. Risultati con variazione della falda ................................... 121
5.5.1. Spaziatura 1,75 m ....................................................... 124
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5.5.2. Spaziatura 1 m ........................................................... 126
6. Conclusioni ............................................................................. 129
Bibliografia .................................................................................... 133
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Indice figure
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Indice figure
Figura 1.1 Frana a Tizzano, novembre 2018. ..................................................... 11
Figura 1.2 Crolli (Cruden & Varnes 1996). ....................................................... 12
Figura 1.3 Ribaltamenti (Cruden & Varnes 1996). ............................................ 12
Figura 1.4 Scivolamenti traslazionali e rotazionali (Cruden & Varnes 1996). .. 13
Figura 1.5 Espansioni laterali (Cruden & Varnes 1996). ................................... 13
Figura 1.6 Colate (Cruden & Varnes 1996). ...................................................... 14
Figura 1.7 Dimensioni dei movimenti di massa (da WP/WLI, 1993). .............. 15
Figura 1.8 Scala di intensità delle frane basata sulla velocità e sul danno prodotto
(da Cruden & Vernes, 1994, Australian Geomechanics Society,2002). ............ 16
Figura 1.9 Esempio di pali come opere di sostegno. .......................................... 21
Figura 2.1 (a) discretizzazione di un pendio in conci; (b) forze agenti sul concio
i-esimo. ............................................................................................................... 25
Figura 2.2: a.) identificazione del campo di velocità del pendio; b.) stima delle
azioni di sostegno; c.) scelta della tipologia di intervento; d.) dimensionamento e
verifiche dell’opera. (Politecnico di Milano, 2018). .......................................... 32
Figura 2.3 Rappresentazione schematica dello spostamento che attiva la forza.34
Figura 2.4 a) Esempi di curve caratteristiche e b) relazioni tra FS e ampiezza dello
spostamento. ....................................................................................................... 35
Figura 2.5 Descrizione schematica dei tra approcci progettuali. ....................... 37
Figura 3.1 I sistemi corticali. ............................................................................. 39
Figura 3.2 Sistemi Corticali. .............................................................................. 40
Figura 3.3 Rappresentazione schematica dei Sistemi Corticali. ........................ 41
Figura 3.4 Il ruolo della spaziatura tra i chiodi: (a) la piastra e (b) il blocco
tridimensionale potenzialmente instabile. .......................................................... 45
Figura 3.5 Il sistema di ancoraggio superficiale: (a) vista schematica, (b) forze
agenti sulla piastra, (c) pressione di confinamento addizionale garantita dalla rete.
............................................................................................................................ 46
Indice figure
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Figura 3.6 Geometria per il calcolo numerico. ................................................... 47
Figura 3.7 Funzione di forma del cedimento elastico attorno alla piastra: valori e
adattamento numerico di Foster and Azhlvin. .................................................... 49
Figura 3.8 Rappresentazione schematica di (a) rete metallica nella configurazione
indeformata, (b) rete metallica nella configurazione deformata, (c) molle elasto-
plastiche di contatto normale e (d) molle elasto-plastiche di contatto tangenziale.
............................................................................................................................ 51
Figura 3.9 Risposta meccanica della piastra. ...................................................... 52
Figura 3.10 Risposta meccanica del sistema per una sabbia densa, al crescere della
spaziatura. ........................................................................................................... 54
Figura 3.11 Risposta meccanica del sistema per una sabbia sciolta, al crescere
della spaziatura. .................................................................................................. 54
Figura 4.1 Profilo del pendio. ............................................................................. 57
Figura 4.2 Superficie di rottura circolare suddivisa in conci. ............................. 58
Figura 4.3 (a) Griglia dei CIR e dei raggi; (b) 294 superfici circolari di rottura.
............................................................................................................................ 60
Figura 4.4 Validazione numerica tra Excel e Geoslope. .................................... 61
Figura 4.5 (a) Variazione della superficie di falda; (b) andamento di FS al crescere
di Hw. ................................................................................................................. 62
Figura 4.6. Superfici critiche da Geoslope. ........................................................ 63
Figura 4.7 (a) Andamento di FS al crescere di Hw per le 4 superfici; (b) inviluppo
degli FS minimi. ................................................................................................. 65
Figura 4.8 Rappresentazione schematica delle forze agenti sul generico concio.
............................................................................................................................ 67
Figura 4.9 Profilo del pendio e linea neutra. ...................................................... 68
Figura 4.10 Applicazione uniforme della pressione stabilizzante lungo la
lunghezza effettiva. ............................................................................................. 69
Figura 4.11. Pressioni stabilizzanti per le quattro superfici................................ 70
Figura 4.12 Curve caratteristiche delle forze N .................................................. 73
Indice figure
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Figura 4.13 Curve caratteristiche delle pressioni ............................................... 74
Figura 4.14 (a) Ricostruzione della curva per spaziatura 1,75 m; (b) pressioni per
spaziatura 1,75 m. .............................................................................................. 76
Figura 4.15 Rappresentazione della distribuzione dei chiodi sul pendio. .......... 77
Figura 4.16 Rappresentazione dell’intervento dimensionato. ............................ 78
Figura 4.17 (a) Rappresentazione schematica della distanza massima tra la
superficie di scorrimento e il profilo del pendio; (b) rappresentazione di un tirante
formato da trefoli. ............................................................................................... 79
Figura 4.18 Andamento degli FS allo SLU. ....................................................... 80
Figura 4.19 Differenza tra il metodo allo stato limite ultimo e il metodo ibrido.
............................................................................................................................ 83
Figura 4.20 (a) Rotazione rigida del pendio; (b) campo di spostamenti lungo la
superficie del pendio .......................................................................................... 85
Figura 4.21 Spostamento che attiva la forza nel chiodo i-esimo. ...................... 86
Figura 4.22 (a) Andamento degli spostamenti Un per ogni chiodo; (b) andamento
di Un lungo il pendio, fissata l’ampiezza dello spostamento a 35 cm. .............. 88
Figura 4.23 (a) Curva di interazione chiodo-terreno; (b) confronto tra la curva
caratteristica del sistema e la famiglia di curve di interazione. .......................... 90
Figura 4.24 Fattore di sicurezza di S176. ........................................................... 92
Figura 4.25 (a) Fattore di sicurezza per le diverse spaziature; (b) spostamenti
necessari per ottenere FS=1,3. ........................................................................... 94
Figura 4.26 Fattore di sicurezza delle quattro superfici, per Hw=14m. ............. 96
Figura 4.27 Andamento di FS al variare della posizione della falda, per S176. 97
Figura 4.28 Andamento degli spostamenti necessari per ottenere FS=1,3. ....... 98
Figura 4.29 Andamento degli spostamenti necessari per avere FS=1,3 per tutti i
meccanismi critici. ............................................................................................. 99
Figura 4.30 Nuovo meccanismo critico oltre la lunghezza dell’intervento. .... 100
Figura 5.1 Confronto spostamenti con e senza intervento ............................... 103
Indice figure
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Figura 5.2 Composizione del campo di velocità all’istante iniziale per i 4
meccanismi critici. ............................................................................................ 108
Figura 5.3 Curva caratteristica scalata per la spaziatura 1,75 m dalla quale ottenere
le forze Q. ......................................................................................................... 111
Figura 5.4 Spostamenti verticali del ciglio del pendio per una spaziatura di 1,75
m. ...................................................................................................................... 112
Figura 5.5 Differenza tra due differenti passi di integrazione temporale. ........ 114
Figura 5.6 Andamento profili di velocità lungo il pendio negli anni. .............. 115
Figura 5.7 Andamento profili di pressione lungo il pendio negli anni. ............ 116
Figura5.8 Confronto curve Q per due differenti spaziature. ............................. 118
Figura 5.9 Confronto interventi con spaziature differenti. ............................... 119
Figura 5.10 Confronto profili velocità per le due diverse spaziature. .............. 120
Figura 5.11 Confronto andamento profili di pressione lungo il pendio negli anni
per le due differenti spaziature. ........................................................................ 121
Figura 5.12 Andamento della falda nel corso dei quattro anni. ........................ 122
Figura 5.13 Confronto spostamenti limite del pendio con falda costante e non nel
tempo. ............................................................................................................... 123
Figura 5.14 Spostamenti del pendio con S=1,75 m e variazione della falda. ... 124
Figura 5.15 Confronto forze dopo 4 anni con forzanti idrauliche differenti. ... 125
Figura 5.16 Confronto interventi con spaziature differenti facendo variare il
livello piezometrico. ......................................................................................... 126
Figura 5.17 Confronto medesimo intervento con falda variabile e costante. ... 127
Figura 5.18 Confronto forze dopo 4 anni con forzanti idrauliche differenti. ... 128
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
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1. Il problema della stabilità dei pendii: le
frane
Figura 1.1 Frana a Tizzano, novembre 2018.
1.1. Il fenomeno e i tipi di frane
In letteratura, una frana è definita come un “movimento di roccia, detrito e/o terra
lungo un versante, sotto l’influenza della gravità” (Varnes, 1958; Cruden, 1991,
Crozier, 1999).
Il termine frana comprende una vasta gamma di fenomeni e in natura esse si
manifestano in maniera molto diversa; negli anni sono state prodotte numerose
classificazioni, a partire da quella di Varnes (1978) successivamente rivista da
Carrara, D’Elia e Semenza (1987) e da Cruden e Varnes (1996). I fenomeni
franosi vengono distinti in base a due parametri fondamentali: 1) natura del
materiale coinvolto; 2) tipologia del movimento di massa.
Solitamente si classificano le frane in sette classi principali: crolli, ribaltamenti,
scorrimenti traslativi, scorrimenti rotazionali, espandimenti laterali, colate e
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
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frane complesse, queste ultime derivanti da più combinazioni di meccanismi di
movimento diversi. Le classi di movimento vengono poi ulteriormente suddivise
in base alla natura del materiale: roccia, terra, detrito.
Il crollo (fall) è un fenomeno che inizia con il distacco di materiale da un
pendio molto acclive. La massa distaccatasi si muove prevalentemente in aria,
fino all’impatto sul terreno con conseguenti rimbalzi e/o rotolamenti (Figura 1.2).
Figura 1.2 Crolli (Cruden & Varnes 1996).
Il ribaltamento (topple) è una rotazione in avanti, verso l'esterno del
versante, di una massa di terra o roccia, intorno ad un punto o un asse situato al
di sotto del centro di gravità della massa spostata; può evolvere in crollo (Figura
1.3).
Figura 1.3 Ribaltamenti (Cruden & Varnes 1996).
Gli scorrimenti o scivolamenti (slides) sono movimenti verso la base del
versante di una massa di terra, roccia o detrito, che avvengono in gran parte lungo
una superficie di rottura o entro una fascia, relativamente sottile, dove si
accumulano deformazioni di taglio. Possono essere traslativi o rotazionali, a
seconda della forma della superficie di rottura: gli scorrimenti traslativi si
verificano lungo una superficie più o meno piana, corrispondente frequentemente
a discontinuità strutturali, mentre gli scorrimenti rotazionali presentano una
superficie di rottura semicircolare con concavità rivolta verso l’alto (Figura 1.4).
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
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Figura 1.4 Scivolamenti traslazionali e rotazionali (Cruden & Varnes 1996).
Movimenti di espansione laterale (lateral spreads), comuni in pendii poco
scoscesi, sono spesso dovuti a fenomeni di liquefazione o deformazione plastica
del materiale sottostante Con liquefazione si intende il passaggio da
comportamento solido a liquido del materiale a causa solitamente di un aumento
delle pressioni interstiziali dell’acqua nei pori (Figura 1.5).
Figura 1.5 Espansioni laterali (Cruden & Varnes 1996).
Le colate (flows) sono frane dalla forma stretta ed allungata di terreno che
evolvono lungo un pendio a causa spesso della saturazione da parte di acqua
meteorica di materiali prevalentemente argillosi, originando al piede del versante
un accumulo dalla forma tipicamente lobata (Figura 1.6). Il movimento non è
limitato alla superficie di separazione tra massa in frana e materiale sottostante,
ma è distribuito anche nel corpo di frana stesso. Le colate sono movimenti del
versante che esibiscono, durante il loro moto, un comportamento simile a quello
dei fluidi viscosi a causa di deformazioni interne alla massa in movimento che
risultano predominanti rispetto ad eventuali scorrimenti lungo superfici di taglio:
il movimento varia da estremamente lento a estremamente rapido.
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
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Figura 1.6 Colate (Cruden & Varnes 1996).
1.2. Dimensioni e velocità di una frana
Le dimensioni e la velocità sono i principali parametri tramite i quali,
comunemente, si cerca di stimare l'intensità di un fenomeno franoso. Per definire
le dimensioni di un movimento franoso si adotta la terminologia raccomandata
dal WP/WLI nel 1993, come indicato in Figura 1.7.
1. Larghezza della massa spostata Wd: larghezza massima della “massa spostata”
misurata perpendicolarmente alla “lunghezza della massa spostata” Ld.
2. Larghezza della superficie di rottura Wr: larghezza massima fra i “fianchi”
della frana, misurata perpendicolarmente alla “lunghezza della superficie di
rottura” Lr.
3. Lunghezza totale L: distanza minima fra il “punto inferiore” della frana ed il
“coronamento”.
4. Lunghezza della massa spostata Ld: minima distanza fra il “punto sommitale”
ed il “punto inferiore”.
5. Lunghezza della superficie di rottura Lr: minima distanza fra l'“unghia della
superficie di rottura” ed il “coronamento”.
6. Profondità della massa spostata Dd: profondità massima della “superficie di
rottura” sotto la “superficie originaria del versante” misurata perpendicolarmente
al piano contenente Ld e Wd.
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
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7. Profondità della superficie di rottura D: profondità massima della “superficie
di rottura” sotto la “superficie del versante” misurata perpendicolarmente al piano
contenente Lr e Wr.
Figura 1.7 Dimensioni dei movimenti di massa (da WP/WLI, 1993).
In Figura 1.8 sono riportate le diverse velocità di spostamento delle frane,
correlate ai danni prodotti su persone e cose. Pur esistendo uno stretto legame tra
velocità e tipo di frana, dobbiamo essere consapevoli che un certo tipo di frana
può muoversi secondo un ampio intervallo di velocità, in virtù delle differenze di
inclinazione del versante, del contenuto in acqua del materiale trasportato e della
presenza di ostacoli quali la copertura boschiva.
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
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Figura 1.8 Scala di intensità delle frane basata sulla velocità e sul danno prodotto (da Cruden & Vernes,
1994, Australian Geomechanics Society,2002).
1.3. Il rischio
Nell’ambito delle frane si parla di Rischio, definibile come una misura della
probabilità di conseguenze sfavorevoli sulla salute, sulle proprietà e sulla società,
derivanti dall'esposizione ad un fenomeno pericoloso (Hazard) di un certo tipo e
di una certa intensità, in un certo lasso di tempo ed in una certa area (Smith, 2004).
Il rischio può essere espresso dalla formula qualitativa R = H V E.
- H (in inglese Hazard) è la pericolosità ovvero la “probabilità che un
fenomeno potenzialmente distruttivo si verifichi in un dato periodo di
tempo ed in una data area”; H è legato alla topografia dell’area, alla
geologia e non ha a che fare con le attività umane.
- V, la vulnerabilità, è una misura del danno provocato da un certo evento e
dunque tiene conto della presenza di strutture e attività umane; la
valutazione della vulnerabilità comporta la comprensione delle interazioni
tra il movimento franoso e l'elemento a rischio e deve essere valutata in
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
Bego Anna | Picchioni Silvia 17
modo differente al variare dei fenomeni pericolosi e per i diversi elementi
a rischio.
- L’esposizione E indica quanto un sistema è esposto e interessato
dall’accadimento di un fenomeno franoso; è legato ad esempio alla
posizione di un’area abitata rispetto a un pendio.
1.3.1. Le misure di mitigazione del rischio
Si può identificare una prima distinzione tra le misure adottabili riguardo le frane,
sulla base della definizione di Rischio.
Le opzioni disponibili per la riduzione del rischio da frana si possono raggruppare
in quattro gruppi fondamentali:
1) Misure indirizzate alla diminuzione della pericolosità (Paragrafo 1.3.2):
generalmente si tratta di soluzioni ingegneristiche, il cui obiettivo è diminuire la
frequenza e/o la grandezza dei fenomeni franosi.
2) Riduzione della vulnerabilità, ovvero consolidamento dei beni a rischio e
realizzazione di opere di protezione per ridurre il coinvolgimento dell’elemento a
rischio.
3) Riduzione del numero di elementi a rischio, ovvero delocalizzazione dei beni
esposti in aree non interessate dal fenomeno pericoloso.
4) Aumento delle soglie di rischio accettabile, tramite la predisposizione di
sistemi di allerta, educazione ed informazione; le soglie di rischio consapevole
possono essere molto più elevate rispetto a quelle di rischio involontario.
Nel seguito ci concentreremo sulle misure di prevenzione atte a diminuire la
probabilità di accadimento del fenomeno. Tali interventi hanno il fine di
aumentare la stabilità di un versante e diminuire la velocità di spostamento.
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
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1.3.2. Le opere di stabilizzazione dei pendii
Come già accennato, questo tipo di interventi sono diretti a diminuire la
probabilità (Hazard) che un evento franoso si verifichi in una data area e in un
certo intervallo di tempo.
Gli interventi di prevenzione sono delle opere finalizzate a stabilizzare il sistema
aumentando il regime delle forze stabilizzanti o diminuendo quelle
instabilizzanti: nel primo caso si fa uso di idonee strutture in grado di generare
forze stabilizzanti per il volume del pendio potenzialmente instabile. Esistono
varie tipologie di opere atte a ridurre il rischio di collasso di un pendio. Esse sono
utilizzate non solo per prevenire la frana, aumentando la stabilità del sistema, ma
anche per ridurre gli spostamenti del pendio in meccanismi viscosi o anche in
presenza di azioni sismiche. In base al principio di funzionamento, le misure di
prevenzione si distinguono principalmente in due macro categorie:
- Opere di stabilizzazione idraulica: il loro funzionamento si basa
principalmente sulla modifica del regime delle pressioni dell’acqua nel
dominio instabile;
- Opere di stabilizzazione strutturale: esse conferiscono forze stabilizzanti
al dominio instabile (vedi il paragrafo 1.3.3).
Esistono altri approcci per aumentare la stabilità di un versante e prevenire una
frana: ad esempio è possibile modificare il regime di forze instabilizzanti, prima
tra tutte il peso, modificando la geometria e il profilo del pendio, tramite
rimodellatura e riprofilatura (Geometrical stabilizing measures). In alternativa è
utile cambiare le proprietà meccaniche del terreno, aumentandone le
caratteristiche prestazionali tramite interventi di consolidamento (Consolidation
measures o Retrofitting). Si può parlare anche di misure ibride, come ad esempio
l’impiego della vegetazione, che ha allo stesso tempo ruolo di stabilizzazione
strutturale e idraulica.
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
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1.3.3. Misure di stabilizzazione strutturale
Lo scopo di questo tipo di interventi è applicare un sistema di forze aggiuntive al
dominio instabile e a tal fine le strutture stabilizzanti vengono inserite nel terreno
come inclusioni oppure vengono realizzati dei rilevati. In altre parole, l’opera
strutturale viene sostituita da una forza che essa trasmette al volume instabile.
Tipicamente si possono distinguere 3 zone di azione: una finalizzata a trasmettere
sforzi al terreno instabile, una che trasmetta gli sforzi al di fuori della zona
potenzialmente instabile e che ancori la struttura al terreno stabile e infine una che
leghi le due zone precedenti.
La procedura generale per l’analisi di stabilità in presenza di strutture di sostegno
può essere brevemente riassunta in questi passaggi:
- Definizione del campo di spostamenti all’interno del pendio.
- Posizionamento delle strutture stabilizzanti all’interno del pendio.
- Stima delle forze agenti (solitamente corrispondono al peso W della massa
di terreno), della resistenza a taglio lungo la superficie di rottura
individuata, e le forze stabilizzanti trasmesse al pendio.
- Progetto strutturale e verifiche di sicurezza.
Gli interventi stabilizzanti possono essere progettati per lavorare come sistemi
attivi o passivi e la distinzione si basa su come la forza stabilizzante A viene
attivata.
Se l’azione A non dipende dal campo di spostamenti del terreno e, ad esempio,
l’opera è sottoposta a pre-tiro, il sistema lavora in modo ‘attivo’; se al contrario
l’azione A dipende dall’evoluzione degli spostamenti e con essi è attivata,
l’intervento si considera ‘passivo’. Ovviamente è possibile combinare i due modi
di lavoro dell’opera.
