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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Apparato genitourinario Prostata È un organo extraperitoneale, impari e mediano situato nella piccola pelvi tra la base della vescica ed il diaframma urogenitale, posteriormente alla sinfisi pubica ed anteriormente all’ampolla rettale. Presenta una conformazione piramidale con base superiore ed apice inferiore. Il suo peso normale, nel giovane adulto, è di circa 20 g. Ha una struttura istologica complessa, accogliendo in varia proporzione tessuto ghiandolare, muscolare e connettivo fibroso. Viene attraversata dall’uretra e dai dotti eiaculatori. Secondo la classificazione di Mc Neal, viene suddivisa in 4 zone, singolarmente correlate a specifiche patologie: 1. Zona di transizione Costituisce il 5% della ghiandola È formata da due piccoli lobi posti immediatamente ai lati della parte prossimale dell’uretra prostatica, con estensione anteriore e verso il collo vescicale Rappresenta la sede di sviluppo dell’ipertrofia prostatica benigna e del 1520% dei carcinomi 2. Zona centrale Costituisce il 25% della ghiandola Ha la forma di un cono che, partendo dalla base della prostata circonda i dotti eiaculatori, fino al loro sbocco nella parete posteriore dell’uretra, ai lati del veru montanum È, in genere, risparmiata da processi patologici ma può essere coinvolta in un’ipertrofia prostatica benigna. 3. Zona periferica Costituisce il 70% della ghiandola in cui occupa una posizione posteriore e laterale, estendendosi fino all’apice prostatico. Rappresenta la sede prevalente di sviluppo del carcinoma prostatico ed è anche la più suscettibile ai processi infiammatori. 4. Stroma fibromuscolare anteriore, avvolge anteriormente la ghiandola ed offre un piano di clivaggio nell’intervento di adenomectomia. Patologie prostatiche IPB, 80% Ca, 18% Prostatiti, 2% WWW.SUNHOPE.IT

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Page 1: Apparato genito urinario - sunhope.it · Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne Apparato genito‐urinario Prostata È un organo extraperitoneale, impari

Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne 

Apparato genito‐urinario 

Prostata 

È un organo extraperitoneale,  impari e mediano situato nella piccola pelvi  tra  la base della vescica ed  il diaframma uro‐genitale, posteriormente alla sinfisi pubica ed anteriormente all’ampolla rettale. Presenta una conformazione piramidale con base superiore ed apice inferiore. Il suo peso normale, nel giovane adulto, è di circa 20 g. Ha una struttura istologica complessa, accogliendo in varia proporzione tessuto ghiandolare, muscolare e connettivo fibroso. Viene attraversata dall’uretra e dai dotti eiaculatori.  

Secondo  la  classificazione  di Mc Neal,  viene  suddivisa  in  4  zone,  singolarmente  correlate    a  specifiche patologie: 1. Zona di transizione

‐ Costituisce il 5% della ghiandola  ‐ È  formata  da  due  piccoli  lobi  posti  immediatamente  ai  lati  della  parte  prossimale  dell’uretra 

prostatica, con estensione anteriore e verso il collo vescicale  ‐ Rappresenta la sede di sviluppo dell’ipertrofia prostatica benigna e del 15‐20% dei carcinomi 

2. Zona centrale‐ Costituisce il 25% della ghiandola‐ Ha  la forma di un cono che, partendo dalla base della prostata circonda  i dotti eiaculatori, fino al

loro sbocco nella parete posteriore dell’uretra, ai lati del veru montanum ‐ È,  in genere, risparmiata da processi patologici ma può essere coinvolta  in un’ipertrofia prostatica

benigna.  

3. Zona periferica‐ Costituisce  il 70% della ghiandola  in cui occupa una posizione posteriore e  laterale, estendendosi

fino all’apice prostatico. ‐ Rappresenta  la sede prevalente di sviluppo del carcinoma prostatico ed è anche la più suscettibile

ai processi infiammatori. 

4. Stroma  fibromuscolare anteriore,  avvolge  anteriormente  la  ghiandola ed offre un piano di  clivaggionell’intervento di adenomectomia.

Patologie prostatiche 

IPB, 80% Ca, 18% 

Prostatiti, 2% 

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Ipertrofia prostatica benigna/iperplasia nodulare benigna  È, in realtà,  un processo di tipo iperplastico che origina dalla zona di transizione della prostata –  a ridosso, quindi, dell’uretra –  coinvolgendone le componenti ghiandolare, fibrosa e muscolare liscia. Più raramente da quella centrale.   Ha un picco di incidenza dopo i 50 anni.    CLINICA Sviluppandosi  – a differenza del Ca –  in prossimità dell’uretra, si manifesta precocemente con:  

Disturbi urinari di tipo ostruttivo  Disturbi urinari di tipo irritativo 

‐ Esitazione ed intermittenza minzionale ‐ Diminuzione  del  volume  e  della  forza  della 

minzione 

‐ Pollachiuria  ‐ Urgenza minzionale  ‐ Nicturia 

   Il ristagno post‐minzionale di urina  in vescica  favorisce,  inoltre,  lo sviluppo di  infezioni ricorrenti delle vie urinarie.  Possibili  sono  episodi  di  ritenzione  urinaria  acuta,  con  dolore  in  sede  ipogastrica,  urgenza minzionale continua, globo vescicale.  Complicanze che si instaurano nel tempo sono: ‐ Reflusso vescico‐ureterale ‐ Idroureteronefrosi ad evoluzione verso l’insufficienza renale ‐ Pielonefriti  ‐ Calcolosi vescicale ‐ Iscuria paradossa (forma di incontinenza urinaria dovuta alla fuga di urine da una vescica sovra‐distesa 

ed atonica ogni volta che un nuovo afflusso di urina provochi il superamento della pressione di chiusura degli sfinteri).  

  ITER DIAGNOSTICO  1. Esplorazione digito‐rettale 

Può permettere una  stima  approssimativa del  volume  ghiandolare  e porre  il  sospetto di  carcinoma, rivelando, sulla faccia posteriore della ghiandola, un nodulo di consistenza duro‐lignea.  

 2. Esame delle urine 

Consente  di  identificare  la  presenza  di  patologie  concomitanti  come:  carcinoma  vescicale,  infezioni delle vie urinarie, calcolosi urinaria, diabete mellito, diabete insipido.   

3. Dosaggio delle concentrazioni sieriche di PSA, che, in caso di IPB, possono essere aumentate  ma che difficilmente raggiungono i livelli osservati nei pz con carcinoma. È, infatti, il sovvertimento strutturale indotta dalla neoplasia, con rottura della barriera fra ghiandola e vasi, che determina il maggior rilascio in circolo di PSA. Inoltre,  il PSA prodotto dal tessuto  ipertrofico benigno, a differenza di quello prodotto dal carcinoma, circola prevalentemente in forma libera, con il rapporto PSAlibero/PSAtotale che, pertanto, risulta elevato.  

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4. Uroflussometria Calcola la quantità di urina emessa nell’unità di tempo (espressa in millilitri al secondo) e quella totale. Permette di stabilire presenza ed entità di un ostacolo funzionale o organico al deflusso dell’urina lungo le basse vie urinarie.  

5. Metodiche di immagine Ecografia sovrapubica  Necessita di una notevole  replezione vescicale –    spesso problematica  in pz con  ipertrofia prostatica benigna – per dislocare cranialmente  le anse  intestinali e disporre di un’adeguata finestra acustica sui visceri pelvici.   Tale indagine, relativamente alla prostata, consente solo di:  ‐ Ottenere  informazioni  dimensionali,  fornendo,  della  ghiandola,  immagini  dotate  di  una  scarsa 

risoluzione spaziale, per la bassa frequenza dei trasduttori impiegati. ‐ Riconoscere la protrusione, nel lume vescicale, del lobo medio ipertrofico (costituito in prevalenza 

dalla zona centrale). In questo caso, si apprezza un aggetto endo‐vescicale iperecogeno rispetto al lume della vescica anecogeno.  N.B.  Dell’aggetto  endo‐vescicale  è  necessario  calcolare,  ai  fini  della  pianificazione  terapeutica, l’estensione. 

 Permette, inoltre, di: ‐ Stabilire  presenza  ed  entità  di  un  residuo  vescicale  post‐minzionale  che  rende  possibile  una 

valutazione oggettiva del grado di ostruzione, indipendentemente dai sintomi del pz. ‐ Apprezzare  alterazioni  morfologiche  della  vescica  prodotte  dall’aumento,  durante  la  minzione, 

della pressione idrostatica endoluminale, secondario all’ostruzione uretrale: 

Ipertrofia del muscolo detrusore (vescica “a colonne” o “da sforzo”)  

Diverticoli vescicali ‐ Documentare un’eventuale dilatazione degli ureteri terminali ‐ Individuare  calcoli vescicali,  il  cui  sviluppo viene  favorito dal  ristagno post‐minzionale di urina  in 

vescica.   

Ecografia transrettale Garantisce  una  migliore  valutazione  della  morfologia  prostatica  (essendo  condotta  mediante trasduttori  endocavitari  a  più  alta  frequenza  che  consentono  di  ottenere  immagini  dotate  di  una maggiore risoluzione spaziale) e del volume ghiandolare.  È indicata: ‐ qualora concentrazioni di PSA > 2,5 ng/ml non consentano di escludere la presenza di un carcinoma 

e l’esplorazione digito‐rettale riveli, sulla faccia posteriore della prostata, un nodulo di consistenza duro‐lignea, di cui permette di guidare la biopsia.  

‐ in prospettiva di un  intervento mininvasivo  la  cui pianificazione  richiede una precisa  conoscenza della morfologia della prostata e delle dimensioni della zona di transizione, di quella centrale e di un eventuale lobo medio. 

          

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Carcinoma della prostata Rappresenta la terza causa di morte per tumore nel sesso maschile, dopo il carcinoma del polmone e quello del colon.  Si tratta di un adenocarcinoma che: ‐ nel 75% dei casi, insorge a livello della zona periferica, lontano quindi dall’uretra. ‐ nel 15‐20% dei casi, a livello della zona di transizione. ‐ nel restante 5‐10% dei casi, a livello di quella centrale.  La  predilizione  per  la  zona  periferica  giustifica  il  fatto  che  il  carcinoma  prostatico  risulta  generalmente asintomatico in fase precoce.  Il primi sintomi possono infatti esser costituiti da dolori ossei, dovuti a metastasi scheletriche.  Un’emospermia è osservabile solo negli stadi avanzati, per infiltrazione delle vescichette seminali.  Lo stesso screening del carcinoma del prostata, basato sul dosaggio dei livelli sierici di antigene prostatico specifico  (PSA),  si è dimostrato  inefficace, non  in grado,  cioè, di  ridurre  la mortalità  correlata al  tumore attraverso una sua diagnosi precoce. Consente,  infatti,  di  diagnosticare  precocemente  solo  forme  indolenti,  a  lenta  crescita,  la  cui  prognosi risulta  già  favorevole,  comportando,  tra  l’altro,  il  rischio  per  il  pz  di  una  sovradiagnosi  e  di  un sovratrattamento. Il  PSA,  inoltre,  non  è  un  marker  tumore‐specifico  dato  che  le  sue  concentrazioni  sieriche  possono aumentare anche in caso di prostatiti, ipertrofia prostatica benigna, manipolazione della prostata.  Comunque, la probabilità che il pz abbia un Ca della prostata tende ad aumentare con il crescere dei livelli sierici del PSA. Tale probabilità è: ‐ del 15%, se il PSA è compreso tra 2,5 e 4 ng/ml ‐ del 25%, se il PSA è compreso tra 4 e 10 ng/ml ‐ del 50%, se il PSA è maggiore di 10 ng/ml Il cut‐off al di sotto del quale viene ritenuto possibile escludere, con elevata probabilità, la presenza di un carcinoma prostatico è di 2,5 ng/ml.  La ricerca di un Ca della prostata va quindi avviata in tutti i soggetti che riportino concentrazioni sieriche di PSA > 2,5 ng/ml.  La ricerca di un carcinoma prostatico prevede:  Esplorazione digito‐rettale  Si  tratta  di    un  esame  operatore‐dipendente  che  può  consentire  la  percezione,  a  livello  della  faccia posteriore della prostata, di un nodulo, di cui vanno stabilite: ‐ Consistenza (che, nel caso dei carcinomi, è duro‐lignea)  ‐ Dimensioni ‐ Fissità   Ecografia transrettale e NON sovrapubica, poco accurata nel valutare l’ecostruttura della zona periferica – sede prevalente di sviluppo del carcinoma – per  la scarsa risoluzione spaziale delle  immagini, dipendente dalla bassa frequenza dei trasduttori impiegati. L’ecografia transrettale,  invece, essendo condotta mediante trasduttori endocavitari a più alta frequenza, fornisce della prostata, ed  in particolare della zona periferica,  immagini dotate di una risoluzione spaziale sufficientemente elevata per poter effettuare un’accurata valutazione morfologica.  Consente pertanto di: 1. Identificare e confermare la presenza di un nodulo nella zona periferica 2. Guidarne la biopsia   

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Va detto, tuttavia, che nel 25‐40% dei casi carcinoma risulta isoecogeno e, quindi, indistinguibile rispetto al parenchima prostatico normale circostante. In tale evenienza, poiché  la concentrazione di PSA > 2,5 ng/ml non consente di escludere  la presenza del tumore, bisogna effettuare una biopsia a “sestante”, per via transperineale o per via transrettale.  Il campionamento viene praticato in 12 punti diversi, garantendo lo studio dell’intera ghiandola.  Va detto, inoltre, che l’ecografia transrettale non permette di ottenere informazioni utili ai fini stadiativi.         La STADIAZIONE di un carcinoma della prostata viene effettuata tramite l’impiego di: RM, con bobina endorettale    le cui   sequenze T2‐pesate, per  l’elevata risoluzione di contrasto  intrinseca,  consentono di:  ‐ Discriminare  tra  le  diverse  zone  parenchimali  (in  tali  sequenze,  infatti,  la  zona  periferica  appare 

iperintensa  rispetto  a  quella  centrale  ed  accoglie,  nel  suo  contesto,  il  carcinoma  come  un  nodulo ipointenso). 

‐ Distinguere il parenchima prostatico dal profilo capsulare ‐ Stabilire il confine tra prostata e vescichette seminali  Un  ulteriore  punto  di  forza  è  la  possibilità  di  ottenere  direttamente,  senza  bisogno  di  ricostruzione, immagini  secondo  il  piano  dello  spazio  desiderato  (multiplanarità)  che,  in  associazione  con  l’elevata risoluzione  di  contrasto  intrinseca,  rendono  la  RM  l’indagine  migliore  per  stabilire  l’estensione  loco‐regionale della neoplasia di cui si valutano:  ‐ Superamento della capsula prostatica, informazione fondamentale ai fini della scelta terapeutica. 

Un  intervento chirurgico di prostatectomia  radicale è  infatti CONTROindicato  se  il  tumore  si estende oltre la capsula prostatica. 

‐ Infiltrazione  delle vescichette seminali e dei peduncoli neurovascolari  L’indagine  permette,  inoltre,  di  individuare metastasi  a  carico  dei  linfonodi  regionali,  sulla  base  di  un criterio dimensionale.   Una  TC  con  mdc  è  indicata  solo  negli  stadi  avanzati  e  nel  follow‐up,  perché  incapace  di  valutare  il superamento della capsula prostatica (per  la più bassa risoluzione di contrasto, rispetto alla RM) e perché sottostima l’impegno delle vescichette seminali.   L’utilizzo  di  una  scintigrafia  ossea  statica  total  body  non  è  richiesto  in  pz  con  carcinoma  prostatico intracapsulare  e  livelli  sierici  di  PSA  non  >  10  ng/ml  dato  che  tali  pz  hanno  una  bassa  probabilità  di presentare metastasi scheletriche.  È piuttosto indicata in:  ‐ Pz con malattia intracapsulare e valori di PSA più elevati ‐ Pz con malattia extracapsulare (T3, T4)  ‐ Pz che  dolori ossei   NO  PET‐FDG  perché  il  Ca,  essendo  un  tumore  ben  differenziato,  presenta  uno  scarso  metabolismo glucidico.   Il FOLLOW UP dopo trattamento si basa su dosaggio periodico del PSA. L’elevazione  di  tale marker  impone  l’impiego  di metodiche  di  immagine  per  individuare  recidive  locali (meglio documentate da una RM) ed a distanza 

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Prostatiti Sono  generalmente  ad  eziologia  batterica  e  sostenute  da  batteri  Gram  ‐  ,  mostrando  una  maggiore frequenza nei pz portatori di cateteri urinari.  Possono essere: ‐ Acute  ‐ Croniche  Provocano  disorganizzazione  dell’assetto  morfo‐strutturale  prostatico,  determinando  focolai  di colliquazione parenchimale e veri e propri ascessi intraghiandolari che spesso esitano in aree di involuzione fibro‐calcifica.  CLINICA In fase acuta, si manifestano con ‐ Febbre ‐ Emospermia ‐ Disturbi della minzione  Quando cronicizzano divengono paucisintomatiche.  I livelli sierici di PSA possono essere aumentati.  L’indagine ecografica, soprattutto quella eseguita per via transrettale, a più alta risoluzione spaziale, può documentare: ‐ nelle forme acute, aumento di volume della prostata che presenta un’ecostruttura disomogeneamente 

ipoecogena, con eventuale presenza di aree anecogene ascessuali; ‐ nelle  forme  croniche,  prostata  di  dimensioni  normali  o  ridotte,  in  cui  si  apprezzano  calcificazioni 

parenchimali che appaiono iperecogene e con cono d’ombra posteriore.   

   

                   

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TESTICOLO    Dolore scrotale acuto Può esser dovuto a: 1. Traumi 2. Torsione del funicolo, più comune in pz di età < 20 anni 3. Orchi‐epididimite acuta, più frequente dopo i 20 anni 4. Vasculiti 5. Ernia inguino‐scrotale strozzata 

 Nel pz con dolore scrotale acuto è indicata l’esecuzione di un eco‐color‐Doppler L’ECD consente di:  1) Distinguere lesioni testicolari da lesioni extratesticolari 2) Porre dd tra torsione del funicolo ed orchi‐epididimite acuta 

In  caso di  torsione del  funicolo,  il  flusso ematico, nel  testicolo  interessato,  si dimostra  ridotto o del tutto assente.   In caso di orchi‐epididimite acuta, invece, il flusso ematico, risulta esaltato. 

   

Criptorchidismo Per criptorchidismo s’intende l’incompleta o mancata discesa pre‐natale di uno o di entrambi i testicoli nel sacco scrotale. Colpisce il 3% dei neonati. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la discesa è spontanea e si verifica durante i primi 2 anni di vita.  Complicanze a lungo termine sono: 1. Sterilità, per insufficienza della spermatogenesi 2. Neoplasie maligne del testicolo    DxI L’ecografia  può  evidenziare  il  testicolo  non  completamente  disceso,  e  spesso  atrofico,  solo  quando localizzato al di sotto dell’anello inguinale interno. 

