Apprendimento esperienziale, il quarto sapere, un bene · PDF fileLa formazione esperienziale...
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Quitadamo Filippo – saggio: apprendimento esperienziale 1
Apprendimentoesperienziale, ilquartosapere,un
benecomune.
La quotidianità ci offre tante forme di apprendimento esperienziale (experiential learning),
approccio diffuso a livello internazionale che assume l’esperienza come criterio ordinatore della
formazione. Le esperienze sono oggi accelerate, frammentate, virtuali, spesso contradittorie; non
più trasmissibili per via generazionale, ma da costruire attraverso uno sforzo creativo. Occorre
"fare" l’esperienza e ciò avviene quando trasformiamo i fatti quotidiani in apprendimenti. Prende
corpo un sapere diverso da quelli tradizionalmente presenti nel lessico dei formatori (sapere, saper
fare, saper essere). È il quarto sapere, il sapere profondo che viene dall’esperienza realmente
vissuta. Il concetto di apprendimento esperienziale è stato studiato da John Dewey e Jean Piaget, ma
si è diffuso grazie al contributo del teorico dell'educazione David A. Kolb, che, insieme a John Fry,
ha sviluppato la "teoria dell'apprendimento esperienziale" , secondo la quale "l'apprendimento è
un processo in cui la conoscenza viene creata attraverso la trasformazione dell'esperienza".
L’ apprendimento esperienziale (Experiential Learning) costituisce, quindi, un modello
di apprendimento basato sull’esperienza cognitiva, emotiva o sensoriale. E’ è un processo dove la
costruzione della conoscenza avviene passando attraverso l’osservazione e la trasformazione
dell’esperienza. Non, quindi, attraverso la passiva acquisizione di nozioni, concetti, relazioni. E’ un
modello di apprendimento basato sull'esperienza diretta. Competenze, conoscenze ed esperienze
sono acquisite al di fuori del contesto tradizionale in aula e possono includere stage, studi
all'estero, gite, ricerche sul campo e progetti di varia natura che includano una vera e propria
esperienza.
• Si realizza attraverso l’azione e la sperimentazione di situazioni, compiti, ruoli in cui il
soggetto, attivo protagonista, si trova a mettere in campo le proprie risorse e competenze per
l’elaborazione e la riorganizzazione di teorie e concetti volti al raggiungimento di un
obiettivo.
• consente al soggetto di affrontare situazioni di incertezza sviluppando comportamenti
adattivi e migliorando la capacità di gestire la propria emotività nei momenti di maggiore
stress psicologico.
• consente, inoltre, di sviluppare le proprie abilità di problem solving, anche attraverso
l’abilità creativa e di acquisire autoconsapevolezza mediante auto-osservazione ed etero-
osservazione, al fine di ridefinire eventuali atteggiamenti inadeguati e di valorizzare i
comportamenti costruttivi. L’esperienza acquisita diviene patrimonio di conoscenza del
soggetto e costituirà il nuovo punto di partenza di ulteriori evoluzioni.
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Precursori, approcci e teorie
Nella sua definizione di Experiential Learning, Kolb delinea il percorso di apprendimento come
formazione continua dell’individuo. Cogliendo le connessioni tra educazione, lavoro e sviluppo
della persona, le esamina in modo critico al fine di offrire un sistema di competenze che, attraverso
metodologie esperienziali, porti all’elaborazione di obiettivi educativi aderenti al reale mondo del
lavoro.
La definizione di Kolb costituisce, inoltre, il primo tentativo di disciplinare l’apprendimento
esperienziale (Experiential Learning) individuandone i fondamenti epistemologici. Nella prima
parte della definizione, l'autore si riferisce a quelli che possono essere considerati i maestri
precursori dell’Experiential Learning: John Dewey, Kurt Lewin e Jean Piaget. Nel loro insieme,
la psicologia sociale di Lewin, il pragmatismo filosofico di Dewey e l'epistemologia genetica (studio
delle origini o genesi della conoscenza) cognitivo-evolutiva di Piaget formano una prospettiva unica di
apprendimento e sviluppo. La formazione esperienziale spinge il soggetto a una riflessione critica
sul proprio essere e sulla propria realtà e gli consente di orientare i suoi atteggiamenti, aiutandolo a
realizzare la propria personalità e a integrarsi nel mondo sociale in un continuo processo di
interiorizzazione e apprendimento.
John Dewey: l’esperienza pratica come metodo educativo
Nella sua opera, Dewey contrappone l’approccio educativo classico, cioè la trasmissione di
conoscenze teoriche al nuovo approccio basato sull’esperienza come metodo educativo; approccio
che sarà poi definito progressista proprio per il suo carattere di novità rispetto al passato. La sua
critica, infatti, si rivolge all’insegnamento tradizionale insegnante - allievo nel quale il trasferimento
delle teorie avviene con l’ausilio dei libri ma senza il coinvolgimento effettivo dello studente che
acquisisce conoscenze e abilità spesso isolate e ripetitive. Egli invece propone un approccio in cui
l’individualità e l’attività dello studente sono posti in primo piano e delinea un tipo di
apprendimento nuovo, costruito attraverso l’esperienza e la scoperta, in cui le abilità sono un mezzo
per raggiungere un traguardo significativo per il soggetto stesso. Secondo Dewey, l’apprendimento
è un processo nel quale si integrano l’esperienza e la teoria, l’osservazione e l’azione. Infatti, chi
apprende utilizza l’osservazione per orientare l’azione in modo consapevole. L’avvio del processo è
dato dall’impulso, che alcuni autori definiscono motivazione. La fine del processo è data dal
giudizio finale che pone la riflessione per gli orientamenti futuri. Landry sottolinea come il processo
circolare porti ad un’identificazione dell’origine con lo scopo.