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
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1.3.4. Le tipologie più diffuse di opere stabilizzanti
Vengono qui di seguito brevemente descritte le strutture più utilizzate in questo
ambito.
Muri ancorati
Hanno lo scopo di prevenire lo smottamento di pendii naturali ripidi o di
assicurare la stabilità di pendii artificiali sagomati. La struttura può essere
considerata rigida rispetto al terreno circostante e si ha così un problema di
interazione superficiale tra struttura e terreno. I muri sono generalmente ancorati
e l’ancoraggio è pre-tirato così che il sistema lavori in condizioni attive.
Pali e tiranti
I pali sono opere strutturali deformabili utilizzati per la stabilizzazione di pendii.
La loro deformabilità dipende dall’elevato rapporto L/D, in cui L è la lunghezza
del palo e D il suo diametro.
A seconda dell’intervento da attuare e delle condizioni al contorno, i pali possono
essere infissi, trivellati, prefabbricati o gettati in opera.
Possono essere utilizzati sia per la stabilizzazione di meccanismi di collasso
rotazionali, sia traslazionali e la loro giacitura risulta tendenzialmente verticale.
L’utilizzo di un singolo palo non è sensato e per questo in letteratura si parla più
frequentemente di gruppi di pali secondo file (palificata) ed eventualmente su più
ordini.
Solitamente i pali vengono ancorati alla zona di terreno stabile, tramite dei tiranti.
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
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Figura 1.9 Esempio di pali come opere di sostegno.
Pozzi drenanti
Gli interventi di drenaggio sono opere atte a raccogliere e allontanare sia le acque
superficiali che quelle profonde, in modo da impedire il formarsi di elevate
pressioni interstiziali, tra le principali cause di collasso di pendii e scarpate. Lo
scopo dei dreni è quindi quello di modificare il regime delle pressioni dell'acqua,
diminuendo le sottospinte e le forze di filtrazione. Se però l’opera drenante ha
dimensioni considerevoli ed è costruita con materiali strutturali come il
calcestruzzo, il suo funzionamento è anche strutturale oltre che idraulico, come
nel caso dei pozzi drenanti. L’intervento consiste nella realizzazione di file di
pozzi di diametro generalmente compreso fra 1 e 2m. Le acque di drenaggio
vengono smaltite per gravità, realizzando i collettori di fondo.
Sistemi corticali di chiodature
Sono sistemi superficiali e flessibili, composti da una rete che ricopre il pendio e
da chiodature inserite nel terreno, fino ad ancorarsi alla parte stabile del terreno.
I chiodi sono fissati in superficie e alla rete tramite una piastra di piccole
dimensioni. Essi funzionano come veri e propri tiranti e hanno anche un ruolo di
‘cucire’ la massa instabile al terreno stabile.
I sistemi corticali sono l’oggetto di studio di questo elaborato e verranno
esaustivamente descritti nel capitolo 4.
Il problema della stabilità dei pendii: le frane
22 Bego Anna | Picchioni Silvia
L’analisi di stabilità dei pendii
Bego Anna | Picchioni Silvia 23
2. L’analisi di stabilità dei pendii
La stabilità dei pendii è un problema di notevole complessità poiché dipende da
numerose variabili: la geometria, la morfologia e la stratigrafia dell’area, i
materiali coinvolti, la posizione della falda acquifera e altro.
La risoluzione di un problema di stabilità richiede la presa in conto delle equazioni
di campo cioè di equilibrio di legame costitutivo del materiale che descrivono il
comportamento del terreno. Tali equazioni risultano particolarmente complesse
in quanto i terreni sono dei sistemi multifase, che possono essere ricondotti a
sistemi monofase solo in condizioni di terreno secco o di analisi in condizioni non
drenate.
Inoltre è praticamente impossibile definire una legge costitutiva di validità
generale, in quanto i terreni presentano un comportamento non-lineare già a
piccole deformazioni e per questo le equazioni devono essere scritte in forma
incrementale. Inoltre i terreni hanno comportamento anisotropo, il che complica
ulteriormente la risoluzione del problema.
Gli approcci numerici, come l’analisi agli elementi finiti, permetterebbero di
studiare il problema nella sua complessità. Essi però richiedono una conoscenza
profonda della modellazione e risultano onerosi dal punto di vista
computazionale; per questo un programma 3D come ad esempio un codice FEM
può essere più consono in una fase di verifica del problema, ma non allo scopo di
progettare.
A causa di tali difficoltà vengono introdotte alcune ipotesi semplificative al fine
di risolvere il problema della stabilità dei pendii.
L’analisi di stabilità dei pendii
24 Bego Anna | Picchioni Silvia
2.1. Il metodo dell’equilibrio limite per l’analisi di
stabilità di un pendio
I metodi di analisi della stabilità dei pendii più diffusi ed utilizzati nella pratica
professionale sono metodi all’equilibrio limite, che ipotizzano per il terreno un
comportamento rigido – perfettamente plastico. Si immagina cioè che il terreno
non si deformi fino al raggiungimento della condizione ultima, e che, in
condizioni di rottura, la resistenza al taglio si mantenga costante lungo la
superficie di rottura e indipendente dalle deformazioni accumulate. Da tale
ipotesi, fortemente semplificativa, consegue che:
- La rottura si manifesta lungo una superficie netta di separazione tra la
massa ad incipiente collasso e il terreno stabile;
- La massa in frana è un blocco rigido e il campo di spostamenti all’interno
del dominio di rottura può quindi essere descritto da un atto di moto rigido;
- La resistenza mobilitata lungo la superficie di scorrimento in condizioni
di equilibrio limite è costante nel tempo, indipendente dalle deformazioni,
e ovunque pari alla resistenza al taglio F;
Non è possibile determinare né le deformazioni precedenti la rottura, né l’entità
dei movimenti del blocco, né la velocità del fenomeno. Infatti il limite fisico della
formulazione dell’equilibrio limite è il fatto che non considera la relazione
costitutiva sforzi-deformazioni per assicurare la congruenza degli spostamenti. Il
problema della stabilità di un pendio è per sua natura intrinsecamente iperstatico.
Ulteriori ipotesi semplificative, diverse da un metodo all’altro, sono necessarie
allora per rendere il problema staticamente determinato. L’analisi fornisce come
risultati la superficie di scorrimento critica, superficie per la quale il rapporto fra
resistenza disponibile e resistenza mobilitata assume il valore minimo, e il
coefficiente di sicurezza FS, che può assumere il significato di rapporto fra
resistenza disponibile e resistenza mobilitata. Ne consegue che, a parità di
L’analisi di stabilità dei pendii
Bego Anna | Picchioni Silvia 25
geometria e di caratteristiche fisico-meccaniche del terreno, il risultato
dell’analisi non è unico ma dipende dal metodo adottato, in conseguenza alle
ipotesi che tale metodo assume.
Nel caso in cui la geometria del pendio sia complessa, il terreno sia stratificato,
sia presente una falda, si considerino le condizioni drenate, un metodo
all’equilibrio limite di largo impiego è il metodo dei conci, che prevede di
dividere il dominio in conci a facce verticali, mettendo in evidenza le azioni
iperstatiche (Figura 2.1).
Figura 2.1 (a) discretizzazione di un pendio in conci; (b) forze agenti sul concio i-esimo.
Il numero di queste ultime è funzione del numero n dei conci in cui si decide
arbitrariamente di scomporre la geometria ed è inversamente proporzionale allo
spessore ∆x del concio i-esimo. Normalmente si tende a suddividere la geometria
in conci di uguale larghezza.
Anche le linee che definiscono le frontiere superiore e inferiore del dominio a
rottura sono discretizzate mediante delle spezzate, cosicché alla base di ciascun
concio agiscono le forze (tutte per unità di profondità) risultanti Ti, N’i e Ui ed è
possibile calcolare facilmente il peso del singolo concio Wi.
Le incognite sono:
• il coefficiente di sicurezza FS che è assunto costante lungo tutta la frontiera del
dominio [1]
L’analisi di stabilità dei pendii
26 Bego Anna | Picchioni Silvia
• Ti [n], N’i [n], ai [n] (essendo ai la variabile che definisce il punto di applicazione
della forza N’i normale alla base),
• Hi [n-1], Vi [n-1] e hi [n-1] (che definiscono i punti di applicazione delle forze
Hi)
Il numero di incognite totali è 6n-2.
Per quanto riguarda invece il numero di equazioni a disposizione, abbiamo 3n
equazioni di equilibrio (equilibrio in direzione verticale, in orizzontale ed
equilibrio alla rotazione) ed n equazioni che descrivono il legame costitutivo a
rottura lungo la frontiera del meccanismo, per un totale di 4n equazioni.
Ne risulta un problema con un numero di iperstatiche pari a 2n-2.
Non avendo a disposizione le equazioni di congruenza né tanto meno il legame
costitutivo all’interno del dominio è necessario quindi introdurre delle ipotesi
semplificative che ci permettano o di ridurre il numero di incognite o di
disaccoppiare il sistema. Seguendo questa logica, negli ultimi 50 anni, sono stati
introdotti vari metodi approssimati, tra questi, qui di seguito sono citati alcuni tra
i più noti e più utilizzati.
Un’ipotesi comune a molti metodi (ma non a tutti), fra cui quello degli autori
Fellenius (1927) e Bishop (1955) descritti nei paragrafi successivi ( 2.1.1 e 2.1.2),
è l’ipotesi di superficie di scorrimento circolare, sufficientemente ben verificata
quando non vi siano condizioni stratigrafiche e geotecniche particolari.
Se si accetta tale ipotesi, il coefficiente di sicurezza risulta pari al rapporto fra
momento stabilizzante Ms e momento ribaltante Mr, rispetto al centro di
rotazione:
𝐹𝑆 = ∑ 𝑇𝑓𝑖
𝑛𝑖=1
∑ 𝑇𝑖𝑛𝑖=1
= 𝑀𝑆
𝑀𝑅
Nelle condizioni drenate, esplicitando le espressioni dei momenti si ha quindi:
L’analisi di stabilità dei pendii
Bego Anna | Picchioni Silvia 27
𝐹𝑆 =𝑀𝑆
𝑀𝑅=
∑ [𝑐′ · 𝛥𝑙𝑖 + 𝑁′𝑖𝑛𝑖=1 · tan 𝜑′𝑖]
∑ 𝑊𝑖𝑛𝑖=1 · sin 𝛼𝑖
c’ e ’ sono i parametri di resistenza meccanica del materiale, rispettivamente la
coesione e l’angolo di attrito; è l’angolo di inclinazione della base del concio
considerato.
La superficie cui è associato il minimo valore del coefficiente di sicurezza deve
essere determinata per tentativi, perché la circonferenza critica è determinata
quando se ne conoscano la posizione del centro ed il raggio.
Le variabili che definiscono il problema sono quindi 3: le coordinate del centro
della circonferenza x0 e y0 e il raggio R. Le coordinate vengono fatte variare,
fissato il raggio e viceversa. Al variare del raggio R, l’ampiezza del meccanismo
varia e così il coefficiente di sicurezza. Chiamiamo con FS0 il coefficiente di
sicurezza minimo al variare di R, una volta fissato il centro di istantanea rotazione
O. Analogamente facciamo ora variare la posizione del centro di istantanea
rotazione O nel piano. Si può quindi costruire sul piano una griglia di punti ai
quali associare un FS0. In questo modo è possibile costruire delle curve di livello
ad FS0 costante (curve isoFS) e trovare il valore di FS minimo.
Utilizzando griglie più fitte è possibile approssimare meglio il valore del
coefficiente di sicurezza minimo.
2.1.1. Il metodo di Fellenius (1927)
Si consideri come frontiera del meccanismo di rottura un arco di circonferenza.
Un’ipotesi comune a quasi tutti i metodi è che il punto di applicazione della N’i
di base coincida con la mezzeria del concio stesso:
𝑎𝑖 = 𝛥𝑥
2 cos 𝛼𝑖
L’analisi di stabilità dei pendii
28 Bego Anna | Picchioni Silvia
L’ipotesi distintiva di questo metodo è considerare nulle le forze che si scambiano
i conci fra loro sulle facce verticali, ovvero si impone in questo modo che l’i-
esimo concio sia staticamente isostatico, come accade nel caso di un pendio
infinitamente esteso. Si intuisce quindi che la soluzione di Fellenius si avvicina a
quella esatta per meccanismi di rottura con basso rapporto tra altezza media e
lunghezza del pendio, ovvero per frane superficiali.
Grazie alle precedenti semplificazioni vengono eliminate 4n-3 incognite e ne
rimangono 2n+1, numero inferiore alle 4n equazioni di equilibrio a disposizione.
Il metodo prevede dunque di scrivere l’equilibrio alla traslazione in direzione
normale alla base del singolo concio, per cui si ottiene:
𝑊𝑖 cos 𝛼𝑖 = 𝑁′𝑖 + 𝑈𝑖 + (𝑈𝑖,𝑑 − 𝑈𝑖,𝑠) sin 𝛼𝑖
Si scrive la legge di rottura alla Mohr-Coulomb alla base del singolo concio e
sostituendo l’espressione di N’ calcolata tramite l’equilibrio normale, si ottiene:
𝑇𝑖 = 𝑐′𝛥𝑥
𝐹𝑆 cos 𝛼𝑖+
𝑊𝑖 cos 𝛼𝑖 − 𝑈𝑖 − (𝑈𝑖,𝑑 − 𝑈𝑖,𝑠) sin 𝛼𝑖
𝐹𝑆 tan 𝜑′𝑖
Il coefficiente di sicurezza ha il compito di ridurre il valore delle componenti
resistenti più incerte, dunque la tangente dell’angolo di attrito e la coesione.
Successivamente si scrive l’equilibrio globale alla rotazione attorno al CIR:
𝑅 ∑ 𝑊𝑖
𝑛
𝑖=1
sin 𝛼𝑖 = 𝑅 ∑ 𝑇𝑖
𝑛
𝑖=1
=
= 𝑅 ∑𝑐′𝛥𝑥
𝐹𝑆 cos 𝛼𝑖
𝑛
𝑖=1
+ 𝑊𝑖 cos 𝛼𝑖 − 𝑈𝑖 − (𝑈𝑖,𝑑 − 𝑈𝑖,𝑠) sin 𝛼𝑖
𝐹𝑆 tan 𝜑′𝑖
L’analisi di stabilità dei pendii
Bego Anna | Picchioni Silvia 29
Da cui:
𝐹𝑆 = ∑
𝑐′𝛥𝑥cos 𝛼𝑖
+ (𝑊𝑖 cos 𝛼𝑖 − 𝑈𝑖 − (𝑈𝑖,𝑑 − 𝑈𝑖,𝑠) sin 𝛼𝑖) tan 𝜑′𝑖𝑛𝑖=1
∑ 𝑊𝑖𝑛𝑖=1 sin 𝛼𝑖
Si ottiene un’espressione esplicita di FS. Infine si procede con la ricerca del
minimo FS, come spiegato sopra.
L’espressione ricavata da Fellenius è semplice, ma fornisce risultati troppo
conservativi, soprattutto per superfici profonde.
2.1.2. Il metodo di Bishop (1955)
L’autore ipotizza nulle le forze di taglio Vi, facendo scendere il numero di
incognite a 4n-3. Inoltre, considerando che le forze laterali Hi siano orizzontali,
per disaccoppiare il problema Bishop sceglie di calcolare unicamente l’equilibrio
alla traslazione verticale del singolo concio:
𝑊𝑖 = 𝑁′𝑖 cos 𝛼𝑖 + 𝑈𝑖 cos 𝛼𝑖 − 𝑇𝑖 sin 𝛼𝑖
Sostituendo la legge di rottura alla Mohr-Coulomb:
𝑊𝑖 = 𝑁′𝑖 cos 𝛼𝑖 + 𝑈𝑖 cos 𝛼𝑖 − sin 𝛼𝑖 (𝑐′𝛥𝑥
𝐹𝑆 cos 𝛼𝑖+
𝑊𝑖 cos 𝛼𝑖 − 𝑈𝑖
𝐹𝑆 tan 𝜑′
𝑖)
Da cui si ricava l’espressione di N’, che dipende anche da FS, ragione per cui FS
andrà ricercato iterativamente:
L’analisi di stabilità dei pendii
30 Bego Anna | Picchioni Silvia
𝑁′𝑖 =𝑊𝑖 − 𝑈𝑖 cos 𝛼𝑖 −
𝑐′𝛥𝑥𝐹𝑆 cos 𝛼𝑖
cos 𝛼𝑖 − sin 𝛼𝑖
tan 𝜑′𝑖
𝐹𝑆
Imponendo l’equilibrio alla rotazione globale si ottiene:
𝐹𝑆 =
∑ (𝑊𝑖 − 𝑈𝑖 cos 𝛼𝑖 −
𝑐′𝛥𝑥𝐹𝑆 cos 𝛼𝑖
cos 𝛼𝑖 − sin 𝛼𝑖
tan 𝜑′𝑖
𝐹𝑆
tan 𝜑′𝑖
+𝑐′𝛥𝑥
cos 𝛼𝑖)𝑛
𝑖=1
∑ 𝑊𝑖𝑛𝑖=1 sin 𝛼𝑖
La ricerca di FS minimo richiederà un’ulteriore iterazione, oltre a quella
necessaria per ricavare il valore di FS, causata dalla non linearità della legge
costitutiva. Nonostante la doppia iterazione richiesta, il metodo di Bishop è quello
più adottato ed implementato.
2.1.3. Il metodo di Janbu (1967)
Janbu estese il metodo di Bishop a superfici di rottura di forma qualsiasi, ma
rimuovendo l’ipotesi di superficie di rottura circolare la minimizzazione del
coefficiente di sicurezza diventa molto complessa, infatti il braccio delle forze
non è più pari al raggio. Allora risulta più conveniente ricavare l’equazione del
momento rispetto allo spigolo di ogni concio.
Un’ulteriore incognita è la forza di taglio V sulla superficie laterale a monte del
blocco. Il numero totale di incognite sale quindi a 6n-1. Si aggiunge l’ipotesi
riguardante il punto di applicazione delle N’i ed n-1 ipotesi che definiscono la
posizione delle forze Hi. Risultano infine 4n incognite, pari al numero di
equazioni linearmente indipendenti a disposizione.
Se si ipotizza che le forze V siano nulle, si ottiene una versione simile al metodo
di Bishop. Si ricava l’espressione di FS:
L’analisi di stabilità dei pendii
Bego Anna | Picchioni Silvia 31
𝐹𝑆 =
∑ [(𝛥𝑊 − 𝑢𝛥𝑏) tan 𝜑′𝑖
+ 𝑐′𝛥𝑏]𝑠𝑒𝑐2𝛼
1 +1
𝐹𝑆 tan 𝛼 tan 𝜑′
𝑛𝑖=1
∑ 𝛥𝑊 tan 𝛼𝑛𝑖=1
2.2. Progettazione: l’approccio per sottostrutture
Il progetto di strutture stabilizzanti rimane uno dei problemi ostici per gli
ingegneri, poiché dipende da numerosi fattori quali: la geometria del sistema, il
tipo e l’entità delle forze agenti, le proprietà meccaniche dei materiali coinvolti, i
vincoli strutturali, l’entità e la forma del campo di spostamenti nel dominio. In
presenza di strutture stabilizzanti come pali o dreni, si aggiunge anche il problema
di interazione tra terreno e struttura e l’analisi di stabilità si complica.
È possibile trattare una così ampia gamma di variabili per mezzo di codici
numerici 3D quali codici FE o FD. Tuttavia queste analisi possono rivelarsi
dispendiose in termini di tempo ed occorre un’esperta conoscenza della
modellazione in questo campo.
Dunque, nella pratica ci si avvale di procedure di ottimizzazione per il progetto
di sistemi di stabilizzazione dei pendii, basandosi sul confronto tra varie soluzioni
progettuali.
Un approccio molto amato dagli ingegneri geotecnici, che si trovano a dover
affrontare problemi dove l’eterogeneità domina la risposta del sistema, è quello
di lavorare per sottostrutture.
Questo significa considerare da un lato la sottostruttura composta dall’opera
strutturale di stabilizzazione e dall’altro il terreno circostante. Ragionando in
questo modo, è anche possibile operare una distinzione all’interno della
sottostruttura terreno e definire un sottodominio (in generale di estensione finita)
L’analisi di stabilità dei pendii
32 Bego Anna | Picchioni Silvia
all’interno del quale è possibile individuare un campo di spostamenti variabile nel
tempo a causa di processi gravitativi in atto.
