ANTOLOGIA DI PASSI SUL TEMA INFINITAMENTE GRANDE · Criterio di verità per Lucrezio e per...

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Liceo "Leopardi Majorana" Pordenone Certamen Lucretianum IV edizione nazionale ANTOLOGIA DI PASSI SUL TEMA INFINITAMENTE GRANDE & infinitamente piccolo . nel De rerum natura di Lucrezio a cura del Prof. Paolo Venti - A.S. 2010-2011

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Liceo "Leopardi Majorana" Pordenone

Certamen Lucretianum IV edizione nazionale

ANTOLOGIA DI PASSI SUL TEMA

INFINITAMENTE GRANDE

&

infinitamente piccolo

.

nel De rerum natura

di Lucrezio

a cura del Prof. Paolo Venti - A.S. 2010-2011

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Spunti (disordinati) di riflessione Il pensiero antico, si sa, ha paura dell'infinito, soprattutto dei processi di divisione all'infinito (vedi paradossi di Zenone, dal sorite alla tartaruga di Achille). Lucrezio su questo ha un passaggio evidentissimo a I, 613 (ratio reclamat vera negatque credere posse animum). Criterio di verità per Lucrezio e per l'epicureismo sono i sensi (si veda a tal proposito la chiarissima testimonianza dei versi IV 478 ss.), e i sensi non sono in grado di percepire l'infinitamente piccolo altrimenti percepiremmo polvere e il posarsi di una minuscola zanzara (curiosa riflessione dei versi II 963 e III 375 ss). Epicuro e Lucrezio, a differenza di altre scuole filosofiche non ammettono che la materia si possa frantumare all'infinito ma impongono un limite: si veda con chiarezza ai versi Fra parentesi etimologicamente atomos indica proprio l'impossibilità di procedere all'infinito nella frammentazione. Lucrezio si ferma a lungo su questo concetto nel primo libro vedi passi I, *** Le motivazioni sono essenzialmente tre:

• se i corpi potessero spezzarsi all'infinito nulla da un certo punto in poi potrebbe crearsi (I 550 ss.)

• se venissero parti nuove da fuori dovrebbero essere intatti ma come avrebbero resistito nel tempo ai colpi I, 579 ss

• la mente ripugna all'idea che non vi sia alcuna differenza fra la somma e le parti, che è la specificità dell'infinitamente divisibile,o come dice Lucrezio "per quanto/ l'universo in tutto il suo insieme sia infinito, tuttavia/ le cose più piccole consteranno egualmente di parti infinite./ Ma, poiché la verità protesta contro ciò …I, 613 ss.

In questa idea che esista un minimo delle cose si oppone nettamente al pensiero di altri filosofi antichi come Anassagora, lo storicismo e l'Accademia. (cfr. Cicerone, De natura deorum 1,23 per esempio) Vista l'importanza fondamentale della questione dei minimi (elachista) atomici, si veda anche Epicuro Lettera a Erodoto 56 Oltre a ciò non bisogna credere che in un corpo limitato vi sia un numero illimitato di parti, e neppure parti di qualsivoglia grandezza. Perciò non solo si deve escludere la divisione all’infinito in parti sempre minori, per non togliere a ogni cosa la forza di resistenza e perché nella concezione dei complessi corporei non siamo costretti a ridurre al nulla le cose esistenti, riducendone progressivamente la grandezza; ma anche nel passaggio da parte a parte non si deve pensare si possa, quando si tratti di grandezze limitate, seguitare all’infinito, neppure procedendo a parti sempre più piccole. [57] Quando infatti qualcuno afferma che in un corpo vi è un numero infinito di parti o parti di qualsivoglia

gšnoito Ðrat¾ ¥tomoj œstin ™pinoÁsai. PrÕj d� toÚtoij oÙ de‹ nom…zein ™n tù ærismšnJ sèmati ¢pe…rouj Ôgkouj e�nai oÙd' Ðphl…kouj oân. éste oÙ mÒnon t¾n e„j ¥peiron tom¾n ™pˆ toÜlatton ¢nairetšon, †na m¾ p£nta ¢sqenÁ poiîmen k¢n ta‹j peril»yesi tîn ¢qrÒwn e„j tÕ m¾ ×n ¢nagkazèmeqa t¦ Ônta ql…bontej katanal…skein, ¢ll¦ kaˆ t¾n met£basin m¾ nomistšon g…nesqai ™n to‹j ærismšnoij e„j ¥peiron mhd' ™<pˆ> toÜlatton. oÜte g¦r Ópwj, ™peid¦n ¤pax tij e‡pV Óti ¥peiroi Ôgkoi œn tini Øp£rcousin À Ðphl…koi oân, œsti noÁsai· pîj t' ¨n œti toàto

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grandezza, non si può comprendere come ciò avvenga; e del resto, come potrebbe essere ancora limitata la grandezza del corpo? Poiché è chiaro che queste parti infinite debbono pure avere una grandezza, e qualsiasi dimensione abbiano, anche la grandezza del corpo sarà necessariamente infinita. Inoltre, poiché un corpo limitato ha una estremità percepibile, se anche non visibile per se stessa isolata, non si può pensare che non sia simile a essa anche ciò che la segue immediatamente, e che chi così proceda, sempre di seguito, possa idealmente proseguire all’infinito.

peperasmšnon e‡h tÕ mšgeqoj; phl…koi g£r tinej dÁlon æj oƒ ¥peiro… e„sin Ôgkoi· kaˆ oátoi [™x ïn] Ðphl…koi ¥n pote ðsin, ¥peiron ¨n Ãn kaˆ tÕ mšgeqoj, ¥kron te œcontoj toà peperasmšnou dialhptÒn, e„ m¾ kaˆ kaq' ˜autÕ qewrhtÒn, oÙk œsti m¾ oÙ kaˆ tÕ ˜xÁj toÚtou toioàton noe‹n kaˆ oÛtw kat¦ tÕ ˜xÁj e„j toÜmprosqen bad…zonta e„j tÕ ¥peiron Øp£rcein kaˆ tÕ toioàton ¢fikne‹sqai tÍ ™nno…v.

Certo, vi sono atomi più o meno grandi e Lucrezio ipotizza in vari passi atomi di entità sempre minore: Per esempio gli atomi che compongono la materia sono più grandi di quelli dell'anima e quelli che compongono gli eidola che emanano dagli oggetti sono più piccoli, e quelli che creano i pensieri e i sogni sono più piccoli ancora. Si veda in tel senso la serie di passi come II 381 sul fatto che gli atomi che costituiscono i fulmini sono più sottili di quelli del fuoco oppure IV 110 (gli atomi che danno vita ai simulacri sono più piccoli di quelli dei corpi) o IV 722 (gli atomi che danno vita ai sogni e ai pensieri sono più sottili di quelli dei simulacra). In particolare il passo IV 110 è forse il più noto in relazione al tentativo poetico e "visivo" da parte di Lucrezio di rendere un idea del piccolo: si considerino animaletti appena percepibili ma si considerino poi i loro minuscoli organi interni… purtroppo una lacuna interrompe proprio questo passo così bello. Al contrario l'universo è infinitamente grande. Come per molte filosofie antiche si parte dal ragionamento per cui se l'universo fosse limitato sarebbe limitato da altro e che il tutto non può essere limitato da qualcosa che non appartenga al tutto stesso: da tale aporia deriva che il tutto non ha limite (I, 1051 ss. II 89 ss.). Anche su questo punto fondamentale val la pena citare Epicuro, Lettera a Erodoto 41 s. Inoltre, il tutto è infinito. Infatti ciò che è finito ha un estremo e questo estremo si coglie rispetto a qualcos’altro; [il tutto, però, non si può cogliere in relazione a qualcos’altro], perciò, non avendo estremo non ha nemmeno limite; non avendo limite deve essere infinito, non limitato. Il tutto è poi infinito anche rispetto alla quantità dei corpi e alla estensione del vuoto. [42] Infatti, se infinito fosse il vuoto e limitati i corpi, questi non potrebbero persistere in nessun luogo, ma vagherebbero dispersi per l’infinito vuoto, perché non sostenuti da altri né rimbalzati indietro dagli urti. Se invece fosse finito il vuoto, i corpi infiniti non potrebbero esservi contenuti.

