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“La responsabilità civile dei genitori verso i terzi” Torino, 27 febbraio 2006 1. Premessa. 2. Le norme. 3. La natura giuridica. 4. La condotta: 4a la posizione di garanzia; 4b la coabitazione; 4c le condotte concorrenti; 4d il fatto illecito. 5. La colpa. 6. Il nesso causale. 7. L’onere della prova e la prova liberatoria. 8. Il danno risarcibile. 9. Conclusioni. 1. Premessa Oggetto delle riflessioni che sottopongo alla vostra attenzione è la responsabilità civile extracontrattuale dei genitori verso i terzi; esula pertanto dal tema assegnatomi ogni riferimento al dibattito giuridico sulla responsabilità genitoriale verso i figli, che appare di particolare interesse non solo per via del fatto che su tale importante questione sono di intervenuti prima il Legislatore Comunitario e poi quello italiano 1 , ma anche per le implicazioni in tema di risarcibilità del danno, anche non patrimoniale, a favore del figlio 1 L’art. 24 della Carta dei Diritti dell’Unione Europea stabilisce che tutti i bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere; la Carta considera inoltre preminente l’interesse superiore del bambino e statuisce il diritto di ogni bambino ad intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse. In senso sostanzialmente analogo si è mosso recentissimamente anche il legislatore italiano. Secondo il testo del nuovo articolo 155 del codice civile, approvato in via definitiva dal Senato della Repubblica il 24 gennaio 2006, non ancora promulgato, infatti, “anche in caso di separazione personale dei coniugi il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”; l’art. 155 bis cc., poi, prevede che, “qualora ritenga…che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”, il giudice, con provvedimento motivato, possa disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori. E’ poi in vigore dal primo agosto 2004, con applicazione dal primo marzo 2005, il Regolamento del Consiglio 27 novembre 2003, n° 2201/2003 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee del 23 dicembre 2003, n° L 338), relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che (art. 1) “si applica, indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale, alle materie civili relative a) al divorzio, alla separazione personale e all’annullamento del matrimonio; b) all’attribuzione, all’esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale ”, intendendosi per responsabilità genitoriale (secondo la definizione datane dall’art. 2, n° 7) “i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardante la persona o i beni di un minore. Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento e il diritto di visita”; “titolare della responsabilità genitoriale” è (art. 2, n° 8) “qualsiasi persona che eserciti la responsabilità di genitore su un minore”. 1

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“La responsabilità civile dei genitori verso i terzi”

Torino, 27 febbraio 2006

1. Premessa. 2. Le norme. 3. La natura giuridica. 4. La condotta: 4a la posizione di garanzia; 4b la coabitazione; 4c le condotte concorrenti; 4d il fatto illecito. 5. La colpa. 6. Il nesso causale. 7. L’onere della prova e la prova liberatoria. 8. Il danno risarcibile. 9. Conclusioni.

1. Premessa

Oggetto delle riflessioni che sottopongo alla vostra attenzione è la responsabilità civile extracontrattuale dei genitori verso i terzi; esula pertanto dal tema assegnatomi ogni riferimento al dibattito giuridico sulla responsabilità genitoriale verso i figli, che appare di particolare interesse non solo per via del fatto che su tale importante questione sono di intervenuti prima il Legislatore Comunitario e poi quello italiano 1, ma anche per le implicazioni in tema di risarcibilità del danno, anche non patrimoniale, a favore del figlio

1 L’art. 24 della Carta dei Diritti dell’Unione Europea stabilisce che tutti i bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere; la Carta considera inoltre preminente l’interesse superiore del bambino e statuisce il diritto di ogni bambino ad intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse. In senso sostanzialmente analogo si è mosso recentissimamente anche il legislatore italiano. Secondo il testo del nuovo articolo 155 del codice civile, approvato in via definitiva dal Senato della Repubblica il 24 gennaio 2006, non ancora promulgato, infatti, “anche in caso di separazione personale dei coniugi il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”; l’art. 155 bis cc., poi, prevede che, “qualora ritenga…che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”, il giudice, con provvedimento motivato, possa disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori. E’ poi in vigore dal primo agosto 2004, con applicazione dal primo marzo 2005, il Regolamento del Consiglio 27 novembre 2003, n° 2201/2003 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee del 23 dicembre 2003, n° L 338), relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che (art. 1) “si applica, indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale, alle materie civili relative a) al divorzio, alla separazione personale e all’annullamento del matrimonio; b) all’attribuzione, all’esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale”, intendendosi per responsabilità genitoriale (secondo la definizione datane dall’art. 2, n° 7) “i diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardante la persona o i beni di un minore. Il termine comprende, in particolare, il diritto di affidamento e il diritto di visita”; “titolare della responsabilità genitoriale” è (art. 2, n° 8) “qualsiasi persona che eserciti la responsabilità di genitore su un minore”.

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minorenne, oggetto di recenti interventi giurisprudenziali 2 e delle nuovissime “disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, in via di promulgazione 3.

2. Le norme

La responsabilità civile dei genitori verso i terzi trova la sua disciplina, oltreché nella norma generale dell’art. 2043 cc., nell’art. 2048 del codice civile, che della prima costituisce una specificazione, secondo il quale “il padre e la madre…sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati…che abitano con essi”.

Rilevante, per le implicazioni del coordinamento tra le due disposizioni, è anche l’art. 2047, primo comma, cc 4. che sancisce la responsabilità per il fatto dannoso degli incapaci.

2 La Corte Costituzionale, con la sentenza 11 luglio 2003, n° 233, ha ritenuto che “…può dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall’art. 2059 c.c. si identificherebbe con il c.d. danno morale soggettivo. In due recenti pronunce (Cass. 31.5.2003, nn. 8827 e 8828), che hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti, prospettata con ricchezza di argomentazioni – nel quadro del sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale – un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona; e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse costituzionalmente garantito all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina e in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”. Può, quindi, ritenersi che “nel vigente ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione – che, all’art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo -, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso nel danno morale soggettivo”: cfr. Cass., III, 31 maggio 2003, n° 8827; nello stesso senso, Cass., III, 31 maggio 2003, n° 8828. Sulla base di tali orientamenti, il Tribunale di Venezia, III sezione civile, con la sentenza 16-30 giugno 2004, est. Stefani, ha riconosciuto la risarcibilità sia del danno morale che del danno esistenziale a favore del figlio, quale conseguenza della condotta del genitore sottrattosi illecitamente all’obbligo sancito dalla Costituzione di assistere, mantenere e educare la prole. 3 Il nuovo articolo 709 ter del codice di rito civile prevede ora la possibilità che, in caso di controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale, il Giudice, “in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento” possa “disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore”. 4 “In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non avere potuto impedire il fatto”.

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“Naturale” è poi il richiamo all’art. 316 cc , che disciplina la titolarità della potestà dei genitori, agli artt. 30, 1° c., Cost. e 147 cc., relativi ai loro doveri, ed agli artt. 155, 3° comma, (ormai sostituito ed integrato dagli artt. 155 e 155 bis cc. di recentissima approvazione parlamentare) in tema di separazione personale tra coniugi, 317, 330 e 333 cc., che regolano le “vicende” del concreto esercizio della potestà.

Tra le norme di interesse non possono, infine, non rientrare anche quelle di carattere etico, morale e sociale, rilevanti ai fini dell’assolvimento del dovere di educazione fissato dal citato art. 147 cc. e dal nuovo art. 155, primo comma, cc., nonché quelle di natura tecnico-scientifica che, con ogni probabilità, devono guidare l’interprete nella valutazione dell’adeguatezza della condotta educativa dei genitori.