Nell’Experiential Learning l’apprendimento ha una dinamica a spirale in cui l’impulso originale si
trasforma progressivamente. Possiamo distinguere nel processo di apprendimento delineato da
Dewey tre fasi significative:
1. la prima fase è relativa all’osservazione;
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2. la seconda fase è relativa alla ricerca di conoscenze già acquisite tramite esperienze simili
già vissute nel passato;
3. la terza fase è costituita dal raffronto tra le esperienze vissute e il contesto attuale, da cui
genera un giudizio.
Kurt Lewin: l’apporto dell’esperienza nella formazione dei concetti
La ricerca di Lewin si è incentrata in particolare sul contributo apportato dall’esperienza e
dall’azione nella formazione dei concetti: l’integrazione tra teoria e pratica è necessaria ai fini
dell’apprendimento. Infatti egli affermava che niente è più pratico di una buona teoria, proprio a
significare l’importanza di entrambe le componenti ai fini della riflessione. Ancor più tale
integrazione è facilitata nelle dinamiche di gruppo in cui l’apprendimento nasce dal confronto tra le
esperienze vissute del gruppo e le conoscenze teoriche. In tal modo l’approccio esperienziale
favorisce il formarsi di riflessioni e azioni in una continua tensione dialettica.
Il learning circle prospettato da Lewin costituisce il fulcro su cui si basano le teorie successive
sull'Experiential Learning: il ciclo dell’apprendimento inizia e termina con la concreta esperienza
(concrete experience) che costituisce sia la spinta sia lo scopo del processo. La concreta esperienza
passa attraverso l’osservazione e la riflessione (observation and reflection) e utilizzando le teorie
(abstract concepts) giunge con la sperimentazione (sperimentation) a tradurre la riflessione in
azione e quindi in esperienza. Ciò che consente al ciclo di essere dinamico e continuo è il processo
di feedback che in modo sistematico informa di eventuali inefficienze in modo che si possa
intervenire a bilanciare nuovamente i momenti di osservazione-riflessione e quelli di azione.
Jean Piaget: dall’azione alla rappresentazione
Le teorie di Piaget si centrano sullo studio dell’intelligenza del fanciullo e in particolare del ruolo
che l’esperienza concreta gioca sullo sviluppo della mente del bambino. Con l'epistemologia
genetica Piaget ha spiegato il processo tramite il quale un essere umano sviluppa le sue abilità
cognitive nel corso della sua vita, a partire dalla nascita ed attraversando stadi sequenziali di
sviluppo, con particolare attenzione ai primi anni dello sviluppo cognitivo.
Attraverso sperimentazioni cliniche, infatti, ha potuto verificare che il fanciullo sviluppa
primariamente la capacità di manipolare gli oggetti del suo ambiente e solo in un momento
successivo egli sviluppa la capacità di ragionare astrattamente manipolando simboli astratti. Piaget
sviluppò una distinzione delle fasi dello sviluppo cognitivo, individuando 4 periodi fondamentali
dello stesso.
1. Fase senso-motoria (dalla nascita ai 2 anni circa)
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2. Fase pre-operatoria (dai 2 ai 7 anni)
3. Fase delle operazioni concrete (dai 7 agli 11 anni)
4. Fase delle operazioni formali (dai 12 anni in poi).
Piaget indicherà nei concetti di assimilazione e accomodamento il processo di apprendimento che si
forma attraverso l’interazione di rappresentazione e azione.
David A. Kolb: l’apprendimento come processo fondato sull’esperienza
L’americano David Kolb nel 1984 ha fatto una sintesi delle ricerche sul processo di apprendimento
fondato sull’esperienza, appoggiandosi alle teorie di John Dewey, Kurt Lewin e Jean Piaget.
Imparare è un processo di tutta la vita (life long learning). Per questo non ha senso dire che si è
imparato tutto ciò che c’è da imparare o che il nostro apprendimento è completato. E’ una spirale
che non è mai conclusa.