 L’indagine migliore per lo studio del criptorchidismo è la RM La RM consente di:  1. Individuare testicoli ritenuti anche in cavità addominale 2. Dimostrare complicanze infiammatorie e neoplastiche 3. Valutare il grado di maturazione del testicolo 

 Un  ulteriore  vantaggio,  particolarmente  rilevante  in  età  pediatrica,  risiede  nel  mancato  impiego  di radiazioni ionizzanti. 

 Qualora persistano dubbi diagnostici è indicato il ricorso ad una laparoscopia.   

  

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Massa scrotale Può consistere in: 1. Tumori maligni del testicolo  2. Idrocele (raccolta di liquido tra tonaca vaginale e didimo) 3. Varicocele (dilatazione del plesso venoso pampiniforme) 4. Ernia inguino‐scrotale  Nei pz con massa scrotale, come indagine strumentale di I livello, va effettuata un ecografia integrata dal color‐Doppler che consente di:  

Individuare la lesione  

Distinguere tra masse testicolari e masse extratesticolari, favorendo la diagnosi di natura.    

Tumori maligni del testicolo Nel 90% dei casi, originano dalle cellule germinali. Hanno un picco d’incidenza tra 15 e 35 anni.  Si manifestano sotto forma di una massa scrotale, in genere unilaterale, che aumenta di dimensioni e che risulta non dolente.   Nei pz con massa scrotale, come indagine strumentale di I livello, va effettuata un ecografia integrata dal color‐Doppler che consente di:  

Individuare la lesione  

Distinguere tra masse testicolari e masse extratesticolari, favorendo la diagnosi di natura.   I  tumori  del  testicolo  si manifestano  sotto  forma  di  lesioni  focali  con  ecostruttura    solida,  ipoecogena disomogenea, e con margini irregolari. Al color‐Doppler, presentano una ricca vascolarizzazione.   L’impiego, in seconda istanza, di una RM con apposite bobine di superficie, ha come indicazioni: 

Discrepanza tra esame clinico ed ecografico 

Sospetto di bilateralità della patologia (caso di linfomi e leucemie) 

Valutazione  dell’estensione  locale  di  un  presunto  tumore  testicolare,  dimostrandosi  superiore all’ecografia  nel  rivelare  l’infiltrazione  neoplastica  della  tonaca  albuginea,  dell’epididimo  e  delle strutture funicolari. 

 La stadiazione deve essere completata mediante:  

TC spirale con mdc o RM di addome, dotate di un’accuratezza sovrapponibile nell’individuare metastasi a carico dei linfonodi: 

lomboaortici e paraortici, che ricevono la linfa testicolare 

iliaci interni e comuni, che ricevono la linfa delle tonache del testicolo e del cordone spermatico L’RM va preferita nei pz che non possono ricevere mdc iodati. 

 

TC del torace  Per riconoscere eventuali metastasi polmonari 

     

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Varicocele Per  varicocele  s’intende  una  dilatazione  del  plesso  venoso  pampiniforme,  dovuta  ad  un’inversione  del flusso nella vena spermatica interna.  Nell’85% dei casi si osserva a sin perché, da questo lato, la vena spermatica interna è tributaria della vena renale mentre, a dx, lo è della VCI.  Si manifesta  come  una  tumefazione  scrotale molle,  apprezzabile  in  stazione  eretta  e  che  scompare  in decubito supino.  Nel sospetto di un varicocele, l’indagine strumentale di I livello è rappresentata da un eco‐colo‐Doppler. L’ECD consente di:  

Misurare il calibro dei vasi venosi del plesso pampiniforme 

Valutare il flusso nella vena spermatica interna  L’esame andrebbe eseguito non solo in clino‐ ma anche in ortostatismo, prima e dopo manovra di Valsalva, che slatentizza un reflusso assente in condizioni basali.  Una flebografia viene  impiegata  in caso di anatomia complessa   e per effettuare procedure terapeutiche (embolizzazione endovascolare con agenti sclerosanti).      

Idrocele Si tratta di una raccolta liquida localizzata tra tonaca vaginale e didimo  Rientra tra le cause di massa scrotale  L’eco‐color‐Doppler,  praticato  in  I  istanza,  evidenzia  una  falda  anecogena  che  circonda  un  testicolo  ad ecostruttura parenchimale omogenea                         

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Reni e vie urinarie   Tecniche diagnostiche  Ecografia Costituisce l’indagine di I livello nello studio per immagini dell’apparato urinario. All’indagine ecografica,  ‐ dei reni, è possibile valutare morfologia e vascolarizzazione, mediante color‐Doppler. ‐ gli  ureteri  non  sono  esplorabili,  se  non  nel  tratto  prossimale  ed  in  quello  iuxtavescicale,  per  la 

riflessione del fascio ultrasonoro da parte del contenuto aereo intestinale. ‐ la  vescica  può  essere  studiata  solo  se  completamente  piena  perché,  entrando  in  contatto  con  la 

parente anteriore dell’addome, evita l’interposizione di anse intestinali meteoriche. La replezione vescicale,  inoltre, crea un utile gradiente di contrasto tra  lume anecogeno e pareti della vescica. 

   

 All’esame radiografico diretto dell’addome i reni e le vie urinarie non sono apprezzabili, per l’assenza di un adeguato contrasto naturale con le strutture circostanti. Ciò giustifica il ricorso a tecniche radiologiche contrastografiche, quali:  Urografia e.v. o discendente Prevede: 1) Iniziale acquisizione di un radiogramma diretto dell’addome, a pz  in decubito supino ed  in proiezione 

AP,  il  cui  compito è quello di  individuare eventuali  calcoli  radiopachi  in  corrispondenza delle ombre renali e del presunto decorso degli ureteri, fino alla vescica 

2) Iniezione e.v. di 100 ml di un mdc  iodato,  idrosolubile uro‐angiografico a bassa osmolarità, che viene escreto attraverso l’emuntorio renale con conseguente opacizzazione dell’urina. 

3) Acquisizione di radiogrammi seriati nel tempo  ‐ In fase nefrografica  ‐ In fase calico‐pielografica 

‐ In fase cistografica   

Durante  la  fase  nefrografica  si  ha  un’opacizzazione  omogenea  del  parenchima  renale  legata  alla penetrazione  in  esso  del mdc  inizialmente  contenuto  nei  vasi  (nefrografia  corticale)  e  quindi  nei  tubuli (nefrografia cortico‐tubulare).  La presenza di  aree  vascolarizzate non  funzionanti  in  senso escretorio  (tumori)  si  traduce  in un  aspetto disomogeneo del nefrogramma. La presenza di aree avascolari (cisti, caverne, aree infartuali), invece, si traduce in un aspetto lacunare del nefrogramma. Durante  la fase calico‐pielografica,  in cui si hanno  immagini “a calco” delle strutture calicopieliche e degli ureteri Durante la fase cistografica, viene opacizzata la vescica   La velocità con cui il mdc viene eliminato attraverso le urine permette una stima della funzione renale. 

  Pielografia Si  effettua  introducendo,  nelle  vie  escretrici  urinarie,  sotto  controllo  radioscopico,  un  mdc  radiopaco (iodato idrosolubile), per via anterograda transcutanea lombare o per via retrograda cistoscopica. È indicata per studiare l’asse escretore di un rene funzionalmente escluso. 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Cistografia retrograda Prevede  la  somministrazione  in  vescica,  mediante  catetere  transuretrale,  di  un  mdc  radiopaco uroangiografico.  Nel sospetto di un trauma dell’uretra, il mdc va iniettato in vescica mediante puntura diretta sovrapubica.    TC  Viene  generalmente  praticata  con  tecnica  contrastografica  multifasica,  resa  possibile  dalle  moderne apparecchiature spirali multistrato.  La tecnica contrastografica multifasica prevede che si effettuino: ‐ Scansione diretta iniziale, indicata per:  

Identificare calcificazioni e aree emorragiche intra‐renali 

Riconoscere calcoli urinari 

Valutare la densità basale di masse renali     

1. Scansioni  seriate  nel  tempo,  dopo  la  somministrazione  e.v.  di  un  mdc  (iodato  idrosolubile  uro‐angiografico a bassa osmolarità) 

in fase arteriosa o di differenziazione cortico‐midollare (10 sec dopo l’iniezione), durante la quale si opacizzano  le  arterie  renali  (angio‐TC)  e  la  corticale,  con netta  visualizzazione della  giunzione cortico‐midollare e possibilità di valutare il c.e. di eventuali masse renali.  

in  fase  nefrografica  (1,5‐2 min  dopo  l’iniezione)  ,  durante  la  quale  viene  opacizzata  anche  la midollare.  

in  fase tardiva, durante  la quale si opacizzano  le via escretrice urinarie  (uro‐TC) con  il vantaggio, rispetto all’urografia convenzionale, di poterne esaminare non solo il lume ma anche i tessuti che le circondano. 

   RM Presenta sulla TC una serie di vantaggi, quali: 

Più alta risoluzione dei contrasto nell’ambito dei tessuti molli 

Multiplanarità 

Possibilità  di  visualizzare  selettivamente  vasi  renali  e  vie  escretrici  urinarie,  senza  mdc,  mediante particolari tecniche di acquisizione 

Disponibilità di mdc a minore impatto sulla funzione renale  Le  sequenza  T1‐pesate  forniscono una buona  rappresentazione  anatomica del  rene,  in  virtù dell’elevato contrasto naturale esistente tra il grasso perirenale, iperintenso, ed il parenchima renale Le sequenze T2‐pesate, provviste di una maggiore risoluzione di contrasto, sono impiegate per una migliore caratterizzazione del processo patologico in esame.  In RM,  la valutazione delle vie escretrici urinarie può esser effettuata senza mdc (uro‐RM diretta) o come parte di uno studio contrastografico multifasico.   L’uro‐RM  diretta  sfrutta  sequenze  fortemente  T2‐pesate  che,  annullando  il  segnale  dei  tessuti  solidi, mettono  in  risalto quello dei  fluidi  statici o  semi‐stazionari,  come  l’urina. Da  ciò deriva un’immagine  “a calco” delle vie escretrici urinarie. Il  limite  risiede nell’impossibilità di  visualizzare  i  tessuti  circostanti,  il  cui  segnale  viene deliberatamente annullato.  

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Lo  studio  contrastografico  multifasico  si  avvale  di  un  mdc  paramagnetico  intravascolare‐interstiziale (gadolinio‐DTPA), la cui somministrazione e.v. viene seguita da scansioni seriate nel tempo, 

in  fase arteriosa o di differenziazione cortico‐midollare durante  la quale  il mdc  rende  iperintense  le arterie  renali  (angio‐RM  con mdc)  e  la  corticale,  con  netta  visualizzazione  della  giunzione  cortico‐midollare e possibilità di valutare il c.e. di eventuali masse renali.  

in fase nefrografica, durante la quale anche la midollare diviene iperintensa.  

in  fase  tardiva,  di  deflusso  del  defluendo  lungo  le  vie  escretrici  urinarie,  che  così  possono  essere visualizzate (uro‐RM con mdc).  

   TECNICHE RADIOISOTOPICHE  Scintigrafia renale statica Prevede la somministrazione e.v. di radiocomposti [es. 99mTc‐DMSA (Acido DiMercaptoSuccinico)] che, dopo filtrazione glomerulare, si concentrano a livello della corticale. Ciò consente, a distanza di 1‐2 h dalla somministrazione, di visualizzare il parenchima corticale funzionante. Può  inoltre fornire un valore di funzionalità renale relativa: funzionalità di ogni rene preso singolarmente, non quantificata in ml/min, ma in termini percentuali rispetto alla funzionalità renale totale.   Indicazioni principali:  1. Ricerca, dopo 6 mesi da un episodio di pielonefrite acuta e nei pz con pielonefriti recidivanti, di cicatrici  

renali (scars), espressione di danno parenchimale stabilizzato. Le  cicatrici  renali  si manifestano  come aree  che non  concentrano  il  radiocomposto e  che alterano  il profilo della corticale.  

2. Riconoscimento del parenchima funzionante residuo nelle nefropatie  3. Studio delle malformazioni renali, nei casi di dubbia interpretazione ecografica ed urografica.    Scintigrafia renale sequenziale Utilizza traccianti che, dopo filtrazione glomerulare e/o secrezione tubulare, vengono eliminati attraverso le urine: 

99mTc‐DTPA (acido dietilen‐tramino‐pentacetico) 

99mTc‐MAG3 (mercaptoacetilglicina) 

123I‐OIH (acido ortoiodoaminoippurico)  Il 99mTc‐DTPA, essendo un analogo dell’inulina, viene eliminato per filtrazione glomerulare, senza subire ne riassorbimento ne secrezione tubulare.  La misura della sua clearance equivale, quindi, a quella del filtrato glomerulare.   L’ 123I‐OIH è eliminato sia per filtrazione glomerulare che per secrezione tubulare.  La misura della sua clearance equivale, quindi, a quella della portata plasmatica renale effettiva.   

Il 99mTc‐MAG3 viene eliminato solamente per secrezione tubulare. La valutazione della sua clearance permette di stimare la portata plasmatica renale effettiva. L’elevato coefficiente di estrazione plasmatica ne consente l’impiego in: 

Situazioni  di  insufficienza  renale,  anche  di  grado  moderato  e  severo,  nelle  quali  il  DTPA  risulta controindicato 

Età pediatrica, quando la funzione dei reni è ancora immatura   

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

La scelta del radiofarmaco è influenzata da: - Aspetto della funzione renale che si vuole esplorare - Grado di funzione renale residua - Costo 

 Dopo  somministrazione  e.v.  del  radiofarmaco,  si  acquisisce  in maniera  dinamica  una  serie  continua  di immagini, per 20‐30 min.  Ciò  è  reso  possibile  dal  fatto  che,  a  differenza  dell’urografia  endovenosa,  ogni  nuova  acquisizione  non aumenta il carico dosimetrico imposto al pz. La  valutazione  visiva  è  seguita  dall’elaborazione  di  curve  attività/tempo  radionefrografiche  in  cui  si distinguono: 2. un picco vascolare iniziale, stretto ed aguzzo, espressione della perfusione renale. 3. un secondo picco più largo, dovuto all’estrazione della radioattività circolante da parte del rene.  

Risulta  espressione  della  funzione  glomerulare  e/o  di  quella  tubulare,  a  seconda  del  radiofarmaco utilizzato. 

4. una discesa, che rispecchia il deflusso del radiofarmaco dai reni, lungo le vie escretrici.    Indicazioni: 

Valutazione quantitativa e separata della  funzione dei due reni, possibile sia  in termini relativi  (% del totale) che assoluti (ml/min) 

Screening dell’ipertensione nefro‐vascolare, integrata con test al captopril 

DD,  in un neonato  con  evidenza  ecografica di  idronefrosi,  tra ostruzione  funzionale  ed organica del giunto pielo‐ureterale, integrata con il test alla furosemide 

Studio  delle  complicanze  del  trapianto  renale,  consentendo, mediante  l’impiego  di  99mTc‐MAG3,  la distinzione tra  insufficienza renale acuta da necrosi tubulare su base  ischemica ed  insufficienza renale acuta da rigetto: 

Nella necrosi  tubulare,  la  curva  radionefrografica  evidenzia  un  significativo prolungamento della fase di accumulo, non seguita dall’allontanamento del radiofarmaco attraverso le vie escretrici. 

Nel rigetto acuto, la curva è costituita esclusivamente dalla fase di transito vascolare senza le fasi di accumulo e di allontanamento.  

Tale DD  è  fondamentale  ai  fini  della  scelta  terapeutica,  rendendosi  necessaria,  nel  rigetto  acuto,  la somministrazione di immunosoppressori.  

  Cistoscintigrafia  È l’indagine d’elezione per la diagnosi di un reflusso vescico‐ureterale. La cistoscintigrafia può essere:  

Indiretta,  sfruttando  la  fase  terminale  di  una  scintigrafia  renale  sequenziale  (consente  tuttavia  di riconoscere solo reflussi di grado moderato‐severo). 

Diretta,  introducendo nella vescica, mediante catetere, un millicurie di  99Tc‐DTPA diluito  in soluzione fisiologica.  Attraverso l’acquisizione di una serie continua di immagini, per 15‐30 min, si ricerca l’eventuale risalita della  radioattività  dalla  vescica  agli  ureteri,  fino  al  sistema  pielo‐caliceale  renale,  in  fase  passiva,  di riempimento vescicale ed in fase attiva, minzionale. 

 Viene preferita alla cistografia retrograda perché: - Comporta un’irradiazione gonadica significativamente più bassa (50‐200 volte inferiore) - Si dimostra più accurata in quanto il monitoraggio continuo dello stato di riempimento vescicale –  reso 

possibile dal fatto che ogni nuova acquisizione non aumenta il carico dosimetrico del pz –  consente di rilevare anche reflussi transitori o intermittenti. 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Il principale svantaggio risiede nell’incapacità di fornire dettagli anatomici. Ciò  rende  la  cistografia  retrograda ancora  indicata nei maschi  con  severa  idronefrosi  in cui permette di effettuare  uno  studio  morfologico  dell’uretra,  al  fine  di  escludere  la  presenza  di  valvole  dell’uretra posteriore, causa di RVU secondario. Attualmente, per la ricerca di valvole dell’uretra posteriore ci si può anche avvalere di una cistosonografia condotta  introducendo  in  vescica,  mediante  catetere,  un  mezzo  di  contrasto  ecografico  a  base  di microbolle.                                              

 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Condizioni specifiche   

Tumori renali I tumori primitivi del rene possono essere: - Benigni - Maligni   Nell’ambito dei tumori benigni si distinguono: 5. Forme epiteliali, come l’adenoma, che può assumere il caratteristico aspetto istologico di oncocitoma. 6. Forme mesenchimali, come l’angiomiolipoma (AML), costituito da vasi sanguigni, fibre muscolari lisce e 

grasso.   Tra i tumori maligni rientrano: 7. Carcinoma a cellule renali, che costituisce l’85% dei tumori renali dell’adulto 8. Nefroblastoma o tumore di Wilms, che rappresenta il tumore renale più frequente in età pediatrica  9. Carcinomi uroteliali della pelvi renale   Inciso su: Ca a cellule renali  Predilige il sesso maschile  Ha un picco di incidenza nella 6a‐7a decade di vita  Fattori di rischio sono: - Storia familiare - Sindrome di VHL (sindrome ereditaria a trasmissione AD che predispone allo sviluppo di tumori multipli, 

tra cui Ca renale bilaterale, emangioblastomi di retina e SNC, feocromocitomi) - Fumo di sigaretta - Obesità - Ipertensione arteriosa - Esposizione a metalli pesanti - Rene policistico di tipo adulto - Malattia policistica acquisita del rene che insorge dopo molti anni di trattamento emodialitico   Non costituisce un’unica entità anatomo‐patologica bensì una  famiglia di neoplasie epiteliali maligne che include diversi istotipi: - Carcinoma renale a cellule chiare (70‐80% dei casi) - Carcinoma renale papillare (15% dei casi) - Carcinoma renale cromofobo (5% dei casi) - Carcinoma dei dotti collettori (1% dei casi) - Carcinoma sarcomatoide  Sotto il profilo macroscopico, può presentarsi in forma: - Nodulare - Infiltrante - Cistica   

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Nella maggior  parte  dei  casi,  i  tumori  renali  vengono  diagnosticati  in maniera  occasionale,  nel  corso  di indagini strumentali effettuate per altri motivi. Ciò  vale  anche  per  il  carcinoma  a  cellule  renali  la  cui  classica  triade  sintomatologica  –  composta  da macroematuria, massa palpabile della loggia renale e dolore al fianco – si manifesta solo in fase avanzata.  

