Antologia Poesia

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123 La lingua e lo stile E ra ancora buio fitto e piovigginava. Elio rientrava dal turno di notte, ed era stanco e assonnato; scese dal tram e si avviò ver- so casa, prima per una via dal fondo dissestato 1 , poi per un viotto- lo privo d’illuminazione. Nell’oscurità udì una voce che gli chiese: – Permette un’intervista? –. Era una voce leggermente metallica, pri- va d’inflessioni dialettali; stranamente, gli parve che provenisse dal basso, presso i suoi piedi. Si fermò, un po’ sorpreso, e rispose di sì, ma che aveva fretta di rientrare. – Ho fretta anch’io, non si preoccupi, – rispose la voce: – In due mi- nuti abbiamo finito. Mi dica: quanti sono gli abitanti della terra? –. – Su per giù quattro miliardi. Ma perché lo chiede proprio a me? –. – Per puro caso, mi creda. Non ho avuto il modo di fare scelte. Senta, per favore: come digerite? –. Elio era seccato. – Cosa vuol dire, come digerite? C’è chi digerisce bene e chi male. Ma chi è lei? Non vorrà mica vendermi delle medici- ne a quest’ora, e qui al buio in mezzo alla strada? –. – No, è solo per una statistica, – disse la voce, impassibile 2 : – Vengo da una stella qui vicino, dobbiamo compilare un annuario 3 sui pianeti abitati della Galassia, e ci occorrono alcuni dati compa- rativi. – E… come mai lei parla così bene l’italiano? –. – Parlo anche diverse altre lingue. Sa, le trasmissioni delle vostre TV non si fermano alla ionosfera 4 , ma proseguono nello spazio. Ci met- tono undici anni abbondanti, ma arrivano fino a noi abbastanza di- stinte. Io, per esempio, ho imparato così la vostra lingua. Trovo inte- ressanti i vostri sketch 5 pubblicitari: sono molto istruttivi, e credo di essermi reso conto di come mangiate e di quello che mangiate, ma nessuno di noi ha idea di come digerite. Perciò la prego di rispondere alla mia domanda –. L’ INTERVISTA Opera: Racconti e saggi (1986) Genere: racconto fantastico PRIMO LEVI Il racconto che segue, intitolato L’intervista, è dello scrittore Primo Levi (Torino, 1919-1987; Percorso 6, p. 387). Esso si basa su una situazione paradossale, apparentemente assurda, che però intende rivelare verità profonde (quella della televisione come specchio e come modello di comportamento degli individui, quella dell’incontro con l’altro, il diverso ecc.). Il ritmo del racconto è ca- ratterizzato da una prosa essenziale e concisa, in cui la struttura sintattica si presenta lineare ed è ba- sata sulla paratassi, per lo più costruita per polisin- deto (la congiunzione e è insistentemente ripetuta). A tratti esso si fa incalzan- te, con un’efficacia stilisti- ca commisurata alla con- cisione del racconto e alla lucida etica che percorre la scrittura di Levi. 1. dissestato: rovinato, scon- nesso. 2. impassibile: priva di emo- zione, imperturbabile. 3. annuario: pubblicazione annuale che raccoglie dati e notizie su un determinato argomento. 4. ionosfera: regione dell’at- mosfera compresa tra i 60 e i 500 km dal suolo. 5. sketch: breve scena o dia- logo di carattere comico. UN TESTO PER CAPIRE La lingua e lo stile Nel dialogo tra i due perso- naggi, un umano e un alie- no, viene usato il registro medio, ma con sfumature che oscillano tra il registro elevato (Permette un’in- tervista?) e quello basso (Non vorrà mica vendermi delle medicine a quest’ora, e qui al buio in mezzo alla strada?).

