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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’ DI R.H. ROBBINS 1 Capitolo 1 CULTURA E SIGNIFICATO [*Paragrafi]: Perché gli esseri umani pensano e si comportano in modo diverso?; Quali criteri seguiamo per giudicare credenze e pratiche altrui?; Il pregiudizio etnocentrico e il pregiudizio relativista; Obiettività ed etica; È possibile vede il mondo attraverso lo sguardo altrui?; In che modo possiamo interpretare e descrivere i significati che gli altri attribuiscono all’esperienza?; Cosa può dirci su noi stessi ciò che impariamo sugli altri?; L’antropologo balinese ed il football americano; Comprare e vendere. La cultura in senso antropologico è quel processo che colloca sullo stesso piano tutti gli individui aventi certe caratteristiche in un certo tempo ed in un certo spazio. *L’ antropologia culturale offre una prospettiva che consente di scardinare luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi che occultano i meccanismi di costruzione della realtà. Ad esempio, permette di cogliere il tentativo di controllare le attività degli studenti dietro ad orologi, campanelli e ad una certa disposizione delle sedie in aula.Secondo la prospettiva antropologica, i membri di una società vedono il mondo in modo simile perché condividono la medesima cultura. Conseguentemente gli individui hanno visioni del mondo diverse perché le loro culture sono diverse. Alcuni eventi dell’esistenza umana come la nascita e la morte sono comuni a tutti gli uomini; variano invece altri elementi della vita, ad esempio le regole per il corteggiamento. Da una società all’ altra, inoltre, cambia il significato che le persone attribuiscono ai suddetti eventi. La morte, ad esempio, per alcuni popoli segna il semplice passaggio di una persona in un altro mondo; per altri, è l’epilogo della vita. Presso certe popolazioni è considerata un evento naturale ed inevitabile, in altre si crede che sia sempre causata da un atto malvagio, così ogni morte suscita il sospetto e la richiesta di vendetta (isole Trobriand). Presso certi popoli la morte è accompagnata da eclatanti dimostrazioni di dolore e lutto per la persona scomparsa; altrove, negli Stati Uniti ad esempio, il dolore viene nascosto come se si trattasse di qualcosa di cui vergognarsi. Quindi l’ uomo, in quanto animale culturale, attribuisce un significato a cose, eventi, azioni e popoli e gli antropologi designano questo processo col termine cultura. Quando le persone attribuiscono all’ esperienza uno stesso significato condividono ed esprimono la stessa cultura, quando ciò non accade si determinano delle differenze culturali. Uno degli obiettivi degli antropologi è proprio quello di comprendere le ragioni di tale diversità al fine di superare lo sconcerto iniziale provocato dal confronto tra le varie culture. Tra tutte le pratiche e le credenze umane esistenti, infatti, parecchie potrebbero apparire bizzarre o aberranti: ad esempio, l’ infibulazione praticata in alcune comunità di interesse etnografico. I giudizi che esprimiamo rispetto a credenze e pratiche altrui creano un dilemma. Infatti, se riteniamo che i significati che gli altri attribuiscono all’ esperienza siano sbagliati incorriamo nel pregiudizio etnocentrico, che risulta intellettualmente intollerabile e ostacola ogni tipo di comprensione interculturale. Se, invece, riteniamo che credenze e pratiche vadano

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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’ DI R.H. ROBBINS

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Capitolo 1 – CULTURA E SIGNIFICATO [*Paragrafi]:

Perché gli esseri umani pensano e si comportano in modo diverso?;

Quali criteri seguiamo per giudicare credenze e pratiche altrui?;

Il pregiudizio etnocentrico e il pregiudizio relativista;

Obiettività ed etica;

È possibile vede il mondo attraverso lo sguardo altrui?;

In che modo possiamo interpretare e descrivere i significati che gli altri attribuiscono

all’esperienza?;

Cosa può dirci su noi stessi ciò che impariamo sugli altri?;

L’antropologo balinese ed il football americano;

Comprare e vendere.

La cultura in senso antropologico è quel processo che colloca sullo stesso piano tutti gli individui

aventi certe caratteristiche in un certo tempo ed in un certo spazio. *L’ antropologia culturale

offre una prospettiva che consente di scardinare luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi che

occultano i meccanismi di costruzione della realtà. Ad esempio, permette di cogliere il tentativo di

controllare le attività degli studenti dietro ad orologi, campanelli e ad una certa disposizione delle

sedie in aula.Secondo la prospettiva antropologica, i membri di una società vedono il mondo in

modo simile perché condividono la medesima cultura. Conseguentemente gli individui hanno

visioni del mondo diverse perché le loro culture sono diverse. Alcuni eventi dell’esistenza umana

come la nascita e la morte sono comuni a tutti gli uomini; variano invece altri elementi della vita,

ad esempio le regole per il corteggiamento. Da una società all’ altra, inoltre, cambia il significato

che le persone attribuiscono ai suddetti eventi. La morte, ad esempio, per alcuni popoli segna il

semplice passaggio di una persona in un altro mondo; per altri, è l’epilogo della vita. Presso certe

popolazioni è considerata un evento naturale ed inevitabile, in altre si crede che sia sempre

causata da un atto malvagio, così ogni morte suscita il sospetto e la richiesta di vendetta (isole

Trobriand). Presso certi popoli la morte è accompagnata da eclatanti dimostrazioni di dolore e

lutto per la persona scomparsa; altrove, negli Stati Uniti ad esempio, il dolore viene nascosto come

se si trattasse di qualcosa di cui vergognarsi. Quindi l’ uomo, in quanto animale culturale,

attribuisce un significato a cose, eventi, azioni e popoli e gli antropologi designano questo

processo col termine cultura. Quando le persone attribuiscono all’ esperienza uno stesso

significato condividono ed esprimono la stessa cultura, quando ciò non accade si determinano

delle differenze culturali. Uno degli obiettivi degli antropologi è proprio quello di comprendere le

ragioni di tale diversità al fine di superare lo sconcerto iniziale provocato dal confronto tra le varie

culture. Tra tutte le pratiche e le credenze umane esistenti, infatti, parecchie potrebbero apparire

bizzarre o aberranti: ad esempio, l’ infibulazione praticata in alcune comunità di interesse

etnografico. I giudizi che esprimiamo rispetto a credenze e pratiche altrui creano un dilemma.

Infatti, se riteniamo che i significati che gli altri attribuiscono all’ esperienza siano sbagliati

incorriamo nel pregiudizio etnocentrico, che risulta intellettualmente intollerabile e ostacola ogni

tipo di comprensione interculturale. Se, invece, riteniamo che credenze e pratiche vadano

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inquadrate nel contesto al quale appartengono e solo relativamente ad esso possano essere

giudicate, incorriamo nel pregiudizio relativistico. L’ idea che è impossibile emettere giudizi morali

su credenze e pratiche altrui sembra moralmente intollerabile poiché indurrebbe ad accettare

qualunque credenza o pratica. Forse allora, prima di condannare credenze o pratiche che risultano

lesive dei diritti umani, bisognerebbe sforzarsi di coglierne il senso nell’ ambito della cultura di

appartenenza. Il conflitto tra etnocentrismo e relativismo ha un risvolto pratico; nel corso della

ricerca, infatti, gli antropologi si trovano di fronte ad un bivio: conservare una “distanza etica” dall’

oggetto del loro studio e restare “obiettivi” o schierarsi moralmente nei confronti delle credenze e

delle pratiche analizzate? Se ogni cultura organizza l’ universo in un certo modo, quella cultura

impedisce o rende difficile comprendere visioni del mondo differenti. Allora l’ antropologo, per

scorgere la realtà che si cela dietro le apparenze, dovrebbe liberarsi dei propri preconcetti su ciò

che è normale o adeguato. Tuttavia, gli antropologi concludono che la comprensione delle altre

culture può essere soltanto parziale, dal momento che si può conoscere solo qualcosa di ciò che

significa essere nativo. *2 (“cogliere il punto di vista dei nativi”, raccomandava Malinowski). Un

modo per descrivere e interpretare i significati che altri popoli attribuiscono all’ esperienza è

considerare una cultura come un testo pieno di simboli di cui è possibile decifrare il significato

(Geertz). Inoltre, guardando la nostra cultura come guardiamo le culture altrui potremmo capire

meglio i significati che attribuiamo ad oggetti, persone ed eventi. Così, ad esempio, potremmo

riscontrare delle analogie tra una partita di football americano ed il combattimento dei galli nell’

isola di Bali.

*1 Notevole rilevanza riveste la nozione di cultura dell’ antropologo Edward Burned Tylor, il quale

in Primitive Culture (1871) scrive: “Cultura o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è

quell’ insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’ arte, la morale, il diritto, il

costume e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall’ uomo in quanto membro di una

società”. Questa definizione, che considera sinonimi i termini cultura e civiltà, ha una portata

rivoluzionaria dal momento che ingloba nell’ insieme cultura “qualsiasi altra capacità o abitudine”,

riconoscendo a tutti i gruppi umani la capacità di produrre cultura.

*2Lo studioso Ernesto De Martino afferma la validità di una posizione che definisce

“etnocentrismo critico”: sforzarsi di allargare la propria coscienza culturale di fronte ad ogni

cultura “altra” rendendosi conto dei limiti della propria storia culturale, ma senza rinunciare all’

idea del primato della società occidentale.

Capitolo 2 – LA COSTRUZIONE SOCIALE E CULTURALE DELLA REALTA’

Il problema principale;

In che modo il linguaggio influisce sui significati che vengono attribuiti all’esperienza?;

Metafore e slittamenti di significati;

Le metafore della fame dei Kwaikiutl;

Le metafore della stregoneria e della magia;

In che modo l’azione simbolica rafforza una particolare visione del mondo?;

Morfologia dei racconti: Dorothy incontra Luke Skywalker;

In che modo si arriva a credere ciò che si crede e come si continua a tenere fede alle

proprie credenze, anche se esse appaiono contraddittorie e ambigue?;

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Il processo della deriva interpretativa;

Spiegazione del perché il sole ruota attorno alla terra;

In che modo il nostro modo di vivere influisce su credenze e rituali?;

Amore e classi sociali;

Amore e individualismo;

L’amore romantico e il funzionamento della società;

Come si può riorganizzare la propria visione del mondo se non è più soddisfacente?;

Wovoka e la danza degli spiriti;

La consulenza politica e il poter delle metafore;

Visioni della politica: il matrimonio omosessuale;

Tradurre la teoria in azione

Spesso le persone credono in qualcosa che non si riesce a dimostrare, come l’ esistenza di Dio, di

spiriti invisibili o dei poteri della magia. L’ antropologia recente ha riflettuto sul modo in cui le

persone si convincono della bontà della propria visione del mondo. A tal proposito è stata utile l’

analisi del ruolo del linguaggio, di azioni simboliche come i rituali ed i miti, e di altri aspetti della

vita sociale che contribuiscono a convincere le persone che ciò in cui credono è giusto, a

difenderlo nei confronti degli scettici o a cambiare radicalmente le proprie credenze. Da questo

punto di vista, allora, il linguaggio non è soltanto un mezzo di comunicazione trasparente. Le

ipotesi di Sapir- Whorf (o ipotesi del determinismo linguistico) dimostrano che il lessico di una

lingua può influenzare la percezione di determinate caratteristiche dell’ ambiente e che la

grammatica di una lingua può favorire certi modi di considerare il mondo a scapito di altri. I

significati che vengono assegnati all’ esperienza sono influenzati anche dalla metafora, che

consente di utilizzare espressioni linguistiche appartenenti ad un’ area dell’ esperienza in un’ area

differente per comprendere quest’ ultima nei termini della prima. L’ azione simbolica rafforza una

particolare visione del mondo. Il rituale, ad esempio, raffigura simbolicamente una certa visione

della realtà in modo tale da convincerci della veridicità di essa. La studiosa Tanya Luhrmann ha

esaminato il processo attraverso il quale le persone possono arrivare a prestare fede a certe

credenze e lo ha definito “deriva interpretativa“. Le persone abbracciano le proprie credenze

attraverso la pratica o partecipando a rituali che le invogliano a cercare e a trovare le prove della

loro veridicità, e quindi a difendere le proprie credenze nei confronti degli scettici. Ad un certo

punto si smette di pensare di aver cambiato il proprio sistema di credenze e si arriva a convincersi

che il nuovo credo sia del tutto vero. Il nostro modo di vivere influisce su credenze e rituali. Ad

esempio, le persone si convincono di “essere innamorate”, ma come esse arrivino a crederlo,

come venga articolato l’ amore e di chi esse scelgano di innamorarsi sono in gran parte funzioni di

modelli sociali ed economici. In determinate condizioni le persone possono essere condotte a

cambiare radicalmente il proprio sistema di credenze. L’ esperienza del sovvertimento sociale può

portare, com’ è avvenuto per gli Indiani delle Pianure, ad un nuovo sistema di credenze connesso

alla promessa di un riassetto della società, nel caso della Danza degli Spiriti, di ripristino del

passato.