3. La natura giuridica

Per determinare la natura giuridica della responsabilità dei genitori prevista dall’art. 2048 cc, è utile – secondo quanto si accennava – mettere in evidenza come tale responsabilità si distingua da quella tipizzata dall’art. 2047 cc..

E’ noto come la differenza tra le due fattispecie sia data dal fatto che mentre l’art. 2047 cc. disciplina la responsabilità (anche) di padre e madre per i fatti illeciti compiuti dal minore incapace di intendere e di volere, l’art. 2048 cc. regola la responsabilità dei genitori per i fatti illeciti compiuti dall’adolescente capace di intendere e di volere al momento del fatto, dal cosiddetto “grande minore”, secondo l’efficace ossimoro mutuato dalla giurisprudenza francese.

La prima disposizione si applica, quindi, quando l’autore del danno non sia imputabile ai sensi dell’art. 2046 cc.; in tal caso, peraltro, il figlio minorenne incapace “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso”, salva la sua responsabilità sussidiaria nei limiti di una mera indennità (art. 2047, secondo comma, cc), mentre del fatto illecito risponderanno in via esclusiva i genitori.

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La seconda disposizione, che più direttamente interessa il tema trattato oggi, presupponendo l’imputabilità del minorenne autore diretto del danno, implica invece una sua responsabilità concorrente ai sensi dell’art. 2043 cc. 5, con riflessi anche di natura processuale 6, specie in termini di approccio probatorio.

Le due fattispecie sono tra loro alternative 7.

La differenza evidenziata comporta anche che solo nel caso disciplinato dall’art. 2048 cc. sia possibile ipotizzare una rivalsa del genitore, in via di regresso, sul figlio autore materiale dell’illecito, titolare di un autonomo patrimonio 8.

Tale ipotesi è giustificata dal fatto che la citata responsabilità concorrente appare di natura solidale, ai sensi dell’art. 2055, primo comma, cc. (“Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno”), e non sembra che vi siano ostacoli in ordine alla valutazione del grado della colpa rispettiva dei corresponsabili.

Si percepisce allora immediatamente come l’indicata differenza di disciplina alimenti il dibattito circa la natura giuridica della responsabilità genitoriale.

5 “La responsabilità dei genitori per il fatto illecito dei figli minori ai sensi dell’art. 2048 cc. può concorrere con quella degli stessi minori fondata sull’art. 2043 cc., se capaci di intendere e di volere”: Cass., III, 13 settembre 1996, n° 8263; conf. Cass., III, 5 giugno 1996, n° 5268 e, da ultimo, Cass., III, 26 giugno 2001, n° 8740. 6 “In ipotesi di domanda risarcitoria proposta, rispettivamente, ex art. 2043 cc., nei confronti di soggetto minore d’età, quale autore del danno, ed ex art. 2048 cc., contro il suo genitore, si produce una situazione di litisconsorzio facoltativo, nella quale, pur nell’unicità del fatto storico, permane l’autonomia dei rispettivi titoli del rapporto giuridico e della causa petendi” (Cass., III, 5 giugno 1996, n° 5268), con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte, con una propria individualità rispetto ai rispettivi legittimi contraddittori, sicché la sentenza che le definisce, pur essendo formalmente unica, contiene in realtà tante pronunce quante sono le cause riunite, le quali conservano la loro autonomia anche in sede di eventuale impugnazione; conf. Cass., III, 1° agosto 1995, n° 8384, secondo cui, inoltre, “…è irrilevante il conseguimento della maggiore età in corso di causa in ordine alla responsabilità civile per fatto antecedente”. Ulteriore conseguenza, infine, è che il genitore sia legittimato in proprio e non quale rappresentante legale del figlio. 7 “La responsabilità del genitore, per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, a seconda che il minore sia o meno capace di intendere e di volere al momento del fatto, rispettivamente nell’art. 2048 cc., in relazione ad una presunzione “iuris tantum” di difetto di educazione ovvero nell’art. 2047 cc., in relazione ad una presunzione “iuris tantum” di difetto di sorveglianza e vigilanza. Le indicate ipotesi di responsabilità presunta pertanto sono alternative – e non concorrenti – tra loro, in dipendenza dell’accertamento, in concreto, della esistenza di quella capacità”: Cass., III, 25 marzo 1997, n° 2606. 8 Si veda, ad esempio, Tribunale Roma, 28 maggio 1987, n° 6780, est. Bielli, in Riv. giur. circol., 1988, 635; nello stesso senso sembra muoversi Tribunale Bolzano, 18 gennaio 2001, pres. Waldner.

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In merito a tale questione, la dottrina, quasi concorde nell’escludere ogni riferimento ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva 9, si è divisa tra chi ritiene che la responsabilità dei genitori sia una forma di responsabilità aggravata per fatto altrui 10, chi reputa trattarsi di responsabilità diretta 11 e chi, in posizione intermedia, rileva che la responsabilità dei genitori si fondi su fatto proprio, ma che tale fatto, rispetto all’evento dannoso, sia solo in un rapporto di causalità mediato ed indiretto 12.

La giurisprudenza prevalente ritiene che la responsabilità in esame abbia natura di responsabilità diretta per fatto proprio colpevole.

La Corte di Cassazione, infatti, ha avuto modo recentemente di affermare che “la responsabilità dei genitori a norma dell’art. 2048 cc. (unitamente agli altri soggetti nella stessa disposizione normativa indicati) configura una forma di responsabilità diretta, per fatto proprio, cioè per non avere, con idoneo comportamento, impedito il fatto dannoso, ed è fondata sulla loro colpa, peraltro presunta” 13.

La Suprema Corte aveva già insegnato che “la norma di cui all’art. 2048 cc. configura un’ipotesi di responsabilità diretta dei genitori per il fatto illecito commesso dai figli minori (e non già indiretta, od oggettiva, per fatto altrui), poiché, ai fini della sua concreta applicazione, non è sufficiente la semplice commissione del detto illecito, ma è altresì necessaria una condotta (commissiva o, di regola, soltanto omissiva), direttamente ascrivibile ai medesimi, che si caratterizzi per la violazione dei precetti di cui all’art. 147 cc., e rispetto alla quale, in seno alla struttura dualistica dell’illecito, lo stesso fatto del minore, nella sua globalità, rappresenta il correlato evento giuridicamente rilevante. Di tale responsabilità, configurabile soltanto a titolo di colpa (poiché, in caso di condotta dolosa, le conseguenze, penali e civili, risulterebbero diversamente disciplinate, ex

9 E’, infatti, decisivo il rilievo che l’evento dannoso possa essere evitato adottando le adeguate cautele. 10 Tale è, ad esempio, l’opinione di Bianca, Diritto Civile, 5°, di Scognamiglio, Responsabilità per fatto altrui, in NDI, XV, 690 e di Salvi, Responsabilità extracontrattuale (dir. vig.), in Enc Dir., XXXIX, 1235, secondo cui alla categoria della responsabilità per fatto altrui vanno ricondotte le ipotesi, nelle quali il criterio di imputazione consiste nella relazione che intercorre tra il responsabile ed il soggetto che ha causato il danno: nel caso che ci occupa, il rapporto di filiazione. 11 Venditti, Giustizia Civile, 1955, I, 1620. 12 Maiello, Dir. giur., 1960, 44. 13 Cass., III, 20 ottobre 2005, n° 20322.