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123La lingua e lo stile

Era ancora buio fitto e piovigginava. Elio rientrava dal turno di notte, ed era stanco e assonnato; scese dal tram e si avviò ver-

so casa, prima per una via dal fondo dissestato1, poi per un viotto-lo privo d’illuminazione. Nell’oscurità udì una voce che gli chiese: – Permette un’intervista? –. Era una voce leggermente metallica, pri-va d’inflessioni dialettali; stranamente, gli parve che provenisse dal basso, presso i suoi piedi. Si fermò, un po’ sorpreso, e rispose di sì, ma che aveva fretta di rientrare.– Ho fretta anch’io, non si preoccupi, – rispose la voce: – In due mi-nuti abbiamo finito. Mi dica: quanti sono gli abitanti della terra? –. – Su per giù quattro miliardi. Ma perché lo chiede proprio a me? –.– Per puro caso, mi creda. Non ho avuto il modo di fare scelte. Senta, per favore: come digerite? –. Elio era seccato. – Cosa vuol dire, come digerite? C’è chi digerisce bene e chi male. Ma chi è lei? Non vorrà mica vendermi delle medici-ne a quest’ora, e qui al buio in mezzo alla strada? –. – No, è solo per una statistica, – disse la voce, impassibile2: – Vengo da una stella qui vicino, dobbiamo compilare un annuario3 sui pianeti abitati della Galassia, e ci occorrono alcuni dati compa-rativi. – E… come mai lei parla così bene l’italiano? –. – Parlo anche diverse altre lingue. Sa, le trasmissioni delle vostre TV non si fermano alla ionosfera4, ma proseguono nello spazio. Ci met-tono undici anni abbondanti, ma arrivano fino a noi abbastanza di-stinte. Io, per esempio, ho imparato così la vostra lingua. Trovo inte-ressanti i vostri sketch5 pubblicitari: sono molto istruttivi, e credo di essermi reso conto di come mangiate e di quello che mangiate, ma nessuno di noi ha idea di come digerite. Perciò la prego di rispondere alla mia domanda –.

L’INTERVISTA Opera: Racconti e saggi (1986)

Genere: racconto fantastico

PRIMO LEVI

Il racconto che segue, intitolato L’intervista, è dello scrittore Primo Levi (Torino, 1919-1987; Percorso 6, p. 387). Esso si basa su una situazione paradossale, apparentemente assurda, che però intende rivelare verità profonde (quella della televisione come specchio e come modello di comportamento degli individui, quella dell’incontro con l’altro, il diverso ecc.).

Il ritmo del racconto è ca-ratterizzato da una prosa essenziale e concisa, in cui la struttura sintattica si presenta lineare ed è ba-sata sulla paratassi, per lo più costruita per polisin-deto (la congiunzione e è insistentemente ripetuta). A tratti esso si fa incalzan-te, con un’efficacia stilisti-ca commisurata alla con-cisione del racconto e alla lucida etica che percorre la scrittura di Levi.

1. dissestato: rovinato, scon-nesso.2. impassibile: priva di emo-zione, imperturbabile.

3. annuario: pubblicazione annuale che raccoglie dati e notizie su un determinato argomento.

4. ionosfera: regione dell’at-mosfera compresa tra i 60 e i 500 km dal suolo.

5. sketch: breve scena o dia-logo di carattere comico.

UN TESTO PER CAPIRE La lingua e lo stile

Nel dialogo tra i due perso-naggi, un umano e un alie-no, viene usato il registro medio, ma con sfumature che oscillano tra il registro elevato (Permette un’in-tervista?) e quello basso (Non vorrà mica vendermi delle medicine a quest’ora, e qui al buio in mezzo alla strada?).

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PERCORSO2 184

Eventi inspiegabili e strane creature:

la narrazionefantastica

Lyonel Feininger (1871-1956) dipinge quest’opera nel 1907. Nato a New York ma di origini tedesche, si trasferisce in Europa a sedici anni con i genitori, entrambi musicisti. Scoperta la propria vocazione, lavora inizialmente come cari-caturista politico per riviste satiriche, e passa poi alla pittura, in stretto contatto con le avanguardie artistiche tedesche e francesi; nel 1936 torna negli Stati Uniti dove si dedica alla pittura e al fumetto d’avanguardia. Tutta la sua opera è attra-versata da una vena sperimentatrice, spesso ironica.