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Capitolo 3 – LA COSTRUZIONE CULTURALE DELL’ IDENTITA’

l’importanza del sé;

In che modo varia il concetto di persona da una società all’altra?;

Il se egocentrico e il se sociocentrico;

La personalità in Giappone e in America;

In che modo le società distinguono gli individui gli uni dagli altri?;

Costruire il maschile e il femminile;

Linguaggio, genere e appartenenza etnica;

In che modo gli individui apprendono chi sono?;

Il passaggio all’età adulta;

In che modo gli individui comunicano la propria identità agli altri?;

Doni e merci;

In che modo gli individui difendono la propria identità quando sono minacciati?;

Lo scambio moka in Papua Nuova Guinea;

Fat talk (parliamo di grasso);

Immagine corporea e identità;

Il problema;

Affrontare il problema

Nessuno nasce sapendo quale sia il suo posto nel panorama sociale, ma lo apprende. La società è

un insieme di identità sociali distribuite in un certo contesto, fondamentali per rapportarsi agli altri

in modo adeguato. In tutte le società il nome proprio è un intimo contrassegno della persona e la

differenzia dalle altre. Tuttavia, le società si differenziano per la concezione del sé che può essere

individualistica o olistica. Gli americani, ad esempio, ritengono di essere le stesse persone anche

quando modificano la propria condizione o posizione, per cui sono fortemente individualisti. Nella

società gitksan, invece, la relazione tra la persona e il gruppo, o tra la persona e la sua posizione

sociale è olistica, nel senso che la persona non può essere considerata come un’ entità separata

dalla società o dal proprio ruolo o condizione. Sulla scorta di questa differenziazione, Shweder e

Bourne distinguono il Sé egocentrico dal Sé sociocentrico. Nella visione egocentrica, la persona è

un individuo autonomo e separato. La visione sociocentrica del Sè, invece, è fondata sul contesto,

per cui il Sé è considerato dipendente da una situazione o da uno scenario sociale. Un esempio di

concezione sociocentrica del Sé è quella dei Giapponesi, i quali includono entro i confini del sé

anche il gruppo sociale di cui fa parte la persona. Le società distinguono gli individui l’ uno dall’

altro in base a criteri come età, genere, parentela, appartenenza etnica, lingua e affiliazione

religiosa. Le differenze e le somiglianze nelle caratteristiche individuali sono usate per costruire

panorami sociali nei quali è indicato il posto o l’ identità di ciascuno. Le caratteristiche, o strumenti

identitari, che determinano l’ identità sono considerate in modo diverso nelle varie società. Il

genere, ad esempio, è una creazione culturale: all’ essere maschio e all’ essere femmina si

applicano attributi differenti. Il processo di assegnazione a un genere inizia fin dalla nascita e

procede durante la crescita con un certo tipo di educazione. Anche il numero delle categorie di

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genere riconosciuto nelle diverse società varia. Il Nord America indigeno, ad esempio, riconosceva

tradizionalmente un terzo genere, il berdache. E’ un individuo biologicamente maschio, che non

viene considerato uomo ma neanche donna. In alcune società il berdache è rispettato in modo

particolare. L’ essere berdache non implicava necessariamente un’ attività sessuale con un partner

dello stesso sesso né lo svolgimento esclusivo di mansioni femminili. L’ antropologa Harriet

Whitehead ha sottolineato come gli americani definiscano il genere soprattutto in base alle

preferenze sessuali e i nativi nordamericani, invece, in base alla scelta dell’ occupazione. Ognuno

di noi apprende la propria identità nel corso del proprio sviluppo e la modifica continuamente.

Nel 1906 Arnold Van Gennep introduce il concetto di riti di passaggio. I rituali d’ iniziazione

preparano gli individui ad accettare nuovi modi di considerare se stessi e gli altri; in altre parole,

contraddistinguono il passaggio da un’ identità all’ altra. Van Gennep individuava uno schema

tripartito alla base di molti riti: ad una prima fase di separazione dalla condizione che si abbandona

segue una fase di margine, alla fine della quale avviene l’ aggregazione alla nuova condizione.

Victor Turner, della Scuola britannica, parla di fase preliminare, fase liminare e fase postliminare.

Tipici esempi di riti di passaggio, diffusi nella maggior parte delle società del mondo, sono le

cerimonie che segnalano il passaggio di un maschio dall’ infanzia all’ età adulta. Le persone devono

inoltre essere in grado di comunicare la propria identità agli altri. Comunichiamo con le cose, col

modo in cui parliamo, con le nostre frequentazioni. Un altro modo in cui segnaliamo la nostra

identità agli altri è lo scambio di doni, cui è sotteso quel principio di reciprocità che è alla base

della socialità. Il kula, la circolazione di doni (collane di conchiglie rosse e braccialetti di conchiglie

bianche) scambiati tra partner commerciali nelle isole Trobriand, ed il potlach, scambio rituale dei

nativi americani della costa nordoccidentale, sono validi esempi di scambio. I beni scambiati nel

kula e nel potlach hanno una storia. Nelle moderne società industriali, invece, le persone devono

affrontare un problema relativo al dono: la necessità di convertire in qualche modo una merce

anonima e acquistata in un negozio in un bene che possa costituire un dono personale e

significativo. Ciò avviene tramite un processo di appropriazione. Gli individui devono poter

difendere la propria identità se si sentono minacciati. Un esempio è il moka dei Big Men presso i

Melpa della Nuova Guinea, i quali in questo rito affermano e difendono la propria posizione nel

panorama sociale attraverso lo scambio cerimoniale di doni. Qualcuno all’ inizio fa un regalo ad un

partner commerciale e in cambio riceve più di quanto ha dato. E’ un modo per stabilire e

mantenere legami tra individui e gruppi e costituire un sistem gerarchico che consente agli uomini

di acquisire status e prestigio e diventare Big Men, ricchi capi indipendenti dagli altri.

Capitolo 4- Modelli di relazioni parentali

Soap opera e rapporti parentali;

In che modo è costruito il gruppo familiare tipico?;

La composizione della famiglia degli Ju-Wasi;

La composizione della famiglia nelle isole Trobriand;

La composizione della famiglia cinese;

Come si formano le famiglia e come si mantengono i tipi familiari ideali?;

Il ciclo familiare degli Ju-Wasi;

Il ciclo familiare dei Trobriandesi;

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Il ciclo familiare dei cinesi;

Quali sono i ruoli di sessualità, amore e ricchezza?;

Sesso, amore e ricchezza per gli Ju-Wasi;

Sesso, amore e ricchezza per i Trobriandesi;

Sesso, amore e ricchezza per i Cinesi;

Quali elementi minacciano l’unità familiare?;

Minacce per la famiglia Ju-Wasi;

Minacce per la famiglia trobriandese;

Minacce per la famiglia cinese;

Combattere la diffusione dell’aids;

La prevenzione dell’aids in Messico;

Sesso: vietato parlarne;

Relazioni di potere;

Fiducia e fedeltà;

Sesso e amore;

Perché il messaggio dei programmi tradizionali per la prevenzione dell’aids è talvolta

ignorato?;

Preparare dei programmi di prevenzione dell’aids;

Gli Americani hanno un sistema di parentela bilaterale e, per la maggior parte di essi, il più

importante raggruppamento familiare è la famiglia nucleare, costituita da padre, madre e figli

biologici o adottivi. Anche nella famiglia ju/wasi vige un sistema di discendenza bilaterale, per cui i

membri di essa fanno parte sia della linea di discendenza paterna sia di quella materna e l’ unità

sociale più importante è la famiglia nucleare. Gli Ju/wasi sono consapevoli che la gravidanza è il

risultato di un rapporto sessuale. Nelle isole Trobriand, invece, ogni villaggio è costituito da

matrilignaggi, o dala, ossia gruppi di uomini legati l’ uno all’ altro attraverso la linea femminile,

insieme alle mogli e ai figli non sposati. I membri della famiglia trobriandese seguono, quindi, la

linea di discendenza femminile e l’ unità sociale più importante è la famiglia estesa matrilineare.

Nella Cina rurale tradizionale la famiglia ha una dimensione temporale estesa e include diverse

generazioni di antenati vivi e defunti appartenenti alla linea paterna. La discendenza è tracciata,

quindi, secondo la linea maschile (patrilignaggio), per cui l’ unità sociale più importante è la

famiglia patrilineare estesa, composta da una coppia sposata, i figli maschi sposati e le nuore, i

nipoti e le figlie nubili. L’ identità di ciascun maschio è definita dalle sue relazioni con i familiari

defunti e con quelli in vita, e la sua posizione sociale e il suo destino sono solo il risultato delle

azioni dei suoi avi. Data l’ interdipendenza tra i vivi e i morti del patrilignaggio, un maschio cinese

desidera avere dei discendenti maschi che si preoccupino del suo benessere e che si prendano

cura di lui anche dopo la morte. Sono i figli e i nipoti maschi ad assicurare una discendenza all’

uomo ed è per questo che i Cinesi prediligono i maschi. Le figlie femmine, infatti, procurano la

discendenza solo al patrilignaggio del marito. Un tratto comune di tutte le società è che le famiglie

si fondano sull’ unione socialmente riconosciuta di un maschio e di una femmina che, in genere,

prende la forma di matrimonio. Ma il modo in cui questo avviene varia significativamente nelle

diverse società. Gli americani, ad esempio, iniziano a corteggiare nella prima adolescenza e, in

genere, hanno una serie di relazioni prima di scegliere la persona da sposare. Questa scelta è

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influenzata da vari fattori tra cui l’ amore e l’ attrazione sessuale e, come in tutte le altre società,

vige il tabù dell’ incesto che proibisce di contrarre matrimonio con certe categorie di persone. La

cerimonia del matrimonio nella società americana è organizzata in modo tradizionale, a spese

della famiglia della sposa e, dopo la luna di miele, la coppia di solito va ad abitare in un’ altra casa.

La relazione di coppia si trasforma dopo l’ arrivo dei figli. Tra gli Ju/wasi, invece, il matrimonio

viene quasi sempre organizzato dai genitori degli sposi quando i figli sono ancora molto piccoli, ma

se la ragazza si oppone strenuamente il matrimonio viene annullato. Nelle Trobriand l’ attività

sessuale prima del matrimonio è molto diffusa ed è prevista, per cui spesso la coppia inizia a

convivere prima e il matrimonio si limita a formalizzare una relazione preesistente. I giovani si

fanno la corte e spesso scelgono da soli la persona da sposare, ma è necessaria l’ approvazione dei

genitori. I Trobriandesi devono rispettare la regola dell’ esogamia, per cui non possono sposare

una persona appartenente al proprio clan. Il tabù dell’ incesto riguarda tutti i parenti prossimi,

soprattutto fratelli e sorelle, e sono considerati tali tutti i membri del matrilignaggio della stessa

generazione. La famiglia nucleare è fondata sul legame duraturo tra marito e moglie, e il divorzio,

sebbene sia frequente e facile da ottenere, in genere avviene per iniziativa della moglie. Nella Cina

tradizionale il matrimonio non è tanto l’ unione di un uomo con una donna quanto l’ ampliamento

della propria famiglia tramite una persona che assicuri la discendenza. Per questa ragione i

matrimoni sono quasi sempre combinati, spesso molto in anticipo e con l’ aiuto dei sensali, e non

vi è quasi mai il corteggiamento. Talvolta una bambina o ragazzina è adottata da una coppia

perché sposi successivamente il proprio figlio; oppure viene adottato un ragazzo destinato a

diventare il marito della figlia. La cerimonia matrimoniale cinese è molto formale e, per la famiglia

dello sposo, molto dispendiosa. La moglie non acquisisce uno status rilevante nella famiglia del

marito finchè non avrà dato alla luce un figlio maschio. Il divorzio è quasi del tutto inesistente

nella Cina tradizionale. Un marito può avere anche più amanti, mentre, in teoria, è autorizzato ad

uccidere la moglie infedele. Anche l’ impegno economico per l’ organizzazione di un matrimonio

varia. Tra gli Ju/wasi, un uomo è costretto a provvedere al brideservice per la famiglia della moglie,

una forma di compensazione matrimoniale che consiste nel fatto che il futuro sposo si impegna a

lavorare per la famiglia della sposa, presso la quale andrà a vivere, per un periodo che può andare

dai pochi mesi ai dieci anni; nelle Trobriand e nella Cina tradizionale, la famiglia dello sposo è

obbligata a pagare il bridewealth alla famiglia della moglie: un insieme di beni che vanno a

compensare la perdita di un elemento importante in termini di forza lavoro. Anche le relazioni

importanti variano nei diversi tipi di famiglia. Per gli Ju/wasi la relazione chiave è quella tra marito

e moglie, nelle Trobriand tra fratello e sorella, in Cina tra padre e figlio maschio. I ruoli di

sessualità, amore e ricchezza, centrali nella società americana, variano presso questi popoli. La

ricchezza non ha quasi nessun ruolo nella vita degli Ju/wasi; al contrario, sesso, amore e bellezza,

soprattutto per le donne, sono molto importanti. I Trobriandesi pongono l’ accento sull’ attrazione

sessuale e sull’ amore romantico, ma dopo il matrimonio la dimensione sessuale della loro

esistenza viene nascosta, almeno in pubblico, e la donna mette in risalto la propria fertilità e

maternità. Sul versante maschile la sessualità non è mai molto importante, infatti i Trobriandesi

ritengono che gli uomini non hanno alcun ruolo nella riproduzione. La loro attrattiva fisica è

tuttavia rilevante per attirare le amanti e, successivamente, una moglie. La ricchezza è importante

per conservare lo status sociale del matrilignaggio. Nella famiglia rurale tradizionale cinese la

verginità ha molta importanza ed è considerata indispensabile per una sposa. L’ amore romantico

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e il sesso non rivestono alcun valore nella relazione tra moglie e marito, poiché la funzione della

moglie è generare dei figli, preferibilmente maschi. Dunque, la donna viene apprezzata per la sua

fertilità non per la sua sessualità. Il solo caso in cui la maternità non ha un ruolo più importante

della sessualità riguarda la donna che, non essendo in grado di avere un marito o avendolo perso,

diventa una concubina o una prostituta. La ricchezza è necessaria per la famiglia dell’ uomo per

pagare il bridewealth alla famiglia della moglie al momento del matrimonio ed è necessaria anche

per mantenere la famiglia estesa patrilineare di un uomo, i suoi figli maschi e i figli maschi dei suoi

figli. Le forze che minacciano l’ unità familiare variano a seconda del contesto. Nella società

americana le minacce principali sono l’ infedeltà, la malattia, la lotta per il potere e le difficoltà

economiche. Tra gli Ju/wasi l’ infedeltà coniugale o i tentativi del marito di procurarsi una seconda

moglie costituiscono le principali minacce alla famiglia. Nelle Trobriand, invece, le minacce più

pericolose sono quelle al matrilignaggio. Ogni minaccia ad un suo membro viene considerata una

minaccia rivolta a tutti. Per questa ragione la morte di un trobriandese ha un significato

particolare: è attribuita alla stregoneria ed è un segno del fatto che qualcuno appartenente a un

altro lignaggio sta sfidando il potere del matrilignaggio. La minaccia più grande per la famiglia

tradizionale cinese è, ovviamente, l’ assenza di un figlio maschio che mette in pericolo non solo l’

esistenza della famiglia, ma l’ intero patrilignaggio nel tempo. Anche la morte del capo della

famiglia patrilineare estesa costituisce una minaccia. I conflitti tra fratelli per la divisione dei beni

di famiglia, infatti, sono frequenti e spesso si concludono con la ripartizione della proprietà

familiare e la divisione della famiglia estesa.