'All¦ m¾n kaˆ tÕ p©n ¥peirÒn ™sti. tÕ g¦r peperasmšnon ¥kron œcei· tÕ d� ¥kron par' ›terÒn ti qewre‹tai· éste oÙk œcon ¥kron pšraj oÙk œcei· pšraj d� oÙk œcon ¥peiron ¨n e‡h kaˆ oÙ peperasmšnon. Kaˆ m¾n kaˆ tù pl»qei tîn swm£twn ¥peirÒn ™sti tÕ p©n kaˆ tù megšqei toà kenoà. e‡ te g¦r Ãn tÕ kenÕn ¥peiron, t¦ d� sèmata ærismšna, oÙqamoà ¨n œmene t¦ sèmata, ¢ll' ™fšreto kat¦ tÕ ¥peiron kenÕn diesparmšna, oÙk œconta t¦ Øpere…donta kaˆ stšllonta kat¦ t¦j ¢nakop£j· e‡ te tÕ kenÕn Ãn ærismšnon, oÙk ¨n e�ce t¦ ¥peira sèmata Ópou ™nšsth

In tal senso si veda anche il passo V 416, notissimo, in cui Lucrezio, a gara con altre descrizioni ma con piglio decisamente moderno, immagina l'origine del mondo dal caos primigenio, il formarsi dei mondi su scale di grandezza appena immaginabili per il lettore.

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Diversa da quella di universo infinito è l'accezione di mundus che indica in Lucrezio la realtà che ci circonda, il "nostro mondo" che può essere delimitato per quanto enorme. Anzi, proprio lo sforzo di guardare l'infinito dello spazio (immensum) è indicato con la nota espressione dell'elogio di Epicuro che omne immensum peragravit mente animoque a I, (ma analogamente parlando dei suoi seguaci si veda V 119 qui ratione sua disturbent moenia mundi). Esistono di conseguenza infiniti mondi come si afferma in un lungo e sentito passo del secondo libro (II 1044 ss.) Il passo prosegue deducendo addirittura da questo dato l'impossibilità di immaginare gli dei alla guida del mondo, ovvero un punto essenziale di quel tetrapharmakon essenziale all'epicureismo, cioè la necessità di non temere gli dei: chi mai potrebbe guidare mondi infiniti? (II 1084). Su questo punto, cioè sull'infinità dei mondi, si veda lo stesso modo Epicuro Lettera a Erodoto 45 Inoltre i mondi sono infiniti, alcuni simili al nostro, altri dissimili. Perché gli atomi, che abbiamo appena dimostrato essere infiniti, percorrono anche i più lontani spazi. Infatti gli atomi adatti a dare origine a un mondo o a costituirlo non possono essere esauriti né da un solo mondo, né da un numero finito di mondi, né da quanti mondi sono simili, né da quanti sono diversi dal nostro. Nulla quindi si opporrà alla infinità dei mondi.

'All¦ m¾n kaˆ kÒsmoi ¥peiro… e„sin, o† q' Ómoioi toÚtJ kaˆ ¢nÒmoioi. a† te g¦r ¥tomoi ¥peiroi oâsai, æj ¥rti ¢pede…cqh, fšrontai kaˆ porrwt£tw. oÙ g¦r katan»lwntai aƒ toiaàtai ¥tomoi, ™x ïn ¨n gšnoito kÒsmoj À Øf' ïn ¨n poihqe…h, oÜt' e„j ›na oÜt' e„j peperasmšnouj, oÜq' Ósoi toioàtoi oÜq' Ósoi di£foroi toÚtoij. éste oÙd�n tÕ ™mpodo-statÁsÒn ™sti prÕj t¾n ¢peir…an tîn kÒsmwn.

Vi è un fascino "poetico" davanti alla vertigine per l'infinitamente grande: i passi citati vanno letti anche ponendo attenzione a questo aspetto "lirico" in cui il lettore è chiamato spesso in causa direttamente ad ammirare, a non stupirsi. (si veda per esempio II 168 ss. Ma i principi primi … devono evidentemente primeggiare per velocità, / e muoversi molto più rapidamente che la luce del sole, /e correre per una distesa di spazio molto più grande, nello stesso /tempo in cui le folgoranti luci del sole si diffondono per il cielo). Si veda anche IV 404 in cui tale vertigine è ricondotta ad una esperienza diretta, il sorgere del sole sopra le montagne che paiono distante da noi ma sono a una distanza minima rispetta a quella del sole stesso. Ma si noti a proposito di vertigine cosmica anche la preoccupazione di Lucrezio a V 1203 perché proprio questa vertigine dei sensi può indurre negli uomini il terrore superstizione degli dei. E si noti anche la passione "pedagogica" che caratterizza alcuni passi: se per contemplare l'infinitamente grande è necessario uno sguardo libero, capace (VI, 647 Hisce tibi in rebus latest alteque videndum/ et longe cunctas in partis dispiciendum) Lucrezio nello stesso passaggio si preoccupa ancora una volta di guidare il lettore per gradi. L'enfasi del passo, segnata anche da uno dei rari interventi diretti di un interlocutore fittizio ("Ma troppo è enorme il tempestoso ardore di questo incendio"), è accompagnata da una "pazienza" nei confronti di chi non ha maturato l'abitudine a guardare ("S'intende") e dallo sforzo di fornire similitudini che facilitino il passaggio ("così è anche per il fiume che appare il più grande a colui che non ne ha visto prima uno più grande), secondo la logica virgiliana del parvis componere magna.

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Anche l'anima è composta di atomi, (III, 177) molto più sottili di quelli del corpo (III 203), tanto sottili che con la morte sfuggono fra gli atomi grandi del corpo, e non si sottrae alcun peso al morto (III 425). Passaggio fondamentale se è vero che da questa loro "enorme piccolezza" Lucrezio deduce la prima delle 29 (!) prove della mortalità dell'anima citate nel libro III (l'anima è così sottile che non può che dissolversi come fanno fumo e vapore non appena si rompa il contenitore che le teneva imprigionati). Sull'anima composta da particelle piccolissime si veda Epicuro Epistola a Erodoto 63 [63] Dopo queste cose, riferendoci alle sensazioni e alle affezioni – per ottenere la più fondata persuasione – occorre considerare come l’anima sia un corpo composto di sottili particelle, diffuso per tutto l’organismo, affatto simile a un soffio, con una certa mescolanza di calore, e in certo modo assai affine all’uno, in certo modo all’altro. Vi è poi quella parte che, in sottigliezza, è molto differente dall’uno e dall’altro, per cui è più adatta a subire modificazioni in sintonia con il rimanente organismo. Tutto ciò è reso manifesto dalle facoltà dell’anima, dalle affezioni, dai moti, dai pensieri e da tutto ciò la cui privazione significa per noi la morte.

Met¦ d� taàta de‹ sunor©n ¢nafšronta ™pˆ t¦j a„sq»seij kaˆ t¦ p£qh–oÛtw g¦r ¹ bebaiot£th p…stij œstai–, Óti ¹ yuc¾ sîm£ ™sti leptomer�j par' Ólon tÕ ¥qroisma paresparmšnon, prosemferšstaton d� pneÚmati qermoà tina kr©sin œconti kaˆ pÍ m�n toÚtJ prosemferšj, pÍ d� toÚtJ· œsti dš ti mšroj poll¾n parallag¾n e„lhfÕj tÍ leptomere…v kaˆ aÙtîn toÚtwn, sumpaq�j d� toÚtJ m©llon kaˆ tù loipù ¢qro…smati· toàto d� p©n aƒ dun£meij tÁj yucÁj dhloàsi kaˆ t¦ p£qh kaˆ aƒ eÙkinhs…ai kaˆ aƒ diano»seij kaˆ ïn sterÒmenoi qnÇskomen.

Paolo Venti

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ANTOLOGIA DI PASSI

I 70 ss. E' l'elogio di Epicuro, il primo che osò uscire dal mondo definito, limitato, in cui viviamo per guardare l'infinitamente grande. Solo così sarebbe stato possibile conoscere la causa delle cose e sconfiggere la paura degli dei. Si noti fin da questo passo proemiale i due termini distinti di mundus, il nostro spazio limitato chiuso da moenia (altrove claustra) rispetto all'infinitamente grande indicato con il termine immensum.

70. effringere ut arta 71. naturae primus portarum claustra cupiret. 72. ergo vivida vis animi pervicit et extra 73. processit longe flammantia moenia mundi 74. atque omne immensum peragravit mente animoque,

70. anzi più gli accesero 71. il fiero valore dell'animo, sì che volle, per primo, 72. infrangere gli stretti serrami delle porte della natura. 73. Così il vivido vigore dell'animo prevalse, 74. ed egli s'inoltrò lontano, di là dalle fiammeggianti mura del mondo, 75. e il tutto immenso percorse con la mente e col cuore.

I 310 ss. La natura opera tramite corpi invisibili, per fare scienza dobbiamo avventurarci nel mondo dell'infinitamente piccolo. La natura costruisce le sue cose corporibus caecis, con elementi che non si possono vedere (si noti lo scarto retorico con cui è usato caecus nel senso di non visibile).