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art. 11114 e 185 c.p.), può legittimamente predicarsi la sussistenza, diversamente da quanto previsto, in via generale, dall’art. 2043, solo in presenza di una forma di colpa cd. specifica, non essendo, all’uopo, sufficiente una colpa soltanto generica, attesa anche la previsione di una “praesumptio iuris tantum” della sua esistenza, così che il genitore potrà dirsi liberato soltanto attraverso la positiva dimostrazione di una rigorosa osservanza dei precetti di cui al menzionato art. 147”15.

Tale pronuncia è assolutamente chiara ed attraverso l’efficace interpretazione della condotta del minore come evento giuridicamente rilevante ed eziologicamente connesso alla condotta colposa, anche omissiva, del genitore ricostruisce la natura giuridica della responsabilità genitoriale, in modo del tutto rispondente ai criteri generali di imputazione della responsabilità aquiliana.

Si tratta di responsabilità presunta iuris tantum, giacché padre e madre sono ammessi a provare di non avere potuto impedire l’evento (art. 2048, 3° comma, cc.) 16; essa è posta a carico solidale di entrambi i genitori 17, a pari titolo, ai sensi dell’art. 2055 cc.18.

14 “Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non punibile a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questa commesso, e la pena è aumentata”. 15 Cass., III, 9 ottobre 1997, n° 9815; conf. Cass., III, 3 giugno 1997, n° 4945, Cass., I, 22 gennaio 1999, n° 572 e Cass., III, 10 maggio 2000, n° 5957. Merita, tuttavia, di essere segnalata, anche per l’autorevolezza del relatore e per il fatto di essere stata pronunciata di recente, Cass., S.U., 27 giugno 2002, n° 9346, secondo cui “nella ricostruzione della disciplina della responsabilità aquiliana, l’art. 2048 è concepito come norma di “propagazione” della responsabilità, in quanto, presumendo una culpa in educando o in vigilando, chiama a rispondere genitori, tutori, precettori e maestri d’arte per il fatto illecito cagionato dal minore a terzi: la responsabilità civile nasce come responsabilità del minore verso i terzi si estende ai genitori, tutori, precettori e maestri d’arte; …la struttura della norma…delinea una ipotesi di responsabilità per fatto altrui, in quanto il precettore risponde verso il terzo danneggiato per il fatto illecito compiuto dall’allievo in danno del terzo, per non averlo impedito in ragione di una presunzione di culpa in vigilando…”. 16 Sulla presunzione di responsabilità, cfr., fra le altre, Cass., III, 20 gennaio 1997, n° 540, Cass., III, 25 marzo 1997, n° 2606 e, di recente, Cass., III, 10 agosto 2004, n° 15419. 17 Cfr. Cass., 19 dicembre 1978, n° 6104, secondo cui accertata la responsabilità di un genitore, l’altro è responsabile in solido, anche se provi di non avere potuto effettuare la vigilanza nel momento in cui il figlio minorenne ha commesso il fatto dannoso; resta salvo il diritto di regresso secondo il grado di colpa, mentre nei rapporti interni tra i genitori le colpe si presumono uguali. 18 Può essere interessante notare, in conclusione, come la struttura dell’attuale istituto della responsabilità dei genitori, già delineata prima della riforma del diritto di famiglia operata con la legge n° 151 del 1975, ricalchi, nella sostanza, quella del codice civile del 1865 e quindi quella del codice civile francese che, sulle orme del Pothier, aveva collegato la responsabilità alla “potestà” del padre, della madre, del tutore, del precettore, che erano chiamati a rispondere del fatto illecito del minore se ed in quanto pur avendo avuto la possibilità di impedirlo non l’avessero fatto. Non è escluso, poi, che l’istituto sia in qualche modo collegato all’actio noxalis, che poteva essere intentata contro il paterfamilias ritenuto responsabile dei delicta commessi dal filiusfamilias; il padre poteva pagare la

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4. La condotta

Secondo l’art. 2048 cc., il padre e la madre sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore che abita con essi.

L’accertata natura giuridica della responsabilità genitoriale quale conseguenza di un fatto proprio colpevole implica che la condotta civilmente rilevante dei genitori si configuri prevalentemente come condotta omissiva, vale a dire come mancata realizzazione della condotta doverosa.

4a. la posizione di garanzia

I genitori, infatti, il più delle volte, rispondono per avere omesso la condotta attesa che, ove realizzata, o realizzata compiutamente, avrebbe impedito il fatto illecito del grande minore.

Tale condotta doverosa è quella prevista dall’art. 147 del codice civile - ribadita dall’art. 155 cc. in tema di separazione personale fra i coniugi - che impone ad entrambi i genitori l’obbligo non solo di mantenere, ma anche di istruire e educare i figli, esercitando quindi su di loro la necessaria vigilanza 19.

pena pecuniaria o liberarsi dalla responsabilità, facendo la noxae deditio del colpevole, abbandonando costui o il suo cadavere alla parte lesa. 19 La Suprema Corte ha avuto modo di affermare che ai fini della sussistenza della responsabilità dei genitori “…non è sufficiente la semplice commissione del fatto illecito, ma è altresì necessaria una condotta (commissiva o, di regola, soltanto omissiva) direttamente ascrivibile ai medesimi, che si caratterizzi per la violazione dei precetti di cui all’art. 147 cc…”: Cass., n° 9815/97 cit..

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I genitori, in sostanza, assumono rispetto ai figli quella che i penalisti definirebbero una posizione di garanzia: quali garanti della loro adeguata educazione, rispondono per le conseguenza dannose del proprio colpevole fallimento educativo 20.

La violazione dei doveri imposti dalla norma citata, infatti, implica l’esistenza della colpa, secondo quanto esporrò meglio fra poco.

4b. la coabitazione

Presupposto della responsabilità dei genitori è che il grande minore sia con loro convivente.

Non basta quindi la condotta, omissiva o commissiva, tenuta dal genitore, ma occorre che tale condotta riguardi un figlio minore coabitante.

La cosa è facilmente comprensibile, ove si rifletta che la convivenza è necessaria per assolvere i doveri di sorveglianza e educazione 21.

E’ importante notare come la giurisprudenza abbia avuto modo di sottolineare che la coabitazione non venga meno per un’assenza temporanea del minore per contingenti ragioni di svago o di studio22, ma solo a seguito dell’abbandono definitivo della casa familiare, dovuto a ragioni non imputabili ai genitori23.

Quid iuris, allora, nel caso di minore affidato ad uno solo dei genitori ed abitante solo con esso (fattispecie, questa, ancora possibile, secondo il dettato dell’art. 155 bis cc.)?

20 Vede i genitori quali garanti ex lege dei figli – ma in senso diverso, quali responsabili oggettivamente della condotta dei minori – Busnelli, in Dir. Fam., 1982, 54 (“…la relativa funzione dei genitori diventa quella di garantire ai terzi danneggiati un risarcimento a cui il patrimonio del minore non sarebbe normalmente in grado di far fronte”); sulla stessa linea Bessone, in Dir. Fam., 1982, 1011, che, tuttavia, non giunge a qualificare la responsabilità genitoriale come oggettiva. 21 In tal senso, Cass., 13 aprile 1979, n° 2195. 22 Cass., 20 aprile 1978, n° 1895. 23 Cass., 11 gennaio 1978, n° 3491.