L’uomo raffigurato in questo quadro ha dimensioni smisurate, la sua figura dinoccolata si slancia in verticale ed è come costretta dai confini stessi della tavola a piegare il collo e le spalle per non uscire dai margini (il cappello è in parte fuo-ri). La linea longitudinale del suo corpo spigoloso spicca al centro del quadro per la posizione in primo piano e per il bianco del vestito; sullo sfondo un paesaggio urbano (forse una via di Parigi) ripete nelle linee architettoniche (la torre rossa, i camini, le finestre, il portone verde) la fuga verso l’alto della figura umana.

I colori del quadro sono intensi e innaturali, come in un fumetto. Alla manie-ra del fumetto e della caricatura appartiene anche la distorsione del corpo del personaggio, che dalla sua mole torreggiante domina la scena con un atteggia-mento in apparenza indolente. L’uomo cammina fumando la pipa, con le mani in tasca, forse pensieroso. Al centro del quadro, proprio dietro l’uomo bianco, si inserisce il piccolo triangolo di un uomo nero, che cammina nella stessa direzio-ne, ugualmente con le mani in tasca. Se la direzione e la postura accomunano le due figure, questa pare essere l’unica somiglianza, mentre decisamente più si-gnificative appaiono le differenze: innanzitutto la sproporzione delle dimensioni, ma anche il colore dei vestiti. Bianco e nero suggeriscono simbolicamente l’idea dei contrari: della luce e del buio, del palese e dell’oscuro, del bene e del male.

L’uomo bianco cammina sicuro in un paesaggio dominato dalla sua statura e dalla luce in cui si staglia il suo profilo; dietro di lui l’uomo nero raffigura però l’insidia del doppio, la parte nascosta dell’io che si fatica a scorgere, l’anima sen-za volto, sconosciuta e inquietante. Razionale e irrazionale, naturale e sopran-naturale coesistono in questo quadro, suggerendo che la realtà possa contenere aspetti imprevisti, forse spaventosi oppure divertenti, comunque misteriosi, inesplicabili.

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Lyonel Feininger, L’uomo bianco, 1907, olio su tela, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza

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La narrazione fantastica 229

Stefano

Benni

l’aut

ore

Il volto l’anima

C hi è quest’uomo dai capelli bianchi che scherza con ali di

farfalla? Le braccia aperte affiorano dal corpo scuro in un

gesto che pare di accoglienza o spiegazione, e tale è il fer-

vore che si indovina dalla posizione dell’uomo farfalla che si

vorrebbe ascoltare ciò che sta dicendo: certamente qualcosa

di serio, a dispetto delle ali. Esse hanno bordi un po’ sgualci-

ti e nonostante la loro natura chiaramente fittizia sembrano

l’evidente continuazione del corpo. La bizzarria di quest’uo-

mo che indossa un travestimento così lieve non sembra in

verità avere nulla di frivolo: il volto impegnato e serio, carico

d’attenzione e di cura, testimonia piuttosto la libertà di spirito

di chi non si adegua facilmente alla realtà, ma sa volare in

alto con lo slancio della fantasia.

