Antigone Articoli

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Così Sofocle contestò la maggioranza iniqua Quando la conta dei voti sancisce un abuso Può sembrare semplificatoria l' osservazione, spesso ripetuta, secondo cui «quando parliamo dei Greci, allo stesso tempo parliamo dell' oggi». Non è retorica. Poche epoche del passato si presentano a noi con una tale maturità di pensiero (filosofico, etico, giudirico, politico), con una tale avanzatissima elaborazione stilistica e tecnica dell' oratoria pubblica, per non parlare di altri aspetti sconcertanti quali la perfezione dell' esametro omerico. Al centro dell' attività artistica destinata alle masse, praticata ad Atene con il sostegno dello Stato, c' è il teatro. Ed è lì che il pubblico vedeva - attraverso il filtro delle trame relative a figure più o meno mitiche - scontrarsi idee, concezioni della vita, della morte, del destino dell' uomo, del vivere sociale, della politica. Davide Susanetti ha appena pubblicato un volume sui sette drammi superstiti della vastissima produzione drammaturgica di Sofocle, il «beniamino» (si usa dire) del pubblico ateniese. (E per «pubblico», non dimentichiamolo, bisogna intendere migliaia e migliaia di persone,

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Così Sofocle contestò la maggioranza iniqua

Quando la conta dei voti sancisce un abuso

Può sembrare semplificatoria l' osservazione, spesso ripetuta, secondo cui «quando parliamo dei

Greci, allo stesso tempo parliamo dell' oggi». Non è retorica. Poche epoche del passato si

presentano a noi con una tale maturità di pensiero (filosofico, etico, giudirico, politico), con una

tale avanzatissima elaborazione stilistica e tecnica dell' oratoria pubblica, per non parlare di altri

aspetti sconcertanti quali la perfezione dell' esametro omerico. Al centro dell' attività artistica

destinata alle masse, praticata ad Atene con il sostegno dello Stato, c' è il teatro. Ed è lì che il

pubblico vedeva - attraverso il filtro delle trame relative a figure più o meno mitiche -

scontrarsi idee, concezioni della vita, della morte, del destino dell' uomo, del vivere

sociale, della politica. Davide Susanetti ha appena pubblicato un volume sui sette drammi

superstiti della vastissima produzione drammaturgica di Sofocle, il «beniamino» (si usa dire) del

pubblico ateniese. (E per «pubblico», non dimentichiamolo, bisogna intendere migliaia e migliaia

di persone, più numerose spesso di quello dell' assemblea popolare). Il titolo può sembrare

troppo duro ma è, in fondo, appropriato: Catastrofi politiche (Carocci, pp. 236, 18). Qui

«politicità» è intesa nel senso più ampio, come è chiaro dal sottotitolo (Sofocle e la tragedia del

vivere insieme). E del resto in senso ampio va intesa la stessa parola greca politeia, che,

soprattutto nel V secolo a.C., indicava non soltanto il «sistema politico», ma anche lo stile della

conduzione politica della città: non soltanto, per dirla coi giuristi, la costituzione scritta e gli

ordinamenti, ma anche la «costituzione materiale». Del mutamento che convive con la

tendenziale fissità degli ordinamenti si occupa un altro libro appena pubblicato, dovuto ad un

nostro notevole storico, Giorgio Camassa: Scrittura e mutamento delle leggi nel mondo antico (L'

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Erma di Bretschneider, pp. 202, 80). Da storico formatosi - tra l' altro - alla scuola di Giovanni

Pugliese Carratelli, Camassa affronta non solo il mondo greco e romano, ma anche quello

«orientale», dalla Mesopotamia all' Israele biblico. Ma certamente il cuore dell' autore batte

soprattutto in Grecia. Ed è importante l' attenzione che egli ha dedicato, nel finale, alla riflessione

teorica antica sul «mutamento delle leggi», che è quanto dire il modo in cui la costituzione

materiale, consolidandosi, diviene col tempo, a sua volta, nuova costituzione formale o codificata.

È quel processo descritto in modo geniale da Platone, nelle Leggi, là dove parla del «mutamento»

come del «legame» (desmós) tra la costituzione esistente e quella che si viene formando, per l'

appunto nel mutamento. Il tema è peraltro strettamente legato alla distinzione, vivissima

nella riflessione filosofica-giuridica greca, tra legge scritta e legge non scritta la cui

violazione - dice Pericle nell' «epitafio» - reca «vergogna universalmente riconosciuta».

Una formula precorritrice, che storicamente ha condotto all' intuizione di un diritto

«naturale»: fondamento etico profondo dell' agire morale, svincolato dalle singole

confessioni o precettistiche religiose. Questo è un tema, come ben si sa, particolarmente

sofocleo, legato alla figura e alla «disobbedienza civile» di Antigone nell' omonima tragedia.

Susanetti studia, nel suo volume, questa tragedia soprattutto dal punto di vista del potere

(«Rovine e miraggi della sovranità» è il titolo di questo capitolo), e propone una lettura

innovativa della vicenda: «Anche la norma posta da Creonte (il «tiranno», l' antagonista di

Antigone) è orale tanto quanto le leggi degli dei. Il richiamo alle norme che vivono da sempre è

semmai una mossa retorica di delegittimazione di un Creonte che si è appena insediato al

governo». Ma è forse sull' Aiace che l' autore porta il miglior contributo. Egli dedica attenzione

soprattutto alla parte finale della tragedia, quella in cui si svolge un serrato scontro dialettico tra

Teucro, fratello di Aiace, che pretende sepoltura per l' eroe suicida, e la coppia Agamennone-

Menelao, che tale sepoltura intende impedire in ragione della colpa (il massacro delle greggi) di

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cui Aiace si è macchiato. Il paragrafo s' intitola «Voti truccati e principio di maggioranza».

Infatti al centro della serrata disputa che Sofocle mette in scena viene appunto affrontata

la questione delle questioni: la fondatezza o meno del principio di maggioranza. Aiace era

stato soccombente: una «maggioranza» aveva decretato che le armi di Achille toccassero a

Odisseo, non ad Aiace. Contro questo verdetto - nella sostanza iniquo ma nella forma

ineccepibile se si assume il principio di maggioranza come risolutivo e irresistibile - Aiace

è insorto. Ma la dea sua persecutrice, Atena, lo ha reso folle ed egli ha infierito nottetempo sugli

armenti, non sugli Achei addormentati nelle loro tende. «Chi è stato sconfitto in base al criterio di

maggioranza non ha diritto ad alcuna rivendicazione. Deve sottomettersi». Questo pretendono

due figure «negative» del dramma, gli Atridi. E la risoluzione del dramma viene dalla

lungimirante intelligenza di Odisseo, che comunque favorisce la sepoltura del rivale suicida,

meritandosi parole di dissenso da parte degli Atridi. Sofocle, che peraltro, da probulo, aveva

agevolato la nascita dell' oligarchia nell' anno 411, ha posto sotto gli occhi del pubblico l'

angoscioso problema in termini lucidi e dilemmatici. La «maggioranza» non ha

necessariamente ragione. Anche se costituisce (o dovrebbe costituire) uno strumento del

convivere civile, il principio di maggioranza - come bene spiegò Edoardo Ruffini in un

fondamentale libretto ristampato da Adelphi negli anni Settanta - non ha alcun fondamento né

logico né razionale. RIPRODUZIONE RISERVATA

Canfora Luciano

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Se Prometeo indica il futuro

La tragedia di Eschilo tradotta e riletta da Edoardo Boncinelli Il tema Sofocle lo

reinterpretò in modo problematico: per lui la «techne» può prendere la via del

bene o quella del male, dipende dall' uomo

P rometeo, figlio del Titano Giapeto, apparteneva a una stirpe divina. Ma amava

molto gli esseri umani, ai quali un giorno, dopo averlo rubato agli dèi, fece dono

del fuoco: lo strumento che consentì loro di intraprendere la strada del

progresso, accorciando la distanza che li separava dagli immortali. Per punirlo,

Zeus lo fece incatenare a una roccia agli estremi confini del mondo,

immobilizzato da catene di ferro che lo serravano agli arti e al torace,

condannato a subire atroci, infiniti tormenti. Così il Titano ribelle veniva

rappresentato sulla scena ateniese. Così venne rappresentato, più precisamente,

quando Eschilo, attorno al 470 a.C., mise sulla scena il Prometeo incatenato

(parte di una trilogia per il resto andata perduta, che comprendeva,

rispettivamente prima e dopo quello «incatenato», un Prometeo portatore di

fuoco e un Prometeo liberato). Dei dubbi sulla autenticità della tragedia non

parleremo, non solo perché questione filologica impossibile da affrontare in

questa sede, ma anche e soprattutto perché quel che qui interessa, oggi, è

soprattutto il contenuto dell' opera. Rispettando la regola della «distanza

tragica», secondo la quale quel che veniva portato sulla scena doveva distaccarsi

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dalla particolarità, dalla specificità del presente, la storia di Prometeo induceva

gli ateniesi a riflettere su un tema molto importante nella Atene che, nel V secolo

a.C., aveva raggiunto il massimo del suo splendore: l' incivilimento del genere

umano e le conquiste del progresso, di cui gli ateniesi andavano giustamente

fieri. E che oggi, a distanza di duemilacinquecento anni, è importante come forse

non è stato mai. In una bella prefazione alla nuova traduzione di Edoardo

Boncinelli, (Eschilo, Prometeo incatenato. L' uomo dal mito alla vita artificiale,

Editrice San Raffaele, pp. 118 euro 14), Luca Ronconi (al quale si deve una

splendida messa in scena del Prometeo nel teatro greco di Siracusa, nel 2002, e

successivamente al Piccolo Teatro di Milano) osserva, giustamente, che «un filo

percorre tutta la tragedia: che cosa accadrà domani»? E prosegue: «Se mai un'

epoca si è chiesta cosa accadrà domani, questa è la nostra. Senza per ciò cercare

in questa o in altre opere del passato un rapporto diretto. Sarebbe chiudere gli

occhi sulla nostra contemporaneità. No, dobbiamo guardare ai grandi testi del

passato come alla luce di stelle che non ci sono più. Quello che conta è l' energia

originaria. Questo il loro fascino. La sola attualità è nei nostri occhi di lettori

critici». E come tali appunto, sulla scorta delle parole di Ronconi, eccoci dunque

a rileggere la storia del figlio di Giapeto. Personaggio ambiguo, astuto,

preveggente (come dice il suo nome «colui che sa, che vede prima») Prometeo, lo

abbiamo detto, era amico dei mortali che aveva difeso a cominciare dal momento

in cui Zeus, conquistato il potere, aveva preso a distribuire doni e prerogative a

tutti, senza tenere alcun conto della stirpe degli umani, che voleva addirittura

sterminare mandandoli nell' Ade, per sostituirli con una nuova stirpe. Donando

loro il fuoco, Prometeo non li aveva solo salvati dalla distruzione, aveva

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consentito loro di intraprendere il camino della civiltà: prima, essi «non

conoscevano case di mattoni alla luce del sole, abitavano invece come minute

formiche nei recessi oscuri delle caverne»; non conoscevano l' agricoltura, né le

stelle, né i numeri e i segni dell' alfabeto; non sapevano aggiogare gli animali

selvatici, interpretare i sogni, solcare i mari con le navi. Non conoscevano la

medicina, non sapevano come contrastare le malattie... È Prometeo stesso a fare

l' elenco delle benemerenze conquistate nei confronti dell' umanità, che si

conclude con una orgogliosa rivendicazione: «Tutte le arti (technai) dei mortali

vengono da Prometeo» (vv. 442-471; 476-506). A dimostrare l' importanza del

tema, nella Atene dell' epoca, sta il suo ritorno, di lì a poco, nello splendido,

primo stasimo dell' Antigone di Sofocle (vv.332-375). Ma attenzione: anche se

erano passati meno di trent' anni (Antigone andò in scena nel 442 a.C.), la

prospettiva di Sofocle era diversa. In Eschilo, Prometeo è un eroe

benefattore senza ombre. La visione eschilea del progresso è

fondamentalmente ottimistica, alle origini di esso il poeta riconosce il

dono di un dio: un ribelle, certo, ma pur sempre un dio. In Sofocle,

invece, il rapporto tra l' essere umano e il progresso è visto in termini

problematici: l' umanità ha trovato rimedio a tutto, tranne che alla

morte, e «possiede, oltre ogni speranza, l' inventiva della techne, che è

saggezza». Ma può prendere sia la via del bene, sia quella del male, può

rivolgere la techne in due direzioni: può farne un uso giusto, ma se il suo

coraggio diventa arroganza può farne un cattivo uso (vv.364-371). La

civiltà e il progresso sono il frutto dell' ingegno umano. L' uomo, «la più

mirabile tra quante cose mirabili esistono» (vv.333-363) guarda con

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orgoglio alle sue conquiste: ma sa che queste tengono in sé un pericolo.

Il valore morale del progresso dipende dall' uso che l' essere umano ne

fa. Il dio è scomparso. È un' etica laica, quella che Sofocle esorta i suoi

concittadini a discutere, con questi versi. Un' etica che pone l' uomo

davanti alla sua responsabilità. Non è un caso, certamente, che a proporci

questa nuova, bella traduzione della storia di Prometeo sia uno scienziato (oltre

che appassionato grecista) come Edoardo Boncinelli. RIPRODUZIONE

RISERVATA **** Protagonisti In alto, Edoardo Boncinelli. Sopra, una scena del

«Prometeo incatenato» messo in scena da Luca Ronconi al Teatro greco di

Siracusa foto Omega / Ragonese

Cantarella Eva

LA CULTURA NON È COMMESTIBILE TAGLI ALLA CULTURA

IL TEATRO DELLA VITA

Il teatro della vita (e della politica)

Fa una certa impressione, e non solo agli appassionati, pensare che, anche solo

per un giorno, in tutta l' Italia il teatro taccia, sia chiuso. Non è solo una

preoccupazione culturale in senso stretto; quei palcoscenici - grandi o piccoli,

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sacri templi dello spettacolo o ardite e fugaci messinscene di gruppi avventurosi,

opere classiche o provocatoriamente dissacranti - fanno parte del paesaggio d'

Italia, del paesaggio della nostra vita. Attori o cantanti che entrano o escono

dalla scena, parole immortali o amabili battute scacciapensieri che vivono sul

palcoscenico e restano nell' aria, sono - anche a prescindere dalla grandezza di

alcuni capolavori - uno sfondo della nostra esistenza come il mare o la collina

della città natale. Anche quando non si va a teatro o al cinema, fa piacere sapere

che comunque ci sono. Naturalmente si può benissimo vivere anche senza teatro

e ci sono beni immediatamente più necessari e indispensabili, dal pane alle cure

mediche. Il teatro sciopera per protesta contro i tagli ai finanziamenti senza i

quali non può sopravvivere. Non ho alcuna competenza per valutare se e fino a

qual punto quei tagli siano inevitabili, in che misura potrebbero essere mitigati,

con quale giustizia o ingiustizia colpiscano l' una o l' altra istituzione, quali altri

spese invece inutili potrebbero essere limitate a beneficio del teatro e dello

spettacolo in generale. Spesso, inoltre, quando si parla di cultura la si identifica

arbitrariamente con alcuni suoi settori - la letteratura, l' arte, la musica, il teatro,

il cinema - come se il diritto, l' economia, la medicina, la matematica e la fisica e

tante altre attività umane non fossero altrettanto «cultura» e non richiedessero

quindi creatività, spirito critico, capacità di osservazione e di analisi quanto il

romanzo. Il teatro, tuttavia, ha da millenni un ruolo fondante non solo nell' arte,

ma anche nella vita comune della Polis, ossia, nel senso più alto del termine,

della politica. È un' arte in cui l' irripetibile e insostituibile creatività individuale

(dell' autore, del regista, dell' attore, dello scenografo e via dicendo) si fonde in

una coralità che, senza mortificarla, va al di là di essa e ne fa un' opera

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sovraindividuale, un' espressione insieme personale e collettiva o meglio corale.