Una volta identificato il campo di velocità nel pendio si procede con la stima delle
azioni di sostegno necessarie. Segue la scelta della tipologia strutturale
dell’intervento. Il passo successivo consiste nel dimensionamento dell’intervento
ed infine la verifica dell’opera.
La procedura brevemente riassunta è descritta nella figura 2.2.
Figura 2.2: a.) identificazione del campo di velocità del pendio; b.) stima delle azioni di sostegno; c.) scelta
della tipologia di intervento; d.) dimensionamento e verifiche dell’opera. (Politecnico di Milano, 2018).
Nell’ambito della progettazione si possono adottare diversi approcci, senza
ricorrere alla più completa ma complessa analisi agli elementi finiti. Vengono di
seguito elencati tre approcci progettuali.
L’analisi di stabilità dei pendii
Bego Anna | Picchioni Silvia 33
2.2.1. L’equilibrio limite e lo stato limite ultimo
I metodi dell’equilibrio limite si riferiscono allo stato limite ultimo del sistema,
ovvero ne studiano la stabilità in condizioni di collasso.
Le azioni di sostegno, A, influenzano la stabilità, facendo aumentare FS, ma
quest’ultimo non dipende dal campo di spostamenti del pendio.
Nel caso dell’equilibrio limite si considera una superficie di rottura nota, che
chiameremo in questo elaborato F, e si esprime l’equilibrio della massa di terreno
instabile rispetto a questo particolare cinematismo.
L’equazione che governa il problema è:
𝐸𝑘𝐹 =
𝑅𝑘𝐹
𝐹𝑆+ 𝐴𝑘
𝐹
In cui E sono le azioni instabilizzanti, R le resistenze del terreno e A le azioni
stabilizzanti fornite dall’intervento. FS è il fattore di sicurezza globale del pendio.
Il pedice k indica che le quantità sono calcolate rispetto ai valori caratteristici dei
parametri, mentre l’apice F specifica che i termini si riferiscono alla particolare
superficie di scorrimento scelta.
Se si fa riferimento alle Norme Tecniche NTC, si passa dalle quantità
caratteristiche a quelle di progetto (indicate col pedice d che sta per ‘design’), per
mezzo di coefficienti parziali ottenuti da un’analisi semiprobabilistica. In tal caso
si perde il concetto di FS e l’equazione diventa:
𝐸𝑑𝐹 ≤ 𝑅𝑑
𝐹 + 𝐴𝑑𝐹
Impiegando l’equilibrio limite non è possibile valutare né l’entità dei movimenti
del blocco, né la velocità del fenomeno.
L’analisi di stabilità dei pendii
34 Bego Anna | Picchioni Silvia
2.2.2. I metodi ibridi
Il metodo ibrido rappresenta un’estensione del metodo dell’equilibrio limite;
quest’ultimo è un approccio troppo semplificato e non fornisce informazioni
riguardo gli spostamenti del pendio.
Nel caso dei metodi ibridi si introduce una generalizzazione della equazione:
𝐸𝑘𝐹 =
𝑅𝑘𝐹
𝐹𝑆+ 𝐴𝑘
𝐹
in cui forze di sostegno A sono scritte come funzione del campo scalare di
spostamenti del terreno: A(U).
Figura 2.3 Rappresentazione schematica dello spostamento che attiva la forza.
Un sistema stabilizzante attivo garantisce la stabilità per mezzo di una azione di
pre-tiro e non richiede spostamenti per essere attivato.
In un intervento passivo, al contrario, le azioni stabilizzanti A si attivano al
crescere degli spostamenti del terreno. La relazione esistente tra le forze offerte
L’analisi di stabilità dei pendii
Bego Anna | Picchioni Silvia 35
dal sistema stabilizzante e gli spostamenti del terreno è nota come “curva
caratteristica”, tipica di ogni sistema.
𝐴𝑘𝐹 = 𝐴𝑘
𝐹(𝑈)
𝐸𝑘𝐹 =
𝑅𝑘𝐹
𝐹𝑆+ 𝐴𝑘
𝐹(𝑈)
Il termine U è una quantità scalare che rappresenta l’ampiezza degli spostamenti
in un punto specifico di interesse appartenente alla massa di terreno instabile.
Questa è certamente una semplificazione, poiché nella realtà U è una quantità
vettoriale che dipende dal punto in esame.
La curva caratteristica è calcolata sotto l’ipotesi che la presenza della struttura
non modifichi il profilo degli spostamenti del terreno.
L’equazione 𝐸𝑘𝐹 =
𝑅𝑘𝐹
𝐹𝑆+ 𝐴𝑘
𝐹(𝑈) rappresenta una correlazione diretta tra gli
spostamenti del terreno e l’FS globale del pendio.
Dunque, fissato il meccanismo di rottura F, si ottiene il grafico di FS al crescere
di U. Ogni meccanismo dà origine a una curva diversa e si può così definire un
inviluppo di tali curve nel piano FS-U.
Figura 2.4 a) Esempi di curve caratteristiche e b) relazioni tra FS e ampiezza dello spostamento.
L’attivazione delle azioni A può però portare a una modifica del meccanismo di
collasso iniziale, cioè potrebbero insorgere nuovi meccanismi di rottura e dunque
è necessario verificare tutti i possibili cinematismi di collasso.
L’analisi di stabilità dei pendii
36 Bego Anna | Picchioni Silvia
Si noti che la curva caratteristica può presentare un comportamento “duttile”, con
crescita monotòna dell’azione stabilizzante fino al suo valore limite, oppure
“fragile”, con un marcato decremento dell’azione dopo un valore di picco. Il
comportamento “duttile” è tipico delle sabie sciolte o argille tenere, mentre quello
“fragile” è legato a argille dure o rocce deboli.
I metodi ibridi rappresentano un passo intermedio verso il più completo metodo
negli spostamenti.
2.2.3. Metodo negli spostamenti
Prima che si sviluppi la zona di localizzazione che dà origine alla frana, la massa
di terreno non può considerarsi un corpo rigido e quindi il profilo del campo di
spostamenti non può essere considerato uniforme. Diventa necessario studiare
l’interazione tra la struttura inserita nel terreno e il terreno stesso, i quali si
influenzano a vicenda. In questo caso occorre considerare l’equazione completa
del moto della massa instabile, e lo strumento a disposizione è ancora la curva
caratteristica, che lega le azioni stabilizzanti agli spostamenti del terreno.
Integrando l’equazione del moto si ottiene la completa evoluzione degli
spostamenti, così da poter anche verificare l’efficacia dell’intervento in termini di
riduzione degli spostamenti, oltre che dell’aumento del coefficiente di sicurezza
(Figura 2.5).
In particolare, in questo elaborato si studia la stabilità di un pendio partendo dal
metodo dell’equilibrio limite, si progetta un intervento prima allo SLU e poi
avvalendosi del metodo ibrido e infine si valuta l’efficienza del sistema progettato
con il metodo negli spostamenti.
L’analisi di stabilità dei pendii
Bego Anna | Picchioni Silvia 37
Figura 2.5 Descrizione schematica dei tra approcci progettuali.
L’analisi di stabilità dei pendii
38 Bego Anna | Picchioni Silvia
I Sistemi Corticali
Bego Anna | Picchioni Silvia 39
3. I Sistemi Corticali
Figura 3.1 I sistemi corticali.
In questa tesi si vuole analizzare la stabilità di un pendio in materiale sciolto reso
stabile tramite il metodo delle chiodature passive con rete corticale; di seguito si
spiega nel dettaglio il funzionamento di tale sistema.
Le chiodature sono delle inclusioni rettilinee a sezione prevalentemente circolare,
caratterizzate da un elevato valore di rigidezza e resistenza a trazione che
prevalentemente lavorano in condizioni passive.
Sono dei sistemi che si ancorano sia in superficie, per mezzo della rete e delle
piastre, sia in profondità attraverso i chiodi, legando così la zona superficiale e
quella profonda. I chiodi sono delle inclusioni snelle, il cui rapporto tra lunghezza
e diametro è molto elevato; tuttavia il loro comportamento viene assunto rigido e
non si considera lo scivolamento del terreno attorno.
Una chiodatura è formata da un’armatura metallica a sezione piena e da un
copriferro in calcestruzzo avente la doppia funzione di rivestimento per
I Sistemi Corticali
40 Bego Anna | Picchioni Silvia
l’armatura e di cementazione della stessa al materiale circostante. Il rivestimento
è in genere considerato necessario per aumentare la durabilità e limitare i danni
dovuti alla corrosione. L’effetto cementante è invece essenziale per migliorare i
meccanismi di interazione fra inclusione e terreno circostante.
In testa ad ogni chiodo sono presenti: le piastre metalliche, una rete che ricopre
l’intero sistema e un geo-rinforzo (Figura 3.2).
Figura 3.2 Sistemi Corticali.
I sistemi corticali sono superficiali e deformabili e presentano un comportamento
simile a una membrana. Le barre metalliche dei chiodi sono inserite nel terreno e
hanno la funzione meccanica di ancorare la rete allo strato profondo di terreno
stabile, sia esso di materiale sciolto o di roccia e agiscono quindi come una sorta
di cucitura tra due corpi rigidi che traslano uno rispetto all’altro.
Solitamente questi sistemi sono pensati per un funzionamento attivo, quindi alla
testa del chiodo viene applicata una forza di pre-tiro; essa conferisce un aumento
di sforzi normali sul piano di potenziale scivolamento, il che, per la legge di
rottura alla Mohr-Coulomb, causa un aumento dello sforzo di taglio resistente.
I Sistemi Corticali
Bego Anna | Picchioni Silvia 41
In presenza di ampi spostamenti del terreno, però, il sistema può funzionare come
un ancoraggio passivo, senza necessità di un pre-tiro. Per un meccanismo
prevalentemente traslazionale, per cui il campo di spostamenti è pressoché
uniforme, un sistema passivo di questo genere non è efficace perché i tiranti sono
inseriti perpendicolarmente al pendio e quindi servono spostamenti anch’essi
normali.
Il funzionamento dei sistemi corticali
Il sistema corticale si compone di varie parti:
- Le barre di ancoraggio in acciaio.
- La rete metallica che copre la superficie del pendio.
- Lo strato di geo-rinforzo che ha il ruolo di evitare lo sprofondamento della
rete nel terreno.
- La piastra metallica che tipicamente ha forma romboidale con un buco
circolare dove è agganciato il tirante del chiodo.
- Il bulbo di ancoraggio profondo, ottenuto da grouting.
- Le bio-griglie che permettono la crescita della vegetazione.
Figura 3.3 Rappresentazione schematica dei Sistemi Corticali.
I Sistemi Corticali
42 Bego Anna | Picchioni Silvia
Di seguito si spiega il funzionamento dei sistemi corticali, facendo riferimento
all’articolo di Claudio Giulio di Prisco, Fulvio Besseghini e Federico Pisanò
(Modelling of the mechanical interaction between anchored wire meshes and
granular soils, Geomechanics and Geoengineering, September 2010). Tutte le
analisi in questo articolo sono svolte considerando un pendio infinitamente esteso,
quindi con geometria monodimensionale. Il caso di studio di questa tesi tratterà
invece un pendio bidimensionale, con meccanismo rotazionale, e il contenuto
dell’articolo verrà adattato al caso analizzato.
L’effetto stabilizzante delle chiodature può essere analizzato per mezzo del già
descritto equilibrio limite, adottando le seguenti ipotesi semplificative:
- L’azione data dal pre-tiro non diminuisce nel tempo, cioè si trascurano gli
effetti viscosi.
- La piastra metallica è rigida.
- Le forze trasmesse dalle barre attraverso il terreno agiscono inalterate sul
piano di scorrimento.
- Per uno strato omogeneo inclinato, il fattore di sicurezza può essere
ricavato imponendo il classico bilancio dei momenti per un volume
elementare di pendio.
𝐹𝑆 =(𝑊 cos 𝛼 + �̅�) tan 𝜑′ + 𝑐′𝑆𝑥𝑆𝑦
𝑊 sin 𝛼
=tan 𝜑′
tan 𝛼+
�̅�
𝛾𝑆𝑥𝑆𝑦𝐻
tan 𝜑′
sin 𝛼+
𝑐′
𝛾𝐻 sin 𝛼
H è lo spessore dello strato potenzialmente instabile; è il peso specifico del
terreno; �̅� è la forza assiale agente nelle barre, che si assume perpendicolare alla
superficie; è l’inclinazione del pendio; ’ è l’angolo di attrito all’interfaccia.
Equazione 1
I Sistemi Corticali
Bego Anna | Picchioni Silvia 43
Come è immediato notare, FS può essere aumentato diminuendo la spaziatura tra
le barre o anche aumentando la forza del pre-tiro.
Infine Sx e Sy sono le spaziature tra le barre e giocano un ruolo fondamentale nel
progetto dell’intervento. Sono definite come mostrato in Figura 3.4.
Per valutare �̅� è necessario modellare i meccanismi di interazione tra le barre, la
piastra, la rete e il geotessile. L’obbiettivo di questa analisi è valutare �̅� in
funzione del cedimento della piastra v0. Come rappresentato in Figura 3.5, sulla
piastra agiscono tre forze: (i) �̅� agente nella barra, (ii) la risultante degli sforzi
normali che il terreno esercita sulla piastra, (iii) TN, la forza che la rete trasmette
alla piastra. Dunque scrivendo l’equazione di equilibrio alla rotazione per la
piastra si ottiene:
�̅�(𝑣0) = 𝑇𝑁(𝑣0) + 𝑁(𝑣0)
L’equilibrio in direzione verticale, in riferimento alla rete, consente invece di
ottenere 𝑇𝑁:
𝑇𝑁(𝑣0) = ∫ 𝑡(𝑙,.
𝑠𝜎
𝑣0) sin 𝛽 (𝑙, 𝑣0)𝑑𝑙 = ∫ ∫ 𝑝(𝑥, 𝑦, 𝑣0)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑆𝑦
0
𝑆𝑥
0
Dove t(l) è la forza di trazione per unità di lunghezza agente lungo il perimetro
della piastra, l è la coordinata curvilinea che descrive appunto il perimetro, (l) è
l’angolo di inclinazione della rete in prossimità della piastra e infine p(x,y) è la
pressione di confinamento che la rete trasmette direttamente al terreno lungo la
direzione verticale.
Il secondo termine della equazione 2, 𝑁(𝑣0), per chiarezza può essere distinto in
due contributi: uno legato alla capacità portante della piastra se non esistesse la
rete (N*), l’altro è un termine di accoppiamento tra la piastra e la rete, la quale
Equazione 2
Equazione 3
I Sistemi Corticali
44 Bego Anna | Picchioni Silvia
aumenta la capacità portante della piccola piastra e non permette lo sviluppo del
meccanismo di rottura di Prandtl (𝑁𝐶𝑂).
𝑁(𝑣0) = 𝑁∗(𝑣0) + 𝑁𝐶𝑂(𝑣0)
Vengono assunte delle ipotesi semplificative:
- La piastra è rigida e con resistenza infinita.
- La rete si comporta essenzialmente come una membrana.
- La geometria è assialsimmetrica pertanto sia la piastra che la rete si
assumono a geometria circolare e anche i vincoli sono simmetrici.
Il contributo della piastra
La curva di N*(v0) si ricava dalla relazione di Butterfield (1980) per una
fondazione superficiale su terreno sabbioso:
𝑁∗
𝑁𝑀∗ = 1 − 𝑒
(−𝑅0𝑣0𝑁𝑀
∗ )
Dove NM* è la capacità portante della fondazione e R0 è la rigidezza iniziale.
Questi sono notevolmente influenzati da alcuni fattori, tra cui le piccole
dimensioni della piastra e la distribuzione granulometrica del terreno sottostante,
dalle barre vincolate alla piastra e dai grandi spostamenti imposti alla piastra, che
possono far insorgere effetti del second’ordine.
Se R0 non è influenzato dalla presenza della rete, la capacità portante NM è
severamente influenzata dalla pressione che la rete esercita sul terreno, tanto da
poter scrivere NM come la somma di un contributo dato dalla capacità portante
della piastra in assenza di rete (𝑁𝑀∗ ) più un incremento dato dal confinamento
associato alla rete (∆𝑁𝑀), pari al valore massimo di NCO, termine di
accoppiamento:
Equazione 4
Equazione 5
I Sistemi Corticali
Bego Anna | Picchioni Silvia 45
𝑁𝑀 = 𝑁𝑀∗ + ∆𝑁𝑀
Figura 3.4 Il ruolo della spaziatura tra i chiodi: (a) la piastra e (b) il blocco tridimensionale potenzialmente
instabile.
Equazione 6
I Sistemi Corticali
46 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 3.5 Il sistema di ancoraggio superficiale: (a) vista schematica, (b) forze agenti sulla piastra, (c)
pressione di confinamento addizionale garantita dalla rete.
I Sistemi Corticali
Bego Anna | Picchioni Silvia 47
Il contributo della rete TN
La rete si comporta come una membrana bidimensionale, caratterizzata da alta
resistenza e rigidezza a trazione e da rigidezza flessionale trascurabile.
La rete ha un duplice effetto benefico: uno legato alla sua risposta membranale
che fa insorgere TN, l’altro associato agli sforzi normali che la rete trasmette al
terreno circostante, che generano il carico distribuito p(x, y, v0).
Sfruttando la geometria, si introducono due coordinate polari, una
circonferenziale, 𝜗, e l’altra radiale, r, come illustrato in Figura 3.6.
Figura 3.6 Geometria per il calcolo numerico.
Per ricavare p(r,, v0) e TN(v0) si assumono le seguenti ipotesi:
- La rete metallica e il geotessile sottostante vengono considerati come
un’unica membrana.
I Sistemi Corticali
48 Bego Anna | Picchioni Silvia
- L’interazione tra tale membrana fittizia e il terreno su cui poggia è
interpretata tramite delle molle, che per semplicità vengono considerate
solo verticali (figura 3.8c-d).
- Si assumono noti gli spostamenti del terreno in direzione r, per ogni
spostamento della piastra v0.
- La membrana che rappresenta la rete ha un coefficiente di Poisson nullo,
in modo che gli sforzi tangenziali in direzione siano trascurabili rispetto
a quelli lungo il raggio r. Ne consegue che ciascun settore radiale lavora
indipendente l’uno dall’altro e in parallelo. È possibile quindi descrivere
questi settori circolari per mezzo di un numero finito di elementi di trave
monodimensionali.
Dunque, si assume che la membrana sia composta da settori circolari che lavorano
in parallelo, rappresentati da elementi monodimensionali; le incognite del
problema sono lo spostamento verticale v(r) e quello orizzontale u(r). Vengono
invece imposte le componenti verticale e radiale dello spostamento del terreno,
rispettivamente v*(r) e u*(r). Per semplicità u*(r) si impone nulla, mentre per
v*(r) viene impiegata la soluzione elastica standard per un mezzo isotropo ed
omogeneo.
L’andamento dello spostamento verticale è stato anche ricavato per mezzo di
funzioni di forma, F[r/(P/2)] (Figura 3.7).
Nel segmento OS (Figura 3.8) v* vale v0; per r > F=2 l’andamento di v* è
calcolato tramite l’espressione di Foster and Azhlvin (1954, Poulos and Davis
1974), i quali però si riferiscono a una fondazione deformabile superficiale a base
circolare, su cui agisce una pressione verticale costante. I due autori forniscono il
fattore di inflessione normalizzato, ricavato lungo la profondità, per valori discreti
della coordinata r.
I Sistemi Corticali
Bego Anna | Picchioni Silvia 49
Figura 3.7 Funzione di forma del cedimento elastico attorno alla piastra: valori e adattamento numerico di
Foster and Azhlvin.
Il processo di carico è simulato numericamente imponendo nella zona OS una
traslazione rigida in direzione verticale, che equivale a scrivere il vincolo
cinematico �̇� = �̇�∗ = �̇�0, uguaglianza ottenuta imponendo che le molle nella zona
OS abbiano rigidezza assiale infinita.
Ogni molla è descritta dalla seguente relazione costitutiva:
[𝐹𝑉
𝐹𝐻] = [
𝑘𝑣 00 𝑘𝑢
] (𝑣 − 𝑣∗
−𝑢∗ − (𝑢−𝑢∗)𝑃𝐿)
FV e FH sono le forze verticale e radiale che le molle trasmettono alla rete nei nodi
(Figura 3.8 c), kv and ku sono rispettivamente le rigidezze elastiche verticale e
orizzontale e (u-u*)PL è lo spostamento relativo plastico in direzione orizzontale
dovuto alla presenza degli scivolatori orizzontali (Figura 3.8 d).