 L’ecografia è generalmente la I indagine che consente il riscontro occasionale di una lesione espansiva del rene, apprezzabile se dimensione sufficienti per la sensibilità della metodica – superiori, quindi, a 2 cm – e non  isoecogena  rispetto  al  parenchima  renale  sano  circostante  (come  spesso  lo  sono  i  tumori  ben differenziati del rene).  L’ecografia  permette,  inoltre,  di  distinguere  agevolmente  lesioni  solide  da  lesioni  cistiche  e,  nell’ambito delle lesioni cistiche, tra cisti semplici e cisti complesse.  Segni ecografici caratteristici di cisti renale semplice sono: - Contenuto anecogeno - Pareti sottili e regolari - Rinforzo di parete posteriore - Forma rotondeggiante N.B. Le cisti renali semplici sono sempre benigne e non richiedono ulteriori approfondimenti diagnostici.  Le cisti complesse differiscono da quelle semplici per la presenza di ispessimenti focali o diffusi della parete, setti,  echi  corpuscolati  al  loro  interno,  noduli  solidi  endocistici,  ponendo  un  problema  di  DD  con  un carcinoma cistico del rene. Tale DD può essere favorita da una valutazione al color‐Doppler o da uno studio con tecniche di seconda armonica e mdc ecografici, attraverso cui si valuta se eventuali setti, ispessimenti di parete e noduli solidi endocistici siano o meno vascolarizzati.  La loro vascolarizzazione depone, infatti, per una neoangiogenesi tumorale.     In presenza di una lesione solida del rene, la diagnosi di natura può essere ipotizzata sulla base di:  - Ecostruttura, che, se iperecogena omogenea, è indicativa di angiomiolipoma (AML).  - Vascolarizzazione,  esaminata  mediante  color‐Doppler  o  con  tecniche  di  seconda  armonica  e  mdc 

ecografici, che fornisce una misura della neoangiogenesi tumorale.    L’indagine ecografica è anche capace di  fornire  informazioni utili ai  fini della  stadiazione di un’eventuale neoplasia maligna, quali: 

Trombosi neoplastica della vena renale e della VCI, riconoscibile attraverso il color‐Doppler  

Presenza di metastasi epatiche    Limiti dell’indagine ecografica sono: 

Bassa sensibilità nel riconoscere lesioni di diametro < 2 cm e con ecostruttura solida isoecogena  

Riduzione delle performance diagnostiche in presenza di obesità 

Scarsa capacità di distinguere cisti emorragiche o infette (non anecogene) da lesioni solide e da masse infiammatorie. 

      

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Come  indagine  strumentale di  II  livello,  ci  si  avvale di una  TC  spirale multistrato, praticata  con  tecnica contrastografica multifasica, che prevede:  10. Scansione diretta iniziale    11. Scansioni seriate nel tempo, dopo la somministrazione e.v. del mdc  in fase arteriosa o di differenziazione cortico‐midollare  in fase nefrografica  in fase tardiva, di deflusso del mdc lungo le vie escretrici urinarie  

 Tale indagine è indicata per: 1. Individuare masse  renali  clinicamente  sospette,  in  pz  con  ecografia  negativa,  data  la  sua maggiore 

sensibilità.   

2. Caratterizzare lesioni solide e cisti complesse del rene, riscontrate all’ecografia In particolare, ‐ di lesioni solide vanno valutate: 

Densità basale, mediante la scansione diretta pre‐contrastografica 

C.e., mediante la scansione contrastografica eseguita in fase arteriosa   Alla scansione diretta pre‐contrastografica,  il riscontro di grasso  intralesionale,  ipodenso, è tipico dell’AML. Alla scansione contrastografica eseguita in fase arteriosa, l’evidenza di un intenso c.e. suggerisce la ricchezza della vascolarizzazione e, quindi, della neoangiogenesi tumorale, orientando verso una lesione di natura maligna. Va,  tuttavia,  tenuto  conto  che  la  varietà  istologica  papillare  di  carcinoma  a  cellule  renali caratteristicamente presenta una scarsa vascolarizzazione.  Qualora  la  scansione  contrastografica eseguita  in  fase arteriosa  riveli, nel  contesto della  lesione, una cicatrice centrale stellata priva di c.e., va posto il sospetto oncocitoma.   N.B. Va  detto,  comunque,  che  tutte  le  lesioni  solide  del  rene  –    tranne  quelle  a  prevalentemente contenuto adiposo  (AML) –   necessitano di una conferma diagnostica chirurgica,  in quanto non è possibile una differenziazione radiologica certa tra adenoma e carcinoma. 

 - delle cisti complesse, bisogna valutare: 

Densità del contenuto ed eventuale presenza di calcificazioni, mediante  la   scansione diretta pre‐contrastografica  

C.e.  di  setti,  ispessimenti  di  parete  e  noduli  solidi  endocistici,  mediante  la  scansione contrastografica eseguita in fase arteriosa L’impregnazione contrastografica di tali strutture orienta verso la natura neoplastica della cisti complessa, perché espressione di neoangiogenesi tumorale.  

  3. Stadiare un’eventuale neoplasia maligna del rene, potendo evidenziare:  

- Invasione  dello  spazio  perirenale  (T3)  e,  per  superamento  della  fascia  di  Gerota,  dello  spazio pararenale anteriore (T4)  

- Trombosi neoplastica della vena renale e della VCI - Coinvolgimento delle vie escretrici urinarie - Metastasi a carico dei linfonodi dell’ilo renale e paracavali - Metastasi a distanza (a carico di rene controlaterale, surreni, fegato e polmoni) 

   

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Una RM ha come indicazioni: 12. Impossibilità di utilizzare mdc iodati in pz con masse renali  13. Valutazione di masse renali nei bambini, in cui l’assenza di radiazioni ionizzanti costituisce un vantaggio 

particolarmente rilevante  

14. Caratterizzazione di masse renali delle quali la TC abbia fornito reperti dubbi La  più  alta  risoluzione  di  contrasto  nell’ambito  di  tessuti molli,  rende  infatti  la  RM maggiormente capace  di  identificare  anche minime  quantità  di  grasso  intralesionale,  tipico  dell’AML,  che  appare iperintenso,  all’interno  delle  sequenze  T1‐pesate;  privo  di  segnale,  in  quelle  T2‐pesate  con  fat‐suppression.  La RM è  inoltre  superiore alla TC nel evidenziare  il  c.e. di  setti,  ispessimenti parietali e noduli  solidi intralesionali  di  cisti  complesse  del  rene,  attraverso  immagini  T1‐pesate,  assunte  dopo somministrazione e.v. di un mdc paramagnetico.  

15. Stadiazione di un tumore maligno del rene, per precisare, sotto forma di angio‐RM, l’estensione di una trombosi venosa neoplastica, in virtù della sua multiplanarità.  

   Una  scintigrafia  ossea  statica  total  body  andrebbe  eseguita  solo  in  presenza  di  sintomi  suggestivi  di metastasi scheletriche.        Una PET‐FDG non è indicata in quanto la scarsa avidità del carcinoma renale a cellule chiare per il glucosio, comporta un alto rischio di falsi negativi.   Una biopsia  renale ECO‐ o TC‐guidata viene oggi considerata una procedura diagnostica di  routine nella caratterizzazione delle masse renali di natura dubbia o non suscettibili di approccio chirurgico. Il timore di un aumentato rischio di complicanze emorragiche o di colonizzazione neoplastica lungo il tratto bioptico è attualmente ritenuto infondato.    Una  scintigrafia  renale  sequenziale  viene  impiegata    nei  pz  con  tumore  renale maligno,  candidati  alla terapia chirurgica, per valutare in maniera quantitativa e separata la funzione del rene controlaterale.    

Un’arteriografia oggi presenta come indicazioni: 

Chemioembolizzazione  pre‐chirurgica,  per  ridurre  la  vascolarizzazione  della  lesione  e,  quindi,  il sanguinamento intraoperatorio 

Chemioembolizzazione,  come unico  intervento  terapeutico,  in pz con un  tumore  renale maligno non candidati all’intervento chirurgico per insufficienza del rene controlaterale o per evidenza di metastasi a distanza 

     

 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Dismorfie renali La loro scoperta generalmente avviene in maniera casuale, durante indagini strumentali effettuate per altri motivi.   Tra esse rientrano:  16. Fusione,  caratterizzata  dal  fatto  che  i  due  reni  sono  fusi,  per mancata  separazione  durante  la  vita 

intrauterina. Le vie escretrici mantengono, comunque, la loro indipendenza.  

17. Ectopie, nelle quali il rene può localizzarsi in zone diverse dalla sua sede abituale (2a vertebra lombare), per mancata  risalita  dalla  pelvi,  dove  origina  (rene  pelvico)  o  per  una  sua  eccessiva  risalita  (rene toracico). 

 18. Distopia  o  ectopia  crociata  che  consiste  in  un’alterazione  della  migrazione  renale,  non  solo 

quantitativa, ma anche qualitativa, con deviazione verso il lato opposto del rene e dell’uretere durante il processo di  risalita.  Il  rene distopico  si  situa  al di  sotto del  controlaterale,  con  il quale di  solito  si fonde. Per la concomitante malrotazione, entrambe le pelvi sono dirette verso la linea mediana. 

 19. Rene “a ferro di cavallo” in cui un difetto di risalita si associa ad una fusione dei poli inferiori dei reni, 

che risultano uniti da un istmo parenchimatoso o fibroso, posto al davanti dell’aorta e della vena cava inferiore. Le concomitanti anomalie di posizione e di decorso degli ureteri giustificano  le possibili complicanze, quali idronefrosi, nefro‐urolitiasi, infezioni delle vie urinarie. L’ecografia,  impiegata come  indagine di  I  livello al sopraggiungere di complicanze,  riconosce  il ponte preaortico che unisce i due reni. In  II  istanza,  ci  si  può  avvalere  di  una  TC  spirale multistrato,  pratica  con  tecnica  contrastografica multifasica, che permette di: - Individuare  il  ponte  di  connessione  e  valutarne  la  funzionalità,  denunciata  dalla  sua  presa  di 

contrasto. - Apprezzare, in fase urografica (uro‐TC), la malrotazione delle cavità escretrici pielocaliceali. 

 N.B. Lo studio della  funzionalità dell’istmo è anche possibile mediante una scintigrafia renale statica con  indicatori  a  fissazione  corticale,  considerando  che  dove  c’è  tessuto  fibroso  non  si  osserva concentrazione del radiofarmaco. 

   

Malformazioni parenchimali Tra esse va menzionata l’atrofia renale unilaterale, sempre associata all’aplasia dell’uretere omolaterale. Il rene controlaterale appare ipertrofico e, spesso, ectopico L’ecografia, condotta in prima istanza, permette di accertare l’assenza del rene. TC ed RM sono utili per la ricerca di malformazioni associate.  

   Malformazioni delle vie escretrici        

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Malattie renali cistiche Si distinguono in: Forme non genetiche  Forme genetiche  Forme non genetiche  Sono multifattoriali e comprendono: 

Reni multicistico 

Rene “a spugna midollare” 

Cisti renale semplice 

Cisti in corso di insufficienza renale cronica 

Cisti renale multiloculata 

Cisti pielogenica   Forme genetiche  Possono essere:  20. a trasmissione autosomica recessiva, caso del rene policistico di tipo infantile 21. a trasmissione autosomica dominante, caso del rene policistico di tipo adulto 22. associate ad altre patologie, come la sindrome di VHL    Forme non genetiche  Rene multicistico È  una  forma  estrema  di  displasia  renale  in  cui  il  parenchima  renale  viene  totalmente  sostituito  da  un ammasso di formazioni cistiche.  Si manifesta nel neonato sotto forma di una massa palpabile della loggia renale, di solito unilaterale.  La diagnosi di rene multicistico si basa su di un’ecografia prenatale con conferma neonatale L’indagine  dimostra  una  loggia  renale  occupata  da  numerose  cisti  di  dimensioni  variabili,  che  appaiono come formazioni anecogene, con rinforzo di parete posteriore.  Una scintigrafia renale sequenziale è  indicata per valutare  in maniera quantitativa e separata  la funzione dei due reni.   Rene “a spugna midollare” È una condizione caratterizzata dalla dilatazione dei dotti collettori pre‐caliceali, situati nelle piramidi della midollare. La dilatazione è diffusa e conferisce alle piramidi un tipico aspetto microcistico spugnoso.  Di solito risulta asintomatico. Tuttavia,  la  precipitazione  di  sali  di  calcio  nelle microcisti  della midollare  (nefrocalcinosi)  determina  la comparsa di coliche renali ed ematuria.  L’esame radiografico diretto può rivelare minute calcificazioni disseminate in sede papillare.  

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

L’ecografia  evidenzia  le  calcificazioni  papillari,  come  piccoli  foci  iperecogeni  dotati  di  cono  d’ombra posteriore, ma è poco sensibile nel riconoscere le dilatazioni cistiche dei dotti collettori pre‐caliceali, perché di piccole dimensioni e perché situate profondamente all’interno della midollare.  Il gold standard per la diagnosi è rappresentato da un’urografia discendente capace di dimostrare la i dotti collettori  pre‐caliceali  dilatati,  come  raccolte  sacciformi  di  mdc,  che  conferiscono  alla  midollare  il caratteristico aspetto microcistico spugnoso.     Cisti pielogeniche Si tratta di formazioni cistiche comunicanti, mediante un sottile colletto, con un calice normale. La  loro natura è diagnosticabile attraverso  tecniche urografiche che ne dimostrano,  in  fase pielografica, l’opacizzazione ed il colletto di comunicazione il calice      Forme genetiche  Rene policistico di tipo infantile Malattia ereditaria a trasmissione autosomica recessiva.  L’età d’insorgenza della malattia e la sua gravità hanno tra loro un rapporto di proporzionalità inversa.  Nella  forma  ad  insorgenza  neonatale,  predomina  l’interessamento  renale  a  cui  si  associa  un’ipoplasia polmonare che, spesso, porta all’exitus per insufficienza respiratoria. Nella forma ad insorgenza più tardiva, predomina, invece, l’interessamento epatico, con: 

Fibrosi epatica congenita 

Ipertensione portale  Per  la  diagnosi,  ci  si  affida  all’ecografia,  con  quella  prenatale  che  può  già  far  porre  il  sospetto  della patologia. Nei neonati, l’indagine ecografica dimostra reni bilateralmente ingranditi ed iperecogeni. L’iperecogenicità è dovuta all’accollamento delle pareti delle microcisti, ecograficamente non visibili.  Nei bambini più grandi e negli adolescenti, all’ecografia dell’intero addome si riscontrano:  

Cisti renali ed epatiche 

Segni di fibrosi epatica e di ipertensione portale  La conferma diagnostica può richiede una biopsia renale ed epatica  Una scintigrafia renale sequenziale è  indicata per valutare  in maniera quantitativa e separata  la funzione dei due reni.            

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Rene policistico di tipo adulto È una malattia ereditaria a trasmissione autosomica dominante.  Diviene clinicamente manifesta a partire dai 30 anni.  Il quadro clinico può includere: 

Ematuria 

IA 

Senso di fastidio o di peso al fianco 

Massa renale bilaterale 

Coliche renali da nefrolitiasi 

Infezioni ricorrenti delle vie urinarie 

Progressiva compromissione della funzione renale  Possono associarsi: 

Cisti epatiche 

Aneurismi del poligono di Willis   L’ecografia consente la diagnosi, dimostrando: 

Aumento delle dimensioni dei reni 

Progressiva  sostituzione del parenchima  renale da parte di cisti multiple, generalmente anecogene e con rinforzo di parete posteriore 

Fenomeni emorragici endocistici sono denunciati dalla comparsa di un contenuto liquido corpuscolato.   Una scintigrafia renale sequenziale è  indicata per valutare  in maniera quantitativa e separata  la funzione dei due reni.  

                       

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Ascesso renale Si manifesta con febbre, leucocitosi, dolore al fianco, eventuale massa palpabile.  Nel sospetto di un ascesso renale l’indagine di I livello è l’ecografia Dimostra l’ascesso come una massa renale a margini irregolari ed a contenuto liquido corpuscolato. Il color‐Doppler rivela l’assenza di segnali vascolari intralesionali.   In II istanza ci si avvale di: TC con mdc, che viene ritenuta  l’indagine d’elezione nel sospetto di ascesso renale perché consente, non solo di individuare la raccolta ascessuale, con una sensibilità maggiore di quella dell’ecografia, ma anche di valutane l’estensione allo spazio perirenale. L’ascesso  si presenta  sotto  forma di una massa  ipodensa,  con  contorni  irregolari ed  ispessiti,  che vanno incontro ad un marcato c.e. dopo somministrazione e.v. del mdc, divenendo quindi iperdensi. Il riscontro di gas all’interno della lesione risulta patognomonico di ascesso.   Ecografia e TC, inoltre, possono guidare il drenaggio percutaneo di raccolte ascessuali del rene.    

Ascesso perirenale Si manifesta  con  febbre,  leucocitosi,  dolore  che,  dal  fianco,  si  irradia  a  torace,  piega  inguinale,  coscia, eventuale massa palpabile.   Vengono distinte: 

Forme primitive 

Forme secondarie  Le  forme primitive sono quelle che si  realizzano per  l’estensione allo spazio perirenale di un ascesso del rene.  Le forme secondarie, invece, possono esser causate da:  

Disseminazione ematogena, allo spazio perirenale, di un focolaio infettivo distante 

Diffusione per contiguità, allo spazio perirenale, di un processo infettivo situato in un organo adiacente (caso di rottura dell’appendice e diverticolite) 

  Indagine d’elezione nel sospetto di un ascesso perirenale: TC con mdc  Permette, infatti, di:  1. Esplorare lo spazio perirenale, rivelando la presenza in esso della raccolta ascessuale.  

Quest  ultima  appare  come  una massa  ipodensa,  con  contorni  irregolari  ed  ispessiti,  che  vanno  incontro  a  un marcato c.e., dopo somministrazione e.v. del mdc.  Il riscontro di gas all’interno della lesione risulta patognomonico di ascesso. 

