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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Dicembre 2003 Paper numero 29 Federico MANFRIN SULLA NATURA DEL CONTROLLO LEGALE DEI CONTI E LA RESPONSABILITÀ DEI REVISORI ESTERNI

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Dicembre 2003

Paper numero 29

Federico MANFRIN

SULLA NATURADEL CONTROLLO LEGALE DEI CONTI

E LA RESPONSABILITÀ DEI REVISORI ESTERNI

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SULLA NATURA

DEL CONTROLLO LEGALE DEI CONTI E LA RESPONSABILITÀ DEI REVISORI ESTERNI

di Federico MANFRIN

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Indice

1. Introduzione .......................................................................................................1

2. Natura e finalità dell’istituto del controllo legale dei conti esercitato dalle società di revisione ..................................................................................2

3. La metamorfosi della revisione orientata al rischio...........................................7

4. Il grado di diligenza richiesto ai revisori contabili ..........................................12

5. L’impropria utilizzazione di modelli deterministici ai fini del giudizio sul bilancio di esercizio..................................................................................15

6. L’indipendenza del revisore fra finalità pubblicistiche dell’istituto e natura privatistica del rapporto contrattuale...................................................22

7. Per agevolare l’indipendenza: de lege ferenda ................................................30

8. Conclusioni ......................................................................................................37

Appendice ............................................................................................................44

Bibliografia ..........................................................................................................47

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Sulla natura del controllo legale dei conti e la responsabilità dei revisori esterni

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1. Introduzione

Il controllo legale dei conti ha registrato in Italia, sin dagli anni Ottanta, modi-ficazioni radicali (fra l’altro con il D. Lgs. 27 gennaio 1992, n. 88, il D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, i D.P.R. 6 marzo 1998, n. 99 e 12 luglio 2000, n. 233, e i D. Lgs. 11 aprile 2002, n. 61 e 17 gennaio 2003, n. 6, che si danno nel seguito per noti almeno nei loro lineamenti principali), modificazioni le quali hanno -sinteticamente- disciplinato:

• l’abilitazione degli incaricati del controllo legale dei documenti contabili at-

traverso l’istituzione del Registro dei Revisori Contabili presso il Ministero della Giustizia;

• il dovere di effettuare non solo un riscontro di carattere formale-contabile, ma di inoltrarsi a verificare, la corretta esposizione dei fatti di gestione nelle scrit-ture contabili;

• i poteri inquirenti della società di revisione e il dovere di collaborazione che grava su tutti i soggetti che intervengano nella vita della società revisionata;

• l’obbligo di denuncia dei fatti censurabili alle competenti autorità; • l’oggetto, la graduazione e gli effetti del <giudizio> della società di revisione; • la responsabilità penale del revisore in ipotesi di falsità nelle relazioni o nelle

comunicazioni.

Tale processo ha fatto registrare mutamenti altrettanto radicali nelle funzioni e nelle specializzazioni professionali degli addetti i quali -per dire sinteticamente-, sono traslati dai “sindaci” ai “revisori contabili”, con un altrettanto rilevante mu-tamento nelle procedure e nelle prassi di revisione.

Queste ultime, ove officiate dalle <società di revisione>, hanno comportato nel seguito -peraltro quale effetto di preesistenti comportamenti anglosassoni anche istituzionalizzati per via del common law-, la traslazione dai controlli quantitativi sui dati contabili ai più sistematici e prospettici <controlli sulle procedure>.

Anche questi ultimi peraltro non integrali, quanto piuttosto di tipo campionario, dunque con l’utilizzazione obbligata di adeguate (e complesse) tecniche statisti-che.

Il passaggio al controllo delle procedure facilitava tuttavia l’avvicinamento a prodotti tipici della consulenza, prodotti che le società anzidette più facilmente si trovarono a classare nel mercato quanto più procedettero verso:

• l’analisi delle simiglianze-dissimiglianze con le altre imprese del settore; • l’analisi dei punti di rischio insiti nel sistema di controllo interno atti ad infi-

ciare la veridicità del bilancio;

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• anzi l’analisi dei più ampi rischi economici (reddituali, finanziari, patrimonia-li), ad unum che l’impresa non riuscisse a realizzare gli obiettivi economici prefissati.

Il processo addusse quindi non di rado alla realizzazione di prodotti analitici

dalla veste complessa -revisiva e gestionale- i quali potevano poi venire offerti sul mercato anche separatamente, come del resto prima facie apparvero separate le divisioni delle società anzidette (a. revisione, b. consulenza), purtuttavia sulla base di processi sostanzialmente comuni e indifferenziati.

Scopo delle pagine seguenti è di denotare -del processo delineato- i punti di

sofferenza strutturali, analizzandoli dal triplice punto di vista:

a) dell’utilizzazione (compiacente?) delle tecniche campionarie; b) della fedeltà rappresentativa nei confronti dei terzi dei processi così impostati; c) della produzione normativa, che si interroga sulla natura (pubblicistica o pri-

vatistica?) dell’attività di revisione contabile e sulle conseguenze civilistiche e penali della stessa.

2. Natura e finalità dell’istituto del controllo legale dei conti esercitato dalle società di revisione

La trasparenza, la completezza, l’affidabilità e l’esattezza dei dati verificati e certificati dalla società di revisione devono essere piene ed incondizionate, giac-ché è al raggiungimento dell’obiettivo di una completa ed esatta informazione del pubblico1 che è preordinata la normativa sulla revisione contabile obbligatoria2.

Ad avvalorare l’identificazione della funzione del controllo legale dei conti e-sterno ed indipendente quale funzione pubblicistica3, si consideri la normativa in

1 Fortunato S., analizzando la recente riforma del diritto societario, sottolinea: <Nella società per azioni,

insomma, che si caratterizza tipologicamente per la possibilità di ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 4, co. 1°, legge delega), il controllo contabile sembra costituire il punto di emersione dei riflessi della concezione pubblicistica paritaria-oggettiva dei controlli societari, un controllo pubblico che non nasce in an-titesi ai controlli privatistici né come pura sostituzione di una loro assunta insufficienza, ma per la tutela di oggettivi equilibri di mercato e perciò di interessi sì generali ma tutt’altro che estranei agli interessi degli in-vestitori e degli operatori economici>, in I controlli, XVII Convegno “Diritto Societario: dai progetti alla ri-forma”, Forum di Courmayeur, 27-28 settembre 2002, p. 3. Tale intervento è stato successivamente rivisto e pubblicato in Le società: rivista di diritto e pratica commerciale, societaria e fiscale, n. 2 bis, 2003, pp. 303-322. Cfr. inoltre Nuvolone P., Il revisore dei conti è pubblico ufficiale?, in Giurisprudenza commerciale, giu-gno 1975, fasc. 3, pt. 1, pp. 333-336 e Cera M., La revisione contabile tra lacune legislative e prassi, in Rivi-sta del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, febbraio 1990, fasc. 1-2, pt. 1, pp. 89-104.

2 Cfr. C. Stato, Sez. VI, 28 aprile 1998, Beretta c. Consob. 3 <La disciplina dettata dal d.p.r. 31 marzo 1975 n. 136 per le società di revisione non riguarda solo l'atti-

vità svolta relativamente alle società con azioni quotate in borsa, ma anche quella di revisione volontaria, su base contrattuale, non essendo rinvenibile nel testo legislativo nessuna contraria esclusione, laddove il conte-nuto dell'attività svolta è unico ed unica anche la ratio, ossia l'esigenza di garantire l'interesse pubblicistico

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tema di responsabilità extracontrattuale a carico della società di revisione nei con-fronti dei terzi (investitori, finanziatori, soci) danneggiati, i quali abbiano posto affidamento sulla certificazione del bilancio rivelatasi poi inveritiera, per fatto imputabile alla negligenza (o al dolo) della società di revisione4.

La fonte della responsabilità extracontrattuale della società di revisione deve rinvenirsi nella violazione del principio generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. Essa, inoltre, viene esplicitamente riconosciuta dal legislatore, il quale all’art. 164 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, afferma essere applicabili alla società di revisione le disposizioni di cui al primo comma dell’art. 2407 c.c.

Al pari dei sindaci, dunque, la società di revisione: a) deve adempiere ai propri doveri con la diligenza del mandatario; b) è responsabile della verità delle sue at-testazioni; c) è obbligata a conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui ha avuto conoscenza per ragione del suo ufficio.

Si affianca, pertanto, al generale dovere di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., uno specifico ed autonomo dovere della società di revisione di informare correttamente i terzi genericamente intesi, il quale dovere trova la propria ratio nell’affidamento che i richiami della correttezza mirano a tutelare5.

Dottrina e giurisprudenza concordano nel reputare la società di revisione re-sponsabile nei confronti dei terzi ogniqualvolta sia ravvisabile negligenza nell’attività di certificazione contabile, ovverosia ogniqualvolta essa rilasci una certificazione in contrasto con le risultanze contabili da essa acquisite, ovvero ometta indagini che avrebbero condotto ad accertare fatti tali da rendere necessa-rio il rifiuto di emettere un giudizio positivo. È indubbio che la certificazione con-ferisce maggiore attendibilità al bilancio nella sua veste di strumento di informa-zione a vantaggio dei terzi, con la conseguenza che eventuali negligenti errori nel-

alla affidabilità delle contrattazioni e del mercato mobiliare>, Corte d’Appello di Milano, 7 luglio 1998, Soc. Carraro c. Soc. Arthur Andersen.

4 La letteratura in materia risulta copiosa, cfr. tra gli altri: Addante A., Responsabilità nell’esercizio della revisione contabile, in Danno e Responsabilità, n. 4/2003, pp. 353-374; Franzoni M., Responsabilità delle società di revisione, in Danno e responsabilità, gennaio 2002, fasc. 1, pp. 110-112; Norelli E., Le omissioni di controllo dei sindaci e delle società di revisione, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, apri-le 2001, fasc. 2, pp. 309-363; Conte M., Responsabilità della società di revisione in caso di revisione volon-taria nell'ambito di una due diligence (Nota a App. Milano 7 luglio 1998), in Giurisprudenza commerciale, ottobre 2000, fasc. 5, pt. 2, pp. 439-471; Fortunato S., La società di revisione, in Giurisprudenza commercia-le, dicembre 1998, fasc. 6, pt. 1, pp. 809-825 e Le responsabilità professionali legali nelle funzioni di revisore con particolare riguardo ai doveri del collegio sindacale, in Rivista dei Dottori Commercialisti, dicembre 1990, fasc. 6, pp. 943-960; Romagnoli G., Un caso di responsabilità della società di revisione nei confronti degli investitori per negligente certificazione (Nota a Trib. Torino 18 settembre 1993), in Giurisprudenza commerciale, aprile 1994, fasc. 2, pt. 2, pp. 284-294; Montalenti P., Responsabilità extracontrattuale della società di revisione per negligente certificazione (Nota a Trib. Milano 18 giugno 1992), in Giurisprudenza italiana, gennaio 1993, fasc. 1, pt. 1B, pp. 1-4; Rossi A., Spunti sulla nuova disciplina della revisione conta-bile, in Le società: rivista di diritto e pratica commerciale, societaria e fiscale, settembre 1999, fasc. 9, pp. 1034-1046; Tafani S., Il revisore legale dei conti nella U.E. e nel diritto societario italiano, in Tributi, mag-gio 2002, fasc. 5, pp. 336-349; Giretti M., Il revisore che sbaglia paga: ma quando e a chi?, in Danno e re-sponsabilità, maggio 2000, fasc. 5, pp. 481-489; Santaroni M., In tema di negligenza del revisore (Nota a Trib. Torino 18 settembre 1993), in Giurisprudenza italiana, luglio 1994, fasc. 7, pt. 1B, pp. 657-664.

5 Cfr. Quatraro B., La responsabilità civile della società di revisione e la responsabilità penale del revi-sore contabile, in Il controllo legale dei conti, febbraio 1997, fasc. 1, p. 35.

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la certificazione finiscono con l’incidere sull’affidamento che chiunque sia inte-ressato ha diritto di fare sui dati e sui risultati del bilancio stesso.

La responsabilità aquiliana della società di revisione ha infatti trovato riscontro in più di un precedente giurisprudenziale6. Anche in materia di revisione facoltati-va, pur non potendosi applicare in via diretta le norme del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (il quale disciplina esclusivamente la fattispecie della revisione obbli-gatoria), la recente giurisprudenza si è pronunciata affermando che i principi det-tati dal citato testo di legge a tutela di interessi generali o comunque ascrivibili a soggetti terzi, sono liberamente riferibili all’attività di revisione volontaria, allor-ché la stessa abbia la medesima funzione <certificativa> della obbligatoria, in quanto anch’essa destinata alla conoscenza da parte di terzi7.

Quanto all’elemento soggettivo della responsabilità aquiliana qui trattata, la negligenza del revisore dovrà essere valutata con riferimento alla natura dell’attività esercitata (art. 1176 c.c., 2° comma) e, trattandosi di prestazioni d’opera intellettuale, con minor rigore ove riferita alla soluzione di questioni tec-niche di particolare difficoltà (art. 2236 c.c.). Per quanto poi concerne l’elemento oggettivo l’attore dovrà provare sia la condotta “ingiusta” in quanto erronea -il

6 <Se una società di revisione viola obblighi ad essa imposti dalla legge, va ravvisata in capo ad essa, sia in caso di revisione obbligatoria sia in caso di revisione volontaria, non solo una responsabilità di natura con-trattuale verso la società che ha conferito l’incarico della revisione, ma anche una responsabilità di natura e-xtracontrattuale verso i terzi (investitori, finanziatori, soci) qualora questi, facendo legittimo affidamento sul risultato delle verifiche compiute con la revisione e dunque sulla particolare attendibilità della situazione eco-nomico-patrimoniale della società quale rappresentata dai bilanci revisionati, siano stati indotti a concludere dei contratti che, senza la falsa o negligente certificazione, non avrebbero posto in essere ed in definitiva qua-lora detti terzi siano stati lesi nel loro diritto ad una libera e corretta attività negoziale concernente il proprio patrimonio, con conseguente pregiudizio di questo>, Tribunale di Milano, 21 ottobre 1999, Soc. Fingem c. Ferruzzi.

<La responsabilità che una società di revisione assume in forza dell’obbligazione di verifica e revisione della contabilità di un gruppo di società, nata da un contratto con la società capogruppo, ha natura extracon-trattuale se riferita all’affidamento che un terzo, acquirente dalla predetta capogruppo delle quote da lei pos-sedute nelle società del gruppo stesso, ripone nel risultato delle verifica e revisione suddette per valutare la convenienza del prezzo convenuto per la cessione delle predette quote> e <La diligenza del revisore deve es-sere accertata non solo con riferimento alla sua responsabilità contrattuale, ma anche relativamente a quella extracontrattuale, in quanto dall'art. 12 d.p.r. n. 136/1975 derivano sia una responsabilità contrattuale, sia una responsabilità extracontrattuale a tutela, quest'ultima, dei terzi estranei al rapporto negoziale di revisione e certificazione, ma pregiudicati dalle modalità esecutive e di adempimento delle relative obbligazioni>, Corte d’Appello di Milano, 7 luglio 1998, Soc. Carraro c. Soc. Arthur Andersen.

<Le società di revisione in tesi inadempienti al dovere di diligenza nei limiti delineati possono essere chiamate a rispondere del loro operato, sub specie di risarcimento danni, nei confronti delle società e dei ter-zi>, Tribunale di Torino, 18 settembre 1993, Soc. ist. fiduciario centrale c. Soc. Kpmg Peat Marwick Fides.

<È configurabile la responsabilità extracontrattuale della società di revisione che abbia cagionato un dan-no a terzi in conseguenza di una negligente certificazione” e “la certificazione, nei limiti dei compiti affidati alle competenti società, conferisce maggiore attendibilità al bilancio, che è un documento approvato dall'as-semblea ma anche destinato ad essere pubblicato quale essenziale strumento di informazione per i terzi, con la conseguenza che eventuali negligenti errori nella certificazione finiscono con l'incidere sull'affidamento che chiunque ne sia interessato ha il diritto di fare sui dati e sui risultati del bilancio stesso>, Tribunale di Mi-lano, 18 giugno 1992, Banca pop. Milano c. Soc. Kpmg Peat Marwick Fides.

7 <Anche nello svolgimento dell’attività di revisione contabile non obbligatoria alla società incaricata può essere imputata la responsabilità extracontrattuale per la lesione dei diritti di soggetti terzi al rapporto contrat-tuale allorché tali soggetti avessero fatto affidamento sulle risultanze della revisione di cui si è appurata l’erroneità>, Cassazione Civile, III Sezione, 18 luglio 2002, n. 10403, Arthur Andersen S.p.A. c Carraro S.p.A. e Carraro PNH S.p.A.

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che può non essere facile in considerazione dell’esistenza di diversi e (volutamen-te?) ermetici metodi valutativi e di revisione-, sia che tale erroneità abbia procura-to la lesione di un suo diritto patrimoniale.

Si ricorda infine che il comma secondo del citato art. 164 sancisce la responsa-bilità solidale con la società di revisione dei soggetti che abbiano sottoscritto la relazione contenente il giudizio sul bilancio nonché dei dipendenti che abbiano ef-fettuato il controllo contabile, e ciò sia per l’inadempimento verso la società committente sia per i fatti illeciti commessi a danno di terzi.

Considerata dunque la portata delle disposizioni civilistiche, a maggior ragione le norme penali in materia di responsabilità dei revisori sono predisposte non solo a tutela della società revisionata ma anche, e soprattutto, a tutela dell’economia pubblica8. Ci limitiamo a ricordare qui l’art. 2624 c.c., novellato dal D. Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, in tema di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle so-cietà di revisione. In particolare, la norma in questione commina per <i responsa-bili della revisione i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto pro-fitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o fi-nanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione> la pe-na dell’arresto fino ad un anno o della reclusione da uno a quattro anni, a seconda che la condotta lesiva abbia o meno cagionato un danno patrimoniale. Va rilevato che trattandosi di un reato offensivo di interessi diffusi, vale la regola della proce-dibilità ex officio.

Ad avvalorare ancora la funzione pubblicistica della revisione contabile si ri-cordi quanto si legge nella comunicazione della Commissione Europea del 7 maggio 1998: <la crescente affidabilità delle informazioni contabili e finanziarie, grazie alla revisione effettuata da un professionista indipendente e abilitato, sono un importante contributo alla creazione ed al buon funzionamento del mercato u-nico>9.

Alla luce del paradigma codicistico di “veridicità e correttezza delle scritture contabili”10, si è soliti affermare che la funzione del revisore è verificare che il bi-lancio di esercizio non presenti errori materiali, cioè errori che eccedano un certo livello di significatività, intendendo con questo termine un importo, predetermina-

8 Cfr. Seminara S., Riforma del diritto penale societario: attuata la legge delega. False comunicazioni

sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza (Commento a D. Lgs. 11 aprile 2002, n. 61), in Diritto penale e processo, giugno 2002, fasc. 6, pp. 676-688; Furia F., Appunti sulla responsabilità penale in materia di revisione contabile e certificazione di bilanci, in Bollettino tributario d'informazioni, 1987, fasc. 12 (30 giugno), pp. 949-951; Mazzacuva N., L’attività di re-visione contabile e di certificazione dei bilanci: profili penali, in Giurisprudenza commerciale, giugno 1987, fasc. 3, pt. 1, pp. 529-535.