Sulle teorie precedenti e specialmente sul learning cycle di Lewin Kolb fonda principalmente la sua
teoria. L'apprendimento secondo Kolb è circolare (learning cycle), il quale non solo delinea le fasi
dell'apprendimento esperienziale, ma offre anche un modello di pratica formativa. Esso si articola in
4 fasi sequenziali o stadi (ciclo di Kolb):
1. la fase delle esperienze concrete (concrete experience - CE), in cui l’apprendimento avviene
attraverso le percezioni e quindi come interpretazione personale di esperienze;
2. la fase dell’osservazione riflessiva (reflective observation - RO), in cui l’apprendimento deriva
invece dalla comprensione dei significati tramite l’osservazione e l’ascolto;
3. la fase della concettualizzazione astratta (abstract conceptualization - AC), nella quale
l’apprendimento deriva dall’analisi e dall’organizzazione logica dei flussi di informazioni;
4. la fase della sperimentazione attiva (active sperimentation - AS), in cui l’apprendimento è il
risultato di azione, sperimentazione e verifica di funzionamento ai fini dell’evoluzione o di
possibili cambiamenti.
Questi quattro stadi sostengono un processo di apprendimento efficace e completo. È possibile
iniziare l’apprendimento da qualsiasi punto del ciclo e ciascuno stadio ha bisogno di abilità diverse
per essere svolto nel migliore dei modi. La predilezione per alcuni di questi stadi genera diversi stili
di apprendimento.
In questo modo si crea un circolo virtuoso dinamico in cui colui che apprende è protagonista
intenzionale di un percorso nel quale l’interesse personale e l’opportunità che viene offerta vengono
ad incrociarsi.
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Oltre a definire il ciclo dell’apprendimento illustrato, Kolb propone anche degli stili di
apprendimento basati su due assi:
• il primo asse riferito alla preferenza per l’osservazione riflessiva (guardare) o per la
sperimentazione attiva (fare);
• il secondo asse alla preferenza per l’esperienza concreta (sentire) o per la
concettualizzazione astratta (pensare).
Dalla combinazione dei due assi derivano quattro stili di apprendimento:
• stile adattivo/accomodante
• stile divergente
• stile convergente
• stile assimilativo.
Lo stile adattivo: privilegia esperienza concreta e sperimentazione attiva, i fatti alle parole, ha
buone capacità di problem solving, si assume responsabilità, lavora per obiettivi che tende a non
contestare. Ha reazioni pronte e dimostra flessibilità e disponibilità al cambiamento, motivate dal
suo interesse per il raggiungimento del risultato. Dal punto di vista didattico, va incoraggiato alla
scoperta indipendente, incoraggiandone intuizione e creatività, partecipa attivamente
all’apprendimento, ama rispondere a domande del tipo “Quali saranno le conseguenze di
quest’azione?”
Lo stile divergente: privilegia l’osservazione riflessiva e le esperienze concrete. In genere è il
proprio vissuto che genera il processo di apprendimento. Pone molta attenzione all’immaginazione
e all’emotività. Tende a generare molte idee, ma ritiene meno interessante la loro realizzazione. Ha
visione d’insieme e ottica sistemica, è interessato alle relazioni e presenta molteplici interessi. Dal
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punto di vista didattico, ama trovare relazioni tra quanto appreso e la propria esperienza
personale. Gli interessa trovare risposte ai propri “perchè?”
Lo stile convergente: privilegia concettualizzazione astratta e sperimentazione attiva. Analizza le
idee secondo il rapporto costi-benefici, valuta le conseguenze in maniera deduttiva. Il processo di
problem solving non si basa su creatività ed emotività, ma piuttosto sull’allargamento della propria
visuale. È veloce ed efficiente, ma rigido. Impara per prove ed errori, ed ama un ambiente in cui
l’errore non viene sanzionato.
Lo stile assimilatore: privilegia osservazione riflessiva e concettualizzazione astratta. È portato per
le scienze pure. Raccoglie dati, analizza, sceglie, concettualizza ed elabora modelli. Ragiona in
maniera induttiva e genera soluzioni teoriche. È poco o nulla interessato agli aspetti pratici.
Predilige le concettulizzazioni astratte alle relazioni. Il suo sitle espositivo è molto strutturato,
logico, organizzato. Individua l’esperto come figura di riferimento in ottica di apprendimento.
Ognuno di questi stili presenta i propri punti di forza e punti deboli e, naturalmente, maggiore è la
varietà di stili che un soggetto è in grado di mettere in campo, maggiore è la sua capacità di
apprendere in situazioni e ambienti diversi.
Il primo passo è la riflessione sul proprio stile di apprendimento per sfruttare i punti di forza e
minimizzare l’impatto dei punti deboli.
Per Kolb, quindi, l'apprendimento è un processo sociale e l'insegnamento non è più un’esclusiva
della classe scolastica, ma proprietà della famiglia, del lavoro, delle situazioni di vita quotidiana. Si
può apprendere in qualsiasi situazione, non solo in quelle designate per l'apprendimento. La tesi del
lavoro di Kolb è che l'apprendimento dall'esperienza è il processo attraverso cui avviene lo sviluppo
umano. Kolb propone anche una tipologia degli stili individuali di apprendimento (organizzati
attorno agli assi: astratto/concreto; azione/riflessione).
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Il processo di apprendimento esperienziale delineato da Kolb coinvolge le quattro fasi descritte in
un ciclo ricorsivo in cui ogni conoscenza si crea a partire da una precedente esperienza di cui ne è il
risultato. L’apprendimento esperienziale è una modalità di apprendimento induttivo in cui i discenti
sono altamente coinvolti nella costruzione del processo di formazione e apprendimento.