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E l’allontanamento dalla casa familiare disposto dal Giudice con ordine di protezione ai sensi dell’art. 342 ter 24 cc. comporta esclusione della responsabilità del coniuge allontanato?

Non mi risulta che la giurisprudenza, neppure di merito, si sia pronunciata al riguardo.

Volendo assumere la responsabilità di una valutazione, mi sento di affermare che non credo che la mancanza dell’elemento della coabitazione implichi tout court il venir meno di una delle condizioni di applicabilità dell’art. 2048 cc., quasi si venisse a creare un deficit di tipicità della condotta civilmente rilevante 25.

Credo, invece, che si possa configurare la responsabilità anche del coniuge non affidatario o allontanato, salvo che egli provi che la lontananza gli abbia impedito, senza colpa, di assolvere l’obbligo di vigilanza e educazione.

Deve infatti essere valorizzato il fatto che tale coniuge, ai sensi degli artt. 317, secondo comma, e 155, 3° comma, cc. (e, dopo la loro promulgazione, secondo gli artt. 155 e 155 bis cc.), mantenga la titolarità della potestà genitoriale ed abbia di conseguenza il dovere di vigilare sull’educazione dei figli; egli, anzi, ai sensi degli artt. 316, 3° comma, e 155, 3° comma, cc. (vecchio testo), ha la possibilità di esercitare concretamente e proficuamente tale vigilanza, ricorrendo al Giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli all’interesse dei figli 26.

24 Non è superfluo sottolineare come la durata dell’ordine di protezione possa superare i sei mesi e protrarsi, in presenza di gravi motivi, per il tempo strettamente necessario. 25 In tale ipotesi, si potrebbe porre il problema dell’applicabilità della norma generale dell’art. 2043 cc., con le connesse conseguenze in punto di onore della prova, non più presunta. 26 E’ interessante, al riguardo, l’insegnamento della Corte Suprema, che ha avuto modo di affermare che “ a seguito della separazione tra coniugi, la potestà sui figli rimane ad essi comune, l’esercizio esclusivo della medesima è attribuito all’affidatario, che deve attenersi alle condizioni fissate dal giudice, e le decisioni di maggiore interesse (tra cui la scelta della scuola) devono essere adottate da entrambi i genitori; in mancanza di accordo, compete al giudice ordinario ai sensi dell’art. 155, comma terzo, cc., accertare la congruità rispetto all’interesse del minore della decisione assunta dall’affidatario, avvalendosi a tal fine dei poteri ufficiosi di cui all’art. 155, comma settimo, cc. e integrando all’occorrenza le condizioni di separazione; benché la norma attribuisca il potere d’iniziativa al genitore non affidatario, analogo potere spetta anche all’affidatario, il quale, in presenza di contrasto con l’altro coniuge, anziché decidere può chiedere direttamente al giudice di adottare i provvedimenti necessari”: Cass., I, 3 novembre 2000, n° 14360.

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Per la verità, la nuova formulazione degli artt. 155 e 155 bis del codice civile, desta forte perplessità.

Il legislatore del 2006, infatti, nel disciplinare con l’art. 155 bis la possibilità di un affidamento monogenitoriale nell’interesse del minore, non solo nulla ha specificato circa il concreto esercizio, in tale ipotesi, della potestà genitoriale, ma non ha riprodotto la disposizione del terzo comma, seconda parte, del vecchio art. 155 cc., che prevedeva – com’è noto – che “il coniuge cui i figli non siano affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse”.

Come interpretare tale nuovo dettato normativo? Bisogna forse ritenere che l’affido monogenitoriale implichi l’esercizio della potestà genitoriale in via esclusiva e che il genitore non affidatario non possa esercitare il potere-dovere di vigilanza e ricorrere eventualmente al giudice?

Non credo che sia questa l’esegesi corretta.

Credo, infatti, che l’art. 155 bis cc. si limiti semplicemente a specificare la portata dell’art. 155 cc, che, dopo avere previsto al secondo comma la possibilità dell’affidamento monogenitoriale, afferma con chiarezza, al terzo comma, che “la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori”, prevedendo dunque che tale esercizio congiunto prescinda dall’affidamento congiunto, con possibilità di rimessione della decisione al giudice in caso di disaccordo.

La possibilità di esercizio separato della potestà è previsto dall’ultima parte del terzo comma dell’art. 155 cc. nel caso di disaccordo su questioni di ordinaria amministrazione; neppure in tale caso, tuttavia, pare previsto un esercizio esclusivo della potestà genitoriale, giacché la norma si limita a prevedere in tale eventualità che il giudice possa stabilire che i genitori “esercitino la potestà separatamente”: e “separatamente” non significa che “esclusivamente”.

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E’ del tutto evidente che tale esercizio separato, ma non esclusivo, della potestà potrà creare non pochi problemi pratici.

Quel che, tuttavia, rileva in questa sede –riprendendo la nostra odierna analisi della responsabilità civile verso i terzi del genitore non affidatario - è che, pur dopo la recentissima novella, permanga quantomeno il dovere di vigilanza sull’educazione del figlio in capo al genitore non affidatario o allontanato.

Anche in tali casi, dunque, la responsabilità genitoriale sarebbe conseguenza del colpevole mancato adempimento di un dovere imposto dalla legge, ed in particolare del dovere di vigilanza.

E’ appena il caso di sottolineare come quanto appena argomentato non valga in caso di genitore che abbia perso la potestà genitoriale, a seguito di interventi ablativi del Tribunale per i Minorenni 27.

4c. le condotte concorrenti

La responsabilità dei genitori per condotta omissiva colposa può concorrere con quella di altri soggetti, ugualmente tenuti normativamente all’obbligo della sorveglianza dei minorenni.

Il dovere di sorveglianza dei genitori, infatti, rimane sospeso per il tempo in cui il figlio minorenne è affidato agli insegnanti o ad un datore di lavoro.

27 Sul riparto di competenza tra il Tribunale per i Minorenni ed il Tribunale Ordinario in ordine all’adozione di provvedimenti incidenti sulla potestà genitoriale, cfr. Cass., I, 15 marzo 2001, n° 3765, Cass., I, 4 febbraio 2000, n° 1213, Cass., I, 10 maggio 1999, n° 4631.

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La giurisprudenza ha ritenuto corretta tale interpretazione ed ha affermato che “la responsabilità del genitore (ex art. 2048, comma primo, cc.) e quella del precettore (ex art. 2048, comma secondo, cc.) – per il fatto commesso da un minore capace di intendere e volere mentre è affidato a persona idonea a vigilarlo e controllarlo – non sono tra loro alternative, giacché l’affidamento del minore alla custodia di terzi solleva il genitore dalla presunzione di colpa “in vigilando” (dal momento che dell’adeguatezza della vigilanza esercitata sul minore risponde il precettore cui lo stesso è affidato), ma non anche da quella “in educando”…”28.

La responsabilità dei genitori e dei precettori sarà dunque concorrente 29 e solidale, ai sensi dell’art. 2055 del codice civile 30.

4d. il fatto illecito

Come abbiamo visto, la formula normativa adottata dall’art. 2048 cc. prevede la responsabilità genitoriale per il danno cagionato dal fatto illecito dei figli.

