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Francesco Russo ANTROPOLOGIA DELLE RELAZIONI Tendenze e virtù relazionali ARMANDO EDITORE

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Francesco Russo

ANTROPOLOGIA DELLE RELAZIONI

Tendenze e virtù relazionali

ARMANDO EDITORE

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Sommario

PresentazioneAlle radici della società 9

Capitolo primoLa relazionalità umana: uno sguardo introduttivo 12

1. All’origine della persona 121.1. Una proprietà originaria e costitutiva 121.2. Il sociobiologismo e il rischio del riduzionismo 14

2. Natura e cultura, tendenze e virtù 172.1. Natura e natura umana 172.2. Cultura 212.3. Tendenze 222.4. Virtù 24

3. Tendenze socializzanti e virtù relazionali 264. Una questione apparentemente terminologica 315. Sulle fonti 34

Capitolo secondoLa relazione con le origini: pietas 37

1. La genealogia della persona 372. Il riconoscimento di un debito 413. Il passato e la tradizione 444. Perfezionamento della tendenza 45

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Sommario

Capitolo terzoIl riconoscimento dell’eccellenza altrui: observantia 50

1. Figure paterne 502. Eccellenza e autorità 513. Il ruolo di guida 54

Capitolo quartoOnorare il merito altrui: dulia 61

1. Essere onorati e onorare 612. Chi merita onore? 663. Modelli e crescita morale 68

Capitolo quintoRispettare chi ha autorità: obbedienza 71

1. Autorità e libertà 712. Ordine e bene comune 753. Capi e modelli 804. Formalismo e fanatismo, disobbedienza e ribellione 85

Capitolo sestoCondividere e comunicare: liberalità 89

1. Un circuito di doni 892. Alle origini della società 913. Cosa, come e perché si dona 944. È possibile la gratuità del dono? 975. Prodigalità e avarizia 101

Capitolo settimoLa reciprocità della gratitudine 104

1. La coesione della società 1042. Un dovere osservato liberamente e con gioia 1063. La gratitudine autentica 1094. La falsa gratitudine 111

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Capitolo ottavoReagire dinanzi al male: la vindicatio 113

1. L’altra faccia della reciprocità 1132. Dall’impulso alla virtù 1153. Tra iracondia e acquiescenza 120

Capitolo nonoIl debito della veracità 123

1. La verità nelle azioni e nelle parole 1232. Inclini alla verità 1253. Autenticità e fiducia 1284. Spontaneità e sincerità 1325. Le contraffazioni della verità 134

Capitolo decimoAffabilità, amichevolezza, convivialità 137

1. Il piacere di stare con gli altri 1372. Trattare ciascuno nel modo dovuto 1403. Lupi o amici? 1424. Condiscendenza e scontrosità 145

ConclusioniRelazionalità e cittadinanza 147

Indice dei nomi 153

Sommario

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Presentazione

Alle radici della società

C’è prima la persona o prima la società? Malgrado l’apparenza, l’interrogativo non è banale e nella storia del pensiero troviamo tentativi di risposta che accetta-no la domanda disgiuntiva e fanno sorgere più problemi di quanti ne risolvano. Perciò, sapientemente Luigi Pa-reyson non ammette l’alternativa e conclude: «Persona e società nascono insieme: non è possibile né presupporre la persona alla società né presupporre la società alla per-sona», altrimenti si cadrebbe nelle posizioni da lui defini-te di “individualismo naturalistico” e di “pampoliticismo organicistico”1.

Nelle presenti pagine eviterò anch’io di impostare dua-listicamente la riflessione sulla persona e sulla società, ma cercherò di risalire alle radici antropologiche della vita sociale, che stanno alla base delle diverse forme che essa storicamente può assumere. Terrò conto, nei limiti del possibile, dei risultati delle scienze umane, ma non mi fermerò a un’analisi di tipo etologico o sociologico.