Quest' ultima, a sua volta, instaura un dialogo non solo con ogni singolo

individuo, ma con la società e la civiltà da cui essa nasce e che essa interpreta,

per celebrarle o per criticarle. Dalle origini rituali e religiose alle sacre

rappresentazioni, al teatro totale wagneriano, a quello epico brechtiano a ogni

forma - anche la più iconoclasta e lacerata, o l' esperimento più solitario e ribelle

- il teatro è un evento pubblico ed è un fondamento della comune vita civile. Il

teatro classico contribuisce in misura determinante a fondare la democrazia

della Polis greca, a sua volta fondamento della civiltà occidentale. Le «leggi non

scritte degli dèi» di Antigone, ossia i princìpi universali che nessuna legge

positiva può violare, essenza dell' umanità, nascono non a caso sulle scene di

Atene, con la tragedia di Sofocle, e traggono la loro forza anche da quest'

origine. Quando, nella tragedia di Eschilo, Oreste, il matricida, viene assolto - sia

pure con formula dubitativa - si afferma il luminoso principio di valori laici

superiori ai tribali legami di sangue ed è ancora il teatro dinanzi al pubblico di

Atene a fondare questo universale-umano. Non occorre essere Sofocle o Eschilo

per essere riconosciuti nella dignità del lavoro teatrale che, come ogni lavoro,

nasce non solo dai geni ma dall' opera, più o meno nota o oscura, di tutti coloro

che vi contribuiscono. Certo, è meglio vivere senza teatro che senza pane. Ma la

vita sarebbe triste senza il teatro e siamo nati non solo per sopravvivere, ma

anche per capire qualcosa della vita e, se possibile, pure per goderla.

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Magris Claudio

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SALISBURGO IL REGISTA E IL SUO ATTORE-FETICCIO AL FESTIVAL

Stein torna ai classici: Karl Maria Brandauer un Edipo sconvolgente

Sofocle come un' esperienza «religiosa»

SALISBURGO - A un anno di distanza dal suo folgorante Dostoevskij, da I

demoni, Peter Stein torna agli amati greci, al mondo classico. Come sempre qui il

teatro è una seria occasione di socialità, e una cosa seria in sé: il pubblico è

straripante e le tre ore dell' Edipo a Colono di Sofocle (lo si percepisce

fisicamente) sono vissute col fiato sospeso, nel più religioso silenzio. Del resto il

secondo Edipo, come lo chiama il suo maggior interprete, Karl Reinhardt, non è

tanto una tragedia quanto un rito, qualcosa che pertiene a un ordine «cultuale».

Nell' argomentata e notevole edizione di Martone, questo aspetto di fondo non si

coglieva. Vi prevaleva l' azione, dominavano il colore e la natura dei singoli

personaggi, ovvero dei singoli interpreti, da Gianfranco Varetto a Elena Bucci, a

Valerio Binasco. Nello spettacolo di Peter Stein l' interprete di punta è Karl Maria

Brandauer, il protagonista, che avevamo lasciato a Berlino come Wallenstein.

Verrà applaudito in modo speciale anche Jürgen Holtz, Creonte, un attore a noi

sconosciuto; ma anche tutti gli altri, eccellenti proprio per la loro disponibilità a

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sottrarsi, a non voler mai mettersi in luce come singole personalità. L' aspetto

sociale e, lo ripeto, «cultuale» del testo è perseguito dal regista in modo

puntiglioso, nulla viene lasciato al caso. La scena è una vasta, desolata pianura in

cui spicca un bosco di «allori, viti e ulivi»; la musica di Arturo Annecchino

consiste di pochi, remoti suoni; qualche dubbio lo lasciano i costumi: non quelli

del Coro di Colonesi, assolutamente realistici, ma quelli dei soldati di Teseo e di

Creonte: bianco-immacolati e verde-ramarro-militare, entrambi fanno pensare,

un poco, a Star Trek, quasi che il regista avesse voluto così recare un contributo

a un futuro pop (qui parliamo non solo del passato ma di ogni tempo, anche di

quello che verrà), ovvero al mito, all' intemporale. E l' «intemporale» domina la

scena. Vi si narra di un ritorno alle origini, di un' espiazione ormai al culmine, e

di ciò che Reinhardt definisce «il prodigio del rapimento»: Edipo non è più Edipo,

ma uno di noi; egli, il vecchio che si era punito di una colpa involontaria e che

più duramente era stato castigato dai due figli maschi, bramosi di potere, segna

il limite sia della forza (altrui) che della sofferenza (la propria). La sua morte

equivale a una sparizione, come ogni morte, cattiva o buona che sia: prima quell'

uomo c' era, poi di colpo non c' è più. Eroicizzazione e metamorfosi. Edipo a

Colono è in Sofocle ciò che Eumenidi è in Eschilo, una specie di Paradiso: non più

la tragedia che (ancora) si profila all' orizzonte ma un appuntamento con il

destino. Voglio però sottolineare un aspetto, quello del permanente conflitto (tra

Ateniesi e Tebani, tra Teseo e Creonte, tra Creonte ed Edipo) quale si manifesta

come dissidio tra parola e azione in ben quattro momenti. Dirà Edipo: «Ma a che

serve la gloria? (...) prima mi fate alzare, e dopo mi scacciate solo per la paura

del mio nome?». Dirà Teseo: «Non è con le parole che cerchiamo di dare luce alla

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vita, ma con i fatti». Dirà Polinice (del fratello): «Eteocle, che pure era il minore,

mi ha scacciato da Tebe e questo senza avermi vinto con degli argomenti o

essere venuto a un duello o a un qualche cimento tra noi due. Egli ha solo

persuaso la città». Dirà il Nunzio: «Dura pena, lo so, figlia; ma basta una parola

per cancellare ogni fatica: amore». E insomma: tutti nemici di tutti; ma tutti

accomunati da una stessa consapevolezza di errore e di possibile riscatto, qui

formulato nei termini, quasi precristiani, di un' ascensione, quella del vecchio

Edipo. RIPRODUZIONE RISERVATA **** Lo spettacolo Il cast La tragedia di

Sofocle «Edipo a Colono» è a Salisburgo nella versione del regista Peter Stein.

Karl Maria Brandauer ha il ruolo del protagonista, Katharina Susewind è

Antigone, Anna Graenzer fa Ismene, Christian Nickel dà volto e voce a Teseo,

Jürgen Holtz interpreta Creonte. La musica è di Arturo Annecchino

Cordelli Franco

ELZEVIRO RACCOLTE LE MEDITAZIONI DI ZAGREBELSKY

UNA CERTA IDEA DEL DIRITTO

Uno «ius» estraneo a potere legislativo e razionalità naturale

C' è un' idea di fondo, alla base dell' ultimo libro di Gustavo Zagrebelsky da poco

in libreria. È l' idea del diritto come «dimensione del vivere comune», che non si

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lascia «ridurre alla volontà di un qualunque legislatore», e nemmeno si lascia

«dedurre da un qualche principio semplice di razionalità naturale o giustizia

astratta». Non a caso, del resto, su questa «idea comune» insiste il sottotitolo del

volume (Intorno alla legge, Einaudi, pagine 410, Euro 22), nel quale insieme ad

alcuni capitoli inediti sono raccolti e rielaborati diversi saggi scritti dall' autore

lungo oltre un ventennio. Dunque prima, durante e dopo la sua esperienza di

giudice, e poi anche di presidente, della Corte costituzionale. Sebbene non siano

stati concepiti in funzione di un progetto preordinato (lo dimostra la loro

eterogenea provenienza, per altro ricordata dallo stesso autore), questi testi

rivelano tuttavia il pregio di una intima coerenza complessiva, risultando tra loro

collegati da un ideale filo conduttore, come all' interno di un disegno unitario. Un

disegno evidentemente preesistente alla loro stesura, e corrispondente a una

delle principali aree di interesse del pensiero sviluppato da Zagrebelsky, in

qualità di costituzionalista e di teorico del diritto. Il tema centrale è quello del

rapporto tra legge e diritto (dunque tra lex e ius), visto nella particolare

prospettiva di ciò che ruota «intorno» alla legge, essendo essa immersa in una

«rete di interrelazioni e di tensioni» che rappresentano il contesto giuridico,

nella cui cornice la stessa legge si colloca. Un contesto definito, nell' odierno

«Stato costituzionale», dalle istituzioni del diritto, nonché dai connessi principi di

convivenza e di solidarietà sociale, secondo la logica del pluralismo, al cui

interno la legge è destinata a operare. Almeno «finché la società sarà questa»

(emerge qui, da parte dell' autore, una venatura amara di incertezza sul futuro),

cioè finché reggano gli equilibri istituzionali, e non si realizzi il pericolo di una

volontà legislativa imposta «unilateralmente usando il diritto come strumento di

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forza e di potere, cioè di arbitrio di una parte sulle altre». A questo tema si

raccordano i diciassette capitoli del volume, divisi in cinque parti, secondo una

progressione che muove dagli argomenti più generali e filosofici (cominciando,

ad esempio, dal famoso quesito attribuito da Senofonte ad Alcibiade: «Dimmi,

Pericle, cosa è la legge?») per giungere ai sempre più attuali nodi relativi al

funzionamento delle istituzioni e alle ventilate riforme costituzionali. Si passa

così, nell' arco di oltre quattrocento pagine ricchissime di riferimenti anche

storici e letterari, dal confronto concettuale tra il piano della legge e quello del

diritto (simboleggiato dal conflitto tra le opposte concezioni di Creonte e di

Antigone nella tragedia di Sofocle) ai più delicati problemi posti dalle società di

oggi, in cui lo Stato si è ormai trasformato in una «macchina legislativa» volta

alla produzione continua di leggi, spesso legate a situazioni contingenti e come

tali mutevoli nel tempo. Senonché, in tal modo, si rischia di perdere di vista il

vero rapporto tra legge e diritto, tra «legalità» e «legittimità». A maggior

ragione, allora, occorre richiamarsi ai valori morali di fondo delle moderne civiltà

di democrazia liberale, e ai principi che li traducono nel tessuto delle carte

costituzionali. E questo vale anche per la nostra Costituzione, intesa come luogo

di affermazione e di equilibrato bilanciamento di valori essenziali per la vita delle

istituzioni e della stessa società civile, oltre che come baluardo di legittimità

rispetto a eventuali abusi da parte del legislatore. RIPRODUZIONE RISERVATA

Grevi Vittorio

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DIALOGHI LO SCRITTORE E LO PSICOLOGO DISCUTONO A LONDRA (SU POSIZIONI

DIVERSE) DEL TEMA CHE APRIRÀ IL FESTIVAL DI GENOVA

McEwan e Humphrey, la coscienza supera la scienza

LONDRA - Tutti vediamo il rosso in modo diverso, ma importa sapere

esattamente come lo vedono gli altri? Ovvero, ha un senso interpretare la mappa

di attività neurologica innescata in ogni cervello da un dato colore, verbo o

gesto? È questo il tema con il quale il Festival della Scienza, che avrà luogo a

Genova dal 23 ottobre al 4 novembre, è stato presentato a Londra nella

prestigiosa sede della Wellcome Collection: un dibattito tra due menti illustri,

una scientifica, l' altra artistica. Da una parte Nicholas Humphrey, psicologo

della London School of Economics, autore di Rosso: il momento denso della

coscienza, così come di La mente fatta carne e Storia della mente. Dall' altra Ian

McEwan, uno scrittore i cui romanzi sono sempre stati trasportati da un forte

interesse per il funzionamento della materia grigia, sino ad arrivare a Sabato e

alle avventure del protagonista neurochirurgo. L' argomento dell' incontro non è

casuale: è la diversità, e per l' esattezza sei tipi di diversità, a formare il percorso

principale del Festival di Genova ed è sull' individualità, e l' impossibilità di

comprenderla, che i due luminari non hanno trovato l' accordo in quella che, a

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detta di McEwan, è una conversazione aperta germinata «in un ristorante di

Londra di fronte a un' ottima bottiglia di vino». «Nella mia opinione non c' è

niente di più reale e concreto della coscienza», ha dichiarato lo scrittore.

Codificarla in termini scientifici, però, non è necessario, perché è lì il bello della

letteratura, nonché dell' arte in generale: «Riuscire per un istante a essere

trasportati nelle esperienze altrui. La parola, quella macchina incredibile che non

è che una pompa d' aria, è il tramite perfetto». McEwan è tornato indietro nei

ricordi per isolare il primo momento in cui entrò, attraverso la letteratura, nella

coscienza di un altro essere umano, un poeta vissuto due secoli prima, William

Wordsworth. Fu leggendo il suo Preludio e la descrizione della sensazione

provata una sera d' inverno pattinando su un lago ghiacciato che iniziò «una

storia d' amore che dura tutt' ora». Ecco poi Amleto e i suoi soliloquii, «un uomo

di grande intelligenza che ci mostra come si comporta di fronte a un dilemma,

come esita, come arriva a pensare al suicidio prima di decidere». O lo strazio di

Ulisse davanti a una Penelope che non lo riconosce e gli crede solo quando si

ricorda come è fatto il loro letto matrimoniale. «E allora l' Antigone di Sofocle?»,

gli ha chiesto Humphrey, che, come ha sottolineato McEwan, è sì uno scienziato,

ma uno che ha letto tutto. «È Antigone la prima manifestazione letteraria della

coscienza individuale di fronte alla coscienza collettiva». Ammirazione reciproca

anche di fronte a punti di vista diversi. Perché se per Humphrey la differenza tra

le varie letture neurologiche di una semplice tela rossa importa, eccome, «non si

può negare l' importanza di comprendere il punto di vista di un' altra persona. Se

siamo qui, oggi, è perché la nostra società è basata su questo». Paola De Carolis

Confronti Ian McEwan (in alto) e Nicholas Humphrey

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De Carolis Paola

IL CASO LA VERSIONE CINEMATOGRAFICA DEL LIBRO DI PANSA COME UN THRILLER

L' EROE È UN COMMISSARIO FASCISTA

Il sangue dei vinti

Un giallo tra le vendette partigiane Placido: film rifiutato da tanti attori

ROMA - 19 luglio 1943. Pochi minuti dopo le 11, quattro gruppi di B17 e cinque

gruppi di B24 bombardano lo scalo ferroviario di San Lorenzo. Tra gli edifici che

crollano sotto le bombe degli Alleati, c' è un palazzo popolare dove vive un

commissario di polizia (interpretato da Michele Placido) e dove è stato appena

scoperto il cadavere di una giovane prostituta. Parte l' indagine dell'

investigatore che, parallelamente, intraprende un doloroso viaggio attraverso l'

Italia allo sbaraglio, dove la guerra civile mieterà anche molte vittime innocenti.

Sono alcune scene del film ispirato a Il sangue dei vinti, libro-inchiesta di

Giampaolo Pansa, in cui si dà voce agli sconfitti, raccontando le vendette dei

partigiani contro i fascisti o considerati tali; un caso letterario che, sin dalla sua

pubblicazione nel 2003, ha venduto migliaia di copie, suscitato altrettante

polemiche e critiche di revisionismo. Prodotto da Alessandro Fracassi (Media

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One Spa) per Rai Fiction e diretto da Michele Soavi, sarà prima proposto nelle

sale, nella prossima primavera, poi trasmesso su Raiuno in due puntate nel 2009.

Nove milioni di euro d' investimento e quattro anni e mezzo di travagliata

gestazione: un film difficile, che in molti si sono rifiutati di fare. Racconta

Fracassi: «Appena ho letto il libro, sono stato folgorato dalla visione inedita

proposta dall' autore sui tragici fatti avvenuti tra la fine del regime fascista e la

liberazione: mostra l' altra faccia della medaglia e ci fa capire da dove veniamo.