9 In GUCE 8 maggio 1998, par. 1.2. 10 Cfr. Santucci S., Appunti in tema di falsità dei valori di bilancio secondo la teoria economico-

aziendale, in Il controllo legale dei conti, ottobre 2001, fasc. 4-5, pp. 369-429 e Serra M., La rappresentazio-ne veritiera e corretta come parametro di costante riferimento per il controllo del bilancio civilistico, in Il controllo legale dei conti, dicembre 1997, fasc. 6, pp. 713-769.

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to ed espresso in valore monetario, che rappresenta una soglia-limite, al di sopra della quale un eventuale errore comprometterebbe l’attendibilità del bilancio nel suo insieme.

Ma se ci si pone la domanda <quale sia (o debba essere) la finalità della revi-sione aziendale> tre sono le possibili risposte:

1. l’attività di verifica della società di revisione non è ricollegabile ad alcuna finalità di ricerca delle frodi od irregolarità;

2. la ricerca della verità da parte del revisore è un fine solamente realizzabile; 3. la ricerca della verità11 costituisce un fatto dovuto da parte del revisore12.

La scelta non è priva di conseguenze. È ad esempio interessante prendere in e-same la normativa in materia di onere della prova nel caso si accetti una delle prime due ipotesi appena elencate.

La regola generale nell’ambito della prova dell’inadempimento contrattuale di-spone che il creditore debba provare semplicemente il danno causato dall’inadempimento stesso della controparte; spetta invece al debitore provare che l’inadempimento è dovuto ad una causa della quale egli non debba rispondere.

Tuttavia, qualora la funzione di controllo legale dei conti fosse interpretata quale obbligazione di mezzi, richiedendosi così da parte del debitore solamente la diligente osservanza del comportamento pattuito <indispensabilmente dalla sua fruttuosità rispetto allo scopo perseguito dal creditore>13, il principio generale in materia di onere della prova troverebbe deroga: il terzo che si ritenesse danneggia-to dall’esecuzione inadempiente (negligente) del revisore contabile dovrebbe così dimostrare non soltanto di aver subito un danno a seguito del comportamento del revisore stesso, ma altresì il comportamento dolosamente o colposamente (negli-gentemente) scorretto. E, si osservi, è questo uno scenario praticamente irrealiz-zabile <poiché il terzo non sarebbe mai nelle condizioni di provare una negligenza nello svolgimento delle procedure di revisione, dal momento che non ha assistito al loro svolgimento né, del resto, avrebbe potuto assistervi; egli d’altra parte non ha neppure il potere di accedere ai libri di revisione>14.

Chi scrive sostiene sul punto -come già in sostanza anticipato- l’approccio se-condo cui la ricerca della verità è un fine dovuto da parte del revisore. I dati di bi-lancio devono <dire la verità> così come ammonisce Robert Gilmer:

11 O se si preferisce della veridicità priva di frodi e immunizzata da interventi discrezionali posti in essere

con fini soggettivamente discrezionali. Di particolare rilievo quanto affermato da Perrone E., Il linguaggio internazionale dei bilanci d’impresa, Padova, 1992, p. 84: <il bilancio di esercizio deve provocare nella men-te degli eventuali interpreti un quadro mentale di rischi/chances corrispondente a quello degli amministratori: cioè deve essere uno strumento di comunicazione sincera della qualità della dinamica aziendale in atto>.

12 Cfr. Valensise P., Le responsabilità della società di revisione. Considerazioni dopo le prime pronunzie giurisprudenziali, in Giurisprudenza commerciale (Nota a App. Torino 30 maggio 1995), 1996, fasc. 4 (ago-sto), pt. 2, pp. 497-532.

13 Cfr. Cassazione civile, Sez. III, 10 settembre 1999, n. 9617. 14 Così Bussoletti M., Le società di revisione, Giuffrè, Milano, 1985, p. 363.

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<I would like to ask you to remember that the principles of the U.S. ac-counting profession serve not only as the auditor’s guide, but more impor-tantly, they give the auditor’s work its relevance. These principles establish a covenant with investors: a covenant that says the auditor will remain in-quisitive, skeptical, and rigorous; that he or she will remain free from a web of entanglements or arrangements that threaten his or her objectivity; that with the auditor’s stamp, the numbers speak the truth>15.

Significativa al riguardo, del resto, la seguente massima del Consiglio di Stato:

<La verifica delle modalità di esposizione dei fatti di gestione da parte del-

le società di revisione nelle scritture contabili deve essere effettuata sulla ba-se del parametro della “esattezza” dell’esposizione, con la conseguenza che tali fatti, in linea col dovere di correttezza nell’adempimento della prestazio-ne professionale da parte della società, devono essere riportati con un’informazione piena, non reticente né limitata ai soli fatti formali e docu-mentali, ma corredata dei dati, delle notizie e degli elementi di fatto a dispo-sizione, tali da rendere non solo veritiera ma anche completa e, quindi, esatta l’informazione resa negli atti di bilancio>16.

3. La metamorfosi della revisione orientata al rischio

Agli inizi degli anni Ottanta, con la pubblicazione degli Statements on Auditing Standards n. 39 “Audit Sampling” (1981) e n. 47 “Audit Risk and Mate-riality in Conducting an Audit” (1983) ad opera dell’American Institute of Certi-fied Public Accountants (AICPA), nell’alveo della prassi anglosassone si assistet-te a un mutamento che in breve tempo avrebbe condizionato, per effetto del carat-tere internazionale delle grandi società di revisione, l’intero mercato del controllo contabile esterno: il passaggio dal system-based audit al risk-driver audit17.

<Risk-based auditing (RBA) extends and improves the risk assessment model by shifting the audit vision. Instead of looking at the business process

15 Gilmer R., The Independence Standard Board and its role in indipendence rules in the U.S., Lancaster

University Business Papers, 2001, n. 37, p. 18. 16 C. Stato, sez. VI, 28 aprile 1998, n. 570, Soc. Hodgson Landau Brands c. Consob. 17 Cfr. McNamee D., Risk-based auditing, in Internal auditor, agosto 1997, pp. 23-26; Kinney W.R. Jr.,

Achieved audit risk and the audit outcome space, in Auditing: a journal of practice & theory, vol. 8, suppl., 1989, pp. 67-84; Aldersley S. J., Discussion of achieved audit risk and the audit outcome space, in Auditing: a journal of practice & theory, vol. 8, suppl., 1989, pp. 85-97; Grobstein M. e Craig P.W., A Risk analysis approach to auditing, in Auditing: a journal of practice & theory, vol. 3, n. 2, 1984, pp. 1-16; Kanter H.A., McEnroe J.E. e Kyes M.C., Developing and installing an audit risk model, in Internal auditor, vol. 47, dicembre 1990, pp. 51-55; Sennetti J.T., Toward a more consistent model for audit risk, in Auditing: a jour-nal of practice & theory, vol. 9, n. 2, 1990, pp. 103-112; Adams R., Risk: a model approach, in Accountancy, maggio 1989, pp. 120-122; Daniel S.J., Some empirical evidence about the assessment of audit risk in prac-tice, in Auditing: a journal of practice & theory, vol. 7, n. 2, 1988, pp. 174-181; Quadackers L., Mock T.J. e Maijoor S., Audit risk and Audit programmes: archival evidence from four Dutch audit firms, in The Euro-pean accounting review, 5:2, 1996, pp. 215-237.

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in a system of internal control, the internal auditor views the business proc-ess in an environment of risks. It’s a straightforward paradigm: an audit fo-cusing on risk adds more value to the organisation than an audit focusing only on controls>18.

É proprio questo ricorso al concetto di rischio a rappresentare uno dei più si-gnificativi e pervasivi sviluppi della metodologia di revisione degli ultimi anni, dapprima a) per ridurre a modello le attività che compongono il processo di revi-sione del bilancio d’esercizio, successivamente b) per orientarle in modo da ren-dere teoricamente più efficace ed efficiente il lavoro di verifica in oggetto.

L’attenzione prestata alle metodologie che si rifanno al concetto di <rischio di revisione> deriva dalla circostanza che l’attività revisiva delle scritture contabili si svolge senza che sia esaminata la totalità delle informazioni che confluiscono nel-le sintesi annuali, facendo ricorso in alternativa all’utilizzazione di procedimenti di verifica a campione.

Conseguentemente, sussiste sempre ed è ineliminabile la probabilità asintotica che il revisore esprima un giudizio positivo su un bilancio che non è rappresenta-zione attendibile della realtà economica dell’azienda oggetto di indagine19.

L’antecedente approccio <orientato alle procedure>, che imponeva al revisore di ripercorrere tutti i processi di gestione e controllo della società cliente, fu criti-cato sotto molteplici punti di vista.

Per tutti si riporta di seguito il pensiero di Wai Cum To in The desiderability and feasibility of making the AICPA Audit Risk Model operational; l’Autore in particolare individuava tre limiti del system-based audit:

<1. The system approach does not deal directly with the issue of audit risk.

Audit evidence can come from many source: client’s organisation structure, its environment and past history, an assessment of its control systems, ana-lytical review procedures and detailed substantive testing, all play their part in accumulating the totality of audit evidence required to form an opinion. The system approach lacks a mean of linking these various sources together in an acceptable quantitative and formalised way;

2. ...the system approach is criticized in its inflexibility, in that it may re-quire the auditor to carry out unnecessary compliance testing;

3. .. the approach ignores what is generally referred to as "management style"... For example, the management of a company may seek to understate income in order to minimize corporation tax. In this situation the system based audit approach may not directly address to the possibility of risk of understated revenues or overstated expenses>20.

Dello stesso avviso erano Wayne C. Alderman e Richard H. Tabor:

18 McNamee D., op. cit., p. 23. 19 Cfr. Branciari S., Il bilancio falso e inattendibile e il giudizio del revisore contabile: legami e implica-

zioni, in Rivista dei Dottori Commercialisti, giugno 2000, fasc. 3, pp. 373-397. 20 Così Cum To W., The desiderability and feasibility of making the AICPA Audit Risk Model opera-

tional, Doctoral Thesis, Lancaster University, UK, 1995, pp. 17-18.

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Sulla natura del controllo legale dei conti e la responsabilità dei revisori esterni

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<To perform a procedure simply because it has been performed in other

or past audits - a procedures-driven audit - may lead to an inefficient audit (by performing procedures out of habit that are not necessary) or to an inef-fective audit (by not performing more appropriate audit procedures, given the risk associated with a particular account or assertion)>21.

Gli Autori non si limitavano peraltro a queste affermazioni di principio ma

procedevano, dichiarando persino la totale inutilità di alcuni controlli ritenuti ne-cessari nella logica dell’approccio <orientato alle procedure>22, concludendo che <the proper application of the concept of audit risk is necessary if an auditor is to perform an effective and efficient audit>.

Ne poteva derivare l’interrogativo che segue: se l’eliminazione totale di alcune tipologie di controllo, consigliata solamente dal fatto di ritenere ben funzionante il sistema di controllo interno, fosse poi così <effective> e se tale eliminazione non fosse alla fine maggiormente <efficient> (forse più opportunamente si sarebbe do-vuta utilizzare l’espressione <cost-efficient>) solamente in termini di US dollars.

Va infine ricordato che la difesa dell’approccio orientato al rischio di revisione si è poi inoltrata fino a farlo apparire come richiesta degli stessi clienti23.

Oggigiorno quasi tutte le società di revisione definiscono la loro metodologia di revisione come risk-based, lasciando presumere l’utilizzazione da parte loro delle conoscenze statistiche necessarie per sviluppare <con competenza> gli al-goritmi creati per dare corpo a questo nuovo approccio; per tutte si riporta di se-guito un estratto dalla homepage della KPMG:

21 Vedi Alderman W.C. e Tabor R.H., The case for risk-driven audits, in Journal of accountancy, March

1989, p. 55. 22 “... procedures that are performed from habit that may be unnecessary with the proper consideration of

audit risk include the following: 1. Supporting reconciling items. Auditors often spend time supporting reconciling items, such as the items

in a bank reconciliation, beyond what is necessary in a risk-driven approach. Once an auditor is satisfied about the nature of a reconciling item, its appropriateness and its effect on the financial statements, further investigation to support the reconciling item is generally not necessary. For example, supporting all items on a bank reconciliation, including service charges, generally would be unnecessary.

2. Matching individual items on deposit slips to accounts receivable. This procedure is typically per-formed to detect lapping. If the auditor does not suspect fraud, this procedure may not be necessary.

3. A cutoff bank statement for all accounts. Auditors often perform thorough audit procedures on all bank accounts, including obtaining cutoff bank statements. In most small businesses, only one account has signifi-cant activity, the general account. A cutoff statement is generally unnecessary for payroll or other accounts; these activities are small or routine and they can be supported just as easily by confirming their balances and scanning the bank reconciliation for unusual items.

4. A proof of cash. This procedure is essentially a fraud detection procedure to determine if receipts and disbursements recorded by the bank agree with those recorded on the books. It provides evidence of existence and completeness, but these audit objectives are supported much more efficiently by other audit procedures, such as the yearend reconciliation”, Alderman W.C. e Tabor R.H., op. cit., pp. 57-58.

23 <Around the world, clients want to be secure in the knowledge that their auditors are using a method-ology that accounts for key risks. When they are knowledgeable, appropriately trained, and have a methodol-ogy that focuses on the business environment and related risks of an organisation, auditors can convey that confidence>, T. J. Strange, KPMG's Vice Chairman - Assurance and Advisory Services -: citazione tratta da Marrs F.O., Why a New Age Requires an Evolving Methodology, a white paper by KPMG's Assurance & Ad-visory Services Center, 1999, p. 11.

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<The impact of information technology is changing the way organisations

do business and the financial statements audit must adapt to meet new re-quirements for attestation and assurance, in an environment where business activity is less tangible and more flexible. The new economy is creating even greater exposure to risk, making the attested statement even more relevant as a basis for informed decisions.

KPMG’s audit approach is risk-based, one that considers the whole or-ganisation and the economic system in which it operates, to deliver a report that provides valuable insights on where the business is and what it must do to achieve future objectives>24;

Agli inizi degli anni Novanta la prassi contabile di natura anglosassone sentì

tuttavia la necessità di <aggiornare> questo stesso modello del <rischio di revisio-ne>, considerato oramai <rudimentary>25.

L’obiettivo era di istituire un approccio che permettesse da un lato di offrire una maggiore informativa agli attori del mercato, dall’altro di risultare de facto strumento di consulenza aziendale:

<Now, the audit [process] can do much more than confirm the financial statements: it can be an important tool for [helping management assess] where [their companies] are, where they want to be, and why they are not yet there>26;

<While we continue to adhere to a narrow accounting model that is fast

becoming outdated, the market is valuing companies at huge multiples of GAAP-determined figures. Investors are at risk due to the general lack of understanding about why this occurs and the absence of transparency in the process through which such valuations are derived. The fact is that too much time is spent tinkering around the edges of GAAP and too little time is spent assessing the continued relevancy of this model in today’s technology-driven, internet age. For the investor to continue to have confidence in our great capital markets, we must find ways to provide to the investor informa-tion that is more relevant in an environment of large market cap-book value differences>27.

Peraltro, dopo le grandi fusioni del 1989/1990, che hanno trasformato il merca-

to in un oligopolio governato dalle alllora Big Six, secondo le parole di Ralph Saul, <auditors increasingly became businessmen and auditing became a commo-dity among many others being marketed>28.

24 http://www.kpmg.co.uk (gennaio 2003). 25 Marrs F.O., op. cit., p. 7. 26 Marrs F.O., op. cit., p. 2. 27 Schiro J.J. (Testimony by), The Panel on Audit Effectiveness, July 10, 2000,

http://www.pobauditpanel.org. 28 Cfr. Saul R., What ails the accounting profession?, in Accounting horizons, 10, 2, 1996, pp. 131-137.

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Sulla natura del controllo legale dei conti e la responsabilità dei revisori esterni

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Un nuovo imperativo si andava imponendo nella prassi delle grandi società di revisione: <aggiungere valore> alla revisione, trasformarla in una commodity, che in quanto tale, per avere successo, tenesse conto delle esigenze del cliente.

Nel 1999 la Arthur Andersen & Co. si presentava così al mercato: <We are in the midst of redefining the way we deliver financial audit as-

surance services across the world. The redefinition taking place is about creating a financial audit that focuses more on business risks and business processes than the old audit, thereby creating an opportunity to deliver ideas to improve the future performance of the auditee as a part of the audit. With the new audit approach Arthur Andersen & Co. can now claim that "our clients look to us for value-added services - and we deliver”>29.

Anche la KPMG aveva promesso nello stesso periodo nuovi tempi per le socie-

tà che non fossero soddisfatte della loro revisione: <It’s time! Time to listen to the sounds of the marketplace. And the sound

coming from the marketplace is quite clear: clients are asking for an audit that does more than look at numbers. They want to know how they compare against industry best practices. They want to know about potential risks fac-ing their business. Most importantly, they want and expect their auditors to deliver this information>30.

Si osservi che le aspettative prese in considerazione sono esclusivamente del

cliente, non del pubblico; e che il cliente è inequivocabilmente il management, cioè lo stesso soggetto deputato a conferire l’incarico di revisione ad una determi-nata società privata operante in un mercato concorrenziale e con finalità di lucro.

Simili approcci erano stati condivisi anche dalle restanti Big del controllo lega-le dei conti.

Nel corso degli anni Novanta muta la stessa struttura organizzativa interna del-le società di revisione. L’Arthur Andersen & Co. ad esempio, al momento del crollo (2000), era strutturata secondo i seguenti gruppi di settore: Commercial Services, Consumer Products, Energy, Enterprise, Financial Markets, Global Communications and Entertainment, Government Services, Health Care, Manufacturing, Real Estate Services e Other industry Subsegments31; nelle diver-se divisioni della società questi gruppi servivano come centri combinati sia per la revisione sia per la consulenza.

Sempre in questi anni, anche il modello del rischio di revisione (cfr. ultra) mo-difica la sua valenza, pur mantenendo inalterata la struttura di relazione tra le va-riabili. Il rischio intrinseco diviene il rischio che la società revisionata non perse-gua i suoi obiettivi strategici: la revisione classica era confinata al controllo delle

29 Http://www.arthurandersen.com (luglio 1999). 30 Http://www.us.kpmg.com (luglio 1999). 31 Http://www.arthurandersen.com (luglio 1999).

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scritture contabili, la nuova revisione viene finalizzata a controllare l’intera atti-vità e strategia della società cliente.

Anticipando quanto verrà analizzato nel prosieguo, ne discende che nella prassi dell’attività di controllo legale esterno il revisore non possa più essere indipenden-te, poiché è la stessa revisione a non esserlo: non più la revisione dei manuali uni-versitari ma una sua nuova forma, una revisione che potremmo denominare <ri-formata>, una nuova revisione con approcci e metodologie in grado di eliminare, o almeno purificare, il dualismo revisione/consulenza.

4. Il grado di diligenza richiesto ai revisori contabili

Ricordata, nelle pagine precedenti, la funzione pubblicistica delle società di re-visione, ci si pone il problema dell’esatta definizione dei loro compiti e del grado di diligenza cui esse sono tenute nell’espletamento dei loro incarichi.

È riconosciuto che il controllo dei revisori non può limitarsi alla semplice veri-fica della corrispondenza di quanto scritto in bilancio con i dati contenuti nel li-bro-giornale e nelle altre scritture contabili, ma che deve comprendere anche un esame della regolare tenuta di queste ultime e, quando necessario, controlli incro-ciati con altri soggetti che possano essere in possesso di informazioni riguardanti le operazioni compiute da società controllate32. In caso contrario, infatti, la vigi-lanza dei revisori contabili avrebbe il significato, puramente formale, di assicurare che tutto quanto è contenuto nelle scritture sia compreso nel bilancio e non anche il significato principale che i fatti di gestione siano stati tutti esattamente rilevati nelle scritture e siano, quindi, confluiti a formare correttamente lo stato patrimo-niale e il conto dei profitti e delle perdite.