310. haec igitur minui, cum sint detrita, videmus. 311. sed quae corpora decedant in tempore quoque, 312. invida praeclusit speciem natura videndi. 313. Postremo quae cumque dies naturaque rebus 314. paulatim tribuit moderatim crescere cogens, 315. nulla potest oculorum acies contenta tueri, 316. nec porro quae cumque aevo macieque senescunt, 317. nec, mare quae impendent, vesco sale saxa peresa 318. quid quoque amittant in tempore cernere possis. 319. corporibus caecis igitur natura gerit res.

76. Ma non s'è veduto in che modo l'umore dell'acqua sia penetrato, 77. né in che modo sia poi fuggito per effetto del calore. 78. L'umore dunque si sparge qua e là in piccole parti, 79. che gli occhi non possono vedere in alcun modo. 80. Per di più, nel corso di molti anni solari l'anello, 81. a forza d'essere portato, si assottiglia dalla parte che tocca il dito; 82. lo stillicidio, cadendo sulla pietra, la incava; il ferreo vomere 83. adunco dell'aratro occultamente si logora nei campi; 84. e le strade lastricate con pietre, le vediamo consunte

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85. dai piedi della folla; e poi, presso le porte, le statue 86. di bronzo mostrano che le loro mani destre si assottigliano 87. al tocco di quelli che spesso salutano e passano oltre. 88. Che queste cose dunque diminuiscano, noi lo vediamo, 89. perché son consunte. Ma quali particelle si stacchino in ogni 90. momento, l'invidiosa natura della vista ci precluse di vederlo. 91. Infine tutto ciò che il tempo e la natura aggiungono alle cose 92. a poco a poco, facendole crescere proporzionatamente, 93. nessun acume di occhi, benché si sforzi, può scorgerlo; 94. né d'altra parte potresti discernere tutto ciò che invecchia 95. per l'età e la macilenza, né cosa perdano in ciascun momento 96. gli scogli che sovrastano il mare, corrosi dall'avido sale. 97. Mediante corpi invisibili, dunque, opera la natura.

I 550 Passaggio fondamentale: vi è un limite al frantumarsi dei corpi. Non è possibile procedere all'infinito nella divisione perché altrimenti non sarebbe più possibile che si crei alcuna cosa da elementi macerati in parti minutissime.

553. at nunc ni mirum frangendi reddita finis 554. certa manet, quoniam refici rem quamque videmus 555. et finita simul generatim tempora rebus 556. stare, quibus possint aevi contingere florem.

550. Sono dunque di solida semplicità i primi principi, 551. né in altro modo possono essersi conservati attraverso le età 552. e ristorare le perdite delle cose, da tempo ormai infinito. 553. Ancora, se la natura non avesse fissato alcun limite 554. allo spezzarsi delle cose, ormai i corpi della materia, 555. spezzati dalle età passate, sarebbero ridotti a tal punto 556. che da essi nulla potrebbe, entro un tempo determinato, 557. esser concepito e raggiungere il sommo limite della vita. 558. Infatti vediamo che qualunque cosa può più in fretta dissolversi 559. che di nuovo rifarsi: pertanto ciò che la lunga durata 560. dei giorni, l'infinita durata di tutto il tempo già trascorso, 561. avrebbe fino ad ora spezzato, sconvolgendolo e dissolvendolo, 562. non potrebbe mai essere rinnovato nel tempo che resta. 563. Ma ora, senza dubbio, all'azione dello spezzare è fissato 564. un limite determinato, immutabile, poiché vediamo che ogni cosa 565. si rifà e, insieme, per le cose, secondo le specie, sono fissati 566. tempi limitati in cui possano attingere il fiore dell'età.

I 579 Oppure dovrebbero introdursi dall'esterno corpi nuovi non sminuzzati, ma come avrebbero potuto questi resistere in eterno ai colpi reciproci?

577. Inoltre, se nessun limite è assegnato allo spezzarsi 578. dei corpi, tuttavia è necessario che dall'eternità sopravanzino

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579. ancora, per ciascuna specie di cose, corpi che finora 580. non siano stati assaliti da alcun pericolo. 581. Ma, giacché sono dotati di natura fragile, con ciò non s'accorda 582. che abbiano potuto continuare a sussistere in eterno, 583. travagliati da innumerevoli colpi nel corso di tutte le età.

I 584 Seconda argomentazione: se gli elementi primi fossero ulteriormente sminuzzabili, come sarebbe possibile il permanere di "composti" costanti nel tempo?

320. nam si primordia rerum 321. commutari aliqua possent ratione revicta, 322. incertum quoque iam constet quid possit oriri, 323. quid nequeat, finita potestas denique cuique 324. qua nam sit ratione atque alte terminus haerens, 325. nec totiens possent generatim saecla referre 326. naturam mores victum motusque parentum.

584. Infine, poiché per le cose è secondo le specie fissato 585. un termine di crescita e di conservazione della vita, 586. e giacché risulta sancito da leggi di natura che cosa possa 587. ognuna e che cosa non possa, né alcunché si muta, 588. anzi tutto rimane così costante che i variopinti uccelli, 589. di generazione in generazione, tutti mostrano 590. presenti nel corpo i colori propri di ciascuna specie, 591. evidentemente devono anche avere un corpo di materia 592. immutabile. Infatti, se i primi principi potessero 593. in qualche modo esser vinti e mutarsi, 594. in tal caso sarebbe incerto anche che cosa possa nascere, 595. che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa 596. abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto; 597. né tante volte potrebbero le generazioni secondo ciascuna specie 598. riprodurre natura, costumi, modo di vivere e movimenti dei genitori. 599. E ancora: poiché c'è una punta estrema, in ogni caso, 600. di quel corpo che i nostri sensi non possono più 601. discernere, essa evidentemente è senza parti 602. e consta di natura minima, né esistette mai 603. per sé separata, né tale potrà essere in futuro, 604. poiché di un'altra cosa essa stessa è parte e prima e una;

I 613 ss. Espressione dell'impossibilità "logica" di immaginare una frantumazione all'infinito (inteso come situazione in cui non vi è differenza fra un composto e la sua parte).

615. Praeterea nisi erit minimum, parvissima quaeque 616. corpora constabunt ex partibus infinitis, 617. quippe ubi dimidiae partis pars semper habebit 618. dimidiam partem nec res praefiniet ulla.

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619. ergo rerum inter summam minimamque quod escit, 620. nil erit ut distet; nam quamvis funditus omnis 621. summa sit infinita, tamen, parvissima quae sunt, 622. ex infinitis constabunt partibus aeque. 623. quod quoniam ratio reclamat vera negatque 624. credere posse animum, victus fateare necessest 625. esse ea quae nullis iam praedita partibus extent 626. et minima constent natura 613. Da essi la natura, riservando i semi alle cose, non concede 614. che alcunché sia strappato via o venga ancora detratto. 615. D'altronde, se non ci sarà un minimo, tutti i corpi 616. più piccoli consteranno di parti infinite, 617. giacché in tal caso la metà di una metà avrà sempre 618. una propria metà, né alcuna cosa porrà un termine. 619. E allora, che differenza ci sarà tra la somma delle cose e la cosa più piccola? 620. Non sarà possibile alcun divario: infatti, per quanto 621. l'universo in tutto il suo insieme sia infinito, tuttavia 622. le cose più piccole consteranno egualmente di parti infinite. 623. Ma, poiché la verità protesta contro ciò e non ammette 624. che l'animo possa credervi, è necessario che tu, vinto, riconosca 625. che esistono quelle cose che non sono più costituite di parti 626. e constano di natura minima. E poiché esse esistono, è necessario 627. che tu riconosca che esistono anche quegli elementi, solidi ed eterni. 628. Infine, se la natura creatrice fosse solita costringere 629. tutte le cose a risolversi nelle parti minime, 630. nulla più essa sarebbe in grado di ricomporre con queste, 631. perché le cose che sono prive di parti non possono avere 632. le qualità che deve avere la materia generatrice, 633. le varie connessioni, i pesi, gli urti, 634. gl'incontri, i movimenti, per cui tutte le cose si svolgono.

I 743 Confutazione di Empedocle che riteneva possibile la suddivisione all'infinito della materia, omogenea ad ogni livello, formata da quattro elementi non solidi, deperibili e fra loro inconciliabili, uniti da philia e neikos. Empedocle peraltro e nello stesso passo elogiato enormemente come poeta e maestro di pensiero e scrittura da Lucrezio stesso.

743. et graviter magni magno cecidere ibi casu. 744. deinde quod omnino finem non esse secandis 745. corporibus facient neque pausam stare fragori 746. nec prorsum in rebus minimum consistere qui<cquam>, 747. cum videamus id extremum cuiusque cacumen 748. esse quod ad sensus nostros minimum esse videtur, 749. conicere ut possis ex hoc, quae cernere non quis 750. extremum quod habent, minimum consistere <rerum>.