CAPITOLO 5 – La costruzione culturale della gerarchia sociale

Le cause della disuguaglianza sociale;

In che modo le società costruiscono le gerarchie sociali?;

Giovani e classi;

Status e angherie nella scuola superiore;

Perché le disuguaglianze economiche e sociali continuano ad esistere?;

Debito e redistribuzione della ricchezza;

La svalutazione del lavoro;

La costruzione di un nuovo razzismo;

Per quale ragione le gerarchie sociali vengono considerate naturali?;

La costruzione dell’ideologia razzista;

La costruzione sociale dell’intelligenza;

La costruzione della stratificazione attraverso il genere;

Quali strategie sviluppano i poveri per adattarsi alle loro condizioni di vita?;

La parentela come tentativo di adattamento alla povertà;

Alla ricerca del rispetto: vendere crack a El Barrio;

Una comunità privata di stratificazione può esistere all’interno di una società

gerarchica più ampia?;

Antropologia e diritti umani;

Antropologia e diritto alle cure mediche: il lavoro di Paul Farmer;

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La salute: un diritto universale

I problemi causati dalla disuguaglianza sociale, politica ed economica affliggono il mondo

moderno. Secondo alcuni l’ appartenenza di persone e gruppi a una gerarchia è inevitabile; altri

ritengono, invece, che può essere evitata ed è contraria alla natura umana. Infatti, esistono

società, come gli Ju/wasi e gli Inuit, relativamente ugualitarie. Due teorie relative alla

stratificazione sociale spiegano in modo dissimile il motivo per cui le società costruiscono delle

gerarchie sociali. Secondo la teoria integrazionista la gerarchia sociale è necessaria per coordinare

le attività all’ interno della società e per assicurare il suo corretto funzionamento. La teoria

conflittualista, invece, è basata sulla convinzione che la gerarchia sociale è determinata dal

dominio politico di un gruppo di individui su un altro finalizzato allo sfruttamento del lavoro e delle

risorse. La teoria conflittualista della stratificazione sociale più celebre è quella elaborata da Marx

ed Engels, i quali conclusero che i capitalisti, usavano il controllo delle risorse per sfruttare i

contadini, lasciati privi di terre. Le classi sociali sono, quindi, un prodotto del capitalismo e non un

aspetto necessario della società moderna. Secondo Marx, le classi si formano quando un gruppo

acquisisce il controllo dei mezzi di produzione e fa aumentare la propria ricchezza attraverso il

plusvalore del lavoro degli individui sfruttati. Questi ultimi accettano la loro condizione a causa

della repressione politica praticata dalla classe dirigente. La rassegnazione aumenta se il gruppo

che sta al comando controlla anche la diffusione delle informazioni creando un’ ideologia di classe

che persuade i lavoratori a sopportare la situazione senza ribellarsi. Secondo Marx ed Engels, l’

unica soluzione a questo stato di cose è la rivoluzione violenta. Uno dei compiti dell’ antropologia

è quello di comprendere in che modo le società elaborano delle giustificazioni per legittimare la

discriminazione sociale. Franz Boas ha tentato di dimostrare l’ infondatezza delle teorie e delle

ideologie razziste e sessiste, che hanno trovato dei sostenitori anche negli scienziati. Samuel

George Morton riteneva che l’ intelligenza di un individuo fosse legata alle dimensioni del cervello

e, dopo aver misurato numerosi crani appartenenti ad individui di diverse etnie, giunse alla

conclusione che i “bianchi”, soprattutto quelli del Nordeuropea, erano superiori non solo

socialmente ma anche biologicamente. Un secolo dopo il biologo Stephen Jay Gould stabilì che le

conclusioni a cui era giunto Morton miravano a supportare la gerarchia costruita dalle società.

Nonostante tutto nel corso del XX secolo molti si richiamarono alla teoria di Morton per sostenere

l’ ideologia che la stratificazione sociale possa essere giustificata da basi naturali. Far dipendere la

disuguaglianza sociale, politica ed economica dal cattivo funzionamento della società, infatti,

dovrebbe portare ad una revisione delle politiche sociali, economiche ed amministrative e coloro

che detengono i privilegi li perderebbero. Nonostante il fallimento della tesi di Morton vi è stato

uno sforzo continuo di fornire prove che l’ intelligenza è ereditaria e varia a seconda del gruppo

razziale. Ma la maggior parte di questi studi non precisa che la stessa intelligenza è una

costruzione sociale che continua ad essere utilizzato come mezzo per legittimare la gerarchia

sociale. Anche la stratificazione di genere è stata collegata alla biologia, per cui si è ritenuto che la

superiorità dei maschi sulle femmine fosse “naturale”. L’ idea che la biologia femminile renda le

donne esseri inferiori rispetto agli uomini è profondamente radicata nella cultura americana.

Infatti le funzioni biologiche femminili spesso sono state descritte in termini che fanno apparire le

donne inferiori rispetto agli uomini: per esempio, il ciclo mestruale era considerato come il segno

della mancata fecondazione dell’ ovulo, piuttosto che come il tentativo riuscito di evitare una

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gravidanza. Per sopravvivere le persone appartenenti agli strati più poveri della società, utilizzano

delle particolari strategie adattative. I neri di “The Flats”, in una cittadina del Midwest, ad

esempio, si sono adattati istituendo dei legami di parentela per garantirsi aiuto economico e

sociale nei momenti di bisogno; i portoricani dell’ Upper East Side di New York, invece, si sono

adattati costruendo un’ economia sommersa centrata sugli stupefacenti nel tentativo di opporsi ai

modelli di oppressione e discriminazione che costituiscono le radici stesse della povertà. Le

persone, quindi, non accettano passivamente la loro posizione ai livelli più bassi di una società

stratificata, ma si adattano alla situazione come meglio possono, pur avendo le stesse aspirazioni

sociali ed economiche di chi sta meglio. Molte persone, pur essendo coscienti degli effetti dannosi

della stratificazione sociale, ritengono che in un moderno paese industrializzato essa sia

inevitabile. Eppure alcuni gruppi hanno dimostrato che è possibile costruire comunità ugualitarie e

non stratificate all’ interno di una grande società industrializzata: gli utteriti, ad esempio. Si tratta

di un gruppo religioso protestante che esalta la proprietà comune e la distribuzione ugualitaria

della produzione e rifiuta la competizione, la violenza e la guerra. Il problema principale di

comunità come questa è di riuscire a motivare i membri a lavorare e a contribuire al bene comune

senza la promessa di un compenso individuale materiale, di uno status o del prestigio. Per questa

ragione molti dei tentativi di creare comunità utopiche hanno avuto esito negativo.

Capitolo 6 – LA COSTRUZIONE CULTURALE DEL CONFLITTO VIOLENTO

La giustificazione del conflitto violento;

In che modo le società creano una propensione alla violenza collettiva?;

Cavalli, gerarchia e guerra presso i Kiowa;

I bravi ospiti Yanomamo;

La difesa dell’onore nel Kohistan;

La giustificazione della violenza su base religiosa;

In che modo le società creano un rifiuto del conflitto violento?;

Caratteristiche delle società pacifiche;

Quali sono le differenze economiche, politiche e sociali tra le società violente e

quelle pacifiche?;

La necessità di proteggere le risorse e l’onore;

Creare le condizioni per la violenza;

Il sessismo e il conflitto violento;

Quali sono gli effetti della guerra sulle società?;

L’impatto della guerra sulla popolazione;

L’evoluzione dello stato-nazione;

Violenza e solidarietà maschile;

Come è possibile giustificare la creazione di armi di distruzione di massa?;

Il linguaggio della distruzione nucleare;

Decifrare la retorica della guerra e della violenza;

La SOA;

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Costruzione di una particolare visione degli stati uniti;

Costruire la minaccia dell’America way of life;

Costruire l’impunità;

La risposta alle critiche

Le persone attribuiscono certi significati alla violenza collettiva e la giustificano, allo scopo di porre

le proprie azioni a distanza dalle conseguenze della violenza. Pur condannando gli atti violenti,

viviamo in un mondo in cui i governi costruiscono sistemi di significati che consentono loro di

progettare e ammettere l’ uso di armi capaci di sterminare milioni di persone. C’ è chi ritiene che

la propensione al conflitto sia parte della natura umana. Ma il fatto che gli esseri umani

costruiscano significati atti a giustificare il conflitto suggerisce che esso abbia poco a che fare con

un istinto naturale verso l’ aggressione. Per capire come le società costruiscono dei significati per il

conflitto violento, mascherandone le conseguenze e convincendo le persone che esso è giusto e

adeguato, bisogna comprendere innanzitutto come le società creino una propensione alla violenza

collettiva che, secondo alcuni, sarebbe una struttura culturale. Presso i nativi americani delle

pianure occidentali, ad esempio, il conflitto violento è giustificato come sistema per acquisire uno

status. Le scorrerie presso altre tribù a scopo di razzia di cavalli erano un modo per accrescere lo

status personale, dal momento che i cavalli erano simbolo di ricchezza e misura dell’ importanza di

un uomo. In casi come questo, dunque, si crea una propensione alla violenza collettiva

premiandola. Presso gli Yanomamo del Venezuela, invece, la violenza collettiva è resa necessaria

per difendere risorse preziose, come donne e bambini. Presso gli abitanti del Kohistan, vige un

codice d’ onore che esige la vendetta ogni volta che un uomo vede il proprio onore minacciato. In

tal caso, quindi, il conflitto violento è giustificato come mezzo di vendetta per difendere l’ onore o

l’ onestà personali. Un altro modo per giustificare la violenza può fare riferimento a questioni di

ordine religioso. Collocando lo scontro ad un livello cosmico, come lotta tra il bene e il male, pare

che esso vada al di là di questioni locali per assumere un’ importanza maggiore. Vi sono, tuttavia,

società relativamente pacifiche in cui l’ uso della violenza viene evitato condividendo le risorse,

costruendo relazioni di dipendenza reciproca tra i vari gruppi, scoraggiando e disapprovando il

comportamento aggressivo e valorizzando i comportamenti collettivi che favoriscono l’ armonia

tra i gruppi e all’ interno del gruppo stesso. Gli Ju/wasi, i Semai, gli Inuit, gli Xinguano e i Buid sono

esempi in tal senso. Tuttavia, anche nelle società cosiddette pacifiche esiste la violenza. Sussistono

differenze di tipo economico, politico e sociale tra le società pacifiche e quelle violente. Il filosofo

T. Hobbes riteneva che l’ inclinazione naturale degli uomini alla violenza potesse essere arginata

attraverso una’ autorità centralizzata. Ma gli antropologi hanno scoperto che le società in cui

manca un governo formale sono tra le più pacifiche al mondo. Tuttavia, vi sono società, come

quella degli Yanomamo e dei Kohistani, in cui viene incitata la competizione riguardo alle risorse,

cosa che costringe gli individui, a causa della mancanza di un’ autorità centrale, a difendere la

proprietà privata con mezzi violenti. E’ stata ipotizzata un’ altra differenza tra società pacifiche e

società violente, ed è quella connessa ai ruoli di genere. Nelle società pacifiche, infatti, uomini e

donne hanno una relativa parità e vi è un basso livello di violenza istituzionalizzata nei confronti

della donna. Viceversa gli Yanomamo e i Kohistani sono caratterizzati da una forte dominanza

maschile e giustificano al violenza contro le donne. E’ stato verificato che le società caratterizzate

dalla violenza sessuale contro le donne tendono ad essere più bellicose ed inclini alla violenza

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collettiva. Tuttavia, c’è chi ritiene che sia l’ incidenza del conflitto violento a favorire il sessismo.