1 L. Pareyson, Esistenza e persona, Il Melangolo, Genova 19854, p. 187.

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Presentazione

Chiamerò in causa questioni etiche, ma non intendo im-postare una riflessione di tipo normativo o parenetico. Spingerò l’indagine oltre il livello fenomenico non per elaborare un’ontologia, ma perché sono consapevole, come tanti, che un’antropologia filosofica non può che es-sere un’antropologia metafisica.

Lascio al primo capitolo il compito di presentare la mappa del percorso speculativo da me seguito. Qui desi-dero solo offrire poche premesse metodologiche.

In primo luogo, condividere la persuasione che il proget-to è indubbiamente molto ambizioso, giacché si potrebbero scrivere numerosi libri su ciascuno dei temi affrontati. Ma non ho mai avuto la presunzione di pubblicare un trattato esaustivo, bensì solo il desiderio di mettere insieme le ispi-razioni sorte dallo studio su questo argomento sulla spin-ta di alcuni corsi universitari tenuti di recente. L’intento principale, come ribadirò lungo l’esposizione, è indicare il filo rosso che unisce i capisaldi antropologici della filoso-fia classica con frequenti spunti della filosofia moderna e contemporanea, nonché con varie acquisizioni attuali delle scienze umane. La mia speranza è che ne emerga quanto sia necessario riflettere sulla persona umana con una pro-spettiva storicamente poliedrica e interdisciplinare. Proprio per questo, anche se farò sovente riferimento al pensiero di Aristotele e di Tommaso d’Aquino, non ho inteso scrivere un saggio sul loro pensiero, sicché non passerò in rassegna tutte le loro opere né prenderò nella dovuta considerazione il fitto e lungo dibattito su di loro.

Dal punto di vista puramente formale, quando citerò in italiano un brano tommasiano, ne trascriverò l’originale

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Presentazione

latino in nota; la traduzione sarà sempre mia, seppur ispirata alle tante disponibili2. Per l’Etica Nicomachea, indispensabile punto di riferimento per quest’ambito di ricerca, userò l’edizione italiana curata da Claudio Maz-zarelli3, ma segnalerò che in taluni casi me ne discosto per seguire meglio, a mio avviso, il testo greco.

Aver dato alle stampe questo libro è solo un passaggio nell’itinerario mai concluso di studio e di dialogo con col-leghi e studenti, dai quali sono sempre pronto a ricevere stimoli e suggerimenti.

2 Nel riferirmi in nota alla Summa theologiae, non ne ripeterò ogni volta l’autore.3 aristoteLe, Etica Nicomachea, a cura di C. Mazzarelli, Bompiani, Milano 2000. Pertan-

to, nelle note a piè di pagina non specificherò più i dati editoriali e il numero di pagina, ma mi limiterò a citare il titolo dell’opera, omettendone l’autore. Poiché faccio riferimento a questa edizione, per comodità ne segnalerò, oltre alla suddivisione in libri, anche quella in capitoli; ma indicherò sempre anche la numerazione di Bekker dei singoli brani.

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Capitolo primoLa relazionalità umana: uno sguardo introduttivo

1. All’origine della persona

1.1. Una proprietà originaria e costitutiva

La persona umana è un essere relazionale: resterebbe incomprensibile, se si prescindesse da questa sua caratte-ristica fondamentale. Nella persona la relazionalità è ori-ginaria e costitutiva.

Originaria, perché si trova all’origine del singolo, il quale non si autocrea. Ognuno è istituito come una novi-tà nell’essere: la creatura umana nasce in relazione con l’amore divino e con l’amore umano, contrassegnata dal rapporto fondante di filiazione-paternità-maternità1. Ma l’essere personale è una realtà ontologica che implica un compito esistenziale (bisogna, cioè, realizzarsi autentica-mente come persone), sicché anche la filiazione, la pater-nità e la maternità sono relazioni fondanti che racchiudo-no una responsabilità etica. In altre parole, non si riducono

1 Cfr. M. serretti, Natura della comunione. Saggio sulla relazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 1999, pp. 136 ss.