2. Precisare i confini del processo infiammatorio, dimostrandone l’eventuale estensione al muscolo psoas ed alla pelvi 

3. Definire l’origine dell’ascesso, che può essere renale, appendicolare, diverticolare 4. Guidarne il drenaggio percutaneo   

  

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Calcolosi urinaria Può essere: 

Asintomatica, se i calcoli non ostacolano il deflusso dell’urina 

Sintomatica per: 

Coliche renali (dolore intermittente che parte dal fianco o dalla regione lombare e che si irradia alla piega inguinale) 

Ematuria 

Nausea, vomito, distensione addominale   Nel pz colpito da colica renale, in prima istanza, è possibile ricorrere a:  Approccio combinato esame radiografico diretto – ecografia  anche se attualmente si preferisce impiegare una:  TC spirale MS senza mdc    Approccio combinato esame radiografico diretto – ecografia   L’esame radiografico diretto si effettua assumendo, a pz in decubito supino, un radiogramma dell’addome in proiezione AP. Sebbene  il  95% dei  calcoli delle  vie urinarie  sia  radiopaco  e, quindi,  apprezzabile  all’esame  radiografico diretto, la sensibilità dell’indagine viene limitata da una serie di fattori: 

Preparazione intestinale non sempre possibile nelle immediate vicinanze di una colica 

Dimensioni dei calcoli spesso inferiori al potere di risoluzione della metodica 

Sovrapposizione della  radiopacità delle apofisi  trasverse delle vertebre  lombari, delle ali  iliache e del sacro  

 L’esame radiografico diretto,  inoltre, non offre  la certezza dell’appartenenza di un’immagine calcifica alle vie urinarie.  Falsi positivi possono infatti esser rappresentati da: 

Linfonodi calcifici 

Fleboliti ( e cioè calcificazioni di trombi formatisi in varicosità venose)   Ecografia È in grado di dimostrare calcoli radiopachi e radiotrasparenti, anche di dimensioni molto piccole, a livello di papille renali, calici, pelvi renale, tratto prossimale e terminale dell’uretere, vescica, dove appaiono come formazioni iperecogene, mobili e dotate di un con d’ombra posteriore.  L’indagine  ha  tuttavia  difficoltà  nel  visualizzare  il  tratto  medio  dell’uretere  ed  i  calcoli  in  esso eventualmente indovati, per il meteorismo intestinale interposto.  La presenza di calcoli  in questa sede è comunque  ipotizzabile qualora si riscontri una dilatazione delle vie escretrici a monte, ben apprezzabile ecograficamente.       

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Nel  pz  colpito  da  colica  renale,  in  prima  istanza,  come  alternativa  all’approccio  combinato  esame radiografico diretto‐ecografia, oggi si preferisce effettuare una:   TC spirale MS senza mdc dell’addome  N.B. Ciò non valeva per la TC assiale che non fornisce scansioni NON continue, ma contigue. Il calcolo,  infatti, poteva   trovarsi nello spazio tra due scansioni successive oppure essere perduto  in virtù dei movimenti legati agli atti del respiro.  Vantaggi della TC spirale MS senza mdc nello studio della colica renale sono: 

Rapidità d’esecuzione 

Elevata sensibilità nell’identificare calcoli, anche di densità subcalcica ed a sede ureterale media 

Precisa stima delle dimensioni del calcolo 

Sicura diagnosi differenziale con fleboliti 

Notevole accuratezza nel riconoscere complicanze infiammatorie (come ascessi) renali e perirenali 

Capacità di riconoscere altre cause di dolore al fianco 

Possibilità  predire  l’efficacia  di  un  eventuale  trattamento  di  litotrissia  extracorporea  (sulla  base  di volume del calcolo, sua densità, distanza calcolo‐cute) 

 Il  principale  svantaggio  risiede  nella  dose  radiante  erogata  superiore  a  quella  prevista  dall’approccio combinato esame radiografico diretto‐ecografia.   Urografia discendente  Ha attualmente perso il ruolo di indagine di prima scelta per la ricerca di calcoli urinari.  Conserva, tuttavia, quello di valutare  le alterazioni morfo‐strutturali del rene e delle vie escretrici urinarie  prodotte dal calcolo, dopo la sua dissoluzione, mediante litotrissia.     Scintigrafia renale sequenziale È indicata per valutare, in maniera quantitativa e separata, il recupero funzionale dei reni dopo trattamento 

                   

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Neoplasie della vescica  I tumori vescicali sono, nel 95% dei casi, di origine epiteliale; nel restante 5%, di origine connettivale. Tra  i  tumori di origine epiteliale, quelli a  cellule  transizionali, derivanti dal  rivestimento uroteliale della vescica sono i più frequenti, costituendo il 90% di tutti i tumori vescicali. Nell’ambito dei tumori a cellule transizionali della vescica rientrano: 23. Papilloma uroteliale, che consiste  in un asse connettivo‐vascolare, rivestito da urotelio privo di atipie 

cellulari ed architetturali. Nonostante sia benigno, tende a recidivare. 24. Ca in situ, definito dalla presenza, all’interno di un urotelio piatto, di cellule maligne che non superano 

la membrana basale e che possono essere rinvenute nelle urine, per perdita della loro coesività. 25. Carcinoma papillare uroteliale 

Rappresenta la quasi totalità dei tumori vescicali a cellule transizionali. È costituito da papille il cui rivestimento uroteliale presenta atipie citologiche ed architetturali.  In base alla % di atipie cellulari, se ne riconoscono tre gradi di malignità crescente.  

N.B. Caratteristica tipica delle neoplasie uroteliali è  la tendenza a svilupparsi, in tempi diversi, in più punti dell’asse escretore di entrambi i reni. Sono pertanto definite policronotopiche.  Tumori vescicali di origine epiteliale sono, inoltre: 26. Ca squamoso, associato a schistosomiasi  27. Adenocarcinoma, derivante da residui embrionali dell’uraco 

  Carcinoma della vescica  EPIDEMIOLOGIA Il Ca della vescica predilige il sesso maschile ed ha un picco di incidenza dopo i 65 anni.    FATTORI DI RISCHIO 

Esposizione all’anilina ed a sostanze chimiche impiegate nella produzione della gomma e della plastica (il cancro del vescica rientra, pertanto, tra i tumori professionali) 

Fumo di sigaretta 

Calcolosi vescicale, per l’azione irritante dei calcoli sull’urotelio 

Schistosomiasi, FR per il ca vescicale a cellule squamose     CLINICA Il  carcinoma  della  vescica  tipicamente  esordisce  con  un’ematuria macroscopica,  non  accompagnata  da dolore (macroematuria monosintomatica).    ITER DIAGNOSTICO Nel pz con macroematuria monosintomatica i passi iniziali dell’iter diagnostico sono rappresentati da: Anamnesi, mirata alla ricerca di fattori di rischio  Visita urologica con prova dei  tre bicchieri che consente  la distinzione  tra ematuria  iniziale,  terminale e totale, orientando circa la sede del sanguinamento. Infatti, 

un’ematuria iniziale, depone per una patologia uretrale o prostatica 

un’ematuria terminale, per una patologia vescicale 

un’ematuria totale, per una patologia renale 

  

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Studio della citologia urinaria, sulle urine del mattino, per tre giorni consecutivi. La sensibilità della metodica è elevata per neoplasie di alto grado e Ca in situ; scarsa, per neoplasie di basso grado.  Pertanto,  la  negatività  dell’esame  citologico  non  esclude  necessariamente  la  presenza  di  una neoplasia. Va  detto,  inoltre,  che  il  reperto  di  cellule  neoplastiche  nel  sedimento  urinario  indica  una  generica provenienza di queste dall’intero tratto urinario.   Si  passa,  quindi,  alla  DxI,  avvalendosi,  in  prima  istanza,  di  un’ecografia  sovrapubica,  qualora  la  visita urologica con prova dei  tre bicchieri abbia suggerito un’origine vescicale del sanguinamento  (ematuria di tipo terminale).  L’ecografia sovrapubica va effettuata a vescica piena per: 

Evitare l’interposizione di anse intestinali meteoriche 

Creare un utile gradiente di contrasto tra lume e pareti della vescica Il carcinoma si manifesta come una vegetazione endovescicale  iperecogena rispetto all’urina, anecogena, talora accompagnata da rigidità della parete vescicale. Va detto, comunque, che una lesione iperecogena endovescicale può consistere in: 

Tumore, che si manifesta come una formazione iperecogena FISSA  

Calcolo, che si manifesta come una  formazione  iperecogena MOBILE, al variare del decubito del pz e DOTATA DI UN CONO D’OMBRA POSTERIORE 

Coagulo ematico, che si manifesta come una formazione  iperecogena MOBILE, al variare del decubito del pz e PRIVA DI UN CONO D’OMBRA POSTERIORE 

P.S. qualora  il  cono d’ombra non  sia apprezzabile, non è possibile distinguere un  calcolo da un  coagulo ematico vescicale, generalmente espressione del sanguinamento di tumori uroteliali delle alte vie urinarie.  Va detto, comunque, che un’ecografia sovrapubica negativa non consente di escludere  la presenza di un carcinoma  della  vescica  dato  che  la metodica  risulta  poco  sensibile  nell’identificare  tumori  vescicali  di dimensioni < 5 mm.   L’indagine  dirimente  per  la  diagnosi  è  piuttosto  costituita  da  una  cistoscopia  con  biopsie,  prelevando campioni tissutali che devono comprendere anche la tonaca muscolare. Tale  indagine consente,  infatti, di porre diagnosi di certezza, mostrando una sensibilità elevata anche per tumori molto piccoli. N.B. La cistoscopia con biopsie è utile, non solo, per l’identificazione di un carcinoma vescicale ma, anche, per  la caratterizzazione della neoplasia – permettendo di stabilire  istotipo e grado di differenziazione   del tumore  (“grading”) –   e per  la sua stadiazione, fornendo  informazioni circa  la profondità dell’infiltrazione parietale.    Le  metodiche  di  immagine  svolgono  un  ruolo  maggiormente  rilevante  una  volta  posta  diagnosi  di carcinoma vescicale a cellule transizionali quando vengono impiegate per: 1. Valutare l’eventuale interessamento degli sbocchi ureterali 2. Identificare altre neoplasie lungo l’asse escretore di entrambi i reni, considerando che i tumori uroteliali 

sono policronotopici   3. Stadiare il carcinoma  1. e 2. Per valutare  i rapporti con gli sbocchi ureterali e per  identificare altre neoplasie  lungo  l’asse escretore di entrambi i reni (tumori sincroni), soprattutto in passato, ci si avvaleva di un’urografia discendente. Attualmente, si preferisce impiegare: Uro‐TC/uro‐RM 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

L’uro‐TC  consiste  nell’effettuare  una  scansione  durante  la  fase  di  deflusso  di  un  mdc  iodato  idrosolubile  uro‐angiografico lungo le vie escretrici urinarie, che così possono essere visualizzate.  

L’uro‐RM può essere diretta o con mdc 28. L’uro‐RM diretta sfrutta sequenze fortemente T2‐pesate che, annullando  il segnale dei tessuti solidi, mettono  in 

risalto  quello  dei  fluidi  statici  o  semi‐stazionari,  come  l’urina.  Da  ciò  deriva  un’immagine  “a  calco”  delle  vie escretrici urinarie. Il limite risiede nell’impossibilità di visualizzare i tessuti circostanti, il cui segnale viene deliberatamente annullato. 

29. L’uro‐RM  con  mdc,  invece,  consiste  nell’effettuare  una  scansioni  durante  la  fase  di  deflusso  di  un  mdc paramagnetico vascolare/interstiziale (Gd‐DTPA) lungo le vie escretrici urinarie, che così vengono rese iperintense all’interno di sequenze T1‐pesate 

  Per  la  stadiazione  di  un  Ca  vescicale  (3.),  ci  si  avvale,  essenzialmente,  di  TC  e  RM  (riservando  una scintigrafia ossea a pz con sintomi suggestivi di metastasi scheletriche).   Un  grosso  limite della  TC,  tuttavia,  consiste nella  sua  incapacità di distinguere  i diversi  strati di  tessuto muscolare  della  parete  vescicale.  Ciò  risulta  particolarmente  rilevante  ai  fini  della  scelta  terapeutica,  in quanto  30. se la neoplasia infiltra solo lo strato muscolare superficiale (metà interna della tonaca muscolare, T2a) è 

ancora possibile limitarsi ad una resezione endoscopica transuretrale (TUR).  31. se,  invece,  infiltra anche  lo strato muscolare profondo  (metà esterna della  tonaca, T2b) è necessario 

praticare una cistectomia totale.  

La TC, con mdc, è comunque capace di evidenziare:    32. Invasione del grasso perivescicale (T3) e dei visceri pelvici (T4) 33. Presenza di metastasi a carico dei linfonodi regionali, ritenuti metastatici se il loro diametro trasverso è 

superiore ad 1 cm (criterio dimensionale). N.B.  Tale  criterio  dimensionale,  tuttavia, manca  di  una  sensibilità  assoluta,  perché  possono  essere metastatici anche  linfonodi  subcentimetrici, e  risulta aspecifico, perché possono essere aumentati di volume  anche  linfonodi  flogistici,  soprattutto  se  il  pz  è  anziano  e  presenta  una  storia  di malattie infiammatorie croniche locali. N.B.  va  detto  che  la  probabilità  di  trovare  metastasi  linfonodali  varia  in  rapporto  al  grado  di  infiltrazione neoplastica delle pareti del viscere. Tale probabilità è, infatti, del 25%, se il tumore infiltra meno della metà della tonaca muscolare; del 75%, se infiltra più della metà della tonaca muscolare; del 100%, se il tumore raggiunge la superficie esterna dell’organo.  

34. Metastasi a distanza (a carico di fegato e polmoni)    La RM si dimostra superiore alla TC nello stabilire l’estensione locale di una neoplasia vescicale. Consente,  infatti,  di  distinguere  lo  strato muscolare  superficiale  da  quello  profondo  e  di  riconoscere  il relativo coinvolgimento.  Ciò  richiede uno  studio  contrastografica multifasico  secondo  cui  la  somministrazione endovenosa di un mdc paramagnetico (Gd/DTPA) viene seguita da scansioni seriate nel tempo. In particolare, durante  la  fase arteriosa dell’indagine,  il maggior c.e. della  lesione,  rispetto a quello   del muscolo,  rende  possibile  la  valutazione  del  grado  di  infiltrazione  neoplastica  della  parete  muscolare, consentendo la distinzione di un T2a da un T2b.  La RM, inoltre, è più accurata della TC nel documentare l’invasione del grasso perivescicale, distinguibile, in sequenze T1‐pesate, dal tessuto tumorale, per la più alta intensità del segnale.      

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

 

Infezioni delle vie urinarie (IVU)  L’approccio al pz con IVU varia in rapporto all’età. 

 NEI  BAMBINI,  bisogna  ricercare  condizioni  predisponenti  ed  in  particolare  un  reflusso  vescico‐ureterale (RVU). Per RVU, s’intende un flusso retrogrado di urina, dalla vescica in uretere, che può giungere fino al sistema pielo‐caliceale renale. Il RVU può essere primitivo o secondario. - Il RVU primario dipende da un’anomalia congenita della struttura e del funzionamento della giunzione 

vescico‐ureterale.  Si  realizza,  quindi,  nonostante  il  profilo  pressorio  di  riempimento  vescicale  sia adeguatamente basso. 

- Il  RVU  secondario  è,  invece,  dovuto  a  condizioni  che,  per  ostruzione  anatomica  o  per  alterazione funzionale della vescica, generano pressioni endovescicali  così elevate da  sopraffare un meccanismo valvolare antireflusso del tutto normale. La  causa  più  comune  di  ostruzione  anatomica  della  vescica,  nella  popolazione  pediatrica  di  sesso maschile, è rappresentata dalle valvole dell’uretra posteriore (VUP). Una causa funzionale di elevate pressioni endovescicali consiste in una vescica neurogena, associata a spina bifida. 

 L’ecografia può far solo sospettare un RVU, evidenziando: - Idroureteronefrosi - Atrofia renale   L’indagine strumentale d’elezione per la diagnosi di RVU è piuttosto costituita da una cistoscintigrafia. La cistoscintigrafia può essere:  

Indiretta, sfruttando  la fase terminale di una scintigrafia renale sequenziale che consente, tuttavia, di riconoscere solo reflussi di grado moderato‐severo. 

Diretta,  introducendo  in  vescica,  mediante  catetere,  una  piccola  quantità  di  99Tc‐DTPA,  diluito  in soluzione fisiologica.  Attraverso l’acquisizione di una serie continua di immagini, per 15‐30 min, si ricerca l’eventuale risalita della  radioattività,  dalla  vescica  agli  ureteri  ed  al  sistema  pielo‐caliceale  renale,  in  fase  passiva,  di riempimento vescicale ed in fase attiva, minzionale. 

Viene preferita alla cistografia retrograda perché: - Comporta un’irradiazione gonadica significativamente più bassa (50‐200 volte inferiore) - Presenta  un’accuratezza  diagnostica  maggiore  in  quanto  il  monitoraggio  continuo  dello  stato  di 

riempimento vescicale –  reso possibile dal fatto che ogni nuova acquisizione non aumenta il carico dosimetrico 

del pz –  consente di rilevare anche reflussi transitori o intermittenti. Il  principale  svantaggio  risiede  nell’incapacità  di  fornire  dettagli  anatomici,  per  la  più  bassa  risoluzione spaziale. Ciò  rende  la cistografia  retrograda ancora  indicata nei maschi con severa  idronefrosi,  in cui permette di effettuare  uno  studio morfologico  dell’uretra,  finalizzato  ad  escludere  la  presenza  di  valvole  dell’uretra posteriore, causa di RVU secondario. Attualmente, per la ricerca di valvole dell’uretra posteriore, ci si può anche avvalere di una cistosonografia condotta  introducendo  in  vescica,  mediante  catetere,  un  mezzo  di  contrasto  ecografico  a  base  di microbolle.    Nei pz  con RVU, dopo 6 mesi da un episodio di pielonefrite acuta, va  inoltre effettuata una  scintigrafia renale statica con indicatori a fissazione corticale (99Tc‐DMSA), per riconoscere eventuali cicatrici residue a carico del parenchima renale (scars). Le cicatrici parenchimali, essendo di natura fibrotica, si manifestano come aree che non concentrano il radiofarmaco e che alterano il profilo della corticale.  

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Nei pz con RVU è, infine, indicato l’impiego di una scintigrafia renale sequenziale, per valutare in maniera quantitativa e separata la funzione dei due reni.    NEI RAGAZZI E NEGLI ADOLESCENTI, è  sufficiente effettuare un’ecografia dei  reni. Un’ecografia negativa consente,  infatti, di escludere  l’esistenza di un RVU che avrebbe avuto  il tempo di causare una nefropatia da reflusso.    NEGLI ADULTI con  

infezioni delle basse vie urinarie (cistiti), la DxI risulta di scarsa utilità, se il pz è di sesso femminile. Se il pz  è  di  sesso  maschile,  invece,  bisogna  principalmente  ricercare  un’ipertrofia  prostatica  benigna, mediante US sovrapubica e transrettale. 