743. e gravemente ivi caddero, grandi in grande caduta; 744. prima perché, tolto dalle cose il vuoto, asseriscono

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745. il movimento, e lasciano cose morbide e porose, 746. l'aria l'acqua il fuoco la terra gli animali le messi, 747. e tuttavia non mescolano nel loro corpo il vuoto; 748. poi perché credono che non ci sia alcun termine 749. alla divisione dei corpi, né esista arresto al loro spezzarsi, 750. né resti assolutamente alcun minimo nelle cose; 751. mentre vediamo che di ciascuna cosa esiste quel vertice estremo 752. che si vede essere il minimo rispetto ai nostri sensi, 753. sì che puoi inferirne che il punto estremo esistente nei corpi 754. che non sei in grado di scorgere è in essi la minima parte.

I 791-797 La non divisibilità della materia all'infinito, l'eternità immutabile degli atomi è garanzia che le cose non si riducano al nulla.

791. immutabile enim quiddam superare necessest, 792. ne res ad nihilum redigantur funditus omnes;

791. È necessario, infatti, che qualcosa sopravanzi immutabile, 792. perché tutte le cose non si riducano appieno al nulla. 793. Infatti ogni volta che una cosa si muta ed esce dai propri 794. termini, sùbito questo è la morte di ciò che era prima. 795. Perciò, poiché le cose che abbiamo dette poc'anzi 796. subiscono mutamento, è necessario che esse constino 797. di altre che non possano assolutamente cambiarsi, 798. se non vuoi che tutte le cose si riducano appieno al nulla.

L'UNIVERSO è INFINITO

I 951 967 Nota argomentazione, condivisa da molte scuole filosofiche antiche per cui l'universo è infinito, sia nella sua estensione vuoto che nel numero di atomi. Infatti se fosse finito sarebbe delimitato da qualcosa ma al di fuori del tutto non c'è nulla per cui il tutto è infinito.

951. Sed quoniam docui solidissima materiai 952. corpora perpetuo volitare invicta per aevom, 953. nunc age, summai quaedam sit finis eorum 954. nec<ne> sit, evolvamus; item quod inane repertumst 955. seu locus ac spatium, res in quo quaeque gerantur, 956. pervideamus utrum finitum funditus omne 957. constet an immensum pateat vasteque profundum. 958. Omne quod est igitur nulla regione viarum 959. finitumst; namque extremum debebat habere. 960. extremum porro nullius posse videtur 961. esse, nisi ultra sit quod finiat, ut videatur 962. quo non longius haec sensus natura sequatur. 963. nunc extra summam quoniam nihil esse fatendum, 964. non habet extremum, caret ergo fine modoque.

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951. Ma, poiché ho insegnato che gli atomi sono solidissimi 952. e in perpetuo volteggiano, invitti attraverso ogni tempo, 953. ora investighiamo se la loro somma abbia o non abbia 954. alcun limite; e parimenti, il vuoto di cui abbiamo scoperto 955. l'esistenza, o luogo o spazio, in cui tutte le cose si svolgono, 956. scrutiamo se sia tutto assolutamente finito 957. oppure si apra immenso e smisuratamente profondo. 958. Tutto quanto esiste, dunque, non è limitato in alcuna 959. direzione; altrimenti dovrebbe avere un'estremità. 960. È evidente, d'altra parte, che niente può avere un'estremità, 961. se al di là non esiste qualche cosa che lo delimiti, sì che appaia 962. un punto oltre il quale questa natura di senso non possa più seguirlo. 963. Ora, poiché dobbiamo ammettere che niente c'è al di fuori del tutto, 964. questo non ha un'estremità: manca, dunque, di confine e di misura. 965. Né importa in quali sue regioni tu ti fermi; 966. perché sempre, qualsiasi luogo uno abbia occupato, 967. per ogni verso lascia altrettanto infinito il tutto.

I 1051 Non esiste alcun centro dell'universo. Confutazione della teoria stoica che imponeva all'universo un ordine gerarchico, un centro gravitazionale e una distribuzione a livelli delle diverse materie, più o meno pesanti.

1051. Perciò, ancora e ancora, è necessario che molti atomi affluiscano; 1052. e d'altronde, perché possano essere sufficienti gli stessi urti, 1053. da ogni parte abbisogna infinita quantità di materia. 1054. A tale proposito, tieniti lontano dal credere, o Memmio, 1055. a quello che dicono: che tutte le cose convergono verso il centro 1056. dell'universo, e che la natura del mondo resta salda senza sostegno 1057. di colpi dall'esterno, e l'alto e il basso non possono dissolversi 1058. da nessuna parte, per questo: perché tutte le cose premono verso il centro

I 1070 In quanto infinito l'universo non può avere un centro

1070. Infatti non può esserci un centro, ‹perché l'universo è› 1071. infinito. Né assolutamente, se pure ‹ci fosse un centro›, 1072. alcuna cosa potrebbe ivi star fissa ‹per questo,› 1073. anziché ‹essere›, in qualsiasi altro modo, ‹respinta› lontano. 1074. Infatti tutta l'estensione e lo spazio, che ‹chiamiamo vuoto›, 1075. per il centro come fuori dal centro, ‹deve› ugualmente lasciare 1076. il passo ai corpi pesanti, dovunque tendano i loro movimenti. 1077. Non c'è alcun luogo, ove i corpi, quando siano giunti, possano, 1078. perduta la forza del peso, restar fermi nel vuoto;

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II 89 L'universo infinito non ha un fondo e gli atomi su muovono in uno spazio senza confini. e senza sosta. Senso di vertigine cosmica.

89. et quo iactari magis omnia materiai 90. corpora pervideas, reminiscere totius imum 91. nil esse in summa, neque habere ubi corpora prima 92. consistant, quoniam spatium sine fine modoquest 93. inmensumque patere in cunctas undique partis 94. pluribus ostendi et certa ratione probatumst.

89. E, perché meglio tu discerna l'agitarsi di tutti i corpi 90. della materia, ricòrdati che in tutto l'universo 91. non c'è un fondo, né i corpi primi hanno un luogo 92. ove possano posare, poiché lo spazio è senza fine e misura, 93. e che immenso esso s'apra da ogni punto verso qualunque parte, 94. con parecchie parole ho mostrato e con sicuro ragionare è stato provato.

II 150 La vertigine del cosmo è rafforzata da una riflessione sulla velocità degli atomi nel vuoto che risulta maggiore di quella della luce del sole: mentre infatti questa è ostacolata dalla presenta di atomi, i singoli atomi si muovono liberi nel vuoto.

150. Eppure quel calore che il sole emette e la luce serena 151. non per lo spazio vuoto si diffondono; sì che son costretti 152. ad andare più lenti, mentre fendono, per così dire, le onde dell'aria. 153. Né separatamente si diffondono i singoli corpuscoli 154. di calore, ma intrecciati tra loro e conglobati; 155. perciò ad un tempo si trattengono tra loro e sono ostacolati 156. dall'esterno, sì che son costretti ad andare più lentamente. 157. Ma i primi principi, che sono di solida semplicità - 158. quando traversano lo spazio vuoto, e nessuna cosa li rallenta 159. dal di fuori, ed essi stessi, costituendo ciascuno, con le sue parti, un tutto unico, 160. nell'unico verso in cui cominciarono ad andare, procedono con lo stesso slancio 161. - 162. devono evidentemente primeggiare per velocità, 163. e muoversi molto più rapidamente che la luce del sole, 164. e correre per una distesa di spazio molto più grande, nello stesso 165. tempo in cui le folgoranti luci del sole si diffondono per il cielo.

II 308 330 Riflessione interessante. Mentre gli atomi sono in continuo movimento noi percepiamo la loro somma come immobile. Confronto con esempi noti, per esempio un gregge di pecore che da lontano pare fermo, oppure un esercito schierato. Interessante riflessione sulla distanza che gli atomi hanno dai nostri sensi.

312. omnis enim longe nostris ab sensibus infra 313. primorum natura iacet;

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308. Di questo non c'è, a tale proposito, da stupire: che, mentre 309. tutti i primi principi delle cose sono in movimento, 310. la loro somma tuttavia sembra starsene in somma quiete, 311. salvoché qualcosa si muova col proprio corpo. 312. Infatti la natura dei corpi primi sta tutta molto lontano 313. dai nostri sensi, al di sotto della loro portata: perciò poiché essi 314. non si posson discernere, anche i loro movimenti devon sottrarci; 315. tanto più che le cose che possiamo discernere, tuttavia spesso, 316. separate da noi per distanza di luoghi, celano i loro movimenti. 317. E certo spesso su un colle, brucando i pascoli in rigoglio, 318. lente si muovono le lanute pecore, ognuna dove la chiama 319. l'invito delle erbe ingemmate di fresca rugiada, 320. e sazi gli agnelli giocano e gaiamente cozzano; 321. ma tutto ciò a noi di lontano appare confuso 322. e come un biancore poggiato sul verde colle.