I compiti da svolgere per l'apprendimento esperienziale variano in base al contesto in cui si
opera, ma generalmente seguono i seguenti criteri:
� il progetto proposto deve essere significativo per lo studente, in modo da sentirsi coinvolto dalla
situazione;
� gli studenti devono avere l'opportunità di riflettere e discutere la loro esperienza di
apprendimento durante tutto il progetto;
� l'esperienza deve coinvolgere l'intera persona, compresi i sensi, la personalità e le emozioni;
� le conoscenze pregresse devono essere utilizzate come base di partenza.
In un contesto di apprendimento esperienziale gli studenti possono visitare musei, organizzare
sessioni di lavoro manuale, sperimentare in laboratorio, riflettere sulle loro esperienze e
raccontarle, condividere le proprie esperienze. I progetti di apprendimento offrono agli studenti la
possibilità di imparare, ma anche di dare un contributo personalità alla propria classe.
Il ruolo del docente è, quindi, quello del cosiddetto formatore esperienziale, ovvero
del professionista a supporto degli studenti che li aiuta a condividere la propria esperienza in forma
di dialogo e a rivederla da diverse prospettive, creando un ambiente collaborativo e offrendo spunti
per una visione da più angolazioni dell’esperienza vissuta dai singoli soggetti.
In alcuni casi esso ha il ruolo di faciltatore, che accetta i contributi di tutti i membri del gruppo
classe, mettendo a disposizione i vari materiali utili per l'apprendimento e per il raggiungimento
degli obiettivi comuni. In altri casi il docente diventa un form'attore , in quanto mette in atto le
competenze dell'attore, che comportano il possesso di tecniche teatrali e del formatore, che
richiedono capacità di guida e sostegno per il conseguimento degli obiettivi.
Il docente diventa coach quando lavora con il singolo individuo. In questo caso il suo obiettivo è
quello di far emergere le risorse che già si trovano all’interno degli individui, aiutandoli ad avere
fiducia in se stessi e a parlare con gli altri delle proprie esperienze significative. Infine, il docente
sarà un mentore quando farà da guida che aiuta il discente (mentee) in un percorso di sviluppo
personale e soprattutto di competenze che gli serviranno nel corso della sua vita.
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CICLO DI KOLB (1984)
Le modalità di afferrare e trasformare l'esperienza
La teoria dell'Experiential Learning definisce l'apprendimento come un processo per cui la
conoscenza è creata attraverso la trasformazione dell'esperienza. La conoscenza risulta dalla
combinazione di afferrare e trasformare l'esperienza. Il modello ritrae due modalità dialetticamente
correlate di afferrare l'esperienza (esperienza concreta e concettualizzazione astratta) e due
modalità di trasformare l'esperienza (osservazione riflessiva e sperimentazione attiva). L'esperienza
concreta si rifà alla conoscenza derivante dall'esperienza pratica. Kolb parla di apprehension in
riferimento alla presa di possesso dell'esperienza attraverso l'esperienza del concreto, tangibile,
basata sui sensi. Si tratta di una conoscenza opposta a quella derivante dalla concettualizzazione
astratta. In questo caso Kolb parla di comprehension, correlata a un’attitudine di chi apprende
nuove informazioni attraverso la rappresentazione simbolica. L'osservazione riflessiva rimanda ad
una interiorizzazione da parte di chi apprende dell'osservazione vissuta la quale, arricchita di
riflessione, può conferire ulteriore valore formativo. Vi è, quindi, intension, cioè volontà da parte di
chi apprende di chi apprende di conferire tale valore aggiunto. Non può essere definita formativa
un'esperienza alla quale non è seguita questo tipo di riflessione. Infine, la sperimentazione attiva
trasforma le teorie della concettualizzazione astratta in azioni per la risoluzione di situazioni
problematiche. Si tratta perciò di un’esternalizzazione di concetti astratti che derivanti dalla fase
precedente. In questo caso Kolb parla di estension. L'osservazione riflessiva è la fase che
solitamente viene prediletta da chi apprende attraverso l'osservazione e la riflessione sulle proprie
ed altrui azioni. Chi predilige invece la messa in atto di azioni favorisce la sperimentazione attiva.
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Caratteristiche fondamentali dell’apprendimento esperienziale
a) Ruolo altamente attivo del discente
b) Abitudine ad apprendere dall’esperienza
c) Velocità e costanza di apprendimento
d) Potenziamento del problem solving
e) Capacità di collaborazione
f) Trasformazioni delle percezioni della realtà (valori, atteggiamenti, comportamenti, con nuova forma mentis).
Il processo di apprendimento che deriva dall'esperienza implica una mobilitazione di abilità di base
importanti, quali l’elaborazione degli insiemi di informazioni fornite e la trasformazione delle stesse
in conoscenza. Bion afferma che qualsivoglia esperienza può essere presa a modello per le
esperienze future: l’apprendimento dall'esperienza prescinde da un processo circolare di riflessione
che integra l’esperienza in fase di svolgimento, la riflessione, la concettualizzazione e l’azione. Vi è
una visione olistica nel considerare l’apprendimento: gli aspetti cognitivi, emotivi, volitivi nonché
gli aspetti sociali vengono integrati e la persona viene coinvolta nella sua interezza.