Il comma 1 dell’art. 164 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, rinvia espressa-mente all’art. 2407, comma 1, del codice civile; quest’ultimo impone ai sindaci di agire, nell’espletamento delle loro funzioni, con la diligenza del mandatario. L’art. 1710 c.c., specifico sulla diligenza del mandatario, a propria volta si riporta impli-citamente all’art. 1176 c.c.33, disponendo che il mandatario esegua il mandato con la diligenza del <buon padre di famiglia>.

Secondo una consolidata dottrina la società di revisione non risponde della mancata scoperta di frodi, sottrazioni ed altre dolose irregolarità degli organi e dei dipendenti della società sottoposta a revisione, se la mancata scoperta non è dovu-ta ad un negligente o imperito controllo della contabilità. Arduo compito diviene allora rinvenire il limite di <negligente o imperito>.

32 Cfr. Marchi L., Principi di revisione aziendale, CLUEB, Bologna, 1991. 33 <L'attività di revisione è attività intellettuale che non può ridursi alla meccanica ed impersonale appli-

cazione di criteri contabili, con l'effetto di applicare ad essa la disciplina dettata per le prestazioni d'opera in-tellettuale, nella misura in cui è compatibile con l'organizzazione societaria per mezzo della quale la suddetta attività viene svolta e con l'ulteriore effetto di richiedere al revisore la speciale diligenza che impone l'art. 1176, 2º comma, c.c., cui rinvia l'art. 1710 c.c. richiamato implicitamente dall'art. 2407 c.c., al quale rinvia a sua volta l'art. 1, d.p.r. n. 136/1975>, Corte d’Appello di Milano, 7 luglio 1998, Soc. Carraro c. Soc. Arthur Andersen.

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Parte della giurisprudenza34 ha ritenuto che il grado di diligenza cui devono at-tenersi le società di revisione sia normalmente quello ricavabile dai Principi di Revisione elaborati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri. Per tutti si consideri quanto affermato dal Tribunale di Milano con sentenza 18 giugno 1992:

<nello svolgimento dei menzionati compiti di controllo e certificazione il

metro della diligenza cui commisurare la legittimità dell’operato della socie-tà di revisione, in applicazione del disposto del citato art. 2407 c.c., non può non considerare la natura dell’attività da svolgere, la qualificazione profes-sionale e l’adeguata e sofisticata struttura di cui le società in questione deb-bono essere dotate, con la conseguenza che il disposto dell’art. 2236 c.c. (re-sponsabilità del prestatore d’opera) va interpretato con riferimento alla ne-cessaria organizzazione d’impresa nel cui ambito e con il cui supporto deve svolgersi l’attività (art. 2238 c.c.) ed al normale oggetto della stessa. Tale oggetto non può considerarsi, in relazione al soggetto che lo esercita profes-sionalmente, come comportante problemi tecnici di speciale difficoltà, tali da alzare il grado della colpa, pur se ovviamente possono in tesi proporsi specifiche questioni particolarmente complesse e tali da superare l’accennato rapporto fra struttura per così dire istituzionale della società di revisione e problemi tecnici da risolvere. In tale logica si reputa comunemente che il grado di diligenza cui debbono attenersi le società di revisione sia quello normalmente ricavabile dai Principi di Revisione elaborati e opportunamente diffusi dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti>35.

Si potrebbe pertanto desumere che i Principi di Revisione costituiscano il limite

minimo inderogabile di diligenza: l’applicazione di tali principi sarà sufficiente per giudicare come diligente il comportamento della società di revisione.

Nel Documento n. 200 dei Principi di Revisione <Obiettivi e principi generali della revisione contabile del bilancio> si afferma infatti che:

<…il revisore dovrebbe essere considerato inadempiente o in errore solo

se non avesse applicato o avesse applicato erroneamente gli statuiti principi di revisione e se questo comportamento avesse avuto conseguenze sulla cor-

34 <Il metro di diligenza cui commisurare la legittimità dell'ordinario operato del revisore deve essere ri-

condotto in linea di massima ai principi di revisione del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, pur con la precauzione che la codificazione dei principi di revisione non esaurisce l'ambito dei parametri in base ai quali deve effettuarsi la revisione>, Corte d’Appello di Milano, 7 luglio 1998, Soc. Carraro c. Soc. Arthur Andersen.

<L'incarico conferito per la revisione è sostanzialmente un mandato e tale incarico ha natura professiona-le; nello svolgimento di tali compiti il metro della diligenza cui commisurare la legittimità dell'ordinario ope-rato deve essere ricondotto ai principi di revisione del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti>, Tri-bunale di Torino, 18 settembre 1993, Soc. Ist. Fiduciario Centrale c. Soc. Kpmg Peat Marwick Fides.

<La società di revisione deve espletare il proprio incarico, con il grado di diligenza professionale, ricon-ducibile ai principi di revisione del consiglio nazionale dei dottori commercialisti, dovendosi, di regola, e-scludere la configurabilità di problemi tecnici di particolare difficoltà, tali da innalzare il grado della colpa, considerata la complessità della struttura della società di revisione>, Tribunale di Milano, 18 giugno 1992, Banca Pop. Milano c. Soc. Kpmg Peat Marwick Fides.

35 Tribunale di Milano, 18 giugno 1992, Soc. Ist. Fiduciario centrale c. Soc. Kpmg Peat Marwick Fides.

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rettezza del giudizio espresso nella relazione di revisione. Per converso, il revisore non dovrebbe essere considerato responsabile qualora non avesse potuto conoscere o non avesse potuto identificare fatti fraudolenti o errori ri-flessi nel bilancio di esercizio, malgrado la diligente applicazione dei princi-pi di revisione statuiti>36.

Chi scrive propone di discostarsi da questo orientamento. I Principi di Revisio-

ne non costituiscono, di per sé, norme giuridiche di condotta -ancorché avvalorati dal D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 5837-, e perciò ogni difformità dagli stessi non e-videnzierà di per sé un inadempimento assoluto: è verosimile che con il rinvio agli stessi il legislatore abbia principalmente inteso promuovere la standardizzazione dei metodi e delle tecniche di revisione al fine di permettere la comparabilità dei risultati. Ne consegue che, qualora le procedure normalmente seguite e consigliate dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri appaiano inidonee al raggiungimento di una conclusione attendibile nel singolo caso di specie, queste dovranno essere abbandonate a favore di altre più consone: si tratta, infatti, semplicemente di regole deontologiche e di indirizzo.

Se ne deve quindi concludere che il mero rispetto -ancorché scrupoloso- dei canoni di comportamento dettati dai Principi di Revisione non è per nulla suffi-ciente a dispensare il revisore da responsabilità per negligente certificazione.

È tuttavia verosimile che, in caso di mancato rispetto di un principio di revisio-ne o di mancata applicazione di un principio contabile, venga richiesta al revisore in sede giurisprudenziale la dimostrazione dell’adeguatezza al caso concreto della diversa procedura eventualmente posta in atto, nonché dei diversi principi presi in considerazione.

In quanto regole di natura prasseologica, infatti, anche tali principi richiedono al revisore esterno contabile di essere sì applicati, ma soltanto dopo averne valuta-ta e constatata l’adeguatezza: qualora fosse evidente che tale adeguatezza non ri-corre è dovere del revisore, tenendo presente l’interesse della società revisionata, svolgere ulteriori indagini, compiere gli accertamenti e porre in essere tutte le procedure dettate dall’esigenza della fattispecie in esame, con la conseguente va-lutazione del suo comportamento alla stregua della diligentia quam in concreto.

In materia Adriano Rossi ha sostenuto che <l’osservanza dei criteri di revisione raccomandati, specie se non rispondenti alle esigenze volute dal legislatore, non può in nessun caso far considerare assolto compiutamente l’incarico del revisore, il quale deve tenere sempre conto della realtà concreta da esaminare>38. A riprova di ciò si può fare riferimento al contenuto della delibera Consob n. 1079 del 1982

36 Commissione paritetica per i Principi di Revisione - Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti (C.N.D.C.) e Consiglio Nazionale dei Ragionieri (C.N.R.), Principi di Revisione: Documento n. 200 – Obiet-tivi e principi generali della revisione contabile del bilancio, ottobre 2002, p. 7.

37 Cfr. art. 162 del decreto legislativo citato: <Vigilanza sulle società di revisione. … Nell'esercizio della vigilanza, la CONSOB può: … c) raccomandare principi e criteri da adottare per la revisione contabile, ri-chiedendo preventivamente il parere del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e del Consiglio nazio-nale dei ragionieri>.

38 Cfr. Rossi A., Revisione contabile e certificazione obbligatoria, in Giurisprudenza commerciale. Qua-derno n. 74, Giuffré, XII, 1985, p. 180.

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e in particolare alla previsione, accanto alla raccomandazione dei Principi di Revi-sione, della opportuna integrazione di questi con le <procedure di verifica che le circostanze rendessero indispensabili>: questa aggiunta chiaramente dimostra co-me la Commissione ritenga insufficienti le procedure ed i criteri richiamati e da essa stessa raccomandati.

Infine, si ritiene qui davvero <assoluta> la posizione di quanti definiscono i Principi di Revisione <soglia minima del comportamento dovuto>, come se la mancata osservanza degli stessi determinasse senz’altro un difetto di diligenza, e conseguentemente producesse la presunzione di inadempimento cui il giudice do-vesse conformarsi. Sembrerebbe perciò più corretta la posizione secondo la quale questi principi non dettano né soglie minime né soglie massime, ma indicano e suggeriscono criteri tecnico-professionali che possono essere liberamente apprez-zati dal giudice, e contribuire alla formazione del suo convincimento: essi pertanto dovrebbero avere solamente valore di mero indizio dell’esatto adempimento dell’incarico.

5. L’impropria utilizzazione di modelli deterministici ai fini del giudizio sul bilancio di esercizio

È largamente accettato che, per poter svolgere in modo più mirato il lavoro di controllo, il revisore debba disporre di un modello concettuale che gli consenta di <strutturare> rispetto all’obiettivo fondamentale di revisione -l’espressione di un giudizio di attendibilità sostanziale sul bilancio osservato- le interrelazioni tra le diverse modalità di raccolta e verifica delle informazioni aziendali39.

La prassi regolamentare si è indirizzata verso la definizione di principi e meto-dologie di revisione che descrivono, da un lato, a) le differenti fasi di svolgimento del processo di revisione, dall’altro, b) il modello del rischio di revisione.

L’obiettivo è di consentire al revisore di definire il proprio intervento in modo da minimizzare il cosiddetto <rischio di revisione>, ovvero il rischio <... that the auditor may unknowingly fail to appropriately modify his opinion on financial statements that are materially misstated>40.

Ne discende che il rischio di revisione si fonda su due importanti presupposti della metodologia di controllo legale dei conti:

39 Cfr. per tutti Lea R.B., Adams S.J. e Boykin R.F., Modeling of the audit risk assessment process at the

assertion level within an account balance, in Auditing: a journal of practice & theory, vol. 11, Suppl., 1992, pp. 152-193.

40 Cfr. AICPA – Auditing Standards Board, Statement on Auditing Standards n. 47: Audit risk and mate-riality in conducting an audit, giugno 1984, par. 2. Il documento in esame chiarisce inoltre che il rischio di revisione può assumere un'altra forma, nel caso in cui il verificatore esprima un giudizio di non-attendibilità con riferimento ad un bilancio che risulta, al contrario, attendibile. Tale forma di rischio non dovrebbe, peral-tro, avere alcun impatto sull'informativa esterna, come di seguito illustrato nel par. 3 dello stesso Statement: <In such a situation, the auditor would ordinarily reconsider or extend his auditing procedures and request that the client perform specific tasks to reevaluate the appropriateness of the financial statements. These steps would ordinarily lead the auditor to the correct conclusion>.

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- la determinazione di limiti di rilevanza41 per gli errori rinvenibili nelle scritture contabili oggetto di verifica;

- la natura probabilistica del giudizio espresso. I <limiti di rilevanza> vengono considerati dalla prassi riferimenti imprescin-

dibili per poter vagliare l’attendibilità o la non-attendibilità di un valore di bilan-cio e, in ultima analisi, del bilancio sintesi di quei valori; qualora gli importi delle voci di bilancio proposti dalla società revisionata dovessero <debordare> da inter-valli di oscillazione definiti dal revisore -in base sia ai risultati delle sue verifiche sia a prestabiliti limiti di errore massimo tollerabile-, il revisore dovrebbe ritenere di trovarsi in presenza di valori non-attendibili.

In merito poi alla natura probabilistica del giudizio formulato dal revisore si ri-leva che, in considerazione della presenza nelle voci di bilancio di valori stimati e congetturati e in considerazione altresì del ricorso sistematico ad accertamenti svolti in maniera campionaria, ne discende che egli possa giungere a maturare so-lo un <più o meno ragionevole> convincimento che le scritture di esercizio siano correttamente rappresentative della realtà aziendale.

Tale convincimento può infatti rivestire vari gradi di intensità -da un livello <assai elevato> ad un livello <minimale>42-, i quali risultano funzione della quan-tità e qualità delle verifiche effettuate.43

Va poi ricordato che il revisore si trova a fronteggiare il trade-off esistente tra l’ammontare dei controlli atti ad accrescere il proprio grado di convincimento e il costo marginale dei controlli in oggetto, al fine di poter determinare livelli di <ri-schio di revisione> che risultino accettabili con riferimento sia alle aspettative eu-ristiche degli utilizzatori del bilancio (profilo di efficacia), sia al <costo della cer-tificazione> del bilancio (profilo di efficienza).

Non esistono, nei principi professionali di riferimento, determinazioni del valo-re del rischio di revisione <accettabile> da ritenersi congrui, sebbene un vasto numero di operatori del settore (in particolare le società di revisione) utilizzi so-vente un parametro massimo del 5% per il <rischio di revisione> e, conseguente-mente, si impegni alla progettazione di sistemi di verifiche che consentano, per le

41 Recitano i principi contabili del C.N.D.C. e C.N.R. in relazione al postulato significatività e rilevanza

dei fatti economici ai fini della loro presentazione in bilancio (doc. 11): <il bilancio d'esercizio deve esporre solo quelle informazioni che hanno un effetto significativo e rilevante sui dati di bilancio o sul processo deci-sionale dei destinatari (...) errori, semplificazioni e arrotondamenti sono tecnicamente inevitabili e trovano il loro limite nel concetto di rilevanza; essi cioè non devono essere di portata tale da avere un effetto rilevante sui dati di bilancio e sul loro significato per i destinatari>. Si consultino inoltre: Jordan C.E., Clark S.J. e Pate G.R., Il concetto di "significatività" nel cambiamento dei criteri contabili e l'individuazione dei parametri per decidere quando rilasciare una relazione di revisione con rilievi, in Il controllo legale dei conti, febbraio 2000, fasc. 1, pp. 67-79; Read W.J., Mitchell J.E. e Akresh A.D., La valutazione preliminare della significa-tività (planning materiality) alla luce della s.a.s. n. 47, in Il controllo legale dei conti, ottobre 1999, fasc. 4-5, pp. 479-493; Jennings M., Kneer D.C. e Reckers P.M.J., A reexamination of the concept of materiality: views of auditors, users, and officers of the court, in Auditing: a journal of practice & theory, vol. 6, n. 2, 1987, pp. 104-115.

42 Cfr. Sordini M., La revisione del bilancio d’azienda: principi e metodi, Giuffrè, Milano, 1991, p. 55 e p. 57.

43 Cfr. Pecchiari N., Il modello del rischio di revisione: aspetti metodologici ed implicazioni operative ai fini della verifica del bilancio d’esercizio, in Il Controllo legale dei conti, febbraio 1997, fasc. 1, pp. 98-99.

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diverse aree di bilancio, di ottenere giudizi con un livello di affidabilità statistica minimale del 95%.

Arens A.A. e Loebbecke J.K. hanno delineato (o tentato di delineare?) la meto-dologia di quantificazione del rischio di revisione <accettabile>:

<The concept of acceptable audit risk can be more easily understood in

terms of a large number of audits, say, 10.000. What portion of these audits could include material misstatements without having an adverse effect on society? Certainly, the portion would be below 10 percent. It is probably much closer to 1 or one-half of 1 percent or perhaps even one-tenth of 1 percent. If an auditor believes that the appropriate percentage is 1 percent, then acceptable audit risk should be set at 1 percent, or perhaps lower, based on specific circumstances>44.

Ma sorge spontaneo interrogarsi sul punto: <accettabile> per chi? E a questo

riguardo non solo vi sono diverse categorie di lettori del bilancio (azionisti, finan-ziatori, investitori potenziali, fornitori, clienti, pubblica amministrazione), ognuna delle quali è sovente portata ad esaminare con più attenzione determinate infor-mazioni di bilancio, ma all’interno di una stessa categoria di stakeholders vi pos-sono essere giudizi diversi.

Risulta allora facile ipotizzare le ragioni che hanno spinto Roger Adams e O-scar Paris a bollare tali parametri semplicemente come inafferrabili <magic num-bers>45.

Va infatti ricordato che questo strumento quantitativo ha consentito ai revisori un potente alibi contro eventuali errori compiuti durante il processo di revisione, non ultimo la redazione di un’opinione errata46: si osservi a questo riguardo quan-to affermato dal già citato Documento n. 200 dei Principi di Revisione:

<L’applicazione di tecniche campionarie può portare a non identificare un

errore, in quanto l’operazione che ha generato l’errore medesimo non rientra nel campione. In questo caso, se il campione è rappresentativo delle opera-zioni da controllare, il revisore non può essere considerato responsabile per la non identificazione dell’errore>47.

44 Arens A.A. e Loebbecke J.K., Auditing: an integrated approach, Prentice-Hall International Inc., Up-

per Saddle River, 1997, p. 259. 45 Adams R., Risk: a model approach, op. cit., p. 121; Paris O., New wine in old bottle, in Accountancy,

aprile 1990, p. 83. 46 <...whereby the auditor would look to the nature of individual transactions, e.g., transactions whose

dollar value exceeded a size threshold, the nature of account balances and whole classes of transactions, and to qualities of the client's accounting system to form preliminary judgments about the risk of material mis-statements for the purpose of planning the focus and scope of tests of details work. And, auditors used the concept of materiality to define their testing domain and the limits of their responsibility as independent at-testers>, Bell T.B., Marrs F.O., Solomon I., Thomas H., Auditing organizations through a strategic-systems: the KPMG business measurement process, KPMG Peat Marwick LLP, 1997, p. 12.

47 Commissione paritetica per i Principi di Revisione - C.N.D.C. e C.N.R., Principi di Revisione: Docu-mento n. 200 – Obiettivi e principi generali della revisione contabile del bilancio, ottobre 2002, p. 7.

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Noto in letteratura è poi l’algoritmo denominato <modello del rischio di revi-sione>, per il quale il rischio globale di revisione è pari al prodotto tra il rischio di presenza di errori materiali e il rischio di non scoprire errori.

L’ulteriore scomposizione della variabile rischio di errori materiali nelle due componenti del rischio intrinseco e del rischio di controllo interno consente di pervenire alla classica formulazione:

AR = IR x CR x DR [1],

ove è: AR = rischio globale di revisione; IR = rischio intrinseco; CR = rischio di controllo; DR = rischio di non scoprire errori48.