Stefano Benni nasce a Bologna nel 1947. È scritto-re, poeta, drammaturgo, giornalista; collabora con i suoi articoli satirici e di costume a quotidiani (“la Repubblica”, “il manifesto”) e a riviste (“MicroMega”, “Linus”). Il suo primo libro, Bar sport, è uscito nel 1976, rivelandone la vena comico-satirica e il pun-gente umorismo. Da allora Benni ha scritto nume-rosi romanzi, raccolte di racconti, poesie, opere tea-trali; fra questi le poesie Prima o poi l’amore arriva (1981); il romanzo satirico fantascientifico Terra! (1983); il romanzo sull’alienazione urbana Comici spaventati guerrieri (1986); il romanzo fantastico La compagnia dei Celestini (1992); le raccolte di rac-conti Il bar sotto il mare (1987) e L’ultima lacrima (1994); le raccolte di brani teatrali Teatro (1999) e Teatro2 (2003). Pubblicazioni recenti sono Achille piè veloce (2005), storia di un’amicizia tra Ulisse, scrittore, e Achille, ragazzo costretto all’immobilità ma colto e vitale; Margherita Dolcevita (2006), sto-ria di una ragazzina di quattordici anni che cerca di difendersi con la forza della fantasia dalle tentazioni della società del consumo; La grammatica di Dio (2007), raccolta di racconti fantastico-satirici.

Le opere di Benni sono sempre fortemente legate ai problemi sociali e politici contem-poranei, che vengono affrontati attraverso invenzioni fantastiche rese con uno stile ricco di comicità. La varietà degli interes-si dell’autore investe anche il cinema (nel 1989 ha curato la regia e la sceneggiatura del film Musica per vecchi animali) e la musica: nel 1998 Benni ha allestito con il musicista Paolo Damiani lo spettacolo di poesia e jazz Sconcerto, e dal 1999 cura la consulenza artistica del festival jazz “Rumori mediterranei” di Roccella Jonica (Reggio Calabria). Insieme al giu-dice Libero Mancuso ha dato vita in una Casa del popolo di Bologna alla “Plu-riuniversità dell’Immaginazione”, dove si svolgono seminari culturali, filosofici e politici.

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574 PERCORSO 9

Opera: Al faro (1927)

Genere: romanzo psicologico

Tecniche narrative: la fabula e l’intreccio • il tempo • il narratore • il punto di vista e la focalizzazione • lo stile

LA SIGNORA RAMSAY

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«E se domani non è bello1», disse la signora Ramsay, alzando gli occhi su William Bankes e Lily Briscoe2 che passavano, «ci andremo un altro giorno. E ora»,

disse, pensando che il fascino di Lily stava in quegli occhi cinesi, messi sghembi nella pallida faccina grinzosa, ma ci voleva un uomo intelligente per vederlo; «e ora alzati su, fammi misurare la gamba» – perché alla fine magari sarebbero riusciti ad andare al Faro, e doveva vedere se allungare i calzerotti di qualche centimetro.Sorridendo a un’eccellente idea che le era balenata in mente in quell’istante – Wil-liam e Lily dovevano sposarsi – prese il calzerotto color dell’erica3, col suo incrocio d’aghi all’imboccatura, e lo misurò alla gamba di James.

Virginia Woolf

La signora Ramsay si trova vicino alla finestra e sta lavorando a maglia dei calzini per il figlio del guardiano del faro. Vicino a lei c’è suo figlio James, imbronciato poiché teme di non poter andare in gita al faro, dato che il padre ha previsto maltempo per il giorno dopo. La signora Ramsay lo rassicura: se farà brutto si andrà un altro giorno. Esterna-mente alla casa passeggiano due amici dei Ramsay, William Bankes e Lily Briscoe.

1. E se … bello: la signora Ramsay si rivolge al figlio Ja-mes.

2. Lily Briscoe: è una pittrice dilettante che sta realizzan-do un ritratto della signora

Ramsay insieme con il picco-lo James. 3. erica: pianta arbustiva con

fiori di vario colore, dal bian-co al rosso-violaceo.