Riassumendo, alcuni fattori come la mancanza di un controllo centrale, la competizione per le

poche risorse, la proprietà privata e il sessismo possono portare una società ad alimentare una

propensione ideologica per la violenza. Alcuni antropologi ipotizzano che la guerra possa avere

effetti positivi, in quanto limita l’ accrescersi della popolazione, specie nelle piccole società, o

influenza la composizione biologica della specie umana attraverso la selezione naturale. Tuttavia, l’

antropologo Livingstone è giunto alla conclusione che, nonostante l’ enorme numero di morti

causate dalla guerra moderna, essa in apparenza ha avuto effetti trascurabili sull’ aumento della

popolazione. Divale e Harris, invece, sostengono che il conflitto violento agisca da fattore di

regolazione della crescita della popolazione, non tanto uccidendo uomini adulti, quanto

incoraggiando l’ uccisione delle neonate. Gli studiosi concludono che la guerra favorisce il sessismo

solo perché favorisce il controllo selettivo della popolazione. Gli antropologi affermano inoltre che

il conflitto violento può favorire alcune forme di organizzazione politica. Robert Carneiro sostiene,

ad esempio, che nel corso della storia dell’ uomo il conflitto violento è stato il principale fattore di

trasformazione delle società, che sono passate da piccole comunità autonome a grandi e

complessi Stati-Nazione. Oltre ad avere la funzione di controllo della popolazione e di unione delle

società tribali in grandi stati complessi, il conflitto violento può essere considerato un mezzo che

incentiva la solidarietà di gruppo, ad esempio la solidarietà maschile. Tuttavia, alcuni ritengono

che siano proprio la solidarietà maschile e la conseguente dominazione sulla donna a far

aumentare la violenza. Come la capacità di nascondere le conseguenze del conflitto violento può

essere una delle ragioni della sua frequenza, così le persone riescono a nascondere anche a se

stesse le conseguenze della massima forma di violenza: l’ utilizzo di armi nucleari. Coloro che si

occupano di strategie nucleari utilizzano un linguaggio che consente loro di prendere le distanze

dalle conseguenze delle azioni pianificate. Così metafore ed eufemismi offuscano la realtà e la

sistemano in modo che ciò di cui si parla veramente, ossia distruggere ciò che l’ uomo ha creato ed

uccidere altri esseri umani, venga nascosto.

Capitolo 7- Globalizzazione, Neoliberismo e Stato-Nazione

La mia t-shirt;

Come definiamo la felicità e il benessere? Denaro, ricchezza e benessere;

Breve storia del denaro;

La società della crescita incessante;

Da dove ha origine la ricchezza necessaria a sostenere la crescita?;

Conversione dei capitali;

Quale tipo di sistema economico è necessario per sostenere la crescita?;

La grande trasformazione;

L’emergere del neoliberismo;

Esternalità del mercato;

Qual è il ruolo dello stato-nazione nel sostenere la crescita?;

I percorsi della t-shirt;

Libero scambio;

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Evitare di prendere decisione democratiche;

L’uso della forza;

Perché l’economia collassa?;

Bulbi di tulipano e bolle speculative;

La bolla immobiliare del 2007;

I fattori istituzionali che hanno contribuito alla crisi;

Antropologia e politiche pubbliche;

Le esternalità del mercato degli hotel per maiali;

Se pensiamo ad una T-shirt di cotone stampata, distribuita e venduta in Florida, ma prodotta,

cucita e filata in Cina da cotone coltivato in Texas ci rendiamo conto di cosa sia concretamente la

globalizzazione ed in che modo riguarda tutti noi. I Paesi più ricchi consumano sempre di più

arrecando danni enormi all’ ambiente e non pare che la felicità delle persone sia in aumento, anzi

è diminuita rispetto ai decenni precedenti. Eppure sembra “naturale” volere sempre di più e,

quindi, spendere sempre di più. Per la società americana contemporanea il fattore centrale dell’

esistenza è il denaro, ritenuto essenziale per raggiungere il benessere e la felicità anche perchè

spesso è il solo mezzo che consente di avere ciò che si desidera o di cui si ha bisogno. Perchè l’

economia delle cosiddette società avanzate funzioni è necessario chiedere sempre meno a

famiglia e amici e far ricorso esclusivo al mercato. E’ necessario, quindi, lavorare per poter

disporre di denaro da scambiare con qualcos’ altro. Inoltre, le economie che funzionano bene

devono crescere ogni anno del 3%, per cui l’ offerta di moneta e di beni deve crescere. Nella

società ci sono beni che possiamo procurarci soltanto facendo ricorso al mercato ed altri che

stanno al di fuori di esso. Tuttavia, vi è un costante tentativo di trasformare anche questi beni in

merci: ad esempio, le persone vengono indotte dalle campagne pubblicitarie ad associare l’

amicizia alla birra e l’ amore ai diamanti. La moderna economia di mercato riesce, quindi, ad

attuare nei più svariati modi la conversione di capitali, vale a dire la trasformazione del capitale

non monetario (l’ ambiente naturale, i diritti politici e il capitale sociale) in denaro. I sistemi

economici si fondano su regole, meccanismi, istituzioni e sistemi di relazione attraverso i quali le

persone si procurano ciò che vogliono. La nostra moderna economia è costituita da un mercato

globale. Gli stati hanno sempre svolto un ruolo rilevante nell’ economia, ma, ad un certo punto, gli

economisti si dichiararono favorevoli ad una riduzione dell’ intervento dello stato nell’ economia

fiduciosi nella creazione spontanea di un equilibrio tra la domanda e l’ offerta. Così i governi hanno

cercato di mantenere un equilibrio nel funzionamento del mercato tra l’ imposizione di regole e il

non-intervento. Ma negli anni Settanta si è verificato un rallentamento nella crescita, così nacque

una nuova filosofia economica definita neoliberismo, che si proclama a favore della riduzione del

coinvolgimento del governo nell’ economia, ritenendo che il mercato sia in grado di autoregolarsi,

e promuove l’ accelerazione della conversione del capitale. Una via attraverso la quale ridurre il

coinvolgimento dello stato e aiutare la crescita è esternalizzare i costi di produzione, distribuzione

e consumo di beni e servizi, che così non sono inclusi nel prezzo pagato dagli acquirenti, ma

gravano sulle imposte pubbliche, sulle generazioni future o sulle persone di altri Paesi. Tutto

questo è possibile perchè nonostante i limiti imposti all’ intervento dello stato nell’ economia, gli

stati-nazione in realtà rivestono ancora un ruolo molto importante nella crescita economica.

Quando è possibile, fanno rispettare le leggi per proteggere le proprie industrie tentando, al

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contempo, di ridurre la capacità dei paesi poveri di proteggere le loro. Gli stati-nazione

contribuiscono a creare il consenso sulle politiche economiche che favoriscono la crescita e,

quando lo ritengono necessario, fanno ricorso alla forza per impadronirsi di alcune risorse, come il

petrolio, e per imporre ad altri paesi delle politiche che tornino a proprio vantaggio. Una crescita

continua comporta la perdita di capitale naturale, politico e sociale, aumentando la disuguaglianza

tra ricchi e poveri. L’ economia neoliberista ha altri due importanti effetti sulla società: la

distruzione delle forme di solidarietà sociale e la trasformazione di alcune istituzioni come scuole e

università. Oggi non ci sono corsi universitari che non contemplino la presenza di insegnamenti

relativi alla formazione manageriale e le università tendono a formare cittadini internazionali o

globali. Urge allora un cambiamento che non arrechi danni all’ economia e alla società. L’ Indice

dello Sviluppo Umano e l’ Indice di Progresso Effettivo costituiscono dei tentativi di ridefinire il

benessere.

Capitolo 8 – IL SIGNIFICATO DI PROGRESSO E SVILUPPO

La fine di un modo di vivere;

Perché le società di cacciatori-raccoglitori passarono all’agricoltura sedentaria?

Vita tra i cacciatori-raccoglitori: gli Hadza e gli JuWasi;

Il passaggio all’agricoltura;

Produrre calorie con le patate;

Perché alcune società sono più avanzate di altre dal punto di vista dell’industrializzazione?;

Gli inglesi in India;

Cotone e schiavitù e allontanamento dei Cherokee;

Perché i paesi poveri non progrediscono e non si sviluppano allo stesso modo dei paesi

ricchi?;

Il caso del Brasile;

Come si possono comparare i moderni standard di salute e di cure mediche con quelli delle

società tradizionali?;

Malattia e disuguaglianza;

Il significato di malattia;

Antropologia e sviluppo;

Progetti di sviluppo e popolazioni indigene nel Delta del Machenzie;

Sviluppo, depoliticizzazione e potere burocratico in Lesotho;

La capacità di avere aspirazioni; la cultura, la politica del riconoscimento e la lotta contro la

povertà negli slums di mumbai

Lungo un arco di 10.000 anni le società hanno abbandonato un modo di vivere che era

sopravvissuto per almeno 100.000 anni. Il passaggio delle comunità di cacciatori-raccoglitori a una

vita di agricoltori sedentari potrebbe essere spiegato dalla necessità di progredire e di sviluppare

modi migliori di vivere. Ma gli studi condotti sulle società odierne di cacciatori-raccoglitori rivelano

che vivono piuttosto bene e, soprattutto, che dedicano al lavoro solo una minima parte del loro

tempo. Forse allora è stato un aumento della popolazione o della densità di popolazione ad aver

favorito il cambiamento e le moderne tecniche agricole si sono rivelate migliori e più efficienti.

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Tuttavia, l’ analisi di John Bodley relativa al dispendio energetico dell’ agricoltura moderna

suggerisce che in effetti è difficile concludere che questa sia davvero migliore. La fame nei Paesi

poveri non è tanto la conseguenza di una mancanza di tecniche agricole moderne, quanto della

povertà e dei tentativi di industrializzazione. La necessità di ripagare i prestiti bancari contratti per

l’ industrializzazione ha portato certi paesi, come il Brasile, a favorire lo sviluppo di grandi aziende

agricole che coltivano piante i cui prodotti sono destinati all’ esportazione. La gente viene privata

della propria terra e lasciata senza reddito sufficiente a sfamarsi. Si potrebbe pensare allora che le

società moderne possono essere avvantaggiate dal punto di vista dell’ assistenza sanitaria e delle

cure mediche. In realtà, i ricercatori hanno constatato che le malattie infettive sono più comuni

nelle società moderne e che i comportamenti umani connessi all’ industrializzazione, alla

modernizzazione e alla distribuzione diseguale della ricchezza favoriscono spesso la diffusione di

malattie contagiose. Inoltre, le teorie tradizionali della malattia e le cerimonie per la cura possono

essere efficaci nel trattamento di una patologia o di un disturbo. Allora, nonostante tutto ciò che

hanno da offrire, le società più semplici stanno scomparendo non a causa di una scelta, ma in

conseguenza di interventi dei paesi cosiddetti civili. L’ idea di progresso può essere semplicemente

una comoda giustificazione logica perchè una società possa imporre ad altre la propria volontà

economica e politica.

CAPITOLO 9 – La storia degli orientamenti teorici in sintesi

LE PREMESSE STORICHE (CAP 9)

Le discipline antropologiche affondano le proprie radici nei nuovi modi con cui il pensiero

moderno, e l’ Illuminismo in particolare, impostano il problema della natura e della storia del

genere umano. Si valorizzano i risultati dell’ osservazione, descrizione e comparazione “obiettive”

dei costumi di quelle popolazioni scoperte grazie ai viaggi transoceanici. Per tutto il Medioevo e

per i primi secoli dell’ Età Moderna, invece, costumi e credenze erano valutati in rapporto alla

religione cristiana, per cui si aveva un’ opposizione tra ciò che era “cristiano”, e quindi “razionale”

e “civile”, e ciò che era “pagano”, e quindi “barbaro” e “superstizioso”. Ma tra Umanesimo e

Rinascimento, si verificano una nuova attenzione per lo studio dei testi classici, il miglioramento

delle cognizioni tecniche necessarie per affrontare i viaggi transoceanici e la conseguente

produzione di un numero sempre crescente di resoconti di viaggio, la riflessione filosofica valorizza

l’ indagine empirica e la ragione umana si allontana sempre più dai dogmi della fede. La scoperta

dell’ America consente di affrontare in modo nuovo la questione della diversità dei costumi e dei

sistemi di valori. Le Sacre Scritture, cui ancora ricorre Cristoforo Colombo nei suoi diari di viaggio,

costituiscono adesso un punto di riferimento incerto e lacunoso. Nei secoli XVI-XVII, teologi e

giuristi si confrontano sulla legittimità della conquista europea del continente americano e sulla

possibilità di legittimare la riduzione in schiavitù delle popolazioni scoperte. Michel de Montaigne,

nel suo saggio Del Costume, manifesta comprensione nei confronti dell’ alterità, un atteggiamento

non comune tra i suoi contemporanei. Nella sua opera si riscontrano nozioni e questioni centrali

nei dibattiti che stanno all’ origine delle discipline antropologiche. Innanzitutto, l’ uso dei termini

“barbaro” e “selvaggio” per qualificare credenze e comportamenti di popolazioni “altre” da “noi”

per la diversità di alcuni tratti fisici, dei costumi, delle istituzioni sociali, dei modi di pensare, ossia

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di tutti quegli aspetti che andranno a costituire il contenuto della nozione antropologica di cultura.