Ne deriva come prima, ovvia, conseguenza che dall’ambito di applicazione della norma rimangano esclusi i danni derivanti da inadempimento contrattuale del grande minore 31,

28 Cass., III, 21 settembre 2000, n° 12501, in relazione al caso di uno studente liceale che, durante l’ora di disegno, era stato leso ad un occhio dalla gomma per cancellare scagliatagli contro da un compagno, il cui genitore era stato convenuto in giudizio dai genitori del danneggiato; conf. Cass., III, 11 agosto 1997, n° 7459, secondo cui “ai fini della responsabilità del genitore per il fatto illecito del minore a norma dell’art. 2048 cc., la circostanza che il figlio abbia frequentato la scuola e sia avviato ad un mestiere, se può valere ad escludere la presunzione di “culpa in vigilando” non è idonea a fornire la prova liberatoria della presunzione di culpa in educando, all’uopo occorrendo che sia stata impartita al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini, alla sua personalità”. 29 “La responsabilità (diretta) dei genitori, ai sensi dell’art. 2048 cc., per il fatto illecito dei figli minori imputabili può concorrere con quella dei precettori, essendo esse rispettivamente fondate sulla colpa “in educando” e su quella “in vigilando”…”: Cass., 10 maggio 2000, n° 5957. 30 “…Se il fatto dannoso è imputabile a più persone (anche a titolo diverso, secondo la giurisprudenza pacifica), tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno…, mentre l’eventuale gradazione delle colpe ha rilievo solo nei rapporti tra responsabili, ai fini dell’azione di regresso (art. 2055, secondo e terzo comma) ”: Cass., n° 12501/2000 cit.. 31 Il locatore che abbia subito un danno dal locatario minore, ad esempio, potrà agire nei confronti del genitore di quest’ultimo solo agendo in via extracontrattuale; .

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salva, ovviamente, la responsabilità ex art. 1228 cc. per il fatto doloso o colposo del figlio incaricato dell’adempimento, ricorrendone i presupposti 32 .

E’ poi interessante notare come il riferimento al fatto illecito autorizzi il richiamo alla disciplina codicistica dell’illecito medesimo e quindi anche alle norme che prevedono presunzioni di responsabilità a carico dell’autore del fatto ingiusto.

E la giurisprudenza, infatti, ha avuto modo di affermare che anche la responsabilità del minore rispetto al fatto illecito da lui commesso, fonte della concorrente responsabilità genitoriale, possa essere presunta 33.

Terza e più interessante riflessione è quella volta ad accertare se il menzionato riferimento testuale al fatto illecito comporti l’esclusione della responsabilità del genitore per i danni che il minore arrechi a se stesso, giacché invece gli obblighi di educazione e di cura sembrano imposti essenzialmente nei confronti ed a tutela dei figli minorenni.

La problematica assume evidente interesse per le implicazioni che ha in punto di onere della prova, giacché si tratta di stabilire se nelle fattispecie di autodanneggiamento del minore operi la presunzione prevista dall’art. 2048 cc..

La questione, venuta in rilievo soprattutto nell’ambito dello studio della responsabilità degli insegnanti, è stata oggetto di dibattito e di soluzioni giurisprudenziali contrastanti.

Da una parte, infatti, con interpretazione restrittiva, si è valorizzata l’interpretazione letterale della norma, che fa espresso riferimento al danno cagionato dal fatto illecito del minorenne, giungendo alla conclusione che l’art. 2048 cc. presupponga un fatto antigiuridico lesivo di un terzo, al quale, proprio in quanto tale, sarebbe possibile opporre la prova liberatoria prevista dall’ultimo comma della norma citata.

32 Cfr. Cass., III, 17 maggio 2001, n° 6756; Cass., III, 11 maggio 1995 n. 5150. 33 “Il genitore risponde, ai sensi dell’art. 2048 cc., dell’atto illecito compiuto dal proprio figlio minore, quand’anche la responsabilità di quest’ultimo non sia accertata in concreto, ma sia stata presunta ex art. 2054, secondo comma, cod. civ.”: Cass., III, 9 luglio 1998, n° 6686.

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Dall’altra parte, c’è stato chi ha privilegiato un’interpretazione estensiva, sottolineando – lo si è già accennato - che l’obbligo di tutela sia normativamente previsto proprio a tutela dei minorenni.

Il contrasto, tuttavia, è stato di recente superato dalla decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, sposando l’interpretazione restrittiva, hanno affermato il principio di diritto secondo il quale “non è invocabile la presunzione di responsabilità posta dall’articolo 2048, comma 2, del codice civile nei confronti dei precettori, al fine di ottenere il risarcimento dei danni che l’allievo abbia provocato a se stesso” 34.

34 Cass., S.U., 8 febbraio-26 giugno 2002, n° 9396, rel. Preden. La sentenza è molto interessante anche per l’accurata ricostruzione del precedente contrasto giurisprudenziale, operata attraverso la rassegna dei singoli casi che avevano condotto le varie sezioni, fin dal 1958, a dare al problema soluzioni diverse. Si va dai casi, restrittivamente valutati, dell’alunno della prima elementare della Scuola Elementare Svizzera di Napoli che, mentre tentava di estrarre il pennino da un’asticciola, restava colpito dal pennino all’occhio destro, con compromissione della capacità visiva; della bambina di cinque anni, che, mentre si trovava nel giardino di una scuola materna comunale, si era procurata lesioni rimanendo incastrata sotto il seggiolino di un’altalena a barre fisse; di un convittore del Seminario Vescovile di Pozzuoli, il quale, per andare a riprendere il pallone caduto nel giardino finitimo, era stato costretto a scavalcare un cancello, essendosi impigliato con la sottana in una delle lance di ferro della cancellata, aveva perduto l’equilibrio ad era precipitato a terra riportando la frattura del braccio sinistro, a quelli, valutati in senso estensivo, di uno scolaro di sette anni della seconda elementare di una scuola pubblica, il quale, dopo essere uscito dall’aula con il permesso della maestra per recarsi al gabinetto sito in un cortile esterno, era stato colpito ad un occhio da un sasso lanciatogli da altro scolaro coetaneo; delle lesioni (trauma cranico) riportate da un’alunna della scuola elementare statale a seguito di un urto con un compagno, rimasto ignoto; dell’alunno di una scuola elementare statale che, durante la ricreazione pomeridiana, era stato “sgambettato”, in assenza dell’insegnante, da un compagno ed era caduto riportando la rottura dei denti incisivi superiori. La pronuncia – lo si rileva incidentalmente – contiene poi un’importante obiter dictum circa la natura contrattuale della responsabilità degli insegnanti, con ricadute in ordine all’onere della prova. Le Sezioni Unite, infatti, hanno precisato che “ nel caso di danno arrecato dall’allievo a se stesso, appare più corretto ricondurre la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non già nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, con conseguente onere per il danneggiato di fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c., bensì nell’ambito della responsabilità contrattuale, con conseguente applicazione del regime probatorio desumibile dall’art. 1218 cc. Quanto all’istituto scolastico, l’accoglimento della domanda di iscrizione e la conseguente ammissione dell’allievo determina infatti l’instaurazione di un vincolo negoziale, in virtù del quale, nell’ambito delle obbligazioni assunte dall’istituto, deve ritenersi sicuramente inclusa quella di vigilare anche sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso (in tal senso, espressamente, v. sent. n. 2485/58 e n. 2110/74, entrambe relative ad istituti privati, ma il principio è da ritenere operante anche in relazione alla scuola pubblica). Quanto al precettore dipendente dall’istituto scolastico, osta alla configurabilità di una responsabilità extracontrattuale il rilievo che tra precettore ed allievo si instaura pur sempre, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale il precettore assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e di vigilanza, onda evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona.