l’op

era Al faro

Protagonista di Al faro è la signora Ramsay, una londinese nella quale l’autrice rievoca la propria madre, che si trova in vacanza alle isole Ebridi (nel nord della Scozia) con il marito, gli otto figli e alcuni ospiti. La gita in barca al faro progettata nelle prime pagine – siamo nel 1914 – non ha luogo a causa del maltempo, con grande delusione del piccolo James, il figlio minore. La secon-da parte del romanzo è dedicata al breve resoconto di ciò che capita ai Ramsay nei dieci anni successivi. Si tratta di fatti luttuosi: muoiono la signora Ramsay e due figli (uno in guerra e l’altra

di parto). Nella terza e ultima parte i Ramsay superstiti fanno ritorno alle Ebridi con alcuni dei vecchi ospiti. La gita al faro viene compiuta durante questa seconda vacanza – pertanto a dieci anni dall’inizio della vicenda – dal marito della ormai defunta signora e dai figli ancora in vita e ormai cresciuti. La maggiore novità del romanzo – piuttosto breve se paragonato ad altre opere sperimentali del primo Novecento quali l’Ulisse di James Joyce, L’uomo senza qualità di Robert Musil e Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust – risiede nella sua struttura. Gli eventi fondamentali sono pochi e non inquadrabili in uno schema narrativo tradizio-nale (situazione iniziale, esordio, peripezie e conclusione): su essi prevalgono eventi e situazioni banali che rifletto-no la quotidianità e caratterizzano la vita reale delle persone. La loro scarsa consistenza lascia ampio spazio ai pen-sieri, anch’essi espressi in modo caotico, dei personaggi. Il tempo fluisce con estrema lentezza, salvo che nella parte centrale, nella quale dieci anni sono riassunti in poche pagine, e con circolarità: il presente si ricollega al passato attraverso il filtro dei ricordi (il ritorno alle Ebridi, la realizzazione di quella gita al faro rinviata e, infine, il comple-tamento di un ritratto della signora Ramsay iniziato all’epoca della prima vacanza dalla pittrice Lily Briscoe).

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La narrazione psicologica 575

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4. Andrew: un altro figlio del-la signora Ramsay.5. con tanto … autore: si al-lude a libri che le erano stati regalati dall’autore, probabil-

mente un suo ammiratore.6. Elena: è il nome della si-gnora Ramsay, qui associato per omonimia a quello della bellissima Elena di Troia, indi-

rettamente responsabile della conquista della città da parte dei Greci.7. Croom … Bates: nomi in-ventati di autori di saggi di

psicologia (sulla mente) e di antropologia (sui costumi dei selvaggi in Polinesia).8. Rose: una delle figlie della protagonista.

«Sta’ fermo, caro!» disse, perché a James, per gelosia, non andava affatto di fare da modello per il figlio del custode, e scalpitava appo-sta; ma se scalpitava, come faceva lei a vedere se era lungo, o corto? gli domandò.Alzò gli occhi – quale demonio s’era impossessa-to del suo piccolo, il suo prediletto? – e guardò la stanza, guardò le sedie, e pensò che erano spaventosamente logore. L’imbottitura, aveva detto Andrew4 l’altro giorno, invece che dentro stava fuori, sul pavimento. Ma a che serviva, si chiedeva, comprare delle sedie nuove per farle andare in malora d’inverno, quando la casa, cu-stodita da una vecchia donna, gocciava addirit-tura per l’umidità? Che importava? L’affitto non arrivava a tre centesimi, i bambini l’amavano, a suo marito faceva bene a starsene a tremila – per la precisione erano trecento – miglia di distanza dalla biblioteca, le lezioni, gli studenti. E c’era posto anche per gli ospiti. Stuoie, brande, fantastici spettri di sedie e tavoli che avevano esaurito la loro funzione a Londra, lì andavano benissimo: con in più qualche fotografia, e i libri. I libri, pensò, crescevano da soli. Non aveva mai tempo di leggerli. Peccato! Anche i libri che le venivano regalati con tanto di dedica dell’autore5: “A colei i cui desideri sono legge…”, “Alla più felice Elena6 dei nostri tempi…”, si vergognava di dirlo, ma non li aveva mai letti. Il libro di Croom sulla mente, di Bates7 sui costumi dei selvaggi in Polinesia («Sta’ fer-mo, caro», ripeté) – non li poteva certo mandare al Faro. A un certo punto, pensò, la casa sarebbe andata in malora, e avrebbero per forza dovuto fare qualcosa. Se avessero almeno imparato a pulirsi i piedi, invece di portare dentro casa tutta la sabbia – sarebbe già stato qualcosa. I granchi doveva pur permetterli, visto che An-drew li voleva dissezionare; e se James aveva deciso che con le alghe si doveva fare la zuppa, non glielo poteva impedire; e così per gli oggetti di Rose8, le conchiglie, le canne, i sassi. I suoi ragazzi erano tutti dotati, ognuno a modo suo. Il risultato era, sospirò avvolgendo con lo sguardo tutta la stanza dal soffitto al pavimento, sempre tenendo il calzerotto appoggiato alla gamba di James, che da un’estate al-l’altra la casa diventava sempre più squallida. La stuoia s’era scolorita, la carta da parati si scollava, non si riconosceva neppure più se erano rose. D’altronde, a forza di lasciare le porte aperte, perché in tutta la Scozia non si trovava un fabbro che sappia aggiustare un chiavistello, le cose si sciupano. A che serviva poggiare sul-l’orlo della cornice uno scialle di cachemire? In due settimane sarebbe diventato dello stesso colore del brodo di piselli. Ma erano le porte soprattutto che le dava-