Montaigne sostiene che nel designare qualcosa o qualcuno come “barbaro” non si eprime un

giudizio oggettivo di inferiorità rispetto ad un modello di perfezione della natura umana, bensì una

valutazione dipendente dal punto di vista di chi la esprime. Appartenere ad un gruppo

determinato influisce, quindi, sulla formulazioni di giudizi su credenze e modi di vivere di gruppi

umani che sentiamo “altri” da “noi” e porta a riconoscere come pienamente “umani” e “morali”

solo se stessi. Nel 1906 William Sumner, nella sua opera Folkways, definirà questo atteggiamento

etnocentrismo: “la concezione per la quale il proprio gruppo è considerato il centro di ogni cosa, e

tutti gli altri sono valutati in rapporto ad esso. Ogni gruppo ritiene che i propri folkways siano gli

unici giusti e, se osserva che altri gruppi hanno folkways diversi, li considera con disprezzo”. Il

giudizio di barbarie esprime una valutazione relativa e non assoluta e dice qualcosa su chi lo

emette, più che su coloro ai quali è riferito. Un altro contributo rilevante allo sviluppo delle

discipline antropologiche è stato fornito dalle teorie contrattualiste del legame sociale, come

quella di Thomas Hobbes nel Leviatano e quella di Jean Jacques Rousseau nel Contratto Sociale. L’

idea comune a queste teorie è che la vita degli uomini in società è il frutto di un contratto stipulato

sulla base dell’ accettazione di regole stabilite per via di convenzione. I padri fondatori della

disciplina saranno i primi a riflettere a partire da questi temi allo scopo di individuare le forme

primitive delle credenze religiose e delle istituzioni sociali e ricostruirne l’ evoluzione storica. Dalla

critica delle teorie razziali della diversità umana, che si sviluppano nei secoli XVIII e XIX, l’

antropologia culturale moderna trarrà parte importante della sua legittimità di disciplina

scientifica che descrive e spiega i rapporti tra unità e diversità della specie umana. Anche le teorie

del progresso della civilizzazione sono alla base dello sviluppo delle discipline antropologiche. Si

tratta dell’ idea che la storia umana può essere vista come un progresso regolato da leggi di

sviluppo, analoghe a quelle che presiedono lo sviluppo di un organismo biologico, valide per tutti i

gruppi umani. Due formulazioni particolarmente importanti della teoria degli stadi di sviluppo

della società e della razionalità umane sono quella del francese Auguste Comte, che formulò la

legge dei tre stadi, e quella dell’ inglese Herbert Spencer, che sostenne la tesi che la realtà era

regolata da un’ unica legge fondamentale di evoluzione da stadi più semplici a stadi più complessi.

In questa prospettiva teorica, le società dell’ Europa continentale dei secoli XVIII e XIX costituivano

lo stadio di sviluppo più avanzato dell’ umanità, mentre le popolazioni extraeuropee erano

considerate inferiori e primitive. Ma un altro principio cardine delle teorie illuministe era quello

dell’ unità psichica del genere umano, l’ idea che tutti gli uomini conoscevano la realtà applicando

gli stessi principi di ragionamento. La differenza degli stadi di sviluppo delle varie popolazioni era

allora spiegata con la nozione di “razza”, per cui le varie razze umane hanno abilità psichiche

diverse. Anche i padri fondatori delle discipline antropologiche Edward Burned Tylor e Henry L.

Morgan ricorreranno a spiegazioni di tipo razziale nell’ ambito delle loro teorie delle leggi di

sviluppo delle forme di razionalità e della società.

I PADRI FONDATORI DELA DISCIPLINA (CAP.9)

L’ orientamento teorico dei padri fondatori dell’ antropologia prende il nome di evoluzionismo

unilineare. Secondo questo filone, l’ evoluzione delle società sarebbe avvenuta per tappe di

sviluppo uguali per tutte, dallo stadio primitivo a quello barbaro per giungere, infine, ai popoli

civilizzati. Questa scuola ha esponenti sia in Inghilterra sia in America: tra i primi Edward Burned

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Tylor, Maine e James Frazer, tra I secondi Lewis Henry Morgan. La visione dei padri fondatori

restava in gran parte congetturale e spesso sfociava in grandi generalizzazioni. Inoltre, la teoria

darwiniana dell’ evoluzione per selezione naturale mostrava che i principi con cui in natura era

avvenuta l’ evoluzione delle specie viventi erano ben diversi da quelli postulati dai padri fondatori.

Questi ultimi, infatti, vedevano la storia naturale come una sequenza deterministica di stadi di

sviluppo e non come un processo complesso, imprevedibile e casuale. Notevole importanza per lo

sviluppo delle discipline antropologiche riveste la nozione di cultura di Tylor, il quale in Primitive

Culture (1871) scrive: “Cultura o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’ insieme

complesso che include la conoscenza, le credenze, l’ arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi

altra capacità o abitudine acquisita dall’ uomo in quanto membro di una società”. Tylor è fautore

di un uso esteso del metodo comparativo e trovò che in società che avevano raggiunto uno stadio

di sviluppo più avanzato potevano permanere elementi culturali che erano sopravvivenze del suo

passato, ossia tracce che avrebbero dovuto dimostrare una società avanzata era passata per

condizioni di vita simili a quelle in cui si trovavano le popolazioni “selvagge” o “barbare”. Tylor s’

interroga anche su quale potesse essere stata la prima forma di religione nella societè primitive e

giunge alla conclusione che deve trattarsi dell’ animismo, elemento comune a tutte le religioni. All’

origine di ogni religione vi sarebbe infatti la credenza che esiste un principio immateriale, l’ anima,

che in certe situazioni, si separa dal corpo. L’ idea di anima sarebbe nata per spiegare la morte e

situazioni come quelle sperimentate nei sogni. L’ approccio di Tylor alla spiegazione delle

manifestazioni culturali è stato chiamato intellettualismo: Tylor tendeva a spiegare tutti gli

elementi che contribuiscono alla formazione della cultura in termini di processi consci, razionali.

Sul versante americano dell’ evoluzionismo unilineare si colloca Lewis Henry Morgan, al quale si

deve un’ indagine comparativa delle terminologie di parentela. Una delle ultime espressioni dell’

evoluzionismo unilineare è quella di James Frazer che, nella sua opera Il ramo d’ oro, spiega come

il pensiero umano si sia evoluto da una forma di pensiero magico ad un pensiero religioso, quindi

ad una forma di pensiero scientifico. Secondo Frazer, i primitivi ritenevano di poter controllare l’

ordine delle cose attraverso il pensiero magico. Con i giusti riti certi uomini dotati di certi poteri

potevano controllare queste forze. Ma ad un certo punto l’ individuo capisce che la realtà non è

controllabile e decide di affidarsi a potenze superiori. Nasce così il pensiero religioso e gli individui

pregano queste entità superiori perché interagiscano benevolmente nelle loro vite. Quando gli

essere umani si rendono conto che le leggi della natura sono conoscibili e sperimentabili nasce il

pensiero scientifico, che si distingue dalla magia, “sorella bastarda della scienza”, per l’ uso del

metodo sperimentale. Il limite principale degli evoluzionisti è stato sicuramente quello di

considerare uno dei modi possibili di sviluppo come l’ unico modello possibile

IL DIFFUSIONISMO E IL PARTICOLARISMO STORICO DI FRANZ BOAS

In Germania tra XIX e XX secolo fiorisce un orientamento noto come diffusionismo, il cui primo

esponente importante è Friedrich Ratzel. Quest’ ultimo di preoccupa di ricostruire i processi storici

di diffusione degli elementi culturali da un’ area all’ altra, in seguito a migrazioni di gruppi o a

prestiti tra gruppi vicini. Si tratta di un fenomeno differente dall’ invenzione indipendente. Altro

studioso di rilievo per l’ antropologia contemporanea è il tedesco Franz Boas che propone un

approccio allo studio dei fenomeni culturali chiamato particolarismo storico. Franz Boas effettuò

lunghe ricerche sul campo partecipando direttamente alla vita delle popolazioni che studiava,

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instaurando rapporti di estesa collaborazione con alcuni individui al fine di raccogliere

informazioni etnografiche. Produce una documentazione etnografica imponente che include la

trascrizione estesa e integrale di numerose narrazioni e testi verbali indigeni. Celebre è rimasta la

sua descrizione del potlach per l’ utilizzo che ne fecero Marcel Mauss nel suo Saggio sul dono e

Ruth Benedict in Modelli di cultura. Il potlach consiste nella preliminare accumulazione di beni da

parte di un capovillaggio degli indiani delle praterie che, per un certo periodo di tempo, raccoglie

cibo, pellicce, specchietti, perline e altre cose ritenute di valore, sia in termini di sussistenza sia in

termini simbolici, per poi indire un potlach, in concomitanza di eventi socialmente rilevanti, in cui

distribuirà gli oggetti accumulati ai capivillaggio intervenuti. I beni in eccedenza vengono distrutti.

Dopo un certo lasso di tempo viene indetto un altro potlach da parte di un altro capovillaggio che

dovrà accumulare e distruggere più beni del precedente, e così via. Sono in gioco il prestigio e lo

status del capovillaggio. Si tratta, inoltre, della messa in forma in una modalità drammatizzata

della violenza. Franz Boas non elaborò una teoria sistematica dei processi culturali, ma analizzò

con rigore molti problemi e casi concreti mostrando così il carattere preconcetto ed

empiricamente infondato delle ricostruzioni storiche degli evoluzionisti, le cui ricostruzioni

restavano, in moltissimi casi, semplici congetture smentite dai risultati di un’ indagine storica

concreta. Boas consiglia allora di utilizzare il metodo storico. Il suo apporto teorico è in pratica

consistito nel portare ad escludere le spiegazioni di credenze e pratiche basate, oltre che sul

concetto di sviluppo evolutivo, sui fattori di razza e ambiente naturale. Secondo alcuni critici, alla

fine della sua carriera, Boas assunse una posizione di scetticismo epistemologico secondo la quale

gli antropologi avrebbero dovuto limitarsi a descrivere e documentare i costumi e i modi di vita dei

gruppi umani senza spiegarli alla luce di leggi. Il fine delle ricerche doveva essere quello di fornire

delle descrizioni etnografiche .

I CONTINUATORI DI FRANZ BOAS E LA SCUOLA DI “ CULTURA E PERSONALITA’ “ (CAP 9 )

Due dei più importanti allievi di Boas furono Lowie ed Alfred Kroeber. Lowie sostenne che la

cultura era l’ oggetto di studio specifico dell’ etnologia come disciplina distinta dalla psicologia. In

Primitive Society (1920) paragonò la cultura ad una “cosa formata di stracci e frammenti” dalle

caratteristiche e provenienza le più diverse. Nel saggio The Superorganic (1917), Kroeber sostenne

la tesi che la cultura è l’ oggetto di studio specifico dell’ antropologia e rimanda a fenomeni

collocati ad un livello superorganico. In questo saggio, Kroeber si domanda cosa differenzia i

mammiferi che vivono nell’ artico dagli esseri umani che vivono alla medesima latitudine? Lo

studioso scrive che il cucciolo di orso nasce naturalmente dotato di zanne, artigli e pelliccia

(adattamento organico), il cucciolo di uomo invece deve trarre queste cose dall’ ambiente

circostante (adattamento superorganico). Il cucciolo di uomo è, dunque, naturalmente privo di

caratteristiche che gli consentono di sopravvivere, ma trae gli strumenti culturali necessari dal

contesto. Quella di Kroeber è una visione stratigrafica in cui la cultura è vista come un abito che s’

indossa, che afferisce quindi ad una dimensione superorganica. Un altro concetto elaborato dalla

generazione di antropologi statunitensi successiva a Boas è quello di acculturazione, definita come

l’ insieme di fenomeni che si verificano quando gruppi di persone di culture diverse entrano in

contatto diretto e continuo con modificazioni conseguenti nei modelli culturali di uno o di

entrambi i gruppi. La scuola culturalista di “Cultura e personalità” si occupa della relazione tra

individuo, soggettività e la dimensione in cui si trova e si interroga sul modo in cui si forma la

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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’ DI R.H. ROBBINS

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personalità. Ruth Benedict volle mostrare che ogni gruppo umano deriva la propria peculiarità dal

fatto che le manifestazioni della sua cultura sono integrate in base ad un pattern culturale che ne

determina lo stile distintivo. La studiosa confrontò la cultura di quattro popolazioni e giunse alla

conclusione che in ognuna di esse i diversi aspetti dei modi di vita erano contrassegnati da un

particolare modello di disposizione psicologica. L’ importanza della sua opera, Modelli di cultura,

risiede nel fatto di aver inaugurato la riflessione sul rapporto tra sviluppo della personalità

individuale e modelli culturali collettivi. Margaret Mead effettuò ricerche sul campo tra i gruppi di

cui scrisse. In Coming of age in Samoa, la studiosa descrive l’ adolescenza a Samoa, gruppo di isole

della Polinesia, sostenendo che lì non vi fossero quei conflitti che caratterizzavano invece quell’

età negli Stati Uniti. La Mead riteneva che i differenti modelli educativi fossero responsabili di

questa differenza e che Samoa poteva costituire un modello da cui prendere spunto per affrontare

i problemi “di casa”. In Sesso e temperamento in tre società primitive, la Mead comparò le

relazioni tra uomini e donne in tre diverse popolazioni della Nuova Guinea allo scopo di dimostrare

che le indoli femminile e maschile non derivavano semplicemente dalla natura della differenza

sessuale, ma erano un prodotto della cultura particolare di ogni gruppo. Secondo Edward Sapir,

allievo di Boas, il resoconto etnografico della Mead doveva essere accolto con cautela, dal

momento che la studiosa non conosceva la lingua locale. L’ antropologo neozelandese Derek

Freeman mise fortemente in crisi il quadro dipinto dalla Mead ritenendo che a Samoa l’

adolescenza e la sessualità prematrimoniale erano causa di accesi conflitti. Altri due esponenti di

spicco della scuola di Cultura e personalità furono Abraham Kardiner, psicanalista di formazione

che elaborò il concetto di “personalità di base“, e Ralph Linton, il quale elaborò i concetti di analisi

dell’ interazione sociale, in particolare quelli di status e ruolo.