Ho subito comprato i diritti, ma da quel momento è iniziato un calvario,

ostruzionismi di ogni genere». Basti ricordare la prima reazione di Sandro Curzi

(all' epoca presidente reggente della Rai e tuttora consigliere): «Una fiction dal

libro di Pansa? Allora è meglio da Bocca». Riprende il produttore: «Lo stesso

Pansa non voleva scrivere il soggetto, perché non è il suo mestiere, e mi avvertì:

"In che guai ti sei andato a cacciare!". Infatti, è stato complicato allestire il cast:

alcuni attori e registi si sono tirati indietro e ancora non ho trovato un

distributore per le sale... una sorta di censura preventiva». Conferma Placido, nel

ruolo del commissario Dogliani: «Uno dei colleghi che hanno rifiutato di

partecipare è stato Carlo Cecchi. Mi disse: "Non condivido il libro

ideologicamente". Rispetto questa posizione: c' è gente che è stata educata a

interpretare la storia in una certa direzione. Ma io, che da sempre voto a sinistra,

sono contento di mostrare al pubblico un' angolatura, un punto di vista diverso:

se un comunista, in passato, si è comportato come un nazista, è un nazista. Pansa

ha avuto il coraggio di mettersi in discussione e di smuovere le coscienze. Io,

forse, ho avuto più coraggio di altri colleghi ad accettare il ruolo, anche se -

aggiunge - quando ho dovuto indossare la camicia nera ho avuto un moto di

Page 19: Antigone Articoli

ripulsa». Liberamente ispirato al bestseller, è stato complesso anche scrivere il

copione: la trama, infatti, è molto diversa da quella originale. Spiegano gli

sceneggiatori Massimo Sebastiani e Dardano Sacchetti: «Il primo problema era

di adattare un libro storico alle ragioni di un racconto filmico. Non potevamo

restare aderenti solo alla cronaca degli eventi accaduti dopo il 25 aprile 1945,

così come sono puntigliosamente riportati nell' indagine di Pansa. Dovevamo

costruire una storia adatta al grande pubblico, restando fedeli però allo spirito

dell' autore». Dunque nella versione cinematografica Il sangue dei vinti è anche

un giallo. «Per questo abbiamo inventato il personaggio di Dogliani, un onesto

servitore dello Stato, un investigatore che, sullo sfondo di un Paese dilaniato

dalla guerra civile, intreccia l' indagine poliziesca alla sua tragedia personale:

vedrà morire i suoi due fratelli su opposte fazioni, Ettore partigiano, Lucia

repubblichina, senza poterli salvare e, alla fine, senza nemmeno poter dare

degna sepoltura a Lucia, morta per la "causa sbagliata"». Sottolinea Placido: «Il

tema centrale del libro e del film è proprio quello dell' "Antigone" di Sofocle:

perché due fratelli non possono essere sepolti con la stessa dignità, anche se di

fazioni opposte? Non si possono discriminare anche i morti. Dopo 60 anni,

sarebbe ora di chiudere le ferite, seppellire i morti e pensare al futuro. Ha fatto

revisionismo persino la Chiesa cattolica, ammettendo gli errori commessi. Perché

non può farlo la "chiesa" comunista?». Numerose le location e un cast prezioso:

tra gli altri, Alessandro Preziosi interpreta Ettore Dogliani, fratello del

commissario, che sacrificherà la vita nella lotta partigiana. Barbora Bobulova è la

donna al centro dell' intrigo thriller, ruoli importanti anche per Stefano Dionisi,

Alina Nedelea, Giovanna Ralli e Philippe Leroy. Dopo aver girato la maggior

Page 20: Antigone Articoli

parte delle scene in Piemonte, ora il set è a Roma, in una fabbrica in disuso sulla

via Prenestina, dove è ambientato il bombardamento di San Lorenzo. Un set

condizionato anche dalle polemiche che ci sono state e da quelle che potrebbe

ancora sollevare. Ammettono gli sceneggiatori: «Abbiamo calibrato ogni battuta,

perché non apparisse di destra o di sinistra». Aggiunge il regista: «Ho cercato di

non farmi contaminare dalle polemiche e di essere credibile». Conclude Placido:

«Per essere equidistante, ho misurato ogni gesto: non devo piacere né agli uni né

agli altri, ma solo al personaggio. E non credo che da questo film uscirò

fascista».

Costantini Emilia

VITE PARALLELE COME LEGGERE LE BIOGRAFIE DEI «PERSONAGGI MINORI» ALL'

INTERNO DELLE FAMIGLIE CELEBRI

Maledizione all' ombra dei fratelli

Alcuni anni fa, a Trieste, a una festa di nozze, c' era fra gli ospiti il fratello di Che

Guevara, Ramón. Per essere più precisi, anche a costo di usare una parola dal

suono antipatico, fratellastro, in quanto figlio dello stesso padre, ma di altra

madre. Ma soprattutto nato dopo la morte del leggendario Che e inevitabilmente

imbarazzato di essere, per tutti, essenzialmente il fratello di un mito e per di più

Page 21: Antigone Articoli

da lui mai conosciuto. Che cosa poteva significare, per lui, quella parentela

strettissima e astratta, quel morto così vivo, che rischiava di ridurlo solo alla sua

ombra? Pure lui avrebbe potuto dire, come Serse Coppi quando gli si

avvicinavano i tifosi del campionissimo Fausto, «sono solo il fratello». Quella

festa triestina potrebbe essere uno dei brevi, fulminei capitoli di un bellissimo

libro che lascia il segno, scritto da Franco Bungaro e Vincenzo Jacomuzzi, Lei

non sa chi è mio fratello!, che raccoglie - come dice il sottotitolo - storie di sorelle

e fratelli, da Alighieri a Hitler. Anche quella frase di Serse Coppi si trova, in

questo libro che ha la malinconia borgesiana dell' erudizione e dell' ombra e

insieme una freschezza epica pervasa di humour, una simbiosi di riso e

malinconia alla Spoon River. Il rapporto tra fratelli è di per sé una fondamentale

e contraddittoria modalità dell' esistenza; l' Antigone di Sofocle - insieme al

Vangelo lo scavo forse più profondo nell' abisso dell' umano - comincia con una

parola, inventata dal poeta, che indica l' essere sorella, la «sorellanza» quale

relazione radicale. Fratello è il termine cristiano per eccellenza che esprime l'

amore e la solidarietà del destino, ma la storia sacra e quella civile del mondo

cominciano con un fratricidio, Caino e Abele, Romolo e Remo. Saba, nel

momento più fervido della sua lettura di Freud, considerava un brutto segno per

gli italiani il fatto che la loro origine mitica fosse un autodistruttivo fratricidio e

non la liberatoria uccisione del padre ma si sbagliava, perché il fratricidio,

letterale e metaforico, è più universale del parricidio e gli uomini devono ancora

imparare la fraternità. La «fratellitudine» e la «sorellitudine» sono sempre

complesse e, come scrivono i due autori, comprendono «a volte affetti tenaci,

altre rancori profondi, talvolta indifferenze totali». Le cose possono farsi

Page 22: Antigone Articoli

complicate quando subentrano grandi differenze di successo, di genialità, di

ruolo; quando si ha un fratello che si chiama Napoleone Bonaparte oppure

Ludwig van Beethoven, Al Capone, Luigi XIV, Adolf Hitler, Marcel Proust; quando

la conflittualità immanente a ogni rapporto umano (e nel caso dei fratelli

addomesticata, ma anche potenziata dal groviglio famigliare) viene acuita da una

reale o pretesa ma comunque sbandierata superiorità dell' uno sull' altro, come

scriveva Stanislaus Joyce, peraltro così malamente ricompensato nella sua

generosità da James: «È terribile avere un fratello maggiore più intelligente,

raramente mi viene riconosciuta un po' di originalità». È a questo rapporto

impari - e spesso infero, perché, come dice la terribile frase della Scrittura, «a

chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quel poco che ha» - che Bungaro

e Jacomuzzi dedicano il loro libro lieve e profondo, conciso ed epico come una

serie di lapidi. In quel concentrato dell' umano che è il rapporto tra fratelli

emergono tutte le diversità e le contraddizioni dell' umanità. La cattiveria di

Beethoven, la solidarietà di Sydney e Charlie Chaplin, la totale oscurità in cui

resta Jean-Nicolas Frédérick Rimbaud rispetto ad Arthur; la freddezza pur alla

fine complice tra Franco e suo fratello Ramón inizialmente anticlericale e di

sinistra; le scelte opposte di Gramsci comunista e di suo fratello fascista o di

Giovanni Pirelli che si rivolta contro il sistema capitalista; Albert Göring, fratello

del gerarca nazista e forse figlio di un ebreo; la frequente prevaricazione dei

famosi sugli oscuri, spesso esasperata sino alla crudeltà o al delitto quando è in

gioco il denaro o il potere politico, come rivela tanta letteratura; anche se invece

il rapporto fra Benito e Arnaldo Mussolini è uno di quelli realmente fraterni e

Arnaldo esprime apertamente il dubbio, dopo l' assassinio di Matteotti, che la

Page 23: Antigone Articoli

coscienza di suo fratello, il mandante, sia pura. La famiglia può essere vera casa

natale o un livido inferno. I «fratelli nemici» sono un tema ricorrente nella

letteratura, da Eteocle e Polinice o Atreo e Tieste allo Sturm und Drang ai Due

fratelli di Luca Doninelli alle sorelle nel romanzo Di buona famiglia di Isabella

Bossi Fedrigotti, per citare solo alcuni esempi di un filone che si accresce di

continuo, sino a Giovanna Ioli col suo A giro. Tra i fratelli anonimi, c' è chi

soggiace alla prevaricazione oggettiva della disparità, chi ne soffre, chi si

consuma nel rancore, chi dimostra un' incredibile generosità e insieme una totale

libertà da ogni complesso, come Mathieu Dreyfus, instancabile nell' aiutare il

fratello perseguitato e robustamente autonomo nella sua vita affettiva e

professionale. La figura più infame è quella del religiosissimo Paul Claudel (e

della sua cattolica famiglia): una incredibile crudeltà moralistica nei confronti

della sorella Camille, geniale scultrice, amante di Rodin, di una dolorosa fragilità

esistenziale, brutalmente reclusa in manicomio dall' illustre e devoto fratello e

dalla sua famiglia, per occultare il suo comportamente disdicevole. Quando sono

in gioco le sorelle, il rapporto si complica ulteriormente in virtù della tradizionale

subalternità della donna, tema affrontato da Rita Calabrese ed Eleonora

Chiavetta in un altro stimolante libro uscito qualche anno fa, Della stessa madre,

dello stesso padre, dedicato al destino di «tredici sorelle di geni». Anche in

questo caso la casistica è varia, come risulta dal libro di Bungaro e Jacomuzzi: il

rapporto affettuoso e complice di Catherine Deneuve con la sorella Françoise, di

Kafka con Ottla o di Rita Levi Montalcini con Paola; quello stretto fra Leopardi e

Paolina e quello troppo stretto fra Pascoli e Maria; il vero e proprio eros fra Lord

Byron e Augusta Mary. Talvolta la situazione si rovescia: è la rozza sorella

Page 24: Antigone Articoli

Elisabeth Nietzsche a prevaricare su un genio come il fratello. In generale

tuttavia sono le sorelle a soccombere, come rivela pure il libro di Calabrese e

Chiavetta: espropriate pure della loro creatività dai fratelli, come Dorothy

Wordsworth o Fanny Mendelssohn, immalinconite alla loro ombra come Cornelia

Goethe o Ulrike von Kleist, cui il fratello nega il diritto di non sposarsi che invece

riserva a se stesso. Al «sesso che per sua natura occupa il secondo posto nella

serie delle creature», come dice Kleist a Ulrike, ovvero alle donne e dunque alle

sorelle, si chiede un' amicizia «piladica» come quella di Pilade, l' amico che è

solo spalla di Oreste. Toccante, nella sua sempre appartata e mai compromessa

autonomia, è Paula Hitler quando dice di Adolf: «Cercate di capirmi: in fondo era

pur sempre mio fratello». Il libro di Bungaro e Jacomuzzi è un vivaio di potenziali

romanzi, i cui personaggi sono talora sbalzati con epica e picaresca evidenza,

come Frank James, fratello di Jesse e bandito come lui, che finisce portiere

addetto a far pagare l' entrata ai visitatori della fattoria di famiglia («Staccò

biglietti fino alla morte, il 18 febbraio 1915») o Alois jr Hitler, che alla fine

vivacchiava firmando a pagamento cartoline col ritratto del defunto Adolf. Anche

Ramón Guevara, quella sera, avrebbe potuto dire «Lei non sa chi è mio fratello»,

anche se non aveva affatto l' aria di volerlo dire. Ma una ragione più profonda di

dire queste parole l' avrebbe avuta Elvis Presley, il re del rock, pensando al

gemello Jesse Garon, nato e morto nello stesso giorno e sepolto sotto una stele

senza nome. Il più misterioso, il più grande, quello di cui vorremmo sapere cosa

è stato nella sua vita brevissima ma non meno degna della più longeva è quel

fratello sconosciuto a tutti e in qualche modo fratello di tutti. Questi sono i miei

fratelli e le mie sorelle, dice Gesù, indicando persone a lui legate da amicizia e

Page 25: Antigone Articoli

affinità spirituale, non da vincoli di sangue. * * * Uomini e donne nelle pieghe

della Storia * * * Letteratura e arte Chi c' è dietro un grande uomo? Si usa dire

una grande donna, ma spesso è un fratello. A loro, i fratelli (o le sorelle) ombra di

uomini che, nel bene o nel male, hanno fatto la storia, è dedicato il libro di

Franco Bungaro e Vincenzo Jacomuzzi «Lei non sa chi è mio fratello!», appena

uscito da Sei (pp. 201, 13) mentre, qualche anno fa, Rita Calabrese ed Eleonora

Chiavetta dedicarono al destino di «tredici sorelle di geni» il loro «Della stessa

madre, dello stesso padre» (Tufani). Un tema, quello della fratellanza/sorellanza,

che ha fecondato la letteratura fin dai tempi di «Antigone» e che ha trovato

rappresentazione anche nell' arte: qui accanto, il «Ritratto dei fratelli Pickford»,

opera di Joseph Wright of Derby (1777 circa).

Magris Claudio

ANTEPRIMA IL CRITICO RIFLETTE SULLA TECNICA, IL RAPPORTO CON LA REALTÀ,

LA CAPACITÀ UMANA DI PENSARE LA MORTE E LA TRASCENDENZA

La grande sconfitta

Religione, filosofia e scienza hanno fallito L' enigma della vita e di Dio resta lo

stesso

Page 26: Antigone Articoli

Il nuovo saggio Le riflessioni malinconiche in libreria per Garzanti Il brano che

pubblichiamo in questa pagina è tratto dall' ultimo capitolo di Dieci (possibili)

ragioni della tristezza del pensiero, il nuovo saggio di George Steiner. Il volume è

da oggi in libreria per l' editore Garzanti (traduzione di Stefano Velotti, pagine

90, euro 11) I «numeri primi» di cui tratta il pensiero sono costanti che

circoscrivono la nostra umanità. Sono, o dovrebbero essere, di un' ovvietà

suprema. Che cosa è «essere»? «Pensare l' essere» non è forse, come insiste

Heidegger, il compito essenziale del pensiero? Discriminare tra le esistenze

fenomeniche e la fatticità delle cose, da un lato, e il nucleo nascosto dell' essenza

dell' essere (Sein) stesso, dall' altro. Perché non c' è il nulla? Questa celebre

domanda di Leibniz dovrebbe costituire, per gli atti di pensiero, una

preoccupazione tanto primordiale e originale - che sorge, cioè, dalle nostre

origini - quanto la stessa vita umana. Possiamo, contra Parmenide, pensare,

concettualizzare il nulla? Può darsi che ogni tentativo di «pensare la morte» - un'

espressione che suona disdicevolmente goffa in inglese -, pensare alla morte in

maniera consequenziale, sia una variante dell' enigma del niente. Innumerevoli

credenze, mitologie, fantasie di trascendenza sono elaborazioni di esperimenti

mentali che vertono sulla morte. Lo zero, la riduzione del nostro essere a un

vuoto sono per la maggior parte di noi «impensabili», sia nel senso emotivo sia in

quello logico della parola. Da qui procede la complessa architettura del mito e

della metafora (molte metafore sono concentrati di mito). Sempre in attività e in

moto perpetuo, il pensiero umano sembra aborrire il vuoto. Genera

archetipicamente finzioni di sopravvivenza più o meno consolatorie. Come un

Page 27: Antigone Articoli

bambino spaventato fischia o urla nel buio, noi peniamo per evitare il buco nero

del nulla. E lo facciamo anche quando gli scenari che ne risultano sono

offensivamente puerili o semplicemente kitsch (quei campi elisi e quei cori

celesti, quelle settantadue vergini che attendono i martiri per l' Islam...).