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La relazionalità umana: uno sguardo introduttivo

ad un dato anagrafico o biologico, ma vanno vissute in modo pienamente umano.

La relazionalità è costitutiva, perché la persona è con-traddistinta, dal punto di vista ontologico e fisiologico, dall’apertura relazionale, sicché non c’è dinamismo o fa-coltà o inclinazione umana che esuli da tale orientamen-to2. Il modo in cui viviamo ed esistiamo è quello di essere in relazione, aperti all’altro: «la nostra identità giace in quelle relazioni a cui attribuiamo un valore, e che ci co-stituiscono nella nostra identità»3. La corporeità e, spe-cialmente, la sessualità che la contrassegna (nella sua in-sopprimibile modalità femminile e maschile), la volontà come capacità di amare, la conoscenza sensibile e quella intellettuale, il linguaggio sono essenzialmente comuni-cativi. Certamente, dipendono dal singolo le modalità in cui vivere la relazionalità. Heidegger osserva che nell’e-sistenza dell’uomo la presenza degli altri non è qualcosa di accidentale, di cui si possa fare a meno: anche l’essere soli è una modalità di coesistere con gli altri, benché di-fettiva; anzi, la solitudine si capisce solo sulla base di tale coesistenza costitutiva4. In effetti, persino il volontario isolamento e il rifiuto dei rapporti sociali sono un modo, per quanto negativo, di tradurre in pratica la sociabilità.

La comprensione della relazionalità insita nella per-sona umana viene arricchita dalla riflessione sulle con-clusioni di numerosi studi biologici, antropologici e so-ciologici, che portano a riconoscere nell’uomo alcune tendenze socializzanti, le quali fondano le manifestazioni

2 Cfr. ibidem, pp. 14 e 140. 3 P. Donati, L’enigma della relazione, Mimesis, Milano 2015, p. 48.4 Cfr. M. HeiDegger, Essere e tempo, Utet, Torino 1978, § 26, pp. 207-208.

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Capitolo primo

della sociabilità. Tali tendenze sono in qualche modo ri-scontrabili anche nel patrimonio istintivo degli animali, ma nell’uomo assumono un orientamento e uno sviluppo peculiare: sono la base di altrettante virtù, giacché posso-no essere guidate e perfezionate dalla razionalità e dalla libertà; pertanto sono in rapporto anche con la cultura. Esse costituiscono i fattori della dinamica sociale e le re-gole profonde che strutturano l’ordinamento della socie-tà: si trovano, cioè, ad un livello più fondamentale della politica e della stessa normativa etica, ovvero al livello antropologico.

Per poterci addentrare nella riflessione su questo vasto ambito dell’antropologia filosofica mi sembrano necessa-rie alcune osservazioni preliminari.

1.2. Il sociobiologismo e il rischio del riduzionismo

La socialità dell’essere umano è spesso considerata in chiave riduttiva sulla base di alcune ricerche scienti-fiche, etologiche, neurologiche o sociologiche. Il ridu-zionismo deriva dal prevalere di una certa prospettiva sociobiologistica, che considera la società umana come una semplice variante dello stare insieme riscontrabile in tante specie animali.

Il sociobiologismo trova un’espressione paradigmatica nella teoria di Edward Osborn Wilson5. Questi, da un lato cerca di esaltare invano la libertà dell’individuo umano,

5 Cfr. e.o. WiLson, Sociobiology. The New Synthesis, Belknap Press of Harvard Universi-ty Press, Cambridge (MA)-London 20022 (pubblicato per la prima volta nel 1975).