L’apprendimento:
• viene raggiunto mediante la riflessione in merito ad un’esperienza vissuta, la partecipazione
diretta e le scoperte vissute in prima persona. L’inerente consapevolezza conduce allo
sviluppo personale e ciò implica un cambiamento comportamentale o cognitivo voluto e non
imposto o richiesto.
• è fortemente personalizzato poiché le persone vengono incoraggiate a fare collegamenti e a
formulare teorie proprie sullo stato delle cose, in base alle proprie percezioni ed emozioni;
viene pertanto enfatizzata la prospettiva del discente.
L’apprendimento esperienziale verte su un processo di auto-osservazione della propria esperienza e
implica:
• l’identificazione degli elementi comportamentali adottati e delle operazioni svolte per
permettere la distinzione tra punti di forza e punti di debolezza nonché il miglioramento delle
performance attese;
• la riflessione sui comportamenti, le strategie, successi ed insuccessi propri, migliorando la
consapevolezza di sé;
• la definizione degli obiettivi di apprendimento (learning goal e learning need);
• l’identificazione della performance ideale;
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• l’attivazione di un maggiore livello di attenzione e concentrazione nello svolgimento della
nuova esperienza.
Se il cambiamento non si è manifestato si potrebbe pensare che l’apprendimento non sia avvenuto e
che l’esperienza possa anche essere negativa o non educativa poiché, come afferma Dewey, alcune
esperienze fermano o distorcono la crescita, portano al cinismo, alla mancanza di sentimenti o
riducono le possibilità di un’ulteriore crescita.
La qualità del processo apprenditivo potrà svilupparsi nel gruppo (cooperative learning) in
particolare rispetto ai seguenti elementi:
• sentimenti e comportamenti di ciascuna persona coinvolta nell'attività;
• dinamiche di gruppo;
• modalità di utilizzo delle risorse a disposizione nel definire e nel raggiungere gli obiettivi
comuni;
• relazioni professionali e personali dei membri;
• elementi emotivi e comportamentali utilizzati nel superamento delle sfide personali, fisiche,
emotive, affettive e cognitive, e che caratterizzano il coinvolgimento personale richiesto dalla
situazione.
Modalità formative attraverso cui si realizza l'apprendimento esperienziale
Le attività formative grazie alle quali l'apprendimento esperienziale ha luogo si possono suddividere
in due grandi categorie: indoor (in spazi chiusi) e outdoor (in spazi aperti). Tra le indoor possiamo
elencare il Teatro d'Impresa, le simulazioni, i giochi di ruolo; tra quelle outdoor le attività sportive,
le attività estreme, i percorsi avventura, i viaggi organizzati e in genere le attività in cui si è a
contatto con la natura e all'aria aperta.
Il formatore esperienziale
Il formatore esperienziale è un professionista che supporta le persone aiutandole a condividere la
propria esperienza in forma di dialogo e a rivederla da diverse prospettive, creando un ambiente
collaborativo e offrendo spunti per una visione da più angolazioni dell’esperienza vissuta dai singoli
soggetti. Egli è allestitore di situazioni, facilitatore, supervisore e co-attore.
Il rapporto che si costruisce tra il formatore e i soggetti in apprendimento è influenzato da diversi
aspetti, tra cui il clima, lo spazio e il contesto di apprendimento; il formatore deve fare attenzione a
creare un ambiente intriso di fiducia reciproca tra i partecipanti, in modo che vi sia la voglia da
parte di tutti di condividere le proprie esperienze con gli altri; esperienze che sono il punto di
partenza per l’apprendimento. Quindi, formatore come professionista che sa dare fiducia alle
persone e le incoraggia nel loro percorso di apprendimento ma allo stesso tempo le lascia libere di
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esprimere se stesse e le proprie esperienze. Una componente indispensabile perché vi sia
apprendimento è la riflessività del formatore, importante per la sua crescita professionale e
personale, che si pone domande sulla propria e altrui esperienza, acquisendo consapevolezza del
suo agire. Egli dovrebbe, inoltre, suscitare una riflessione nei soggetti attraverso varie strategie, per
esempio dedicando del tempo alla vera e propria critica sulle esperienze vissute, attraverso il
dialogo oppure attraverso tecniche di brainstorming.
Alcune varianti del ruolo di formatore esperienziale possono essere: il facilitatore, il coach ed il
mentore.
Il facilitatore
Il facilitatore affianca il gruppo, accetta con eguale rispetto tutti i contributi messi in campo dai
soggetti, siano essi emotivi o intellettuali, senza giudicare; mette a disposizione risorse per
l’apprendimento, offrendo anche se stesso come risorsa ma allo stesso tempo rendendosi conto dei
suoi limiti. Il formatore - facilitatore deve rivestire un ruolo modesto per riuscire a fare in modo che
le persone lavorino insieme per il raggiungimento di obiettivi comuni; non dà risposte ma cerca di
suscitare domande; non è un insegnante ma aiuta gli individui a usare le proprie potenzialità, a
scoprire le proprie capacità e a metterle senza paura a confronto con quelle degli altri. Per questo il
formatore non dovrebbe schierarsi da una parte o dall'altra ma solo fornire dei feedback e punti di
vista diversi. Inoltre deve essere empatico e capire quello che sentono i discenti in modo da
supportarli al meglio, ma anche flessibile, perché ogni situazione è diversa come lo è ogni gruppo e
persona. In tutto questo il facilitatore non deve perdere di vista l’obiettivo dell’apprendimento e
farlo presente in itinere al gruppo.