Entrambe le sfere del pensiero, quella dell' essere e quella della morte, sono

state interpretate come sottospecie degli sforzi senza fine dell' intelletto umano,

della coscienza mortale, di pensare a, di «pensare» Dio. Di associare a questo

bisillabo un' intelligibilità credibile. È plausibile che l' homo sia divenuto sapiens,

e che i processi cerebrali siano evoluti al di là del riflesso e del mero istinto,

quando sorse la questione di Dio. Quando i mezzi linguistici permisero la

formulazione di quella domanda. È concepibile che le forme superiori di vita

animale si avvicinino alla consapevolezza, al mistero della propria morte. La

questione di Dio sembra essere propria della sola specie umana. Noi siamo le

creature abilitate ad affermare o negare l' esistenza di Dio. Noi abbiamo avuto i

nostri inizi spirituali «nella Parola». Il credente fervente e l' ateo categorico

condividono una comprensione del problema. L' agnostico esitante non nega la

questione. La semplice pretesa di non aver mai sentito parlare di Dio sarebbe

sentita come assurda. L' esistenza e la morte, in quanto pertengono a «Dio»,

sono gli oggetti perenni del pensiero umano, laddove questo pensiero non è

indifferente all' identità umana, alla nostra presenza in un certo mondo. Siamo -

il famoso ergo sum - nella misura in cui ci sforziamo di «pensare l' essere», il

«non essere» (la morte) e la relazione di queste polarità con la presenza o l'

assenza, con la vita o la morte - espressione antropomorfica - di Dio. La parziale

cancellazione di questa preoccupazione dagli affari pubblici e privati nelle

Page 28: Antigone Articoli

tecnocrazie avanzate dell' Occidente, una cancellazione antagonistica alle

rabbiose maree montanti del fondamentalismo, pervade la nostra attuale

situazione politica e ideologica. Un agnosticismo tollerante richiede maturità

ironiche, «capacità negative» (come le definiva Keats), che non è facile chiamare

a raccolta. Le semplificazioni selvagge del fondamentalismo, sia esso degli

islamisti o dei battisti del Sud degli Stati Uniti, sono in marcia. Ma resta un fatto,

schiacciante: quale che sia la sua statura, la sua concentrazione, il suo slancio al

di sopra dei crepacci dell' ignoto, quale che sia il suo genio esecutivo della

comunicazione e della messa in atto simbolica, il pensiero non si avvicina

maggiormente all' apprensione dei suoi oggetti primari. Rispetto a Parmenide o a

Platone, noi non ci siamo avvicinati di un centimetro a una qualsiasi soluzione

verificabile dell' enigma della natura - o dello scopo, se ce n' è uno - della nostra

esistenza in questo universo probabilmente multiplo, alla determinazione della

definitività o meno della morte e alla possibile presenza o assenza di Dio.

Potremmo anche essercene allontanati. I tentativi di «pensare», di «pensare fino

in fondo» questi problemi per mettere al riparo una risoluzione giustificativa o

esplicativa hanno prodotto la nostra storia religiosa, filosofica, letteraria,

artistica e, in una certa misura, scientifica. Questi tentativi hanno impegnato i

migliori intelletti e le migliori sensibilità creative del genere umano - un Platone,

un sant' Agostino, un Dante, uno Spinoza, un Galileo, un Marx, un Nietzsche o un

Freud. Hanno generato sistemi teologici e metafisici affascinanti, per la loro

sottigliezza, e suggestivi, per la loro forza propositiva. Le nostre dottrine, la

poesia, l' arte e la scienza sono state attraversate, prima della modernità, da

domande pressanti sull' esistenza, la mortalità e il divino. Astenersi da questo

Page 29: Antigone Articoli

domandare, censurarlo, sarebbe cancellare la specifica condizione e dignitas

della nostra umanità. È la vertigine del domandare che attiva una vita esaminata.

In ultima analisi, comunque, non andiamo da nessuna parte. Per quanto

possiamo essere ispirati, «pensare l' essere», «pensare la morte», «pensare Dio»

sfocia in immagini più o meno ingegnose, di portata o di ricchezza semantica più

o meno grande: in «verbosità», si potrebbe anche dire. Per quanto riguarda il

loro risultato concreto, la danza aborigena intorno al totem e la summa di

Tommaso, il voodoo e Plotino sulle emanazioni, mettono in atto, comunicano miti

che condividono analogie più che accidentali. Non producono alcuna prova. A

dire il vero, la storia degli sforzi che si sono succeduti per provare l' immortalità

o l' esistenza di Dio costituiscono una delle cronache più imbarazzanti della

condizione umana. L' agilità del pensiero, la sua inesauribile propensione alla

narrativa, conduce alla conclusione umiliante, quasi esasperante, che «qualsiasi

cosa va bene». Per milioni di persone, Dio si pettina la sua barba bianca ed Elvis

Presley è risorto. Nessuna confutazione è assiomaticamente possibile. La

verificabilità, la falsificabilità delle scienze, il loro progresso trionfante dall'

ipotesi all' applicazione, costituiscono il prestigio e il crescente dominio che

esercitano nella nostra cultura. Ma in un altro senso, ciò costituisce anche la loro

sovrana trivialità. La scienza non può dare alcuna risposta alle questioni

quintessenziali che ossessionano o che dovrebbero ossessionare lo spirito umano.

Wittgenstein lo ha sottolineato con insistenza. La scienza può soltanto negarne la

legittimità. Indagare sul nanosecondo che ha preceduto il Big Bang è - ci viene

assicurato ex cathedra - un' assurdità. Tuttavia siamo creati in modo tale che

indaghiamo comunque, e potremmo trovare molto più persuasiva la congettura

Page 30: Antigone Articoli

di sant' Agostino che quella della teoria delle stringhe. È immensamente difficile

immaginare a che cosa assomiglierebbero le mappe della mente e le totalità che

essa abita, che cosa sarebbe il nostro alfabeto di riconoscimenti se il problema di

Dio venisse a perdere il suo significato. Nessuna retorica della «morte di Dio»,

nessuna erosione della religione nei supermarket dell' Occidente si avvicina a un'

eclissi della possibilità di Dio nel senso stesso della nostra coscienza. Fino a oggi,

l' ateismo si è impegnato impetuosamente con Dio. Se anche questo impegno

negativo recedesse da ogni seria consapevolezza, le scienze pure e applicate

potrebbero, presumibilmente, continuare la loro avanzata. Se le scienze umane,

nel senso più lato, possano fare lo stesso, non è altrettanto chiaro (il genio di

Beckett ha trovato l' espressione allegorica precisamente per questa incertezza).

Intanto, non è l' argomentazione filosofica o teologica che spinge il pensiero ai

limiti estremi dei suoi indispensabili «vicoli ciechi», sempre nuovamente

percorsi. Credo che a farlo sia la musica, questo tormentoso medium dell'

intuizione rivelata al di là delle parole, al di là del bene e del male, in cui il ruolo

del pensiero, per quanto possiamo afferrarlo, resta profondamente elusivo.

Pensieri troppo profondi non tanto per le lacrime, ma per il pensiero stesso. Può

darsi che Sofocle abbia detto tutto nell' ode corale sull' uomo dell' Antigone. La

padronanza del pensiero, della velocità perturbante del pensiero esalta l' uomo al

di sopra di tutti gli altri esseri viventi. Ma lo lascia straniero a sé stesso e all'

enormità del mondo. (Traduzione di Stefano Velotti) © George Steiner * * * L'

autore George Steiner (Parigi 1929) ha studiato fisica a Chicago prima di

dedicarsi a studi umanistici. Ha insegnato letteratura in varie università, tra cui

Oxford e Ginevra * * * Le opere George Steiner è autore di numerosi libri, tra cui

Page 31: Antigone Articoli

«Tolstoj o Dostoevskij», «Le Antigoni», «Nessuna passione spenta», «La lezione

dei maestri», tutti editi da Garzanti * * *

Steiner George

Antigone fa la filosofa

Cacciari traduce Sofocle, Walter Le Moli registaUn progetto stabile che propone

testi classici o contemporanei rivisti da scrittori *** Seguirà Beaumarchais nella

versione di Valerio Magrelli: «Un ingranaggio magico»

Un teatro di repertorio. Un gruppo stabile di 12 attori che lavora, con modalità

internazionali e con registi diversi, a un unico progetto: mettere in scena testi

classici e anche contemporanei, tradotti da scrittori italiani. L' idea è del regista

Walter Le Moli, realizzata da Fondazione del Teatro Stabile di Torino, Fondazione

Teatro Due di Parma e Teatro di Roma. Il primo appuntamento, stasera e domani

(poi dal 10 al 15 aprile), nella Capitale è al teatro India con «Antigone» di

Sofocle, tradotta da Massimo Cacciari e realizzata dallo stesso Le Moli. Poi, sullo

stesso palcoscenico, toccherà dal 17 al 22 aprile, a «La folle giornata o il

matrimonio di Figaro» di Beaumarchais, con la traduzione di Valerio Magrelli e la

regia di Claudio Longhi. In seguito, «The Changeling» (Gli incostanti») di

Page 32: Antigone Articoli

Thomas Middleton e William Rowley, traduzione di Luca Fontana, regia di Karina

Arutyunyan e Le Moli; «A voi che mi ascoltate» del greco Lula Anaghnostaki,

traduzione di Nicola Crocetti, regia di Victor Arditti; e infine «Dossier Ifigenia»

da Euripide, traduzione di Edoardo Sanguineti, regia di Elie Malka. Spiega l'

ideatore del progetto: «L' idea è molto semplice, anche se poco praticata in

Italia, mentre molto realizzata all' estero: un teatro Stabile deve avere un

repertorio, con un gruppo di attori stabili, su una serie di titoli sempre pronti

anche all' esportazione. In Italia, viviamo alla giornata, lasciamo più o meno tutto

all' improvvisazione. Tanto che, quando veniamo invitati da importanti istituzioni

straniere, allestiamo la compagnia e lo spettacolo all' impronta. Ecco il perché

dell' importanza di un repertorio su cui poter contare in ogni occasione. Insomma

- aggiunge - il progetto si ispira alle modalità produttive europee e alla necessità

di uniformarsi alle caratteristiche dei principali teatri aderenti all' Unione dei

Teatri d' Europa». Perché l' «Antigone» e perché Cacciari. Risponde il regista:

«Scritta da Sofocle nel 442 a.C., è il paradigma del contrasto fra le leggi dell'

oikos, intesa come casa in senso allargato e cioè in riferimento a valori come i

legami familiari e il culto dei morti, e della polis, ovvero la città. Ora l' "Antigone"

- continua Le Moli - la puoi tirare come una coperta, a seconda del momento

storico, sociale e politico in cui si vive. Il filosofo e scrittore Cacciari ne ha un'

idea, cui mi sento molto vicino: Antigone e il re Creonte rappresentano due

sistemi autonomi e talmente inconciliabili, che lo scontro tra loro non porta a

nessuna soluzione e alla morte di entrambi i contendenti. E nella nostra realtà

attuale, nei confronti del potere tutti ci mascheriamo da Antigone, ma poi ci

comportiamo come Creonte». Se Antigone rappresenta la pietas, Creonte incarna

Page 33: Antigone Articoli

invece la ragion di Stato. Insiste Le Moli: «Tutto l' Occidente è Creonte, secondo

cui non può esistere una città senza governo». A Valerio Magrelli, il compito di

attualizzare Beaumarchais. Dice lo scrittore: «Quest' opera ha avuto numerose

traduzioni, anche soltanto nel ' 900. Ho lavorato in una prospettiva di resa

teatrale, cercando quindi di rendere l' incisività, la scansione, il ritmo del dialogo

che è tuttavia intatto, a distanza di più di duecento anni. È formidabile la

reattività delle battute, è quasi magica la facilità di scambio, la circolazione della

parola all' interno dell' opera originale: un' immediatezza studiatissima, molto

difficile da rendere. Mi sono anche divertito - continua - a ricostruire certe

situazioni, per restituire i giochi di parole. "Il matrimonio di Figaro" è un' opera

che continua a funzionare, per il suo straordinario ingranaggio, un meccanismo

perfetto. Io, da un lato, sono rimasto fedele all' originale, ma dall' altro me ne

sono allontanato, nei momenti in cui era necessaria una resa diversa». Date le

numerose traduzioni già esistenti, Magrelli si è confrontato con i predecessori?

Ribatte: «Assolutamente sì. A differenza di altri traduttori, che non amano, non

sono interessati ai confronti con chi li ha preceduti, io invece, appena finito il mio

lavoro, sono andato proprio a misurarmi con i testi preesistenti, trovandone

almeno un paio ancora molto validi oggi. Il problema della traduzione - precisa -

è la sua scadenza: si deteriora, mentre l' originale resta intatto. E l' importanza

del progetto di Le Moli, dal mio punto di vista, sta proprio nel fatto che,

ciclicamente, c' è bisogno di togliere da queste opere la patina del tempo, per

esporle a una nuova luce linguistica. È l' unico modo per riattivare i grandi

classici delle letterature straniere, per renderli contemporanei». TEATRO INDIA,

lungotevere dei Papareschi, da stasera alle ore 21, tel. 06.684000346 * * *

Page 34: Antigone Articoli

TRAGEDIA TRAGEDIA Una scena di «Antigone»; a destra, i protagonisti Elia

Schilton, nel ruolo di Creonte, e Paola De Crescenzo in quello di Antigone

Costantini Emilia

L' Antigone di Sofocle secondo Cacciari

Il primo verso dell' Antigone di Sofocle è composto da cinque parole di

complesso se non oscuro significato. Ma ciò che colpisce nella traduzione che

Massimo Cacciari ha consegnato allo Stabile di Torino (edita da Einaudi) è la

seconda parte di questo verso. Il testo originale dice «Ismenes kara», «testa di

Ismene». Cacciari traduce (primo verso e oltre): «O volto di Ismene, sorella,

sangue mio, sai se vi è un male tra quelli della stirpe di Edipo che Zeus debba

ancora infliggerci in vita?». È una traduzione letterale. Cacciari avrà avuto le sue

ragioni. Per noi lettori (o spettatori) vanno perdute. Peggio. Ci troviamo con ogni

evidenza di fronte a un cattivo italiano. Leggendo le versioni di Ettore

Romagnoli, di Enzio Cetrangolo, di Camillo Sbarbaro, di Filippo Maria Pontani, di

Elena Bono, di Ezio Savino, di Angelo Tonelli, di Guido Paduano e di Maria Grazia

Ciani, non ve n' è una che si senta in obbligo di rispettare la lettera, cioè di

Page 35: Antigone Articoli

tradurre quel termine, kara, di connotazione epico-tragica (in greco) e di

ridondante, fastidiosa presenza (in italiano). Perché nessuno traduce kara?

Perché, almeno in italiano, non rivolgiamo domande ad una testa, né da una

testa, da un volto, ci aspettiamo risposte, ma da una persona. Né è da dire che

«testa» qui abbia la funzione di una vera e propria sineddoche, dal momento che

Ismene è lì, intera e in carne e ossa. Cacciari ha voluto essere fedele. Ma nello

stesso tempo ha voluto essere originale, distinguersi in ubbidienza. Bella cosa l'

ubbidienza (se del caso), pessima la volontà di distinzione.