 

Infezioni delle alte vie urinarie (pielonefriti), la DxI ha come indicazioni:  

Pielonefrite acuta che non risponde al trattamento e che richiede l’ospedalizzazione del pz 

Follow up di pielonefriti acute, per  la ricerca di eventuali cicatrici residue a carico del parenchima renale (scars)   

Pielonefriti ricorrenti e croniche    

Pielonefrite Infezione localizzata al rene  Viene sostenuta da germi (soprattutto E. coli) che raggiungono il rene per via canalicolare ascendente. Fattori predisponenti sono: 

Reflusso vescico‐ureterale 

Ostruzione delle vie urinarie da calcoli e stenosi 

Vescica neurologica  Può essere: 

Acuta Cronica   

Pielonefrite acuta Esordisce in maniera improvvisa con febbre, brividi, dolore al fianco, nausea, vomito, piuria.  La diagnosi viene posta quando una clinica suggestiva è accompagnata dal riscontro, all’urinocoltura, di una crescita batterica di almeno 10000 cfu/mm3.   Indicazioni alla DxI sono: 1. Pielonefrite acuta che non risponde al trattamento e che richiede l’ospedalizzazione del pz 2. Follow up  Nelle forme di pielonefrite acuta che non rispondono al trattamento e che richiedono l’ospedalizzazione del pz lo scopo della DxI è principalmente quello di identificare complicanze (come raccolte ascessuali renali e perirenali) Per far ciò, l’indagine strumentale di I livello è costituita un’ecografia con color‐Doppler  

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Tale indagine può consentire il riconoscimento di un ascesso renale, che appare come una lesione a margini irregolari ed a contenuto liquido corpuscolato. Il color‐Doppler rivela l’assenza di segnali vascolari intralesionali. L’ecografia è inoltre capace di evidenziare l’eventuale presenza di calcoli renali e di idronefrosi che possono fungere da condizioni predisponenti.  Come indagine strumentale di II livello, ci si avvale di una TC con mdc che costituisce l’indagine d’elezione per individuare ascessi renali e perirenali, di cui precisa anche l’estensione.  Le raccolte ascessuali si presentano come masse  ipodense, con contorni  irregolari ed  ispessiti, che vanno incontro ad un intenso c.e. dopo somministrazione e.v. del mdc, divenendo quindi iperdensi.  Il riscontro di gas all’interno della massa è patognomonico di ascesso. I pz  colpiti da pielonefrite  acuta  vanno  inoltre  sottoposti a  follow up per  la  ricerca di eventuali  cicatrici parenchimali residue (scars). Il follow up prevede l’esecuzione, dopo 6 mesi dall’evento, di una scintigrafia renale statica con traccianti a fissazione corticale. Le cicatrici parenchimali appaiono come aree di ipocaptazione che alterano il profilo renale.    

Pielonefrite cronica Si presenta sotto forma di un’insufficienza renale progressiva accompagnata da piuria. L’anamnesi è spesso positiva per infezioni ricorrenti delle vie urinarie.  All’ecografia, indagine strumentale di I livello, il rene mostra: 

Riduzione di volume 

Aree iperecogene, da fibrosi 

Contorni irregolari, per incisure di natura cicatriziale  Con l’ecografia, è inoltre possibile identificare: 

Idronefrosi  

Calcoli renali   Indagini strumentali di II livello sono: Urografia discendente (o altre metodiche urografiche, come uro‐TC ed uro‐RM),  indicate per riconoscere l’usura  infiammatoria  delle  papille  renali,  denunciata  da  alterazioni  morfologiche  dei  calici  che,  in successione, assumono un aspetto “a tenaglia”, “ad occhiello” ed “a clava”.   Le tecniche urografiche, inoltre, permettono di stabilire  sede e causa di un’eventuale ostruzione delle vie escretrici urinarie, da sospettare in caso di idronefrosi.  Scintigrafia renale statica con indicatori a fissazione corticale È molto sensibile nel rilevare gli esiti fibrotici di una pielonefriti cronica (scars). Le cicatrici parenchimali sono denunciate da aree di ridotta concentrazione del radiocomposto che alterano il profilo del rene.  Cistoscintigrafia  Va effettuata nell’infanzia, per diagnosticare un RVU, che predispone all’insorgenza di pielonefriti ricorrenti e croniche. 

    

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Tubercolosi renale Il rene viene raggiunto dai bacilli tubercolari per via ematica a partire da focolai in genere polmonari  Si riconoscono 2 forme di TBC renale:  1. TBC renale miliare 

Risulta espressione del coinvolgimento del rene nel corso di una disseminazione miliare generalizzata. È caratterizzata dalla formazione di tubercoli miliarici multipli nel contesto della corticale, apprezzabili mediante una HRCT. 

    2. TBC renale cavitaria 

Ha come lesione iniziale un granuloma localizzato all’apice di una piramide (papilla). Il focolaio necrotico‐caseoso, quando va incontro a colliquazione, ulcera la papilla e si svuota nel calice corrispondente. Ciò comporta l’estensione, per contiguità, del processo infettivo ad altre papille, dove si formano nuovi focolai. I processo tubercolare, a questo punto, può presentare un comportamento: ‐ Estensivo  ‐ Abortivo ‐ Cronico‐polimorfo, con alternanza di cicli estensivi e di cicli abortivi  La forma estensiva è caratterizzata dalla diffusione dell’infezione tubercolare a pelvi, uretere e vescica. Tale fenomeno può indurre: 

Stenosi ureterali, con il ristagno di urina e di materiale necrotico caseoso a monte che produce una dilatazione della pelvi renale (PIONEFROSI TBC) 

 

Totale occlusione delle vie di deflusso (rene escluso) In tale circostanza,  il materiale necrotico caseoso, presente nei calici e nella pelvi, si addensa, per riassorbimento di acqua, assumendo aspetto e consistenza del mastice.  Il  rene,  pertanto,  si  riduce  di  volume  e  si  trasforma  in  una  sacca  a  contenuto  poltaceo,  in  cui precipitano sali di calcio (RENE MASTICE).  

  Nella  forma  abortiva,  il  tessuto  parenchimale  e  calicino,  più  o meno marcatamente  distrutto,  viene demarcato da tessuto fibroso.  L’obliterazione del colletto calicino induce la formazione di caverne isolate. L’evoluzione fibrotica del processo tubercolare può portare a un RENE GRINZO TBC.   Indagine strumentale d’elezione per diagnostica una TBC renale cavitaria Urografia discendente Rivela  le ulcerazioni papillari  come piccole  cavità,  irregolarmente  rotondeggianti,  in  rapporto  con un calice. Le  cavità  presentano  una  demarcazione  sfumata  rispetto  a  parenchima  circostante  e  difetti  di riempimento costituiti da frustoli necrotici. Nelle forme estensive può inoltre evidenziare: ‐ Stenosi ureterali, con dilatazione della pelvi renale (idronefrosi) ‐ Rene  mastice,  come  un  rene  escluso  che,  all’esame  diretto  pre‐contrastografico,  mostra 

calcificazioni diffuse  N.B.    in  assenza  di  una massiva  calcificazione,  la  conferma  della  natura  tubercolare  di  un  rene escluso  viene  fornita  da  una  pielografia  o  da  una  uro‐RM  diretta  che  rivelano  un  quadro  di ureterite specifica. 

 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Nelle forme abortive, si riscontrano inoltre: ‐ Retrazioni parenchimali ‐ Deformazioni dei calici ‐ Calcificazioni, all’esame diretto pre‐contrastografico ‐ Lacune similcistiche, costituite da caverne isolate   L’ecografia risulta poco specifica, potendo solo: ‐ Individuare calcificazioni parenchimali ‐ Fornire informazioni su forma e dimensioni del rene 

Ingrandito, nella pionefrosi 

Rimpicciolito e bozzuto nei casi ad evoluzione fibrotica ‐ Riconoscere un’idronefrosi   Per valutare in maniera quantitativa e separata la funzione dei due reni dopo trattamento ci si avvale di una scintigrafia renale sequenziale 

    

                             

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Idronefrosi L’idronefrosi consiste in una dilatazione della pelvi renale   Se ne distinguono forme non ostruttive e forme ostruttive    Le  forme NON ostruttive sono dovute a  reflusso vescico‐ureterale   Nelle  forme  ostruttive,  l’ostruzione  può  riguardare  il giunto pielo‐ureterale oppure esser distale.  L’ostruzione del  giunto pielo‐ureterale riconosce  Cause funzionali  

Ipotonia della pelvi renale  Cause organiche 

Banda fibrosa 

Vasi aberranti 

Ripiegamento dell’uretere  

Calcoli  Cause di ostruzione distale 

Stenosi congenita del giunto uretero‐vescicale 

Calcoli 

Tumori uroteliali 

Fibrosi e processi espansivi del retro‐peritoneale 

Ipertrofia prostatica benigna 

Valvole uretrali   Diagnosi Ecografia Indagine di prima scelta per ricercare una dilatazione della pelvi renale. Nella fase di esordio, gli echi del seno renale (zona centrale fortemente, ecogena in cui sono accolte le vie escretrici) si dissociano progressivamente, lasciando, infine, un’area ecopriva ovalare, che corrisponde alla pelvi renale iperdistesa dall’urina. Con il progredire del processo ostruttivo, la distensione dei calici induce la comparsa, nel contesto del rene, di aree ecoprive di forma allungata che confluiscono nella cavità pielica. Se  l’ostruzione  al  deflusso  urinario  persiste,  si manifestano  iperecogenicità  e  riduzione  di  spessore  del parenchima renale, fino a gradi di atrofia marcata.   L’ecografia, pur essendo molto sensibile, nel riconoscere una dilatazione della pelvi renale risulta: 

Poco  affidabile  nello  stabilire  sede  e  causa  dell’ostruzione,  poiché  le  anse  intestinali  meteoriche rendono difficoltoso lo studio del tratto medio degli ureteri 

Incapace di fornire informazioni relative alla funzione dei reni.   Per stabilire sede e causa dell’evento ostruttivo, ci si può avvalere di: 

Urografia discendente 

Uro‐TC 

Uropatia ostruttiva Per  uropatia  ostruttiva  s’intende  ogni situazione  di  ostacolato  deflusso dell’urina,  con  progressiva  dilatazione delle  vie  escretrici  a  monte  ed eventuale  atrofia  parenchimale secondaria del rene.   Nel  sospetto  di  uropatia  ostruttiva l’indagine di I livello è costituita da un’  ecografia. L’ecografia,  infatti,  è  dotata  di un’accuratezza  elevata  nello  stabilire presenza  e  grado  di  dilatazione  delle vie  escretrici urinarie  ed  in particolare della  pelvi renale (idronefrosi). … 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

È parte di uno studio contrastografico multifasico e si ottiene effettuando una scansione durante la fase di deflusso del mdc lungo le vie escretrici urinarie, che divengono così visualizzabili. Rispetto  all’urografia  discendente,  offre  il  vantaggio  di  poter  esaminare  non  solo  il  lume  delle  vie escretrici urinarie ma  anche  i  tessuti  circostanti. Ciò  consente di  riconoscere  cause di ostruzione  ab estrinseco delle stesse. Eventuali calcoli vanno ricercati nella scansione diretta che precede la somministrazione del mdc. 

 In caso di “rene funzionalmente escluso”, uno studio morfologico delle vie escretrici urinarie viene garantito da: 

Pielografia 

Uro‐RM diretta   Una scintigrafia renale sequenziale è  indicata per valutare  in maniera quantitativa e separata  la funzione dei due reni.   Inciso su  idronefrosi nel lattante Una  dilatazione  della  pelvi  renale  può  essere  diagnosticata  già  in  gravidanza  mediante  un’ecografia prenatale.  Se  l’idronefrosi  viene  confermata  alla  nascita  e  persiste  dopo  il  primo mese  di  vita  bisogna  sospettare l’esistenza di una patologia ostruttiva delle vie urinarie che, più frequentemente, riguarda il giunto pielo‐ureterale (GPU) e/o di un reflusso vescico‐ureterale (RVU).    L’ostruzione del GPU può essere funzionale o organica. La distinzione tra queste evenienze, fondamentale ai  fini  della  scelta  terapeutica,  avviene mediante  una  scintigrafia  renale  sequenziale  con  99TC‐MAG3, integrata dal test alla furosemide. La  risposta  alla  furosemide  è  valutata  tramite  l’analisi  delle  curve  radionefrografiche,  calcolando  la percentuale di  tracciante allontanato dalle vie escretrici  rispetto al  tempo di massima attività  (tempo di picco). - Il  deflusso  del  radiofarmaco  lungo  le  vie  escretrici  urinarie,  in  misura  superiore  al  70%,  dopo 

somministrazione di furosemide, indica la natura funzionale dell’ostacolo.  In questo caso non occorrerà intervenire chirurgicamente.  

- Un  deflusso  del  radiofarmaco  lungo  le  vie  escretrici  urinarie  scarso  o  assente,  anche  dopo somministrazione di furosemide, indica la natura organica dell’ostacolo.  In questo caso si dovrà intervenire chirurgicamente al fine di evitare la perdita del rene. 

 L’indagine d’elezione per diagnosticare un RVU è costituita da una cistoscintigrafia che può essere:  

Indiretta, sfruttando la fase terminale di una scintigrafia renale sequenziale. 

Diretta,  introducendo nella vescica, mediante catetere, un millicurie di  99Tc‐DTPA diluito  in soluzione fisiologica.  Attraverso l’acquisizione di una serie continua di immagini, per 15‐30 min, si ricerca l’eventuale risalita della  radioattività  dalla  vescica  agli  ureteri,  fino  al  sistema  pielo‐caliceale  renale,  in  fase  passiva,  di riempimento vescicale ed in fase attiva, minzionale. 

 Viene preferita alla cistografia retrograda perché: - Comporta un’irradiazione gonadica significativamente più bassa - Risulta più accurata,  in quanto  il monitoraggio continuo dello  stato di  riempimento vescicale –    reso 

possibile dal fatto che ogni nuova acquisizione non aumenta il carico dosimetrico del pz –  consente di rilevare anche reflussi transitori ed intermittenti, non apprezzabili con le altre tecniche  

Il  principale  svantaggio  risiede  nell’incapacità  di  fornire  dettagli  anatomici,  per  la  più  bassa  risoluzione spaziale. 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Ciò rende  la cistografia retrograda ancora  indicata nei maschi con severa  idronefrosi  in quanto permette uno studio morfologico dell’uretra, offrendo così la possibilità di escludere la presenza di valvole dell’uretra posteriore, causa di RVU secondario. Attualmente, per la ricerca di valvole dell’uretra posteriore ci si può anche avvalere di una cistosonografia condotta  introducendo  in  vescica,  mediante  catetere,  un  mezzo  di  contrasto  ecografico  a  base  di microbolle.  

   Infarto renale  Si manifesta con: 

Dolore acuto e fisso al fianco  

Febbre  

Nausea e vomito 

Proteinuria   

Ematuria microscopica    Riconosce come cause: 

Occlusione dell’arteria renale (embolica, trombotica, da arterite, da anemia a cellule falciforme) 

Traumi che interrompono la vascolarizzazione del rene 

Chirurgia vascolare, arteriografia selettiva ed angioplastica dell’arteria renale  

 Per la diagnosi ci si può avvalere di: Eco‐color‐Doppler, che rivela l’assenza di flussi arteriosi in una zona circoscritta di parenchima renale   TC con mdc, alla quale  l’infarto appare come un’area cuneiforme  ipodensa, priva di c.e., circondata da un parenchima regolarmente perfuso.   N.B.  I 2‐4 mm più esterni della corteccia sono  tipicamente conservati anche  se  l’intera arteria  renale  fosse occlusa poiché i rami capsulari rimangono pervi e sostengono l’impregnazione contrastografica del margine esterno del rene. 

  Scintigrafia  renale  statica  con  indicatori a  fissazione  corticale  (99Tc‐DMSA), che dimostra  l’infarto come un’area non captante il radiofarmaco.   Un’arteriografia  viene  principalmente  impiegata  per  effettuare  procedure  terapeutiche  (trombolisi transcatetere  ed angioplastica percutanea).             

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La  scintigrafia  renale  sequenziale  con  test al captopril    è  indicata    solo  se  l’ipertensione renovascolare  viene  sospettata  clinicamente, poiché  la  sua  prevalenza  nella  popolazione ipertesa è molto bassa. Pertanto,  se  fosse  estesa  all’intera popolazione  ipertesa  si  avrebbe  un  numero elevato di falsi positivi. Infatti al  ridursi della prevalenza diminuisce  il VPP dell’indagine. 

Ipertensione renovascolare È dovuta ad una stenosi dell’arteria renale da: 

Placca aterosclerotica, causa più frequente in soggetti di età > 50 anni, soprattutto di sesso maschile 

Displasia fibromuscolare, causa più frequente in soggetti di età compresa tra 30 e 50 anni, soprattutto di sesso femminile 

 Va sospettata in caso di: 

Comparsa di IA in donne di età compresa tra 30 e 50 anni, senza familiarità 

Scarso controllo della pressione arteriosa con terapia medica 

Brusco aggravamento di uno stato ipertensivo lieve preesistente   Diagnosi  Nel  sospetto  di  ipertensione  nefrovascolare,  l’eco‐color‐Doppler  delle  arterie  renali,  non  costituisce l’indagine  di  scelta  perché  NON  consente,  in  un  numero  significativo  di  casi,  uno  studio  completo dell’arteria renale (specie di quella sin), soprattutto se il pz presenta abbondante meteorismo intestinale ed obesità. È pertanto gravata da un alto numero di falsi negativi.   L’indagine  d’  elezione,  nel  sospetto  di  ipertensione nefrovascolare, è piuttosto  costituita da una  scintigrafia renale sequenziale, con test al Captopril (ACE‐inibitore). La  somministrazione  di  Captopril  interrompe  il meccanismo  di  compenso  rappresentato  dall’attivazione del  sistema  renina‐angiotensina  che mantiene  invariata, nonostante la stenosi, la pressione di perfusione e quindi la  filtrazione  glomerulare,  per  costrizione  delle  arteriole efferenti di glomeruli renali.  La diminuzione delle  resistenze post‐glomerulari,  indotta dal farmaco, rende pertanto evidente la minore filtrazione del rene affetto rispetto a quello controlaterale.  Vantaggi 

Elevata sensibilità  

Alto VPN 

Bassa dose di radiazioni ionizzanti  Svantaggi 

Scarsa risoluzione morfo‐strutturale   In caso di esame scintigrafico negativo  ↓ Conclusione dell’iter diagnostico   In caso di esame scintigrafico positivo ↓ Arteriografia renale digitale Consente un’accurata definizione delle stenosi ateromatose e fibrodisplasiche e  la contestuale esecuzione di un’angioplastica transluminale. 

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Trombosi della vena renale  Cause più comuni Nei bambini, sono: 

Disidratazione 

Trombofilia  Negli adulti, sono 

Carcinomi del rene  

Compressione estrinseca da parte di linfonodi aumentati di volume, aneurismi aortici e tumori 

Glomerulonefrite membranosa  Clinica Il quadro clinico dipende dall’entità della trombosi e dalla rapidità con cui essa s’instaura. Possibili, pertanto, sono: 

Presentazione acuta, con IRA oligurica 

Presentazione lentamente progressiva, con sindrome nefrosica  Diagnosi Indagine strumentale di I livello è un’ecografia integrata dal color‐Doppler La scansione ecotomografica (B‐mode) rivela: 

Rene ingrandito, nella forma acuta; atrofico, nella forma lentamente progressiva. 

Presenza di un trombo nella vena renale interessata.  Il color‐Doppler consente di apprezzare: 

Assenza di flussi venosi ed aumento delle resistenze arteriose intrarenali 

Mancanza di flusso nella vena renale 

  Come  indagine  strumentale di  II  livello,  ci  si può avvalere di una TC  con mdc o, meglio, di un’angio‐RM diretta L’angio‐RM diretta, infatti, permette di dimostrare la trombosi della vena renale anche senza l’utilizzo di un mdc, cosa particolarmente vantaggiosa nei pz con insufficienza renale. La  sua multiplanarità,  inoltre,  la  rende  più  accurata  della  TC  nel  valutare  l’estensione  di  una  trombosi neoplastica alla vena cava inferiore.                   