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La relazionalità umana: uno sguardo introduttivo

ma dall’altro sostiene che le regole epigenetiche predi-spongono gli individui a vedere il mondo secondo una de-terminata modalità innata e a compiere automaticamente certe scelte invece di altre, indirizzando l’individuo verso quelle reazioni relativamente veloci e accurate che hanno maggiori probabilità di assicurare la sopravvivenza e la riproduzione6.

Tale tesi è rafforzata da altre teorie scientifiche e ar-riva a fondersi con esse. C’è, in primo luogo, chi spiega in chiave evoluzionistica le condotte altruistiche e coope-rative, e le ritiene uno dei meccanismi con cui la specie salvaguarda la propria perpetuazione7. Vi si uniscono, poi, quanti sostengono che l’origine dei comportamenti sociali ha la sua spiegazione ultima nelle nostre strutture e connessioni neuronali8. Tra i tanti esempi di quest’ulti-ma tesi, si possono citare le ricerche di tre neuroscienziati volte a dimostrare la presenza dell’altruismo nei topi e a spiegare l’empatia degli esseri umani. La loro conclusio-ne è che i nostri cervelli sono stati plasmati dall’evoluzio-ne e che i meccanismi neuronali necessari a riconoscere i sentimenti altrui o ad aiutare il nostro prossimo sono, per così dire, precablati9.

6 Cfr. a. CorraDini, La sociobiologia di E.O. Wilson: quale spazio per la libertà umana?, in F. Botturi (a cura di), Soggetto e libertà nella condizione postmoderna, Vita e Pensiero, Milano 2003, pp. 309-334.

7 Ad esempio, M. riDLey, The Origins of Virtue: Human Instincts and the Evolution of Cooperation, Penguin, New York [etc.] 1998; e. soBer, D.s. WiLson, Unto Others. The Evolution and Psychology of Unselfish Behavior, Harvard University Press, Cambridge, MA 1999.

8 Sono utili, per valutare tali posizioni, i contributi di J.M. giMénez-aMaya, J.i. MuriLLo, J.J. sanguineti, C. sinigagLia, L. sParaCi e F. teMPia nel quaderno monografico Neuroscience and Freedom, «Acta Philosophica», 2/XVII (2008), pp. 241-330.

9 Cfr. i. Ben-aMi BartaL, J. DeCety, P. Mason, Empathy and Pro-Social Behavior in Rats, «Science», n. 6061, vol. 334 (9.12.2011), pp. 1427-1430.

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Capitolo primo

Indubbiamente bisogna tenere conto dei processi evo-lutivi, ma si comprende che, se si accetta tout court la suddetta impostazione o non si tiene conto della sua per-vasività, non avrebbe senso dibattere sugli interrogativi etici né esortare alla formazione delle virtù che stanno alla base della società, perché ne deriverebbe che le di-namiche sociali sfuggono a qualsiasi intervento del sin-golo: costui vi sarebbe immerso e ne verrebbe trascinato. Le nostre stesse società democratiche non sarebbero altro che il risultato ineluttabile e forse provvisorio del deter-minismo istintivo o del percorso evolutivo della specie. Quindi, a che scopo affannarsi a orientarlo o modificarlo?

D’altro canto, la consapevolezza di questo retroterra riduzionistico non deve indurre affatto a tralasciare l’ap-porto delle scienze umane, che è invece necessario per l’antropologia filosofica e per l’etica. In effetti, le ricerche scientifiche permettono, tra l’altro, di evitare astrazioni e generalizzazioni indebite. Non solo: dalle scienze uma-ne veniamo messi in guardia nei confronti del pericolo di fraintendimenti e di incomprensioni. Ad esempio, l’e-sperienza psichiatrica mostra che spesso oggi non viene compreso pienamente il significato delle relazioni: la re-lazione autentica è contraddistinta dalla capacità di creare legami nati e nutriti dalla libertà, e aperti all’esperienza di senso, invece la cultura odierna spinge a coltivare i rapporti alla ricerca di gratificazioni immediate con il ri-schio di creare una dipendenza compulsiva e coatta10. Ciò obbliga a precisare bene i termini e i concetti utilizzati nell’argomentazione filosofica.