I Sistemi Corticali
50 Bego Anna | Picchioni Silvia
Il valore da attribuire a kv dipende dalla geometria della rete, ovvero dal diametro
dei fili di metallo e dall’angolo delle aperture romboidali della rete e anche dalla
presenza del geosintetico sottostante. Nell’articolo di Di Prisco, Besseghini e
Viganò viene presentato un esempio di calibrazione di kv. In direzione radiale
invece, le molle sono elasto-plastiche; gli scivolatori plastici sono in serie con le
molle tangenziali, come mostrato in Figura 3.8, e dunque si genera attrito per
scivolamento tra il terreno e il geotessile, fenomeno descritto dalla legge di rottura
alla Mohr-Coulomb.
Risolvendo numericamente il problema negli spostamenti appena descritto è
possibile ricavare p(r,v0) e TN(v0)
I Sistemi Corticali
Bego Anna | Picchioni Silvia 51
Figura 3.8 Rappresentazione schematica di (a) rete metallica nella configurazione indeformata, (b) rete
metallica nella configurazione deformata, (c) molle elasto-plastiche di contatto normale e (d) molle elasto-
plastiche di contatto tangenziale.
I Sistemi Corticali
52 Bego Anna | Picchioni Silvia
Validazione del modello
Una volta implementato il modello descritto, è possibile simulare la risposta della
rete a un test di punzonamento. Alla fine del test, la rete è snervata e penetra nel
terreno.
Per ogni settore circolare si può calcolare la tensione Tj, ad ogni step temporale,
durante la progressiva deformazione della rete. Tj viene proiettato in direzione
verticale e sommando tutti i contributi si ottiene il contributo globale dato dalla
rete, TN.
Ottenuto TN(v0) è possibile calcolare ∆𝑁𝑀, poi N(v0). Una volta note le funzioni
N(v0) e N*(v0), si calcola a posteriori il termine di accoppiamento NCO(v0).
In Figura 3.9 si riportano gli andamenti di queste tre funzioni.
Infine, sommando i due contributi N(v0) e TN(v0), è possibile ottenere la funzione
�̅�(𝑣0) = 𝑇𝑁(𝑣0) + 𝑁(𝑣0). Essa è la curva caratteristica del sistema e lega
l’azione che il sistema trasmette al terreno, al crescere dello spostamento v0
normale alla piastra.
Figura 3.9 Risposta meccanica della piastra.
I Sistemi Corticali
Bego Anna | Picchioni Silvia 53
Nelle tabelle che seguono vengono riportati i dati relativi alla rete, alle piastre e
ai terreni considerati nell’articolo.
Tabella 3.1 Parametri costitutivi calibrati per la rete metallica.
Tabella 3.2 Parametri costitutivi calibrati per la piastra e per lo strato di terreno in condizioni
sciolte.
Tabella 3.2 Parametri costitutivi calibrati per la piastra e per lo strato di terreno in condizioni
dense.
I Sistemi Corticali
54 Bego Anna | Picchioni Silvia
Analisi parametrica
Nell’articolo è stata inoltre studiata la dipendenza della riposta meccanica del
sistema sulla spaziatura tra le piastre, in particolare per una sabbia sciolta e una
sabbia densa. Per eseguire questa analisi vengono mantenuti inalterate le
caratteristiche della rete metallica, mentre i parametri della piastra del terreno
vengono variati.
I risultati vengono riportati in figura 3.11 nel caso della sabbia sciolta e in figura
3.10 nel caso della sabbia densa. Per entrambe le tipologie di sabbia, si nota che
diminuendo la spaziatura tra le piastre il comportamento meccanico diventa più
rigido.
Figura 3.11 Risposta meccanica del sistema per
una sabbia sciolta, al crescere della spaziatura.
Figura 3.10 Risposta meccanica del sistema per
una sabbia densa, al crescere della spaziatura.
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 55
4. Esempio di calcolo
4.1. Introduzione
In questo elaborato si propone l’analisi di stabilità di un pendio in materiale
sciolto.
A causa dell’instabilità del sistema si utilizzano i sistemi corticali come opera di
stabilizzazione. In particolare, si considera l’intervento in condizioni passive, con
lo scopo di sfruttare i soli spostamenti del terreno per attivare le forze necessarie
a rendere stabile il versante.
Si propone una progettazione dell’opera seguendo più approcci: inizialmente si
considera lo stato limite ultimo, cioè le condizioni di incipiente collasso del
pendio; a seguire si studia la stabilità con il metodo ibrido, considerando il
cinematismo e il campo di spostamenti del terreno. L’equilibrio limite e
l’approccio ibrido, però, non consentono di ottenere informazioni riguardo
l’evoluzione e l’entità degli spostamenti del pendio. Per questo motivo, volendo
valutare l’efficienza del sistema progettato si adotta il metodo negli spostamenti:
si esegue un’analisi evolutiva degli spostamenti del pendio, integrando alle
differenze finite l’equazione del moto. In questo modo si può comprendere se il
sistema corticale progettato sia in grado di rallentare le velocità del terreno e si ha
una stima del tempo necessario affinché le azioni stabilizzanti si attivino.
Esempio di calcolo
56 Bego Anna | Picchioni Silvia
4.2. Descrizione del problema
Consideriamo una scarpata di altezza H=14m, lunghezza L=14m, con una
pendenza di 45° sull’orizzontale (Tabella 4.1).
Il pendio è composto da sabbia densa, le cui caratteristiche fisiche e meccaniche
sono riassunte in Tabella 4.2.
Si considera uno strato superficiale di spessore verticale di 1 m che presenta una
coesione c’=7 kPa, che permette di riproporre la situazione realistica di una
porzione di terreno superficiale in condizioni di parziale saturazione e in presenza
delle radici della vegetazione superficiale. Da un punto di vista meccanico la
presenza di una coesione, seppur di piccola entità, evita la formazione di
irrealistici meccanismi di rottura molto superficiali.
Nello studio della stabilità del sistema si considerano le condizioni drenate,
trattandosi di un materiale sabbioso, oltretutto analizzato in condizioni di lungo
termine.
Geometria del Pendio
H [m] L [m] α [°]
14 14 45 Tabella 4.1 Dati della geometria del pendio
Proprietà del terreno
ϒsat [kN/m3] c' [kPa] φ[°] ϒw [kN/m3]
Strato 1 19 0 40 9,807
Strato 2 19 7 40 9,807
Tabella 4.2 Dati delle proprietà del terreno
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 57
Figura 4.1 Profilo del pendio.
4.3. Analisi di stabilità all’equilibrio limite
Per studiare la stabilità del pendio si considera il metodo dell’equilibrio limite, in
particolare si assume una superficie di rottura circolare e si adotta la soluzione
proposta da Bishop, come trattato nel capitolo 2. Il calcolo viene effettuato
utilizzando il software SLOPE/W e il foglio di calcolo Excel.
Esempio di calcolo
58 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 4.2 Superficie di rottura circolare suddivisa in conci.
Il volume del pendio viene suddiviso in conci di uguale larghezza. Secondo il
metodo, si scrivono le equazioni di equilibrio del singolo concio in direzione
verticale; lungo la superficie di scorrimento si assume il criterio di rottura di
Mohr-Coulomb; si scrivono le equazioni di equilibrio alla rotazione globale del
sistema attorno al centro della circonferenza di rottura. Si ottiene un’espressione
implicita del fattore di sicurezza, che va ricercato quindi con un processo iterativo.
𝐹𝑆 =
∑ (𝑊𝑖 − 𝑈𝑖 cos 𝛼𝑖 −
𝑐′𝛥𝑥𝐹𝑆 cos 𝛼𝑖
cos 𝛼𝑖 − sin 𝛼𝑖tan 𝜑′
𝑖
𝐹𝑆
tan 𝜑′𝑖
+𝑐′𝛥𝑥
cos 𝛼𝑖)𝑛
𝑖=1
∑ 𝑊𝑖𝑛𝑖=1 sin 𝛼𝑖
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 59
4.3.1. Minimizzazione della superficie di rottura circolare
La determinazione della posizione della superficie critica di rottura col minimo
fattore di sicurezza rimane una delle questioni chiave nelle analisi di stabilità.
Come è noto, la sua ricerca richiede una procedura iterativa, perché la
circonferenza critica è determinata quando se ne conoscano la posizione del
centro ed il raggio. Allora si definisce una possibile superficie e si calcola FS
associato. Questo procedimento è ripetuto per altre superfici, fissate le coordinate
del centro e cambiando il raggio R, e viceversa. Ovvero: al variare del raggio R,
l’ampiezza del meccanismo cambia e così il coefficiente di sicurezza. Chiamiamo
con FS0 il coefficiente di sicurezza minimo al variare di R, una volta fissato il
centro di istantanea rotazione O. Analogamente facciamo ora variare la posizione
del centro di istantanea rotazione O nel piano. Si può quindi costruire sul piano
una griglia di punti ai quali associare un FS0. In questo modo è possibile costruire
delle curve di livello ad FS0 costante (curve isoFS) e trovare il valore di FS
minimo.
Utilizzando griglie più fitte è possibile approssimare meglio il valore del
coefficiente di sicurezza minimo.
Nel software SLOPE/W, la procedura descritta e adottata in questa analisi si
chiama “Grid and Radius method”. Nella Figura 4.3a è illustrata la griglia dei
CIR e dei raggi adottata. La griglia sopra al pendio è quella dei centri di rotazione
e quindi ogni punto è un centro di una superficie di rottura. La griglia dei CIR
adottata è composta da 7x7 nodi. I raggi del cerchio invece sono definiti da raggi
o linee tangenti, descritte dai quattro lati di un rettangolo. Si adotta una griglia
composta da 6 linee tangenti alle circonferenze. In totale il sistema analizza 294
superfici di rottura circolari (Figura 4.3b).
Esempio di calcolo
60 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 4.3 (a) Griglia dei CIR e dei raggi; (b) 294 superfici circolari di rottura.
Validazione numerica
Fissato un cinematismo, si riproduce la ricerca dell’FS minimo sul foglio di
calcolo Excel, implementando le stesse equazioni utilizzate da SLOPE/W.
La discretizzazione del pendio deve essere uguale per Excel e Geoslope, per
evitare errori dovuti all’approssimazione; su Excel si impone x=0,25 m e su
Geoslope si imposta lo stesso numero di conci ottenuto da Excel. La ricerca di FS
minimo in Excel si esegue attraverso la funzione Risolutore, minimizzando il
quadrato della differenza tra FS0 di primo tentativo e FS che si ottiene
dall’equazione implicita. I due strumenti, Excel e SLOPE/W, hanno diversi ruoli
nelle varie fasi di calcolo; in generale Geoslope permette di ottenere il
meccanismo critico associato al minimo FS.
Per la validazione numerica tra i due strumenti utilizzati, si riporta in Figura 4.4
a titolo di esempio il risultato di un’analisi eseguita con entrambi: tra i due FS
esiste una differenza di 10-3, quindi si può affermare che i due programmi sono in
accordo e danno gli stessi risultati.
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 61
Figura 4.4 Validazione numerica tra Excel e Geoslope.
4.4 Metodo dell’equilibrio limite allo stato limite
ultimo
Si consideri il pendio descritto sopra. Inizialmente si valuta la sua stabilità
perturbando il sistema idraulicamente. È noto infatti che la presenza di acqua in
un pendio o in uno scavo è tra le prime cause di instabilità; si pensi a tal proposito
che nel caso di un pendio granulare con meccanismo puramente traslazionale
(geometria 1D), tra il caso secco e il caso sommerso FS si dimezza.
Nel nostro caso la forzante idraulica è la posizione della superficie di falda, che
viene fatta variare. Questa può essere scritta come il prodotto di una funzione di
forma, funzione a sua volta delle coordinate spaziali x e y, e di uno scalare che
rappresenta l’altezza piezometrica, Hw.
𝑓𝑎𝑙𝑑𝑎: 𝐻𝑤 ∙ ℱ(𝑥, 𝑦)
Esempio di calcolo
62 Bego Anna | Picchioni Silvia
Qua scegliamo di mantenere fissa la forma della superficie, adottando un
andamento lineare a tratti. Si fa variare lo scalare Hw, a partire dal piede del
pendio, come mostrato in Figura 4.5a. Dunque si studia l’evoluzione del
coefficiente di sicurezza al crescere del livello dell’acqua, con Hw che varia tra 0
m e 14 m.
Figura 4.5 (a) Variazione della superficie di falda; (b) andamento di FS al crescere di Hw.
Perturbando il sistema e variando Hw, cambia ovviamente l’equilibrio e di
conseguenza per ogni Hw si ha una superficie di rottura associata a quelle
specifiche condizioni. La ricerca delle superfici critiche si esegue con SLOPE/W
e, tra le infinite superfici possibili, ridotte a 294 con la discretizzazione del
software, se ne ottengono quattro ricorrenti. In particolare:
- La superficie critica relativa a Hw=0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 14 m è un
meccanismo piuttosto superficiale che coinvolge il ciglio ma non il piede
del pendio. Secondo la numerazione di SLOPE/W questa superficie è
identificata da S223.
- Per Hw=9 m la rottura avviene lungo una superficie profonda, che
coinvolge il piede del pendio per un lungo tratto e il ciglio. È S176.
- Il meccanismo di rottura relativo ad Hw=10, 11 m è una superficie
abbastanza ampia, che non passa anch’essa per il piede, S182.
- Per Hw=12, 13 m il meccanismo di rottura è una porzione superficiale che
non coinvolge né il piede né il ciglio, S169.
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 63
D’ora in avanti si farà riferimento a questi quattro meccanismi critici: S223, S176,
S182, S169. Il fatto che risultino sempre questi quattro è dovuto alla
discretizzazione delle maglie di FS e dei raggi, infatti è probabile che infittendole
potrebbe risultare un maggior numero di superfici. Tutti i cinematismi sono
rappresentati in Figura 4.6 e si riportano anche le coordinate dei centri e i raggi.
Figura 4.6. Superfici critiche da Geoslope.
Nella tabella 4.3 si riportano gli FS0, ovvero i fattori di sicurezza iniziali del
pendio, per ogni altezza di falda. Anche per Hw=0 m il pendio non è in condizioni
di sicurezza, poiché FS è prossimo all’unità.
Esempio di calcolo
64 Bego Anna | Picchioni Silvia
Hw [m] FS0
0 1,043
1 1,043
2 1,043
3 1,043
4 1,043
5 1,043
6 1,043
7 1,043
8 1,043
9 1,031
10 0,918
11 0,782
12 0,627
13 0,435
14 0,181 Tabella 4.3 FS0 per le differenti altezze di falda.
Nel grafico di Figura 4.7a si riportano gli andamenti di FS al crescere di Hw, per
ciascuna delle 4 superfici. Come è logico aspettarsi, la stabilità del pendio
decresce all’aumentare di Hw. In generale FS si mantiene pressoché costante per
i primi valori di Hw, dopodiché decresce bruscamente. È immediato notare che
in generale il pendio si trova in condizioni fortemente instabili per Hw=14 m. Per
questo valore massimo di Hw si raggiunge il limite minimo di un FS pari a 0,18
per la superficie S223, in blu in Figura 4.7.
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 65
Figura 4.7 (a) Andamento di FS al crescere di Hw per le 4 superfici; (b) inviluppo degli FS minimi.
La curva nera tratteggiata in Figura 4.7b è ottenuta dai valori di FS calcolati con
la superficie critica specifica per ogni Hw. Essa rappresenta un inviluppo dei
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
FS
Hw [m]
FS-HW
S223
S176
S182
S169
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
FS
Hw [m]
Inviluppo degli FS minimi
S223
S176
S182
S169
Esempio di calcolo
66 Bego Anna | Picchioni Silvia
minimi per tutte le curve, poiché dato dalle reali quattro superfici critiche.
Dunque, si intuisce che non è possibile a priori definire una situazione più critica
o una superficie in particolare che dia origine ad FS più bassi, ma esiste un
inviluppo si situazioni da tenere in considerazione.
4.4.1. Ricerca della pressione stabilizzante
Dai risultati ottenuti sopra, risulta chiaramente necessario intervenire per
aumentare la stabilità del pendio. In questo studio si restringe il campo a interventi
di natura strutturale, per cui si applicano al sistema forze esterne stabilizzanti.
Come già visto, l’equazione che governa il problema è:
𝐸𝑘𝐹 =
𝑅𝑘𝐹
𝐹𝑆+ 𝐴𝑘
𝐹
In cui E sono le azioni instabilizzanti, R le resistenze del terreno e A le azioni
stabilizzanti fornite dall’intervento. FS è il fattore di sicurezza globale del pendio.
Le azioni di sostegno, denominate A in linea generale, influenzano la stabilità,
facendo aumentare FS, ma quest’ultimo non dipende dal campo di spostamenti
del pendio.
In presenza di forze esterne, l’espressione di FS di Bishop diventa:
𝐹𝑆 = 𝑀𝑠𝑡𝑎𝑏
𝑀𝑟𝑖𝑏=
∑ 𝑇𝑙𝑖𝑚𝑖𝑅
∑ 𝑇𝑖 𝑅 − ∑ 𝑸𝒊𝒃𝒊=
=∑ [𝑐′𝑙 + (𝑁′ − 𝑈𝑙)𝑡𝑎𝑛𝜙′𝑛
𝑖
∑ 𝑊𝑠𝑒𝑛𝛼𝑛𝑖 − ∑ 𝑸𝒊
𝒃𝒊𝑹⁄
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 67
Qi sono le forze esterne (per unità di profondità) che si aggiungono all’equilibrio
globale e anche all’equilibrio verticale del singolo concio, come mostrato in
Figura 4.8 e rappresentano un contributo al denominatore di FS che diminuisce il
momento ribaltante; bi sono i bracci delle Qi, rispetto al centro della circonferenza
di rottura.
Figura 4.8 Rappresentazione schematica delle forze agenti sul generico concio.
Il primo passo nel progetto dell’intervento è la ricerca delle forze esterne o, in
altre parole, della pressione che applicata al pendio lo renda stabile.
Si fissa un coefficiente globale di sicurezza accettabile, generalmente si assume
che FS non sia minore del valore imposto 1,3.
Per stabilire l’area su cui applicare l’intervento è utile fare riferimento alla teoria
della linea neutra, che definisce il punto geometrico prima del quale
l’applicazione di forze esterne apporta un contributo stabilizzante all’equilibrio e
oltre al quale tale contributo diventa invece instabilizzante per il sistema (Figura
4.9).
Esempio di calcolo
68 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 4.9 Profilo del pendio e linea neutra.
Considerando un carico P agente lungo il pendio, a seconda sua posizione x, il
suo contributo può far aumentare FS sopra il valore di FS0 di partenza oppure no.
Tale punto x rappresenta la “posizione neutra” in cui la presenza del carico è
ininfluente. Da un punto di vista geometrico il punto neutro è la proiezione sul
pendio del centro del cerchio di rottura e quindi varia di superficie in superficie.
Secondo la teoria della linea neutra è quindi possibile definire, per ciascuna delle
quattro superfici considerate, la lunghezza effettiva dell’intervento, cioè
l’estensione utile dell’intervento lungo il versante.
Nella Figura 4.10 che segue si mostra schematicamente un esempio di lunghezza
effettiva dell’intervento, LEFF, e la pressione p che agisce uniformemente sul
tratto.
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 69
Figura 4.10 Applicazione uniforme della pressione stabilizzante lungo la lunghezza effettiva.
Nella Tabella 4.4 sono riportate le LEFF per ciascuna delle quattro superfici.
Superficie Leff [m]
S182 13,7
S176 12
S223 9,2
S169 7,1 Tabella 4.4 LEFF per i 4 meccanismi critici
Per ciascun meccanismo dunque si fissa la lunghezza su cui applicare la pressione
stabilizzante e il baricentro di tale distribuzione uniforme; si applica la risultante
Esempio di calcolo
70 Bego Anna | Picchioni Silvia
nel baricentro e si ricerca la forza che porti FS al valore 1,3. Trovato il valore
minimo della forza necessaria, essa viene divisa per LEFF, ottenendo così la
pressione cercata p. La ricerca viene eseguita per ogni meccanismo e per ogni
altezza di falda Hw. Si ottengono quattro curve di p al crescere di Hw (Figura
4.11); anche in questo caso si nota la presenza di un inviluppo dei massimi valori
di p per le quattro superfici critiche.
Figura 4.11. Pressioni stabilizzanti per le quattro superfici.
Fino a un valore di Hw di poco superiore a 6 m, la superficie che necessita di una
p maggiore per essere stabilizzata è la S169, in viola in Figura 4.11, ma oltre quel
valore la superficie che richiede un valore più alto di p è la S176, in rosso. Questa
superficie, infatti, è tra tutte la più profonda e con maggior estensione e quindi
coinvolge volumi di terreno più grandi.