II 381 Vi sono gradazione di piccolezza nei corpuscoli, pur ammessa la loro indivisibilità. Per esempio i corpuscoli del fulmine sono più piccoli di quelli del fuoco, quelli della luce sono più piccoli di quelli dell'acqua.

381. È molto facile per noi spiegare col ragionamento 382. perché il fuoco del fulmine abbia un flusso molto 383. più penetrante di questo nostro, sorto da fiaccole terrestri. 384. Puoi dire infatti che il celeste fuoco del fulmine è più sottile 385. per la piccolezza dei suoi elementi, e perciò passa 386. attraverso forami per cui non può passare questo 387. nostro fuoco sorto dalle legna e prodotto dalla fiaccola. 388. Inoltre la luce passa attraverso il corno, ma la pioggia 389. è respinta. Per quale causa, se non perché quei corpi di luce sono 390. più piccoli di quelli di cui consta il liquido dell'acqua che dà vita?

II 826 Interessante problema del rapporto con i sensi. Gli atomi non hanno colore sapore, ecc. Ulteriore esempio del fatto che con i sensi non arriviamo a livello di tali particelle.

826. Che anzi, quanto più ogni cosa viene sminuzzolata 827. in parti minute, tanto più puoi vedere il colore 828. svanire a poco a poco ed estinguersi; 829. come avviene quando in piccole parti si lacera la porpora: 830. il colore purpureo e lo scarlatto, di gran lunga il più lucente, 831. quando è stato sminuzzolato a filo a filo, tutto si distrugge; 832. sì che di qui puoi conoscere che le particelle perdono 833. tutto il colore prima di ridursi allo stato di atomi.

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II 963 Riflessione complessa. Gli atomi non hanno sensazione perché la sensazione nasce dalla disposizione delle parti costitutive di chi sente: essendo gli atomi privi di parti non possono sentire alcunchè. Si confuta la teoria per cui la sensibilità sarebbe diffusa in tutti gli elementi costitutivi di un essere senziente, ma interessa anche uno sviluppo originale: se fosse così allora nei singoli atomi ci dovrebbe essere anche il desiderio di riflettere sulla propria composizione, in un processo che va all'infinito e che ancora una volta è da rifutare.

963. Inoltre, poiché c'è dolore quando i corpi della materia, 964. scossi da qualche forza per le viscere vive, per le membra, 965. si agitano disordinatamente nel profondo delle proprie sedi, 966. e, quando tornano a posto, nasce un carezzevole piacere, 967. è evidente che i primi principi non possono essere travagliati 968. da alcun dolore, né sentire in sé stessi alcun piacere; 969. giacché non sono composti di corpi di primi principi 970. dalla novità del cui moto possano essere travagliati 971. prendere qualche frutto di dolcezza vivificatrice. 972. Devono dunque essere privi di qualsiasi senso. 973. E se, perché possano tutti gli esseri viventi sentire, bisogna 974. in fin dei conti che il senso sia attribuito ai loro primi principi, 975. come saranno quelli di cui il genere umano è specificamente formato? 976. Senza dubbio essi sghignazzano, scossi da tremulo riso, 977. e di stillanti lagrime spargono i volti e le guance, 978. e sanno dire molte cose intorno alla mescolanza dei corpi 979. e, per di più, ricercano quali siano i loro primi principi; 980. giacché, simili a interi uomini mortali, 981. devono anch'essi constare di altri elementi, 982. e poi questi di altri, sì che mai tu osi fermarti: 983. infatti ti incalzerò, sì che, a qualunque cosa assegnerai il parlare e il ridere 984. e il ragionare, essa dovrà essere costituita di elementi che compiono 985. questi stessi atti. Ma se scorgiamo che ciò è delirio e follia, 986. e ridere può uno che non sia costituito di atomi ridenti, 987. e ragionare e con dotti detti spiegare le cose può uno 988. che non sia costituito di atomi sapienti ed eloquenti, 989. perché mai quegli esseri che vediamo dotati di senso non potrebbero 990. esser costituiti di mescolanze di atomi del tutto privi di senso?

II 1044 Partendo dall'idea che l'universo è infinito si afferma che esistono quindi infiniti mondi, non solo quello in cui ci troviamo a vivere. Si noti l'afflato lirico con cui ci si sofferma sul numero infinito di atomi e la vertigine cosmica con cui si contemplano infiniti altri mondi

1070. nunc et seminibus si tanta est copia, quantam 1071. enumerare aetas animantum non queat omnis, 1072. quis eadem natura manet, quae semina rerum 1073. conicere in loca quaeque queat simili ratione

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1074. atque huc sunt coniecta, necesse est confiteare 1075. esse alios aliis terrarum in partibus orbis 1076. et varias hominum gentis et saecla ferarum.

1044. E in verità, dato che l'intero spazio è infinito fuori dalle mura 1045. di questo mondo, l'animo cerca di comprendere cosa ci sia 1046. più oltre, fin dove la mente voglia protendere il suo sguardo, 1047. fin dove il libero slancio dell'animo da sé si avanzi a volo. 1048. In primo luogo, per noi da ogni punto verso qualunque 1049. parte, da entrambi i lati, ‹sopra› e sotto, per il tutto 1050. non c'è confine: come ho mostrato, e la cosa stessa di per sé 1051. a gran voce lo proclama, e la natura dello spazio senza fondo riluce. 1052. In nessun modo quindi si deve credere verosimile 1053. che, mentre per ogni verso si schiude vuoto lo spazio infinito 1054. e gli atomi volteggiano in numero innumerevole e in somma 1055. sterminata, in molti modi, stimolati da moto eterno, 1056. soltanto questa terra e questo cielo siano stati creati, 1057. e niente facciano là fuori quei tanti corpi di materia; 1058. tanto più che questo mondo è stato fatto dalla natura, e, da sé 1059. spontaneamente a caso urtandosi tra loro i semi della materia, 1060. dopo essersi accozzati in molti modi alla cieca, a vuoto, invano, 1061. alfine si unirono quelli che, combinati insieme d'un tratto, 1062. dovevano essere per sempre gli inizi di grandi cose, 1063. della terra, del mare e del cielo e delle specie viventi. 1064. Perciò, ancora e ancora, è necessario che tu ammetta 1065. che esistono in altri luoghi altri aggregati di materia, 1066. quale è questo che l'etere cinge di un avido abbraccio. 1067. Inoltre, quando molta materia è pronta, 1068. quando è disponibile lo spazio, né cosa, né causa si oppone, 1069. senza dubbio le cose devono svolgersi e prodursi. 1070. Ora, se c'è una quantità di atomi tanto grande, quanta 1071. l'intera vita degli esseri viventi non basterebbe a contare, 1072. ‹e› se permane la stessa forza ‹e› natura per combinare 1073. i semi delle cose nei vari luoghi in modo somigliante a quello 1074. in cui furono combinati qui, è necessario che tu ammetta 1075. che in altre parti dello spazio esistono altre terre 1076. e diverse razze di uomini e specie di fiere.

II 1084 Cielo mondo terra sono a loro volta infiniti. Lucrezio trae da questa affermazione la conferma sull'indipendenza della natura dagli dei che non sarebbero in grado di gestire contemporaneamente una infinità di mondi.

1090. Quae bene cognita si teneas, natura videtur 1091. libera continuo, dominis privata superbis, 1092. ipsa sua per se sponte omnia dis agere expers. 1093. nam pro sancta deum tranquilla pectora pace 1094. quae placidum degunt aevom vitamque serenam,

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1095. quis regere immensi summam, quis habere profundi 1096. indu manu validas potis est moderanter habenas,

1084. Allo stesso modo bisogna quindi ammettere che il cielo 1085. e la terra e il sole, la luna, il mare e tutte le altre cose esistenti, 1086. non sono unici, ma piuttosto in numero innumerabile; 1087. poiché un termine di vita profondamente fissato 1088. li attende, ed essi constano di un corpo che è nato, tanto quanto 1089. ogni sorta di cose che qui abbonda di individui della stessa specie. 1090. Se bene apprendi e tieni in mente questo, sùbito appare 1091. che la natura, libera, affrancata da padroni superbi, 1092. di per sé stessa spontaneamente compie tutto senza gli dèi. 1093. E in verità, per i santi petti degli dèi che in tranquilla pace 1094. trascorrono placido tempo e vita serena, 1095. chi potrebbe reggere la somma dell'immensità, chi tenere 1096. nella mano e padroneggiare le forti redini dell'infinito, 1097. chi insieme volgere intorno tutti i cieli, e coi fuochi 1098. dell'etere riscaldare tutte le terre feraci, 1099. e in tutti i luoghi e in ogni momento esser pronto 1100. ad addensare con le nuvole le tenebre e a scuotere col tuono 1101. i sereni spazi del cielo, poi scagliare i fulmini e spesso 1102. demolire i propri templi e, ritirandosi ‹nei› deserti, 1103. imperversare, agitando l'arma, che spesso risparmia 1104. i colpevoli e agli innocenti ingiustamente infligge morte?