EMILE DURKHEIM E LA SCUOLA SOCIOLOGICA FRANCESE (CAP 9 )

Emile Durkheim si colloca all’ origine dell’ antropologia sociale ed è il fondatore della Sociologia

Classica Francese. Altri esponenti di spicco di questa scuola sono: Lucien Levy-Bruhl, Robert Herzt,

Marcel Mauss ed Arnold Van Gennep. Emile Durkheim spiega i fatti sociali a partire da essi ed in

questo risulta debitore di William Robertson Smith, il quale ravvisa un errore metodologico nell’

evoluzionismo. Lo studioso sostiene che non ha senso interrogarsi sull’ origine della religione,

come aveva fatto Tylor, perché potremmo solo ipotizzarla, non avremmo prove certe. E’ utile,

invece, guardare ai riti concretamente agiti. Il fenomeno religioso è un fatto sociale che ci impone

di guardare nel concreto gli individui quando si riuniscono nella celebrazione di un rito, invece di

ipotizzare. Nel suo libro Le regole del metodo sociologico (1895), Durkheim scrive che “i fatti

sociali vanno trattati come cose e non possono cambiare per la volontà del singolo, sono dei modi

di agire o pensare che esercitano un’ influenza coercitiva sulla coscienza individuale”. Lo studioso

francese sostiene che le rappresentazioni collettive, che rientrano nel novero dei fatti sociali in

quanto stati di coscienza collettiva che si impongono alla coscienza individuale in maniera

inconscia ed apparentemente automatica, sono particolarmente dominanti nelle società semplici.

Queste ultime sono caratterizzate da una solidarietà di tipo meccanico, in virtù della quale

coscienza individuale e coscienza collettiva sono sovrapponibili per cui quando si verifica una

violazione delle norme si mette in crisi l’ intero sistema. Nelle società più articolate, invece, si ha

una solidarietà di tipo organico per cui coscienza individuale e coscienza collettiva non sono

perfettamente sovrapponibili e l’ individuo ha un margine di libertà che gli consente di discostarsi

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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’ DI R.H. ROBBINS

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dalla norma senza mettere in crisi l’ intero sistema. Tutta l’ opera degli esponenti della scuola

sociologica francese rappresenta il passaggio da una problematica evoluzionista ad una

funzionalista nello studio dei fenomeni sociali. Il loro obiettivo è stato quello di comprovare l’

ipotesi secondo la quale le forme di pensiero e di socialità affermatesi nell’ Europa moderna erano

il risultato dell’ evoluzione di forme più semplici di cui la sociologia doveva ricostruire i meccanismi

e le tappe. Questi studiosi insistettero sulla natura sociale dei meccanismi di organizzazione della

conoscenza. Ne Le forme elementari della vita religiosa (1912), Durkheim si occupa delle origini e

della natura della religione. Anche in questo caso era necessario condurre un’ analisi su fatti, per

cui lo studioso prese in considerazione le società semplici degli aborigeni australiani. Durkheim

affermò che le credenze religiose si fondano su un’ opposizione irriducibile, fondativa della realtà

stessa, che caratterizza tutte le società arcaiche, ossia l’ opposizione tra il sacro ed il profano, sulla

quale si fonda il sistema delle classificazioni duali. E’ sacro tutto ciò che non è profano e viceversa.

Durkheim non individua contenuti specifici, ma una dimensione speciale a partire dai riti in cui

accade qualcosa di diverso dal solito. Altro esponente della scuola sociologica francese è Lucien

Levy-Bruhl, il quale ne Le funzioni mentali nelle società inferiori (1912) avanzava la tesi secondo

cui la mentalità dei primitivi sarebbe caratterizzata da principi di associazione dei fenomeni diversi

da quelli logici di identità e non contraddizione. Lo studioso sostenne che il pensiero primitivo era

prelogico ed istituiva connessioni tra i dati dell’ esperienza secondo il principio di partecipazione

mistica per cui tutto è in contatto con tutto. Secondo Levy-Bruhl, infatti, il primitivo non distingue

tra realtà sensibile e realtà ultraterrena, ma la realtà tutta si compone di livelli interconnessi in cui

agiscono forze. Il primitivo non ha sviluppato la dimensione dell’ individualità e non riesce a

distinguere il soggetto dall’ oggetto. Nei suoi Quaderni, pubblicati postumi (1949), Levy-Bruhl

rettifica la sua posizione affermando che non esiste una mentalità primitiva che si distingua dalla

mentalità moderna razionale per il fatto di essere mistica e prelogica, ma nei primitivi è più facile

osservare una forma di mentalità mistica presente in ogni mente umana di tutti i tempi e tutti i

luoghi. Comunque Levy-Bruhl si sforza di rintracciare uno spazio differenziale dei primitivi con

procedure altrettando valide quanto quelle dell’ uomo moderno, logiche nei termini del pensiero

simbolico. Anche Robert Herzt rientra nel novero degli antropologi appartenenti alla scuola

sociologica francese. Muore giovane nella prima guerra mondiale, ma lascia due saggi molto

importanti: La preminenza della mano destra e Studio sulla rappresentazione collettiva della

morte. Nel primo saggio Hertz sottolinea come la mano destra sia preminente sulla mano sinistra

in termini di considerazione sociale. La mano destra è una vera e propria istituzione sociale che

gode di considerazione positiva al pari di tutto ciò che è riconducibile al lato destro delle cose. Nel

secondo saggio, lo studioso riflette a partire dal fatto che nonostante la morte sia un fatto

naturale, tutti i gruppi umani non si sono limitati ad accettare il fatto che la vita abbia una fine ma

hanno sentito l’ esigenza di marcare quest’ evento. Hertz s’ interroga sulla rappresentazione

collettiva della morte, su cosa significhi morire. La morte non si limita a mettere fine ad un’

esistenza biologica, ma ad una dimensione sociale che va ripristinata. Presso una popolazione del

Borneo, Hertz osserva un rito che corrisponde a quello delle seconde esequie di individui di un

certo rango. Si tratta di un secondo funerale ed è solo alla fine di esso che si pone realmente fine

al periodo di lutto. La morte di coloro i quali nel panorama sociale hanno una collocazione

rilevante crea un vulnus nel corpo sociale , un vuoto che deve essere colmato. Ma non subito. E’

necessario che la società elabori il lutto ed arrivi gradualmente alla nuova configurazione della rete

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di relazioni sociali. La morte è, dunque, un fatto naturale che viene fatto oggetto di un

trattamento culturale sia per il morto sia per la società. La transizione deve avvenire in certi tempi,

che variano a seconda delle circostanze. E’ una cosa che si vede anche in certe pratiche rituali,

come quelle di iniziazione degli adolescenti all’ età adulta. In questa cornice Arnold Van Gennep

elabora la nozione di riti di passaggio. Lo studioso individuava uno schema tripartito alla base di

molti riti attraverso i quali si rappresentano passaggi sia di natura sociale (es. riti d’ iniziazione all’

età adulta) sia cosmologica (es. avvento di un nuovo anno). I riti di passaggio si presentano

articolati in una sequenza di atti ed operazioni, in cui ad una prima fase di separazione dalla

condizione che si abbandona, segue una fase di margine, alla fine della quale avviene l’

aggregazione alla nuova condizione. Victor Turner, della Scuola britannica, parla di fase

preliminare, fase liminare e fase postliminare. Il continuatore più noto e originale dell’ indirizzo

durkheimiano è Marcel Mauss, che si preoccupa di esaminare le ragioni del funzionamento

sociale. Il suo lavoro più influente è Saggio sul dono (1923-24) in cui parla di varie forme di dono,

tra cui il kula dei Trobriandesi descritto da Bronislaw Malinowski ed il potlach descritto da Franz

Boas. Lo studioso sostenne che il donare, lungi dall’ essere un atto gratuito e volontario, risponde

al principio della reciprocità per cui all’ atto del donare segue quello di ricevere e, in seguito,

quello di contraccambiare il dono. Il dono è allora un meccanismo di integrazione sociale a mezzo

del quale si stringono alleanze di varia natura. E’ un esempio di fatto sociale totale, ossia un

fenomeno che mette in moto tutte le istituzioni della società e cementa la coesione globale. Il kula

è uno scambio di collane e braccialetti di conchiglie rosse o bianche che si muovono le une in

senso orario gli altri in senso antiorario nelle isole Trobriand compiendo un circolo e tornando al

punto di partenza. Si tratta di uno scambio di ordine simbolico dal valore incommensurabile. Una

volta entrati nel circolo non si può uscire, “una volta nel kula, per sempre nel kula” dicono i

Trobriandesi. Parallelamente al kula si svolge il gimwali, un commercio vero e proprio. Questo

sistema di transazioni mette in moto una grande macchina organizzativa. I beni vengono

trasportati con canoe accuratamente scolpite e dipinte, specificamente deputate al kula. Tutta la

comunità concorre alla realizzazione dell’ evento. Il destinatario non può trattenere gli oggetti

oltre un certo tempo per non scatenare lo hau, una forza impersonale che diventerebbe negativa

e si rivolterebbe contro chi ha trattenuto gli oggetti oltre il tempo previsto. Quest’ ultima è la

spiegazione che gli attori sociali danno, ma Claude Levi-Strauss rimprovera a Mauss di essersi

fermato a livello della spiegazione consapevole che gli stessi attori sociali si danno. Secondo l’

antropologo strutturalista, infatti, lo hau altro non è che la ragione cosciente sotto al quale gli

uomini hanno colto una necessità la cui ragione sta altrove. Questa ragione, dice Levi-Strauss, è un

principio fondativo dell’ ordine sociale, un principio di reciprocità di ordine strutturale

immediatamente dato. Questo discorso si lega alla questione della proibizione dell’ incesto, che

Levi-Strauss riconduce al sociale portando così a compimento al massimo grado la riflessione della

sociologia classica francese. La proibizione dell’ incesto riguarda tutti i gruppi umani di tutti i tempi

e tutti i luoghi, per questo motivo potremmo collocarla a livello della natura. Tuttavia è una regola

per cui afferisce all’ ambito della cultura. La proibizione dell’ incesto ha consentito il passaggio

dalla natura alla cultura. Risponde al principio di reciprocità come principio strutturale

immediatamente dato che sta alla base dello scambio di beni, di donne e di parole, che garantisce

alla società di sopravvivere. Così lo hau costituisce la ragione dello scambio. Il dono sta alla base

del sociale.

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L’ANTROPOLOGIA SOCIALE IN GRAN BRETAGNA (CAP 9)

A cavallo tra IX e XX secolo in Gran Bretagna si ha un maggiore interesse per gli approcci

diffusionisti. La nuova generazione di etnologi proviene da studi di scienze naturali e ciò si riflette

nella rilevanza che accordano alla ricerca empirica. Tra gli studiosi più importanti che effettuarono

ricerche sul campo emerge William Rivers che partecipò ad una missione scientifica che aveva lo

scopo di raccogliere dati etnografici nelle aree costiere degli stretti di Torres. Si fa strada l’idea che

chi compie ricerche sul campo di carattere etnologico debba avere una formazione specialistica.

Rivers parla di lavoro intensivo, che si caratterizza per il fatto che il ricercatore vive per un anno o

più presso la comunità che studia in maniera dettagliata in tutti i suoi aspetti. Si tratta di

indicazioni simili a quelle fornite da Bronislaw Malinowski in Argonauti del Pacifico occidentale

(1922), frutto di una lunga ricerca sul campo nelle Trobriand. In Argonauti Malinowski analizza il

sistema di scambio kula. (Il kula è uno scambio di collane e braccialetti di conchiglie rosse o

bianche che si muovono le une in senso orario gli altri in senso antiorario nelle isole Trobriand

compiendo un circolo e tornando al punto di partenza. Si tratta di uno scambio di ordine simbolico

dal valore incommensurabile. Una volta entrati nel circolo non si può uscire, “una volta nel kula,

per sempre nel kula” dicono i Trobriandesi. Parallelamente al kula si svolge il gimwali, un

commercio vero e proprio. Questo sistema di transazioni mette in moto una grande macchina

organizzativa. I beni vengono trasportati con canoe accuratamente scolpite e dipinte,

specificamente deputate al kula. Tutta la comunità concorre alla realizzazione dell’ evento. Il

destinatario non può trattenere gli oggetti oltre un certo tempo per non scatenare lo hau, una

forza impersonale che diventerebbe negativa e si rivolterebbe contro chi ha trattenuto gli oggetti

oltre il tempo previsto. Quest’ ultima è la spiegazione che gli attori sociali danno, ma Claude Levi-

Strauss rimprovera a Mauss di essersi fermato a livello della spiegazione consapevole che gli stessi

attori sociali si danno. Secondo l’ antropologo strutturalista, infatti, lo hau altro non è che la

ragione cosciente sotto al quale gli uomini hanno colto una necessità la cui ragione sta altrove.