La formula citata esprime una relazione moltiplicativa, secondo la quale il ri-schio che il bilancio -nella sua stesura finale dopo che siano state espletate le pro-cedure di verifica revisionale- contenga alterazioni significative (rischio globale di revisione) è raffigurabile come un <flusso di errori> (la cui portata dipende dal valore assegnabile al rischio intrinseco) che, per giungere <salvo> sino alle sintesi di bilancio, deve superare una serie di <ostacoli>. Tali ostacoli sono rappresentati dalla probabilità che tali errori siano scoperti ed eliminati dal sistema di controllo interno e dalle procedure analitiche di revisione49.

Dalla [1] deriva la relazione:

DR = AR / (IR x CR) [2],

la quale indica la massima probabilità di non scoprire errori che può venire tolle-rata dal revisore nello svolgimento dei propri controlli, una volta prefissati valori di rischio globale di revisione, di rischio intrinseco e di rischio di controllo dell’azienda esaminata.

48 Commissione paritetica per i Principi di Revisione - C.N.D.C. e C.N.R., Principi di Revisione: Docu-

mento n. 530 – Campionamento di revisione ed altre procedure di verifica con selezione delle voci da esami-nare, ottobre 2002, p. 4: <Il rischio di revisione è il rischio che il revisore possa esprimere un giudizio non appropriato nei casi in cui il bilancio sia significativamente inesatto. Il rischio di revisione si compone di: - rischio intrinseco – la predisposizione di un saldo di un conto o di una classe di operazioni a contenere

errori significativi e ciò a prescindere dai controlli interni relativi a tale conto o classe di operazioni; - rischio di controllo – il rischio che un errore rilevante possa non essere prevenuto o rilevato e corretto

tempestivamente dai sistemi contabile e di controllo interno; - rischio di individuazione – il rischio che un errore rilevante non sia rilevato attraverso le procedure di

validità svolte dal revisore. Queste tre componenti del rischio di revisione sono valutate nel processo di pianificazione delle procedu-

re di revisione, al fine di ridurre il rischio di revisione ad un livello basso, e quindi accettabile>. I nomi delle variabili utilizzati sono relativi alla terminologia inglese: audit risk (AR); inherent risk (IR);

control risk (CR); detection risk (DR). 49 Cfr. Tartaglia Polcini P., Il concetto di materiality nella revisione contabile, CEDAM, Padova, 1996.

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Tale algoritmo cela tuttavia al suo interno numerosi limiti, la cui trattazione ha dato luogo a una letteratura specifica50. Ci si limita qui ad osservare che si parla di controllo interno e non di controllo tout-court come sarebbe corretto, giacché è ormai invalsa la prassi, di origine professionale e non di meno anglosassone, non di censire ogni singola posta contabile nel suo valore e nella sua affidabilità e ori-gine, bensì di controllare il <sistema di controllo interno> e operare poi per diffe-renza51.

Nel giungere a formulare un giudizio circa l’attendibilità di un bilancio, il revi-sore si sottopone inoltre ad un complicato processo di raccolta dei dati, il quale, come afferma James K. Loebbecke: <it is not a statistical process, but rather a judgemental process that includes the testing of assertions, often utilizing statisti-cal techniques>52.

Il revisore non deve dunque limitarsi a scoprire l’errore, ma deve anche formu-lare una propria valutazione circa la natura di esso: deve ad esempio saper dire se gli errori siano o meno intenzionali.

La scoperta di errori non richiede, dunque, solo un’analisi quantitativa, ma an-che un’analisi qualitativa; ed è proprio in ciò che si configura la natura professio-nale dell’attività svolta dal revisore contabile, il quale è retribuito per esprimere un giudizio53 e non per applicare meccanicamente formule matematiche acritiche con l’occulto obiettivo di indennizzarsi così da possibili responsabilità.

Ma i citati limiti altro non sono che la conseguenza di un più radicato assunto cognitivo: l’impossibilità di matematizzare il giudizio umano. Anche Kenneth W. Stringer, riconosciuto in dottrina quale principale promotore del modello del <ri-schio di revisione>, afferma infatti:

50 Per un maggiore approfondimento del <modello del rischio di revisione> si consultino: Pecchiari N., Il modello del rischio di revisione: aspetti metodologici ed implicazioni operative ai fini della verifica del bi-lancio d’esercizio, in Il controllo legale dei conti, febbraio 1997, fasc. 1, pp. 95-163; Colbert J.L., Luehlfing M.S. e Alderman C.W., Engagement risk, in The CPA journal, marzo 1996, pp. 54-56; Colbert J., Use the concept of inherent risk - it helps!, in Internal auditor, vol. 44, aprile 1987, pp. 45-48; Cushing B.E. e Loeb-becke J.K., Analytical approaches to audit risk: a survey and analysis, in Auditing: a journal of practice & theory, vol. 3, n. 1, 1983, pp. 23-41; Gafford W.W. e Carmichael D.R., Materiality, audit risk and sampling: a nuts-and-bolts approach, in Journal of accountancy, ottobre 1984, 109-118; Houghton C.W. e Fogarty J.A., Inherent risk, in Auditing: a journal of practice & theory, vol. 10, n. 1, 1991, pp. 1-21; Jiambalvo J. e Waller W., Decomposition and assessments of audit risk, in Auditing: a journal of practice & theory, vol. 3, n. 2, 1984, pp. 80-88; Johnson R., Evaluating audit risk components, in Accountancy, febbraio 1987, pp. 124-125; Srivastava R.P. e Shafer G.R., Belief-function formulas for audit risk, in The accounting review, vol. 67, n. 2, aprile 1992, pp. 249-256; Steele A., Audit risk and audit evidence: the Bayesian approach to statistical au-diting, The Chartered Association of Certified Accountants, Academic Press Limited, London, 1992; Straw-ser J.R., Components of audit risk: perceptions of practicing CPAs, in The Ohio CPA journal, vol. 47, Sum-mer, 1989, pp. 25-49, Human information processing and the consistency of audit risk judgments, in Account-ing and business research, vol. 21, n. 18, 1990, pp. 67-75 e Examination of the effect of risk model compo-nents of perceived audit risk, in Auditing: a journal of practice & theory, vol. 10, n. 1, 1991, pp. 126-135; Waller W.S., Auditors’ assessments of inherent and control risk in field settings, in The accounting review, vol. 68, n. 4, ottobre 1993, pp. 783-803.

51 Cfr. Pecchiari N., Principi e configurazioni di rischio a fondamento della valutazione del sistema di controllo interno (Parte II), in Il controllo legale dei conti, febbraio 1999, fasc. 1, pp. 15-52.

52 Così Loebbecke J.K., The auditor: an instructional novella, Prentice Hall, 1998, p. 14. 53 <La revisione non deve risolversi nel mero riscontro dell'esatta contabilizzazione dei fatti di gestione;

ma deve contenere anche un giudizio valutativo sulle singole poste del bilancio che non derivano da mere rilevazioni contabili>, Consiglio di Stato, sez. VI, 28 aprile 1998, n. 572, Beretta c. Consob.

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<How does one put together what is essentially a subjective evaluation of

internal control and analytical review with the objective statistical meas-urements of the results of substantive tests? I talked a lot about this whit Fred Stephan, and he made it clear that this was a problem that was not unique to auditing. Basically, it’s a universal problem in decision-making theory - how do you quantify subjective judgments?>54.

Significative al riguardo anche le parole di M. Scannell:

<It is tempting for accountants, when presented with this numerical solu-

tion to a problem, to get caught up in the numbers, percentages, etc., and be-lieve they are arriving at a "correct" sample size. Regardless of how the various elements of audit risk are quantified, the assessment is based on the auditor’s judgement. Thus two auditors might look at a company and arrive at two entirely different assessments of audit risk, depending on their own attitude to risk. In addition, SAS 400 requires the auditor to gather suffi-cient, appropriate audit evidence. This does not mean just gathering enough evidence, but gathering evidence that is both relevant and reliable. An as-sessment of just how relevant and reliable the evidence presented to the auditor is, will again depend on the most important tool available to the auditor, i.e. judgement>55.

Ritornando alla constatazione che i limiti di materialità, o, se si preferisce, le soglie di <errore massimo tollerabile>, non sono prefissati da chiari principi legi-slativi o professionali ma al contrario scelti caso per caso (o non per caso?) dai singoli revisori secondo il loro più personale giudizio, ci si imbatte anche qui nell’inquinamento dei giudizi umani a scapito della <purezza> dei modelli deter-ministici. In una ricerca del 1985 Roy Chandler cita le principali obiezioni a que-sta prassi sostenute da Leopold Bernstein ancora vent’anni prima (1967):

<1. An undefined and all-embracing process described as "judgement" does not inspire the confidence of thinking men.

2. The mere assertion that a vital professional process depends on "judge-ment" is useless in educating and training entrants to the profession.

3. Such an undefined approach is conducive to the kind of practice most likely to discredit the profession>.

Nonostante tali osservazioni critiche (che qui si condividono), critiche le quali

si concludevano con la richiesta di stabiliti criteri quantitativi per fissare inequi-vocabili livelli di materialità, in nessun ordinamento nazionale i principi contabili e di revisione dettano indicazioni su come il revisore debba procedere durante questa fase.

54 Tucker J.J., III, An early contribution of Kenneth W. Stringer: development and dissemination of the audit risk model, in Accounting horizons, June 1989, p. 31; la citazione riportata è del 1962.

55 Scannell M., Audit risk, University College Cork, January 1998, pp. 42-44.

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Negli Stati Uniti, ad esempio, il Financial Accounting Standard Board, dopo anni di dibattiti, nel 1976 ha dovuto affermare che “no general standards of mate-riality could be formulated that could hope to take account of all the considera-tions that enter into experienced human judgement”56. Risulta però quasi sponta-neo domandarsi, date le premesse, se ci sia stata e se ci sia oggigiorno volontà ef-fettiva da parte della <professione> di fissare criteri quantitativi in così delicata fase del processo di revisione, criteri che finirebbero con il limitare assai gli ambi-ti di discrezionalità degli stessi revisori. Sopravvive così il pericolo di revisioni dall’esito <soggettivamente guidato>, in antitesi a revisioni <oggettivamente con-dotte>, o addirittura di vere e proprie manipolazioni dei dati contabili facilmente camuffabili dai potenti mezzi della statistica descrittiva: si ricordi come non sia inconsueto leggere, in materia di controllo legale dei conti, che il revisore deve accrescere la qualità persuasiva dell’evidenza disponibile57.

Riconosciuta prasseologicamente la validità dell’utilizzazione di limiti di mate-rialità, ai revisori è parso a questo punto naturale, per motivi di economicità, limi-tare l’analisi non all’intera popolazione ma bensì ad un campione della stessa; così facendo il revisore rinuncia alla determinazione del <grado di attendibilità> del bilancio di esercizio, accontentandosi dunque della determinazione del mero <grado di attendibilità statistica> dello stesso.

Definiamo campionamento di revisione l’applicazione di procedure di control-lo contabile ad un numero di voci (campione) inferiore alla totalità delle voci (po-polazione) che compongono il saldo di un conto o una classe di operazioni58.

Viene denominato processo di inferenza, il procedimento che conduce il revi-sore a formulare un giudizio su una o piu caratteristiche riferite all’intera classe di scritture contabili o, più in generale, di transazioni aziendali in esame, globalmen-te considerate, muovendo da informazioni tratte dalle sole unità statistiche presen-ti nel campione.

L’indagine statistica prevede tipicamente tre successive fasi di lavoro: a) il progetto del piano di campionamento; b) la selezione del campione e la rilevazio-ne dei dati; c) la valutazione dei risultati59.

Nello svolgimento dell’attività di controllo contabile una particolare cura do-vrebbe venir posta alle modalità di selezione del campione e di proiezione dei ri-sultati campionari all’intera popolazione. Per quanto concerne la selezione delle unità campionarie, si suole distinguere tra:

a) campionamento probabilistico o oggettivo (è nota la probabilità di selezione di

ciascuna voce);

56 Chandler R., Materiality - does it need to be a guessing game?, in Accountancy, February 1985, p. 85. 57 Cfr. AICPA, Statement on Auditing Standards n. 400 – Audit evidence, 1997 e Sordini M., La revisione

del bilancio d’azienda: principi e metodi, Giuffrè, Milano, 1991, p. 4. 58 Cfr. Commissione paritetica per i Principi di Revisione - C.N.D.C. e C.N.R., Principi di Revisione:

Documento n. 530 – Campionamento di revisione ed altre procedure di verifica con selezione delle voci da esaminare, ottobre 2002, p. 2.

59 Cfr. Durio A., Il campionamento, le sue tecniche ed i suoi risultati: elementi matematico statistici posti alla base della revisione contabile, Ordine dei Dottori Commercialisti di Torino, dicembre 2002, p. 3.

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b) campionamento non probabilistico o soggettivo60 (il metodo di selezione del campione è tale da non permettere di calcolare la probabilità che le singole voci hanno di entrare nel campione).

Analogamente per quanto concerne la valutazione dei dati campionari si può

procedere mediante:

c) l’impiego di metodologie di inferenza statistica (intervalli di confidenza e/o verifiche di ipotesi statistiche per valori medi, ammontari totali, proporzio-ni)61;

d) il ricorso a stime puntuali basate su mere considerazioni di proporzionalità tra dimensione del campione e dimensione della popolazione, senza alcun riferi-mento alla precisione e alla affidabilità delle stime stesse62.

Dopo questo breve richiamo alle tecniche campionarie, si vuole sottolineare

come questi strumenti, di maggiore o minore rigore statistico, siano nello stesso tempo causa e effetto di diciture quali <errori non significativi> e <nel suo com-plesso>, le quali portano le relazioni delle società di revisione a risultare, sotto le loro vesti articolate, complesse e formali, di valore euristico non sempre pari alle aspettative dei terzi e, prima ancora, del legislatore63.

6. L’indipendenza del revisore fra finalità pubblicistiche dell’istituto e natura privatistica del rapporto contrattuale

Nel caso Enron, che si configura essere semplicemente uno degli ultimi nel quale un revisore dei conti non sia stato in grado di proteggere il pubblico dalle

60 <A judgementally selected sample is the selection of the sample items on the basis of sound reasoning

by the auditor. Testing all repairs and maintenance expense items in excess of $ 1,000 is an example of judgemental selection. the use of judgemental selection is widespread even by auditors who are strong advo-cates of statistical methods. There are parts of every audit where statistical methods either are not applica-ble, are insufficient, or are more costly than is justifiable>, Arens A.A. e Loebbecke J.K., Applications of sta-tistical sampling to auditing, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey, 1981, p. 127.

61 Per un maggiore approfondimento della materia, cfr. Brambilla F., Trattato si statistica, UTET, Torino, 1968.

62 Cfr. Durio A., Il campionamento, le sue tecniche ed i suoi risultati: elementi matematico statistici posti alla base della revisione contabile, Ordine dei Dottori Commercialisti di Torino, dicembre 2002, pp. 4-5.

63 Cfr. Bauer R., “Expectation gap” e controllo legale dei conti, in Il controllo legale dei conti, 1997, fasc. 1 (febbraio), pp. 51-74; Hojskov L. The expectation gat between users’ and auditors’ materiality judge-ments in Denmark, working paper n. 78/d, Southern Denmark Business School, Kolding, Denmark, 1998; Schelluch P. e Green W., The expectation gap: the next step, in Australian accounting review, vol. 6, n. 2, 1996, pp. 37-46; ASCPA/ICAA (1996), Report of the financial reporting and audit expectation gap: task-force to the joint standing committee; ASCPA/ICAA (1994) A research study on financial reporting and au-diting – bridging the expectation gap; Porter, B.A., An empirical study of the audit expectation-performance gap, in Accounting and business research, vol. 24, n. 93, 1993, pp. 49-68; Roussey R.S., Verso più efficienti metodi contabili, sistemi di reporting e modelli di corporate governance, in Il controllo legale dei conti, otto-bre 1999, fasc. 4-5, pp. 399-414; Livatino M., L'efficacia della revisione contabile e le esigenze conoscitive degli utilizzatori del bilancio d'esercizio, in Il controllo legale dei conti, ottobre 1997, fasc. 4-5, pp. 467-507.

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dichiarazioni finanziarie quasi del tutto fasulle di una grande impresa, una prima conclusione è che il disastro non è stato il risultato del fallimento di uno dei singo-li meccanismi di controllo in atto, bensì la conseguenza sistemica di un concorso di circostanze che hanno reso nulla l’efficacia dei tanti dispositivi che, in teoria, dovrebbero largamente proteggere contro eventi del genere.

Si è cercato di comprendere, quando non addirittura giustificare, i revisori con-tabili stabilmente impiegati presso la sede della società, sostenendo che nei gruppi umani molto coesi e dalla cultura <forte> ed omogenea, si determina sovente l’insorgere del fenomeno denominato group think64. In tale circostanza i soggetti cessano di percepire i fatti nella loro oggettività, per coglierli -anche in assoluta buona fede- secondo gli orientamenti del gruppo. Tale fattore avrebbe impedito a (quasi)65 tutti di rendersi conto che le cosiddette special purpose entities, costituite nelle isole Cayman, fossero in realtà costruzioni che -per quanto apparentemente legali- poco avevano da spartire con genuine necessità di business: sarebbe la ben nota storia del <Re nudo> che tutti vedono riccamente vestito66.

Ma se è all’origine della catena delle cause che si volge lo sguardo, quella non può che ravvisarsi nel conflitto di interessi, mutatis mutandis, nell’assenza di in-dipendenza del revisore.

L’efficienza del sistema si fonda infatti sul presupposto che il revisore si trovi in una posizione di indipendenza formale e sostanziale nei confronti dell’impresa assoggettata al controllo legale dei conti67. La tematica dell’indipendence of pu-blic account68 del revisore esterno risulta ripetutamente oggetto di attenzione da parte degli ordinamenti che all’istituto della revisione fanno ricorso. La constata-zione che l’esperienza giuridica italiana in materia risulta tuttavia temporalmente ristretta se confrontata alle esperienze straniere, e particolarmente a quelle anglo-sassoni in cui l’istituto è nato, giustifica l’opportunità di analizzare e comparare nel prosieguo anche queste esperienze, dotate di maggiore stratificazione tempora-le.

64 Financial Times, giugno-dicembre 2002, passim. 65 <Come risulta anche dalle dichiarazioni dei responsabili della società di revisione, vi sono state, quan-

tomeno, colpe gravi dei revisori, i quali o non hanno guardato dove avrebbero dovuto guardare, o hanno op-portunamente chiuso gli occhi>, Spaventa L., Incontro annuale con il mercato finanziario, Consob, Milano, 8 aprile 2002, p. 8.

66 Cfr. Grossi G., Enron: quali lezioni?, in Auditing: rivista dell’Associazione Italiana Internal Auditors – National Institute, Anno XIV, n. 43 gennaio – aprile 2002, pp. 4-9.