0
10
20
30
40
50
60
0 2 4 6 8 10 12 14
p [
kPa]
Hw [m]
Pressione per avare FS = 1,3
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 71
Come è logico aspettarsi, la condizione di pendio sommerso con la falda a 14 m
è quella che richiede la massima pressione stabilizzante, poiché questa situazione
rappresenta le condizioni più sfavorevoli.
In Tabella 4.5 sono riassunte le pressioni stabilizzanti ottenute per ciascun
meccanismo per Hw=14 m.
Hw [m] Superficie p [kPa]
14
S176 53,9
S182 38,6
S223 26,1
S169 25,9 Tabella 4.5
Si sceglie di applicare alle pressioni calcolate un coefficiente di sicurezza 𝐹𝑆𝑝
pari a 1,15 che tenga conto delle incertezze legate alla rete metallica:
𝑝𝑢 =𝑝
𝐹𝑆𝑝⁄ .
Le pressioni vengono allora incrementate del 15% e si ottengono le “pressioni
ultime”, pu, riportate in tabella 4.6.
FS Pressione Superficie p [kPa] p ultima [kPa]
1,15
S176 53,9 62
S182 38,6 44
S223 26,1 30
S169 25,9 30 Tabella 4.6
Si sceglie di progettare nelle condizioni più critiche, adottando la massima
pressione tra i quattro meccanismi e per la falda a 14 m. Inoltre si sceglie la
massima estensione LEFF. Per ciascun meccanismo si attiverà un diverso numero
Esempio di calcolo
72 Bego Anna | Picchioni Silvia
di chiodi a seconda della geometria della superficie di rottura, come verrà spiegato
in seguito.
Riassumendo le informazioni disponibili fino a questo punto:
- Viene scelto il valore di pressione maggiore tra i 4 meccanismi di rottura,
ovvero 62 kPa, relativa a S176;
- p viene applicata lungo la maggiore tra le LEFF pari a 14 m, approssimando
la lunghezza relativa a S182.
Richiamo al sistema corticale passivo
Si riassumono di seguito le principali ipotesi con le quali si descrive in modo
semplificato il funzionamento della rete corticale:
- si adotta l’approccio per sottostrutture, per cui l’inclusione (il chiodo)
viene sostituita dalla forza che l’intervento trasmette al volume di terreno
instabile;
- il chiodo è rigido;
- il sistema viene studiato in condizioni passive e quindi non viene applicata
alcuna forza di pre-tiro ai chiodi;
- ogni chiodo è inserito in direzione normale al profilo del pendio e quindi
normale è la forza che esso trasmette;
- la spaziatura lungo il pendio e quella fuori piano coincidono, Sx=Sy=S.
Come descritto nel Capitolo 3, l’intervento corticale passivo garantisce una forza
al sistema che è funzione dello spostamento del terreno. La forza che può essere
trasmessa al terreno dipende fortemente anche dalla spaziatura con cui vengono
inseriti i chiodi. Tutte queste informazioni sono riassunte nella curva caratteristica
ricavata dallo studio riportato nell’articolo di C.G. Di Prisco, Besseghini, Viganò,
che viene richiamata in Figura 4.12.
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 73
Queste curve sono state ricostruite partendo dai valori riportati nell’articolo
sopracitato. Dividendo la forza N per il quadrato della spaziatura (si ricorda che
la spaziatura fuori piano e quella lungo il pendio coincidono) si ottiene la
pressione garantita dalla rete.
Nel caso di un progetto allo stato limite ultimo si applica al pendio la massima
pressione disponibile che l’intervento offre, per valori limite di spostamento
ortogonale alla piastra dei chiodi, quando cioè la curva raggiunge un plateau.
Per ammettere l’esistenza del plateau delle curve, è stata assunta implicitamente
un’ipotesi importante: si assume che l’acciaio che compone la rete abbia
comportamento infinitamente duttile. Quando viene raggiunto il valore ultimo
della forza, che corrisponde al carico di snervamento del sistema corticale, il
sistema garantisce una riserva di resistenza e sono concesse grandi deformazioni
a carico costante, il che è conseguenza dell’infinita duttilità.
Figura 4.12 Curve caratteristiche delle forze N.
Esempio di calcolo
74 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 4.13 Curve caratteristiche delle pressioni
Nella Figura 4.13 sono riportate le curve caratteristiche delle pressioni che si
ottengono dalla rete per le diverse spaziature, i cui valori sono riassunti in Tabella
4.7; tali pressioni devono essere confrontate con quella richiesta per stabilizzare
il meccanismo S176. Le pressioni stabilizzanti massime diminuiscono
notevolmente al crescere della distanza tra i chiodi e si deduce quindi il ruolo
cruciale della spaziatura nel progetto.
p stabilizzante p ultima Spaziatura p max [kPa]
per S176 per S176 a disposizione
54 [kPa] 62 [kPa]
1 m 360
1,5 m 97
2 m 43
3 m 15 Tabella 4.7
Dal grafico si osserva che una spaziatura di 1 m offre un contributo stabilizzante
ben maggiore di quello necessario, quasi sei volte in eccesso a quella richiesta
0
50
100
150
200
250
300
350
400
0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35
p [
kPa]
Spostamento [m]
1 m
1,5 m
2 m
3 m
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 75
dalla superficie S176. Le spaziature di 2 e 3 m, al contrario, non apportano al
sistema il valore sufficiente di pressione. La spaziatura adeguata risulta 1,5 m.
Relativamente alle altre tre superfici di rottura, invece, una spaziatura di 2 m
sarebbe sufficiente, ma la condizione più restrittiva è appunto legata al
meccanismo S176, come già spiegato.
Si potrebbe quindi scegliere di adottare la spaziatura 1,5 m, ma essa offre una
pressione di quasi 100 kPa, valore ben maggiore di quello richiesto (62 kPa); di
conseguenza volendo ottimizzare l’intervento si può cercare una distanza tra i
chiodi in modo tale che la pressione a disposizione sia vicina a quella richiesta.
Per interpolazione dei valori delle curve caratteristiche delle forze N, si ottiene la
curva che risulterebbe da un intervento caratterizzato da spaziatura 1,75 m, in
verde in Figura 4.14a.
0
50
100
150
200
250
300
350
400
0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35
N [
kN]
Spostamento [m]
1 m
1,5 m
1,75
2 m
3 m
Esempio di calcolo
76 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 4.14 (a) Ricostruzione della curva per spaziatura 1,75 m; (b) pressioni per spaziatura 1,75 m.
Si noti che la reale spaziatura tra i chiodi non è esattamente 1,75 m ma 1,77 m, e
per praticità essa viene approssimata.
La pressione viene applicata sul pendio attraverso il foglio di calcolo Excel (o allo
stesso modo su SLOPE/W) e viene trasformata in forza per unità di profondità, Q
come mostrato in Figura 4.15.
Q si ottiene dalla seguente espressione:
𝑄 =�̅�
𝑆1𝑆2∆𝑙𝑖 [
𝑘𝑁
𝑚]
Dove �̅� è il valore massimo asintotico della curva caratteristica; S1 e S2 sono le
spaziature tra i chiodi e ∆𝑙𝑖 è la larghezza della porzione di terreno su cui agisce
Q. Dividendo �̅� per le spaziature (uguali tra loro) si ottiene la pressione
omogeneizzata sull’area e moltiplicandola per ∆𝑙𝑖 si ottiene appunto la forza
agente per unità di profondità che compare nell’equilibrio.
0
50
100
150
200
250
300
350
400
0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3
p [
kPa]
Spostamento [m]
1 m
1,5 m
1,75
2 m
3 m
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 77
Figura 4.15 Rappresentazione della distribuzione dei chiodi sul pendio.
In Figura 4.16 si mostra schematicamente l’intervento dimensionato e di seguito
se ne riassumono le caratteristiche:
- si applica una pressione massima e uniforme di 63 kPa;
- p viene applicata su una lunghezza di 14 m;
- i chiodi distano l’un l’altro 1,75 m lungo il pendio;
- il primo chiodo è inserito a una distanza dal piede di 0,25 m
sull’orizzontale;
- in tutto sono presenti 9 chiodi.
QMAX
Esempio di calcolo
78 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 4.16 Rappresentazione dell’intervento dimensionato.
Può essere interessante notare che diversi meccanismi di rottura possono attivare
un diverso numero di chiodi. Ad esempio, la superficie S169 non comprende né
il primo né gli ultimi tre; la S223 non comprende il primo né gli ultimi due, ma il
discorso dell’attivazione della forza nel chiodo sarà meglio affrontato nell’ambito
del metodo ibrido.
Fino ad ora non si è accennato alla lunghezza dei chiodi. Un requisito chiaramente
necessario è che la lunghezza minima dell’inclusione sia tale da superare la
massima distanza tra la superficie del pendio e la superficie di rottura, Dmax,
come mostrato in Figura 4.17a. Infatti i chiodi devono assicurare l’ancoraggio del
volume instabile alla parte di terreno non coinvolta nel cinematismo. Solitamente
i chiodi vengono utilizzati fino a massime lunghezze di 8-10 m, oltre
diventerebbero troppo snelli e flessibili. Nella pratica per lunghezze superiori si
adoperano tiranti formati da trefoli, che garantiscono maggiore resistenza a
trazione (Figura 4.17b).
Per la superficie di rottura presa in considerazione, la S176, Dmax vale 4,40 m,
dunque si possono inserire chiodi di 6 m, per assicurare un margine di sicurezza.
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 79
Spostandosi dal punto di massima lunghezza ovviamente la distanza dalla
superficie di scorrimento diminuisce notevolmente ma, per uniformità
dell’intervento, si adottano chiodi tutti uguali.
Figura 4.17 (a) Rappresentazione schematica della distanza massima tra la superficie di scorrimento e il
profilo del pendio; (b) rappresentazione di un tirante formato da trefoli.
Esempio di calcolo
80 Bego Anna | Picchioni Silvia
4.4.2. Risultati del progetto allo SLU
Come trattato in precedenza, si applica al pendio una pressione tale per cui il
fattore di sicurezza relativo alle condizioni più critiche raggiunga il valore 1,3.
Dunque, ci si aspetta che le curve di FS al variare di Hw stiano completamente
sopra al valore 1,3.
I risultati sono riportati nel grafico di Figura 4.18.
Figura 4.18 Andamento degli FS allo SLU.
La curva riferita alla S176 in rosso è la più bassa tra le quattro e per questo
rappresenta essa stessa un inviluppo.
L’intervento è stato progettato in modo tale che la condizione più sfavorevole tra
tutte raggiunga un FS di 1,3; tuttavia si nota dal grafico che il punto estremo,
rappresentato dal pallino, presenta un FS maggiore di 1,3, più precisamente di
1,8. Questo è dovuto al fatto che è stato applicato un fattore si sicurezza alla
pressione stabilizzante, aumentandone il valore da 54 kPa a 62 kPa; inoltre
0
1
2
3
4
5
6
7
0 2 4 6 8 10 12 14
FS
Hw [m]
FS - Hw con progetto allo SLU, spaziatura 1,75 m
S223 S176 S182 S169
Inviluppo senza pressione
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 81
l’intervento con spaziatura 1,75 m offre un valore di pressione leggermente più
alto, 63 kPa. Queste motivazioni giustificano il valore dell’FS minimo maggiore
di 1,3.
Dai risultati ottenuti si deduce che, se si progettasse tenendo conto che il sistema
corticale lavori fin da subito al massimo delle prestazioni, si otterrebbero valori
di FS ben sopra il limite imposto di sicurezza (1,3) e si potrebbe concludere che
l’intervento sia ben progettato.
Tuttavia, come già spiegato, il sistema corticale passivo trasmette al terreno delle
forze che crescono con lo spostamento (diretto normalmente alla piastra di ogni
chiodo) e dunque non è lecito studiare la stabilità del pendio applicando la
pressione massima che si può sviluppare, perché appunto questa si attiva
progressivamente. Il sistema infatti non è attivo sin da subito e per questo motivo
non è realistico applicare uniformemente al pendio la massima pressione
dell’intervento. Occorre pertanto progettare nell’ottica degli spostamenti,
valutando l’evoluzione del fattore di sicurezza al crescere degli spostamenti del
terreno.
Commento sulla scelta progettuale
Come trattato nel paragrafo precedente, al fine di garantire un aumento di stabilità
del pendio, si è scelto di dimensionare l’intervento considerando come condizione
iniziale la situazione più sfavorevole tra tutte: la falda viene mantenuta fissa nel
punto più alto e il dimensionamento della spaziatura viene eseguito in riferimento
alla superficie di rottura che necessita della pressione maggiore per portare FS al
valore 1,3, mentre si sceglie la maggiore lunghezza effettiva tra i 4 meccanismi.
È evidente che in questo caso si ricerca il massimo valore di pressione
stabilizzante. Esistono però numerose strategie per garantire il medesimo
risultato. Spesso nella pratica si adottano metodi misti, in cui
contemporaneamente si mira ad aumentare le azioni stabilizzanti con interventi
Esempio di calcolo
82 Bego Anna | Picchioni Silvia
strutturali e si modifica il regime delle pressioni nel pendio. In alternativa alla
nostra scelta, infatti, si potrebbe pensare di accostare all’intervento strutturale un
sistema drenante per abbassare il livello della falda, così da ottimizzare il risultato.
In questo modo la pressione stabilizzante da applicare al versante non sarebbe più
la massima come nel caso in esame, ma minore.
4.5 Metodo ibrido
Con il progetto allo SLU si è imposto che l’intervento lavori per la massima forza
disponibile e che questa si attivi uniformemente lungo la lunghezza effettiva sul
pendio. Come però già discusso, il tipo di intervento scelto ha un funzionamento
passivo e dunque le forze stabilizzanti si attivano a patto di avere spostamenti del
terreno. Infatti, se sono permessi ampi spostamenti, il sistema si comporta come
un ancoraggio passivo e le azioni stabilizzanti vengono attivate gradualmente.
Nella realtà non si sviluppa una distribuzione uniforme della pressione, bensì
triangolare. Una rappresentazione schematica della pressione dell’intervento
stabilizzante viene mostrata in Figura 4.19, confrontando il metodo allo stato
limite ultimo e quello ibrido.
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 83
Figura 4.19 Differenza tra il metodo allo stato limite ultimo e il metodo ibrido.
4.5.1. Campo di spostamenti del terreno
Al collasso il pendio si comporta come un corpo rigido e ogni suo punto è soggetto
a una rotazione rigida, il cui punto di istantanea rotazione è il centro della
circonferenza di rottura. Globalmente quindi il sistema ruota rigidamente di un
angolo ω e di conseguenza si può affermare che il prodotto di ω per il raggio R
del cerchio di rottura sia uguale al modulo dello spostamento nel far field, U; in
generale lo spostamento è un vettore sempre tangente alla circonferenza (Figura
4.20). L’atto di moto rigido appena descritto genera un campo di velocità, e quindi
di spostamenti, triangolare lungo la superficie inclinata del versante. Questo
campo cresce in ampiezza con la rotazione ω ed è il motivo per cui si attivano le
forze stabilizzanti in corrispondenza dei chiodi.
Quando si vogliono confrontare diverse superfici di rottura è opportuno
considerare lo spostamento di un punto fisso del pendio, comune ai meccanismi.
In generale può essere conveniente prendere in considerazione il ciglio del pendio
(punto C), in cui si immagina di posizionare la strumentazione per le misurazioni
e il monitoraggio degli spostamenti. Allora per il punto C si ha Uc=ω∙Rc, dove
Esempio di calcolo
84 Bego Anna | Picchioni Silvia
Rc è la distanza dal CIR al punto C. Inoltre, per uniformare le analisi, ci si riferisce
alla componente verticale di Uc: Uvciglio o Uvc.
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 85
Figura 4.20 (a) Rotazione rigida del pendio; (b) campo di spostamenti lungo la superficie del pendio
Per ogni meccanismo di rottura è stato ricostruito il campo di spostamenti al fine
di calcolare i sistemi di forze che si attivano al crescere di ω.
Occorre ricostruire l’andamento dello spostamento lungo il pendio nei punti in
cui sono posizionate le piastre dei chiodi. Come già discusso, i chiodi hanno la
funzione di veri e propri tiranti di ancoraggio per il volume di terreno instabile. È
bene ricordare che i chiodi, in questo tipo di intervento, non lavorano a taglio e
neppure si attivano per spostamenti di compressione; essi lavorano a trazione e
trasmettono al terreno una forza di compressione. Tale forza in ogni chiodo viene
attivata dalla componente dello spostamento ortogonale al pendio, ovvero diretta
come il chiodo stesso, che chiamiamo Un. Questa forza aggiuntiva ha due effetti
stabilizzanti sul sistema: da un lato aumenta la forza resistente in ciascun concio
di terreno, perché la sua componente diretta come il peso si somma alla forza
interna N’, dall’altro canto apporta un contributo stabilizzante all’equilibrio
globale, diminuendo il valore del momento ribaltante (al denominatore di FS).
In Figura 4.21 si mostra schematicamente come viene ricavato lo spostamento
Un: i è l’angolo tra l’orizzontale e lo spostamento Ui generato dalla rotazione, il
quale è diretto perpendicolarmente al segmento che congiunge il CIR al chiodo i-
esimo (R*), è l’inclinazione del versante. Uni è dato dalla proiezione di Ui lungo
la direzione normale al pendio, ovvero lungo il chiodo i-esimo, e la sua
espressione è:
Uni = 𝜔𝑅∗ ∙ [sin 𝛼𝑖 cos β − cos 𝛼𝑖 sin β].
La curva caratteristica dell’articolo di Claudio Giulio di Prisco, Fulvio Besseghini
e Federico Pisanò (Capitolo 3) è ricavata in funzione dei cedimenti ortogonali alle
piastre dei chiodi, che in quel caso sono diretti verticalmente poiché lo strato
considerato è orizzontale; nella nostra analisi, invece, gli spostamenti Uni sono i
Esempio di calcolo
86 Bego Anna | Picchioni Silvia
responsabili dell’attivazione dell’intervento corticale, essendo perpendicolari al
pendio.
Figura 4.21 Spostamento che attiva la forza nel chiodo i-esimo.
Tornando all’analisi, si vuole studiare come aumenta la stabilità del sistema al
crescere dello spostamento del terreno, U. A tal fine, viene imposta una rotazione
ω al pendio, che viene incrementata gradualmente. Quando l’angolo ω è nullo,
ovviamente gli spostamenti sono nulli e non si attiva alcuna forza dell’intervento.
Per attivare il sistema, si sceglie un intervallo di ω tra 0 e 0.21 rad; traducendo
questo intervallo in termini di spostamento in metri, si moltiplica la coordinata ω
per il raggio del meccanismo S176 e si ottiene un valore dello spostamento nel
far field U compreso tra 0 e 43 cm, che corrisponde a uno spostamento verticale
del ciglio che varia tra 0 e 35 cm.
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 87
Riassumendo le caratteristiche dell’intervento già dimensionato allo stato limite
ultimo:
- I chiodi vengono inseriti per una lunghezza di 14 m, LEFF;
- I chiodi distano l’un l’altro 1,75 m lungo il pendio;
- Il primo chiodo è inserito a una distanza dal piede di 0,25 m
sull’orizzontale;
- In tutto sono presenti 9 chiodi.
Come già osservato nel progetto allo SLU, a seconda del meccanismo alcuni
chiodi si possono attivare oppure no, in relazione alla geometria della superficie
di rottura. Ne consegue che il sistema di forze stabilizzanti è diverso per ciascun
meccanismo, anche in termini di entità delle forze generate nei chiodi.
Nel grafico di Figura 4.22a sono riportati i campi degli spostamenti Un lungo il
pendio calcolati in riferimento alla superficie di rottura S176.
-0,06
-0,01
0,04
0,09
0,14
0,19
0,24
0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35
Un
[m
]
𝛚∙𝐑𝐜 in direzione verticale [m]
Un-Uvciglio
Chiodo 1
Chiodo 2
Chiodo 3
Chiodo 4
Chiodo 5
Chiodo 6
Chiodo 7
Chiodo 8
Chiodo 9
Esempio di calcolo
88 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 4.22 (a) Andamento degli spostamenti Un per ogni chiodo; (b) andamento di Un lungo il pendio,
fissata l’ampiezza dello spostamento a 35 cm.