10 Cfr. C. risé, Il padre. Libertà, dono, Ares, Milano 2013, p. 149.

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2. Natura e cultura, tendenze e virtù

In quanto abbiamo esposto sin qui sono implicite quat-tro nozioni che vanno chiarite almeno brevemente. In effetti, parlare di una relazionalità costitutiva e origina-ria significa riferirsi alle proprietà essenziali della natu-ra umana: ma che cos’è la natura in generale e la natura umana in particolare? Inoltre, affermare che dipende dal singolo il modo in cui realizzare la sociabilità implica che tali proprietà non spingono a una condotta uniforme, ma ammettono diversità che chiamiamo culturali: bisogna chiedersi, pertanto, che cos’è la cultura. Infine, abbiamo menzionato le tendenze e le virtù, ma senza precisare che cosa sono e che rapporto sussiste tra di loro. Queste quat-tro nozioni sono centrali nell’antropologia filosofica, ma ne daremo solo alcuni cenni molto stringati.

Cominciamo, allora, a parlare della natura umana.

2.1. Natura e natura umana

Nelle attuali discussioni filosofiche e culturali spesso si afferma che non si può parlare di una natura umana. Tale tesi vuole negare, tra l’altro, che la persona umana sia una realtà già bell’e fatta, facilmente classificabile, con una condotta prevedibile e tenuta a osservare delle regole rigide e ben precise. Si teme, in fin dei conti, che dalla eventuale definizione di quel che è la persona umana si passi subito all’indicazione di come essa dev’essere e deve comportarsi.

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Capitolo primo

Bisogna osservare, in primo luogo, che molte polemi-che tra posizioni apparentemente inconciliabili intorno all’idea di natura umana, derivano da un mancato chia-rimento terminologico e concettuale. In effetti, il termine ‘natura’ e l’aggettivo ‘naturale’ possono essere impiega-ti con molteplici significati: già Tommaso d’Aquino, in continuità con Aristotele, precisava che «la natura si dice in molti modi»11.

Ad esempio, potrei dichiarare che un certo compor-tamento “non è nella mia natura”, per riferirmi alla mia personalità forgiata con l’educazione e le libere scelte, sulla base di una dotazione genetica e psicologica di base. D’altro canto, si allude alla condotta “naturale” per desi-gnare una reazione istintiva o impulsiva non mediata dal-la responsabilità morale; ma è “naturale” anche il modo spontaneo di agire non gravato da formalismi e piaggerie. Oppure si dice che una risposta o un’azione è “naturale” nel senso di ovvia o scontata: è naturale andare a Napoli e mangiare una pizza, mentre non sarebbe naturale rispon-dere che non conosciamo il nostro nome. Rammentiamo, infine, che l’idea di natura o di naturale ci serve da riferi-mento imprescindibile per indicare i concetti contrapposti di violento, artificiale, convenzionale, soprannaturale…

È, inoltre, “naturale” ciò che inerisce in qualcosa di per sé12: è naturale per una pianta crescere ed è naturale per un cane avere percezioni sensibili13. Pertanto, in riferimento

11 «Natura dicitur multipliciter»: Summa theologiae, I-II, q. 10, a. 1. Cfr. aristoteLe, Me-tafisica, V, 4, 1014b16-1015a19. Per un’utile panoramica storica, cfr. a. aguti, Natura uma-na: un’indagine storico-concettuale, Meudon – Centro studi J. Maritain, Portogruaro 2010.