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Il principio è stato ribadito, di recente, da Cass., III, 16 giugno 2005, n° 12966.

Necessario corollario di tali decisioni è che nel caso di autodanneggiamento, la responsabilità dei genitori andrà valutata ai sensi dell’art. 2043 cc., con la conseguenza che l’onere della prova del danno subito e del nesso di causalità incomberà sul danneggiato minorenne.

Per concludere sulla condotta illecita dei figli, può essere interessante rilevare come la giurisprudenza abbia affermato la responsabilità genitoriale anche rispetto all’illecito amministrativo commesso dal minorenne 35.

5. La colpa

Ho già anticipato che la responsabilità ex art. 2048 cc. sia una specificazione della responsabilità aquiliana, codificata dall’art. 2043 del codice civile.

Ne consegue che il criterio di imputazione anche della responsabilità genitoriale debba tenere conto, accanto alla condizione di capacità prevista dall’art. 2046 cc., pure del dolo e della colpa.

Circa l’onere probatorio, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnante, l’attore dovrà quindi soltanto provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre sarà onere dei convenuti dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa a loro non imputabile”. Tenuto conto che il riferimento ad un paradigma contrattuale non è certo ipotizzabile nel rapporto genitori-figli, la conclusione cui è pervenuto il Supremo Collegio con riferimento al rapporto insegnante-minore non può essere ritenuta applicabile alla disciplina del primo dei rapporti indicati. 35 “Nel caso di illecito amministrativo commesso da persona non imputabile perché minore di diciotto anni, del quale è chiamato a rispondere chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, la prova liberatoria di non avere potuto impedire il fatto – richiesta dall’art. 2, capoverso, della legge n° 689 del 1981 – compete non soltanto a coloro che sono tenuti alla sorveglianza degli incapaci, ma anche ai genitori dei minori ed agli altri soggetti indicati nell’art. 2048 cc.”: Cass., I, 10 luglio 1996, n° 6302; cfr. Cass., I, 22 gennaio 1999, n° 572, relativa al caso di un minorenne sorpreso senza biglietto su un tram, a Torino.

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Tralasciando il dolo, per la sua scarsa incidenza statistica nel ristretto ambito civilistico in cui oggi ci muoviamo, è condivisa l’opinione che la nozione di colpa possa essere mutuata dal diritto penale 36.

Si può dunque ricordare che la colpa sussiste ogni qualvolta il soggetto tenga una condotta “genericamente” negligente, imprudente o imperita oppure tenga un comportamento non rispettoso di “specifici” leggi, regolamenti, ordini o discipline.

E’ allora del tutto evidente perché – secondo quanto anticipato – l’inosservanza da parte dei genitori dell’obbligo imposto loro dall’art. 147 cc. implichi nei loro confronti l’addebito di colpa.

Più in particolare, è consolidato l’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale i genitori rispondono del fatto illecito del figlio grande minore allorché abbiano omesso di adempiere l’obbligo di educarlo e di sorvegliarlo.

Si tratta, all’evidenza, di colpa specifica 37, presunta, rispetto alla quale è ammessa la prova liberatoria di non avere potuto senza colpa impedire l’evento.

Dunque, culpa in educando e culpa in vigilando.

Vi tornerò, accennando alla prova liberatoria.

6. Il nesso di causalità.

36 In tal senso, ad esempio, Salvi, op. cit.. 37 Cfr. Cass., n° 9815/97 cit., “…non essendo, all’uopo, sufficiente una colpa soltanto generica, attesa anche la previsione di una “praesumptio iuris tantum” della sua esistenza, così che il genitore potrà dirsi liberato soltanto attraverso la positiva dimostrazione di una rigorosa osservanza dei precetti di cui al menzionato art. 147”.

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Ho già ricordato che i genitori, il più delle volte, rispondono per avere omesso la condotta attesa che, ove realizzata, o realizzata compiutamente, avrebbe impedito l’evento (inteso come fatto illecito commesso dal grande minore).

Questa affermazione rende sufficientemente chiaro il criterio di imputazione causale ai genitori del fatto illecito realizzato dal figlio minorenne capace.

Il “meccanismo” è nella sostanza quello codificato dal secondo comma dell’art. 40 del codice penale: “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”; laddove – lo si è già rilevato – l’obbligo giuridico è quello di educazione e di vigilanza previsto dall’art. 147 del codice civile 38.

Né la prova liberatoria, consistente nella dimostrazione di non avere potuto impedire l’evento e dunque del caso fortuito, elimina il nesso di causalità, incidendo invece sulla colpevolezza 39.

38 E’ noto che la disciplina legislativa civilistica della causalità sia genericamente considerata ambigua ed inappagante, giacché qualcuno dubita persino che l’art. 1223 del codice civile (richiamato dall’art. 2043), vale a dire la principale norma dettata in materia dal codice civile, disciplini realmente il nesso causale, o non piuttosto la determinazione del quantum del risarcimento. Di recente, poi, si è sempre più fatta strada l’opinione, secondo la quale il riferimento alla disciplina penalistica sia inadeguato, specie ove si consideri che le moderne concezioni civilistiche della responsabilità valorizzano sempre di più il momento del danno, rispetto a quello della condotta illecita, sul presupposto che mentre ai fini della sanzione penale si imputa al reo il “fatto”, ai fini della responsabilità civile ciò che si imputa è il “danno”, e non il fatto illecito o dannoso in quanto tale. Tale impostazione, poi, appare tanto più rilevante quanto più si amplia la sfera di operatività della responsabilità oggettiva, specie in tutti quei casi in cui, per la stessa complessità strutturale delle condotte civilmente rilevanti, sia difficile, ontologicamente, ricostruire l’articolata serie causale che ha prodotto un danno (si pensi ai danni cagionati da prodotti, frutto di un processo produttivo articolato in più fasi e particolarmente complicato). Interessanti al riguardo sono, ad esempio, i meccanismi di spiegazione causale cosiddetti della “black box”, basati non sull’impiego di leggi di copertura, ma sull’osservazione empirica del singolo caso, rispetto al quale il nesso di causalità è stato accertato senza neppure individuare la sostanza causalmente lesiva all’interno di un novero di elementi chimici o naturali “sospetti” (i componenti dello spray per pelli, oggetto della sentenza 6 luglio 1990 della Corte di Cassazione tedesca, o dell’olio di colza, su cui il 23 aprile 1992 si è pronunciato il Tribunale Supremo spagnolo), tra i quali, però, “deve”, in assenza di altre possibili concause, trovarsi il fattore causale. La problematica è molto complessa e non può essere affrontata per cenni. Credo tuttavia che nel ristretto ambito della responsabilità genitoriale verso terzi, di sedimentata elaborazione e caratterizzata da condotte omissive specifiche, seppure non sufficientemente tipizzate, la ricostruzione del nesso causale secondo l’impostazione penalistica mantenga sufficienti rigore e validità scientifici. 39 L’opposta tesi, secondo la quale il caso fortuito spezzerebbe il nesso condizionalistico, non appare convincente, giacché cozza contro il rilievo che essa non vale in tutte le ipotesi di responsabilità oggettiva,

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Certo, permane tutto intero il diverso problema relativo alla validità del ragionamento causale rispetto ad una condotta negativa, la cui rilevanza eziologica deve passare al vaglio di un giudizio probabilistico, fondato sul riferimento a regole condivise di comune esperienza, secondo le quali si possa ritenere con ragionevole certezza, o con alta probabilità logica, che la condotta attesa o il comportamento alternativo lecito avrebbero impedito l’evento.