Si verifica che Un cresce linearmente con la rotazione ω, infatti in ascissa di
Figura 4.22a è presente lo spostamento verticale del ciglio, che è dato dal prodotto
di ω per la distanza tra il ciglio e il CIR. I chiodi sono numerati da 1 a 9 (i chiodi
8 e 9 non sono attivati per S176) a partire dal piede del pendio e ogni retta del
grafico è riferita al singolo chiodo. Dalla figura è immediato notare che il primo
è quello più sollecitato e di conseguenza sarà anche quello in cui si genererà la
forza maggiore; spostandoci lungo il pendio verso il punto proiezione del CIR
della S176 (ovvero il punto dove termina LEFF) si incontra l’ultimo chiodo che è
quello azionato dallo spostamento minore. Le rette tratteggiate in grigio sono gli
spostamenti dei chiodi oltre la lunghezza effettiva e sono state riportate nel grafico
per mostrare appunto che oltre tale lunghezza la presenza dei chiodi è ininfluente,
poiché le forze di compressione non attivano la chiodatura.
Fissando l’ampiezza dello spostamento del ciglio al valore finale del grafico pari
circa a 35 cm, si può ricostruire l’andamento di Un lungo il pendio (Figura 4.22b).
Oltre il valore di x pari a 8,5 m (che corrisponde a una distanza di 12 m dal piede),
-0,14
-0,1
-0,06
-0,02
0,02
0,06
0,1
0,14
0,18
0,22
0 2 4 6 8 10 12 14
Un
[m
]
x [m]
Un lungo il pendio
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 89
Un assume valori negativi, rappresentati dalle rette grigie tratteggiate di Figura
4.22a.
4.5.2. Curva di interazione e curva caratteristica del sistema
Nei chiodi si generano le azioni stabilizzanti ottenute a partire dalla curva
caratteristica del sistema dell’articolo (Capitolo 3). L’andamento delle forze in
funzione degli spostamenti si può definire curva di interazione tra il chiodo e il
terreno (Figura 4.23a). L’azione Q viene calcolata in funzione dello spostamento
verticale del ciglio. Se si calcola la stessa azione in funzione dello spostamento
Un, si ottengono dei punti che ‘ricalcano’ la curva caratteristica del sistema
(Figura 4.23b). Da questa rappresentazione si nota come ogni chiodo sia
sollecitato da forze di entità decrescente, spostandosi dal piede al ciglio del pendio
e per ciascun chiodo si attiva il massimo della forza disponibile per spostamenti
diversi. Il primo chiodo (in blu) è il più sollecitato, mentre l’ultimo (in rosso)
trasmette al terreno una forza dal valore esiguo.
Ricordiamo che il valore ultimo della curva caratteristica per la spaziatura scelta,
è di poco superiore a 110 kN/m. Osservando la curva blu relativa al primo chiodo
vicino al piede, si evince che questo è vicino al limite di snervamento e quindi se
aumentassero ulteriormente gli spostamenti, quel particolare tirante si
disattiverebbe, smettendo di trasmettere l’azione al pendio. Da questo si deduce
che l’intervento così dimensionato, con la spaziatura di 1,75 m tra le inclusioni,
sfrutta quasi al limite la forza messa a disposizione dalla rete, portando il primo
tirante quasi al limite ultimo di snervamento. Come si è già accennato nell’ambito
dello SLU, il sistema non si rompe appena viene raggiunto il valore ultimo del
carico: grazie all’ipotesi di infinita duttilità dell’acciaio, esso può continuare a
deformarsi. Quando però viene raggiunto il carico di snervamento in un chiodo,
esso viene considerato disattivato e non trasmette più azioni stabilizzanti al
terreno. In questo caso il carico limite non viene raggiunto.
Esempio di calcolo
90 Bego Anna | Picchioni Silvia
A priori non è ancora possibile dichiarare se questo intervento possa stabilizzare
il pendio, in altre parole se sia in grado di garantire che FS globale superi il valore
1,3 per valori di spostamento accettabile. Questo aspetto viene trattato nel
paragrafo successivo.
Figura 4.23 (a) Curva di interazione chiodo-terreno; (b) confronto tra la curva caratteristica del sistema e
la famiglia di curve di interazione.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
120
0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35
Q [
kN/m
]
Uvciglio [m]
Curve di interazione chiodo - terreno
Chiodo 1
Chiodo 2
Chiodo 3
Chiodo 4
Chiodo 5
Chiodo 6
Chiodo 7
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 91
Verifica di snervamento del chiodo più sollecitato
Il chiodo soggetto alla forza di trazione maggiore è il primo a partire dal piede.
La forza per unità di profondità Q vale 110 kN/m che equivale a una pressione di
63 kPa agente sull’area quadrata della spaziatura 1,75 m. Moltiplicando la
pressione per il quadrato della spaziatura si ottiene la forza agente sul chiodo, che
vale 193 kN, valore finale della curva caratteristica. Questa deve essere
confrontata con il carico di snervamento del tirante.
Si prendono come riferimento le barre a filettatura continua in acciaio da
precompressione Dywidag Y1050H.
In Tabella 4.8 sono riportati i carichi di snervamento delle barre per diversi
diametri nominali. Anche adottando la barra dal diametro minore, la verifica di
snervamento è rispettata.
Diametro nominale Carico di
φ [mm] Snervamento [kN]
26,5 525
32 760
36 960
40 1190
47 1650 Tabella 4.8 Carichi di snervamento delle barre.
Confrontando i carichi di snervamento con il valore massimo delle forze offerto
dalle altre spaziature, la verifica risulta comunque pienamente soddisfatta. Per la
spaziatura 1 m infatti il valore massimo della forza è 360 kN.
Esempio di calcolo
92 Bego Anna | Picchioni Silvia
4.5.3. Aumento del fattore di sicurezza
Per la superficie S176 si calcola l’evoluzione del fattore di sicurezza in funzione
di Uvciglio, considerando ancora la situazione più critica tra tutte con la falda a 14
m dal piede del pendio, cioè quando il pendio è sommerso.
Osservando il grafico di Figura 4.24 si evince chiaramente che la stabilità aumenta
notevolmente: infatti FS, che senza intervento vale 0,54, raggiunge un valore di
1,573 per Uvciglio pari a 35 cm, come indicato dai pallini gialli. Per raggiungere il
limite imposto di FS pari a 1,3 è richiesto uno spostamento verticale del ciglio di
20 cm: ciò significa che, se al terreno sono concessi tali spostamenti, il sistema
raggiunge il coefficiente di sicurezza cercato.
Figura 4.24 Fattore di sicurezza di S176.
Dunque, studiando l’intervento con un approccio ibrido, necessario quando si ha
a che fare con interventi passivi, si comprende che l’intervento corticale così
0
0,4
0,8
1,2
1,6
0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35
FS
Uvciglio [m]
FS per S176Hw=14 m; spaziatura 1,75 m
FS=1,3
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 93
dimensionato garantisce un aumento notevole della sicurezza al crollo, a patto di
permettere degli spostamenti in grado di attivare le azioni stabilizzanti.
4.5.4. Confronto tra le spaziature
È di notevole interesse confrontare i risultati che si ottengono per le diverse
spaziature (Figura 4.25a). La distanza tra i chiodi, infatti, gioca un ruolo
fondamentale nel progetto dell’intervento ed è una variabile che ha un’influenza
decisiva.
Si noti come per la spaziatura 1 m FS raggiunga valori molto alti, che crescono
rapidamente e ciò è conseguenza dell’espressione di FS stesso, in cui le azioni
esterne compaiono a denominatore e si sottraggono al momento ribaltante. Un
aumento della spaziatura fa crescere lo spostamento necessario per portare il
fattore di sicurezza al valore 1,3. Osservando il grafico di Figura 4.25a è logico
affermare che un intervento con spaziatura 1 sarebbe eccessivamente cautelativo,
dal momento che si accetta che il pendio possa spostarsi di alcuni centimetri e in
questo caso ne sarebbero sufficienti 4. Aumentando la spaziatura di 50 cm, la
pendenza della curva diminuisce ma comunque si raggiunge l’obiettivo di FS=1,3
per uno spostamento di 11 cm. Aumentando ulteriormente la spaziatura di soli 25
cm, notiamo che esiste una considerevole differenza in termini di spostamento: lo
spostamento necessario diventa quasi il doppio del precedente e il caso di questa
spaziatura è già stato discusso. Incrementando la distanza ancora di 25 cm e
portandola a 2 m, FS cresce molto lentamente e l’obiettivo viene raggiunto per
spostamenti ingenti. Infine, per una spaziatura di 3 m notiamo che la presenza
dell’intervento diventa pressoché ininfluente, infatti si ha un lieve aumento di FS
ma probabilmente il valore di 1,3 non verrebbe mai raggiunto. La curva di Figura
4.25b riassume i valori degli spostamenti richiesti dai diversi interventi per
ottenere FS=1,3.
Esempio di calcolo
94 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 4.25 (a) Fattore di sicurezza per le diverse spaziature; (b) spostamenti necessari per ottenere FS=1,3.
In questo studio è stato dimensionato l’intervento in modo da rendere stabile il
sistema nelle condizioni più critiche tra tutte, sia idrauliche che cinematiche; si è
scelta la spaziatura che, in condizioni di stato limite ultimo, garantisse un fattore
di sicurezza di almeno 1,3.
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
1,8
2
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
Uv
cigl
io[m
]
Spaziatura [m]
Uvciglio per avere FS=1,3
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 95
In generale, la scelta della spaziatura è una questione particolarmente importante
e dipende da numerosi fattori. Occorre avere presente l’obiettivo, o gli obiettivi
che si vogliono raggiungere con l’intervento. Infatti, può non essere sufficiente
garantire un certo fattore di sicurezza, ma in certi casi è da considerarsi
predominante l’entità degli spostamenti del terreno. Questo discorso è
chiaramente legato alla vulnerabilità e all’esposizione dell’area da proteggere da
un possibile crollo. Abbiamo mostrato che dalla scelta della spaziatura
conseguono spostamenti del ciglio molto diversi e in fase progettuale è necessario
considerare anch’essi, oltre alla stabilità globale. Ad esempio, se in cima al pendio
fossero presenti costruzioni o strutture sensibili ai cedimenti, probabilmente gli
spostamenti richiesti per attivare la rete con la spaziatura scelta da noi sarebbero
incompatibili con le condizioni di servizio di tali strutture. In questo caso sarebbe
lecito adottare una spaziatura minore, di 1,5 m o addirittura 1 m, a seconda dei
limiti concessi. Se, al contrario, in cima al versante non fosse presente alcuna
costruzione o attività, gli spostamenti del terreno potrebbero svilupparsi senza
creare danni e problemi.
4.5.5. Fattore di sicurezza per le quattro superfici
Nel grafico di Figura 4.26 si mostrano gli andamenti di FS per ciascuna delle
quattro superfici critiche, considerando però la falda fissa a 14 m. Inizialmente la
superficie coi valori più bassi di FS è S223, meccanismo piuttosto superficiale
che non coinvolge il piede del pendio. Per spostamenti Uvciglio maggiori di circa
17 cm la curva critica degli FS minimi diventa invece S176, il meccanismo a cui
ci si è riferiti per il dimensionamento. Si ricorda che la S176 è tra le quattro la
superficie più profonda e che coinvolge un volume maggiore di terreno. Anche in
questo caso si nota chiaramente la presenza di un inviluppo. La curva relativa a
S169 si riduce a un segmento verticale in zero, poiché questo meccanismo non
comprende il ciglio del pendio.
Esempio di calcolo
96 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 4.26 Fattore di sicurezza delle quattro superfici, per Hw=14m.
4.5.6. Andamento di FS della S176 al variare di Hw
Nel grafico di Figura 4.27 si riportano gli andamenti del fattore di sicurezza,
relativi al meccanismo S176, all’aumentare della altezza di falda. Come già
osservato, FS cresce all’aumentare degli spostamenti del terreno e il suo valore
decresce all’aumentare di Hw. Si ottengono 12 curve, una per ogni altezza Hw, le
quali hanno lo stesso andamento ma i valori sono traslati verso il basso, per Hw
che aumenta. Nel grafico si riporta anche il valore di FS limite 1,3.
Se si vuole progettare in un’ottica che pone l’attenzione sugli spostamenti, è
conveniente ottenere risultati anche in termine di questi ultimi, oltre che in
riferimento al fattore di sicurezza globale. Avendo in mente questo obiettivo, la
ricostruzione delle curve FS(Hw) è utile per ottenere gli spostamenti che si
devono sviluppare per ottenere FS pari a 1,3. Come si intuisce, lo spostamento
richiesto aumenta al crescere di Hw, poiché la stabilità del sistema diminuisce
quando aumentano le pressioni dell’acqua.
0
0,4
0,8
1,2
1,6
2
2,4
2,8
3,2
0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35 0,4 0,45
FS
Uvciglio [m]
Fs-Hw=14 m
S176
S182
S169
S223
Inviluppo
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 97
Figura 4.27 Andamento di FS al variare della posizione della falda, per S176.
Riassumendo in un unico grafico i valori dati dall’intersezione tra le curve FS con
la retta di FS=1,3, si ottiene l’andamento di tali spostamenti. Nel grafico di Figura
4.28 si riportano i risultati per le spaziature 1,75 m e 1,5 m per avere un confronto
visivo. Come già commentato, l’intervento con spaziatura 1,75 m richiede che il
ciglio si sposti verticalmente di 20 cm; per l’intervento con spaziatura 1,5 m si
devono mobilitare 11,8 cm di spostamento. Dunque, nonostante la differenza di
soli 25 cm tra le due spaziature, gli spostamenti richiesti nei due casi sono quasi
l’uno il doppio dell’altro.
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
1,2
1,4
1,6
1,8
2
2,2
2,4
2,6
2,8
0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35
FS
Uvciglio [m]
FS-Hw per S176
Hw
Esempio di calcolo
98 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 4.28 Andamento degli spostamenti necessari per ottenere FS=1,3.
Rifacendo la stessa analisi per tutti i meccanismi, si ottengono gli andamenti
degli spostamenti necessari per avere FS=1,3, al crescere di Hw (Figura 4.29).
Anche in questo caso si nota la presenza di un inviluppo tra le curve: infatti, per
Hw minore di circa 8 m, il meccanismo che richiede l’attivazione di spostamenti
maggiori è S223 in blu, ma dopo tale valore di Hw la superficie con la condizione
più restrittiva è ancora la S176. La curva relativa alla S169 non è presente perché
questo meccanismo non coinvolge il ciglio del pendio. Si nota infine che
l’andamento degli spostamenti è molto simile a quello delle pressioni necessarie
per rendere stabili le superfici.
0
0,05
0,1
0,15
0,2
0,25
0 2 4 6 8 10 12 14
Uvc
iglio
[m
]
Hw [m]
Uvc per avere FS=1,3
S176 S=1.75 m
S176 S=1.5 m
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 99
Figura 4.29 Andamento degli spostamenti necessari per avere FS=1,3 per tutti i meccanismi critici.
4.6. Progetto dell’intervento per i meccanismi locali
L’intervento stabilizzante è stato progettato in riferimento alla superficie più
critica da stabilizzare, la S176, considerando però l’estensione maggiore tra tutte,
relativa alla S182. L’intervento è composto da 9 chiodi, inseriti a una distanza di
1,75 m l’un l’altro, che partono da una posizione pari a 0,25 m sull’orizzontale,
fino a 10,25 m. L’intervento così dimensionato garantisce di raggiungere FS=1,3
per spostamenti del ciglio di ~ 20 cm e quindi tutti i quattro meccanismi critici
sono stabilizzati. È necessario compiere delle verifiche sul pendio, in presenza
dell’opera stabilizzante. Infatti, inserendo i chiodi e modificando il sistema di
forge agenti, cambia l’equilibrio del sistema e questo può far insorgere nuovi
0
0,05
0,1
0,15
0,2
0,25
0 2 4 6 8 10 12 14
Uvc
iglio
[m
]
Hw [m]
Spostamento per avere Fs=1,3
S176
S182
S223
Esempio di calcolo
100 Bego Anna | Picchioni Silvia
cinematismi con FS minore di 1. Si forma un meccanismo di rottura in cima al
pendio, oltre la lunghezza dell’intervento (Figura 4.30).
Figura 4.30 Nuovo meccanismo critico oltre la lunghezza dell’intervento.
Di conseguenza è necessario applicare sul pendio un intervento di stabilizzazione
che si estenda oltre la lunghezza effettiva progettata e consegue che sono
necessarie azioni stabilizzanti lungo tutto il pendio.
Per aumentare FS di questa area si può continuare ad utilizzare il sistema
corticale: ovviamente sono sufficienti chiodi ben più corti, poiché essi devono
rendere stabile una superficie piccola e superficiale e anche la spaziatura richiesta
può essere aumentata. Scegliere di applicare lo stesso intervento lungo tutta la
lunghezza del pendio potrebbe essere più semplice a livello pratico, ma
rappresenterebbe sicuramente uno spreco di materiale. Dunque, per ottimizzare il
risultato anche in termini di costo, si può dimensionare un altro intervento
corticale seguendo esattamente lo stesso procedimento descritto fino ad ora, di
Esempio di calcolo
Bego Anna | Picchioni Silvia 101
cui non riproponiamo l’analisi che risulterebbe ridondante. Chiaramente, i chiodi
oltre LEFF = 14 m non si attiveranno per il meccanismo S176 né per gli altri 3, ma
le loro azioni sono fondamentali a stabilizzare la piccola superficie S133 e altri
meccanismi simili.
Altrimenti si può scegliere un diverso tipo di intervento. Ad esempio, si
potrebbero applicare interventi di ingegneria naturalistica, facendo uso della
vegetazione; oppure si potrebbe optare per opere di riprofilatura del versante.
Esempio di calcolo
102 Bego Anna | Picchioni Silvia
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 103
5. Metodo negli spostamenti
Nei capitoli precedenti si è studiato il pendio attraverso il metodo dell’equilibrio
limite (LEM) e il metodo ibrido; questi approcci forniscono risultati in termini di
Fattore di Sicurezza ma non forniscono informazioni riguardo l’evoluzione degli
spostamenti del pendio nel tempo.
Con l’equilibrio limite si è proposto un dimensionamento dell’intervento corticale
nelle condizioni più sfavorevoli, mentre con il metodo ibrido è stata studiata
l’evoluzione delle azioni stabilizzanti al crescere del campo di spostamenti. Lo
scopo diventa ora quello di valutare se l’intervento sia in grado di diminuire
l’entità delle velocità di spostamento del pendio in esame ed in quanto tempo,
come mostrato in Figura 5.1. È possibile in questo modo ottenere una stima
dell’efficienza a lungo termine del sistema di stabilizzazione scelto.
Figura 5.1 Confronto spostamenti con e senza intervento
Metodo negli spostamenti
104 Bego Anna | Picchioni Silvia
5.1. Modello rigido visco-plastico
Si considera il pendio ideale descritto al paragrafo 4.2 e per poterlo studiare con
un approccio negli spostamenti si adotta un Modello Rigido Visco-Plastico,
descritto nell’articolo Innovative performance-based design of slope stabilizing
piles for a railway embankment di Andrea Galli e Andrea Bassani (2018).
Si considera ancora una superficie di rottura circolare e si procede imponendo
l’equilibrio alla rotazione tra momento stabilizzante e momento instabilizzante,
ottenendo l’equazione di moto del sistema:
|𝑀𝑖𝑛𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑛𝑡𝑒 − 𝑀𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑛𝑡𝑒| = �̇�𝜂𝑅2
Dove:
�̇� è la velocità angolare del meccanismo che genera una rotazione rigida
oraria dal ciglio verso il piede del pendio.
Il momento instabilizzante è funzione della forza peso.
Il momento stabilizzante è funzione delle caratteristiche di resistenza del
terreno e delle pressioni dell’acqua.
η è il coefficiente di viscosità.
R è il raggio del meccanismo di rottura.
Nella realtà entrerebbero in gioco anche le forze inerziali, mentre nel caso
analizzato, volendosi riferire esclusivamente a spostamenti lenti e non a collassi
improvvisi, nell’equazione si trascurano i termini dinamici legati a brusche
accelerazioni.
Il coefficiente di viscosità η è un parametro che non si può calcolare
analiticamente o ricavare direttamente, ma è possibile ottenerlo tramite una back
analisys sui dati ottenuti da misurazioni effettuate in sito.
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 105
Si assume per semplicità che η rimanga inalterato sia prima che dopo
l’installazione dell’intervento corticale. Questa ipotesi risulta in generale molto
semplificativa, tuttavia può essere considerata accettabile nell’ambito dei sistemi
corticali; i chiodi infatti presentano un diametro molto piccolo paragonato
all’interasse e non vanno ad apportare eccessive modifiche alle caratteristiche del
terreno. Se a titolo di esempio venissero utilizzati i pali per stabilizzare, essi
apporterebbero modifiche sostanziali al comportamento del terreno in quanto la
loro rigidezza non risulta trascurabile; si avrebbe a che fare con un problema di
interazione struttura-terreno che porterebbe ad un aumento di η, rendendo non
accettabile l’ipotesi di considerarlo un parametro costante.