III 177 L'animo è composto a sua volta di particelle minime. Essendo velocissimo il pensiero tali particelle devono essere estremamente minute e rotonde.

177. Is tibi nunc animus quali sit corpore et unde 178. constiterit pergam rationem reddere dictis. 179. principio esse aio persuptilem atque minutis 180. perquam corporibus factum constare. id ita esse 181. hinc licet advertas animum, ut pernoscere possis. 182. Nil adeo fieri celeri ratione videtur, 183. quam si mens fieri proponit et inchoat ipsa; 184. ocius ergo animus quam res se perciet ulla, 185. ante oculos quorum in promptu natura videtur. 186. at quod mobile tanto operest, constare rutundis 187. perquam seminibus debet perquamque minutis, 188. momine uti parvo possint inpulsa moveri.

177. Ora, di quale specie di materia sia quest'animo e come 178. sia costituito, proseguendo ti spiegherò con le mie parole. 179. In primo luogo dico che è molto sottile e risulta costituito 180. di corpuscoli estremamente minuti. Che sia così, 181. puoi intendere, se presti attenzione, da questo. 182. Nessuna cosa si vede avvenire con la celerità con la quale 183. la mente si raffigura che avvenga e le dà inizio essa stessa.

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184. L'animo, dunque, si muove più velocemente di tutte le cose 185. la cui natura appare manifesta innanzi ai nostri occhi. 186. Ma ciò che è tanto mobile, deve constare di semi 187. estremamente rotondi ed estremamente minuti, 188. sicché possano muoversi spinti da un piccolo impulso.

III 203 L'animo è composto di corpuscoli piccoli e rotondi. La loro dimensione e massa è irrisoria visto che nel momento della morte essi si disperdono ma al corpo non viene sottratto alcun peso.

203. Ora, dunque, poiché ‹si è› trovato che la natura dell'animo 204. è particolarmente mobile, essa deve constare di corpi 205. estremamente piccoli e lisci e rotondi. 206. E questa verità, da te conosciuta, in molte cose, o caro, 207. si dimostrerà utile e sarà riconosciuta opportuna. 208. Anche questo fatto indica del pari la natura dell'animo, 209. di quanto tenue tessitura esso sia costituito, e in quanto 210. piccolo luogo sarebbe contenuto, se potesse conglomerarsi: 211. appena l'imperturbata quiete della morte si è impadronita 212. dell'uomo, e la natura dell'animo e dell'anima se n'è staccata, 213. nulla potresti ivi discernere detratto da tutto il corpo, 214. né alla vista, né al peso: la morte lascia ogni cosa 215. al suo posto, tranne il senso vitale e il fervido calore. 216. Dunque tutta l'anima dev'essere composta di semi 217. piccolissimi, intrecciata per vene, viscere, nervi; 218. dato che, quando tutta è ormai andata via dall'intero corpo, 219. l'esterno contorno delle membra si conserva tuttavia 220. incolume, né al peso manca nulla. 221. Simile cosa avviene quando l'aroma di Bacco è svanito 222. quando un soave profumo d'unguento s'è disperso per l'aria 223. quando da qualche corpo s'è ormai dileguato il sapore; 224. in nulla tuttavia agli occhi la cosa stessa sembra divenuta 225. più piccola perciò, né alcunché sembra detratto dal suo peso; 226. evidentemente perché molti e minuti semi fanno 227. i sapori e l'odore nell'interno corpo delle cose. 228. Perciò, ancora e ancora, si può concludere che la natura 229. della mente e dell'anima è composta di semi estremamente 230. piccolini, perché fuggendo non porta via alcuna parte del peso.

III 375 Curiosa ma interessante digressione in cui si confuta la teoria di Democrito per cui atomi del corpo e atomi dell'anima sono uniformemente mescolati. Se così fosse sentiremmo anche i corpuscoli più piccoli come le particelle di polvere sulla pelle. Invece glia tomi dell'anima sono molto meno numerosi e più radi di quelli del corpo.

375. A questo proposito non potresti in alcun modo accogliere

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376. ciò che afferma l'opinione di Democrito, uomo venerabile, 377. secondo cui i primi principi del corpo e dell'animo, giustapposti 378. a uno a uno, si susseguono alternandosi e intrecciano le membra. 379. Giacché, come gli elementi dell'anima sono molto minori 380. di quelli dei quali constano il nostro corpo e le viscere, 381. così anche nel numero cedono, e radi sono disseminati 382. per le membra, sì che per lo meno puoi garantire questo: 383. quanto son grandi i minimi corpi che colpendoci 384. possono suscitare nel corpo i moti sensiferi, tanto 385. sono grandi gl'intervalli che separano gli atomi dell'anima. 386. Infatti talora non sentiamo l'aderire della polvere al corpo, 387. né il posarsi della creta scossa sulle membra, 388. né sentiamo la nebbia, né i tenui fili del ragno 389. che ci incontrano, quando, camminando, ne siamo irretiti, 390. né che sul capo esso ci ha lasciato cadere la sua vizza 391. spoglia, né le piume degli uccelli o i pappi volanti 392. che per troppa levità cadono per lo più tardamente, 393. né sentiamo l'andare di qualsiasi animaletto strisciante, 394. né una per una le orme delle zampe 395. che sul nostro corpo posano le zanzare e gli altri insetti. 396. A tal punto è vero che bisogna in noi stimolare molta materia 397. prima che gli atomi dell'anima, frammischiati ai nostri corpi 398. per le membra, comincino a sentire che gli atomi del corpo 399. sono stati scossi, e prima che, urtandosi in questi intervalli, 400. essi possano scontrarsi, unirsi e rimbalzare a vicenda.

III 425 Con una immagine e una similitudine legata proprio alla "vertigine del piccolo" Lucrezio introduce la prima prova della mortalità dell'anima: come corpuscoli sottili di dileguano attraverso corpi più grossolani (es. nebbia e fumo nell'aria) così è necessario che l'anima, composta da corpuscoli più sottili di aria e fumo si dissolva una volta uscita dagli atomi che costituiscono il corpo.

425. Anzitutto, poiché ho insegnato che l'anima sottile 426. consta di corpi minuti ed è fatta di primi principi 427. molto più piccoli che il liquido umore dell'acqua 428. la nebbia o il fumo - infatti li supera di gran lunga 429. in mobilità e da più tenue causa spinta si muove; 430. giacché per immagini di fumo e di nebbia si commuove: 431. come quando, assopiti nel sonno, vediamo gli altari 432. in alto esalare vapore e diffondere fumo; 433. infatti senza dubbio questi sono simulacri che giungono a noi - 434. ora dunque, poiché da vasi fracassati vedi 435. l'acqua fluir via d'ogni parte e il liquido dileguarsi, 436. e poiché nebbia e fumo si dileguano nell'aria, devi credere 437. che anche l'anima si diffonde e molto più velocemente 438. perisce e più rapidamente si dissolve ‹nei› corpi primi,

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439. una volta che, strappata dalle membra dell'uomo, s'è allontanata

IV 110 Forse l'immagine più bella e più nota in relazione alla vertigine del piccolo (sta parlando di quanto sono minuti gli atomi che costituiscono i simulacri, ma segue ampia lacuna del testo…). Invita il lettore a valutare quanto siano piccoli i principi primi e per far questo utilizza delle esperienze abituali, per esempio partendo da animali minuscoli e immaginando di segmentarli in parti, attirando l'attenzione sui loro organi interni non percepibili dai nostri sensi.

110. Nunc age, quam tenui natura constet imago 111. percipe. et in primis, quoniam primordia tantum 112. sunt infra nostros sensus tantoque minora 113. quam quae primum oculi coeptant non posse tueri, 114. nunc tamen id quoque uti confirmem, exordia rerum 115. cunctarum quam sint subtilia percipe paucis. 116. primum animalia sunt iam partim tantula, corum 117. tertia pars nulla possit ratione videri. 118. horum intestinum quodvis quale esse putandumst! 119. quid cordis globus aut oculi? quid membra? quid artus? 120. quantula sunt! quid praeterea primordia quaeque, 121. unde anima atque animi constet natura necessumst, 122. nonne vides quam sint subtilia quamque minuta? 123. praeterea quaecumque suo de corpore odorem 124. expirant acrem, panaces absinthia taetra 125. habrotonique graves et tristia centaurea, 126. quorum unum quidvis leviter si forte duobus

110. E ora apprendi di che tenue natura consti l'immagine. 111. E in primo luogo, considera quanto i primi principi 112. sono al di sotto dei nostri sensi e quanto più piccoli delle cose 113. che gli occhi primamente cominciano a non potere più scorgere. 114. Ora, tuttavia, affinché io ti confermi anche questo, apprendi 115. in poche parole quanto siano sottili i principi di tutte le cose. 116. Anzitutto, già ci sono alcuni animali talmente piccoli 117. che una terza parte di loro non si può in alcun modo vedere. 118. Un viscere qualunque di questi, come si deve credere che sia? 119. E il globo del cuore o dell'occhio? E le membra? E gli arti? 120. Quanto son piccini? Che dire poi di ciascuno dei primi principi 121. di cui deve constare la loro anima e la natura dell'animo? 122. Non vedi forse quanto siano sottili e quanto minuti?