67 <La qualità della revisione è definita come la probabilità congiunta, valutata dal mercato, che il reviso-re scopra un problema nelle evidenze contabili dell'impresa e che renda noto tale problema. La probabilità del primo evento, ossia che il revisore rilevi un problema nei conti del soggetto revisionato, è funzione delle ca-pacità tecniche del revisore e del livello di impegno. La probabilità del secondo evento, la comunicazione al mercato, è funzione invece del grado di indipendenza del revisore>, Longo M. e Macchiati A., La qualità del-la revisione contabile sulle imprese quotate: aspetti economici e regolamentari, in Banca Impresa Società, 1999, p. 264. Cfr. inoltre Mancinelli F., Attualità dei requisiti di indipendenza e professionalità dei sindaci di società: spunti di riflessione per il legislatore, in Il controllo legale dei conti, ottobre 2000, fasc. 5, pp.447-456; Micheli S., Quale indipendenza per la professione di revisore contabile, in Il controllo legale dei conti, aprile 1999, fasc. 2, pp. 159-179; Groveman H., Come individuare gli errori di bilancio, in Il controllo legale dei conti, dicembre 1999, fasc. 6, pp. 625-639.

68 Espressione rinvenibile già nel Securities Act statunitense del 1933.

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Il conflitto si rileva essere fisiologico. Vi sono soggetti con natura funzionale differente: a) soggetto controllato; b) soggetto controllore; c) soggetti in favore dei quali si controlla. Eppure il controllore non viene incaricato dai soggetti in fa-vore dei quali sostanzialmente si controlla, e cioè gli azionisti di minoranza ma, considerato che la nomina spetta all’assemblea e che questa è dominata sovente dalla medesima maggioranza che elegge gli amministratori, ne risulta che il con-trollore è selezionato (e perciò de facto remunerato) dallo stesso soggetto control-lato69.

Nei testi di corporate governance, trattando della differenza tra revisione inter-na e esterna, si è soliti trovare scritto che il revisore esterno opera nell’interesse degli stakeholders, mentre l’internal auditor agisce primariamente in supporto al management70. Ma poiché il revisore esterno è retribuito dal management, ne con-segue che un comportamento collusivo accresce la possibilità di vedersi rinnovato il mandato71 e quindi aumenta i redditi futuri, ben sapendo che la reputazione -sempre presso il management- di essere un revisore particolarmente severo può non essere positiva per la stabilità e il rinnovo degli incarichi -dunque per la stes-sa redditività- del revisore.

In realtà si è sempre saputo che le società di revisione vivono nel conflitto d’interessi, poiché da decenni combinano il ruolo di controllori dei conti – i quali devono garantire la correttezza agli occhi del mercato – e la funzione di consulenti delle società.

Paul Volcker, ex Presidente del Federal Reserve Board, in relazione alla per-cezione che l’investitore aveva del revisore quando questi prestava anche attività di consulenza agli stessi clienti, ha affermato: <The perception is there because there is a real conflict of interest. You cannot avoid all conflicts of interest, but this is a clear, evident, growing conflict of interest....>72.

Le due attività sono inconciliabili poiché l’effetto sulla qualità dell’auditing dell’offerta di servizi consulenziali potrebbe risultare negativo, dal momento che il costo per una società di revisione di vedersi revocato il mandato è maggiore se combina anche i servizi di consulenza, e ciò aumenta la propensione verso l’accondiscendenza.

In particolare si possono individuare tre distinte ipotesi, a seconda del rapporto che esiste fra società di revisione e cliente:

69 Cfr. Rabitti Bedogni C., L’attuazione del principio di indipendenza nell’esercizio della revisione, in

Diritto della banca e del mercato finanziario, 2002, fasc. 1 (marzo), pt. 1, pp. 19-55. 70 Cfr. Regoliosi C., Indipendenza ed obiettività nelle funzioni di revisione interna ed esterna, in

Auditing: rivista dell’Associazione Italiana Internal Auditors – National Institute, Anno XV, n. 46 gennaio – aprile 2003, p. 37.

71 Significativa al riguardo è la vicenda Tecnodiffusione-Reconta Ernst & Young. I dissidi tra le due so-cietà sono sorti all’inizio del 2003 dopo che la società di revisione aveva mosso rilievi sul bilancio 2002 del gruppo toscano, contestando la correttezza di alcune voci di bilancio e non ritenendo che si potessero rinveni-re i presupposti di continuità aziendali. Con nota ASCA del 17 settembre 2003 si è appreso che il Consiglio di Amministrazione di Tecnodiffusione Italia ha deliberato di proporre all’Assemblea dei Soci la rescissione dell’incarico di revisore del bilancio in essere con la società Reconta Ernst & Young e il conferimento dell’incarico medesimo ad altra società di revisione.

72 http://www.sec.gov/rules/final/33-7919.htm.

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a) la società di auditing non fornisce alcun servizio alla società cliente; b) la società di auditing presta il solo servizio di revisione; c) la società di auditing svolge entrambi i servizi per l’impresa cliente (pactum

sceleris?). Nell’ipotesi a), vi sono incentivi alla collusione nella fase pre-contrattuale: la

società revisionata potrebbe richiedere un controllo meno accurato offrendo in cambio la stipula più o meno contestuale di un contratto di consulenza.

Nell’ipotesi b), la sottoscrizione di un contratto di consulenza potrebbe risulta-re il mezzo per sanare eventuali disaccordi sorti fra società revisionata e revisore in fase di verifica.

Nell’ipotesi c), l’auditor potrebbe trovarsi nella situazione di dover esercitare il proprio controllo su operazioni da egli stesso predisposte o suggerite, violando co-sì il principio nemo judex in causa propria.

Dibattuto è se la regolamentazione debba circoscriversi a limitare, ovvero spingersi a vietare del tutto, l’offerta di servizi non-audit ai clienti della revisione. Ad esempio, in relazione al requisito dell’esclusività dell’oggetto sociale, la giu-stificazione di un tale accorgimento, basata sulla convinzione che possa così favo-rirsi in astratto l’indipendenza, appare per una parte della dottrina superata e criti-cabile73.

Si è sottolineato74 che, proprio sul presupposto dell’utilità della polifunzionali-tà, nel nostro ordinamento come nel resto dei paesi occidentali si è favorita l’evoluzione del sistema bancario caratterizzata dall’eliminazione della segmenta-zione sia tra credito ordinario e credito speciale sia tra attività bancarie e attività di intermediazione mobiliare, con l’affermazione del modello prima di gruppo poli-funzionale e, più tardi, di banca universale.

Dati questi presupposti se ne fa seguire che, anche nel campo della revisione, escludere l’esercizio di ogni altra attività di consulenza equivarrebbe a ingenerare una situazione sfavorevole allo sviluppo di efficienti network di servizi.

Ma un fatto è evidente: il sistema bancario non è il sistema della revisione a-ziendale, e il confronto fra due attività così diverse sembra altamente inadeguato. Il sistema creditizio è retto principalmente -de facto- dall’imperativo della reddi-tività bancaria, mentre quello della revisione aziendale dovrebbe esserlo dall’imperativo della tutela.

A difesa dello svolgimento anche congiunto delle attività di consulenza e di re-visione aziendale, si è espresso Jim Copeland, in qualità di Presidente della De-loitte Touche Tohmatsu:

73Cfr. Vella F., I controlli interni e la revisione contabile nella riforma delle società non quotate, in Dirit-

to della banca e del mercato finanziario, marzo 2001, fasc. 1, pp. 19-35. 74 Vedi De Angelis L., Le società professionali nel progetto di riforma delle libere professioni, in Rivista

delle Società, fasc. 1, febbraio 1999, p. 211.

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<....many well-intentioned people advocate further limitation on the scope of services that audit firms can provide to their audit clients. In fact, some people propose that no other services be provided by a company’s audit firm.

I believe this is a terrible idea. It would diminish the quality of auditing, rather than improve it.

Increasing limitations on our scope of services may make the public be-lieve that audit teams are more independent – but, in fact, it will make the audit team less competent. To provide the highest-quality audits of large, complex organizations, you must create teams of independent professionals with diverse and highly specialized competencies. … And these experts do not, and generally will not, reside exclusively within an audit practice ….

Some people have suggested that we “in-source” these skills from outside “independent” companies. Let’s assume we accept that proposal.

Imagine that Deloitte & Touche sold its technology consulting practice to a big freestanding technology company. We then asked them to “in-source” our people back to us work on the same audits they had previously worked on. Now, we have the same people working on the same audit clients, but the team is less independent than before because the “in-sourced” employees are no longer subject to auditor independence rules. They can own shares in the company we audit, and their employer can be in joint ventures with the company their employees are helping audit. Great public policy!>75.

Le forzature degli esempi proposti da Copeland sono evidenti: la mancanza di

competenze nella revisione aziendale deve venire colmata con la formazione, e le stesse regole aventi ad oggetto l’incompatibilità dei revisori si possono facilmente applicare anche all’eventuale personale impiegato in outsourcing.

In Italia la Consob, per arginare una sostanziale quanto diffusa elusione della norma di <reale> esclusività dell’oggetto sociale, con comunicazione 18 aprile 1996, n. 96003558, ha invitato le società di revisione ad evitare la prestazione del servizio di consulenza da società collegate con il revisore, o da lui controllate.

A parziale difesa della possibilità di svolgere anche attività non di revisione, si è espresso nell’ultimo anno l’Institute of Internal Auditors. La posizione dell’Institute è di ritenere che i servizi non-audit possano essere generalmente suddivisi in due categorie:

1. servizi non-revisionali che, proprio per la loro natura, non dovrebbero venire

resi dai revisori esterni dell’impresa; 2. servizi non-revisionali suscettibili di rafforzare l’ambiente di controllo, o ido-

nei a costruire uno specifico supporto alle organizzazioni clienti e che, per loro natura, non pregiudicano l’indipendenza dei revisori76. I servizi rientranti nella seconda categoria dovrebbero venire consentiti nella misura in cui l’ammontare totale dei compensi connessi non risultasse tale da revocare in

75 www.deloitte.com (novembre 2002). 76 Institute of Internal Auditors, http://www.iia.org.uk.

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dubbio l’effettiva indipendenza del revisore esterno, e ove non rilevassero al-tre considerazioni d’ordine gestionale od operativo che ne minino le basi.

Occorre però realisticamente tenere presente che stilare un elenco di attività non consentite è impossibile, poiché vi sono semplicemente troppe circostanze particolari che potrebbero emergere e ingenerare dubbi interpretativi, con la con-seguenza di rendere solo più complessi i processi aziendali: <il dettaglio apre spa-zi a comportamenti che, rispettosi della forma, sono elusivi della sostanza>77. È tuttavia questo il criterio adottato negli Stati Uniti d’America dal Sarbanes-Oxley Act, entrato in vigore il 30 luglio 2002, per delineare le condizioni di indipenden-za dei revisori contabili, con l’individuazione di una lista di attività che non pos-sono essere svolte dalle registered public accounting firms nei confronti di un e-mittente, quando esse siano contestualmente incaricate di svolgere il controllo le-gale dei bilanci per i medesimi soggetti78.

Chi scrive è dunque -anche questo era forse in premessa- a favore della in-compatibilità totale fra lo svolgimento delle attività di revisione e di consulenza da parte dello stesso soggetto nei confronti di un altro medesimo soggetto79. La società di revisione finirebbe altrimenti per offrire una qualità, per una parte -quella relativa alle capacità tecniche- standardizzata, e per un’altra parte -quella relativa all’indipendenza- <negoziabile>, sulle base delle esigenze del cliente.

Un’ultima breve riflessione in tema di autoregolamentazione, prendendo ad oggetto di analisi rappresentativa il mercato statunitense.

Prima dello scandalo Enron, il sistema dei controlli svolti dalle società di auditing statunitensi era quasi totalmente autoregolamentato dalla professione, il

77 Spaventa L., Incontro annuale con il mercato finanziario, op. cit., p. 12. 78 I servizi non-audit sono stati così precisati: 1) tenuta della contabilità e redazione dei bilanci e dei regi-

stri contabili, 2) sviluppo e configurazione di sistemi informativi contabili e finanziari dell’emittente, 3) ser-vizi di valutazione, pareri di congruità e stime per i conferimenti in natura, 4) servizi attuariali, 5) outsourcing delle funzioni di internal audit, 6) funzioni manageriali e gestione delle risorse umane, 7) attività di broker o di dealer, nell’attività di consulenza in materia di investimenti o altri servizi di investement banking, 8) servi-zi legali e ogni altro servizio professionale non inerente l’attività di revisione contabile. Infine, quale disposi-zione di chiusura, il n. 9 della Section 201 prevede che non possa essere offerto nei confronti dell’emittente qualsiasi altro servizio che il Board (incaricato di tenere il Registro delle Società di Revisione) considererà inammissibili con l’emanazione di un apposito regolamento. Va riscontrato che purtroppo i regolamenti della Sec, emanati nel gennaio 2003, hanno già iniziato a erodere il sistema tutelare così delineato, precisando in relazione ai tax services che non è incompatibile con l’indipendenza l’offerta di servizi relativi agli adempi-menti fiscali (tax compliance), alla pianificazione fiscale (tax planning) e alla consulenza tributaria (tax advi-ce), non risultando difficile prevedere vere e proprie consulenze aziendali celate sotto l’ombrello della piani-ficazione fiscale e della consulenza tributaria, avendo poco rilievo la prevista condizione che tali attività siano state preventivamente approvate dall’audit committee. Sull’argomento si veda per tutti Sarbanes-Oxley Act del 2002 e i regolamenti della Sec: la nuova disciplina degli U.S.A. in materia di indipendenza dell’attività di revisione, in Rivista delle Società, gennaio – febbraio 2003, sezione Notizie, pp. 301-304.

79 Parte della giurisprudenza si è espressa a favore di questo assunto. Significativa, pur se riguardante so-lamente l’ambito del collegio sindacale, la seguente massima: <È incompatibile con la posizione di sindaco di una società di capitali l’esercizio dell’attività di consulenza e assistenza in materia contabile, tributaria e con-trattuale a favore della società stessa, risultando questa finalizzata alla redazione del bilancio e cioè proprio all’atto che costituisce oggetto specifico dell’attività di controllo demandata al collegio sindacale>, Corte di Appello di Bologna, 9 marzo 1995, Soc. calzaturif. Magli.

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cui organo rappresentativo era -ed è tuttora- l’American Institute of Certified Pu-blic Accountants.

Il controllo di qualità dei lavori di revisione si effettuava -e ancora si effettua- sotto la supervisione di un organo ad hoc denominato POB (Public Oversight Board), per mezzo del meccanismo della peer review il quale prevedeva che le società di revisione si sottoponessero reciprocamente a controlli periodici (gene-ralmente triennali)80. Meccanismo questo assolutamente discutibile, alla luce del fatto che, pur contandosi negli ultimi anni numerosi fallimenti societari, <da quando il sistema è stato istituito (nel 1977) non è stato mai emesso un giudizio negativo a conclusione di una review a carico di una grande società di revisio-ne>81.

Con l’emanazione del Sarbanes-Oxley Act, l’ideologia repubblicana rappresen-tativa dell’impero della self-regulation, pur se non completamente abbandonata, è stata comunque oggetto di una profonda correzione, ad esempio con l’introduzione di controlli esterni affidati al nuovo Public Company Accounting Oversight Board per il controllo delle società quotate82.

Sempre nel mercato statunitense va ricordato l’Independence Standard Board dell’AICPA, quale organo costituito a difesa e regolamentazione dei principi di indipendenza nello svolgimento dell’attività di revisione aziendale. Tale istituto di autoregolamentazione della professione, tuttavia, presenta in nuce un grave con-flitto organizzativo: tre degli otto membri sono esponenti di società di revisione, il quarto componente è il presidente dell’AICPA. Pertanto, il Board non dispone di una maggioranza di componenti esterni alla professione, e conseguentemente non si presenta -per ciò stesso- come un’entità indipendente dalla professione conta-bile che può guardare alle problematiche relative all’indipendenza da una prospet-tiva libera da preconcetti. È evidente che la composizione di un simile organo do-vrebbe essere bilanciata, includendovi esponenti delle società di revisione e rap-presentanti della clientela delle medesime, del pubblico degli investitori, nonché degli organi di vigilanza, o subordinandolo a questi.

Anche la SEC, nel suo “Framework for enhancing the quality of financial in-formation through improvement of oversight of the auditing process” ha ricono-sciuto le inherent weaknesses dell’autoregolamentazione; in particolare:

<1. the disciplinary process is voluntary; 2. there is no independent and dependable funding source; 3. the disciplinary process relies solely on information gathered from ac-

countants;

80 Cfr. Bauer R., I controlli di qualità delle società di revisione in Italia e negli Stati Uniti, in Il controllo legale dei conti, giugno 2002, fasc. 3, pp. 325-341.

81 Spaventa L., Adeguatezza dei principi contabili e del sistema dei controlli in relazione ai problemi sol-levati dal caso Enron, 14 febbraio 2002, Roma, www.consob.it.

82 Cfr. A. Canziani, I processi competitivi fra economia e diritto, paper n. 15 di questa Serie, settembre 2001. In particolare l’Autore, ricordando a p. 8 l’annotazione di Carl Schmitt: “La pretesa neutralità o natura-lità tecnocratica dissimula sovente istanze propriamente politiche”, continua commentando che <…non per combinazione infatti, negli Stati Uniti d’America, a seconda delle presidenze repubblicane o democratiche la Corte Suprema -nel campo dell’anti-trust- converte regole per se in regole discrezionali e viceversa>.

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4. sanctions are weak; 5. the disciplinary proceedings are not public>83.

Tuttavia, nonostante queste preoccupazioni d’oltreoceano Atlantico, il “Libro Verde” della Commissione Europea, pubblicato nel 1996 e approvato il 26 feb-braio 1997 dal Comitato Economico Sociale, auspica la definizione di un nucleo di <principi di base> in materia di indipendenza del revisore redatti dalla medesi-ma categoria professionale:

<Il problema fondamentale dell’indipendenza viene affrontato in maniera

diversa nei vari Stati membri a seconda delle loro diverse tradizioni ed espe-rienze. Difficilmente sarà possibile raggiungere a breve termine un accordo a livello dell’Unione Europea su una definizione comune che abbracci le varie problematiche sollevate in rapporto all’indipendenza del revisore. L’adozione di una serie di norme in materia di indipendenza non è in sé stes-sa sinonimo di effettiva indipendenza. Il raggiungimento di un accordo su di un nucleo comune di principi fondamentali validi in tutti gli Stati membri rappresenterebbe un passo importante verso la costituzione di un mercato in-terno dei servizi di revisione. I principi in questione potrebbero essere messi a punto dalla categoria a livello dell’Unione Europea>84.

Alcuni anni (o fallimenti finanziari) dopo, la Raccomandazione della Commis-sione Europea del 16 maggio 2002, n. 1873 “L’indipendenza dei revisori legali dei conti nell’UE: un insieme di principi fondamentali”, ha affermato con decisio-ne:

<La presente raccomandazione sottolinea che spetta agli stessi revisori contabili salvaguardare la propria indipendenza>85.

Sarebbe troppo ovvio, o malizioso, citare le parole di Tancredi al Principe di Salina “...se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”?

83 Securities and Exchange Commission (SEC), Framework for enhancing the quality of financial infor-

mation through improvement of oversight of the auditing process, 17 CFR parti 210 e 229, RIN 3235-AI41. Ed ancora: <We are concerned, however, that a safeguards approach, which is dependent on a firm's self-analysis and self-reviews, will not provide a definitive standard. In our view independence is better assured by consistent and uniform rules, rather than by rules that rely on the auditor's assessment of the extent of its own self-interest. Furthermore, it has been our experience that the existence of safeguards or quality controls alone does not ensure compliance with even the most basic independence regulations>, Revision of the Com-mission’s Auditor Independence Requirements, SEC Rel. n. 33-7919 (Nov. 21, 2000) [65 FR 76008 (Dec. 5, 2000)], sez. IV.D.2.