Nella sostanza, il ragionamento probatorio è assai simile a quello posto alla base di tutta l’elaborazione giurisprudenziale operata nel campo della colpa professionale del medico o dell’avvocato 40.

Posso quindi fare riferimento agli ultimi arresti giurisprudenziali in quella materia, i quali, superando l’opinione meno recente che fondava l’esistenza del nesso condizionalistico sulla ragionevole certezza che la condotta attesa avrebbe impedito l’evento, sposano ormai l’orientamento, secondo il quale il nesso di causalità sarà provato tutte le volte in cui si potrà affermare che la condotta attesa avrebbe probabilmente impedito il fatto dannoso.

La giurisprudenza, soprattutto penale, si è ovviamente posta il problema del grado di probabilità necessario a legittimare il giudizio positivo sulla sussistenza del nesso di causalità e, dopo qualche oscillazione, ha precisato che il nesso causale possa essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza, o di una legge scientifica (universale o statistica), la cui validità sia stata verificata alla luce del caso concreto e dell’assenza di interferenze causali autonome o alternative, risulti giustificata e processualmente plausibile la conclusione che, in presenza della condotta doverosa, l’evento, con elevato grado di attendibilità razionale o probabilità logica, non si sarebbe prodotto 41.

nelle quali invece il danneggiante non può liberarsi da responsabilità invocando il caso fortuito, ma unicamente provando l’estraneità propria o della propria impresa alla produzione del danno. 40 Alcune sentenze, infatti, fanno riferimento al concetto di “ragionevole presunzione”: cfr. Cass., n° 7459/97, n° 4481/01, infra. 41 Cfr. Cass., S.U. penali, n° 30328 del 2002.

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E’ di tutta evidenza che l’indicato ragionamento probatorio, oltre a richiedere un estremo rigore nell’accertamento del nesso condizionalistico, comporti crescenti difficoltà in punto di prova liberatoria che il genitore dovrà offrire.

Non posso allora non avvertire un certo disagio, dovuto essenzialmente alla considerazione, forse errata, della maggiore attendibilità scientifica delle regole di esperienza che servono da parametri di riferimento in campo medico.

Voglio dire che mentre in campo di responsabilità professionale medica – nonostante quella sanitaria sia un’arte, più che una scienza - sono maggiori i settori in cui sono state elaborate linee guida rigorose, sottoposte a scrupoloso vaglio scientifico e dotate di alta attendibilità statistica e razionale, cui ancorare il ragionamento causale, credo che nel settore dell’educazione ci si muova su terreni più infidi.

La questione di fondo che si pone, infatti, è quella di individuare quale sia il comportamento alternativo lecito.

Qual è la condotta attesa? Esistono degli standards comportamentali ai quali parametrare la condotta dei genitori rispettosa del dettato dell’art. 147 cc.?

Le domande, decisive, ci portano sul terreno della prova, giacché solo provando di avere tenuto tale condotta il genitore andrà esente da responsabilità.

7. L’onere della prova e la prova liberatoria.

Ho già più volte fatto riferimento alle implicazioni probatorie del tema di cui ci occupiamo, specie in considerazione della presunzione di colpa codificata dall’art. 2048 del codice civile.

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Volendo adesso tornare rapidamente sul punto, basterà far ricorso al recente insegnamento della Corte di Cassazione, secondo cui “in base alla previsione contenuta nell’art. 2048 cod. civ. in tema di responsabilità dei genitori per danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore, sul danneggiato incombe solo l’onere di provare che il fatto illecito sia stato commesso dal minore ed il danno subito, mentre i genitori, per sottrarsi alla presunzione di responsabilità a loro carico, devono provare di non avere potuto impedire il fatto, intendendosi tale onere probatorio come onere di fornire la positiva dimostrazione dell’osservanza dei precetti imposti dall’art. 147 cod. civ. relativo ai doveri verso i figli, tra i quali quello di educare la prole”42.

L’orientamento è stato ribadito da Cass., III, 20 ottobre 2005, n° 20332, secondo cui “in relazione all’interpretazione della disciplina prevista nell’art. 2048 cc., è necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria per superare la presunzione di colpa dalla suddetta norma desumibile, offrano non la prova legislativamente predeterminata di non avere potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di avere impartito al figlio una buona educazione e di avere esercitato su di lui una vigilanza adeguata, i tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore...”.

Si può facilmente convenire sul fatto che le sentenze siano particolarmente chiare e mi affranchino, così, da ulteriori richiami.

Vale solo la pena di mettere in evidenza come il riferimento esplicito alla “positiva dimostrazione dell’osservanza dei precetti imposti dall’art. 147 cod. civ.” renda palese che i Supremi Giudici abbiano sposato la tesi del caso fortuito come assenza di colpa; i genitori, infatti, pur avendo osservato i precetti dell’art. 147 cc. ed essendo quindi immuni da colpa (specifica), hanno ugualmente cagionato il danno, ma non ne risponderanno per mancanza dell’elemento soggettivo della condotta.

Viene dunque in rilievo la questione della prova liberatoria.

42 Cass., III, 10 agosto 2004, n° 15419.

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Su di essa la giurisprudenza ha elaborato una linea molto rigorosa 43.

Intanto, è stato ritenuto che “l’inefficacia dell’educazione impartita dai genitori ai fini dell’affermazione della loro responsabilità per il risarcimento del danno provocato dal loro figlio, è desumibile anche dalla condotta di questi, in violazione di leggi e regolamenti”44.

E’ stato affermato anche il principio che “in tema di responsabilità del genitore ex art. 2048 cc. l’inefficacia dell’educazione da questi impartita al figlio minore è legittimamente desumibile (anche) dalla specifica condotta causativa del danno (nella specie, consistente nella guida spericolata, in guisa di esibizione, di un ciclomotore non abilitato al trasporto di due persone)” 45.

E’ stato deciso anche che “ l’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore… può essere ritenuta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 cc.”46.

Ho poi già citato la recente decisione, secondo la quale i genitori devono fornire la positiva dimostrazione dell’osservanza dei precetti imposti dall’art. 147 del codice civili (Cass., n° 15419/04).

Più in particolare, la giurisprudenza ha affermato che “la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’art. 2048 cc. di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore, capace di intendere e volere, si concreta, normalmente, nella dimostrazione, oltre di avere impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di avere esercitato sul

43 Espressione recentissima di tale rigore è la sentenza della terza sezione della Corte di Cassazione, n° 1148 del 20 gennaio 2005, che a proposito della domanda di risarcimento proposta dai genitori di un ragazzino ferito agli occhi da altro minorenne durante un gioco svolto in presenza dei genitori di entrambi, ha riconosciuto la responsabilità del genitore del danneggiante, sul rilievo che la prova del trasferimento dell’obbligo di sorveglianza al genitore del danneggiato dovesse essere fornita in modo rigoroso e non sulla base della semplice “congettura di presunzione semplice (la normalità degli eventi tre persone dotate di buona educazione)”, poiché “la legge esige la dimostrazione di un fatto impeditivo assoluto”. 44 Cass., III, 26 novembre 1998, n° 11984, in relazione al caso di un minorenne che, senza avere il patentino, si era allontanato da scuola durante l’orario di lezione alla guida di un motorino altrui con a bordo una compagna di scuola di cui aveva provocato la morte in uno scontro con un’automobile. 45 Cass., III, 8 febbraio 2002, n° 2518. 46 Cass., III, 7 agosto 2000, n° 10357; conf. Cass., III, 20 ottobre 2005, n° 20332.