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66 IL LINGUAGGIO della poesia

• Chiasmo (dal greco khiasmòs, “disposto a croce” come la lettera greca x, che si legge”chi”) È una disposizione incrociata di parole o di espressioni, secondo lo schema A, B – B, A. Ad esempio:

“il tuo sguardo mi sorride,

mi parlano i tuoi occhi”.

Ch’io vedo il meglio ed al peggior m’appiglio [verbo, complemento – complemento, verbo](M. M. Boiardo)

Il vento soffia e nevica la frasca [soggetto, verbo – verbo, soggetto]e tu non torni ancora al tuo paese!

(G. Pascoli)

Nel giorno la porta non s’apre,non s’ode segnale di vita nel giorno

(A. Palazzeschi)

• Accumulazione (dal latino accumulatio, “l’accumulare”)

È l’accostamento intenso e sovrabbondante di termini, disposti in ordine o in modo caotico e disordinato, spesso senza segni di punteggiatura. Ad esempio: “tirò fuori dalla borsa rossetto cellulare fotocopie portafoglio spazzolino macchina fotografica ombrello pieghevole”.

A

A

B

B

[complemento, soggetto/verbo – verbo/soggetto, complemento]

UN’IMMAGINE PER CAPIRE Il chiasmo

La disposizione delle espressioni a “chiasmo” produce anche visivamente l’effetto di formare incroci tra parole.Tali incroci sono finalizzati a infrangere il normale parallelismo delle parole in una frase e ad attirare l’attenzione del lettore su quest’ultima. La forma a X diviene particolarmente evidente quando il chiasmo è distribuito su due versi come in questo esempio:

Trema un ricordo nel ricolmo secchio,

nel puro cerchio un’immagine ride.

(E. Montale)

Un analogo schema grafico a X compare in questo dipinto del pittore russo Kazimir Malevic (1878-1935). Il volto stilizzato del contadino, inespressivo, è caratterizzato da due colori contrapposti, il bianco e il rosso, collocati in modo da formare una sorta di chiasmo cromatico.

Kazimir Malevic, Testa di contadino, 1930 circa, olio su compensato, San Pietroburgo, Museo Russo di Stato

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L’assenza dell’altro 299

4. né più mi occorrono: non mi capitano più, non mi riguarda-no più; il verbo può anche significare “non mi servono più, non hanno più valore per me”.5. le coincidenze, le prenotazioni: tutte le incombenze quotidia-ne, gli impegni minuti della vita pratica; le coincidenze e le pre-notazioni si riferiscono alla necessità di organizzare i frequenti viaggi che il poeta affrontava con la moglie come giornalista.