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Traumi renali   Possono essere: 

Contusivi 

Penetranti  Si manifestano con: 

Ematuria  

Dolore al fianco esacerbato dalla palpazione 

Ipotensione arteriosa e shock  Possono associarsi: fratture ossee, lesioni epatiche, spleniche e gastrointestinali   Nel sospetto di un trauma renale, l’indagine strumentale di prima scelta è costituita da una TC con mdc, per il  suo  carattere  di  metodica  panesplorante  che  rende  cioè  possibile  lo  studio  dei  reni  e  dei  distretti circostanti. Consente di riconoscere:  1) Lesioni a carico del rene, quali: 

Contusione  renale,  in  cui  l’infarcimento  emorragico  assume  l’aspetto  di  un’area  parenchimale iperdensa,  sulla  scansione  diretta  pre‐contrastografica.;  con  c.e.  tardivo,  dopo  somministrazione e.v. del mdc.  

Ematoma sottocapsulare che, sulla scansione diretta, appare, rispetto al parenchima renale:  

Iperdenso, in fase acuta  

Isodenso, in fase di riassorbimento 

Nuovamente iperdenso, in fase tardiva, per organizzazione fibrotica Dopo  somministrazione  e.v.  del mdc,  si  dimostra  ipodenso  rispetto  al  parenchima  renale,  per mancato c.e.   

Frattura del rene Si presenta sotto forma di un’area ipodensa, prive di c.e. che interrompe il profilo renale   

2) Raccolte  liquide  nello  spazio  perirenale,  la  cui  natura  viene  denunciata  dal  valore  di  attenuazione mostrato prima e dopo somministrazione e.v. del mdc 

Un ematoma è riconoscibile perché risulta iperdenso, in fase acuta, alla scansione diretta; privo di c.e., dopo somministrazione e.v. del mdc (in assenza di sanguinamento attivo).  

Un  urinoma  è  diagnosticabile  perché,  nella  scansione  contrastografica  eseguite  durante  la  fase tardiva di deflusso del mdc lungo le vie escretrici urinarie (uro‐TC), viene rifornito di urina iodata.  Risulta espressione di rottura della pelvi renale. 

  3) Lesioni vascolari 

Quelle arteriose sono denunciate dall’assenza, totale o settoriale, di c.e. del parenchima renale. Quelle venose si manifestano con un nefrogramma corticale prolungato      

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4) Lesioni a carico di altri visceri addominali, quali: 

Rottura di fegato e milza, con emoperitoneo 

Perforazione GI, con pneumo e pneumoretroperitoneo   Un’arteriografia  può  essere  richiesta,  in  fase  pre‐operatoria,  nel  pz  con  un  rene  non  funzionante, presumibilmente per lesione vascolare. L’embolizzazione di un eventuale vaso sanguinante,  inoltre, può consentire di stabilizzare  il pz prima della chirurgia.    

Traumi della vescica  Si manifestano con:  

Macroematuria 

Dolore ipogastrico   Nei pz che hanno subito un trauma vescicale,    l’ecografia sovrapubica può evidenziare unicamente la presenza di fluido perivescicale   Per dimostrare una rottura della vescica ci si può avvale di cistografia retrograda.  Segno di rottura è la fuoriuscita del mdc attraverso le pareti della vescica.  N.B. qualora si sospetti una lesione uretrale, l’uretra non dovrebbe mai essere cateterizzata, con il mdc che andrebbe iniettato per puntura diretta sovrapubica della vescica piena.  Una rottura della vescica è documentabile anche da una uro‐TC condotta effettuando una scansione 10‐15 min dopo la somministrazione e.v. del mdc.  Tale  indaginerispetto  alla  cistografia  retrograda  rende  inoltre possibile  lo  studio degli  spazi perivescicali dove permette di stabilire presenza, estensione e natura di raccolte fluide.   Un’arteriografia è indicata in pz con ematoma pelvico significativo e con ematocrito in diminuzione, senza nessuna causa apparente di sanguinamento. L’embolizzazione percutanea del vaso sanguinante può evitare l’intervento chirurgico.    

Trauma uretrale  Si manifesta con: 

Sangue al meato uretrale 

Incapacità ad urinare 

Gonfiore o ematoma perineale  Può associarsi una frattura della pelvi  Un trauma uretrale è diagnosticabile mediate: Uretrografia retrograda  Prevede l’introduzione del mdc mediante puntura diretta sovrapubica della vescica piena. La fuoriuscita del mdc attraverso le pareti dell’uretra, è segno di lacerazione uretrale.  Andrebbe  sempre  effettuata,  nel  sospetto  di  un  trauma  dell’uretra,  prima  della  cateterizzazione transuretrale della vescica. 

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Una rottura dell’uretra è diagnosticabile anche da una uro‐TC condotta effettuando una scansione 10‐15 min dopo la somministrazione e.v. del mdc.  

   Insufficienza renale  Consiste  in  una  compromissione  della  funzionalità  del  rene  che  porta  ad  un  aumento  di  azotemia  e creatininemia.   Se ne distinguono: Forma acuta Forma cronica  IRA Riconosce cause 

Pre‐renali 

Ipovolemia, da emorragia o da perdite idro‐saline 

Insufficienza cardiaca 

Vasodilatazione generalizzata, caso di sepsi ed anafilassi  

Renali 

Ostruzione dell’arteria o della vena renale 

Danno tubulare acuto, da mioglobinuria, emoglobinuria, mdc 

GNA 

Nefropatie tubulo‐interstiziali, tra cui pielonefriti e necrosi papillari  

Post‐renali  Consistono in patologie responsabili di ostruzione delle vie escretrici urinarie. Caso di: 

Calcoli 

Neoplasie uroteliali e retroperitoneali 

Fibrosi retroperitoneale 

Ipertrofia prostatica benigna   In un pz con IRA, indagine strumentale di I livello è un’ecografia integrata dal color‐Doppler Consente di: 1) Valutare le dimensioni dei reni 

Reni grandi, di diametro > 12 cm o di dimensioni normali, sono compatibili con una GNA e pongono l’indicazione per una biopsia 

Reni piccoli, di diametro < 9 cm, invece, sono generalmente indicativi di una malattia renale in fase avanzata  ed  irreversibile,  nella  quale  la  biopsia  non  fornirebbe  informazioni  utili  per  la pianificazione terapeutica.  

2) Identificare  un’idronefrosi  (dilatazione  della  pelvi  renale),  la  cui  presenza  impone  la  ricerca  di  una patologia ostruttiva, mediante uro‐RM diretta o pielografia 

3) Dimostrare, mediante  color‐Doppler,  l’eventuale  occlusione  dell’arteria  o  della  vena  renale,  che  va ulteriormente indagata mediante angio‐RM diretta  

 È  inoltre  indicata  l’esecuzione di una scintigrafia renale sequenziale con MAG3, per valutare,  in maniera quantitativa e separata, la funzione residua dei due reni. L’impiego del MAG3,  in pz con  IRA, è reso possibile dal suo elevato coefficiente di estrazione plasmatica, per secrezione tubulare. 

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Ematuria Il termine di ematuria indica la presenza di sangue nelle urine.  Si distinguono una microematuria, apprezzabile solo all’analisi microscopica del sedimento urinario ed una macroematuria, visibile ad occhio nudo, perché determina una colorazione rossa delle urine, la cui natura ematica va comunque confermata dall’esame microscopico.  Nel pz con ematuria, i passi iniziali dell’iter diagnostico sono rappresentati da: 1. Anamnesi 2. Visita urologica con prova dei tre bicchieri 3. Esami di laboratorio  In corso di anamnesi, bisogna:  - ricercare  FR per neoplasie uroteliali (come fumo di sigaretta ed esposizione professionale ad anilina e 

coloranti impiegati nell’industria della gomma e della plastica); - valutare se il pz abbia subito traumi recenti che possono aver coinvolto l’apparato urinario; - indagare se  l’ematuria del pz sia  isolata o associata ad altri sintomi,  in particolare, dolore o bruciore 

minzionale. Ciò risulta rilevante perché può orientare circa la causa del sanguinamento. Un’ematuria non dolorosa, infatti, è più frequentemente dovuta a: 

Neoplasie di reni e vie escretrici urinarie 

Glomerulonefriti acute (GNA) 

Necrosi papillare 

Malformazioni vascolari Un’ematuria dolorosa, invece, riconosce come cause principali: 

Calcolosi urinaria 

Traumi 

IVU   La prova dei  tre bicchieri  consente  la distinzione  tra  ematuria  iniziale,  terminale  e  totale  il  cui  scopo  è quello di risalire alla sede del sanguinamento. Infatti,    ‐ un’ematuria iniziale, depone per una patologia uretrale o prostatica ‐ un’ematuria terminale, per una patologia vescicale ‐ un’ematuria totale, per una patologia renale   Possibili combinazioni…                 

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Apparato genitale femminile  

Tecniche di indagine   Esame radiografico diretto L’utero e gli annessi NON sono visibili all’esame radiografico diretto per l’assenza di un adeguato contrasto naturale con le strutture circostanti. L’esame radiografico diretto, tuttavia, può consentire il riconoscimento di:  1. Calcificazioni, alcune delle quali hanno morfologia caratteristica:  

Moriforme, quelle leiomiomatose 

Serpiginosa, quelle tubariche post‐flogistiche. 2. Cisti dermoidi, per la frequente presenza al loro interno di inclusi dentari ed ossei. 3. Contraccettivi intrauterini 4. Corpi estranei radiopachi   Ecografia Rappresenta  l’indagine  strumentale  di  primo  livello  per  lo  studio  dell’apparato  genitale  femminile  nella maggior parte delle situazioni cliniche. Ciò dipende, innanzitutto, dall’assenza di radiazioni ionizzanti che costituisce un vantaggio particolarmente rilevante nelle donne in età fertile. Lo studio ecografico dell’apparato genitale femminile può essere praticato per via trans‐addominale e per via trans‐vaginale.  N.B. La via transvaginale,  in particolari condizioni  (età pediatrica, donne vergini), può essere sostituita da quella transrettale.   Ecografia trans‐addominale Viene eseguita  con approccio  sovrapubico, a  vescica piena,  in maniera  tale da dislocare  cranialmente  le anse intestinali e disporre di una finestra acustica adeguata sui visceri pelvici, utilizzando traduttori a bassa frequenza (3,5‐5 MHz), per la profondità dei genitali interni femminili.  Ciò  limita,  tuttavia,  la  risoluzione  spaziale  delle  immagini,  rendendo  problematica  la  valutazione dell’ecostruttura  uterina  ed  ovarica,  soprattutto  in  donne  che  presentano  un  abbondante  pannicolo adiposo addominale.  Ecografia trans‐vaginale Si avvale di trasduttori endocavitari a frequenza più elevata (5‐9 MHz), che vengono portati in contatto con le strutture da esaminare. Vantaggi 1. Replezione vescicale non necessaria  2. Possibilità  di  eseguire  con  accuratezza  l’indagine  anche  in  donne  obese  e  che  presentano  cicatrici 

addominali 3. Maggiore risoluzione spaziale, che consente di: 

‐ esaminare meglio l’endometrio  ‐ individuare piccole lesioni focali del miometrio ‐ valutare,  in  maniera  ottimale,  l’ecostruttura  ovarica,  rendendo  possibile  il  monitoraggio  delle 

dimensioni dei singoli follicoli  Svantaggi 1. Via relativamente invasiva, non sfruttabile in pediatria, in donne vergini e nel caso di stenosi acquisite 

della vagina 2. Visibilità limitata alle strutture più centrali e vicine 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

L’utilizzo del color‐Doppler permette di valutare  il flusso ematico dei vasi genitali e  la vascolarizzazione di lesioni neoformate.   L’utero, nella scansione longitudinale, presenta un tipico aspetto piriforme; rotondeggiante, in quella trasversale. Nella scansione longitudinale, si riconoscono: ‐ il miometrio, con ecostruttura ipoecogena omogenea  ‐ le due  superfici endometriali accollate,  sotto  forma di una  linea mediana  iperecogena,  il cui  spessore, durante 

l’età fertile, oscilla tra 0,2‐0,3 cm e 1,5 o più cm,  in base alla fase del ciclo mestruale. Dopo  la menopausa, uno spessore  endometriale  maggiore  di  0,5  cm  deve  far  sospettare,  in  donne  con  metrorragia,  un  carcinoma dell’endometrio, ponendo indicazione ad una biopsia.    

Talora, è possibile inoltre apprezzare la zona di giunzione tra endometrio e miometrio, come una sottile linea, rispetto ad essi, ipoecogena. Tale reperto, sebbene incostante, è di notevole importanza poiché la sua interruzione può essere un segno indiretto della presenza di adenomiosi, leiomiomi, carcinomi endometriali invasivi. L’indagine ecografica non consente, tuttavia, di visualizzare il rivestimento sieroso dell’utero (perimetrio).  Le tube non sono riconoscibili in condizioni normali.  Le  ovaie  hanno  un  tipico  caratteristico  aspetto  “a mandorla”,  presentando,  in  età  fertile,  una  zona  centrale  –  la midollare – più ecogena del miometrio ed una zona periferica – la corticale – nella quale si riscontrano i follicoli, sotto forma di  lacune anecogene,  il cui diametro varia a seconda della  fase del ciclo mestruale: nella  fase estrogenica,  le ovaie contengono follicoli con diametro tipicamente < 0,5 cm. Verso  il 10° giorno un follicolo diventa dominante ed aumenta  il  suo volume  fino a  raggiungere un diametro di 2‐2,5  cm.  La  sua  scomparsa  intorno al 14° giorno  indica l’avvenuta ovulazione. È in seguito possibile apprezzare il corpo luteo come un’area ipo‐anecogena, circondata da un alone di media ecogenicità, con una tipica corona vascolare evidenziabile al power‐Doppler.  Dopo la menopausa, le ovaie si riducono di volume ed i follicoli scompaiono. 

  Per agevolare  l’individuazione di aumenti  focali di spessore dell’endometrio e di polipi endometriali, può essere utile distendere  la cavità uterina con soluzione fisiologica,  introdottavi mediante un piccolo  istero‐iniettore (isterosonografia).   Per rendere le tube ecograficamente esplorabili, è possibile procedere all’introduzione endocavitaria di un mdc ecografico (isterosonosalpingografia).    RM Riveste  un  ruolo  di  grande  importanza  nello  studio  per  immagini  dell’apparato  genitale  femminile, costituendo l’indagine di II livello di più frequente impiego.  Le ragioni di ciò sono: 1. Assenza di radiazioni ionizzanti, che la rende ripetibile anche nelle donne in età fertile  2. Multiplanarità  

Possibilità,  cioè, di  studiare  i  visceri pelvici  secondo  il piano dello  spazio desiderato, direttamente  e senza bisogno di ricostruzione. 

 3. Multiparametricità  

Possibilità, cioè, di acquisire  immagini “pesate” secondo differenti proprietà fisiche, caratteristiche dei diversi tessuti, quali  tempo di  rilassamento T1  (tempo necessario al  ripristino della magnetizzazione  longitudinale, dopo 

l’interruzione dell’impulso di RF), tempo di rilassamento T2 (tempo necessario alla perdita della magnetizzazione trasversale, dopo l’interruzione dell’impulso di RF), densità protonica (numero di protoni risonanti per unità di volume), agendo su:  ‐ Tempo di ripetizione (TR), intervallo di tempo tra l’inizio di una sequenza e l’inizio di quella successiva. ‐ Tempo di Echo (TE), intervallo di tempo tra l’inizio di una sequenza e la ricezione del segnale.   

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

La multiparametricità consente di: ‐ Dimostrare  la  natura  del  contenuto  di  formazioni  annessiali,  discriminando  tra  liquidi  sierosi  ed 

emorragici ‐ Manipolare  il  contrasto  delle  immagini  conferendo,  alla  metodica,  un’elevata  risoluzione  di 

contrasto intrinseca.  Per  l’elevata  risoluzione di  contrasto  intrinseca,  la RM permette di distinguere,  in  sequenze T2  ‐pesate, le diverse componenti delle pareti uterine.  In particolare, procedendo dall’interno verso l’esterno, si riconoscono 3 strati: 1) Linea iperintensa, corrispondente all’endometrio 2) Strato  ipointenso,  corrispondente  al  terzo  interno  o  zona  giunzionale  del miometrio,  le  cui 

cellule sono fortemente stipate  3) Strato  di  intensità  intermedia  tra  quella  dell’endometrio  e  quella  della  zona  giunzionale, 

corrispondente ai 2/3 esterni del miometrio, in cui la cellularità è meno stipata. Ciò rende possibile stabilire, in pz con carcinoma endometriale, il grado di infiltrazione neoplastica del miometrio.  Tale  informazione  è  di  notevole  importanza  ai  fini  prognostici  in  quanto,  con  il crescere  dell’interessamento  miometriale,  aumenta  la  probabilità  che  la  pz  abbia  metastasi linfonodali. 

 Svantaggi 1. Costi elevati 2. Lunghi tempi di acquisizione delle immagini    TC  Nello studio dell’apparato genitale femminile presenta, rispetto alla RM, una serie di svantaggi: 1. Utilizzo di radiazioni ionizzanti 2. Minore capacità di caratterizzazione tissutale 3. Più bassa risoluzione di contrasto, che non le consente di distinguere i diversi strati della parete uterina. 

Ciò rende la TC poco accurata nel determinare l’estensione locale di tumori maligni dell’utero  La metodica viene principalmente impiegata per: 1) Ricercare metastasi a distanza, soprattutto polmonari, in pz con Ca endometriali localmente avanzati 2) Dimostrare metastasi peritoneali ed a distanza, in pz con tumori maligni dell’ovaio 3) Stabilire presenza ed estensione di ascessi tubo‐ovarici, in pz con PID    Isterosalpingografia È una metodica radiologica contrastografica che  evidenzia, “a calco”, la cavità uterina e le tube. Attualmente, l’unica indicazione è costituita dallo studio dell’infertilità femminile. Viene praticata tra il 7° e l’8° giorno del ciclo, quando la donna non ha flusso mestruale e si è certi che non sia incinta.   Tecnica 1) A  paziente  in  posizione  ginecologica,  si  applica  uno  speculum  vaginale  radiotrasparente,  per 

evidenziare la portio, che va disinfettata. 2) Viene quindi introdotta, nel canale cervicale, una cannula isterosalpingografica  a doppio lume e dotata 

di palloncino antireflusso 3) Si  iniettano poi, sotto guida radioscopica, 10‐20 ml di un MdC  iodato  idrosolubile (non  liposolubile che, 

per fenomeni di embolia potrebbe indurre la formazione di granulomi peritoneali), acquisendo di radiogrammi seriati nel tempo.   