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medesimo una vigilanza adeguata all’età. A tal fine non occorre che il genitore provi la sua costante ed ininterrotta presenza fisica accanto al figlio quando, per l’educazione impartita, per l’età del figlio e per l’ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l’ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano mai costituire fonte di pericoli per sé e per i terzi”47.

E’ stato ritenuto pure che sia necessario dimostrare “che sia stata impartita al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini, alla sua personalità” 48.

E’ stato anche affermato che la prova liberatoria debba, in più, raggiungere la dimostrazione di “una vigilanza adeguata all’età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un’ulteriore o diversa opera educativa…”49.

Ancora: “la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’art. 2048 cc. non si esaurisce nella dimostrazione di non avere potuto impedire il fatto, ma si estende alla dimostrazione di avere anche adottato, in via preventiva, le misure idonee ad evitarlo” 50.

Si è addirittura deciso che la valutazione dell’educazione possa essere desunta dal curriculum scolastico 51.

47 Cass., III, 9 aprile 1997, n° 3088, relativa al caso di un ragazzo che, giocando a tennis sulla piazza di un paese di montagna, infuriato per un contrattempo, aveva infranto contro un muretto la racchetta, una scheggia della quale aveva ferito all’occhio un uomo; la Corte ha escluso la responsabilità dei genitori, sul rilievo che il fatto che l’adolescente andasse a giocare a tennis in piazza non comportasse, in termini di normale ragionevolezza, una situazione tale da dovere essere impedita dai genitori. 48 Cass., III, 11 agosto 1997, n° 7459. 49 Cass., III, 28 marzo 2001, n° 4481, relativa al caso di un minorenne che alla guida di un motorino aveva investito un uomo, cagionandogli danni; la Corte ha escluso la responsabilità genitoriale, evidenziando come i genitori avessero avviato al lavoro il figlio e gli avessero fatto conseguire la patente “A”; secondo Cass., III, 20 ottobre 2005, n° 20322, tuttavia, “…il conseguimento del titolo di abilitazione alla guida di motocicli o motoveicoli da parte di minori, con la corrispondente autorizzazione per legge degli stessi alla circolazione su strada con tali mezzi meccanici, non esonera i genitori, che con loro coabitino, dai loro doveri di vigilanza”. 50 Cass., III, 29 ottobre 2002, n° 15243. 51 Tribunale Verona, 1 febbraio 2000, pres. Di Franca.

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Come si vede, il parametro di riferimento è quello della vigilanza e dell’educazione adeguate, consone alle condizioni familiari e sociali, sufficienti, corrette...

Si tratta, tuttavia, di un criterio di riferimento molto generico, e secondo alcuni 52 addirittura arbitrario.

Appare allora assolutamente evidente che il problema principale connesso al tema della responsabilità genitoriale nei confronti dei terzi sia quello dell’individuazione dei parametri su cui misurare l’assolvimento dell’obbligo educativo.

Quali sono tali parametri? Qual è l’educazione adeguata? Quale quella sufficiente? Ed è uguale in Basilicata ed in Trentino? A Messina come a Torino?

Cosa dovrà fare il buon genitore che, diligentemente, voglia “correggere comportamenti non corretti” e tentare di porre in essere “un’ulteriore o diversa opera educativa”?

Dovrà provare di avere consultato uno specialista?

Sono domande fondamentali, che girerei volentieri ad un esperto di psicologia, anche al fine di trovare approdi più sicuri per un’attività di interpretazione della norma che vede l’esegeta talvolta navigare a vista e che lascia ampi spazi all’apprezzamento ed alla sensibilità del giudice.

8. Il danno risarcibile.

Dopo avere cercato di trovare dei punti fermi, o almeno appaganti, in merito alla condotta dei genitori, all’elemento soggettivo che deve sorreggerla, al nesso di causalità che deve

52 Cfr. Salvi, op. cit.

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legarla al fatto dannoso ed alla prova che del fatto dannoso e della colpa dev’essere fornita, non resta, per completezza, che affrontare il tema del risarcimento.

Non è questa la sede per affrontare la complessa problematica del risarcimento del danno.

E’ sufficiente rammentare, in via assolutamente generale, che l’insieme delle conseguenze risarcibili del fatto illecito trova, nel nostro sistema, la sua disciplina nella regola dell’art. 1223 cc., per la quale il risarcimento deve comprendere le perdite ed il mancato guadagno della vittima, in quanto siano conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso.

Limitando il nostro interesse all’impatto che tale regola ha nel campo della responsabilità genitoriale extracontrattuale verso i terzi, basterà evidenziare come la giurisprudenza abbia avuto modo di affermare che “in tema di responsabilità dei genitori per i danni cagionati dall’illecito del figlio minore, ove manchi, da parte dei primi, la prova liberatoria di non avere potuto impedire il comportamento dannoso…i genitori medesimi sono obbligati a risarcire i detti danni nella stessa misura con cui tale obbligazione graverebbe sull’autore materiale dell’illecito e, quindi, nel caso sussistano le condizioni, anche al risarcimento dei danni non patrimoniali” 53.

La giurisprudenza si è poi occupata dell’incidenza che la responsabilità del genitore può avere sull’ammontare del risarcimento a lui dovuto da terzi per danni subiti dal figlio.

E’ stato in proposito di recente deciso che “qualora il genitore del minore danneggiato agisca in proprio per ottenere il risarcimento dei danni eventualmente derivatigli dall’illecito commesso nei confronti del figlio, è opponibile il suo concorso di colpa (per omessa vigilanza del minore stesso), essendo in tale ipotesi la relativa eccezione diretta a limitare la misura del risarcimento del danno in favore di esso genitore”54.

53 Cass., III, 20 gennaio 1997, n° 540, in relazione al danno ad un pedone cagionato da un minorenne alla guida di un ciclomotore non assicurato. 54 Cass., III, 18 luglio 2003, n° 11241.

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9. Le conclusioni.

Il nostro sistema normativo prevede un regime rigoroso di responsabilità dei genitori verso i terzi per il fatto illecito commesso dai figli minori.

Vige a loro carico una presunzione iuris tantum di responsabilità per culpa in educando ed in vigilando, in virtù della quale i genitori sono responsabili fino a che non provino di non avere potuto, senza colpa, impedire il fatto illecito del figlio minorenne coabitante ai danni di un terzo.

L’obbligo di vigilanza comporta, oltre alla sorveglianza immediata, una continua opera di educazione, adeguata alle proprie condizioni familiari e sociali.

Restano tuttavia importanti questioni aperte.

Qual è la condotta educativa attesa dei genitori? Esistono degli standards comportamentali sui quali misurare la loro condotta rispettosa del dettato dell’art. 147 cc.? Il dovere di sorveglianza si attenua con l’avvicinarsi del figlio alla maggiore età?

In ultima analisi, come fare ad essere buoni genitori?

Per rispondere, tuttavia, non basta essere buoni giuristi.

Diceva Janusz Korczak 55:

“Dite: é faticoso frequentare i bambini.

Avete ragione.

55 Pedagogista polacco, 1878-1942, scomparso nel campo di sterminio di Treblinka con i suoi ragazzi, che non aveva voluto abbandonare.

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Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli.

Ora avete torto.

Non è questo che più stanca. E’ piuttosto il fatto di essere obbligati a innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.

Per non ferirli”.

Giuseppe Fazio giudice del Tribunale di Varese

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