84 Commissione Europea, Libro verde: Il ruolo, la posizione e la responsabilità del revisore legale dei conti nell’Unione Europea, 1996, p. 23.

85 Commissione Europea, Raccomandazione n. 1873, 16 maggio 2002, L 191/24.

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7. Per agevolare l’indipendenza: de lege ferenda

Una volta affermata la necessità di concretizzare il principio di alterità tra revi-sione e consulenza (cfr. sub 6), è opportuno analizzare in chiave critica i tre prin-cipali profili attorno ai quali ruota la tutela dell’indipendenza nel controllo legale dei conti: a) i canoni sovraordinati di svolgimento della professione; b) la nomina; c) i compensi.

A) Sotto il primo profilo va osservato che lo stesso legislatore ha implicitamen-te riconosciuto la rilevanza delle regole deontologiche applicabili nell’esercizio della funzione di revisione, laddove ha riconosciuto alla Consob il potere di <rac-comandare principi e criteri da adottare per la revisione contabile, richiedendo preventivamente il parere del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e del Consiglio Nazionale dei Ragionieri>86.

A prescindere da tale esplicito riferimento legislativo, il principio di indipen-denza nell’esercizio della revisione contabile ha comunque da tempo trovato cit-tadinanza nei Principi di Revisione adottati dai Consigli Nazionali dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri, ove si sostanzia nel dovere del revisore e dei suoi collaboratori di <svolgere il loro incarico con integrità e obiettività e nell’assenza di qualsiasi interesse che essi possano avere, direttamente o indirettamente, con l’azienda che ha dato l’incarico, con l’azienda il cui bilancio è oggetto di revisione (se diversa), i relativi soci, amministratori e direzioni generali>87.

Si vuole qui evidenziare la distinzione fra principi etico-deontologici e principi tecnico-professionali, all’interno del complesso di regole di natura negoziale che i controllori legali dei conti si autoimpongono per disciplinare l’esercizio della loro attività, nonché i comportamenti da tenere sul mercato e nei confronti di clienti e colleghi.

Per quanto concerne i primi -tra i quali si ricordano qui il Code of Conduct dell’AICPA e il Code of Ethics emanato dall’IFAC (International Federation of Accountants)-, pur riconoscendone la validità relativa, si richiama l’opportunità che il legislatore operi nella presunzione prudenziale di assenza di qualsivoglia codice etico.

<I do not put any store in efforts to raise business ethics, presumably by

education efforts in the business schools. After a number of lawyers were implicated in the Watergate scandal during the Nixon Administration, the authorities that regulate the legal profession required all law schools to in-stitute courses in legal ethics. No one supposes these courses had the slight-est effect. Ethical violations are committed not by ignorance, but because the costs are slight. The costs become significant only if the ethical violations are transformed into violations of law>88. (R. A. Posner)

86 Cfr. art. 162, comma 2, lett. c, D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58. 87 Commissione paritetica per i Principi di Revisione - C.N.D.C. e C.N.R., Principi di Revisione: Docu-

mento n. 200 – Obiettivi e principi generali della revisione contabile del bilancio, ottobre 2002, p. 5. 88 Così Posner R.A., The economics of business scandals and financial regulation, http://www.tesoro.it,

p.12.

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<Many experts have concluded that if companies like Enron do not take

active steps to adopt preventive policies and procedures covering securities trades by company personnel, the consequences could be severe>89. (Enron Ethic Code)

Per quanto concerne i principi tecnico-professionali si riconosce che la sussi-

stenza di tali requisiti è di valido supporto al revisore contabile al fine di valutare in maniera corretta e ponderata gli elementi di bilancio, evitando che egli sia tratto in inganno in ragione di deficienze tecniche relative alla materia.

È tuttavia opinione qui sostenuta che la redazione di questi canoni generali non debba venire demandata alla professione, ma in alternativa venire predisposta da una competente autorità pubblica estranea al conflitto di interessi più sopra deli-neato: un elenco non esaustivo comprende la Consob, la Banca d’Italia, il Ministe-ro dell’Economia, sempre e comunque sentito e ponderato il parere degli Ordini e delle Associazioni di categoria.

Va poi osservato come, di pari passo con il dilatarsi dell’autoregolamentazione, si generi <un nuovo tipo di self-restraint del diritto dello Stato, cioè un tipo di in-tervento non più diretto, ma indiretto, indirizzato non a regolare con norme rigide e particolareggiate di comportamento i rapporti socio-economici, ma piuttosto a predisporre le nervature istituzionali di processi di autoregolazione sociale, a defi-nire, correggere e ridefinire, quando occorra, istituzioni sociali funzionanti come sistemi autoregolatori>90.

Tipico esempio ne è il rapporto che si instaura tra la società di revisione e la Consob in fase successiva al conferimento dell’incarico. In particolare, a norma dell’art 162 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, l’attività della Consob si esplica attraverso penetranti poteri di vigilanza informativa e ispettiva, nonché di racco-mandazione di principi e criteri da seguire nella revisione contabile, previo parere dei Consigli Nazionali dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri.

In ipotesi di gravi irregolarità la Consob è inoltre investita di un sistema gra-duato di poteri sanzionatori nei confronti della società di revisione responsabile, poteri che vanno dall’inibitoria dell’attività di revisione per un periodo fino a due anni da parte del responsabile della revisione cui le irregolarità risultino ascrivibi-li; al divieto per la società di accettare nuovi incarichi di revisione contabile per un periodo massimo di un anno; alla cancellazione della società dall’albo speciale nelle ipotesi di i) inosservanza dei provvedimenti restrittivi che precedono, ovvero di ii) accertamento di irregolarità di particolare gravità, o ancora di iii) mancanza sopravvenuta dei requisiti per l’iscrizione all’albo speciale, che si protragga per il termine di durata sancito dalla Consob fino a un massimo di sei mesi91.

89 Enron Ethic Code, 2000, p. 7. 90 Mengoni L., La questione del diritto giusto nella società post-liberale, in Fenomenologia e Società, n.

3, 1988, p. 24. 91 Cfr. Art. 163, comma 2, lett. c, D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.

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In un simile contesto autoregolamentato sono gli stessi operatori privati ad es-sere chiamati a conciliare, nel loro medesimo interesse, esigenze individuali con istanze collettive di fiducia nei confronti delle regole operanti a tutela dei mercati finanziari.

Va però sottolineato il pericolo che un simile arretramento della griglia di con-trolli esercitati dall’autorità pubblica -il quale sembra ora concretizzarsi solamen-te in termini di intervento successivo-, non risulti idoneo a costituirsi salvaguardia delle attese giuspubblicistiche richiamate sub 2 di questo lavoro:

<L’esperienza americana, dunque, non disattendendo le ricostruzioni teo-

riche elaborate da Minsky, e le ricerche storiografiche di Kindleberger ha dimostrato, smentendo i pensatori neoliberisti, come nelle moderne econo-mie finanziarie il mercato lasciato a se stesso trasforma la tranquillità in tur-bolenza e instabilità.

È vero che gli operatori disonesti, inefficienti e irresponsabili, nell’ambito delle c.d. long run relationships, vengono sovente individuati e “messi fuori mercato”; pur tuttavia, nel mentre possono arrecare ingenti pregiudizi alle parti meno informate, non sopportando i costi delle loro azioni. Da qui la ne-cessità di un intervento esogeno a cui affidare il compito di intervenire per correggere i cedimenti di mercato ed assicurare integrità allo stesso>92.

B) Sotto il secondo profilo, la nomina del revisore contabile, la rimessione all’assemblea del potere di designare la società di revisione è teoricamente posta a tutela dell’imparzialità della scelta, in quanto promanante dall’organo sociale e-spressione di tutte le componenti presenti in seno alla società conferente l’incarico: tuttavia si riscontra sovente il dominio di fatto esercitato in assemblea da maggioranze precostituite, puntualmente riprodotte anche in seno all’organo esecutivo.

Nel Codice di Autodisciplina delle Società Quotate, emanato dalla Borsa Ita-liana S.p.A. nell’ottobre 1999, viene dato risalto all’imparzialità della scelta anche da parte del consiglio di amministrazione della società revisionata, e in particolare al comitato di controllo interno, che rappresenta un’articolazione del consiglio stesso con funzioni consultive e propositive. In particolare, l’art. 10.2, lett. d del Codice rimette al comitato la valutazione delle proposte formulate dalle società di revisione candidate all’assegnazione dell’incarico, con particolare riferimento al piano di lavoro presentato e ai risultati espressi nella relazione e nella lettera di suggerimenti.

Va infine ricordato il parere del collegio sindacale previsto dall’art. 146, com-ma 1, lett. c del regolamento Consob 26 novembre 1999, n. 11971, il quale, pre-vedendo specifiche valutazioni dell’indipendenza della società di revisione pre-scelta, incentra sul quell’organo il ruolo di controllo preventivo che nel vigore del

92 Cfr. Mattei U. e Sartori F., Conflitto continuo. Ad un anno da Enron negli Stati Uniti e in Europa, in

Politica del diritto, anno XXXIV, 2003, p. 17.

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decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1975, n. 136, era stato deman-dato alla Consob.

La stessa Raccomandazione comunitaria 16 maggio 2002, n. 1873, ribadisce l’opportunità del coinvolgimento dell’organo di controllo nella nomina del reviso-re:

<Per determinare la significatività delle minacce alla sua indipendenza e per valutare il livello del rischio per la sua indipendenza, il revisore legale deve esaminare con attenzione se la struttura di governo societario dell’entità oggetto della revisione fornisce un’infrastruttura atta a salvaguar-dare in generale l’indipendenza del suo revisore legale. L’analisi dell’infrastruttura potrà vertere su elementi quali:

- il coinvolgimento di un organo di controllo nella nomina del revisore le-gale (per esempio approvazione puramente formale delle indicazioni degli amministratori o partecipazione attiva alle trattative con il revisore legale potenziale)>93.

Va qui ricordata la proposta avanzata in materia dalla Commissione di Studio

sulla Trasparenza delle Società Quotate, istituita con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze il 9 aprile 2002 (Presiedente Francesco Galgano): <l’incarico alla società di revisione deve essere conferito sulla proposta degli amministratori all’assemblea di una terna di nominativi, unitamente al parere del collegio sindacale (o del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo), che esprime una preferenza motivata>94. L’obiettivo dichiarato di tale proposta è di ridurre la discrezionalità degli amministratori e ampliare quella dell’assemblea, cui è rimessa la scelta, orientata quest’ultima dal parere espresso dall’organo di controllo: così facendo nessuno dei tre organi sociali sarebbe totalmente arbitro della decisione.

Si vuole qui avanzare una proposta ancora più <radicale>, mirata a privare qualsivoglia organo sociale del potere di nominare il revisore contabile per affida-re tale compito ad una apposita autorità giudiziaria, la quale provvederà a) da un lato a nominare la società di revisione incaricata del controllo legale dei conti, b) dall’altro, avverso la dogmatica e rigida recezione del principio del <revisore pri-vato>, a designare il soggetto persona fisica cui sia demandata la direzione dei la-vori e che sia responsabile in solido con la società di revisione del giudizio espres-so al termine delle verifiche95. In particolare si evidenzia l’opportunità che il <di-

93 Commissione Europea, Raccomandazione n. 1873, 16 maggio 2002, L 191/38 (allegato). 94 Cfr. Commissione di studio sulla trasparenza delle Società Quotate, Relazione Finale, 27 settembre

2002, www.tesoro.it, pp. 16-17. 95 Va qui opportunamente evidenziata la separazione fra le due funzioni -strettamente connesse- di cui si

compone l’attività di revisione aziendale: il controllo contabile e la formulazione del giudizio di veridicità sui bilanci (di esercizio e consolidato). In particolare, il controllo contabile si articola in tre direzioni: regolare tenuta della contabilità, corrispondenza di questa ai fatti di gestione (art. 155, comma 1, lett. a del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e art. 2409-ter, comma 1, lett a del c.c.), rispetto della legge nella redazione del bilancio (art. 155, comma 1, lett. b del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e art. 2409-ter, comma 1, lett. b del c.c.). A sua volta il giudizio sui bilanci, atto conclusivo e formale del controllo, consiste nell’attestazione: a) che i fatti di gestione sono esattamente rilevati nelle scritture contabili; b) che il bilancio corrisponde alle risultanze di tali

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rettore dei lavori> sia un funzionario estraneo alla società di revisione incaricata e scelto con le opportune competenze: iscrizione ad apposito albo, funzionario pub-blico di agenzie indipendenti, professore universitario di materie giuridico-economiche. Allo stesso si propone di non applicare le disposizioni di cui all’art. 2236 c.c., secondo il quale il professionista può essere chiamato a rispondere so-lamente per dolo o colpa grave: sarebbe opportuno che l’incarico conferito a tale soggetto si caratterizzasse come obbligazione di risultato nella quale <l’adempimento coincide con la piena realizzazione dello scopo perseguito dal creditore, indipendentemente dall’attività e dalla diligenza spiegate dall’altra parte per conseguirlo… l’obbligazione di risultato può considerarsi adempiuta solo quando si sia realizzato l’evento previsto come conseguenza dell’attività esplicata dal debitore, nell’identità di previsione negoziale e nella completezza quantitativa e qualitativa degli effetti previsti, e, per converso, non può ritenersi adempiuta se l’attività dell’obbligato, quantunque diligente, non sia valsa a far raggiungere il risultato previsto>96. Qualora, nonostante il giudizio positivo espresso in sede di controllo legale dei conti, i dati di bilancio si siano successivamente rilevati infi-ciati da errori e/o frodi, i responsabili della revisione dovrebbero essere tenuti a rispondere a norma dell’art. 1218 c.c. il quale stabilisce che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se

scritture e agli accertamenti eseguiti; c) che il bilancio è conforme alle norme che disciplinano il bilancio di esercizio e, se del caso, il bilancio consolidato (art. 156, comma 1, del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e art. 2409-ter, comma 1, lett. c del c.c.).

La separazione fra le due funzioni innesca a sua volta una separazione fra i regimi di responsabilità. Men-tre da un punto di vista civilistico il nuovo art 2409-sexies c.c., introdotto dal D. Lgs 17 gennaio 2003, n. 6 (“Commissione Vietti” per la riforma del diritto societario) estende la responsabilità <nei confronti della so-cietà, dei soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri> a tutti i soggetti incaricati dell’attività di revisione, sia quelli che abbiano partecipato alla funzione di controllo contabile sia quelli che abbiano formulato il giudizio di veridicità, così non accadde in ambito penale. In particolare, a differenza del-l'abrogato art. 175 del D. Lgs 24 febbraio 1998, n. 58 (Falsità nelle relazioni o comunicazioni della società di revisione), che individuava i soggetti attivi del reato negli amministratori e nei soci responsabili della revisio-ne contabile, il nuovo art. 2624 c.c. (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione), di cui si è già trattato più sopra, con espressione opportunamente più sintetica, fa riferimento ai "responsabili della revisione". A questo proposito, l'art. 156, comma 1, D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, stabilisce che le relazioni contenenti un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato devono essere sottoscritte dal responsabile della revisione contabile, il quale deve essere socio o amministratore della società di revisio-ne e iscritto nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della Giustizia: essendo richieste per il soggetto attivo dette qualifiche, non vi è dubbio che la norma in esame preveda un reato proprio, del quale non potrà essere chiamato a rispondere chi abbia svolto solamente la funzione di controllo e non anche, o so-lamente, la funzione certificativa. Cfr. inoltre Fortunato S., I controlli nella riforma delle società, in Le socie-tà: rivista di diritto e pratica commerciale, societaria e fiscale, n. 2 bis, 2003, p. 30°: < In via di principio il controllo evoca altresì, accanto all’atto o attività controllata, il modello ideale (il contre-role) o gli standard o le regole alle quali deve conformarsi l’atto o l’attività verificata, esprimendosi in definitiva in un raffronto valutativo fra il dato concreto ed empirico rilevato nella realtà sociale e il modello regolatore e quindi in un giudizio di conformità-difformità. Più problematico è se alla funzione di controllo sia ascrivibile altresì un autonomo momento comminatorio (o sanzionatorio), potendosi astrattamente considerare esaurito il compito del controllore nell’espressione del giudizio e limitato perciò ad attivare interni o pubblici meccanismi di ri-provazione o di autotutela propri della «società di vergogna» o dovendosi spingere quel compito ad investire altre autorità sanzionatrici o addirittura incidere direttamente sull’efficacia, validità, permanenza o sostituzio-ne dell’atto o attività controllata>.

96 Così Cassazione civile, Sez. III, 10 settembre 1999, n. 9617.

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non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile97.

Viene così favorito un approccio di volta in volta speciale al problema dell’indipendenza, ossia basato sulla valutazione del caso concreto: una norma flessibile in grado di trascendere parte delle numerose norme in tema di incompa-tibilità il cui elenco sembra <sia da ricondurre, più che ad una precisa scelta legi-slativa, ad una stratificazione nel tempo di norme tra loro scarsamente coordinate, e certamente eccedenti l’ambito di applicazione dell’atteso regolamento del Mini-stero della Giustizia di cui all’art. 160 TUIF>98.

C) Sotto il terzo profilo, il compenso spettante al revisore contabile, quello è liberamente determinato dall’assemblea della società sottoposta a revisione, che non è più tenuta ad osservare i criteri generali a tal fine stabiliti dalla Consob, di cui all’abrogato art. 2, comma 5, D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136.

Il compenso del revisore deve risultare adeguato all’incarico svolto. L’indipendenza può infatti essere minata se l’entità del compenso è tale da limita-re il tempo dedicato ai controlli o da influenzare le qualità professionali del revi-sore99. Al fine di minimizzare il possibile influsso che un particolare soggetto re-visionato potrebbe esercitare sulle società di revisione, in nessun caso il compenso corrisposto dal singolo soggetto revisionato dovrebbe superare una determinata percentuale rispetto ai ricavi totali del revisore.

Su questa materia la raccomandazione della Commissione Europea n. 1873 ha affrontato con particolare attenzione i) il tema della pubblicità dei corrispettivi, prevedendo che tutti gli emolumenti corrisposti al revisore contabile <devono es-sere resi pubblici in forma adeguata>, ii) il tema degli accordi sui corrispettivi, calcolati in base ai risultati dei servizi prestati o al risultato per servizi diversi dal controllo legale dei conti che la società di revisione (o un’entità appartenente alla sua rete) presti a un cliente o a una delle sue consociate, disponendo che simili in-carichi non vengano accettati, e che la base di calcolo del corrispettivo di revisio-ne sia concordata ogni anno in anticipo.

Va inoltre evidenziato che negli ultimi anni si sono segnalati casi in cui le so-cietà di revisione hanno colluso attraverso illeciti accordi di prezzo.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell’adunanza del 28 gennaio 2000, ha deliberato che l’Associazione Italiana Revisori Contabili (Assi-revi) e le maggiori società di revisione ad essa aderenti100 hanno violato l’articolo

97 Cfr. Nel H.C., Gli investitori in qualità di vittime del crimine economico, in Il controllo legale dei con-

ti, ottobre 2000, fasc. 5, pp. 539-572. 98 Cfr. Rabitti Bedogni C., L’attuazione del principio di indipendenza nell’esercizio della revisione, op.

cit., p. 11. 99 Cfr. Commissione paritetica per i Principi di Revisione - C.N.D.C. e C.N.R., Principi di Revisione:

Documento n. 200 – Obiettivi e principi generali della revisione contabile del bilancio, ottobre 2002, p. 8: <Il revisore deve percepire un compenso adeguato all'incarico svolto. La necessità di un adeguato compenso è riconducibile alla posizione di indipendenza che il revisore deve oggettivamente avere nei confronti dell'a-zienda il cui bilancio deve essere revisionato. L'indipendenza può venir meno se l'entità del compenso è tale da limitare il tempo o influenzare le qualità professionali occorrenti per formulare un giudizio sul bilancio>.