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

 Nel corso dell’indagine, il mdc opacizza in successione: ‐ Canale cervicale ‐ Istmo ‐ Cavità uterina ‐ Tube L’opacizzazione delle  tube è  seguita,  in  condizioni di pervietà  tubarica, dal passaggio del mdc all’interno della cavità peritoneale.  Consente pertanto di riconoscere: 1) Anomalie congenite e difetti di riempimento della cavità uterina 2) Posizione anomala dell’utero che, in condizioni fisiologiche, è anteversoflesso  3) Ostruzione delle tube 

Reperto fondamentale ai fini della diagnosi di pervietà tubarica è  la diffusione finale del mdc  in cavità peritoneale. La valutazione di tale evento permette, inoltre, di distinguere tra : ‐ Pervietà  incondizionata,  nella  quale  il  passaggio  del mdc  in  cavità  peritoneale  è  immediato  ed 

abbondante  ‐ Pervietà condizionata, nella quale il passaggio del mdc in cavità peritoneale è più tardivo, scarso ed 

ottenibile solo con una pressione di iniezione maggiore  I reperti forniti dall’isterosalpingografia possono anche orientare circa la causa di una patologia tubarica. Ad esempio, ‐ in caso di salpingite tubercolare, si riscontra: dilatazione dell’ampolla tubarica, con formazione di una 

piosalpinge caseosa, per ostruzione dell’estremità  fimbriata della  tuba che non consente  il passaggio del mdc  nella cavità peritoneale; 

‐ in  caso  salpingite  istmica  nodosa,  generalmente  causata  da  una  PID,  invece,  la  salpinge  assume  un aspetto “a corona di rosario”, per alternanza di tratti stenotici e di tratti dilatati.    

  N.B. Altre metodiche di  immagine, pur essendo  in grado di documentare anomalie  congenite dell’utero, non prevedono  la valutazione passaggio del mdc  in cavità peritoneale  (evento  fondamentale ai  fini della diagnosi di pervietà tubarica). Fa eccezione  l’isterosonosalpingografia –  condotta mediante  somministrazione endocavitaria di un mdc ecografico – la cui risoluzione spaziale non è tuttavia sufficiente per effettuare una valutazione morfologica adeguata.        

           

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

                                                            Specifiche condizioni    

Metrorragia  Consiste in un sanguinamento intermestruale o post‐menopausale Le cause più frequenti, prima della menopausa, sono: ‐ Adenomiosi ‐ Leiomioma o fibroma uterino 

 La causa più frequente, dopo la menopausa, è rappresentata da: ‐ Carcinoma dell’endometrio  Nella  pz  con metrorragia,  l’indagine  strumentale  di  I  livello  consiste  in  un’ecografia  transvaginale,  che viene preferita a quella transaddominale. L’ecografia transvaginale, infatti, essendo condotta mediante trasduttori endocavitari a più alta frequenza, fornisce immagini dotate di una maggiore risoluzione spaziale che consentono di individuare piccole lesioni focali del miometrio e di esaminare meglio l’endometrio, anche in donne obese e con cicatrici addominali.  … (singole condizioni)  

  Adenomiosi Presenza di aree di endometrio funzionante nel contesto del miometrio  Quadro clinico 

Metrorragie intermestruali 

Dolore pelvico aspecifico, in corso di mestruazioni (dismenorrea) 

Infertilità   Iter diagnostico Nel sospetto di adenomiosi,  l’indagine strumentale di  I  livello consiste  in un’ecografia  transvaginale che viene preferita a quella transaddominale. L’ecografia transvaginale, infatti, essendo condotta mediante trasduttori endocavitari a più alta frequenza, fornisce immagini dotate di una maggiore risoluzione spaziale che consentono di individuare piccole lesioni focali del miometrio e di esaminare meglio l’endometrio, anche in donne obese e con cicatrici addominali.  Alla  scansione  ecotomografica,  segno di  adenomiosi,  è un  aspetto disomogeneo  (detto  “moth‐eaten” o “tarlato”) del miometrio, per  la presenza  in esso di multiple, piccole, formazioni  ipoecogene, con margini sfrangiati e prive di capsula. Al color‐Doppler, le lesioni mostrano una vascolarizzazione diffusa, centrale e periferica.  N.B.  I margini sfrangiati,  l’assenza di capsula e  la vascolarizzazione diffusa delle  lesioni  favoriscono  la DD con una leiomiomatosi (presenza, cioè, di leiomiomi o fibromi uterini multipli). Tale DD è fondamentale ai fini della scelta terapeutica: 

Isterectomia, nell’adenomiosi 

Asportazione selettiva dei singoli noduli, nella leiomiomatosi  La distinzione tra adenomiosi e leiomiomatosi è resa possibile da una RM: 

le lesioni dell’adenomiosi, infatti,  appaiono iperintense, nelle sequenze T2‐pesate 

i leiomiomi, invece, si dimostrano ipointensi, in tutte le sequenze   

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Leiomiomi o fibromi uterini Sono neoplasie benigne che originano dal tessuto muscolare liscio del miometrio e che contengono anche una quantità variabile di stroma fibroso. Si dimostrano molto frequenti, essendo riscontrabili nel 25‐30% delle donne in età fertile, età di maggiore incidenza. Trattandosi di tumori estrogeno‐dipendenti, tendono ad aumentare di volume in gravidanza ed a regredire dopo la menopausa. Da un punto di vista topografico, vengono distinti in: - Sottosierosi, sessili o peduncolati che si sviluppano al di sotto del rivestimento peritoneale dell’utero - Intramurali, che insorgono nello spessore del miometrio  - Sottomucosi,  sessili  o  peduncolati,  che  sporgono  nella  cavità  uterina,  sollevando  la  mucosa 

endometriale e, talora, ulcerandola.  Spesso sono multipli (condizione nota come leiomiomatosi o fibromatosi uterina).   Sotto il profilo clinico, possono essere asintomatici e di riscontro occasionale. Quando invece sintomatici, si manifestano con: ‐ Alterazioni mestruali, in particolare  Menorragie (e, cioè, mestruazioni abbondanti e prolungate), che prevalgono se la sede dei fibromi 

è intramurale, per l’incapacità dell’utero di contrarsi al termine del flusso mestruale  Metrorragie  intermestruali,  più  frequenti  se  la  sede  è  sottomucosa,  per  la  possibile  ulcerazione 

della mucosa endometriale che riveste la lesione ‐ Tensione addominale, per l’aumento delle dimensioni uterine ‐ Massa palpabile in sede ipogastrica ‐ Disturbi urinari, da compressione degli ureteri terminali e della vescica ‐ Infertilità, soprattutto se i fibromi si sviluppano in corrispondenza degli orifizi tubarici  Approccio diagnostico per immagini Qualora  si  sospetti  la presenza di uno o più  fibromi uterini,  l’indagine  strumentale di  I  livello consiste  in un’ecografia transvaginale, che viene preferita a quella transaddominale. L’ecografia transvaginale, infatti, essendo condotta mediante trasduttori endocavitari a più alta frequenza, fornisce immagini dotate di una maggiore risoluzione spaziale che consentono di individuare piccole lesioni focali del miometrio e di esaminare meglio l’endometrio, anche in donne obese e con cicatrici addominali.  L’indagine  ecografia  documenta  i  leiomiomi  uterini  come  formazioni  ipoecogene,  con  margini  netti  e regolari, spesso capsulate e dotate di una vascolarizzazione prevalentemente periferica al color‐Doppler.   L’impiego, in seconda istanza, di una RM ha come indicazioni:   

DD tra leiomiomatosi ed adenomiosi  i leiomiomi,  infatti, si dimostrano ipointensi, in tutte le sequenze    le  aree  di  endometrio  funzionante,  a  sede  miometriale,  dell’adenomiosi,  invece,  appaiono 

iperintense, nelle sequenze T2‐pesate 

Incapacità dell’ecografia di distinguere tra sede uterina e sede annessiale della lesione 

Massa  molto  grande,  poiché,  grazie  alla  sua  multiplanarità,  permette  un’accurata  valutazione  dei rapporti con le strutture circostanti. 

  N.B. Né  l’ecografia né  la RM  sono  tuttavia capaci di distinguere  leiomiomi benigni da  leiomiosarcomi,  in assenza di segni di invasività locale.  In questi casi, risulta necessaria una conferma istologica.   

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Cancro dell’endometrio È un tumore tipico della postmenopausa, con un picco di incidenza tra i 50 e i 70 anni. L’istotipo  più  frequente  è  l’adenocarcinoma  endometrioide  (75‐80%  dei  casi),  che  ha,  come  lesione precancerosa, l’iperplasia endometriale con atipie cellulari e che risulta estrogeno‐dipendente. Ne  costituiscono,  pertanto,  fattori  di  rischio  tutte  quelle  condizioni  responsabili  di  una  prolungata stimolazione estrogenica:  1) Menarca precoce 2) Policistosi ovarica 3) Tarda età della prima gravidanza 4) Nulliparità 5) Menopausa tardiva 6) Tumori ovarici secernenti estrogeni 7) Obesità, dato che in post‐menopausa il tessuto adiposo produce una maggiore quantità di estrogeni a partire da 

precursori androgeni surrenalici ed ovarici. 8) Ormono‐terapia post‐menopausale 9) Terapia con Tamoxifene in pz con tumori mammari estrogeno‐dipendenti 

Il Tamoxifene, infatti, a livello mammario agisce da antagonista dei recettori degli estrogeni; da agonista, a livello uterino. 

 Oltre  all’adenocarcinoma  endometrioide,  vi  sono  istotipi meno  frequenti,  non  estrogeno‐correlati,  quali adenocarcinoma  sieroso‐papillare  e  adenocarcinoma  a  cellule  chiare,  che  presentano  una  prognosi peggiore ed un’età media di insorgenza più avanzata.     La principale manifestazione clinica del carcinoma endometriale è la metrorragia post‐menopausale   Nelle  donne  in  post‐menopausa  con  metrorragia,  l’indagine  strumentale  di  I  livello  è  costituita  da un’ecografia transvaginale, che viene preferita a quella transaddominale. L’ecografia transvaginale, infatti, essendo condotta mediante trasduttori endocavitari a più alta frequenza, fornisce  immagini  dotate  di  una  maggiore  risoluzione  spaziale  che  consentono  di  esaminare  meglio l’endometrio, anche in donne obese e con cicatrici addominali.  Nelle  donne  in  post‐menopausa  con metrorragia,  il  riscontro  all’indagine  ecografica  di  un  ispessimento endometriale maggiore di 5 mm, soprattutto se focale, deve far sospettare un carcinoma dell’endometrio, ponendo l’indicazione per una biopsia che garantisce la diagnosi definitiva.   Relativamente  alla  stadiazione,  la  RM  costituisce  l’indagine  migliore  per  valutare  l’estensione  loco‐regionale della neoplasia (parametro T), in virtù della sua elevata risoluzione di contrasto intrinseca. Consente infatti di riconoscere, nelle sequenze T2‐pesate: 1. Profondità dell’invasione neoplastica del miometrio, rendendo possibile la distinzione tra: 

T1a: tumore confinato all’endometrio, come denunciato dall’integrità della zona giunzionale (strato più interno del miometrio, marcatamente ipointenso, rispetto all’endometrio ed alla sua patologia). 

T1b:  tumore che  infiltra meno della metà del miometrio, come denunciato dalla scomparsa della zona giunzionale, nella sede della neoplasia 

T1c: tumore che infiltra la metà o più del miometrio.  N.B. La definizione del grado di infiltrazione neoplastica del miometrio è di notevole importanza ai fini prognostici in quanto, con il crescere dell’ interessamento miometriale, aumenta la probabilità che la pz abbia metastasi linfonodali. 

   

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

2. Estensione della neoplasia a:  Cervice uterina (T2)  Sierosa e/o annessi (T3a)  Vagina (T3b)  Vescica e retto (T4) rendendo possibile il riconoscimento di forme non operabili (T3‐T4). 

 La RM può, infine, dimostrare: 

Metastasi  a  carico  dei  linfonodi  pelvici,  lombo‐aortici  ed  inguinali,  ritenuti  metastatici  se  il  loro diametro trasverso supera i 10 mm (parametro N) 

  TC con mdc È poco accurata nello stabilire il grado di invasione neoplastica del miometrio, per la più bassa risoluzione di contrasto rispetto alla RM. Viene esclusivamente impiegata in donne con carcinomi endometriali localmente avanzati (T3 e T4), per la ricerca di metastasi a distanza, in particolare di quelle polmonari.   Per  la  stadiazione  ci  si  può  inoltre  avvalere  di  una  PET‐TC,  molto  sensibile  nell’individuare  metastasi linfonodali ed a distanza, epatiche, polmonari, ossee.    

Carcinoma della cervice uterina L’istotipo più frequente è il carcinoma a cellule squamose (80‐90% dei casi), che insorge in corrispondenza della giunzione  squamo‐colonnare, generalmente nel  contesto di una neoplasia  intraepiteliale  squamosa (CIN). Nel restante 10‐20% dei casi, il tumore consiste in un adenocarcinoma a partenza dall’endocervice.   Il Ca della cervice uterina ha come principale FR  le  infezioni sessualmente trasmesse da HPV (soprattutto quelle sostenute dai ceppi 16 e 18).    È generalmente asintomatico in fase precoce, durante la quale può essere diagnosticato mediante pap‐test condotto con screening.  Il  riscontro  di  cellule  neoplastiche  al  PAP‐test  richiede  l’esecuzione  di  una  colposcopia  con  biopsia, per confermare la diagnosi e conoscere il grado di differenziazione della neoplasia.  La DxI interviene esclusivamente: 1. Nella  stadiazione della neoplasia, di  cui va definita  l’estensione  locale ed a distanza,  con  l’intento di 

stabilire l’opzione terapeutica più idonea e di formulare un giudizio prognostico 2. Nella valutazione della risposta a chemio ed a radioterapia 3. Nel follow up dopo trattamento  

1. Relativamente  alla  stadiazione,  la  RM  è  l’indagine migliore  per  precisare  l’estensione  locoregionale  del tumore,  in virtù della  sua elevata  risoluzione di  contrasto  intrinseca. Tale proprietà consente  infatti, alla RM, di dimostrare, soprattutto in sequenze T2‐pesate, l’eventuale invasione neoplastica di: ‐ Stroma cervicale  ‐ Parametrio ‐ Vagina ‐ Vescica ‐ Retto  

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

La RM rende pertanto possibile la distinzione tra gli stadi FIGO: ‐ IB, tumore macroscopicamente visibile, limitato alla cervice ‐ II, tumore che si estende oltre l’utero, ma non alla parete pelvica o al 1/3 inferiore della vagina, senza (stadio IIA) 

o con (stadio IIB) invasione parametriale, il cui riscontro rende la neoplasia inoperabile.  ‐ III, tumore che invade il 1/3 inferiore della vagina, si estende alla parete pelvica o determina idrononefrosi ‐ IVA, tumore che infiltra la mucosa della vescica o del retto  

 Nel  rilevare metastasi  linfonodali,  la  sensibilità della RM  è  sovrapponibile  a quella della  TC, dato  che  si fonda su di uno stesso criterio dimensionale, secondo cui un linfonodo è considerato metastatico se il suo diametro trasverso supera il cm. Le stazioni linfonodali più frequentemente interessate sono quelle pelviche, inguinali e retroperitoneali.   Una TC  con mdc è  indicata principalmente negli  stadi  localmente avanzati, per  la  ricerca di metastasi a distanza, soprattutto polmonari e pleuriche.    Per  la  stadiazione  ci  si  può  inoltre  avvalere  di  una  PET‐TC,  molto  sensibile  nell’individuare  metastasi linfonodali ed a distanza, epatiche, polmonari, ossee.   N.B. dato che il carcinoma della cervice uterina può dare anche metastasi scheletriche, avvalendosi di una PET‐TC, con una sola indagine, è possibile riconoscere localizzazioni secondarie sia polmonari che ossee.   

2. La  risposta  a  chemio  e  radioterapia  viene  valutata mediante RM,  basandosi  sulle  variazioni  del  volume tumorale.   

3. Nel follow up, per individuare eventuali recidive locali, ci si affida sempre ad una RM.  Comunque, un importante contributo alla DD tra recidiva e fibrosi può anche essere offerto da una PET‐TC.   

   Massa pelvica Si manifesta come una massa palpabile  in  sede  ipogastrica o  in  fossa  iliaca, dx o  sin, associata a  segni e sintomi di compressione delle strutture circostanti e ad un senso di peso addominale. Le masse pelviche possono essere di pertinenza: - Ginecologica - Extraginecologica  Quelle di pertinenza ginecologica, a loro volta, possono avere origine da: Ovaio, caso di: - Cisti funzionali, dermoidi ed endometriosiche - Tumori benigni e maligni  Salpinge, caso di: - Ascessi tubo‐ovarici - Idrosalpinge - Cisti para‐ovariche - Gravidanza extrauterina 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Utero, caso di: - Fibromi (soprattutto se sottosierosi peduncolati)   Quelle di pertinenza extraginecologica, invece, possono avere origine da: Apparato gastro‐intestinale, caso di: - Ascesso appendicolare - Ascesso peridiverticolare  - Neoplasie intestinali  Apparato urinario, caso di: - Rene pelvico - Globo vescicale - Neoplasie vescicali   Tra  le  masse  pelvica  di  pertinenza  extraginecologica  rientrano,  inoltre,  processi  espansivi  del retroperitoneo.   Nelle donne con massa pelvica, l’indagine di I livello è un’ecografia, da effettuare per via transaddominale e per via transvaginale   !  L’ecografia  transaddominale,  per  lo  studio  della  pelvi,  viene  praticata  con  approccio  sovrapubico,  a vescica piena, che disloca cranialmente le anse intestinali, garantendo un’ampia finestra acustica sui visceri pelvici. Data  la profondità delle strutture da esaminare, ci si avvale di  trasduttori a bassa  frequenza  (3,5‐5 Mhz), con elevato potere di penetrazione. Ciò compromette, tuttavia, la risoluzione spaziale delle immagini.  !!  L’ecografia  transvaginale,  essendo  dotata  di  una  maggiore  risoluzione  spaziale  –  resa  possibile dall’impiego di  trasduttori endocavitari a più alta  frequenza – permette di valutare meglio  l’ecostruttura uterina ed ovarica.  L’ecografia, 1. conferma la presenza della massa 2. permette di stabilire l’organo di origine 3. dimostra  la  natura  solida  o  cistica  della  lesione,  rendendo  inoltre  possibile  la  distinzione  tra  cisti 

semplici e cisti complesse  

 I reperti offerti dall’ecografia condizionano la scelta dell’indagine strumentale di II livello. Nei  casi  di  pertinenza  ginecologica  della massa,  si  preferisce  impiegare,  in  II  istanza,  una  RM,  per  la notevole  capacità  di  caratterizzazione  tissutale  –  legata  alla  multiparametricità  della  metodica  –  che permette di discriminare tra componenti solide e componenti  liquide, distinguere  liquidi sierosi da  liquidi emorragici, individuare accumuli di grasso, favorendo, così. la diagnosi di natura. La RM,  inoltre, per  l’elevata  risoluzione di  contrasto  intrinseca  e  la multiplanarità, è molto  accurata nel definire l’estensione loco‐regionale di tumori maligni dei genitali interni femminili. Solo nei casi  in cui si sospetti che una massa pelvica di pertinenza ginecologica sia costituita da una cisti dermoide o da una raccolta ascessuale, si preferisce effettuare, in seconda istanza una TC (con mdc). La TC è, infatti, è l’indagine che meglio documenta le strutture calcifiche di una cisti dermoide e la presenza intralesionale di gas, patognomonica di ascesso.         