Cordelli Franco

La legge morale ha un prezzo

Stampa e Servizi. L' imperativo morale ha un prezzo E chi viola la legge deve

pagare

I giornalisti hanno molto potere. Se poi irrompono come protagonisti in una

vicenda di spie impegnate a sequestrare un sospetto terrorista, ai loro molteplici

poteri si aggiunge fatalmente quello di regalare a una torbida storia di beghe nei

servizi di sicurezza i contorni avventurosi dell' epica alla Graham Greene o alla

Page 36: Antigone Articoli

Le Carré (anche se Evelyn Waugh, nel suo «Inviato speciale», ha sarcasticamente

dipinto le peripezie dei giornalisti coinvolti con le tinte del grottesco e del

patetico). Ma, con la lunga confessione di Renato Farina su Libero, l' allusione

letteraria diventa ancora più sofisticata per arrivare nientemeno che all'

Antigone di Sofocle, all' eterno conflitto tra la legge morale e quella scritta negli

ordinamenti degli Stati. Farina-Antigone, vicedirettore di Libero e agente

«Betulla» secondo gli inquirenti milanesi, ha infatti pubblicamente scritto al suo

direttore Vittorio Feltri e, per suo tramite, ai lettori per rivendicare la superiorità

sulle leggi ordinarie dell' imperativo morale che lo ha condotto ad arruolarsi con

gli uomini del Sismi. Questa è la «quarta guerra mondiale» scrive Farina. E

ancora: in questa guerra «ho cercato di fare di tutto e di più per difendere questo

nostro Paese e la sua civiltà cattolica». E, avendo scelto di «schierarmi dalla

parte dell' Occidente e di chi opera per tutelarlo», non vale il richiamo alla

deontologia professionale, argomento ben più miserabile di quanto non sia il

clangore dello scontro di civiltà, non vale il codice di pace, la legge di tutti i

giorni, le norme che forse sono buone per regolare il giornalismo di routine e di

scrivania, ma certo non per liberarci dalle briglie asfissianti che ci impediscono

di combattere nel conflitto totale cominciato l' 11 settembre. Ogni scelta è

giustificata, se ci si consacra a questa battaglia: anche il sostegno attivo alle

operazioni dei servizi segreti, anche contrastare con il depistaggio e l' abuso

bellico dei giornali chi intende indebolire la parte in guerra che abbiamo deciso

di appoggiare. La legge di Antigone, appunto, la quale, nel nome della

supremazia della legge umana che alberga nella coscienza di ciascuno

anteriormente all' ordinamento giuridico che ogni collettività organizzata si dà, si

Page 37: Antigone Articoli

dispone a violare la legge dello Stato, del re, del potere costituito. Con un

dettaglio decisivo, però: che, sfidando le leggi dello Stato, Antigone è

perfettamente cosciente di infrangere una norma e, sia pur nel nome di una

morale superiore alle norme infrante, di dover pagare un prezzo elevatissimo,

persino la morte. Ecco il pezzo mancante nella pur coraggiosa autodifesa di

Farina: le leggi dello Stato, deliberatamente violate in virtù di un imperativo

categorico supremo, legittimano chi ne tutela l' integrità a sanzionare la

violazione. È una lezione che nella storia del Novecento si è incarnata nella

missione di Gandhi, la cui azione non violenta postulava il riconoscimento della

legittimità persino della rappresaglia repressiva nei confronti di chi violava una

legge, sebbene considerata ingiusta. In Italia questa cultura ha invece attecchito

con grande difficoltà. Fanno eccezione i radicali di Marco Pannella, per i quali la

«disobbedienza civile» è una sfida alla legge, ma non una pretesa di immunità, e

la deliberata, plateale, provocatoria inosservanza di una legge «ingiusta»

contiene in sé (e non è un paradosso) il richiamo a intervenire rivolto a chi ne è

istituzionalmente preposto alla tutela: Pannella ha forse protestato quando un

difensore della legge è venuto a impedirgli la pubblica distribuzione di

marijuana? Ma nella guerra al terrorismo internazionale, ha sostenuto con molti

e convincenti argomenti Magdi Allam su questo giornale nel solco di una

discussione innescata da Sergio Romano, le regole sono inadeguate. Se è così,

allora si provveda a cambiarle. Se rimangono queste, tuttavia, è necessario che si

rispettino. Oppure, come lascia intuire Farina, le si infranga. Ma non

protestando, questo è il punto, se chi è chiamato a difendere la legge decide di

perseguire chi decide di stracciarla, anche ispirato dai più nobili princìpi. È d'

Page 38: Antigone Articoli

accordo, Renato Farina, che il soldato della quarta guerra mondiale, il crociato

della guerra santa dell' Occidente cristiano contro il terrorismo jihadista venga

perseguito dalle leggi ordinarie dello Stato senza perciò gridare alla

persecuzione e atteggiarsi a vittima della repressione? A giudicare dalle sue

parole, non si direbbe. E meno che mai Farina, c' è da supporre, sottoscriverebbe

la massima di Giovanni Bianconi nella discussione sul Corriere: «anche l'

illegalità deve avere le sue regole». Eppure è così, è l' archetipo di Antigone che

contiene questo insegnamento. Ed è anche curioso che Farina, nella sua

autodifesa, ometta totalmente il dettaglio della ricevuta che attesterebbe il

pagamento che i servizi segreti avrebbero elargito all' agente «Betulla». Può

darsi che il silenzio sia motivato dall' entità esigua della ricompensa finora

accertata. E può darsi che Farina, per tutelare esigenze di segretezza, non voglia

diffondersi in particolari sull' eventuale destinazione di quei fondi finiti nella

disponibilità di altri destinatari. Può darsi, ma in quel dettaglio dei soldi si cela

un aspetto cruciale della vicenda. Sul quale sorvolare con macroscopiche

omissioni appare davvero stravagante. In difesa di Farina, Giuliano Ferrara,

nemico di ogni ubbia moralistica, difende anche quei soldi, equivalente (del resto

il denaro, marxianamente, questo è: «equivalente universale») del

riconoscimento di un lavoro. È una posizione comprensibile. Ma quella di Renato

Farina qual è? Lo comprende il vicedirettore di Libero che è difficile, molto

difficile accettare che l' ideale sia remunerativo e che è comune immaginazione

che la guerra contro i nemici della civiltà sia animata da motivazioni non

esattamente identiche al diritto alla «giusta mercede»? E un' altra domanda, a

Ferrara e a Farina. Se per pura ipotesi, tanto per dire, un giorno si dovesse

Page 39: Antigone Articoli

accertare un qualche rapporto di remunerazione tra Marco Travaglio, a Ferrara

e Farina assai inviso, e la Procura antimafia, Ferrara e Farina difenderebbero

quel passaggio di denaro nel nome della «superiore» lotta alla mafia? E se,

sempre per paradosso, anche Giuseppe D' Avanzo venisse scoperto a percepire

una «giusta mercede» dal capo della Polizia nella guerra al crimine, Libero e il

Foglio sparerebbero a zero, oppure farebbero mostra di comprendere quanto

penosa e irta di contraddizioni sia la sfida alla malavita che ha visto arruolarsi il

loro giornalista-nemico? C' è da dubitare della seconda ipotesi. Resta la validità

di due paradossi per sottolineare che l' omissione di Farina non funziona. E che

ancora c' è da spiegare, per puro amore della verità, cosa ha esattamente portato

un giornalista a trasformarsi nell' «agente Betulla».

Battista Pierluigi

ELZEVIRO ALLE ORIGINI DELL' ETICA

il dilemma legge e natura

«Dimmi, Pericle, mi sapresti spiegare cos' è la legge?» chiese un giorno il

giovane Alcibiade a Pericle. «È quello che il popolo decide in assemblea e mette

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per iscritto, stabilendo quel che si può fare e quel che non si può fare» rispose

Pericle. Ma Alcibiade non si accontentò della risposta: «E se non si riunisce in

assemblea il popolo, ma solo una minoranza, quel che decide si chiama sempre

legge?». Con domande sempre più provocatorie, Alcibiade impegna Pericle in un

dibattito che, si può ben dire, non ha mai avuto fine: quando una decisione non è

più legge, ma prevaricazione? In Occidente, la discussione sul fondamento della

legge ebbe inizio in Grecia. I romani, poi, fecero del diritto una scienza, un

sistema articolato di principi estratti dalle varie norme che regolavano la loro

vita sociale. Ma furono i greci i primi a riflettere sul rapporto tra legge, diritto,

natura, morale, giustizia, politica Ciascuno nelle sue forme, ciascuno nella sua

prospettiva, poeti, filosofi, storici, retori si posero i problemi che vengono oggi

richiamati alla nostra attenzione in un volume, intitolato - da un celebre

frammento di Pindaro - «Legge sovrana. Nomos basileus» (Rizzoli, pp.160, 8,20).

Dopo un' introduzione di Ivano Dionigi («Aporie della legge»), il libro contiene

saggi di Gustavo Zagrebelsky, Luciano Canfora, Gianfranco Ravasi e Massimo

Cacciari, cui fa seguito, come in tutti i volumi di questa collana, un florilegio («I

volti della legge»), in questo caso tratto da testi greci, latini e giudaico cristiani.

Difficile, nello spazio consentito, rendere conto di tanti temi e problemi. Il primo,

forse il più celebre di essi, è il conflitto tra leggi scritte e non scritte. Nell'

omonima tragedia di Sofocle, Antigone - violando un bando del sovrano Creonte -

dà sepoltura al fratello Polinice, caduto combattendo contro la patria. Alle «leggi

scritte» di Creonte, in un celeberrimo dialogo, contrappone le «leggi non

scritte», che impongono di dare sepoltura ai familiari; e quindi - condannata a

morte - si suicida. Da che parte sta la ragione? Secondo la lettura tradizionale,

Page 41: Antigone Articoli

Antigone è l' eroina che resiste all' arbitrio; in una lettura che parte da Hegel,

invece né Antigone né Creonte hanno ragione, nessuno dei due ha torto:

Antigone dichiara la sua fedeltà ai principi etici sentiti dall' individuo come

imprescindibili; Creonte alle regole dettate dal potere politico. Ma ambedue i

sistemi giuridici hanno un fondamento: qui sta il dilemma tragico. Inevitabile che

la tragedia termini con l' annientamento di ambedue: Emone, figlio di Creonte, si

uccide sul cadavere di Antigone, sua fidanzata; appresa la morte del figlio, si

suicida Euridice, moglie di Creonte. Anche se fisicamente sopravvissuto, Creonte

è un uomo finito. Ma il testo di Sofocle, osserva Zagrebelsky («Il diritto di

Antigone e la legge di Creonte»), sembra fatto apposta per invitare a

trovare una soluzione che dia sbocco al conflitto tra le due leggi,

trasferendo il problema della loro legittima coesistenza sul terreno

politico: le parti devono mettersi a confronto, in un dialogo che realizzi la

saggezza pratica indispensabile per agire nella vita di relazione. Nel

secondo saggio («La legge o la natura?»), Canfora affronta un non meno

importante problema. Nata a difesa dei più deboli, affermatasi come

strumento democratico e vista da Pericle (in Tucidide) come baluardo

della libertà individuale, la legge scritta - dopo che la Sofistica aveva

denunziato la sua natura di «convenzione» - venne a essere contrapposta

alla natura. Ma qual era la legge di natura? Come il mondo animale dimostrava,

era forse la legge del più forte? E nella politica? Nella democrazia radicale,

scrive Canfora, si produce una svolta, legata anch' essa ai rapporti di forza: nella

città nasce l' idea che il popolo sia esso stesso al di sopra della legge.

Impossibile, qui, seguire le considerazioni da lui svolte sulla dialettica legge-

Page 42: Antigone Articoli

popolo. Chi le leggerà ne capirà l' interesse. Seguono, infine, due saggi sulla

tradizione giudaico-cristiana. Nella Torah - ricorda monsignor Ravasi («Le tavole

della Legge e del cuore») - coesistono la legge mosaica divina e quella umana,

che traduce il decalogo del Sinai in minuziose prescrizioni, nelle quali «si

consolida la visione di un impero della legge che nello Stato ebraico nato dalle

ceneri dell' esilio babilonese (VI secolo a.C.) acquista connotati teocratici e rivela

un formalismo eccessivo, contro il quale reagiranno i Profeti, e in seguito Gesù».

Nel «Discorso della Montagna», infatti, Gesù estrae dal groviglio delle regole

etico-sociali una prospettiva globale, che supera ogni legalismo; tra i 613

precetti che la tradizione rabbinica ha catalogato nella Torah egli individua come

primario il comandamento dell' amore: «Amerai il Signore Dio tuo amerai il

prossimo tuo come te stesso». E dal «Discorso della Montagna» parte Cacciari

(«Il nomos dell' amore»), per chiedersi «come si può comandare di amare?»

Amare l' amico, certo, ma anche il nemico; essere perfetti, come il Padre. «Non

sono venuto a sciogliere la legge - dice Cristo - ma a completarla». Siamo di

fronte a una svolta radicale. Con la guida di Paolo, Matteo, Agostino, Cacciari ne

spiega il senso: la legge va osservata, è giusta e santa, ma non basta a vincere il

peccato. È l' angoscia per il limite della legge che consente di raggiungere lo

stato sub gratia

Cantarella Eva

CARCANO / DOMANI IN PRIMA NAZIONALE LA TRAGEDIA DI SOFOCLE TRADOTTA

Page 43: Antigone Articoli

DAL POETA GIOVANNI RABONI

Bosetti: «La mia Antigone talebana»

Il regista e attore: «Un palco nudo per mettere in rilievo il potere della parola»

Dipinto tutto di nero, pareti e palcoscenico, il Teatro Carcano sembra una

immensa lavagna su cui potrebbero essere scritte cose terribili. Fa anche

pensare alla misteriosa «scatola» che viene interrogata per conoscere i fatti

avvenuti prima di una recente tragedia aerea... «Di una tragedia di 2500 fa,

invece, si tratta: quella di Antigone, sorta di terrorista ante litteram pronta a

tutto per difendere i propri valori - dice Giulio Bosetti, che mette in scena lo

straordinario testo di Sofocle -. Reclama, rischiando la morte, la dignità della

sepoltura del fratello Polinice, che il capo del governo di Tebe, Creonte,

considera un nemico, un talebano, e forse ha tutte le ragioni». Lei, Bosetti, in

una tregua dall' amato Pirandello, fa Creonte. Nel ruolo protagonista la giovane

Sandra Franzo. Chi di voi due è nel giusto? «La domanda resta ancora aperta,

anzi si ripropone ogni volta che la ragion di Stato o l' ideologia si scontra con la

pietà umana. Mi pare che abbiamo esempi ogni giorno nel mondo...». Una lettura

contemporanea? «Sofocle lo è già. Nella splendida traduzione dell' amico e poeta

Giovanni Raboni il linguaggio si è avvicinato al nostro, al suo ritmo. Non ho

invece ritenuto necessario inserire filmati di guerra o moderne divise militari

come si vede spesso sui palcoscenici». Rari in stagione, i classici sono

Page 44: Antigone Articoli

appannaggio delle rassegne estive, più tradizionali... «Questa "Antigone"

debuttò, infatti, nel 2000 a Siracusa, ma tra cori e scenografie imponenti fu

proprio la grande poesia di Sofocle a perdersi nella vastità. Con questa "nuova"

rappresentazione diamo spazio alla parola, come suono e pensiero. Il palco è

nudo, accennate le musiche di Chiaramello, determinanti le luci di Pasquale Mari

(che lavora per Bellocchio, ndr)». All' inizio dello spettacolo il coro avanza verso

il pubblico. Come alle origini del teatro, da lì nascono i personaggi? «Si staccano

per vivere la loro storia, ma tutti noi siamo coro». La sentenza finale? «Più che

gli déi tragici che condannano Creonte, pentito della sua crudeltà solo alla

notizia dei suicidi del figlio Emone, fidanzato di Antigone, e della moglie Euridice

interpretata da Marina Bonfigli, saranno gli spettatori i veri giudici». Giulio

Bosetti, 75 anni, nel ruolo di Creonte per l' «Antigone» (interpretata da Sandra

Franzo) da lui diretta. «Ragion di Stato e ideologia si scontrano oggi come nell'

antichità», dice

Provvedini Claudia

LA LETTURA SIN DALLE ORIGINI DELLA CIVILTÀ, ALLE LEGGI POSITIVE SI

CONTRAPPONE L' UNIVERSALITÀ DEI VALORI UMANITARI. PER QUESTO L' ETICA HA

BISOGNO DELLA POESIA

Page 45: Antigone Articoli

Letteratura e diritto Una battaglia tra due libertà

«Se la sbrighi ciascuno col suo peccato - dice don Chisciotte vedendo la fila dei

galeotti in catene; non è bene che gli uomini onesti si facciano carnefici di altri

uomini». Sotto i più diversi cieli e nelle più diverse epoche, la letteratura

sembra pervasa da un rifiuto del diritto e della legge, che essa respinge

spesso confondendo e identificando i due termini e le realtà diverse che

sottendono. Novalis, il romantico tedesco che si propone di poetizzare ossia di

riscattare poeticamente il Tutto, scrive in uno dei suoi frammenti: «Io sono un

uomo completamente illegale; non ho il senso né il bisogno del diritto» (...). L'

avversione della poesia al diritto ha verosimilmente un' altra ragione profonda.

La legge instaura il suo impero e rivela la sua necessità là dove c' è o è possibile

un conflitto; il regno del diritto è la realtà dei conflitti e della necessità di

mediarli (...). Il diritto appare dunque legato alla barbarie del conflitto;

necessario, ma come lo è un' amputazione in una malattia o una difesa armata da

un attacco armato. Nella poesia - anche la più sofisticata e trasgressiva - c' è

quasi sempre, evidente o nascosto, il sogno - nostalgia rivolta al passato o

profezia proiettata nel futuro - dell' età dell' oro, dell' innocenza di ogni pulsione,

del lupo e dell' agnello che si abbeverano amichevolmente alla stessa fonte.