12 Cfr. Summa theologiae, I-II, q. 10, a. 1.13 Secondo Spaemann, il concetto di natura «è sempre stato un concetto polisemico», che

«ha acquisito uno specifico significato quasi sempre dal corrispondente contro-concetto»; ma

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La relazionalità umana: uno sguardo introduttivo

ai viventi, avere una certa natura significa possedere un de-terminato modo di essere che è principio delle azioni spe-cificamente proprie dell’individuo14. Secondo Aristotele, «che la natura esiste, sarebbe ridicolo tentare di darne una dimostrazione»15, giacché equivarrebbe a voler dimostrare che i viventi sono e agiscono nel modo a loro proprio.

Proprio dall’uso corrente di questi termini è possibile dedurre che «la parola “naturale” compare sempre con un duplice significato. Quella di “naturale” è per un verso una nozione genetica, che rimanda a una determinata re-lazione di origine, ma per un altro verso è una nozione normativa, che indica un criterio di giudizio per tendenze, azioni o situazioni»16. Sostenere che nell’idea di natura è insita una nozione normativa significa tenerne presen-te l’intrinseco dinamismo: la natura di ciascun vivente, quindi anche dell’essere umano, gli permette di svilup-parsi e di agire nel modo a lui proprio, secondo una ben precisa teleologia. In altre parole, proprio perché la natu-ra è orientata al pieno perfezionamento dell’individuo, è possibile valutare quali comportamenti possono ostaco-lare o favorire il raggiungimento di tale fine17. Riguar-do alla condotta umana, però, ciò non significa che posso dedurne con immediata evidenza un insieme strutturato di norme morali: la razionalità è specifica della natura

l’ambiguità del concetto divenne lungo i secoli problematica tanto che per D. Hume la natura era «un vago termine indeterminato, a cui la moltitudine attribuisce di tutto» (r. sPaeMann, Rousseau cittadino senza patria. Dalla “polis” alla natura, trad. di L. Allodi, Ares, Milano 2009, pp. 79-80).

14 Cfr. aristoteLe, Fisica, II, 1.15 Ibidem, 193a3; trad. di L. Ruggiu, Rusconi, Milano 1995, p. 61.16 r. sPaeMann, Natura e ragione. Saggi di antropologia, eDusC, Roma 2006, p. 95.17 Per una ricognizione storica sull’idea di finalità, cfr. r. sPaeMann, r. LöW, Fini naturali.

Storia e riscoperta del pensiero teleologico, trad. di L. Allodi e G. Miranda, Ares, Milano 2013.

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Capitolo primo

umana, sicché nella riflessione morale interviene sempre la ragione che riflette nella storia e alla luce della storia.

Riterrei anch’io che sia sempre utile tenere presen-te l’etimologia del termine latino natura, che deriva dal verbo nascor, cioè nascere: la natura è quel che un es-sere vivente è per nascita. Posseggo una natura umana, cioè sono un essere umano, non per i miei meriti né per le mie qualità morali, neppure perché ho sviluppato la mia corporeità in un certo modo, bensì lo sono sin dal mio concepimento. Invece, proprio perché sono un indi-viduo umano posso acquisire meriti, essere moralmente responsabile delle mie azioni, sviluppare le mie doti in una direzione o nell’altra.

Se volessimo sostenere in modo radicale che non esi-ste un’essenza o natura umana, negheremmo che si possa rispondere alla domanda: “chi è la persona umana?” e ciò sancirebbe anche l’impossibilità di riconoscere la persona umana, cioè di tributare ai nostri simili il riconoscimento loro dovuto, e distinguerla dagli altri esseri viventi.

Pertanto, per seguire le riflessioni dei prossimi capitoli occorre tenere presente che quando parleremo di natura umana facciamo riferimento a quel che l’individuo è per nascita, quale appartenente alla specie umana, dotato di un patrimonio genetico, psichico, spirituale di cui è chia-mato a servirsi per realizzare autenticamente sé stesso come persona umana. Ne deriva che in ogni essere umano sono presenti alcune tendenze o inclinazioni naturali che stanno alla base del suo agire e gli permettono di conse-guire il suo perfezionamento.

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