Questa ragione, dice Levi-Strauss, è un principio fondativo dell’ ordine sociale, un principio di

reciprocità di ordine strutturale immediatamente dato. Questo discorso si lega alla questione della

proibizione dell’ incesto, che Levi-Strauss riconduce al sociale portando così a compimento al

massimo grado la riflessione della sociologia classica francese. La proibizione dell’ incesto riguarda

tutti i gruppi umani di tutti i tempi e tutti i luoghi, per questo motivo potremmo collocarla a livello

della natura. Tuttavia è una regola per cui afferisce all’ ambito della cultura. La proibizione dell’

incesto ha consentito il passaggio dalla natura alla cultura. Risponde al principio di reciprocità

come principio strutturale immediatamente dato che sta alla base dello scambio di beni, di donne

e di parole, che garantisce alla società di sopravvivere. Così lo hau costituisce la ragione dello

scambio. Il dono sta alla base del sociale.) Secondo Malinowski, che in questo è simile a Rivers, il

lavoro di ricerca sul campo deve consistere in un soggiorno prolungato e isolato dal contatto da

altri bianchi presso la popolazione di cui si deve studiare la cultura e di cui si deve conoscere la

lingua locale. Per mezzo dell’osservazione partecipante il ricercatore doveva scoprire lo scheletro

della vita tribale, annotare in un taccuino gli imponderabili della vita reale e costituire un corpus

documentario delle espressioni idiomatiche e dei discorsi formalizzati. Nella documentazione di

tutti questi aspetti era essenziale cogliere il punto di vista del nativo. Malinowski inoltre consiglia

di studiare i diversi aspetti della cultura tribale nella loro interconnessione. Malinowski diede il

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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’ DI R.H. ROBBINS

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nome di funzionalismo al suo orientamento teorico e alla sua teoria scientifica della cultura,

secondo la quale essa doveva essere considerata un grande apparato strumentale, i cui organi

erano le istituzioni e la cui funzione era il soddisfacimento più efficiente dei bisogni fondamentali

degli individui. Dopo la sua morte, la moglie di Malinowski pubblicò il diario privato

dell’antropologo da cui emergeva un immagine di sé e del metodo etnografico diversa da quella

presentata in Argonauti. Malinowski vi manifestava sentimenti di insofferenza verso i nativi

dissonanti rispetto a l’empatia di cui parlava nelle sue pubblicazioni scientifiche. Inoltre, riferiva di

avere rapporti con gli altri europei residenti nelle isole. Alfred Radcliffe- Brown formula un nuovo

quadro teorico: il cosiddetto struttural-funzionalismo. Al di la delle notevoli differenze, gli approcci

teorici di Malinowski e Radcliffe-Brown possono essere definiti funzionalisti poiché condividono

l’idea che tra i costumi, le credenze e le istituzioni di una popolazione esistano delle correlazioni

funzionali, ossia un interdipendenza sistematica. Radcliffe- Brown dedica dei saggi ai rapporti di

parentela, da cui emerge l’idea chiave secondo cui la terminologia di parentela e l’insieme di

diritti, doveri e atteggiamenti connessi a specifici ruoli parentali, formano un sistema integrato in

base ad alcuni principi strutturali. Radcliffe-Brown e alcuni suoi allievi delinearono la teoria della

discendenza, che caratterizzò l’antropologia sociale britannica. Secondo questa teoria

l’organizzazione del sociale passa attraverso le modalità di reclutamento dei parenti, per cui se

voglio conoscere il funzionamento del sociale è necessario che guardi come i gruppi si organizzano.

Levi-Strauss, invece, guarda ai sistemi di parentela in termini di teorie dell’alleanza, a partire dalle

analisi di Mauss. Edward E. Evans-Pritchard capisce che c’è un certo rapporto tra il sistema di

appellativi e il sistema di atteggiamenti. Nel 1940 lo studioso pubblicò una monografia su I Nuer,

una popolazione del Sud del Sudan, che l’ autore descrisse come un modello di società

“segmentaria”, in cui non vi era nessun potere centralizzato e i gruppi definivano la loro coesione

e la loro contrapposizione in base a un principio di “distanza strutturale” tra i “segmenti” in cui la

tribù si suddivideva. Edmund Leach e Max Gluckman, che può essere considerato il fondatore della

Scuola di Manchester, criticarono l’ assunto funzionalista secondo cui le società sono “sistemi

chiusi” normalmente osservabili in una situazione di “equilibrio” e di “stabilità strutturale”.

L’ ANTROPOLOGIA CULTURALE STATUNITENSE NEL SECONDO NOVECENTO: INDIRIZZI

NEOEVOLUZIONISTICI, ANTROPOLOGIA COGNITIVA, ANTROPOLGIA INTERPRETATIVA (CAP 9)

Nell’ antropologia statunitense dagli anni Cinquanta ad oggi non si è verificato tanto l’ abbandono

della “questione della cultura”, come lasciava presagire la rassegna delle 164 definizioni del

termine cultura di Kroeber e Kluckhohn, quanto un rinnovamento, in direzioni disparate, dei

quadri teorici e dei programmi di ricerca secondo cui svilupparla. Alla fine degli anni Quaranta, la

questione dei principi evolutivi delle forme sociali e culturali, sollevata da Morgan, fu ripresa da

Leslie White che, in The Evolution of Culture, sostenne che le diverse manifestazioni della vita

sociale e culturale di una popolazione dipendono casualmente dalla quantità di energia pro capite

che essa è capace di controllare e sfruttare; di conseguenza i cambiamenti della sua “cultura” sono

una conseguenza dell’ aumento di efficienza della tecnologia.

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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’ DI R.H. ROBBINS

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Julian H. Steward, che definì il proprio orientamento teorico “ecologia culturale”, riteneva che le

caratteristiche dell’ ambiente naturale costituiscono un limite cui l’ organizzazione dei modi di vita,

e la stessa tecnologia devono adattarsi. Marvin Harris, fautore del “materialismo culturale”, ha

sostenuto che la “scienza della cultura” deve mirare a identificare le determinanti materiali dei

fenomeni culturali, le quali consistono non solo nell’ ecologia e nella demografia, ma nel loro

carattere economico, ossia nel fatto che essi costituiscono soluzioni ottimali per uno sfruttamento

efficiente e quindi “economicamente” razionale. Altro influente indirizzo dell’ antropologia

statunitense è la political economy, i cui rappresentanti più noti sono stati Eric Wolf, Sidney Mintz

e William Roseberry. Secondo questi studiosi, la cultura, lungi dall’ essere una realtà autonoma, è

il risultato di processi più ampi, di scala regionale e globale, di carattere economico e politico, in

cui un determinato gruppo è storicamente inserito, e da cui il gruppo stesso e la sua stessa

“località” sono stati spesso il prodotto. Questo indirizzo di ricerca è stato caratterizzato dalla

posizione secondo cui le regolarità e le diversità dei fenomeni culturali vanno spiegate da principi

di ordine “extraculturale” che appartengono alla sfera delle relazioni ecologiche, tecnologiche,

demografiche ed economiche. L’ interesse per le relazioni tra cultura e linguaggio aveva costituito

un filone importante delle ricerche di Franz Boas. Uno dei suoi allievi più celebri, Edward Sapir,

aveva affermato che “la linguà è una guida alla realtà sociale. Il mondo reale viene costruito, in

gran parte inconsciamente, sulle abitudini linguistiche del gruppo”. Qualche anno dopo

puntualizzerà che “non vi è una semplice corrispondenza tra la forma di una lingua e la forma di

una cultura di coloro che parlano quella lingua”. Benjamin L. Whorf riprende l’ idea per cui parlare

una determinata lingua con una particolare struttura grammaticale determina i modi in cui si

pensa e conosce la realtà. La tesi generale divenne nota come “ipotesi Sapir-Whorf” o ipotesi del

determinismo linguistico.

L’ANTROPOLOGIA STRUTTURALE DI CLAUDE LEVI-STRAUSS (CAP 9)

Claude Lévi-Strauss è il padre dell’ antropologia strutturale. Secondo lo studioso i fenomeni

culturali possono essere visti come dei sistemi simbolici analoghi ai sistemi linguistici la cui

funzione fondamentale è comunicativa. La vita sociale implica infatti per definizione la dimensione

dello scambio e della reciprocità, di cui aveva già parlato Marcel Mauss nel suo Saggio sul dono.

Sia i sistemi linguistici che i sistemi culturali sono sistemi di segni. Secondo Levi-Strauss, l’ analisi

scientifica dei sistemi sociali e culturali deve ispirarsi all’ analisi dei sistemi linguistici proposta da

Ferdinand de Saussure nel Corso di Linguistica Generale tenuto a Ginevra. Secondo de Saussure, la

lingua è un sistema di segni (unione arbitraria tra significante e significato per fatti interni alla

lingua). All’ interno della lingua è possibile distinguere la dimensione della langue, che è il codice

collettivamente condiviso, dalla dimensione della parole, l’ atto linguistico individuale. La

parentela umana è un fatto sociale al pari della langue, ossia un sistema di segni. Poiché la

parentela presuppone lo scambio tra gruppi diversi è il meccanismo chiave di istituzione del

legame sociale. Le parentele funzionano come una lingua. Come nei segni di una lingua non

possiamo stabilirne il valore in astratto ma per scarti differenziali dagli altri segni, così nella

parentela i termini non si possono conoscere in sé o per un ancoraggio biologico, ma in relazione

al sistema di riferimento. Ne Le strutture elementari della parentela, Claude Levi-Strauss spiega la

proibizione dell’ incesto, che va considerata come il principio che ha consentito il passaggio dalla

natura alla cultura. E’ la regola che fonda la società come sistema di comunicazione e di scambio; è

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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’ DI R.H. ROBBINS

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il versante negativo della regola positiva di esogamia, che prescrive di contrarre matrimonio al di

fuori del proprio gruppo familiare. Chiaramente il contenuto della proibizione dell’ incesto può

stabilirsi solo in relazione al sistema di parentela di riferimento, e non in astratto. La ragione della

necessità dei legami di parentela è individuata nei lunghi tempi di svezzamento del cucciolo dell’

uomo, che grazie a questa rete di relazioni può sopravvivere. Levi-Strauss riprende, per certi

aspetti criticandolo per essersi fermato a livello superficiale, Mauss nel suo Saggio sul dono, in cui

espone la sua teoria per cui alla base di ogni legame vi è un principio di reciprocità degli scambi.

Tale principio si ritroverebbe infatti sia nella natura comunicativa del linguaggio in cui si scambiano

parole, sia nella circolazione dei beni che consente di stringere alleanze, sia nei sistemi di

parentela e di matrimonio alla cui base vi sarebbe lo scambio di donne tra gruppi diversi. Quest’

ultimo ha due varianti: scambio ristretto e scambio generalizzato. Le strutture si situano a livello

dell’ attività del pensiero con cui lo spirito umano impone un ordine al flusso continuo della realtà,

opponendo e correlando. L’ antropologia ha per obiettivo generale la scoperta e l’ analisi delle

strutture profonde per mezzo delle quali la mente ordina la realtà naturale e sociale attraverso

una serie di coppie oppositive, analoghe a quelle studiate dalla linguistica strutturale di Ferdinand

de Saussure. L’ idea è quella di una medesima attrezzatura di base e ciò che l’ antropologo deve

fare è cogliere i principi di ordine logico che determinano certi contenuti a livello delle strutture

coscienti.