6. le trappole: i trabocchetti. • gli scorni: i malumori per gli insuccessi.6-7. di chi crede … vede: a cui sono esposti tutti coloro che cre-dono che la realtà esista davvero così come appare.9. con quattr’occhi: gli occhi del poeta e quelli della moglie.11. sebbene tanto offuscate: tanto opache; il riferimento è alla miopia della moglie.

Opera: Satura (1971)

Metro: due strofe di versi liberi

Linguaggio della poesia: l’aspetto lessicale e sintatti-co • l’aspetto retorico

Eugenio Montale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono 5 le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. 10 Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.

(E. Montale, op. cit.)

PERCORSO 1, Gli oggetti, p. 147

Il viaggio breveIl tema della poesia è l’amore coniugale, descritto nel suo ordinario procedere, nella sua continuità tempo-rale: la vita accanto alla moglie può essere ripensata come una scala percorsa in discesa, gradino dopo

gradino, fino alla vecchiaia e alla morte. Nonostante il viaggio compiuto insieme sia stato lungo (l’espres-sione almeno un milione di scale allude infatti a un percorso costante e duraturo), esso tuttavia appare troppo breve, ora che si è concluso e che il poeta deve continuare da solo. Egli confessa la propria estraneità e impotenza di fronte alle incombenze

ANALISI DEL TESTO

Dedicati alla moglie morta (Drusilla Tanzi, chiamata da Montale “Mosca”), i versi rievocano gli anni trascorsi dal poeta al suo fianco.

HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO, ALMENO UN MILIONE DI SCALE

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300 PERCORSO 5

quotidiane, ai fastidi, alle insidie che pure gli altri (coloro che non si pongono troppe domande sul senso dell’esistenza) sperimentano ogni giorno; senza la preziosa alleanza della moglie non gli è più possibile affrontare un mondo di cui conosce profondamente la vanità. Benché sia stato lui in questo itinerario a offrire il braccio, ovvero appog-gio e protezione, è evidente che tale gesto è stato da parte sua una ricerca piuttosto che un’offerta di sostegno, e che nel cammino della vita la sola vera guida – saggia e lungimirante – è stata lei.

Lo sguardo di MoscaParlando delle pupille tanto offuscate (v. 11) della moglie, il poeta allude in modo affettuoso alla sua pronunciata miopia, che la costringeva a portare occhiali molto spessi. È proprio questo difetto della vista a suggerire il paradosso che è al centro del componimento: benché priva della nitidezza dello sguardo, Mosca è provvista di una ben più profon-da capacità di distinguere nella vita l’essenziale,

muovendosi con disinvoltura lungo i suoi ostacoli. Lo sguardo della moglie ha la virtù della saggezza quotidiana, quella di chi sa muoversi tra i problemi di ogni giorno e riesce ad affrontarli senza incertez-ze, senza lasciarsi paralizzare dal sospetto che nulla abbia significato. La sua vitalità è ciò che manca al poeta; Mosca è stata una guida perché al suo fianco egli sapeva trovare il coraggio di partecipare alla vita. Ecco perché la sua assenza sottrae al poeta quella vista che sola gli consentiva di orientarsi, di vivere.