5.1.1. Calibrazione coefficiente di viscosità η
Quando si ha a che fare con lo studio della stabilità di pendii è fondamentale un
monitoraggio continuo degli spostamenti in modo da poter ricostruire la loro
evoluzione nel tempo e gli eventuali danni che ne possono conseguire. I cedimenti
devono infatti essere compatibili con le strutture presenti nell’area interessata; ad
esempio se fossero presenti infrastrutture o attività umane sulla sommità del
pendio è indispensabile che gli spostamenti siano ridotti il più possibile in modo
da poter diminuire sia la vulnerabilità di tale sistema che l’esposizione. Per poter
valutare l’impatto dei cedimenti è quindi opportuno installare un sistema di
monitoraggio continuo al fine di ottenere l’andamento completo delle velocità e
calibrare il coefficiente η tramite una back analisys.
Avendo a che fare con un caso puramente teorico ed ideale, non abbiamo a
disposizione dati di monitoraggio coi quali calibrare η; per tanto scegliamo di
ricostruire il profilo di velocità naturale del pendio, in assenza dell’intervento.
Immaginiamo che il punto di monitoraggio degli spostamenti sia il ciglio del
pendio.
Metodo negli spostamenti
106 Bego Anna | Picchioni Silvia
Considerando l’equazione di equilibrio dei momenti precedentemente riportata, il
momento instabilizzante è sempre costante poiché dipende unicamente dalle forze
peso coinvolte dal cinematismo, mentre il momento stabilizzante è composto da
due contributi:
1) 𝑀𝑠𝑡𝑎𝑏(φ’, c’) = 𝑀1 contributo legato ai parametri di resistenza a taglio del
terreno e perciò costante.
2) 𝑀𝑠𝑡𝑎𝑏(ω) = 𝑀2 contributo funzione dalla velocità angolare;
𝑀2 nasce quando si attiva l’intervento passivo. Il suo valore inizialmente è nullo
e cresce all’aumentare dello spostamento del pendio.
Per poter calibrare il parametro viscoso si deve quindi utilizzare l’equazione di
moto all’istante di tempo iniziale, ovvero in assenza di interventi di
stabilizzazione. Si considerano ancora i quattro meccanismi critici descritti nel
Capitolo 4: S176, S223, S182 e S169. Si potrebbero considerare infiniti
meccanismi ma in questo trattato vengono analizzate le 4 superfici critiche
ottenute facendo variare la falda. Si impone che la velocità di spostamento
verticale del ciglio del pendio non superi un valore massimo prestabilito. In questo
caso di studio si sceglie come velocità naturale del pendio un valore di 10
cm/anno.
I momenti instabilizzante e stabilizzante sono costanti poiché 𝑀2 è nullo in
assenza dell’intervento e l’equazione differenziale è facilmente risolvibile. Per
ognuno dei 4 meccanismi viene scritta l’equazione di moto e valutato lo
spostamento verticale del ciglio; la somma di questi spostamenti non deve
superare i 10 cm/anno:
𝑈𝑣 176 + 𝑈𝑣 182 + 𝑈𝑣 223 = 10 𝑐𝑚
Il meccanismo S169 non è presente nella composizione degli spostamenti poiché
non coinvolge il ciglio del pendio. Si risolve il sistema di equazioni facendo
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 107
variare il parametro η finché non viene raggiunto lo spostamento voluto. In questo
modo si trova il valore numerico di η:
𝜂 = 2.62 · 1011 𝑘𝑃𝑎 · 𝑠 = 8.32 · 103 𝑘𝑃𝑎 · 𝑎𝑛𝑛𝑜
5.2. Integrazione alle differenze finite dell’equazione
di moto
L’espressione dell’equilibrio dà origine a un’equazione differenziale ordinaria
(EDO) lineare del primo ordine nell’incognita ω.
Se si avesse a che fare con un’unica superficie di rottura a geometria fissa si
potrebbe risolvere l’equazione analiticamente. Tuttavia, come già specificato
vengono considerate allo stesso tempo le 4 superfici di interesse e quindi il
momento stabilizzante M1 varia per ogni meccanismo, mentre M2 continuerebbe
a cambiare a causa dell’aumento delle forze stabilizzanti al crescere degli
spostamenti. Non è possibile quindi ricavare la soluzione analiticamente: è
necessario procedere tramite un’integrazione alle differenze finite.
Come primo passo si devono ricostruire i campi di velocità da cui ricavare gli
spostamenti del terreno. Nel caso più semplice di un pendio monodimensionale
infinitamente esteso il profilo di velocità è di tipo parabolico e dipende dalla
coordinata di profondità e per poterlo ottenere si deve procedere integrando lungo
lo strato.
Avendo a che fare con un pendio bidimensionale, la ricerca del campo di velocità
risulta più complessa ma necessaria per ottenere gli spostamenti che vanno a
caricare la rete del sistema corticale.
Per ognuno dei quattro meccanismi di rottura si ricostruisce il profilo di velocità
lungo il pendio: per meccanismi rotazionali il campo di velocità risultante è di
tipo triangolare “a farfalla”. I quattro profili vengono sommati dando origine alla
Metodo negli spostamenti
108 Bego Anna | Picchioni Silvia
composizione del campo risultante che permette di ottenere per ogni chiodo lo
spostamento che attiva la rete. Come atteso, oltre alla lunghezza effettiva Leff di
ogni meccanismo il valore di velocità diventa negativo come mostrato in Figura
5.2 e quindi la composizione potrebbe risultare anch’essa negativa. Per
spostamenti negativi che generano forze di compressione, la rete e i chiodi non si
attivano e quindi la risultante delle velocità viene annullata quando il suo valore
passa da positivo a negativo.
Figura 5.2 Composizione del campo di velocità all’istante iniziale per i 4 meccanismi critici.
Al crescere di ω si ottiene lo spostamento normale al pendio Un il quale è
utilizzato per trovare, tramite la curva caratteristica, la forza Qi che genera a sua
volta il momento M2(ω).
Si può procedere quindi con un’integrazione esplicita alle differenze finite per
risolvere l’equazione di moto:
|𝑀𝑖𝑛𝑠𝑡 − 𝑀1 − 𝑀2(𝜔)| = 𝜂�̇�𝑅2
-5,50E-05
-5,00E-06
4,50E-05
9,50E-05
1,45E-04
1,95E-04
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
Vel
oci
tà [
m/g
iorn
o]
x [m]
Campo di velocità al tempo iniziale
S176
S182
S223
S169
Composizione CampoVelocità
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 109
All’istante di tempo iniziale t0, non essendo ancora avvenuti spostamenti, la forza
Qi è nulla e di conseguenza anche il momento 𝑀2(𝜔). Si risolve facilmente
l’equazione, ottenendo il valore della velocità angolare iniziale 𝜔0̇ la quale,
moltiplicata per il passo di discretizzazione temporale scelto Δt, ci fornisce il
primo valore di spostamento totale del ciglio in direzione verticale.
All’istante di tempo successivo t1=t0+ Δt, essendo avvenuti spostamenti, la forza
Qi=Q1 non è più nulla ed è in grado di produrre un momento 𝑀2(𝜔) ≠ 0 che
andrà a sua volta a diminuire gradualmente il valore di Δ�̇�; in t1 viene calcolato
Δ�̇�1 da cui 𝛥𝜔1 = Δ �̇� 1 ·Δt. La rotazione totale al tempo è 𝜔1𝑇𝑂𝑇 = 𝜔0 + 𝛥𝜔1.
Moltiplicando 𝜔1𝑇𝑂𝑇 per la distanza tra il centro di rotazione e il ciglio (Rc) di
ciascun meccanismo e scomponendolo lungo la direzione verticale si ottiene lo
spostamento del ciglio Uvciglio= US176+US182+US223.
La superficie S169 è considerata unicamente per poter calcolare il campo di
velocità totale ma non per lo spostamento del ciglio poiché non lo comprende.
Come ultimo passo per l’istante temporale t1 da 𝛥𝜔1 si ottiene l’incremento di
spostamento normale 𝛥𝑢𝑛1, da cui 𝑢𝑛1𝑇𝑂𝑇 = 𝑢0 + 𝛥𝑢𝑛1. Noti gli spostamenti
totali di ogni meccanismo si ricostruisce nuovamente la composizione delle
velocità degli spostamenti; noti questi ultimi è possibile ricavare il nuovo valore
della forza Q2 dalla curva caratteristica. Con il nuovo sistema di forze si passa
allo step temporale successivo. Si procede in questo modo fino all’istante di
tempo tn desiderato ottenendo così l’andamento dello spostamento del ciglio nel
tempo. In presenza del sistema corticale ci si aspetta una diminuzione della
velocità del pendio e se così non fosse significherebbe che l’efficienza
dell’intervento non è tale da garantire la stabilizzazione desiderata. L’obiettivo è
quello di arrestare il moto del sistema fino ad ottenere un valore di �̇� nullo
perlomeno di valutare un tempo T90 in cui si riesca a diminuire del 90% il suo
valore.
Metodo negli spostamenti
110 Bego Anna | Picchioni Silvia
5.3. Risultati con spaziatura S=1.75 m
Si considera il pendio nuovamente nella situazione peggiore, ovvero quando la
falda è fissa ad una altezza di 14 m dal piede del pendio.
Lo scopo è quello di valutare l’efficienza dell’intervento corticale nel tempo. Nel
corso dell’elaborato inizialmente è stata proposta una progettazione allo stato
limite ultimo (SLU) ed è stata eseguita una verifica tramite il metodo ibrido dalla
quale è emerso che per poter ottenere un fattore di sicurezza pari circa a 1,3 è
necessario utilizzare una “spaziatura ottimale” di 1,75 m e sono necessari circa
20 cm di spostamento. L’obiettivo ora è quello di analizzare lo stesso intervento
ma tramite un approccio evolutivo negli spostamenti in cui non si mira più ad
ottenere il fattore di sicurezza ma l’efficienza nel tempo.
Il procedimento per poter calcolare l’evoluzione nel tempo dello spostamento del
pendio è il medesimo descritto nei paragrafi precedenti, ovvero è stata utilizzata
un’integrazione alle differenze finite. Il coefficiente di viscosità è stato già
calibrato nel Paragrafo 5.1.1. e le superfici considerate sono le quattro critiche.
Per poter valutare il momento stabilizzante 𝑀2(𝜔) è necessario conoscere la
geometria dell’intervento in modo da utilizzare la curva caratteristica corretta,
scalata per la spaziatura adeguata, e poter valutare le forze che si generano nei
vari chiodi Qi.
𝑄𝑖 =N̅
S1S2∆li [
kN
m]
Dal valore della composizione degli spostamenti si ricava in ogni chiodo la forza
risultante Qi di Figura 5.3, la quale moltiplicata per il proprio braccio fornisce il
valore del momento.
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 111
Figura 5.3 Curva caratteristica scalata per la spaziatura 1,75 m dalla quale ottenere le forze Q.
Nei vari step temporali il valore dello spostamento totale in direzione del chiodo
unTOT aumenta e di conseguenza anche il valore della forza stabilizzante, mentre
la velocità angolare diminuisce.
Il passo di integrazione temporale scelto è Δt =20 giorni.
Procedendo quindi come descritto nel Paragrafo 5.2 per una finestra temporale
pari a 4 anni ed utilizzando una spaziatura per l’intervento di 1,75 m i risultati
ottenuti sono riportati in Figura 5.4.
0
20
40
60
80
100
120
0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35
Q [
kN]
Spostamento [m]
Q per Spaziatura 1,75 m
Metodo negli spostamenti
112 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 5.4 Spostamenti verticali del ciglio del pendio per una spaziatura di 1,75 m.
L’andamento lineare della curva rossa rappresenta lo spostamento che il pendio
avrebbe in assenza di intervento e di contributi viscosi mentre la curva nera
rappresenta l’andamento degli spostamenti in presenza dell’intervento
stabilizzante.
Dal grafico si può notare che le due curve si ricalcano nel primo tratto e sono
pressoché sovrapposte fino a circa 160 giorni, poiché l’intervento non è ancora
stato pienamente attivato dato che il valore degli spostamenti è ancora limitato.
E’ evidente che l’intervento tende a diminuire la velocità del pendio anche se non
è in grado di arrestarla completamente, poiché per poterla fermare si dovrebbe
raggiungere un plateau circa orizzontale. La velocità iniziale del pendio è di 0,27
mm/giorno e dopo un anno dall’applicazione dell’intervento si raggiunge un
valore di 0,205 mm/giorno che corrisponde ad una diminuzione del 25%. E’
0
0,04
0,08
0,12
0,16
0,2
0,24
0,28
0,32
0,36
0,4
0 80 160 240 320 400 480 560 640 720 800 880 960 1040 1120 1200 1280 1360 1440
Uvc
[m
]
Tempo [giorni]
Spostamenti verticali del ciglio per spaziatura 1,75 m
Spostamento Naturale Pendio
Spostamenti Pendio
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 113
possibile calcolare ogni anno il valore delle velocità ed i risultati sono riportati in
Tabella 5.1.
Anno Velocità [mm/giorno] Riduzione velocità [%]
0 0,27 -
1 0,205 25
2 0,167 38,8
3 0,144 47,5
4 0,13 52,8 Tabella 5.1 Riduzione velocità del pendio attraverso l’intervento per S=1,75 m.
Dopo quattro anni dall’applicazione del sistema corticale la velocità è poco più
che dimezzata. Gli spostamenti sono stati notevolmente ridotti ma tuttavia il
processo di movimento risulta ancora in atto; bisogna quindi valutare le esigenze
di progettazione, ovvero se l’obiettivo sia quello di arrestare il movimento o se
basti solamente ridurre gli spostamenti.
Da questi risultati è ben visibile la differenza sostanziale tra le informazioni che
è possibile ricavare dai vari approcci adottati:
Se si considera che l’intervento possa trasmettere la massima pressione
disponibile, allo stato limite ultimo esso garantisce un fattore di sicurezza
sempre sopra il limite imposto.
Con il Metodo Ibrido si comprende la necessità di sviluppare spostamenti
per aumentare la stabilità: si ottiene un Fattore di Sicurezza pari a 1,3 a
patto di sviluppare spostamenti dell’ordine di 20 cm.
Con il Metodo negli spostamenti è possibile notare che l’intervento così
progettato non è in grado di arrestare completamente il movimento del
pendio e che per stabilizzarlo serve molto tempo.
Metodo negli spostamenti
114 Bego Anna | Picchioni Silvia
Discretizzazione temporale
Per poter aumentare l’accuratezza della soluzione si potrebbe raffinare il passo di
discretizzazione Δt. E’ stata eseguita una prova anche utilizzando un Δt= 10 giorni
come riportato in Figura 5.5.
Figura 5.5 Differenza tra due differenti passi di integrazione temporale.
Si può notare come, dimezzando il passo temporale, la differenza sia
impercettibile poiché le due curve tendono a ricalcarsi. Utilizzare un Δt =20 giorni
risulta pertanto essere adeguato.
0
0,02
0,04
0,06
0,08
0,1
0,12
0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220 240 260 280 300 320 340 360
Uvc
[m
]
Tempo [giorni]
Confronto Discretizzazioni Temporali
Spostamento Naturale Pendio
Uvc dt=20 giorni
Uvc dt=10 giorni
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 115
5.3.1. Profili di velocità e forze della rete
E’ interessante inoltre valutare la variazione dei profili di velocità lungo il profilo
del pendio nel tempo (Figura 5.6). Riportando unicamente la composizione totale
del campo di velocità, al tempo iniziale i valori corrispondono a quelli di Figura
5.2. e all’aumentare del tempo la curva, pur mantenendo la stessa forma, tende a
traslare verso il basso proprio perché l’intervento ha lo scopo di diminuire tale
valore.
Figura 5.6 Andamento profili di velocità lungo il pendio negli anni.
Al contrario la forza stabilizzante Q (per unità di profondità) nel tempo tende ad
aumentare gradualmente. Inizialmente l’andamento risulta essere simile a quello
delle velocità, presentando una forma circa triangolare: come ci si aspetta i chiodi
al piede del pendio, subendo spostamenti maggiori, sviluppano forze maggiori.
Tuttavia, all’aumentare del tempo e di conseguenza degli spostamenti,
l’andamento si discosta da quello triangolare poiché i chiodi maggiormente
sollecitati tendono verso il valore del carico di snervamento, come mostrato in
Figura 5.7.
0,00E+00
5,00E-05
1,00E-04
1,50E-04
2,00E-04
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
Vel
oci
tà [
m/g
iorn
o]
x [m]
Profilo velocità nel tempo
t= 0 giorni
t= 1 anno
t= 2 anni
t= 3 anni
t= 4 anni
Metodo negli spostamenti
116 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 5.7 Andamento profili di pressione lungo il pendio negli anni.
Verifica a snervamento della rete
Dalla curva delle Qi di Figura 5.8 è possibile ricavare il valore del carico di
snervamento per l’intervento in analisi che corrisponde a circa 110 kN/m.
Inizialmente la distribuzione delle forze ha forma triangolare in accordo con
quanto già verificato col metodo ibrido, ma man mano che si sviluppano
spostamenti essa tende ad incurvarsi. Quando si progetta allo SLU si ipotizza
implicitamente una perfetta duttilità dell’acciaio delle inclusioni e della rete,
anche se questo non risulta essere del tutto realistico. Arrivato allo snervamento
il sistema riesce a resistere per un certo lasso di tempo grazie alla propria riserva
di duttilità ma gradualmente giunge a rottura e non risulta più utilizzabile. Per
quanto viene ipotizzato nel progetto allo stato limite ultimo l’andamento dovrebbe
passare da triangolare a rettangolare, ovvero si dovrebbe arrivare ad avere una
pressione uniforme in cui tutti i chiodi trasmettano il carico limite. Nella realtà
non può avvenire poiché nessun tipo di acciaio presenta caratteristiche di infinita
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
120
0,25 1,5 2,75 4 5,25 6,5 7,75 9 10,25
Q [
kN/m
]
x [m]
Profilo Q
t=0 giorni
t= 1 anno
t= 2 anni
t= 3 anni
t=4 anni
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 117
duttilità e raggiunto il limite, accumulate grandi deformazioni, esso collassa. Si
dovrebbe quindi verificare che l’elemento strutturale, ovvero il sistema composto
da chiodi e rete, sia giunto ad uno stato tensionale tale da provocarne la rottura.
Si può affermare che l’intervento proposto dopo un arco temporale di quattro anni
sia vicino a raggiungere il proprio limite nel secondo e nel terzo chiodo e che
quindi l’efficienza sia limitata e non più garantita per gli anni a venire.
5.4. Risultati con Spaziatura S=1 m.
Dai risultati proposti nel Paragrafo precedente è emerso che l’intervento con
spaziatura 1,75 m non è in grado di arrestare completamente il moto franoso. Se
l’obiettivo della progettazione è volto a ridurre gli spostamenti, allora tale
intervento può essere adatto, ma nel caso in cui si voglia arrestare il movimento è
necessario studiare una soluzione che sia in grado di garantire, entro le
tempistiche stabilite dal progettista, che il pendio si trovi in completa sicurezza.
Come ulteriore esempio si è scelto un intervento con una spaziatura minore S = 1
m. Esso è in grado di fornire forze notevolmente maggiori rispetto alla spaziatura
precedente come si può notare dalla curva rossa di Figura 5.8. Si passa da un
valore massimo di 110 kN/m ad uno di 360 kN/m.
Metodo negli spostamenti
118 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura5.8 Confronto curve Q per due differenti spaziature.
Utilizzando esattamente lo stesso metodo di integrazione ma servendosi dei nuovi
valori della forza Q riferiti alla nuova spaziatura, si ottengono i risultati mostrati
in Figura 5.9.
0
40
80
120
160
200
240
280
320
360
400
0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35
Q [
kN/m
]
Spostamento [m]
Forza Q
S=1.75 m
S=1 m
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 119
Figura 5.9 Confronto interventi con spaziature differenti.
E’ possibile ricalcolare per ogni anno i nuovi valori delle velocità (Tabella 5.2).
Anno Velocità [mm/giorno] Riduzione velocità [%]
0 0,27 -
1 0,14 48,1
2 0,08 71,3
3 0,04 84,1
4 0,03 90,5 Tabella 5.2 Riduzione velocità del pendio attraverso l’intervento per S=1 m.