Il coach
Il coach lavora solitamente con il singolo individuo ma può lavorare anche con il gruppo. Il suo
obiettivo è di far emergere le risorse che già si trovano all’interno degli individui, aiutandoli ad
avere fiducia in se stessi e a parlare con gli altri delle proprie esperienze significative. Aiuta inoltre,
con la sua empatia, a capire che l’apprendimento richiede tempo ed è un processo continuativo.
Il coach è un professionista che motiva, incoraggia, non giudica e si mette totalmente a servizio
della persona, senza insegnare ma semplicemente tirando fuori ciò che l’individuo possiede[21].
Il mentore
Il mentore è una guida che aiuta il discente (mentee) in un percorso di sviluppo personale e
soprattutto di competenze che gli serviranno nel corso della sua vita lavorativa. Tra mentore
e mentee, infatti, si costruisce un rapporto di reciproca fiducia e rispetto. Vi sono diverse funzioni
svolte dal mentore: egli, oltre a sostenere l’apprendimento aiutando il discente a riconoscere limiti e
punti di forza del suo lavoro, cerca di fargli comprendere la cultura organizzativa, in modo che
l’allievo interiorizzi i valori e rifletta sul suo ruolo; così facendo, facilita il percorso di iniziazione al
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lavoro. Il mentore deve essere una persona sicura di sé, flessibile, creativa, positiva, fiduciosa
onesta e deve instaurare con il mentee un rapporto di leadership aperta.
L’apprendimento esperienziale: bene comune e quarto sapere, imparare dalla vita quotidiana (Reggio)
Secondo il pedagogista Reggio è un bene comune perché consiste nel «sapere profondo» che prende
forma nell’apprendere dalla vita quotidiana, giacimento di opportunità, da non trascurare. E’ quarto
sapere dopo le conoscenze (il sapere), le abilità (il saper fare) e i saperi relazionali e
comportamentali (il saper essere). E’ il «sapere dell’anima», cioè un sapere profondo, che permette
agli altri tre di svilupparsi. La società di oggi crea un eccesso di domande a cui, spesso, le persone non riescono a dare risposta.
Viviamo in una quotidianità dominata da piccole e grandi routine, da un appiattimento sul
patrimonio culturale già accumulato, da una chiusura all’interno dei propri schemi, oppure dal
rifugio in esperienze inconsuete e «forti», nell’illusione che bastino queste ultime per dare un senso
alla vita. Tuttavia, se è vero che dalle esperienze si apprende, è altrettanto vero che non tutte le
esperienze creano sapere. Le esperienze che facciamo, cioè, mancano di una lettura critica e
raramente si trasformano in apprendimenti reali. Non creano né senso, né progettualità. Quando e
come l’esperienza diventa luogo di apprendimento?
Infatti, se tutti facciamo esperienze quotidianamente, il difficile è trasformarle in apprendimenti.
Come fare ad apprendere dalla vita di ogni giorno? Come mai il quotidiano, personale,
professionale o familiare, è così difficile da «scavare», da far parlare, da esplorare, da soli e in
gruppo?
L’apprendimento esperienziale consiste nell’assumere l’esperienza della vita quotidiana come base
per intraprendere uno sforzo formativo.
Alla radice delle varie forme di conoscenza alle quali facciamo riferimento in ambito formativo –
«sapere, saper fare, saper essere» – c’è una forma di sapere più profonda, che genera le altre. Alcuni
autori credono di individuare questo «quarto sapere» nell’esperienza, nella capacità di imparare
dalla vita quotidiana in modo diretto e profondo. Gli approcci educativi di tipo depositario
perdurano, spesso sotto forme sofisticate e seduttivamente innovative, nonostante sia ormai chiaro
che non sviluppano capacità di imparare. Apparentemente si presentano come forme attive,
coinvolgenti, basate sul confronto, ma ripropongono costantemente lo stesso paradigma: chi sa
cerca di trasferire a chi non sa secondo modalità predefinite.
La logica depositaria in educazione standardizza le dimensioni qualitative e vitali
dell’apprendimento, per poterle meglio controllare. Ma, il fenomeno dell’apprendere non può essere
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ridotto ad aspetti puramente formali perché le persone imparano in luoghi, modi e tempi diversi. Al
centro dell’apprendimento, quindi, sta l’esperienza, da cui siamo attratti. Infatti, parla di noi e in
qualche modo ci appartiene.
Purtroppo, attualmente si parla di un fenomeno di deprivazione, perchè l’esperienza oggi non è più
elemento di crescita delle persone, perlomeno non come un tempo.