Un linguaggio colloquiale e al tempo stesso allusivoIl poeta descrive la propria desolazione per la perdi-ta della moglie con un tono controllato, senza con-cessioni al patetico. Affetto e ironia caratterizzano il colloquio con lei e Montale riesce a esprimere lo sconforto senza esasperare le emozioni. La sobrietà espressiva deriva dalla scelta di un linguaggio quo-tidiano (con l’eccezione di una parola più ricercata, quale scorni, v. 6), di una sintassi semplice, di me-tafore assai comuni (come quella del viaggio della vita, o della discesa verso la morte), di versi lunghi dai toni narrativi, quasi prosastici. La facilità è però soltanto apparente: la scrittura è allusiva e ambigua, non si esaurisce nel significato letterale, mantiene un margine di oscurità, come dimostrano gli ultimi versi della prima strofa. Chi sono coloro che credono che la realtà sia quella che si vede (v. 7)? Le paro-le sono semplici, ma il concetto risulta sfuggente. Il verso appare un’anticipazione della metafora dello sguardo che occupa tutta la seconda strofa, ma la vista descritta qui è limitata, superficiale: è quella di chi vede soltanto l’apparenza, non si pone doman-de e si agita vanamente nelle faccende della vita (le coincidenze, le prenotazioni, / le trappole, gli scorni, vv. 5-6). In questa realtà quotidiana Mosca sapeva invece orientarsi, il suo sguardo era l’unico capace di vedere davvero; senza i suoi occhi il poeta è incapa-ce di procedere nel proprio cammino e ne percepisce il vuoto ad ogni gradino (v. 2).

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Page 10: Antologia Poesia

L’assenza dell’altro 301

ESERCIZI

COMPRENSIONE E ANALISI

1. La sintesi del testo Scrivi la sintesi della poesia, proseguendo dalla frase seguente: “Il poeta si rivolge alla moglie morta, ricordando il lungo tempo trascor-so insieme”.

2. Il verso breve Tutti i versi della poesia sono mol-to lunghi, tranne l’ultimo. Quale effetto produce que-sta scelta del poeta?

3. Le scale Le scale di cui parla il poeta sono reali o metaforiche? Possono avere entrambi i significati? Giustifica la tua risposta con riferimento al testo.

4. Milioni di scale Per due volte ricorre nella poe-sia un’espressione simile: almeno un milione di scale (v. 1); milioni di scale (v. 8). Di quale figura retorica si tratta?

a. ossimorob. sinestesiac. iperbole

Giustifica la tua scelta scrivendo la definizione della figura retorica che hai individuato, poi commentala collegandola al contenuto della poesia.

5. Il viaggio Considera l’espressione del verso 3: Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Di quali figure retoriche si tratta?

a. antitesi e metaforab. anafora e metaforac. anafora e similitudine

Giustifica la tua scelta scrivendo le definizioni del-le figure retoriche che hai individuato; commenta quindi l’espressione collegandola al contenuto della poesia.

6. Le sole vere pupille Considera l’espressione del verso 11: le sole vere pupille. Il poeta sceglie di usare il termine pupille per indicare gli occhi; come puoi com-mentare tale scelta? Di quale figura retorica si tratta?

a. sineddocheb. sinestesiac. similitudine

7. Ho sceso Nel testo ricorre per due volte l’espres-sione Ho sceso, in apertura delle due strofe: come si chiama questa figura retorica di posizione?

a. anaforab. anastrofec. iperbato

L’espressione ritorna, leggermente variata, al verso 10: le ho scese. Come puoi commentare tale insistenza?

SCRITTURA

8. Confronta le poesie: la moglie Mosca Leggi la poesia seguente (sempre tratta dalla raccolta Satura), in cui Montale descrive la moglie e il proprio desiderio di riaverla accanto. Scrivi poi un testo analizzando so-miglianze e differenze tra le due poesie.

Caro piccolo insetto che chiamavano mosca non so perché, stasera quasi al buio mentre leggevo il Deuteroisaia 5 sei ricomparsa accanto a me, ma non avevi occhiali, non potevi vedermi né potevo io senza quel luccichìo riconoscere te nella foschia.

(E. Montale, Caro piccolo insetto, in op. cit.)

4. Deuteroisaia: anonimo autore di alcuni capitoli del Libro di Isaia, contenuto nella Bibbia, in cui si consola il popolo ebrai-co durante l’esilio babilonese.

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