Dall’analisi delle velocità nel corso degli anni è evidente come questo intervento
sia in grado di arrestare il moto franoso. Viene infatti ottenuta una diminuzione
del 90% delle velocità rispetto al caso in cui non sia presente l’intervento,
chiaramente visibile dal raggiungimento del plateau circa orizzontale. Il T90
(tempo necessario per una diminuzione del 90%) è quindi pari a quattro anni. E’
0
0,04
0,08
0,12
0,16
0,2
0,24
0,28
0,32
0,36
0,4
0 80 160 240 320 400 480 560 640 720 800 880 960 1040 1120 1200 1280 1360 1440
Uvc
[m
]
Tempo [giorni]
Confronto Spaziature
Spostamento Naturale Pendio
S=1 m
S=1.75 m
Metodo negli spostamenti
120 Bego Anna | Picchioni Silvia
necessario valutare tuttavia se questo tempo sia accettabile o se i risultati richiesti
siano ottenibili in tempistiche notevolmente inferiori.
Nel corso dell’analisi è emerso che dopo 520 giorni la superficie S169 viene
completamente stabilizzata, ovvero il momento stabilizzante pareggia quello
instabilizzante, mentre la S223 dopo 1260 giorni. Il loro contributo nel calcolo
degli spostamenti che attivano le forze dei chiodi risulta quindi nullo e
progressivamente si arriva alla stabilizzazione completa del pendio.
E’ possibile infine confrontare i profili di velocità e pressione ottenuti tramite i
due differenti interventi come riportato in Figura 5.10 e 5.11.
Figura 5.10 Confronto profili velocità per le due diverse spaziature.
La differenza è sostanziale in quanto l’intervento con spaziatura 1 m già in un
anno raggiunge le velocità ottenute dopo tre anni con la spaziatura 1,75 m.
L’efficienza di tale intervento risulta essere quindi notevolmente migliore.
Per quanto riguarda le forze di stabilizzazione, come ci si attende, il
comportamento è esattamente l’opposto (Figura 5.11):
0,00E+00
5,00E-05
1,00E-04
1,50E-04
2,00E-04
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
Spo
stam
ento
[m
]
x [m]
ConfrontoProfilo Velocità
t= 0 giorni
t= 1 anno S= 1 m
t= 1 anno S= 1.75 m
t= 2 anni S= 1 m
t= 2 anni S= 1.75 m
t= 3 anni S= 1 m
t= 3 anni S= 1.75 m
t= 4 anni S=1 m
t= 4 anni S= 1.75 m
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 121
Figura 5.11 Confronto andamento profili di pressione lungo il pendio negli anni per le due differenti
spaziature.
Diminuendo la spaziatura, le forze risultano essere quasi il doppio rispetto alla
spaziatura precedente e l’andamento risulta ancora prettamente triangolare: si è
ben lontani dal raggiungimento del limite di snervamento del sistema.
5.5. Risultati con variazione della falda
Per concludere lo studio finora descritto si vuole avvicinare la soluzione il più
possibile ad un caso reale. A tal fine si fa variare la posizione della falda, la quale
è legata alla stagionalità delle piogge. Raramente infatti il livello dell’acqua
rimane costante nel tempo ma al contrario tende ad avere una variazione
stagionale dovuta all’apporto idrico delle piogge nei mesi invernali e ad un
abbassamento dovuto all’inaridimento del suolo nei periodi estivi. Nel capitolo
precedente si era mantenuta fissa l’altezza della falda alla quota di 14 m, come se
il pendio risultasse sommerso durante il corso degli anni.
0
25
50
75
100
125
150
175
200
225
0,25 1,5 2,75 4 5,25 6,5 7,75 9 10,25
Q [
kN/m
]
x [m]
Confronto Profilo Q t=0 giorni S= 1.75 m
t= 0 giorni S= 1 m
t=1 anno S= 1.75 m
t= 1 anno S= 1 m
t= 2 anni S= 1.75 m
t= 2 anni S= 1 m
t= 3 anni S= 1.75 m
t= 3 anni S= 1 m
t= 4 anni S= 1.75 m
t=4 anni S= 1 m
Metodo negli spostamenti
122 Bego Anna | Picchioni Silvia
Si ricostruisce una variazione annua che risulti ragionevole e consona ai vari mesi:
pertanto si sceglie un livello maggiore nei mesi più freddi e minore in periodi di
siccità, come i mesi estivi (Figura 5.12).
Figura 5.12 Andamento della falda nel corso dei quattro anni.
L’andamento è di tipo sinusoidale nel tempo, ma per semplicità nell’analisi si è
utilizzato un andamento a tratti per rappresentare l’abbassamento e l’aumento
della falda come mostrato in Figura 5.12. Il passo di discretizzazione temporale
rimane invariato e pari a 20 giorni; il livello piezometrico viene mantenuto
costante per 3 step temporali, ovvero per due mesi. Ogni due mesi è stata quindi
ipotizzata una diminuzione o un aumento di 2 m del livello di falda. Avendo a che
fare con un terreno di tipo sabbioso, una tale variazione del livello dell’acqua può
essere ritenuta accettabile poiché il materiale, essendo molto permeabile, è in
grado di drenare velocemente l’acqua; pertanto si può eseguire l’analisi in
condizioni drenate, senza l’insorgere di sovrappressioni. Se si avesse a che fare
con un terreno argilloso non sarebbe consono ipotizzare una repentina
0
2
4
6
8
10
12
14
0 80 160 240 320 400 480 560 640 720 800 880 960 1040 1120 1200 1280 1360 1440
Hw
[m
]
Tempo [Giorni]
Andamento stagionale della falda
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 123
diminuzione del livello idrico poiché il terreno presenterebbe un bassissimo
valore di conducibilità idraulica.
Prima di poter iniziare un’analisi in presenza dell’intervento, è necessario
ricalcolare l’evoluzione naturale dello spostamento in assenza di intervento. Nel
caso con falda costante infatti, per calibrare il coefficiente di viscosità, si era
semplicemente fissato limite di velocità a 10 cm/anno, componendo i 4
meccanismi. Questo non può essere più il limite di riferimento poiché variando
l’altezza di falda varia il momento stabilizzante M1, mentre per quando riguarda
quello instabilizzante esso rimane costante essendo legato al peso del terreno.
Mantenendo il valore di η invariato e pari a 8,32·103 kPa/anno, si ricalcola il
valore del limite di spostamento del ciglio, ricalcolando per ogni altezza il valore
di M1. Come emerge dalla linea tratteggiata di Figura 5.13, l’andamento non
risulta più essere lineare ma “ondulatorio” e periodico.
Figura 5.13 Confronto spostamenti limite del pendio con falda costante e non nel tempo.
0
0,04
0,08
0,12
0,16
0,2
0,24
0,28
0,32
0,36
0,4
0 80 160 240 320 400 480 560 640 720 800 880 960 104011201200128013601440
Uvc
[m
]
Tempo [giorni]
Spostamenti naturali verticali del ciglio
Oscillazione Falda
Falda Costante
Metodo negli spostamenti
124 Bego Anna | Picchioni Silvia
E’ possibile notare in corrispondenza dei brevi tratti orizzontali del grafico che
quando Hw= 8 m, ovvero nei mesi estivi, il pendio risulta essere sempre fermo,
poiché il momento stabilizzante pareggia quello instabilizzante in tutti i quattro
meccanismi.
5.5.1. Spaziatura 1,75 m
Trovato il limite di spostamento, è possibile considerare l’effetto dell’intervento
di stabilizzazione. Come primo esempio viene riportato quello con spaziatura
S=1,75 m di Figura 5.14.
Figura 5.14 Spostamenti del pendio con S=1,75 m e variazione della falda.
Come già esposto, i tratti orizzontali rappresentano i periodi in cui il pendio risulta
fermo. Gli spostamenti e le velocità angolari pertanto non aumentano, producendo
incrementi nulli che non sono in grado di far aumentare la forza di stabilizzazione
0
0,02
0,04
0,06
0,08
0,1
0,12
0,14
0,16
0,18
0 80 160 240 320 400 480 560 640 720 800 880 960 1040 1120 1200 1280 1360 1440
Uvc
[m
]
Tempo [giorni]
Spostamenti verticali del ciglio
Spostamento Naturale Pendio
Spostamento con Oscillazione Falda
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 125
del sistema corticale. In questi intervalli di tempo l’intervento è inattivo e
mantiene la propria forza costante. Lo spostamento viene ridotto rispetto al valore
limite, ma il movimento franoso non viene arrestato, esattamente come nel caso
in cui la falda rimane fissa a 14 m. Il sistema inoltre risulta ancora ben lontano
dal limite di snervamento poiché gli spostamenti maggiori avvengono solamente
durante i mesi in cui la falda sale a livelli più elevati, come mostrato in Figura
5.15. Dopo quattro anni, il valore delle forze sviluppate è differente nei due casi.
Nel caso di falda che varia, l’andamento risulta ancora triangolare, mentre con
falda a 14 m il secondo e terzo chiodo sviluppano forze con un valore tendente al
limite di snervamento di 110 kN/m. Nel caso in esame, l’efficienza del sistema
risulta essere inferiore e il tempo di stabilizzazione aumenta notevolmente. Infatti,
per poter raggiungere valori maggiori della Q, si devono sviluppare ancora
ulteriori cedimenti, proprio perché la rete si attiva solo in alcuni mesi.
Figura 5.15 Confronto forze dopo 4 anni con forzanti idrauliche differenti.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
120
0,25 1,5 2,75 4 5,25 6,5 7,75 9 10,25
Q [
kN/m
]
x [m]
Profilo Q a t= 4 anni
Variazione Falda
Falda Costante
Limite S = 1.75 m
Metodo negli spostamenti
126 Bego Anna | Picchioni Silvia
5.5.2. Spaziatura 1 m
Per poter paragonare nuovamente due interventi differenti, è stata riproposta la
spaziatura inferiore di 1 m. Come esposto nel paragrafo 5.4. questo intervento era
in grado di apportare una diminuzione del 90% alle velocità del pendio entro 4
anni. Viene ora effettuata un’analisi modificando il livello piezometrico e si
mettono a confronto i risultati con quelli ottenuti nel paragrafo precedente (Figura
5.16).
Figura 5.16 Confronto interventi con spaziature differenti facendo variare il livello piezometrico.
Utilizzando la spaziatura 1 m lo spostamento viene quasi dimezzato rispetto al
valore limite ed alla spaziatura 1,75 m; tuttavia facendo variare il livello di falda
non risulta possibile in quattro anni fermare il movimento poiché gli spostamenti
nei periodi invernali sono ancora di entità non trascurabile.
0
0,02
0,04
0,06
0,08
0,1
0,12
0,14
0,16
0,18
0 80 160 240 320 400 480 560 640 720 800 880 960 1040 1120 1200 1280 1360 1440
Uvc
[m
]
Tempo [giorni]
Spostamenti verticali del ciglio
Spostamento Naturale Pendio
S= 1 m
S= 1.75 m
Metodo negli spostamenti
Bego Anna | Picchioni Silvia 127
Si vuole infine mettere in evidenza le differenze presenti con spaziatura 1 m
mantenendo fissa e facendo variare il livello di falda (Figura 5.17).
Figura 5.17 Confronto medesimo intervento con falda variabile e costante.
Mantenendo fissa la posizione della falda, è stato possibile stabilizzare il pendio;
facendola variare stagionalmente è evidente che il movimento, seppur rallentato,
non viene totalmente arrestato. Il motivo di tale differenza è da ricercarsi
nell’entità degli spostamenti prodotti; essendo il pendio periodicamente fermo,
non vengono sviluppati grandi cedimenti e la curva caratteristica non viene
sfruttata appieno. Mettendo a confronto i profili della forza Q (Figura 5.18) dopo
quattro anni con falda costante e falda che oscilla, è possibile constatare che la
differenza è sostanziale. Per poter arrestare completamente il moto è necessario
ancora del tempo.
0
0,04
0,08
0,12
0,16
0,2
0,24
0,28
0,32
0,36
0,4
0 80 160 240 320 400 480 560 640 720 800 880 960 1040 1120 1200 1280 1360 1440
Uvc
[m
]
Tempo [giorni]
Confronto Spostamenti S= 1 m
Spostamento Naturale conVariazione FaldaSpostamento con VariazioneFaldaSpostamento Naturale con Hw=14 mSpostamento Hw= 14 m
Metodo negli spostamenti
128 Bego Anna | Picchioni Silvia
Figura 5.18 Confronto forze dopo 4 anni con forzanti idrauliche differenti.
Si può concludere affermando che facendo variare la falda, il tempo necessario
ad un arresto del movimento è maggiore e si deve quindi valutare se esso sia
accettabile o meno. Per poter ovviare a questo problema si potrebbe pensare di
abbassare la falda tramite interventi di ingegneria idraulica, per esempio
inserendo dreni o pozzi, o di ingegneria naturalistica. Il compito del progettista
sarà quello di valutare le tempistiche e gli interventi accettabili per il caso in
esame.
0
40
80
120
160
200
240
280
320
360
400
0,25 1,5 2,75 4 5,25 6,5 7,75 9 10,25
Q [
kN/m
]
x [m]
Profilo Q a t=4 anni
Variazione Falda
Falda costante
Limite S = 1 m
Conclusioni
Bego Anna | Picchioni Silvia 129
6. Conclusioni
Nel corso dell’elaborato si è studiato un pendio ideale bidimensionale adottando
differenti approcci, utilizzando come intervento di stabilizzazione i sistemi
corticali.
Si è considerata una perturbazione idraulica del sistema, variando l’altezza della
falda, Hw, e si sono così ottenuti i cinematismi critici a cui si è fatto riferimento
nel corso delle analisi. Dagli andamenti degli FS al crescere di Hw è stato
individuato un inviluppo critico.
Per descrivere il funzionamento della rete corticale abbiamo fatto riferimento ai
dati ricavati dalle analisi dell’articolo di Di Prisco, Besseghini, Viganò.
Per progettare l’intervento stabilizzante, in primo luogo si è adottato l’equilibrio
limite, che ha permesso di trovare la pressione necessaria a portare il fattore di
sicurezza del pendio a 1,3 e a dimensionare la lunghezza dell’intervento. Con
questo primo approccio, l’effetto della rete è stato tenuto in conto come carico
ultimo ricavato dalle curve caratteristiche riportate nell’articolo. La pressione
stabilizzante è stata considerata uniformemente distribuita lungo l’intera
lunghezza dell’opera, ottenendo fattori di sicurezza superiori in ogni caso al limite
di sicurezza di 1,3. Lo studio allo stato limite ultimo, seppur verificando tutti i
limiti di sicurezza, non sempre verifica i requisiti di funzionalità, poiché non è
realistico immaginare che sul pendio agisca una pressione ovunque uniforme e
pari a quella massima ottenibile dall’intervento.
Il reale funzionamento della rete è stato studiato con il metodo ibrido: infatti, per
studiare la natura passiva di tale intervento, insorge la necessità di studiare il
sistema con un metodo ibrido, considerando la relazione tra le forze stabilizzanti
e gli spostamenti del terreno. Un sistema passivo trasmette le forze stabilizzanti
al terreno instabile qualora si possano mobilitare degli spostamenti. Le forze
stabilizzanti aumentano al crescere degli spostamenti concessi al pendio, e
Conclusioni
130 Bego Anna | Picchioni Silvia
all’aumentare di tali forze consegue l’aumento del fattore di sicurezza globale. In
questo caso si è usata la curva caratteristica del sistema come strumento per
ricavare le azioni stabilizzanti in funzione degli spostamenti. Abbiamo verificato
l’importanza della spaziatura, mettendo in luce il suo effetto non solo sulla
sicurezza e sull’aumento di FS, ma anche sugli spostamenti del terreno necessari
all’attivazione della rete, aspetto legato all’efficienza dell’intervento.
Tenendo conto di questo infatti, l’analisi deve anche permettere di valutare se gli
spostamenti richiesti dal sistema siano adeguati, così da giungere a
un’ottimizzazione progettuale variando la spaziatura. È chiaro quindi che il
progetto deve essere eseguito non solo in modo che sia in grado di prevenire il
possibile crollo, ma anche che l’opera progettata possa attivare la propria azione
stabilizzante per spostamenti accettabili.
Sebbene con l’equilibrio limite e con il metodo ibrido sia possibile dimensionare
un intervento che stabilizzi il pendio, nessuna informazione si può ricavare
riguardo l’evoluzione del moto del terreno, né si può verificare se l’opera così
progettata sia in grado di rallentarne la velocità. Per ottenere un progetto completo
che tenga conto di tutti questi aspetti, occorre quindi fare un passo in più:
considerando l’equazione del moto del pendio, si può ricostruire l’andamento
degli spostamenti nel tempo dopo l’installazione della rete. Si è studiato il
medesimo pendio ideale, caratterizzato ora da un comportamento rigido-
viscoplastico. Dall’equilibrio alla rotazione del sistema si ricava l’equazione del
moto per diversi cinematismi; questo metodo permette di considerare non
un’unica superficie di rottura, ma contemporaneamente prende in considerazione
i campi di velocità dati dalla composizione di molteplici superfici critiche,
risultando così un metodo evolutivo negli spostamenti. Trascurando gli effetti
dinamici e considerando il contributo viscoso del terreno, governato dal
coefficiente , si ottiene un’equazione differenziale ordinaria la quale viene
risolta in maniera discreta alle differenze finite. Il risultato è l’andamento degli
spostamenti del terreno dopo l’installazione dell’intervento. Confrontando
Conclusioni
Bego Anna | Picchioni Silvia 131
l’evoluzione delle velocità di spostamento prima e dopo l’applicazione della rete,
è possibile valutare l’efficienza dell’opera anche in termini di tempo necessario
ad ottenere l’obiettivo.
Si è valutata quindi l’efficienza dell’intervento, ovvero se esso sia in grado di
ridurre le velocità del pendio attraverso le proprie forze stabilizzanti.
Inizialmente si è mantenuta fissa la posizione della falda a 14 m e si sono
confrontati due interventi, con spaziatura 1,75 m e 1 m. E’ emerso che l’intervento
con spaziatura 1.75 m, che studiato con il metodo ibrido era in grado di garantire
largamente la stabilità del pendio, non può arrestare completamente il moto
franoso. Dopo quattro anni dall’installazione, le velocità sono dimezzate rispetto
alla situazione iniziale, ma anche in questo ampio lasso di tempo, l’opera non è
sufficiente a garantire l’arresto del movimento. Considerando invece la spaziatura
di 1 m, dopo quattro anni il moto del pendio viene arrestato.
Come ulteriore analisi, è stata fatta variare la falda con periodicità stagionale, da
un’altezza di 14 m a partire da gennaio, fino a 8 m per i mesi estivi. A differenza
del caso precedente a falda fissa, nessuno dei due interventi si è rivelato in grado
di arrestare il moto, nemmeno dopo quattro anni. Il motivo di questa differenza è
da ricercarsi nell’entità degli spostamenti del pendio, maggiori nei mesi invernali,
in cui le pressioni dell’acqua diminuiscono drasticamente la stabilità, e minori in
quelli estivi, in cui il pendio si trova in condizioni di equilibrio. Il sistema quindi
viene sfruttato solo in determinati periodi dell’anno, mentre non viene attivato
quando il pendio si trova in equilibrio. La presenza della rete, a differenza del
caso precedente, non viene sfruttata appieno e entrambi gli interventi necessitano
di tempi maggiori. Nonostante le velocità vengano soltanto parzialmente ridotte ,
un ottimo risultato si ottiene in termini di spostamenti totali, i quali diminuiscono
notevolmente.
Accanto ai profili delle velocità nel tempo, sono stati analizzati gli andamenti
delle forze sviluppate dalla rete. Questo ha messo in luce la grande differenza col
metodo allo stato limite ultimo: quest’ultimo prevedeva una distribuzione
Conclusioni
132 Bego Anna | Picchioni Silvia
rettangolare uniformemente distribuita sul pendio, mentre con l’approccio negli
spostamenti abbiamo ottenuto la reale distribuzione delle forze, più vicina a un
andamento triangolare. Inoltre, per utilizzare il metodo dell’equilibrio limite,
abbiamo dovuto ipotizzare un’infinita duttilità della rete metallica, ma questa
semplificazione nella realtà può non essere accettabile. Col il metodo negli
spostamenti si può infatti tenere conto di un comportamento più reale,
ricostruendo l’andamento delle forze al passare del tempo.
In conclusione, è possibile affermare che le analisi svolte hanno messo in luce
limiti e potenzialità dei differenti approcci: la scelta del metodo di progetto deve
essere commisurata alle esigenze del problema e all’obiettivo che si vuole
ottenere.
Bibliografia
Bego Anna | Picchioni Silvia 133
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