IV 404 ss Parlando di illusioni ottiche introduce poeticamente quella che potremmo chiamare la "vertigine dell'infinitamente grande". Si immagini il sorgere del sole, quando esso è sopra i monti e sembra toccarli. eppure essi distano da noi un tratto limitato e paiono lontanissimi: fra loro e il solo si estendono spazi enormi, nemmeno commisurabili a quanto i monti distano da noi. Interessante il contesto: parlando di illusioni ottiche si allude a come nella percezione delle distanze noi esseri umani siamo in difficoltà a

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percepire misure così divergenti, a valutare in sé l'idea di infinitamente grande (figurarsi poi l'idea di infinito).

404. E ancora, quando la natura comincia a levare in alto il rosso fulgore 405. del sole coi suoi tremuli fuochi e a innalzarlo sopra i monti, 406. quei monti, sopra i quali a te allora sembra stia il sole, 407. toccandoli esso stesso da vicino, ardente, col suo fuoco, 408. distano da noi appena duemila tiri di freccia, 409. anzi spesso appena cinquecento lanci di giavellotto: 410. tra essi e il sole giacciono le smisurate distese del mare, 411. che si estendono sotto le immense plaghe eteree, 412. e sono interposte molte migliaia di terre, 413. in cui dimorano varie genti e razze di fiere. 414. Ma una pozzanghera d'acqua non più profonda d'un dito, 415. che tra le pietre stagna per le vie lastricate, 416. offre una vista che tanto a fondo sotterra s'inabissa 417. quanto la profonda voragine del cielo si stende su dalla terra; 418. sì che ti pare di vedere laggiù le nuvole e scorgere il cielo, 419. corpi mirabilmente immersi sotterra nel cielo.

IV 478 Passo breve ma molto noto in cui Lucrezio ribadisce la fiducia nei sensi come unico criterio capace di fornire percezioni vere della realtà. Se vi sono illusioni, errori, questi appartengono alla fase successiva della percezione, ovvero alla valutazione che l'animo fa di tali percezioni.

478. Quale cosa ha prodotto il concetto di vero e di falso, 479. e quale cosa ha provato che l'incerto differisce dal certo? 480. Troverai che il concetto di vero è stato prodotto primamente 481. dai sensi e che i sensi non possono essere contraddetti.

IV 722 Nella scala dell'infinitamente piccolo forse l'ultimo livello è costituito dai simulacri che arrivano alla mente, dai sogni, ecc. Sono composti di atomi ancora più piccoli di quelli che compongono gli eidola visto che attraversano il nostro corpo e arrivano direttamente al nostro animo scavalcando la percezione sensoriale. Il pensiero stesso, in definitiva, è composto di atomi, assolutamente minuti.

722. Ora ascolta, suvvia, quali cose muovano l'animo e apprendi 723. in poche parole donde vengano le cose che vengono nella mente. 724. Anzitutto questo io dico, che molti simulacri di cose 725. in molti modi vagano da ogni parte in tutte le direzioni, 726. e son sottili, e facilmente si congiungono tra loro nell'aria, 727. quando s'incontrano, come ragnatele e foglie d'oro. 728. E infatti questi simulacri sono di tessuto molto più sottile, 729. in confronto a quelli che occupano gli occhi e provocano il vedere, 730. poiché questi penetrano per i pori del corpo e dentro destano

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731. la sottile natura dell'animo e ne provocano la sensibilità. 732. E così vediamo Centauri e membra di Scille

V 416 Immagine vigorosa in cui Lucrezio narra l'origine del mondo. Ovvi gli antecedenti esiodei ma qui non vi è alcuna mitologia, anzi, si precisa fin dall'inizio che gli atomi dal caos iniziale (coniectus materiai) diedro vita alle cose senza alcun progetto esterno, ma per casuali tentativi di aggregazione dovuta agli urti. Si noti nel passo la distinzione utile fra universo, che come si è visto è infinito e il nostro mondo, delimitato, replicato più volte all'infinito (lunamque efficerent et magni moenia mundi).

416. Ma ora esporrò con ordine in quali modi quell'ammasso 417. di materia abbia costituito le fondamenta della terra e del cielo 418. e delle profondità marine, i corsi del sole e della luna. 419. Ché certo non secondo un deliberato proposito i primi elementi 420. delle cose si collocarono ciascuno al suo posto con mente sagace, 421. né in verità pattuirono quali moti dovesse produrre ciascuno, 422. ma, poiché molti primi elementi delle cose, in molti modi, 423. da tempo infinito fino ad ora stimolati dagli urti 424. e tratti dal proprio peso, sono soliti muoversi e vagare 425. e in ogni modo congiungersi e provare tutto 426. quanto possano produrre aggregandosi tra loro, 427. per questo avviene che, dopo aver vagato per gran tempo, 428. sperimentando ogni genere di aggregazioni e di moti, 429. alfine si incontrano quelli che, messi insieme d'un tratto, 430. diventano spesso inizi di grandi cose, 431. della terra, del mare e del cielo e delle specie viventi. 432. In tale situazione, non si poteva allora vedere il disco 433. del sole, volante nell'alto con la sua luce copiosa, né gli astri 434. del vasto firmamento, né mare, né cielo, e neppure terra, né aria, 435. né alcuna cosa simile alle nostre cose si poteva scorgere, 436. ma una specie di tempesta sorta di recente e un ammasso 437. composto di atomi d'ogni genere, la cui discordia perturbava 438. gl'intervalli, le vie, le connessioni, i pesi, gli urti, 439. gl'incontri, i movimenti, in un arder di battaglie, 440. perché, per le forme dissimili e le varie figure, 441. non potevano tutti così rimanere congiunti, 442. né produrre tra loro movimenti concordanti. 443. Indi parti diverse cominciarono a fuggire in varie direzioni, 444. e le cose simili a congiungersi con le simili, e segnare 445. i confini del mondo e dividerne le membra e disporre 446. le grandi parti, cioè distinguere dalle terre l'alto cielo, 447. e far sì che in disparte con distinte acque si stendesse il mare, 448. in disparte anche i fuochi dell'etere puri e distinti. 449. E, invero, dapprincipio i vari corpi di terra, 450. poiché erano pesanti e aggrovigliati, s'adunavano 451. nel mezzo e occupavano tutti le regioni più basse;

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452. e, quanto più aggrovigliati tra loro s'adunavano, 453. tanto più spremevano fuori i corpi che dovevano produrre 454. il mare, gli astri, il sole e la luna e le mura del vasto mondo.

V 550 Interessante passo in cui ancora una volta si accostano microcosmo macrocosmo, immagini cosmiche ed esperienza terrena quotidiana. Si sta parlando dell'intima connessione fra terra e cielo per cui la terra non è un corpo giunto da fuori ma è nato dalla separazione di elementi diversi presenti in loco: la terra poggia sull'etere come il nostro corpo è retto dall'anima.

550. Inoltre, scossa d'un tratto da un gran tuono, 551. la terra col suo moto scuote tutto quanto le sta sopra; 552. ciò non potrebbe essa fare in alcun modo, se non fosse 553. connessa con le parti aeree del mondo e col cielo. 554. In effetti mediante comuni radici aderiscono tra loro, 555. dall'inizio dell'esistenza congiunti e strettamente uniti. 556. Non vedi anche come il nostro corpo è sostenuto, 557. benché molto pesante, dalla sottilissima forza dell'anima, 558. perché essa gli è tanto congiunta e strettamente unita? 559. E infine, che cosa può sollevare il corpo con agile balzo, 560. se non la forza dell'anima che governa le membra? 561. Non vedi oramai quanto possa essere grande la forza 562. d'una natura sottile, quando è unita a un corpo pesante, 563. come l'aria è unita alla terra e la forza dell'animo a noi?