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Endometriosi  Per endometriosi s’intende la presenza di tessuto endometriale funzionante in sedi ectopiche extrauterine. Viene definita:  ‐ Esterna, se la sede del tessuto endometriale ectopico è extrauterina ‐ Interna (adenomiosi), se il tessuto endometriale ectopico è situato nel contesto del miometrio  Endometriosi esterna La localizzazione più comune è l’ovaio, dove induce la formazione di cisti endometriosiche responsabili di: 

Dolore pelvico durante le mestruazioni (dismenorrea) 

Massa pelvica 

Dispareunia   Sedi meno frequenti sono: 

Peritoneo (interessando soprattutto il cavo di Douglas)  

Tube  

Pareti delle anse intestinali 

Vescica 

 Indagine  di  I  livello,  nel  sospetto  di  endometriosi,  è  costituita  da  un’ecografia  che  andrebbe preferibilmente effettuata per via transvaginale.  L’ecografia  dimostra  le  cisti  endometriosiche  come  lesioni  ovariche  a  contenuto  liquido  fittamente corpuscolato. Nel  contesto  della  lesione,  talora,  si  riscontrano  sedimenti  che  possono  simulare  vegetazioni,  da  cui vengono distinti per l’assenza di segnali vascolari al color‐Doppler. Tali lesioni cistiche divengono più voluminose ed ipoecogene durante il periodo mestruale, poiché il tessuto endometriale ectopico, come quello normale, si sfalda, rifornendole di sangue fresco.  La RM è  in grado di  confermare  la natura endometriosica di una  cisti ovarica,  limitando  il  ricorso ad un agoaspirato sotto guida ecografica. Alla RM, infatti, le cisti endometriosiche tipicamente appaiono come lesioni iperintense, nelle sequenze T1‐pesate;  iso‐ipointense,  in quelle  T2‐pesate. Ciò  è dovuto  alla presenza, nel  loro  contesto, di prodotti di degradazione dell’Hb  (metaHb  intracellulare) e permette di distinguere  le cisti endometriosiche da masse annessiali di altra natura.   N.B.  Poiché  gli  impianti  ectopici  di  tessuto  endometriale  sono  spesso  troppo  piccoli  per  poter  essere visualizzati con qualunque tecnica d’immagine, la laparoscopia è essenziale ai fini del bilancio di estensione un’endometriosi. 

   Cisti funzionali dell’ovaio Le cisti funzionali dell’ovaio non sono di natura neoplastica, ma dipendono da anomalie dell’ovulazione o della formazione del corpo luteo risultando, pertanto, tipiche dell’età riproduttiva. Nell’ambito delle cisti funzionali dell’ovaio si distinguono: ‐ Cisti follicolari ‐ Cisti luteiniche  Le cisti follicolari derivano dalla mancata deiscenza di un follicolo che continua a distendersi per l’aumento progressivo del suo liquor.  Le  cisti  luteiniche,  invece  si  sviluppano per  il  formarsi di un  ematoma o per  il  raccogliersi di un  liquido sieroso o siero‐ematico all’interno di un corpo luteo, dopo ovulazione. 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Le cisti funzionali possono essere asintomatiche o di riscontro occasionale oppure manifestarsi con:  ‐ Dolore e sensazione gravativa in una delle due fosse iliache 

‐ Irregolarità mestruali   Possibili complicanze: ‐ Rottura, a cui può conseguire, soprattutto nel caso di cisti luteiniche, un’emorragia intraperitoneale ‐ Torsione annessiale  All’ecografia  –  trans‐addominale  e  transvaginale  –    le  cisti  funzionali  dell’ovaio  generalmente  si manifestano come cisti semplici, le cui caratteristiche sono: ‐ Contenuto anecogeno ‐ Rinforzo di parete posteriore ‐ Pareti lisce e sottili  Il  loro  diametro medio  è  di  2,5‐3  cm, mostrano  una  vascolarizzazione  esclusivamente  periferica  al  CD, regrediscono spontaneamente nell’arco di alcuni cicli mestruali. Il  riscontro di echi  interni o di un diametro maggiore di 5  cm,  richiede un  follow up a distanza di 2  cicli mestruali. Se la lesione non regredisce, va posta in DD con una cisti endometriosica e con un cistoadenoma sieroso. 

  

 Policistosi  ovarica È un’affezione caratterizzata da irregolarità mestruali di vario tipo, associate ad un ingrandimento bilaterale più o meno marcato delle ovaie. Fondamentale per la diagnosi è un’ecografia transvaginale che rivela: 

Aumento di volume, per lo più simmetrico, delle ovaie 

Ispessimento dell’albuginea 

Assenza di un follicolo dominante 

Numerosi piccoli follicoli a disposizione subcorticale, in diversi stadi di sviluppo 

Dimensioni e morfologia dell’utero  Non può essere sostituita dall’ecografia transaddominale per la frequente presenza di obesità.  

    Tumori dell’ovaio Le neoplasie ovariche, nella maggior parte dei casi (80%), sono benigne e vengono diagnosticate in donne di età compresa tra 20 e 45 anni. I  tumori maligni sono meno frequenti, colpiscono una fascia d’età più alta, sono spesso bilaterali ed hanno una mortalità elevata. Ciò dipende principalmente dal fatto che, nel 75‐80% dei casi, giungono alla diagnosi in stadio avanzato.  I  tumori ovarici, secondo  l’OMS, vengono classificati  in base al  tipo di cellula da cui prendono origine. Si distinguono, pertanto, - tumori epiteliali  (derivanti dall’epitelio  celomatico  che  riveste  l’ovaio, un mesotelio modificato), 65‐

70% dei casi - tumori delle cellule germinali, 15‐20% dei casi  - tumori dei cordoni sessuali e dello stroma, 5‐10% dei casi   N.B. Le ovaie possono  inoltre essere  interessate da metastasi. Un esempio è  il tumore di Krukenberg che tipicamente origina da un adenocarcinoma a cellule ad anello con castone dello stomaco.  

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

I tumori epiteliali, a loro volta, vengono suddivisi,  sulla base dell’aspetto istologico, in: - Sierosi  - Mucinosi - Endometrioidi - A cellule chiare - Transizionali (tumore di Brenner)  sulla base del comportamento biologico, in: - Benigni  - Border‐line  - Maligni    Tumori delle cellule germinali Sono costituiti da: ‐ Disgerminomi  ‐ Tumori del sacco vitellino ‐ Carcinomi embrionari ‐ Corioncarcinomi ‐ Teratomi 

I  teratomi  si  compongono  di  tessuti  derivanti  da  uno,  due  o  tre  foglietti  embrionali,  a  vari  stadi  di differenziazione. La  forma  cistica  benigna  viene  chiamata  cisti  dermoide  e  rappresenta  oltre  il  20%  delle  neoplasie ovariche.  È  costituita  da  tessuti  differenziati  a  lenta  crescita  come:  epitelio  squamoso  con  annessi cutanei, cartilagine, ossa, cellule nervose ed altri tessuti. 

  Tumori dei cordoni sessuali e dello stroma  Sono rappresentati da: ‐ Tumori a cellule della granulosa ‐ Fibrotecomi, produttori di estrogeni ‐ Tumori a cellule del Sertoli‐Leydig, produttori di androgeni   I  tumori  ovarici  rimangono  di  solito  asintomatici  per  lungo  tempo,  rendendo  problematica  la  diagnosi precoce delle forme maligne.  In fase avanzata, possono aversi: - Dolore e distensione addominale - Massa palpabile in sede pelvica  - Disturbi urinari e gastrointestinali, dovuti alla  compressione esercitata dalla neoplasia  sulle  strutture 

circostanti - Ascite, da carcinosi peritoneale  Talora è presente una sintomatologia endocrinologica da ipersecrezione di estrogeni o androgeni da parte della neoplasia.   Nell’80% delle pz  con neoplasie epiteliali dell’ovaio  si osservano,  inoltre,  livelli  sierici elevati del marker tumorale CA125 (> 35 U/ml). Si tratta, tuttavia, di un reperto aspecifico dato che  l’innalzamento dei  livelli sierici di  tale marker  tumorale può  verificarsi anche  in presenza di endometriosi,  leiomiomi, gravidanza, malattia infiammatoria pelvica.   

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Nel sospetto di un tumore ovarico,  l’indagine strumentale di I  livello è costituita da un’ecografia con eco‐color‐Doppler, che andrebbe preferibilmente  effettuata per via transvaginale.  L’ecografia transvaginale, infatti, essendo condotta mediante trasduttori endocavitari a più alta frequenza (5‐9 Mhz) fornisce immagini dotate di una maggiore risoluzione spaziale che garantisce una valutazione più accurata dell’ecostruttura ovarica, anche in donne obese o con cicatrici addominali.  L’indagine ecografica permette di: 1. Individuare la lesione 2. Stabilire se la sua struttura sia solida o cistica, rendendo inoltre possibile la distinzione tra: 

‐ Cisti semplici ‐ Cisti complesse  

 Le cisti semplici sono quelle che mostrano contenuto anecogeno, rinforzo di parete posteriore, pareti lisce e sottili. I  tumori ovarici  che  possono manifestarsi  sotto  forma di una  cisti  semplice  sono  i  cistoadenomi  sierosi, ponendo pertanto un problema di DD con cisti funzionali dell’ovaio. Le cisti  funzionali dell’ovaio, comunque, hanno  in genere dimensioni < 5 cm e  tendono a  regredire dopo alcuni cicli mestruali.  Le  cisti  complesse  differiscono  da  quelle  semplici  per  la  presenza  di  pareti  spesse  ed  irregolari,  gettoni solidi, setti, echi corpuscolati al loro interno.  Un orientamento circa la natura della lesione può esser fornito da: - Sistemi a punteggio basati sulla valutazione di caratteri morfologici, quali:  Spessore di parete  Superficie interna delle pareti  Setti  Ecogenicità  

- Color‐Doppler, attraverso cui si valuta la vascolarizzazione di eventuali setti e gettoni solidi endocistici Il  riscontro  di  segnali  vascolari  a  livello  di  tali  strutture  depone,  infatti,  per  una  neoangiogenesi tumorale. 

 N.B. Un’immagine ecografica peculiare può essere osservata nel  caso di  cisti dermoidi,  caratterizzate da un’ecostruttura  disomogenea,  in  cui  spiccano  aree  iperecogene,  con  cono  d’ombra  posteriore,  per l’attenuazione del fascio causata da abbozzi dentari, frammenti ossei e capelli.   Una lesione ovarica, identificata all’ecografia, comunque, a meno che non presenti chiari segni di benignità (caso di una cisti semplice, uniloculata, di diametro < 5 cm), deve essere ulteriormente caratterizzata.  L’indagine migliore per caratterizzare lesioni cistiche dell’ovaio di natura incerta o sospetta è la RM. Tale  indagine  consente  infatti,  non  solo  di  esaminare  gli  stessi  caratteri  morfologici  apprezzabili all’ecografia, ma anche di: - stabilire, grazie alla sua multiparametricità, il contenuto di una cisti complessa, che può essere: 

ematico  (iperintenso  in  T1  ed  ipo‐isointenso  in  T2,  per  la  presenza  di  metaemoglobina intracellulare), caratteristico di endometriomi e di cisti emorragiche   

sieroso (ipointenso in T1 ed iperintenso in T2), come quello di cistoadenomi e cistoadenocarcinomi sierosi 

altamente proteico  (iperintenso  in T1   e T2), come quello di cistoadenomi e cistoadenocarcinomi mucinosi 

adiposo  (iperintenso  in T1, privo di segnale nelle sequenze T2‐pesate con  fat‐suppression), come quello delle cisti dermoidi 

- valutare, mediante somministrazione e.v. di un mdc paramagnetico vascolare/interstiziale (Gd‐DTPA), il c.e. di setti e componenti solide endocistiche, espressione di neoangiogenesi tumorale.  

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

La  RM,  inoltre,  permette  di  ottenere  informazioni  utili  per  la  STADIAZIONE  di  un’eventuale  neoplasia maligna dell’ovaio, con il vantaggio, rispetto alla TC, di poter dimostrare l’infiltrazione della capsula ovarica, differenziando, così, gli stadi FIGO Ia e Ib dal Ic. Un ulteriore  vantaggio  risiede nella  capacità di distinguere  l’adesione delle  strutture adiacenti dalla  loro infiltrazione. Con un’accuratezza paragonabile a quella della TC, la RM può inoltre evidenziare: - Metastasi peritoneali ed epatiche - Ascite  - Linfoadenomegalie lombo‐aortiche di presumibile natura metastatica  Il principale  svantaggio della RM  rispetto alla TC  consiste nell’incapacità di documentare  le  calcificazioni  presenti in alcune neoplasie ovariche (teratomi).   N.B. Nessuna metodica  di  immagine  permette  di  differenziare  con  certezze masse  ovariche  benigne  da masse ovariche maligne, a meno che non siano dimostrabili metastasi.    La conferma diagnostica viene fornita solo da un esame istologico effettuato su campioni tissutali, ottenuti mediante laparoscopia esplorativa, che è richiesta anche per la stadiazione di tumori maligni dell’ovaio.    

Gravidanza ectopica Ha generalmente localizzazione tubarica. Si presenta con dolore in sede pelvica, dove è spesso possibile riscontrare una  massa palpabile. La ricerca della beta‐gonadotropina corionica si dimostra positiva.  Nel sospetto di una gravidanza ectopica,  in prima  istanza, ci si avvale di un’ecografia, da eseguire per via transaddominale e per via transvaginale Soprattutto quella transvaginale consente di apprezzare,  in sede para‐uterina, una massa rotondeggiante che presenta una zona centrale  ipoecogena ed un alone periferico  iperecogeno. Solo eccezionalmente  si riesce a visualizzare, nella massa, l’embrione –  dotato o meno di attività cardiaca –  ed il sacco vitellino. A livello uterino, inoltre, l’endometrio appare ispessito, per la reazione deciduale.  La principale complicanza è rappresentata dalla rottura tubarica, con emoperitoneo.  In  questo  caso,  un’ecografia  dell’addome,  evidenzia  la  presenza  di  liquido  libero  intraperitoneale, inizialmente localizzato all’interno del cavo di Douglas.  

  Malattia Infiammatoria Pelvica (PID) Il  termine  di  PID  comprende  una  gamma  di  stati  flogistici  causati  da  microrganismi  che  colonizzano l’endocervice e che risalgano verso endometrio e salpingi, determinando una salpingite.  Possibile è l’estensione della flogosi a  

Ovaio, con salpingo‐ovarite 

Peritoneo pelvico, con pelvi‐peritonite 

Parametrio, con parametrite  Fonti di infezione sono: 

Rapporti sessuali 

Parti 

Aborti 

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Tra i fattori di rischio rientrano dispositivi intrauterini   Salpingite Può essere acuta o cronica  Una salpingite acuta si manifesta con: 

Dolore Pelvico 

Febbre 

Perdite vaginali purulente, che generalmente iniziano dopo le mestruazioni  Una salpingite cronica, invece, si presenta con: 

Algie pelviche persistenti 

Irregolarità mestruali 

Sterilità   Nelle pazienti con un quadro clinico di salpingite acuta,  la DxI è  indicata qualora si sospetti  lo sviluppo di complicanze, suggerito da una scarsa risposta alla terapia antibiotica.  Come indagine strumentale di I livello, ci si avvale di un’ecografia, che andrebbe preferibilmente eseguita per via transvaginale. Quella transvaginale è infatti più sensibile nel riconoscere: 1) Piosalpinge (salpinge ripiena di materiale purulento che ne induce dilatazione e che si accumula al suo 

interno per ostruzione delle estremità tubariche, addominale  ed uterina) 2) Ascessi  tubo‐ovarici,  che  appaiono  come  raccolte  saccate  ad  ecostruttura  liquida  notevolmente 

corpuscolata  In  seconda  istanza,  va  impiegata una  TC  con mdc  che  costituisce  la metodica d’elezioni  per  individuare raccolte ascessuali. Gli ascessi appaiono come masse ipodense, con margini irregolari ed ispessiti che, dopo somministrazione e.v. del mdc, vanno incontro ad un marcato c.e., divenendo pertanto iperdensi. Il riscontro di gas all’interno della  lesione risulta patognomonico di ascesso e depone per un’infezione da anaerobi. La TC, inoltre, si dimostra molto accurata nel documentare l’estensione della flogosi a:  

Ovaio 

Peritoneo pelvico 

Parametrio   RM Rappresenta un’alternativa alla TC nelle pz che non possono ricevere mdc iodati   Scintigrafia con leucociti autologhi marcati mediante 111I‐ossina È indicata:  

qualora  persista  il  sospetto  di  ascesso  pelvico  nonostante  l’ecografia  e  la  TC  con  mdc  si  siano dimostrate negative 

per distinguere raccolte pelviche sterili da quelle infette    

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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne  

Nelle  forme  croniche  di  salpingite  va  effettuata  un’isterosalpingografia,  per  riconoscere  ostruzioni tubariche su base flogistica.  Una forma peculiare di salpingite cronica è quella tubercolare in cui l’isterosalpingografia può evidenziare: 

Ispessimento delle pliche longitudinali ampollari 

Dilatazione  dell’ampolla  tubarica,  con  formazione  di  una  piosalpinge  caseosa,  per  ostruzione dell’estremità fimbriata della tuba che non consente il passaggio in cavità peritoneale del mdc 

Fistole tubo‐vescicali e tubo‐intestinali 

Segni di endometrite 

   Infertilità Per  infertilità  s’intende  la  mancata  riproduzione  nell’età  feconda,  durante  periodi  di  rapporti  sessuali completi, condotti senza pratiche anticoncezionali.  Può dipendere dal partner maschile, da quello femminile o da entrambi.  Cause di infertilità maschile sono: 1. Varicocele 2. Criptorchidismo 3. Ostacoli al deflusso del liquido seminale 4. Scarsa motilità degli spermatozooi 

 Le cause di infertilità femminile possono essere: - Funzionali  

Caso di alterazioni ormonali - Organiche 

Caso di:  Malformazioni uterine di origine mulleriana, quali:  

Aplasia mulleriana (assenza, cioè, dell’utero) che, se si associa ad aplasia vaginale, configura la sindrome di Rokitansky 

Difetti di fusione degli abbozzi mulleriani, tra cui:  Ipoplasia uterina  Utero bicorne, che consiste in due sub‐cavità, ciascuna con un proprio endometrio.   Utero setto, che consiste in una cavità uterina unica, ma separata da un setto 

Aderenze e sinechie della cavità uterina  Adenomiosi  Fibromi uterini  Ostruzioni delle  tube di Falloppio di natura cicatriziale,  secondarie a PID ed a  salpingiti di natura 

tubercolare  Endometriosi esterna 

  

L’approccio ad una coppia sterile prevede: ‐ Ricerca delle cause di infertilità maschile ‐ Ricerca delle cause di infertilità femminile, attraverso:  Dosaggi ormonali  Ecografia transaddominale e transvaginale  Isterosalpingografia,  che  informa  circa:  stato  della  cavità  uterina,  pervietà  delle  tube, 

comunicazione tra tube ed ambiente peritoneale    

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