GLI APPROCCI DINAMISTI, L’ANTROPOLOGIA MARXISTA E ALTRI INDIRIZZI DI RICERCA

DELL’ANTROPOLOGIA FRANCESE CONTEMPORANEA (CAP 9)

Esponenti della cosiddetta “antropologia dinamista” francese sono Roger Bastide e Georges

Balandier, i quali hanno svolto un ruolo pionieristico nello sviluppo di prospettive di analisi che

mettessero al centro lo studio dei processi di cambiamento sociale e culturale nelle società del

“Terzo mondo” e mostrassero la loro irriducibilità all’ alternativa tra la tendenza alla

conservazione invariabile dei propri “ordini” culturali e la passiva assimilazione e integrazione dei

modelli occidentali in seguito alla sottomissione al dominio coloniale. Per entrambi questi studiosi,

le società vanno viste non come sistemi ordinati, stabili e dai confini ben definiti, ma come

processi intrinsecamente dinamici, “formazioni eterogenee” dai confini mutevoli nelle quali

convivono agenti e interessi sociali, regole normative e regole “pragmatiche , strategie di esercizio

dl potere e forme di resistenza, il cui adattamento e la cui interconnessione reciproci sono sempre

imperfetti, provvisori, contingenti, e, in definitiva, intrinsecamente ambigui. Molte delle questioni

sollevate dall’ antropologia dinamista sono state riprese, dagli anni Sessanta in poi, dallo sviluppo

dell’ antropologia marxista che, fino a tutti gli anni Settanta, ha costituito, assieme allo

strutturalismo, l’ indirizzo teorico egemonico, in Francia come altrove. La possibilità di applicare la

prospettiva marxista all’ analisi teorica ed etnografica delle società extraeuropee in Francia ha

visto tra gli esponenti più noti Claude Meillassoux, Maurice Godelier ed Emmanuel Terray. Le loro

ricerche hanno riguardato l’ analisi dei “modi di produzione” propri di queste società e dei rapporti

sociali di produzione che li definiscono. Gli antropologi marxisti hanno sottolineato che anche nelle

società “tribali”, incluse quelle la cui sussistenza si basa sulla caccia e raccolta, esistono forme di

sfruttamento della forza lavoro e restrizioni di accesso alle risorse a favore di certi individui. Da

questo punto di vista, essi hanno contestato la tesi lévi-straussiana della reciprocità come principio

fondamentale delle relazioni sociali, sottolineando che in ogni società, anche in quelle in cui non si

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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’ DI R.H. ROBBINS

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registrano notevoli differenze di ricchezza materiale tra gli individui ed in cui non vi sono vere e

proprie classi sociali, esistono sempre dei rapporti di dominazione e delle disuguaglianze. Già dalla

fine degli anni Sessanta, in Francia, il dibattito suscitato sia dall’ opera di Claude Levi-Strauss che

dall’ antropologia marxista, ha fatto emergere una serie di posizioni che hanno costituito un’

alternativa ad esse. Michel Foucault e Jacques Derrida hanno insistito sulla questione delle forme

del potere e hanno ripensato, in questa chiave, le stesse produzioni linguistiche. Molti antropologi

hanno inoltre sottolineato come “disuguaglianze” e “gerarchie” siano esse stesse dei principi che si

situano al cuore delle strutture di parentela ponendo pertanto dei limiti invalicabili agli aspetti di

reciprocità nelle relazioni sociali. Lo stesso Godelier, nel suo L’ enigme du don, ha ripreso l’ analisi

sul dono di Mauss, su cui Levi-Strauss aveva basato la propria tesi della reciprocità come principio

fondamentale della socialità, sostenendo che essa non tiene conto di certe classi di beni, presenti

in ogni società, il cui carattere sacro li esclude dai circuiti di reciprocità. La critica dell’ universalità

del principio di reciprocità è anche il punto di partenza dei lavori di Louis Dumont sul sistema delle

caste in India. In connessione più diretta con la teoria delle strutture di parentela di Lèvi-Strauss,

Francoise Heritier ha sostenuto che al fondamento di esse, ancor prima della proibizione dell’

incesto, vi è un principio di “valenza differenziale dei sessi”, ossia di gerarchia delle relazioni tra

uomini e donne che istituisce, a livello dell’ ordine simbolico su cui si fonda la natura stessa della

società, la superiorità dei primi sulle seconde. Questo principio spiegherebbe perché in tutte le

società si considera che siano le donne, e non gli uomini, a circolare nello scambio matrimoniale.

Una critica più marcata allo strutturalismo levi-straussiano è stata quella di Pierre Bourdieu e della

sua “teoria della pratica”. Lo studioso ha rimproverato a Lèvi-Strauss di ridurre il ruolo agenti

sociali a quello di semplici esecutori o contravventori di regole di carattere astratto, situate al

livello delle strutture mentali. In questo modo, si impedirebbe una comprensione di come questi

agenti adattano le loro strategie di azione al carattere sempre nuovo e imprevedibile delle

situazioni che si trovano ad affrontare. Per comprendere come la vita sociale segua principi di

regolarità, bisogna inoltre rifiutare l’ idea che le azioni degli individui consistono semplicemente

nella messa in atto di strategie razionali volte al perseguimento cosciente dei propri interessi. Per

Bourdieu è illusorio pensare che le pratiche sociali siano il semplice esercizio di una libertà di

scelta individuale rispetto alle opzioni di azioni disponibili. La “logica della pratica” è piuttosto il

frutto di un habitus, ossia di disposizioni interiorizzate in seguito alle esperienze di socializzazione

all’ interno di specifici “campi” di posizioni e relazioni sociali. Il concetto di habitus, secondo

Bourdieu, consente di comprendere come l’ azione sia soggetta a condizionamenti che operano in

un modo che favorisce una continua ristrutturazione delle relazioni sociali.

L’ANTROPOLOGIA POSTMODERNA (CAP 9)

Marshall Sahlins ha iniziato la sua carriera da posizioni teoriche vicine all’ ecologia culturale e al

neo marxismo, ma presto se ne distacca sostenendo che l’ economia delle popolazioni di

cacciatori-raccoglitori non è casualmente determinata dai fattori generalmente presi in

considerazione dai suddetti orientamenti (condizioni ambientali, demografia, dotazione

tecnologica,etc…). Sahlins ha proposto di chiamare “modo di produzione domestico” quel tipo di

organizzazione economica, dipendente non solo da condizioni materiali, ma da scelte culturali. In

Cultura e utilità, lo studioso rilancia la tesi secondo cui qualsiasi attività pratica degli esseri umani è

mediata dall’ ordine simbolico della cultura. Riprendendo la questione dei tabù alimentari, su cui

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‘’ANTROPOLOGIA CULTURALE: UN APPROCCIO PER PROBLEMI’’ DI R.H. ROBBINS

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Harris aveva impostato la sua teoria “materialistica” della cultura ( la “scienza della cultura” deve

mirare a identificare le determinanti materiali dei fenomeni culturali, le quali consistono non solo

nell’ ecologia e nella demografia, ma nel loro carattere economico, ossia nel fatto che essi

costituiscono soluzioni ottimali per uno sfruttamento efficiente e quindi “economicamente”

razionale), Sahlins ha sostenuto che proprio questi costituiscono una delle tante prove possibili

della rilevanza di scelte culturali “arbitrarie” rispetto alle condizioni materiali. Clifford Geertz,

padre dell’ antropologia interpretativa, ha affrontato la questione della “crisi della

rappresentazione etnografica” collegandola alla questione fondamentale dell’ antropologia

culturale statunitense: la natura della cultura come “sistema di significati” che si esprime nella

maniera di agire delle persone. Geertz sostiene che la cultura è sì una “rete di significati”, ma una

rete che esiste e prende forma solo nella dimensione sociale e pubblica, ossia nella misura in cui i

significati si costruiscono, trasformandosi e rielaborandosi continuamente, nella vita sociale delle

persone. Geertz ha sostenuto che l’ antropologia, a differenza della sociologia, non mira alla

spiegazione dei “fatti” registrati dall’ etnografo mediante l’ identificazione delle “leggi” da cui essi

derivano, ma, piuttosto, alla comprensione dei significati con cui le persone interpretano tanto i

loro comportamenti quanto quelli degli altri. Secondo lo studioso, la conoscenza antropologica

risiede fondamentalmente nell’ etnografia, intesa come attività di “descrizione densa” dei diversi

intrecci di significato che il ricercatore è capace di ricostruire nei comportamenti che sta

descrivendo. In questo senso, la descrizione etnografica è dunque una “interpretazione di

interpretazioni” e, non una semplice “raccolta” di fatti oggettivamente “dati”. Secondo Geertz, la

cultura è un testo che l’ etnografo deve ricostruire partendo dallo stato frammentario, incompleto

ed enunciato in una lingua inizialmente ignota, con cui esso gli si presenta. L’ etnografia può

dunque essere assimilata ad un’ attività di “testualizzazione”, che implica operazioni di

“interpretazione” e “traduzione”. Nello scritto Dal punto di vista dei nativi: sulla natura della

comprensione antropologica, Geertz chiarisce il senso della famosa espressione di B. Malinowski

per cui, nelle sue descrizioni, il ricercatore deve cogliere “il punto di vista del nativo” . Non significa

certo che l’ etnografia si esaurisca nel racconto di un’ esperienza di immedesimazione nel mondo

dei significati e dei concetti “indigeni”, ma l’ etnografia ha senso solo se riesce, in modo

convincente per tutti, a costruire un ponte di comprensione tra il senso di quei concetti “indigeni”

e quei concetti che invece, sono “lontani” dall’ esperienza di “nativi” ma “familiari” a quel

pubblico. Il fine ultimo dell’ antropologia è quello di ampliare il campo dell’ esperienza di “essere

umani” condivisa dagli uni e dagli altri, mostrando che la ricchezza di questa esperienza si situa

nella compresenza dei modi diversi che hanno gli uomini di conferirle significato. Nell’ ultimo

ventennio del XX secolo, molte delle questioni sollevate da Geertz sono state riprese dal

cosiddetto movimento “postmoderrno” sviluppatosi nell’ antropologia statunitense. L’ etichetta

“postmoderno” è stata proposta dal filosofo francese Jean-Francois Lyotard. In antropologia, l’

etichetta “postmoderno” è stata spesso accompagnata da quella di “poststrutturalismo”. Quest’

ultima si riferisce alla maniera con cui filosofi come Jacques Derrida e Michel Foucault hanno

argomentato che, diversamente da quanto lo strutturalismo aveva postulato, l’ analisi dei concetti

di “sapere” e di “discorso” è irriducibile all’ identificazione dei codici simbolici da cui essi

sarebbero strutturati. La raccolta di saggi “Scrivere le culture. Poetiche e politiche in etnografia”,

curata da James Clifford e George E. Marcus, è una sorta di manifesto programmatico dell’

antropologia postmoderna. Il tema unificante della raccolta è quello secondo cui le scritture

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etnografiche non possono più essere considerate un semplice resoconto analitico dei contesti

culturali in cui l’ antropologo ha compiuto la propria ricerca sul campo, ma sono testi in cui si

esprimono particolari “poetiche”, ossia strategie retoriche di rappresentazione di sé e degli “altri”,

che sono connesse alla costruzione di relazioni di potere, ossia a “politiche”. La “fabbricazione”

delle etnografie si basa sulla soggettività del ricercatore, soggettività che non è solo legata alle

condizioni contingenti della sua esperienza di ricerca sul campo, ma anche, a monte, ai diversi

contesti di natura politica preesistenti alla sua esperienza, che la strutturano anche nel momento

della “traduzione” in scrittura. I testi etnografici non sono dunque rappresentazioni realistiche

della realtà di cui parlano, ma “allegorie”, di carattere più letterario che scientifico, delle relazioni

di potere tra i loro autori e i soggetti rappresentati. Clifford sostiene che l’’autorità delle

descrizioni, e dunque delle scritture etnografiche deriva dalle condizioni di potere che rendono

autorevole e retoricamente persuasivo il “racconto” di una “cultura”, di una “società”, di un

“gruppo”. L’ etnografia classica” ha costituito un modello di “autorità monologica”, in quanto

quella dell’ etnografo era l’ unica “voce” legittimata a parlare dei modi di vita degli “altri” e a

ricostruirne l’ unità e la coerenza a partire da indizi frammentari e dalla particolare contingenza

della situazione da lui esperita nel corso della ricerca. Dall’ acquisita consapevolezza del potere

rappresentativo della propria scrittura, l’ etnografo “critico” deve elaborare nuove modalità, meno

asimmetriche e più “dialogiche” e “polifoniche”, di “restituzione” documentaria dei risultati della

propria ricerca, che rendano visibili ai lettori le concrete condizioni e interazioni sociali e politiche

in cui essa si è svolta, dando più spazio alle altre “voci” a partire dalle quali costruisce il suo

“quadro”: non solo quelle dei “nativi” con cui ha interagito, ma anche quelle provenienti da altre

modalità di rappresentazione: letterarie, artistiche, giornalistiche. James Clifford ha insistito sul

fatto che “nel bene e nel male”, le etnografie del Novecento, in modo analogo alla “cultura”

stessa, non sono dei “frutti puri”, ma dei prodotti che sono storicamente derivati dall’ intreccio

dell’ antropologia con ideologie politiche, poetiche letterarie, movimenti di avanguardia. Oggi il

pubblico delle etnografie è costituito anche da persone che provengono dalle “culture” o “società”

descritte, e ciò non può non riflettersi sul modo in cui le rappresentazioni etnografiche sono

considerate o meno “accettabili”, “condivisibili”. La stessa intensificazione e pervasività dei

fenomeni migratori ha radicalmente cambiato i rapporti tra “culture” e “luoghi”, rendendo

improponibile l’ idea di una loro coincidenza assoluta e invariabile. George Marcus e Michael

Fisher ritengono che nel XX secolo il contributo veramente originale dell’ antropologia alla

conoscenza del mondo contemporaneo è consistito in un “progetto” di “critica culturale” delle

rappresentazioni di sé e degli altri, e tale deve restare nel mondo contemporaneo globalizzato.

LA TRADIZIONE DISCIPLINARE IN ITALIA (CAP 9)

Quella degli studi italiani, secondo Alberto Cirese, uno dei suoi maggiori esponenti, può essere

considerata “una vicenda periferica ma forse non irrilevante”. In Italia attualmente si parla di

demo-etno-antropologia, a testimonianza dei percorsi di ricerca seguiti. Questi si muovono in tre

ambiti: la demologia, l’ etnologia e l’ antropologia culturale, indirizzo mutuato dall’ antropologia

culturalista statunitense. Alberto Cirese ha elaborato la teoria dei dislivelli di cultura, secondo cui

lo studio delle manifestazioni folkloriche si colloca all’ interno di un progetto più ampio di analisi

dei processi di circolazione culturale e della loro connessione dinamica con i rapporti, in Italia, tra

classi dominanti e classi subalterne. Altro esponente importante della tradizione disciplinare

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italiana è Ernesto De Martino, ricordato tra le altre cose per il suo etnocentrismo critico, secondo il

quale bisogna sforzarsi di allargare la propria coscienza culturale di fronte ad ogni cultura “altra”

rendendosi conto dei limiti della propria storia culturale, ma senza rinunciare all’ idea del primato

della società occidentale.