In passato c’era una concezione di esperienza come accumulo di saperi, di modi di affrontare la
vita, di capacità operative, ma anche di capacità di stare nella società.
In questa prospettiva, il viaggio dell’esperienza è il viaggio della vita e, col tempo, nelle persone
che «viaggiano» si sedimentano saperi che le rendono esperte.
Con l’avvento della modernità, questa possibilità di assumere il patrimonio della generazione
precedente e utilizzarlo viene meno, perché troppe sono le accelerazioni, le modificazioni, i
cambiamenti. È l’esaurimento dell’esperienza intesa come accumulo di saperi trasferibili agli altri.
Pertanto, oggi i fatti non diventano esperienza e viviamo in un periodo storico in cui c’è «fame» di
esperienze, di emozioni, ma queste difficilmente creano senso e progettualità.
Di conseguenza, si crea frammentarietà, il sapere delle generazioni precedenti viene disperso. E
l’impossibilità di trasformare i fatti della vita quotidiana in esperienza genera angoscia,
smarrimento. «Non c’è conforto, dove non c’è esperienza», diceva Benjamin.
Che cosa permette ai contesti sociali di diventare luoghi privilegiati di apprendimento?
Innanzitutto il fare concreto delle persone, che si muovono per compiere azioni legate al lavoro, allo
studio, alla cura della comunità locale dove vivono.
Non possiamo più pensare con la prospettiva che il semplice fare sia sufficiente a educare. È vero
che s’impara facendo, ma questa è una concezione per molti versi addestrativa, e sappiamo che ci
sono tanti fare che non sono educativi. Già Dewey si chiedeva quali sono le esperienze di tipo
educativo, perché non tutte lo sono. Il fare oggi ha forti caratteristiche di dispersività, cioè porta al
di fuori di sé. Eppure, la dimensione dell’agire è costitutiva di ogni esperienza perché non c’è
un’esperienza che prescinda da un agire. Allora il fare, l’agire, è essenziale, ma non è ancora
l’esperienza: non è facendo che capiamo, facendo solamente facciamo.
Possiamo però dire che quando la persona impara dai fatti della vita quotidiana non è immobile, ma
compie dei movimenti di apprendimento.
Davanti allo stesso fatto, il soggetto che compie alcuni movimenti del pensiero, delle emozioni e del
corpo ha l’opportunità di generare apprendimenti. Al contrario, chi resta immobile vivrà solo il puro
fatto, che rimarrà un episodio della propria vita, piacevole, doloroso o insignificante, ma dal quale
non nasce un apprendimento.
Muovendosi nella quotidianità, quindi, si cerca di stabilire un rapporto con il mondo di carattere
interattivo, per non subire passivamente i fatti, ma agirli .
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Quindi, il compito educativo nel sociale è aiutare le persone e i gruppi a vivere i fatti e le proprie
azioni trasformandole in apprendimenti, compiendo dei movimenti (movimenti di apprendimento)
per imparare a imparare.
È un atteggiamento profondo e per svilupparlo bisogna allenarsi, come si allena un atleta, da un
punto di vista fisico, mentale ed emotivo.
Ma, quali sono i movimenti che creano apprendimento?
Sono molti, anche se qualche studioso ne ha individuato e proposto quattro fondamentali:
1. Il primo è il notare. Quando una persona è «con il» mondo – come dice Freire – e non
semplicemente «nel» mondo, allora nota, cioè compie un movimento essenziale di apertura
al mondo. Ha a che fare con la percezione e con la sensibilità. Infatti, se sono aperto e
sensibile, in un movimento verso l’esterno, comincio a notare alcune cose della realtà, ma
anche di me a contatto con la realtà. Il notare è anche prendere nota. Cioè, comincio ad
avere elementi per non dare sempre tutto per scontato, a notare, ad esempio, l’importanza
delle differenze generazionali, di genere o di condizione socioeconomica.
2. Un secondo movimento è il trasformare, con il quale «viviamo» l’esperienza, la «facciamo»
per noi originale, produciamo trasformazioni interne a noi stessi (elaborazione e
comprensione.
3. Il movimento del dirigere attraverso il quale l’apprendimento, che sta prendendo forma,
viene orientato. Imparando dall’esperienza dirigiamo il nostro apprendimento anche verso
gli altri, cercando di comunicare una direzione. Il dirigere è, quindi, essenzialmente
movimento verso l’esterno, orienta il soggetto al mondo, verso il quale apprendendo – si
rivolge.
4. Infine, un quarto movimento fondamentale è il generare, che permette al soggetto che
impara di «fare» la propria esperienza, cioè il proprio apprendimento. Quando ciò accade,
un fatto ha generato una conoscenza, un nuovo modo di sentire, fare, percepire, agire, o il
rimodellamento di un modo precedente, un aggiustamento, una capacità di trasferire quel
che già una persona sapeva fare in un’altra situazione... In ogni caso vi è una generazione
del nuovo.
Come ci si accorge di aver appreso? Come si fa a riconoscere questa generazione di qualcosa di
nuovo?
Ci sono dei segnali a livello individuale e collettivo.