Questa redenzione poetica di ogni pulsione, che Novalis e forse anche Rimbaud

Page 46: Antigone Articoli

ritenevano possibile, tinge del proprio colore di fiore azzurro perfino certi

movimenti rivoluzionari protesi a creare politicamente ed esistenzialmente l'

uomo nuovo; durante la Comune di Parigi, i comunardi sparavano agli orologi per

simboleggiare la fine del tempo storico e giuridico dell' ingiustizia e l' avvento di

un tempo nuovo, messianico. La rivoluzione come orgasmo, predicata nel

Sessantotto, è l' ennesima, stantia ripetizione di questo sogno di abolire la legge,

legata all' esistenza di rapporti di violenza. «Il dominio del diritto - dice un altro

frammento di Novalis, angelico precursore delle assemblee pulsionali - cesserà

insieme con la barbarie». Il rifiuto della legge avvicina la poesia alla fede.

Nessuno ha messo sotto accusa la legge come San Paolo e la teologia, specie

protestante, che deriva da lui. «La legge provoca la collera di Dio», sta scritto

nella Lettera ai Romani; è essa che fa prendere vita al peccato e lo fa

sovrabbondare, si dice ancora, e Lutero incalza: «Prima ero libero e andavo nella

notte senza lanterna; ora, dopo la legge, ho una coscienza e prendo una lanterna

nella notte. Dunque la legge di Dio non è nulla, se non l' inizio della cattiva

coscienza». La risposta dell' uomo religioso all' orrore della legge è il salto nella

grazia, l' abbandono alla fede, che salva al di là del giudizio perché non si basa

sull' esame delle azioni, meritorie o delittuose, bensì sull' unione totale in Dio,

indipendentemente da ogni valutazione morale: «Abramo si salva», scrive Karl

Barth, non per quello che fa, bensì perché «crede in colui che dichiara giusto l'

empio» (...). Nella letteratura tale violenza religiosa si laicizza, conservando

tuttavia la propria radicalità: all' abbandono in Dio si sostituisce spesso l'

abbandono alla totalità della vita, l' armonia col suo fluire al di là del bene e del

male. Per Kafka, la legge pone l' individuo fuori dalla vita - fuori del territorio

Page 47: Antigone Articoli

dell' amore, scrive all' amica Milena (...). Ma questa consapevolezza lo induce a

un peccato secondo Kafka ancora più grave ossia a pretendere di non mescolarsi

al buio e all' impuro della vita, di essere puro, orgogliosamente scevro di ogni

colpa e della stessa colpa di vivere. Tale superba pretesa di non essere sporcato

dal fango della vita è la sua colpa, che lo estrania agli uomini e lo condanna a

restare sempre davanti alle porte della legge, come nella famosa parabola, a non

entrare nella vita, a «difendersi sino alla fine», come dice nel Processo Josef K.,

colpevole proprio per tale ossessione di difesa legalistica. Con questa ansia di

perfetta innocenza e purezza è impossibile non violare alcun codicillo: «Sempre

si trasgredisce la legge», dice Fischerle nell' Auto da fé di Canetti (...). In

Michael Kolhaas - il più grande racconto che sia mai stato scritto sulla lettera e

lo spirito della legge, la sua violazione e la sete di giustizia - Kleist mostra la

tragica violenza immanente alla sacrosanta esigenza di ottenere e farsi giustizia.

La poesia - come la vita, come l' amore - vorrebbe la grazia, non la legge; essa

racconta l' esistenza piuttosto che giudicarla, come nel detto evangelico: «Nolite

judicare» (...). La letteratura rivela così la sua profonda e contraddittoria essenza

morale; nemica della legge astratta e disincarnata, essa è un' incarnazione della

legge. I fondatori di religioni e i creatori di etica hanno bisogno della letteratura;

raccontano parabole, in cui un' astratta verità morale, che altrimenti morirebbe

subito di inedia, diviene vita concreta, epico racconto della vita. Il commento alla

Legge per eccellenza, la Torah, diviene la grande narrazione talmudica. Questa

epicità, che è inizialmente accettazione dell' esistenza intera al di là del bene e

del male, contiene il giudizio, pure il castigo che deve seguire il delitto;

Raskolnikov accetta intimamente - pur giustamente convinto dell' irripetibile

Page 48: Antigone Articoli

diversità del suo cuore, irriducibile a ogni comma giuridico - la pena e la Siberia.

Sin dalle origini fondanti della nostra civiltà, al diritto codificato ossia alla legge

viene contrapposta l' universalità di valori umani che nessuna norma positiva può

negare: all' iniqua legge dello Stato promulgata da Creonte, che nega

universali sentimenti e valori umani, Antigone contrappone le «non

scritte leggi degli dèi», i comandamenti e i principi assoluti che nessuna

autorità può violare. Il capolavoro di Sofocle è una tragica espressione

del conflitto tra l' umano e la legge, che è pure conflitto tra il diritto e la

legge. Il decreto iniquo di Creonte è una legge positiva, con un suo

contenuto specifico. Ad essa Antigone contrappone un diritto non

codificato, potremmo dire consuetudinario, tramandato dalla pietas e

dall' auctoritas della tradizione, che si presenta quale depositario stesso

dell' universale, un diritto al di sopra della legge positiva. In questo caso,

esso corrisponde a imperativi categorici assoluti; Antigone è il simbolo

intramontabile della resistenza alle leggi ingiuste, alla tirannide, al male:

veneriamo come eroi e martiri i fratelli Scholl o il teologo Bonhoeffer

che, come Antigone, si sono ribellati alla legge di uno Stato - quello

nazista - che calpestava l' umanità, sacrificando in questa ribellione la

loro vita. Ma Antigone è una tragedia ossia non è solo una nitida

contrapposizione di pura innocenza e truce colpa, ma è un conflitto nel

quale non è possibile assumere una posizione che non comporti

inevitabilmente, per tutti i contendenti, anche i più nobili, pure una

colpa. Sofocle, genialmente, non raffigura Creonte quale un mostruoso

tiranno; questi non è un Hitler, ma è un governante le cui responsabilità

Page 49: Antigone Articoli

di governo, di tutela della città, possono chiedere di tener conto - in

nome dell' etica della responsabilità, per citare Max Weber - delle

conseguenze, sulla vita di tutti, di una disobbedienza alle leggi positive e

di un possibile caos che ne segua. A seconda della costellazione storico-

sociale, la libertà e la democrazia si difendono appellandosi al diritto non scritto,

depositario di tutta una tradizione culturale, o alla legge positiva. Durante la

Repubblica di Weimar, i democratici si appellavano alle leggi positive che

punivano le dilaganti violenze antisemite, mentre giuristi e intellettuali filonazisti

sostenevano che quelle leggi non corrispondevano al radicato sentire del popolo

tedesco e dunque al suo diritto profondo ed erano perciò astratte; durante il

nazismo, ad appellarsi alle «non scritte leggi degli dèi», contro le positive leggi

razziali e liberticide del regime, erano gli oppositori del nazismo (...). Legge e

diritto sanciscono questo peccato originale, questa impossibilità dell' innocenza

dell' esistere. Ed è questo che, pur contrapponendo poesia e diritto, anche li

avvicina, perché - scrive Salvatore Satta in un passo del Giorno del Giudizio sul

quale ha richiamato l' attenzione Giovanni Gabrielli - «il diritto è terribile come la

vita» e la letteratura, chiamata a raccontare la nuda verità della vita senza

remore moralistiche, non può non avvertire una pericolosa vicinanza a quella

terribilità e a quella malinconia. (...) È soprattutto in Germania che si è

verificata, specialmente in età romantica, una singolare alleanza, quasi una

simbiosi tra poesia e diritto - inteso quale diritto consuetudinario e non quale lex

positiva. I fratelli Grimm, grandi filologi e letterati, erano giuristi. Raccogliendo

le loro celebri fiabe, intendevano salvare il grande patrimonio del «buon vecchio

diritto» ossia delle consuetudini, tradizioni, usi locali del popolo tedesco nella

Page 50: Antigone Articoli

sua coralità; patrimonio che nei secoli era stato conservato nella letteratura

popolare. Nella stessa epoca, come sottolinea Maria Carolina Foi, scoppia in

Germania un' interessantissima polemica giuridica fra Thibaut, che propugna per

la Germania, sul modello napoleonico, un codice civile unitario e unificante - atto

a rendere tutti i cittadini uguali davanti alla legge e a spazzare via i privilegi

feudali - e Savigny, che vuole invece difendere la varietà, le diversità locali, le

differenze e disuguaglianze dell' antico diritto comune consuetudinario,

espressione del Sacro Romano Impero, vedendo invece nel codice unico uno

strumento di livellamento autoritario. Naturalmente, a seconda delle circostanze,

è l' una o l' altra delle posizioni a difendere concretamente la libertà degli

uomini: il modello unificante potrà essere appiattimento tirannico staliniano delle

diversità o tutela democratica dei diritti di tutti gli uomini, come la sentenza che

più di quarant' anni fa impose a un' università del Sud degli Stati Uniti di

accogliere uno studente nero, facendo giustamente violenza alla diversità della

cultura bianca e del suo razzismo stratificato nei secoli (...). Nella cultura

tedesca, l' affinità fra diritto e letteratura si trasforma in pochi anni da armonioso

idillio a comune lacerazione. La rivoluzione che investe - a partire dal fin de

siècle, ma con dei preludi già in età romantica - la letteratura moderna e

contemporanea, sconvolgendo radicalmente forme strutture e valori, distrugge

anzitutto l' idea di totalità e di centralità e di ogni compatta unità, sia dell' Io sia

del mondo; priva la realtà - e la sua rappresentazione - di un centro, fa di ogni

individuo un uomo senza qualità ossia un insieme di qualità prive di un centro

unificatore e organizzatore. A questa eclissi di un valore centrale e di un

soggetto capace di costruire una gerarchia armoniosa del reale corrisponde in

Page 51: Antigone Articoli

sede giuridica, ha scritto Natalino Irti, l' eclissi del codice unitario, sopraffatto da

una centrifuga selva di leggi particolari avulse da ogni totalità: anch' esse una

mera «anarchia di atomi»; come Nietzsche (e con lui Musil, ma prima di lui già

Bourget) definiva quello che un tempo era Sua Maestà l' Io. Ed è lo stesso

Nietzsche che - nell' aforisma 449 di Umano, troppo umano, analizzato sotto

questo profilo da Irti - constata che «il diritto non è più tradizione» e dunque,

vista la sua necessità alla vita sociale, può e deve essere solo imposto, cogente e

arbitrario, non fondato su nulla. Nell' età contemporanea ogni fondamento,

secondo Nietzsche, si è dissolto; il diritto si è sciolto da ogni tradizione fondante,

religiosa o culturale, e poggia sul nulla, come l' arte, la filosofia, l' uomo stesso

(...). Nonostante tutto questo, il sentire comune contrappone volentieri la

passione della poesia alla razionalità non tanto del diritto, quanto della legge. È

soprattutto il formalismo di quest' ultima ad apparire cavilloso, arido, negatore

della calda umanità. Ma - come ha sottolineato Ascarelli - Shakespeare, nel

Mercante di Venezia, ci mostra genialmente come l' umanità, la giustizia, la

passione, la vita, vengano salvate da Porzia travestita da sottilissimo e capzioso

avvocato, grazie al formalismo giuridico più sofistico, che autorizza sì Shylock a

prendere una libbra di carne dal corpo di Antonio, ma senza versare neanche una

goccia di sangue. Non è il caldo appello all' umanità, ai sentimenti, alla giustizia

a salvare la vita di Antonio, bensì il freddo richiamo avvocatesco alla lettera

formale della legge. Questa freddezza logica salva i valori caldi: non solo la vita

di Antonio, ma anche l' amicizia di Antonio e Bassanio e soprattutto l' amore di

Porzia e Bassanio, prima turbato dall' angoscia di quest' ultimo per la sorte dell'

amico: «Voi non giacerete accanto a Porzia con l' animo inquieto», dice la donna

Page 52: Antigone Articoli

all' amato, decidendo allora di liberarlo da quell' inquietudine che offusca l' eros

e di salvare dunque, con i cavilli legali, Antonio. Tanta letteratura ha guardato

con astio al diritto, considerandolo arido e prosaico rispetto alla poesia e alla

morale (...). A differenza di chi declama le profonde ragioni del cuore pensando

in realtà che esista solo il suo cuore, la legge parte da una conoscenza più

profonda del cuore umano, perché sa che esistono tanti cuori, ognuno con i suoi

insondabili misteri e le sue appassionate tenebre, e che proprio per questo solo

delle norme precise, che tutelano ognuno, permettono al singolo individuo di

vivere la sua irripetibile vita, di coltivare i suoi dèi e i suoi demoni, senza essere

impedito né oppresso dalla violenza di altri individui, come lui preda di

inestricabili complicazioni del cuore, ma più forti di lui, come i galeotti liberati di

don Chisciotte sono più forti di lui e lo malmenano brutalmente (...). La ragione e

la legge hanno spesso più fantasia del cuore, capace solo di sentire le proprie

inestricabili complicazioni e incapace di immaginare che esistano pure quelle

altrui. Il cuore, diceva Manzoni, sa assai poco, appena un po' di ciò che gli è stato

raccontato; spesso è tutta una gran confusione, scrive Stefano Jacomuzzi.

Qualificare l' omicidio o il furto come reati non basta per capire i diversi motivi

per i quali diverse persone li compiono, ma chi si appella a ineffabili motivazioni

dell' animo per sfuocare la gravità di quei reati capisce ancor meno le persone

che li commettono. Il legislatore che punisce la corruzione negli appalti pubblici

è un artista che sa immaginare la realtà, perché in quella corruzione vede non l'

astratta violazione di una norma, ma, ad esempio, le cattive attrezzature di cui -

causa quella corruzione - viene dotato un ospedale, in luogo di quelle efficaci che

esso avrebbe avuto grazie a un' asta corretta: dietro quel reato ci sono dunque

Page 53: Antigone Articoli

malati curati peggio, individui concreti che soffrono. Gli antichi, che avevano

capito quasi tutto, sapevano che ci può essere poesia nel legiferare; non a caso

molti miti dicono che i poeti sono stati anche i primi legislatori. www.corriere.it

Sul sito il testo integrale dell' intervento di Claudio Magris Il conflitto Per lo

scrittore Franz Kafka (a sinistra in un ritratto di Tullio Pericoli), la legge pone l'

individuo fuori dalla vita. A sua volta il poeta Novalis (a destra) scrive in un

frammento: «Io sono un uomo completamente illegale; non ho il senso né il

bisogno del diritto» L' autore Il testo pubblicato in questa pagina è una sintesi

della «lectio magistralis» su «Letteratura e diritto» tenuta da Claudio Magris

(nella foto) a Madrid lo scorso 24 febbraio, quando l' Università Complutense gli

ha conferito la laurea honoris causa

Magris Claudio

MARTA FERRANTI PROTAGONISTA TRA LA VITA E LA MORTE PER GIUSEPPE MARINI

Antigone, un' eroina insopportabile

Tre sono i problemi dell' Antigone di Giuseppe Marini: lo spazio, il tempo e gli

attori. Lo spazio è un piccolo teatro all' antica, di rossi velluti, angusto e

Page 54: Antigone Articoli

confortevole: come è concepibile allestirvi l' Antigone? Il tempo riguarda solo

Marini. Si prende tutto il tempo che può. Non c' è entrata o uscita di scena che

non avvenga in modo solenne. L' obiezione scaturisce dal buon senso. Va bene

che Antigone è una tragedia, ma non bastano i fatti a renderne edotto lo

spettatore? Perché debbono essere tutti messi in corsivo, sottolineati in quanto

fatali? Terzo problema, il più arduo: Marini si rivela fedele, ha cominciato con i

suoi giovani attori, ha avuto successo, con loro continua. Ma se il regista è

cresciuto, degli attori non si può dire altrettanto. Essi ubbidiscono alle

indicazioni di regia e vanno come figure in un carillon, tutti avanzano come ho

detto, tutti urlano o sussurrano fino a cancellare le sfumature di comportamento

o d' intenzione. Per quanto riguarda la protagonista, Marini ha la sua idea: «E'

già oltre, tutta chiusa in un' intraducibile estraneità interiore, occupando uno

spazio ellittico e liminale, entre deux, tra la vita e la morte, dove la ragione

collassa». Ma perché, se Antigone (Marta Ferranti) è così «in limine», quando è

sul punto di fisicamente scomparire si denuda il seno destro? Non si tratta di una

piccola contraddizione, o di una caduta di gusto. Si tratta, io credo, di un

rimorso, di un soprassalto di ciò che da Marini è stato negato, la presenza

incombente di colei che sembra sottrarsi. E, in realtà, Ferranti si fa notare per

quel suo essere composta, verginella, piccola santa: un essere insopportabile, un'

eroina di cui diffidiamo! Ecco, a proposito di diffidenza, l' opposto versante. Ma

che ha tanto da urlare il tiranno? Per Hegel, Creonte non era neppure un tiranno.