V 597 Ancora un esempio di come la visione cosmica davvero vertiginosa sia comprensibile solo accostando esperienze terrene consuete. Perché dal sole viene emessa una tale quantità di luce? Una possibilità è che da questa apertura promani una quantità di atomi luminosi che proviene da tutto il mondo circostante. Per capire questa immagine grandiosa si pensi ad una piccola sorgente che è in grado di inondare d'acqua tutti i prati circostanti. Ancora una volta il consueto procedimento per cui vale la pena di citare il Virgilio della prima ecloga secondo cui appunto parvis componere magna solebam

597. Può darsi infatti che in tutto il mondo s'apra di qui l'unica fonte 598. che faccia scaturire con flusso abbondante e prorompere la luce, 599. perché da ogni parte del mondo in tal modo gli elementi ignei 600. si raccolgono e in tal modo il loro ammasso 601. confluisce che l'ardore sgorga qui da un'unica sorgente. 602. Non vedi anche quanto ampiamente una piccola fonte 603. d'acqua talora inondi i prati e trabocchi sulla pianura?

V 1203 Bel passo in cui si concentrano alcune delle immagini lucreziane più note. Intanto la necessità di contemplare le cose con mente tranquilla del verso 1203 sed mage pacata posse omnia mente tueri. Ma quello che qui ci interessa è il fatto che senza la

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scienza, ignorando le cause delle cose proprio dalla contemplazione dell'infinitamente grande (cum suspicimus magni caelestia mundi / templa super stellisque micantibus aethera fixum) può derivare in noi la paura degli dei, quella superstizione che annichilisce gli uomini e che è il bersaglio contro cui Lucrezio combatte fin dal proemio del I libro.

1203. sed mage pacata posse omnia mente tueri. 1204. nam cum suspicimus magni caelestia mundi 1205. templa super stellisque micantibus aethera fixum, 1206. et venit in mentem solis lunaeque viarum, 1207. tunc aliis oppressa malis in pectora cura 1208. illa quoque expergefactum caput erigere infit, 1209. ne quae forte deum nobis inmensa potestas 1210. sit, vario motu quae candida sidera verset; 1211. temptat enim dubiam mentem rationis egestas, 1212. ecquae nam fuerit mundi genitalis origo, 1213. et simul ecquae sit finis, quoad moenia mundi 1214. et taciti motus hunc possint ferre laborem, 1215. an divinitus aeterna donata salute 1216. perpetuo possint aevi labentia tractu 1217. inmensi validas aevi contemnere viris.

1203. ma piuttosto il poter contemplare ogni cosa con mente tranquilla. 1204. Difatti, quando leviamo lo sguardo alle celesti plaghe 1205. del vasto mondo, lassù, e all'etere trapunto di stelle fulgenti, 1206. e il pensiero si volge ai corsi del sole e della luna, 1207. allora, contro i petti oppressi da altri mali comincia 1208. a ergere il capo ridesto anche quell'angoscioso pensiero, 1209. che non ci sia per caso su di noi un immenso potere di dèi, 1210. che con vario movimento volga gli astri splendenti. 1211. Ignorando le cause, infatti, la mente è assillata dal dubbio 1212. se mai ci sia stata un'origine primigenia del mondo 1213. e, insieme, se ci sia un termine fino al quale le mura del mondo 1214. possano sopportare questo travaglio di moto affannoso,

VI 485 Parlando della formazione delle nuvole e del perché il mare non decresca Lucrezio ha modo di fermarsi ancora una volta sull'estensione infinita dell'universo. Le nuveole possono nascere all'improvviso perché da fuori possono derivare infiniti atomi, da uno spazio a sua volta infinito. Dal punto di vista lessicale si osservi il ricorre di termini come innumerabilem, infinitam, immemorabile, a dire ancora una volta la povertà non tanto della lingua latina (patrii sermonis egestas di I 832 ecc.), ma della lingua umana tout court.

485. innumerabilem enim numerum summamque profundi 486. esse infinitam docui, quantaque volarent 487. corpora mobilitate ostendi quamque repente 488. immemorabile [per] spatium transire solerent.

483. Avviene anche che in questo cielo vengano dall'esterno 484. quei corpi che fanno le nuvole e i nembi volanti.

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485. Difatti ho insegnato che il loro numero è innumerevole 486. e che lo spazio in tutto il suo estendersi è infinito; 487. e ho mostrato con quanta velocità volino i corpi, e come ratti 488. sogliano passare ‹attraverso› uno spazio indicibile. 489. Non fa dunque meraviglia se spesso in breve tempo 490. la tempesta e le tenebre coprono con sì grandi nembi 491. mari e terre incombendo dall'alto, 492. giacché dappertutto, per tutti i meati dell'etere 493. e, per così dire, per gli spiragli dell'ampio mondo intorno, 494. agli elementi sono state concesse l'uscita e l'entrata.

VI 647 Ancora un passo in cui la lucidità del pensiero lucreziano emerge con forza straordinaria. L'uomo comune si stupisce pensando all'infinitamente grande ma Lucrezio lo invita a confrontare la situazione con l'esperienza quotidiana in cui ci stupiamo davanti a cose nuove appena più grandi di quelle a cui siamo abituati. Per contemplare l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo occorre abitudine. Il mondo rispetto all'infinito è di gran lunga minore di quanto un solo uomo rispetto al mondo intero (tamen omnia cum caelo terraque marique / nil sint ad summam summai totius omnem).

647. Hisce tibi in rebus latest alteque videndum 648. et longe cunctas in partis dispiciendum, 649. ut reminiscaris summam rerum esse profundam 650. et videas caelum summai totius unum 651. quam sit parvula pars et quam multesima constet 652. nec tota pars, homo terrai quota totius unus. 653. quod bene propositum si plane contueare 654. ac videas plane, mirari multa relinquas. 655. numquis enim nostrum miratur, siquis in artus 656. accepit calido febrim fervore coortam 657. aut alium quemvis morbi per membra dolorem? 658. opturgescit enim subito pes, arripit acer 659. saepe dolor dentes, oculos invadit in ipsos, 660. existit sacer ignis et urit corpore serpens 661. quam cumque arripuit partem repitque per artus, 662. ni mirum quia sunt multarum semina rerum 663. et satis haec tellus morbi caelumque mali fert, 664. unde queat vis immensi procrescere morbi. 665. sic igitur toti caelo terraeque putandumst 666. ex infinito satis omnia suppeditare, 667. unde repente queat tellus concussa moveri 668. perque mare ac terras rapidus percurrere turbo, 669. ignis abundare Aetnaeus, flammescere caelum; 670. id quoque enim fit et ardescunt caelestia templa 671. et tempestates pluviae graviore coortu 672. sunt, ubi forte ita se tetulerunt semina aquarum. 673. 'at nimis est ingens incendi turbidus ardor.' 674. scilicet et fluvius qui visus maximus ei, 675. qui non ante aliquem maiorem vidit, et ingens 676. arbor homoque videtur et omnia de genere omni 677. maxima quae vidit quisque, haec ingentia fingit,

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678. cum tamen omnia cum caelo terraque marique 679. nil sint ad summam summai totius omnem.

647. In queste cose è necessario che tu veda largo e a fondo 648. e che scruti lontano in tutte le direzioni, 649. perché ti rammenti che la somma delle cose è infinita 650. e veda come dell'intera somma un solo cielo 651. sia una piccola parte e risulti una minima frazione, 652. né sia tanta parte quanta di tutta la terra è un uomo solo. 653. Se ti poni ciò bene davanti alla mente e chiaramente l'osservi 654. e lo vedi chiaramente, di molte cose cesserai di meravigliarti. 655. Forse alcuno di noi, infatti, si meraviglia se qualcuno 656. ha contratto nelle membra una febbre insorta con calore 657. ardente o un'altra qualunque dolorosa malattia nel corpo? 658. Si gonfia infatti d'improvviso un piede, un acuto dolore 659. sovente assale i denti, attacca persino gli occhi, 660. il fuoco sacro scoppia e serpeggiando nel corpo brucia 661. ogni parte che ha assalita, e s'insinua attraverso le membra, 662. certo perché esistono semi di molte cose, 663. e questa terra e il cielo producono a sufficienza morbi e mali 664. perché ne possa crescere la violenza d'una malattia immensa. 665. Così dunque si deve credere che all'intero cielo e alla terra 666. dall'infinito sia fornita ogni cosa a sufficienza 667. perché possa la terra d'un tratto scossa agitarsi 668. e per il mare e le terre trascorrere un travolgente turbine, 669. traboccare il fuoco dell'Etna, fiammeggiare il cielo. 670. Anche ciò infatti avviene, e s'accendono le regioni celesti, 671. e tempeste di pioggia scoppiano con maggiore violenza, 672. quando per caso si sono raccolti così i semi delle acque. 673. "Ma troppo è enorme il tempestoso ardore di questo incendio". 674. S'intende; e così è anche per il fiume che appare il più grande 675. a colui che non ne ha visto prima uno più grande; così sembra 676. enorme un albero o un uomo; e tutte le cose 677. che in ogni genere ciascuno ha viste più grandi, se le immagina 678. enormi, mentre tutte, insieme con il cielo e la terra e il mare, 679. sono nulla rispetto all'intera somma della somma universale.