100 Arthur Andersen, Coopers & Lybrand, Deloitte & Touche, KPMG, Price Waterhouse e Reconta Ernst & Young.

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2, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, per aver posto in essere intese idonee a falsare in maniera consistente la concorrenza nei mercati dei servizi di revisione in Italia, volte in particolare all’omogeneizzazione dei comportamenti di prezzo e al coordinamento nell’acquisizione della clientela101.

I comportamenti contestati erano tesi a fissare i prezzi, a evitare la competizio-ne fra revisori in carica ed entrante e ad imporre, laddove possibile, <clausole uni-formi> di limitazione della responsabilità contrattuale del revisore. In particolare è stato accertato un significativo coordinamento delle politiche commerciali di tali imprese, realizzato tramite a) la predisposizione di un tariffario relativo ai com-pensi per le singole prestazioni, b) la messa in atto di una politica volta a ridurre le possibilità di sottrazione reciproca dei clienti, infine c) la decisione comune di non partecipare a gare di appalto per l’aggiudicazione del servizio di revisione quando il criterio di conferimento dell’incarico fosse quello del massimo ribasso.

Tali comportamenti sono stati giustificati dalle società di revisione come volti a garantire la qualità della prestazione, e non a favorire il mantenimento di equilibri collusivi. In particolare, tali imprese avevano sostenuto che accettare la concor-renza di prezzo avrebbe fortemente ridotto i loro ricavi, creato un forte incentivo alla riduzione dei costi e, come conseguenza, determinato un significativo deterio-ramento della qualità dei servizi forniti. L’Autorità aveva infine concluso che la qualità del servizio veniva già garantita dall’esistenza dell’Albo dei Revisori e dal rischio di esclusione che la fornitura di un servizio insufficiente avrebbe compor-tato: la fissazione congiunta dei prezzi non garantiva affatto la qualità della pre-stazione fornita.

Si propone qui, specificamente per le società a rilevanza pubblica, da un lato non solo che la definizione dei criteri per la determinazione dei corrispettivi sia riattribuita alla Consob o ad altra Autorità pubblica indipendente, la quale provve-derà a determinare il numero di ore di incarico ritenuto idoneo a garantire il cor-retto svolgimento del controllo102, dall’altro che sia anche spezzato il legame di retribuzione diretta tra la società revisionata e la società di revisione, alias il cliente, prevedendo che le società di revisione siano direttamente retribuite dal bi-lancio dello Stato attraverso un opportuno conto contributo ad hoc, alimentato ad opera delle società sottoposte alla revisione obbligatoria dei conti, in funzione (a mo’ di esempio) di: milioni di fatturato, milioni di patrimonio, numero di control-late estere, complessità dell’opera eseguita, sistema di controllo interno, dimen-sione aziendale.

In ossequio poi al principio espresso dalla Raccomandazione europea n. 1873, <i sistemi di controllo della qualità oggetto della raccomandazione devono essere

101 Cfr. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Provvedimento n. 7979 (I266). 102 Cfr. Comunicazione Consob n. 96003556 del 18 aprile 1996, p. 1: <In linea generale, le ore impiegate

devono essere parametrate alla dimensione aziendale. Infatti, a dimensione crescente corrisponde un numero di ore progressivamente maggiore. Il rischio di revisione risulta così proporzionale alle grandezze patrimonia-li ed economiche della società revisionata. Particolare attenzione andrà, tuttavia, prestata alla circostanza che non sempre il parametro dimensionale ha una diretta correlazione con il rischio di revisione. Infatti, a parità di dimensioni, per due distinte società possono aversi diversi "audit risk", in funzione della composizione e della qualità delle rispettive classi di attivo e di ricavi e della affidabilità assegnata al sistema di controllo interno>.

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soggetti a vigilanza pubblica>103, è opportuno prevedere che la stessa Autorità pubblica incaricata di fissare il prezzo della revisione sia anche investita del pote-re di vigilare sulla qualità del giudizio espresso dal revisore, non limitato, come ricordato più sopra, al resoconto dell’applicazione di acritiche tecniche procedura-li e campionarie di revisione: al revisore devono essere corrisposti compensi e non sinecure. Qualora non si riscontrasse la necessaria diligenza, al revisore non do-vrebbe venire corrisposto alcun compenso: in materia il Tribunale di Torino, con sentenza 21 marzo 1994104, ha espresso la seguente opinione:

<Considerato che le prestazioni di revisione erano in funzione della certi-

ficazione finale e pertanto inscindibili da essa, la assoluta mancanza di serie-tà commerciale e di correttezza professionale di detta certificazione rende globalmente privo di pregio il lavoro svolto e lo pone ben al di sotto dei li-velli minimi di diligenza prescritti all’art. 1176 cpv. c.c., affinché il prestato-re d’opera professionale possa ritenersi adempiente all’incarico ricevuto.

All’inadempienza della ricorrente consegue il non maturare a suo favore del reclamato compenso>.

Sul punto, non sembra opportuno per ora inoltrarsi oltre queste proposte gene-

rali, in attesa di confrontarsi con le riforme legislative che si stanno rincorrendo in ambito sia nazionale sia comunitario-internazionale.

8. Conclusioni

La logica con la quale sono state condotte le osservazioni che precedono è di palese derivazione giuspubblicistica: la revisione aziendale è finalizzata al perse-guimento di scopi quali la tutela della trasparenza, della veridicità, della comple-tezza dell’informazione societaria, a loro volta collegate al più ampio tema della tutela degli investitori.

Diretta conseguenza di quanto sostenuto qui, specie sub 2) è l’esistenza in o-bligatione, per il revisore, della ricerca del vero: muovendo dalla considerazione che il revisore, al fine di adempiere il compito di verifica della regolare tenuta del-la contabilità, deve esprimere un giudizio sull’esatta registrazione degli eventi di gestione nelle scritture contabili, è possibile trarre la conclusione che la ricerca della verità costituisce un risultato dovuto da parte sua, e non invece il fine soltan-to realizzabile, ma non necessariamente dovuto105.

103 Commissione Europea, Raccomandazione n. 1873, 16 maggio 2002, L 191/24. 104 Cfr. Tribunale di Torino, 21 marzo 1994, KPMG Peat Marwick Fides S.n.c. c S.p.A. Kit Leasing in li-

quidazione coatta. 105 Cfr. Rossi A., ult. op. cit., p. 153. Si veda inoltre quanto sostenuto da Di Sabato F., membro della

“Commissione Vietti”, in Diritto delle Società, Giuffré, Milano, 2003, p. 330, in tema di giudizio sui bilanci quale atto conclusivo del processo di revisione: <indipendentemente dai controlli eseguiti, questa relazione deve comunque contenere un’attestazione di verità in riferimento al bilancio, per cui se la dichiarazione non risponde al vero o è manchevole o non consente di rilevare la conformità o difformità del bilancio rispetto ai criteri indicati, la società di revisione risponde di tale «risultato» non veritiero>.

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Chi scrive propone dunque da un lato di rigettare l’orientamento di parte della dottrina che reputa la ricerca della verità da parte del revisore <fine soltanto rea-lizzabile>, considerandone l’attività come condotta in vista di un risultato (la ri-cerca della verità, appunto), dall’altro propone di rifiutare l’orientamento di quanti ritengono che l’attività di certificazione <non sia affatto ricollegabile ad alcuna finalità di ricerca delle frodi od irregolarità>106: come è possibile negare che il re-visore debba pronunciarsi sulla verità del bilancio e della contabilità, e di tale giu-dizio assumersi la piena responsabilità?

Tale ricerca, in questo scritto, è stata interpretata in senso sostanziale, ovvero dichiarando costantemente la necessità di un controllo dei fatti di gestione real-mente penetrante ed esauriente, che trascenda la pura regolarità formale delle re-gistrazioni contabili.

E forse non per combinazione, nella nota per il Consiglio Ecofin di Oviedo (a-prile 2002) “Una prima risposta dell’Unione Europea alle questioni politiche sol-levate dal caso Enron”, si legge: <Il sistema americano dei GAAP contiene nume-rose regole dettagliate (bright lines) che tracciano chiaramente la linea di demar-cazione tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è… contabili e avvocati creativi hanno messo a punto prodotti e metodi contabili che non hanno altra finalità eco-nomica che rispettare la lettera se non lo spirito di queste bright lines. Ne è conse-guito che alcuni bilanci pubblicati negli USA non hanno rispecchiato adeguata-mente la situazione finanziaria dell’impresa>107.

Considerate queste osservazioni appare evidente la distanza fra le proposte pre-cedenti e quelle che sostengono la <marginalità> dell’individuazione di frodi e ir-regolarità nell’ambito dell’attività di revisione aziendale.

Inoltre, poiché una delle più peculiari caratteristiche della revisione di bilancio è di adottare procedure di verifica applicate con sondaggi a campione -le quali possono venire pilotate per fini più o meno leciti e corretti-, non si può e non si deve lasciare il revisore dispensato dall’obbligo di scoprire la verità. Per questo nelle pagine che precedono si è cercato di mettere in guardia dall’uso troppo spre-giudicato di metodologie statistiche (o di algoritmi quali il <modello del rischio di revisione>), mostrando le debolezze intrinseche di quelle, e i possibili usi voluta-mente distorsivi di chi “abbia interesse a torturare i numeri per farli parlare”.

In questo scritto si è poi condivisa la posizione di parte della dottrina108 secon-do la quale il rispetto dei Principi di Revisione raccomandati non costituisce, di

106 Così Valensise P., Le responsabilità delle società di revisione. Considerazioni dopo le prime pronun-

zie giurisprudenziali, in Giurisprudenza Commerciale, II, 1996, p. 522. 107 Consiglio Ecofin di Oviedo, Una prima risposta dell’Unione Europea alle questioni politiche solleva-

te dal caso Enron, www.ue.it, aprile 2002, p. 1. 108 Cfr. Regoliosi C., Indipendenza ed obiettività nelle funzioni di revisione interna ed esterna, in

Auditing: rivista dell’Associazione Italiana Internal Auditors – National Institute, Anno XV, n. 46 gennaio – aprile 2003, p. 37; Giacalone G., La responsabilità Civile nella Attività di Revisione Contabile, in Il fallimen-to e le altre procedure concorsuali, 1994, p. 203; Rossi A., ult. op. cit., p. 180; Santaroni M., In tema di ne-gligenza del revisore, in Giurisprudenza italiana, I, 2, 1994, p. 655 e dello stesso Autore, La responsabilità del revisore, Giuffrè, Milano, 1984; Valensise P., op. cit., 1996, p. 492; Casadei D., La responsabilità della società di revisione, Giuffrè, Milano, 2000. A sostegno della tesi secondo la quale è sicuramente negligente la società di revisione qualora non segua i criteri e le procedure raccomandate, si veda per tutti Bussolotti M., Le

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per sé, prova dell’esatto adempimento degli obblighi che gravano sulla società di revisione. Tale rispetto potrà venire valutato come indizio che il revisore abbia u-tilizzato un qualche grado di diligenza, ma non come prova conclusiva di un <a-dempimento esatto>. Soltanto attraverso una più ampia valutazione, che tenga conto delle circostanze concrete nelle quali la società di revisione si è trovata ad operare, sarà possibile stabilire se il rispetto dei Principi di Revisione raccomandati possa configurare in exitu un <adempimento esatto> da parte della stessa. Vanno poi richiamate le conclusioni in tema di indipendenza. Già oggi la pro-fessione della revisione aziendale è attività privata con fini lucrativi, svolta da chi ha la consapevolezza che un comportamento collusivo o quantomeno compiacente accresce la possibilità di vedersi rinnovato il mandato:

<The auditing of public companies by external auditors is in many cases

an "all in the family" affair. Auditors are in too many companies effectively appointed and reappointed by managers, who also have a significant say in the audit fees (formally, the board’s audit committee is primarily involved in auditors’ appointment, and their reappointment is approved in the annual shareholders’ meeting: in many corporations, however, these are just for-malities)>109.

Per il tramite di società o studi professionali a latere che compongono la <re-

te> entro la quale opera la società di revisione110 è infatti possibile eludere le di-sposizioni previste nel nostro ordinamento a garanzia dell’indipendenza dei revi-sori, fra esse in particolare: le incompatibilità di cui all’art. 3 del D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136111; la norma di cui all’art. 6 del D. Lgs. 27 gennaio 1992, n. 88, per il

società di revisione, Giuffrè, Milano, 1985, p. 105. In posizione di equilibrio fra i due orientamenti si colloca Salafia V., Nota ad App. Milano 7 luglio 1998, in Le società: rivista di diritto e pratica commerciale, societa-ria e fiscale, 1998, p. 1184, il quale reputa che i principi di revisione <non costituiscono di certo regole obbli-gatorie, la cui osservanza metta il revisore a riparo da contestazioni, ma sono suggerimenti di condotta, basati sull’esperienza e sulla scienza autorevole di chi li ha preparati, la cui osservanza, nella maggior parte dei casi, dispenserà da responsabilità il revisore. In concreto spetterà a chi ne contesti l’opera dimostrare come, nella fattispecie, la suddetta osservanza non fosse sufficiente>.

109 Baruch L., The reform of corporate reporting and auditing, Testimony before the House of Represen-tatives Committee on Energy and Commerce, 6 febbraio 2002, p. 3.

110 La Raccomandazione dell’Unione Europea n. 1873 del 16 maggio 2002 (L 191/55) ha fornito la se-guente definizione di “rete”: <una rete comprende la società di revisione che esegue la revisione legale come pure le sue consociate e qualsiasi altra entità controllata dalla società di revisione e soggetta con essa ad un controllo, una proprietà o una gestione comuni, o collegata o associata in altro modo alla società di revisione attraverso l’uso di una denominazione comune o la messa in comune di significative risorse professionali>.

111 Tali incompatibilità risultano tuttora operative non essendo stato emanato il regolamento del Ministro della Giustizia previsto dall’art. 160 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.

L’art. 3 del D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136, recita: <Incompatibilità. L'incarico non può essere conferito a società di revisione che si trovino in situazioni di incompatibilità derivanti da rapporti contrattuali o da parte-cipazioni o i cui soci, amministratori, sindaci o direttori generali:

1) siano parenti o affini entro il quarto grado degli amministratori, dei sindaci o dei direttori generali della società che conferisce l'incarico o di altre società o enti che la controllano;

2) siano legati alla società che conferisce l'incarico o ad altre società o enti che la controllano da rap-porti di lavoro autonomo o subordinato, ovvero lo siano stati nel triennio antecedente al conferi-mento dell'incarico;

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quale l’oggetto sociale delle società di revisione deve essere <limitato alla revi-sione e alla organizzazione contabile della società>; la norma di cui all’art. 39 del D.P.R. 6 marzo 1998, n. 99, che attribuisce al Direttore Generale degli Affari Ci-vili e delle Libere Professioni presso il Ministero della Giustizia il potere di di-sporre la sospensione dell’iscritto all’Albo dei Revisori in stabiliti casi di dipen-denza e incompatibilità112.

Nonostante dunque le fonti delle inefficienze revisive siano conosciute da anni, si continua tuttavia a ricercare le soluzioni all’interno delle ristrette mura dei pre-

3) siano amministratori o sindaci della società che conferisce l'incarico o di altre società o enti che la

controllano, ovvero lo siano stati nel triennio antecedente al conferimento dell'incarico; 4) si trovino in altra situazione che ne comprometta, comunque, l'indipendenza nei confronti della so-

cietà. I soci, gli amministratori, i sindaci o i dipendenti della società di revisione alla quale è stato conferito l'in-

carico a norma dell'art. 2 non possono esercitare le funzioni di amministratore o di sindaco della società che ha conferito l'incarico, né possono prestare lavoro autonomo o subordinato in favore della società stessa, se non sia decorso almeno un triennio dalla scadenza o dalla revoca dell'incarico, ovvero dal momento in cui abbiano cessato di essere soci, amministratori, sindaci o dipendenti della società di revisione.

Il divieto di cui al quarto comma dell'art. 2372 del codice civile si applica anche alla società di revisione alla quale sia stato conferito l'incarico e ai soci, amministratori, sindaci e dipendenti della società stessa>.

112 L’art. 39 del D.P.R. 6 marzo 1998, n.99, “Regolamento recante norme concernenti le modalità di eser-cizio della funzione di revisore contabile” così dispone: <Sospensione del revisore contabile. 1. Se emergono fatti che compromettono gravemente l'idoneità al corretto svolgimento delle funzioni di

controllo dei conti, il direttore generale degli affari civili e delle libere professioni dispone la sospensio-ne dell'iscritto per un periodo non superiore ad un anno ai sensi dell'art. 10, comma 3, del decreto legisla-tivo 27 gennaio 1992, n. 88 .

2. L'idoneità al corretto svolgimento delle funzioni di controllo dei conti deve ritenersi gravemente com-promessa se:

a) emergono fatti che denotano grave incapacità tecnica, o, per le società, grave incapacità organizzati-va, ovvero mancanza di integrità morale dell'iscritto o dei soggetti di cui questi si avvale per svolge-re la sua attività;

b) emergono fatti che denotano gravi negligenze commesse dall'iscritto; c) l'iscritto, l'amministratore, il direttore generale, il socio o i soggetti di cui l'iscritto si avvale per svol-

gere la sua attività, intrattengono con il soggetto che conferisce l'incarico, o con soggetti controllati, rapporti continuativi o rilevanti aventi ad oggetto prestazioni di consulenza o collaborazione, ovvero li abbiano intrattenuti nei due anni antecedenti al conferimento dell'incarico;

d) l'iscritto, l'amministratore, il direttore generale, il socio o i soggetti di cui l'iscritto si avvale per svol-gere la sua attività, sono legati alla società o all'ente che conferisce l'incarico, o a società o enti che la controllano, da rapporti di lavoro subordinato o autonomo, ovvero lo siano stati nei tre anni antece-denti al conferimento dell'incarico;

e) l'iscritto, l'amministratore, il direttore generale, il socio o i soggetti di cui l'iscritto si avvale per svol-gere la sua attività, sono amministratori della società o dell'ente che conferisce l'incarico o di società o enti che la controllano, ovvero lo siano stati nei tre anni antecedenti al conferimento dell'incarico;

f) l'iscritto è eletto sindaco o evita la decadenza dalla carica, tacendo consapevolmente sulla ricorrenza di una delle situazioni indicate nell'art. 2399 del codice civile diverse da quelle indicate nell'art. 2382 del codice civile;

g) l'iscritto persona fisica, o il legale rappresentante della società di revisione, viene sottoposto a misure cautelari;

h) emerge ogni altro fatto dal quale possa desumersi che nel caso concreto è compromessa gravemente l'idoneità al corretto svolgimento delle funzioni di controllo dei conti.

3. L'impiego del tirocinante, per servizi di segreteria o per attività estranee a quelle proprie della funzione di revisore contabile, costituisce illecito disciplinare a carico del soggetto presso il quale il tirocinio vie-ne svolto.

3. -bis- Le disposizioni di cui alle lettere d) ed e) del comma 2 non si applicano nei confronti delle ammini-strazioni dello Stato e di ogni altro ente pubblico>.