Per tutti noi, lo è. Ma cosa voleva chiarire Marini, ciò che già sappiamo e che è

stato acquisito dalla coscienza moderna, che Creonte è proprio un tiranno? O

voleva sottintendere che quelle urla celano il principio della fine, che egli sta

Page 55: Antigone Articoli

nascondendo la propria debolezza, la viltà che lo insidia? In quanto prediletta

(dagli dèi, dal padre), e dunque aristocratica invocatrice dell' Invisibile e, nello

stesso tempo, solida partigiana di valori tecnici (un fratello è insostituibile, un

marito o un figlio no), e perciò contrapponendo la propria pietà, il proprio privato

sentimento alla altrui ragione, Antigone si comporta come una qualunque ribelle,

un' anarchica, una individualista. Da parte sua, il tecnocrate Creonte, il

partigiano del visibile, di fronte al contropotere di Antigone si limita a usare il

potere che gli conferiscono le leggi. Se dovessimo pronunciare un giudizio

politico, come potremmo non essere con Antigone e contro di lei? O, viceversa,

come possiamo non essere con Creonte e tuttavia contro di lui, contro la sua

empietà? Per Marini, e per tutti noi, è pacifico che Antigone è la libertà, è

il personaggio positivo. Ma così non è. Ed è così vero che lo spettacolo va

contro le intenzioni del suo autore. Egli smorza con sottigliezza i rossi velluti con

i grigi su grigio dei costumi o con la soffocante semicirconferenza tombale della

città di Tebe. A dominare la scena non è la creatura «entre deux». Lo è, in modo

inconsapevole, Creonte (Luca Carboni) e il meglio di sé lo spettacolo, senza

operare rovesciamenti dell' acquisito sul piano concettuale, lo dà nella sua

qualità stilistica, che contraddice la gravità dell' assetto formale. L' Antigone di

Marini è anzi popolare, schietta, diretta: non teme la contaminazione e non teme

gli effetti, né visivi, né sonori, tutta quella Laurie Anderson, tutto quel Puccini,

quel Bach. ANTIGONE di Sofocle/Marini Teatro della Cometa, Roma

Cordelli Franco

Page 56: Antigone Articoli

ELZEVIRO LA RISCOPERTA DI SOFOCLE

IL MITO PERENNE DI ANTIGONE

« Antigone celeste » , la definisce Hegel. « Antigone dall' anima di luce, Antigone

dagli occhi di viola » , la invoca D' Annunzio: da quando la sua storia fu messa in

scena ad Atene, nel 442 a. C., il mondo si è innamorato di Antigone. Nella

versione di Sofocle, il suo mito è diventato la più celebre, e secondo molti la più

bella, delle tragedie greche. Difficile contare il numero delle traduzioni,

degli adattamenti, delle rivisitazioni: una ventina di anni or sono George

Steiner calcolava fossero circa 1.530. Difficile trovare miglior

dimostrazione della capacità della tragedia greca di rappresentare storie

che continuano ad avere senso ben oltre il momento e il luogo nel quale

furono concepite. Nel caso di Antigone, una storia notissima: figlia delle nozze

incestuose tra Edipo e sua madre Giocasta, Antigone vive nella città governata

dallo zio Creonte. I suoi due fratelli, Eteocle e Polinice, sono morti l' uno per

mano dell' altro: Eteocle difendendo la città dall' assalto dei nemici; Polinice

assediando una delle sue sette porte, difesa da Eteocle. Creonte decreta: come

traditore della patria, Polinice non avrà sepoltura. Chi violerà il divieto sarà

lapidato. Ma Antigone viola il bando: rendere gli onori funebri a Polinice è un

Page 57: Antigone Articoli

dovere più forte della legge umana. Quando scopre che a violare il suo decreto è

stata sua nipote, che è anche la fidanzata di suo figlio Emone, Creonte è

sconvolto. Nel primo dialogo tra i due - nel quale secondo Goethe è racchiusa l'

essenza stessa della tragedia - Creonte e Antigone dichiarano ciascuno di

rispettare le leggi. Antigone quelle « non scritte » , che esprimono principi etici

imprescindibili; Creonte quelle « scritte » , dettate dal potere politico. Qui sta il

dilemma tragico: ciascuno dei sistemi di leggi invocate ha un suo

fondamento. Né Creonte né Antigone hanno torto. Creonte ha un forte

senso dello Stato: tutti i cittadini devono essere uguali di fronte alla

legge, anche sua nipote, anche la fidanzata di suo figlio. Antigone ritiene

di non dover rispettare una regola della quale non riconosce il

fondamento etico. La tragedia si conclude con la fine di entrambi.

Condannata a morte, Antigone si suicida. Creonte è un uomo annientato:

Emone si uccide sul cadavere di Antigone e alla notizia della sua morte si

uccide Euridice, moglie di Creonte. La fine della tragedia è la fine

inevitabile del conflitto che si ripropone eternamente, ogni volta che l'

applicazione della regola giuridica si scontra con una realtà sociale e una

valutazione etica che non riconoscono il suo fondamento morale. Antigone

pone il problema perenne della tensione tra la regola giuridica e la sua

interpretazione e applicazione, che consentono al diritto di non cristallizzarsi in

una staticità che può farlo percepire come ingiusto. Ma anche altri conflitti sono

espressi nello scontro tra Antigone e Creonte: quello tra sessi, tra generazioni,

tra individuo e società, tra vivi e morti, tra essere umano e divinità: tutti i

conflitti che tornano come costante dell' esperienza umana. A questo aggiungasi

Page 58: Antigone Articoli

che la tragedia tocca un altro tema, fortemente sentito dalla cultura idealistica e

romantica: l' amore fra fratello e sorella, esaltato come il sentimento più

completo, oltre e al di sopra dell' erotismo. Sono molti, insomma, i motivi dell'

incredibile successo di Antigone fra letterati, musicisti, eruditi e filosofi, in

particolare nel XIX secolo: Hölderlin, Shelley, Hegel, Wagner Ma la popolarità di

Antigone non si esaurì con quel secolo. Nel 1944, sotto il governo Vichy, la

censura tedesca autorizzò a mettere in scena l' Antigone scritta da Anouil nel '

42. Francesi e tedeschi applaudirono, insieme, ma per ragioni diverse. Gli

occupati si identificavano con Antigone, gli occupanti trovavano in Creonte la

giustificazione della loro presenza. Anche per questo, per la sua capacità di

prestarsi a letture continuamente e anche simultaneamente diverse, Antigone è

sempre fra noi.

Cantarella Eva

INCONTRI DEMOSTENE, ROUSSEAU, LENIN: I DISCORSI CHE HANNO FATTO EPOCA

IN UN' INIZIATIVA DELLA «FONDAZIONE CORRIERE DELLA SERA»

Rivoluzionari e tiranni, potere alla parola. Retorica

Page 59: Antigone Articoli

Prima venne Vittorio Sermonti, con le sue letture dantesche che riempivano la

chiesa e il sagrato di Santa Maria delle Grazie a Milano. Poi è stata la volta di «7

poeti per 7 città». Quindi è toccato ai classici, letti da grandi attori e commentati

da figure di spicco della cultura italiana. Adesso la parola passa alla storia. Si

chiama proprio così, «La parola alla storia. Pagine e uomini di ieri e di oggi», l'

iniziativa promossa dalla Fondazione Corriere della Sera che ha preso avvio la

sera del 25 ottobre al teatro Grassi di via Rovello, a Milano. Un ciclo di quattro

serate, occasione per ascoltare passi di opere classiche del pensiero occidentale,

come le Filippiche di Demostene o La guerra del Peloponneso di Tucidide, ma

anche interventi di protagonisti della storia contemporanea, come Winston

Churchill e Lenin. Antichi e moderni, rivoluzionari e tiranni, fianco a fianco,

accostati con discorsi di particolare significato storico e dal forte impatto

retorico. Dopo i primi due appuntamenti, in cui il filologo Luciano Canfora ha

presentato brani che riflettevano su «Politica e disincanto» e su «La riscrittura

della storia», la prossima serata è in programma per domani al teatro Grassi

(ingresso gratuito fino ad esaurimento posti con inizio alle 20.30, per

informazioni telefonare al numero 02/62828027). «Dominare o essere dominati»

è il tema di quest' incontro, per il quale Giovanni Belardelli, docente di Storia del

pensiero politico contemporaneo all' università di Perugia, ha selezionato testi di

Sofocle, Benjamin Constant, Benito Mussolini e Jean-Jacques Rousseau. Si

partirà da un' opera teatrale, con un passo dell' Antigone di Sofocle recitato da

Bebo Storti e Rossana Mola, per poi passare a un estratto del Discorso sulla

libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, un celebre testo di

Page 60: Antigone Articoli

Constant datato 1819. Ma ci sarà anche spazio per il discorso pronunciato da

Mussolini alla Camera il 3 gennaio 1925, che segnò la svolta verso l'

instaurazione della dittatura fascista dopo la crisi del delitto Matteotti; per

concludere con una manciata di pagine tratte dal Discorso sull' origine dell'

ineguaglianza tra gli uomini di Rousseau. L' ultimo appuntamento di questo ciclo

di letture critiche è previsto per la sera del 29 novembre, sempre a Milano,

sempre al teatro Grassi. In quell' occasione toccherà a Gian Antonio Stella,

inviato del Corriere della Sera, presentare una selezione di testi sul razzismo che

saranno poi letti da Bebo Storti. Così la parola torna alla storia. Tino Mantarro

Mantarro Tino

ELZEVIRO JUDITH BUTLER RILEGGE IL MITO

Antigone: l' eros nell' età dell' incertezza

La forza di convivere con la propria fragilità: un tema molto attuale

Sulla devianza di Antigone, la giovane principessa tebana figlia incestuosa di

Edipo che si contrappone al tiranno Creonte per dare sepoltura al fratello ribelle

Polinice, si sono interrogati nel corso della storia occidentale scrittori e filosofi.

L' eroina di Sofocle, come racconta George Steiner, che ha passato in rassegna in

un celebre saggio le metamorfosi di Antigone nel tempo, ha campeggiato

Page 61: Antigone Articoli

soprattutto nell' Ottocento, il secolo della fraternité, quando «le linee radicali di

parentela corrono orizzontalmente, come nel rapporto fratello-sorella». Poi, nel

Novecento, la rivolta verso l' autorità prende il sopravvento, e i rapporti si

verticalizzano, come nella relazione genitori-figli: nell' immaginazione del

Novecento ad Antigone subentra Edipo, sul cui celebre complesso secondo Freud

si fonda quel tabù dell' incesto che regola la legislazione interiore dell' uomo e lo

stesso sviluppo della civiltà. Ma Antigone non esce affatto di scena e ricompare

nei luoghi più impensati: nei cortei pacifisti come nei collettivi femministi e nelle

teorie del differente pensiero femminile, come eroina della resistenza all'

invadenza del potere. È la versione di Hegel a essere presa per buona e

rovesciata: se per il filosofo tedesco Antigone rappresentava quel principio

femminile arcaico e prepolitico che deve piegarsi - o essere piegato - alle leggi

della polis, adesso diventa la figura simbolica che oppone le leggi non scritte del

privato contro la guerra e la violenza, ai codici inesorabili del pubblico. Ora però

Judith Butler, filosofa americana sul campo - sul campo non solo della

speculazione ma anche dell' attualità e dei suoi cambiamenti - nel suo La

rivendicazione di Antigone (Bollati Boringhieri, pagine 128, euro 13)

smonta il mito femminile e femminista di Antigone, tutta cuore e

sentimenti familiari contro la rigidità brutale del governante Creonte,

per presentarci la fanciulla tebana in una nuova ancora più estrema

metamorfosi. Violenta e testarda non meno del suo Creonte, Antigone -

addirittura a partire dalla etimologia del suo nome: anti-generazione -

non ha minimamente il senso della famiglia come noi lo intendiamo - lei

semmai sceglie la parentela con i morti - tantomeno vuole difendere la

Page 62: Antigone Articoli

pace contro la guerra o il principio femminile contro quello maschile.

Anzi, se c' è qualcuno con cui Antigone davvero si identifica non è certo

una donna, come la mite e davvero non violenta sorella Ismene, ma

piuttosto il guerresco e politico fratello Polinice o addirittura il padre

omicida e incestuoso che nell' Edipo a Colono le si è rivolto chiamandola

«uomo», riconoscendo il suo virile coraggio. Butler nel prendere in

considerazione l' estremismo, diremmo oggi, di Antigone ripercorre non solo la

lezione di Hegel ma anche quella novecentesca di Lacan, che sul limite estremo

di un desiderio che non può dirsi senza tradirsi e senza tradire le strutture

simboliche della parentela colloca la fanciulla di Sofocle. Ma per la filosofa

americana le cose non stanno neanche come le mette il celebre psicoanalista

francese. La forza di Antigone, dice Butler, sta nella sua capacità di «deformare»:

non solo le norme della sovranità politica ma anche quelle del genere sessuale e

quelle della famiglia. Anzi, Antigone è l' eroina della parentela in crisi, della

sessualità incerta, rovesciata o trans, delle famiglie di fatto «in cui il posto del

padre è disperso, quello della madre occupato da diverse figure», famiglie in cui

il divorzio oppure l' omosessualità dei genitori, l' Aids, ma anche le migrazioni,

gli esili, lo statuto di rifugiati producono nuclei umani porosi, dilatabili,

eccentrici. Antigone insomma non sfida la legge, è semplicemente altrove

rispetto a quella legge, non si oppone al potere ma chiede e insieme fornisce una

prospettiva critica a chi delimita per ragioni sociali o d' igiene simbolica i criteri

di legittimità per le relazione umane, per gli amori, i dolori, le perdite

riconoscibili. Di fronte a questa Antigone della brillante lettura di Judit Butler,

reincarnata tra i queer, i trans e i soggetti sessuali anomali della fin-de-siècle

Page 63: Antigone Articoli

novecentesca, un dubbio resta e ha nome Sofocle. Se è vero che la torsione che

porta un classico a trascorrere le epoche è necessaria e salutare, talvolta il testo

nella sua nuda e ricca letteralità è più eloquente delle sue più sorprendenti

interpretazioni. Ora, per esempio, che tutte le opere sofoclee sono in corso di

una nuova pubblicazione curata da un' équipe di studiosi internazionali presso la

Fondazione Valla, se si prende in mano il primo volume della serie, Filottete -

tragedia scritta, sembra, da un Sofocle ormai vecchio e bistrattato dai figli - la

crisi della parentela e l' estremismo delle relazioni assumono un volto diverso.

Filottete, abbandonato dai compagni achei in viaggio verso Troia su un' isola

deserta perché ferito e dunque inservibile, nel suo risentimento e nella sua

estrema irriducibilità è certo un affine di Antigone, come lo è colui che lo

dovrebbe riportare insieme al suo invincibile arco sotto le mura di Troia, il

giovane Neottolemo figlio di Achille. Entrambi avversano non solo il potere, ma

la legalità così come l' hanno conosciuta, e ne cercano disperatamente scampo,

soprattutto nella misura in cui ha rigettato l' invalidità di Filottete in nome della

legge dell' efficienza. Ma, come anni fa spiegava in un saggio dedicato al

dramma sofocleo Edmund Wilson e come risulterà dallo scioglimento dell'

intreccio, la vera forza deve saper convivere con la fragilità. Un tema quanto mai

presente alla nostra coscienza postmoderna: senza bisogno di attualizzazione

basta il bellissimo racconto di Sofocle a spiegarcelo.