• Il primo è lo stupore, la meraviglia. Quando le persone e i gruppi si stupiscono di ciò che
hanno saputo fare, è un segnale di generazione. Per un istante capiscono che è nato qualche
cosa che non pensavano di essere in grado di vivere o di saper fare. Lo stupore, la
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meraviglia, riconsegnano alla persona una capacità nuova (apprendimento come
perturbazione).
• Un altro segnale rivelatore è che – se si tratta di un vero generare, di un apprendimento
autentico – nasce il desiderio di fare nuove esperienze, di capire meglio e di più, di sfidare la
realtà e cambiarla, trasmettere ad altri la propria esperienza. SecondoDewey quando
l’esperienza è arricchente, accrescitiva e educativa, allora viene voglia di farne altre. Anche
quando è stata problematica o critica, ma pur sempre significativa, genera la voglia di
insistere e di continuare ad apprendere.
Quindi, questi due segnali, lo stupore da un lato, la voglia di proseguire dall’altro, indicano che è
avvenuto un apprendimento, che non siamo più di fronte a semplici fatti della vita quotidiana ma a
esperienze.
Tutto ciò si ricompone nella dimensione sociale (costruttivismo sociale della conoscenza), perché
c’è un bisogno di raccontare l’esperienza ad altri, di confronto e condivisione, perché solo così un
fatto viene riconosciuto e assume significato. È nel riconoscimento reciproco che l’esperienza si
può ritenere valida (arricchimento del tessuto connettivo sociale).
Ognuno di noi può fare anche esperienze profonde ma, se queste non sono comunicabili,
riconoscibili e riconosciute dagli altri, il senso d’inquietudine e solitudine aumenta. Al contrario,
quanto più l’esperienza è riconosciuta dagli altri, tanto più essa crea coesione tra le persone,
produce tessuto comune. La condivisione delle esperienze rende esplicito il valore sociale
dell’apprendimento.
La vita quotidiana è un giacimento di opportunità che viene trascurato e lasciato alla libera
iniziativa personale. Ciò di cui abbiamo assoluto bisogno oggi è il sapere profondo dell’esperienza,
cioè il saper trasformare una situazione o un fatto in un significato, in apprendimento. Anche questa
è una didattica, anche se di natura diversa da quelle disciplinari, che si usano nei processi di
istruzione.
Abbiamo bisogno anche di didattiche fondate sui fatti della vita quotidiana, che insegnino i
movimenti dell’apprendimento dall’esperienza.
L’esperienzaa va fatta, non è data. Gli alpinisti usano questa espressione quando si chiedono l’un
l’altro: «Hai mai fatto quella cima? Hai fatto il Cervino? E il Bianco?». Questo modo di esprimersi
rivela che quella montagna è lì da millenni, ma solo quando un alpinista ne fa esperienza diretta,
cioè la fa, essa esiste per lui.
L’azione è, quindi, il movimento necessario perché notazione, trasformazione, direzione e
generazione si possano sviluppare. Azione significa comportamento e pensiero, tutto ciò che
manifesta la capacità di una persona di stabilire un rapporto attivo con gli altri e con il mondo.
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Insieme all’azione, però, anche la pausa è un movimento essenziale, che permette la
trasformazione.
La difficoltà a trovare momenti di pausa tra un’azione e l’altra limita molto l’apprendimento che
deriva da un’esperienza vissuta; non è solo il bisogno di riflettere, ma la necessità di lasciare spazio
per l’emergere di emozioni e nuove narrazioni.
Nella pausa corpo, emozioni e sentimenti vengono trattati diversamente che nell’azione e trovano
un proprio spazio di cura. La pausa, infatti, permette di raccogliere energia e di concentrarsi per
trasformare e generare.
Nell’oscillare continuo tra momenti d’azione e di pausa si produce un ritmo. Con l’azione, il
soggetto esprime se stesso, realizza prodotti, dà qualcosa ad altri e al mondo; con la pausa egli
riceve, dà qualcosa a se stesso. Pausa è, quindi, anche accogliere, permettersi di ricevere.
In conclusione, l’apprendimento esperienziale è il bene comune e come tale apre alla costruzione di
beni comuni, come insieme di conoscenze e significati condivisi.
Saperi che si scambiano e che ognuno rigenera a proprio modo, costituendo, infine, quel capitale di
significati che permette di costruire i diversi beni comuni necessari alla quotidiana convivenza
sociale. Il primo bene comune è la conoscenza, anche troppe volte questa frase è stata pronunciata
come slogan. «Società della conoscenza» è diventato uno slogan spesso vuoto. Invece, è proprio
vero che senza la conoscenza come bene comune non si possono concepire, ad esempio, l’acqua e le
foreste, il sistema Terra come beni comuni. Cioè, se non si ha una conoscenza comune condivisa,
intesa come sapere profondo derivante dalla vita, non si possono tutelare i beni comuni
dell’ambiente, del lavoro.
Quindi, c’è un bene comune e ci sono i beni comuni. Il bene comune fondante è il sapere per
esperienza. I beni comuni, invece, sono quelli che costruiamo nel nostro rapporto cosciente col
mondo (Reggio).
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