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esistenti canoni di governo e controllo societario: vengono posti nuovi (o sempli-cemente riformulati?) sistemi di salvaguardia a difesa dell’indipendenza del revi-sore, e ripetuti divieti di svolgere funzioni che debordino dai compiti specifici del-la revisione contabile, divieti peraltro non di rado vanificati dalla permeabile di-versificazione divisionale fra le aree di revisione e consulenza: duo in carne una.

Va osservato che le raccomandazioni e le proposte di legge, le quali si rincor-rono nei diversi ordinamenti giuridici a seguito dei recenti scandali finanziari, si preoccupano sovente di individuare sistemi di supervisione e comunicazione per i servizi non revisionali, così de facto ammettendoli113.

La Commissione Europea, nella Raccomandazione n. 1873, sembra in certi passi per absurdum addirittura preoccupata di difendere lo status quo della revi-sione aziendale:

<Queste disposizioni non sono intese a limitare i servizi che un revisore

legale, una società di revisione o una società facente parte della sua rete pre-stano in relazione alla valutazione, alla progettazione e alla realizzazione dei controlli contabili interni e dei controlli di gestione del rischio, purché le persone che prestano i servizi in questione non agiscano in quanto dipenden-ti e si astengano dall’assumere compiti propri della direzione aziendale”>114;

<Né l’obiettività né l’integrità possono essere agevolmente messi alla pro-

va o assoggettati a verifica esterna. Di conseguenza, gli Stati membri e i pro-fessionisti della revisione contabile hanno sviluppato regole e indirizzi che sanciscono la preminenza di tali principi e chiariscono le responsabilità eti-co-professionali dei revisori legali>115;

<Qualsiasi consulenza o assistenza relativa ad un servizio prestata dal re-

visore legale o dalla società di revisione deve dare al cliente, alle consociate del cliente o alla direzione aziendale di tali entità la possibilità di scegliere tra più alternative ragionevoli. Questo non impedisce al revisore legale, alla società di revisione o ad una società appartenente alla sua rete di formulare raccomandazioni al cliente>116.

La funzionalità di tali salvaguardie risulta dubitabile: la redazione appare infatti

indice di una tendenza a preservare gli esistenti equilibri di lobby, nel timido ten-tativo di arginare le inefficienze del mercato nelle sole occasioni di fallimento già manifestatesi, e inoltre consentendo molteplici possibilità elusive fra le pieghe della legge.

Su posizioni non radicalmente innovative -già anticipate dalle comunicazioni Consob n. 96003558 del 18 aprile 1996 e n. 1025564 del 6 aprile 2001-, si attesta altresì la Commissione Galgano, la cui relazione finale, pur indicando proposte

113 Cfr. Mattei U. e Sartori F., Conflitto continuo. Ad un anno da Enron negli Stati Uniti e in Europa, in Politica del diritto, anno XXXIV, 2003, pp. 13-21.

114 Commissione Europea, Raccomandazione n. 1873, 16 maggio 2002, L 191/30. 115 Commissione Europea, Raccomandazione n. 1873, 16 maggio 2002, L 191/34 (allegato). 116 Commissione Europea, Raccomandazione n. 1873, 16 maggio 2002, L 191/47 (allegato).

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prima facie rigorose e attente alla realtà dei fatti117, si preoccupa all’inizio del pa-ragrafo 2.3 titolato “le soluzioni possibili” di definire <troppo drastica> la solu-zione che precludesse <i vantaggi che possono derivare dalla polifunzionalità del-la rete, la quale offre maggiore varietà e quindi ricchezza di conoscenze e di espe-rienze>118.

La materia è stata inoltre oggetto di attenzione da parte della “Commissione Vietti”, incaricata della riforma del diritto societario che entrerà in vigore il pros-simo primo gennaio. Il D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, dispone che per le società che ricorrono al mercato dei capitali di rischio il controllo contabile sia svolto ob-bligatoriamente da una società di revisione iscritta nel Registro dei Revisori Con-tabili tenuto presso il Ministero della Giustizia, disponendo l’applicabilità al ri-guardo della disciplina dell’attività di revisione e della vigilanza Consob propria delle quotate: viene così formalizzato il principio di separazione fra controllo ge-storio e controllo contabile già accolto dalla legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 (art. 4, comma 2, lett. a, n. 1). Per le altre Società per Azioni non rientranti nella fattispecie da ultimo menzionata, il controllo legale dei conti potrà essere effettua-to dal singolo revisore, da una società di revisione e, ove la società non sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato, anche dal collegio sindacale119.

Resta infine valido quanto disposto dal D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in tema di nomina, revoca, funzioni e responsabilità: va ricordato in particolare che -in base alle nuove disposizioni- la revoca del revisore potrà avvenire solo per giusta

117 Cfr. Commissione di studio sulla trasparenza delle Società Quotate, Relazione Finale, 27 settembre

2002, www.tesoro.it: <Al riguardo la Commissione ha maturato i seguenti convincimenti, che sviluppano la linea di rigore già accolta dall’art. 6 del citato D. Lgs. n. 88 del 1992, tenendo conto degli apporti ulteriori sia della Raccomandazione UE, sia della legge USA:

1) fermo restando per le società di revisione il limite all’oggetto sociale di cui all’art. 6 del D. Lgs. n. 88 del 1992, le entità che compongono la rete cui la società di revisione appartiene non possono of-frire alla società sottoposta a revisione servizi diversi dalla revisione che appaiano incompatibili con la revisione in quanto suscettibili di pregiudicare l’indipendenza della società di revisione ri-spetto alla società cliente, così come individuati con regolamento Consob, sentite le organizzazioni professionali della categoria;

2) è necessario a tal fine che sia introdotto nel nostro ordinamento il concetto di rete, così come ade-guatamente formulato dalla citata Raccomandazione UE, e che la composizione della rete sia resa nota in allegato al bilancio annuale e, comunque, in allegato alla offerta rivolta ai clienti;

3) che sia tuttavia vietato alla società sottoposta a revisione ed alle sue controllanti e controllate di conferire incarichi diversi dalla revisione, oltre che alla società cui ha conferito l’incarico della re-visione, anche alle entità interne alla rete cui questa appartiene, se tali incarichi hanno per oggetto servizi che siano stati valutati, con il regolamento Consob di cui sub 1, come incompatibili con l’incarico di revisione;

4) che siano resi pubblici, allo stesso modo con cui viene reso pubblico il bilancio sottoposto a revi-sione, i compensi che la società di revisione e la rete cui appartiene hanno percepito dalla società sottoposta a revisione;

5) che sia rafforzato il cooling-off period>. 118 Cfr. Commissione di studio sulla trasparenza delle Società Quotate, Relazione Finale, 27 settembre

2002, www.tesoro.it, p. 12. 119 Questo nella sola ipotesi che la società adotti il sistema tradizionale: tale disposizione non si applica

perciò al comitato per il controllo sulla gestione e al consiglio di sorveglianza nei due sistemi alternativi mo-nistico e dualistico.

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causa, sentito il parere dei sindaci e con la garanzia dell’approvazione del tribuna-le, sentito l’interessato (art. 2409-quater)120.

Tuttavia, quando come in questi ultimi anni il sistema privato-contrattualistico-autoregolamentato della certificazione dei bilanci, posto a difesa del pubblicistico <buon governo dell’economia>, svela la sua debolezza e fallacia, si teme che an-che queste disposizioni possano meramente riproporre la stessa catena di controlli mostratasi, alla prova dei fatti, inidonea: a) la vigilanza pubblica sul b) controllo privato nei confronti di c) società che operano per mezzo del risparmio diffuso.

Se l’anello debole della catena si è rivelato essere il controllo privato, la solu-zione che si intende qui avanzare è di mutare il vigente concatenamento giuridico-formale in luogo di attestarsi su posizioni che, per quanto riformate, paiono sem-pre ricadere nelle mende oggettive più sopra evidenziate.

A chi sostiene essere sufficiente impedire formalmente alle società di revisione di svolgere servizi non revisionali, in primis di consulenza, si ricorda come le stesse società si siano strutturate in reti che si fondano sovente su accordi relati-vamente flessibili tra entità giuridiche sì distinte e autonome ma non indipendenti. Tradotta in norma tale limitazione, <il sistema si indirizzerebbe verso la patologia con i probabili tentativi di eclissare i legami apparenti tra diverse unità nell’ambito di un network e, per contro, l’affermarsi di legami occulti. Per altro verso, sarebbe sempre possibile l’attuazione di tacite intese incrociate tra diverse società di revisione, intese per le quali ciascuna società di revisione potrebbe fa-vorire l’affidamento di incarichi di consulenza a soggetti vicini ad una società di revisione “gemellata”>121. Non va poi dimenticata, come analizzato sub 3, la natu-ra della <revisione riformata>, capace di dissimulare sotto le vesti del controllo contabile servizi lato sensu aziendali ma dalle attività difficilmente distinguibili in modo assoluto.

L’affidabilità dei dati contabili delle società che per il loro finanziamento si ri-volgono al più ampio mercato dei risparmiatori impone dunque una riflessione at-torno alle condizioni minime di reale tutela, la quale, alla luce dei fallimenti del mercato autoregolamentato, deve necessariamente passare attraverso un profondo ripensamento della norma codificata. È d’altra parte indubbio che tali prospettate nuove regole debbano misurarsi nel continuum con la disciplina complessiva dell’organizzazione societaria, a propria volta in corso di (ampie?) modificazioni.

120 Cfr. Presti G., La riforma e le società quotate, relazione presentata al convegno “Il nuovo diritto delle

società di capitali e delle società cooperative”, Piacenza 14-15 marzo 2003, p. 6: <La riforma non ha colto l’occasione per colmare alcuni difetti di disciplina posti in luce dai noti scandali statunitensi, peraltro maturati in un contesto regolamentare che al riguardo era ben più arretrato del nostro. Alludo soprattutto alla opportu-nità, se non necessità, di stabilire presidi più severi in materia di effettiva indipendenza delle società di revi-sione e di prevenzione/repressione dei conflitti di interesse troppo facilmente riscontrabili nella prassi tra so-cietà oggetto di controllo e soggetti che fanno parte del network cui la società di revisione appartiene>.

121 Cfr. C. Rabitti Bedogni, op. cit., p. 27.

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APPENDICE

Si rende noto che in data 15 aprile 2003 è stato comunicato alla Presidenza del Senato il disegno di legge n. 2202 -di seguito riprodotto-, d’iniziativa del senatore Riccardo Pe-drizzi, avente ad oggetto disposizioni in tema di responsabilità e incompatibilità delle so-cietà di revisione:

DISEGNO DI LEGGE n. 2202

———–

Disposizioni sul regime della responsabilità e delle incompatibilità delle società di revisione

Art. 1.

1. All’articolo 164 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di inter-mediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:

«2-bis. In presenza di indizi di irregolarità nelle informazioni societarie diffuse al mercato la società di revisione è tenuta al risarcimento dei danni lamentati dai soci e dai terzi se non prova la diligenza nell’adempimento del proprio incarico, in particolare for-nendo la documentazione del procedimento seguito e la ragione dei criteri adottati nello svolgimento dell’incarico stesso».

Art. 2.

1. L’articolo 160 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, è sostituito dal seguente:

«Art. 160. - (Indipendenza dei revisori). – 1. La società incaricata della revisione non può prestare, direttamente o indirettamente, per interposta persona o in qualunque al-tra forma, attività diverse a favore della società oggetto della revisione o delle società o soggetti che siano controllanti o controllati della società oggetto della revisione, o ad essa collegati o sottoposti al medesimo controllo.

2. La società incaricata della revisione, i suoi soci e i dipendenti non possono rice-vere, in via diretta o indiretta, a qualsiasi titolo e sotto qualsiasi forma, compensi, ricavi o comunque vantaggi economici diversi da quelli previsti dall’incarico per la revisione, e-rogati dalla società oggetto della revisione o dalle società o soggetti che siano controllanti o controllati della società oggetto della revisione, o ad essa collegati o sottoposti al mede-simo controllo.

3. In ogni caso l’incarico non può essere conferito a società di revisione che si tro-vino in situazioni di incompatibilità per essere collegate finanziariamente quali società controllanti o controllate, ovvero collegate, ovvero in rapporti di partnership che comun-que ne condizionino l’indipendenza, con consulenti o società di consulenza, o soci di quest’ultima, che abbiano prestato nel triennio precedente la propria attività a favore della società, ente o soggetto da sottoporre a revisione contabile. L’incarico non può altresì es-

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sere conferito alla società di revisione i cui soci o i responsabili della revisione si trovino in situazione di incompatibilità per essere collegati finanziariamente quali soggetti con-trollanti, o per avere rapporti di partnership o di collaborazione che comunque ne condi-zionino l’indipendenza, con consulenti o società di consulenza, o soci di quest’ultima, che abbiano svolto nel triennio precedente la propria attività presso la società, ente o soggetto da sottoporre a revisione contabile.

4. In ogni caso l’incarico non può essere conferito a società che si trovino in situa-zioni di incompatibilità derivanti da rapporti contrattuali o da partecipazioni o i cui soci, amministratori, sindaci o direttori generali: a) siano parenti o affini entro il quarto grado degli amministratori, dei sindaci o dei di-

rettori generali della società che conferisce l’incarico o di altre società o enti che la controllano;

b) siano legati alla società che conferisce l’incarico o ad altre società o enti che la con-trollano da rapporti di lavoro autonomo o subordinato ovvero lo siano stati nel trien-nio antecedente al conferimento dell’incarico;

c) siano amministratori o sindaci della società che conferisce l’incarico o di altre società o enti che la controllano, ovvero lo siano stati nel triennio antecedente al conferimen-to dell’incarico;

d) si trovino in altra situazione che ne comprometta, comunque, l’indipendenza nei con-fronti della società.

5. I soci, gli amministratori, i sindaci o i dipendenti della società incaricata della revisione non possono esercitare le funzioni di amministratore o di sindaco della società che ha conferito l’incarico, né possono prestare lavoro autonomo o subordinato in favore della società stessa, se non sia decorso almeno un triennio dalla scadenza o dalla revoca dell’incarico, ovvero un anno dal momento in cui abbiano cessato di essere soci, ammini-stratori, sindaci o dipendenti della società di revisione.

6. I rapporti economici e il collegamento finanziario di cui ai commi 2 e 3 si pre-sumono, salva la prova contraria, in chi nello svolgimento di attività di consulenza di qualsiasi genere sviluppi, o abbia sviluppato nel triennio precedente, la maggior parte del proprio fatturato con prestazioni rese a favore di società che abbiano affidato l’incarico di revisione alla stessa società di revisione, o a favore di società le cui società o soggetti controllanti, collegati, o sottoposti al medesimo controllo abbiano affidato l’incarico di revisione alla stessa società di revisione.

7. La Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) e gli ordini ed i collegi professionali vigilano sul rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo. A tal fine, gli ordini ed i collegi professionali, per i profili di incompatibilità professionale e disciplinari e salve le norme ed i poteri ad essi a tale scopo attribuiti, possono richiedere ai propri iscritti di comunicare il volume d’affari per gli effetti di cui al comma 6 e ri-chiedere loro ogni altra informazione. Le stesse informazioni possono essere richieste dalla Consob, anche per il tramite degli ordini e dei collegi professionali interessati. La Consob vigila sui consulenti non appartenenti ad alcun ordine o collegio professionale, anche richiedendo informazioni utili a verificare quanto previsto al comma 6.

8. Il divieto previsto dall’articolo 2372, quarto comma, del codice civile si applica anche alla società di revisione alla quale sia stato conferito l’incarico e al responsabile della revisione.

9. I contratti conclusi in violazione o in frode delle disposizioni di cui al presente articolo sono nulli di pieno diritto».

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Art. 3.

1. Per i rapporti in corso, le incompatibilità e le violazioni dei divieti previste dagli articoli 1 e 2 devono cessare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

2. La lettera c) del comma 2 dell’articolo 214 del testo unico di cui al decreto legi-slativo 24 febbraio 1998, n. 58, è abrogata.

3. La presente legge entra in vigore il sessantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE

PAPERS PUBBLICATI∗:

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1999. 5. Giuseppe BERTOLI, Salvatore VICARI, L'impresa diversificata come organizzazione che

apprende, dicembre 1999. 6. Virna FREDDI, Attività economica e impresa nella concezione economicista, febbraio 2000. 7. Virna FREDDI, L'approccio Resource-based alla teoria dell'impresa: fattori interni e compe-

titività aziendale, febbraio 2000. 8. Maria MARTELLINI, Sviluppo, imprese e società, maggio 2000. 9. Arnaldo CANZIANI, Per la critica della teoresi zappiana, e delle sue forme di conoscenza,

dicembre 2000. 10. Giuseppe BERTOLI, Gabriele TROILO, L'evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle

origini agli anni settanta, dicembre 2000. 11. Giuseppe BERTOLI, Profili di efficienza delle procedure concorsuali. Il concordato preven-

tivo nell’esperienza del tribunale di Brescia, dicembre 2000. 12. Daniele RONER, Domanda e offerta di beni economici. Rassegna critica dall’irrealismo neo-

classico alla differenziazione dei prodotti, marzo 2001. 13. Elisabetta CORVI, Le valenze comunicative del bilancio annuale. I risultati di un'indagine

empirica, luglio 2001. 14. Ignazio BASILE, Nicola DONINELLI, Roberto SAVONA, Management Styles of Italian E-

quity Mutual Funds, agosto 2001. 15. Arnaldo CANZIANI, I processi competitivi fra economia e diritto, settembre 2001. 16. André Carlo PICHLER, L'Economic Value Added quale metodo di valutazione del capitale

economico e strumento di gestione aziendale, dicembre 2001. 17. Monica VENEZIANI, Economicità aziendale e capacità informativa del bilancio nelle azien-

de cooperative agricole, dicembre 2001. 18. Pierpaolo FERRARI, La gestione del capitale nelle principali banche internazionali, febbraio

2002. 19. Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Il valore della marca. Modello evolutivo e metodi di

misurazione, marzo 2002. 20. Paolo Francesco BERTUZZI, La gestione del rischio di credito nei rapporti commerciali, a-

prile 2002. 21. Vincenzo CIOFFO, La riforma dei servizi a rete e l'impresa multiutility, maggio 2002. 22. Giuseppe MARZO, La relazione tra rischio e rendimento: proposte teoriche e ricerche empi-

riche, giugno 2002. 23. Sergio Albertini, Francesca VISINTIN, Corporate Governance e performance innovativa nel

settore delle macchine utensili italiano, luglio 2002. 24. Francesco AVALLONE, Monica VENEZIANI, Models of financial disclosure on the Inter-

net: a survey of Italian companies, gennaio 2003. 25. Anna CODINI, Strutture organizzative e assetti di governance del non profit, ottobre 2003. 26. Annalisa BALDISSERA, L’origine del capitale nella dottrina marxiana, ottobre 2003. 27. Annalisa BALDISSERA, Valore e plusvalore nella speculazione marxiana, ottobre 2003. 28. Sergio ALBERTINI, Enrico MARELLI, Esportazione di posti di lavoro ed importazione di

lavoratori:implicazioni per il mercato locale del lavoro e ricadute sul cambiamento organiz-zativo e sulla gestione delle risorse umane, dicembre 2003.

∗ Serie depositata a norma di legge

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Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Dicembre 2003

Paper numero 29

Federico MANFRIN

SULLA NATURADEL CONTROLLO LEGALE DEI CONTI

E LA RESPONSABILITÀ DEI REVISORI ESTERNI