Rasy Elisabetta

Page 64: Antigone Articoli

CLASSICI UN SAGGIO DI VIDAL-NAQUET METTE IN GUARDIA DALL' ATTUALIZZARE I

DRAMMI ANTICHI: C' ERA POCO DI REALISTICO ANCHE IN ESCHILO, SOFOCLE E

EURIPIDE

Tragedia ateniese. Per favore non scomodate la politica

Trasportare quei testi all' oggi è solo licenza poetica

Pierre Vidal-Naquet vide l' Antigone di Jean Anouilh nell' autunno del ' 44, dopo

la liberazione della Francia. Il dramma era stato già messo in scena nel febbraio,

durante l' occupazione tedesca e, prima e dopo, gli spettatori e lui stesso non

ebbero il minimo dubbio che si trattasse di una rilettura politica e attualizzata

della tragedia di Sofocle. Molti anni dopo, Vidal-Naquet - che si era

avventurosamente salvato nel ' 44 a Marsiglia dalla deportazione nazista mentre

entrambi i genitori furono uccisi ad Auschwitz - sarebbe diventato uno studioso

della Grecia antica dedicandosi con particolare attenzione al mondo della

tragedia, senza però perdere storicamente d' occhio i temi caldi dell' attualità

politica, dai crimini dell' esercito francese in Algeria al negazionismo. Ma dopo

decenni di questa doppia militanza storica è arrivato a una conclusione in

assoluta controtendenza con gli studi sul dramma antico e soprattutto con buona

parte delle sue riletture nel teatro contemporaneo, Anouilh compreso: la

tragedia ateniese non era affatto politica, ed ogni sua attualizzazione

Page 65: Antigone Articoli

altro non è che un arbitrio artistico, una licenza d' autore priva di un

oggettivo fondamento. «Non bisogna cercare di vedere nella tragedia ateniese

uno specchio della città. Più esattamente, se si vuole conservare l' immagine,

bisogna sapere che si tratta di uno specchio infranto: ogni riflesso rinvia a una

realtà sociale e, ad un tempo, a tutte le altre, mescolando strettamente i diversi

codici: spaziali, temporali, sessuali, sociali ed economici»: questa la tesi di fondo,

appunto, di Lo specchio infranto, sottotitolo Tragedia ateniese e politica, una

conferenza diventata un brillante pamphlet che Donzelli propone ai lettori

italiani. Come sottolinea Riccardo Di Donato nell' introduzione - ricordando

anche la messa in scena di Ronconi, qualche mese fa a Siracusa, delle Rane di

Aristofane con sullo sfondo le sagome poi rimosse di Berlusconi, Bossi e Fini -

quella dell' attualizzazione dei testi antichi non è certo una questione per soli

addetti ai lavori: attuali questi testi lo sono per la continuità delle

rappresentazioni - dai grandi teatri alle recite scolastiche - che rinnovano

costantemente emozioni e riflessioni. Ma il punto di Vidal-Naquet è un altro. Non

nega che, per restare alla sola Antigone sofoclea, tra traduzioni più o meno fedeli

e adattamenti più o meno liberi, attraverso le riletture di questa tragedia si possa

fare la storia della coscienza europea, dal momento che ogni opera che arriva dal

passato entra a far parte del nostro presente comune e non solo del campo della

filologia e della storia. Il punto è che a distanza ravvicinata, la distanza cioè che

può permettersi uno studioso come lui che alla decifrazione del mondo antico ha

dedicato la vita, una contraddizione è evidente. Se è vero, afferma, che i greci

hanno inventato la politica - cioè il suffragio, la legge comune scritta, la soluzione

degli antagonismi con giostre verbali - è altrettanto vero che «la letteratura

Page 66: Antigone Articoli

ateniese ha messo, nell' oscurare tale attività, un genio pari a quello che la città

ha impiegato nell' inventarla». Quale la vocazione politica di Eschilo,

Sofocle, Euripide? Testi e biografie alla mano con la provocatoria perizia

dell' intenditore, Vidal-Naquet non ha dubbi: impossibile definirla.

Quanto alle tragedie stesse, la realtà inscenata non è quella della polis: l'

ordine - o il disordine - tragico non è realistico, ma si comporta nei

confronti della realtà allo stesso modo in cui, secondo Freud, procede il

sogno: «contesta, deforma, rinnova, interroga». In altri termini un

passaggio al limite che, anziché testimoniarlo, «mette in questione quello

che la realtà dice e crede». E allora chi si accosta alle tragedie ateniesi

deve guardarsi accuratamente dalle tre tentazioni che lo minacciano: la

tentazione del realismo, della lettura politica e dell' attualizzazione

moderna. Ferma restando la libertà di ogni artista, e di ogni lettore, di

trasportare quegli antichi testi nel proprio presente come più gli piace e secondo

le proprie emozioni e convinzioni, Vidal-Naquet rovescia la prospettiva. Nel

nostro mondo contemporaneo non è stata la tragedia antica a mettere in scena la

politica attuale, ma la politica attuale a riproporre la tragedia antica: «Quel che,

ai miei occhi, riecheggia la tragedia ateniese, non è un dramma teatrale o un

altro, ma al contrario la serie di rappresentazioni politiche all' uso delle masse

che furono i processi di Mosca negli anni 1936-38 o di Budapest Sofia e Praga,

senza dimenticare Tirana, alla fine degli anni Quaranta e all' inizio degli anni

Cinquanta». Elisabetta Rasy Il libro: Pierre Vidal-Naquet, «Lo specchio infranto»,

edizione italiana a cura di Riccardo Di Donato, Donzelli editore, pagine 120, euro

9,50. Il testo sarà in libreria dal 4 settembre

Page 67: Antigone Articoli

Rasy Elisabetta

GIUDIZI / DOPO IL «CASO SIRACUSA»

La grecista Cantarella: Aristofane autore attuale che criticò anche i giudici

MILANO - Dovevano esserci le caricature di Berlusconi, Bossi, Fini e La Russa.

Ma se Ronconi a Siracusa avesse rappresentato invece che Le Rane, Le Vespe

forse ci potevano stare anche Francesco Saverio Borrelli e le «toghe rosse».

«Tutto è possibile quando si rappresenta Aristofane» dice Eva Cantarella,

studiosa del mondo greco e membro del consiglio di amministrazione dell'

Istituto nazionale del dramma antico. «La sua attualità è tale che quasi tutte le

opere si prestano a un' interpretazione in chiave contemporanea. In questo non è

paragonabile a nessun altro autore. Certo, un' opera come l' Antigone di

Sofocle è un impareggiabile paradigma dei rapporti tra individui e potere

ed è diventata a più riprese un simbolo contro ogni tirannia. Ma

Aristofane va oltre. La sua è satira politica a tutto campo. Lo muove un

grande amore per la sua città, l' Atene di 2400 anni fa, di cui constata l'

inarrestabile decadenza. La colpa, secondo lui, è soprattutto dei

Page 68: Antigone Articoli

governanti. Ma prende di mira anche il tessuto sociale, le istituzioni, l'

educazione, la degenerazione della vita civile». Per questo le sue opere

potrebbero essere usate anche dal premier e dai suoi alleati, suggerisce Eva

Cantarella: per stigmatizzare, a colpi di teatro, quelli che considera vizi ed

eccessi degli avversari politici. Come appunto nelle Vespe, dove un figlio cerca di

guarire il padre, un giudice popolare, dalla smania di andare tutti i giorni in

tribunale a condannare senza pietà gli imputati. Per questo lo imprigiona in casa

e mette in scena un fantastico processo al cane per consolarlo, mentre le Vespe, i

colleghi del giudice, così soprannominati per le loro mazze simili a giganteschi

pungiglioni, muovono all' attacco per liberare il vecchio magistrato. «Quella -

dice Eva Cantarella - è una critica all' amministrazione della giustizia in

generale, con i giudici che sono diventati mestieranti soggetti alle varie fazioni.

Tanto che il giudice si chiama Filocleone perché sostiene Cleone, il demagogo al

potere, mentre il figlio, del partito avverso, si chiama Schifacleone. Ma bisogna

tener presente che Aristofane è un aristocratico conservatore, contrario a

ogni innovazione culturale, politica, di costume. Per esempio, è un feroce

antifemminista e anticomunista ante litteram, anche se a volte è stato letto in

chiave opposta. Basta leggere Le donne al parlamento». Qui le mogli dei politici

occupano l' assembla e decidono che tutto è comune: uomini, cose, denaro.

Vengono promulgate regole di uguaglianza del tipo: un uomo prima di avere una

donna bella dovrà giacere con una vecchia o una brutta. Insomma il comunismo è

un errore e il governo delle donne un fallimento. Con buona pace delle pari

opportunità. Cristina Taglietti La vicenda LE CARICATURE Per la scenografia

delle «Le rane» di Aristofane, in cartellone al teatro greco di Siracusa, Luca

Page 69: Antigone Articoli

Ronconi ha pensato di utilizzare alcuni pannelli con le caricature di Berlusconi,

Bossi, Fini e La Russa LA «CENSURA» Dopo le rimostranze dei ministri Micciché

e Prestigiacomo, Ronconi ha deciso di andare in scena senza i pannelli.

Berlusconi gli ha però consigliato di ripristinarli: «Il governo neppure sa cosa sia

la censura»

Taglietti Cristina

IL LIBRO DEL GIORNO

Antigone, una tragedia troppo umana

IL LIBRO DEL GIORNO Nel 442 a.C., nell' Arena di Pericle, Sofocle mette in

scena Antigone. È forse la prima volta che gli spettatori ascoltano il nome della

figlia di Edipo. Venticinque anni prima Eschilo aveva presentato I sette contro

Tebe: in quel dramma i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, si uccidono l' un l'

altro e appaiono Antigone, la sorella Ismene e un araldo che comunica l' ordine

del governo di Tebe di non seppellire Polinice, colpevole di aver combattuto

contro la sua città. Se quei versi, come oggi molti ritengono, non sono di Eschilo,

ma un' aggiunta postsofoclea, la sfida di Antigone è un' invenzione di Sofocle.

Page 70: Antigone Articoli

Edipo, la madre-moglie e i due figli maschi sono nominati da Omero; Edipo e uno

dei figli, Eteocle, appaiono in Erodoto: Antigone, no. Quasi 2500 anni sono

passati da quando la tragedia sofoclea - che pone di fronte Antigone e Creonte, le

leggi divine e umane, l' individuo e lo Stato - è apparsa a turbare le coscienze. Il

tempo non ha offuscato quella figura di donna che puntualmente ritorna con la

sua presenza inquietante quando si manifestano conflitti sociali e intolleranze. E

non stupisce che, soprattutto a partire dalla Rivoluzione francese, il testo

sofocleo sia stato studiato, interpretato, riraccontato. Maria Grazia Ciani

raccoglie in un solo volume l' Antigone di Sofocle, quella di Anouilh e quella di

Brecht. L' Antigone di Anouilh andò in scena nel 1944 con il visto della censura

tedesca, e molti vi scorsero l' apologia del governo collaborazionista di Vichy. Al

polo opposto, Brecht (1948) fece rivivere il personaggio nella cornice della

resistenza antifascista e vi aggiunse alcuni passi corali, «con una finezza lirica

che gareggia con il modello», dice George Steiner, autore di uno studio sulle

interazioni tra il testo di Sofocle e le sue reinterpretazioni nel corso del tempo. L'

Antigone è una tragedia senza dèi, il che ha contribuito alla sua fortuna; ma

forse nel caso di Anouilh tende a diventare troppo umana. Dalla discussione sui

grandi problemi etici si passa alla psicologia di una ragazza non bella che nel

gesto eroico cerca una rivalsa. Forse dell' Antigone di Anouilh si poteva fare a

meno. Luisa Biondetti SOFOCLE ANOUILH BRECHT Antigone - Variazioni sul

mito Marsilio, pag. 186, L. 10.000

Biondetti Luisa

Page 71: Antigone Articoli

TEATRO 2 BRANCIAROLI NON CONVINCE DEL TUTTO

Un delitto per la droga nella citta' di Sofocle

La questione del Bene che finisce col cambiarsi in Male

----------------------------------------------------------------- TEATRO 2 Branciaroli non convince

del tutto Un delitto per la droga nella citta' di Sofocle La questione del Bene che

finisce col cambiarsi in Male In "cos' e' l' amore" di Franco Branciaroli il tema

sofocleo, trattato nell' "Antigone", dell' opposizione tra etica di un governo e

morale individuale, si unisce all' eterna questione del Bene che quasi

alchemicamente a contatto col potere spesso si trasforma in Male. Fatti ispirati

dalla cronaca si intrecciano con il mito per rappresentare la stoltezza di coloro

che seguono pedissequamente le regole imposte da un potere dispotico e la forza

morale di chi urla i diritti del singolo contro un' Autorita' ingiusta. Che nel nome

del bene di una collettivita' impone inequita' e nefandezze. Questi e altri i temi

che nella tragedia - processo l' attore, autore e regista tocca, partendo dalla

morte violenta di un giovane drogato, Polinice, avvenuta, per mano di un

persecutore - educatore (Gianluca Gobbi), in una comunita' , chiamata Citta' del

Sole. Un Antigone uomo (Mauro Malinverno) smaschera l' omicida e recupera il

corpo nascosto in una discarica per riportarlo all' interno della Citta' e chiedere

giustizia ma in un fiorire di dolorose contraddizioni, di prese di posizione piu' o

Page 72: Antigone Articoli

meno opportunistiche o conformiste, come quelle dell' altro fratello Ismene

(Massimiliano Andreghetto), giustizia non ci sara' . Un' idea interessante che non

trova, pero' , il giusto linguaggio per lievitare, la lingua simil - alta, finto - tragica

parlata sulla scena da' un tono di insopportabile enfasi, di artificiosita' e uno

sgradevole sapore di posticcio. Forse se il linguaggio fosse stato piu'

naturalmente "basso", la forza mitica della tragedia sarebbe stata piu' leggibile.

Drammaturgicamente l' opera non si risolve ne' con gli interventi addolorati e

dolciastri della madre, ne' con quelli cervellotici del padre della vittima (Paola

Bigatto e Antonio Zanoletti), immotivatamente chiamati Giocasta e Edipo, ne' con

le conclusioni filosofeggianti di Creonte, lo stesso Branciaroli re - despota della

Citta' animato da perverse ambizioni. Il nudo palcoscenico semicircolare evoca

un gigantesco ventre capace di trasformarsi ora in una camerata affollata di letti,

ora in una sorta di "minuscolo Agora", fulcro della vita della Citta' : un nero antro

che tutto sembra contenere, nascondere e al tempo stesso tutto svelare. Se da un

punto di vista figurativo lo spettacolo offre un apprezzabile rigore, dal punto di

vista recitativo soffre di scompensi. Non tutti i giovani attori sono all' altezza dei

ruoli, va segnalata comunque la positiva e convincente prova di Gianluca Gobbi.

Antonio Zanoletti cerca con intensita' di dare una qualche plausibilita' al suo

fragile personaggio. Uno spettacolo di cui non si puo' non apprezzare l' impegno

civile. Magda Poli COS' + L' AMORE regia di Franco Branciaroli Teatro dell'

Arte, Milano fino al 27

Poli Magda

Page 73: Antigone Articoli

SOCIETA' COMPLESSE E DIFESA DELL' ETICA

QUELLE LEGGI NECESSARIE

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ Societa' complesse e difesa

dell' etica TITOLO: QUELLE LEGGI NECESSARIE QUELLE LEGGI - - - - - - - - - - -

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Antigone, l' immortale eroina dell' omonima

tragedia di Sofocle, rifiuta di obbedire alla legge promulgata dalle autorita' di

Atene, che vieta di dar sepoltura al corpo di suo fratello, considerato traditore e

ribelle allo Stato. Antigone trasgredisce quel decreto, provocando cosi' la sua

stessa morte, in nome delle "leggi non scritte degli Dei", ossia di comandamenti

morali assoluti, che nessuna legge positiva puo' violare senza rendersi

moralmente illegittima e ingiusta. I principi universali dell' etica . da quella

evangelica a quella kantiana, che impone di considerare ogni individuo

come un fine e mai come un mezzo da utilizzare per altri scopi . non

possono essere negati da nessuna legge di nessuno Stato. Richiamare i

valori etici, come ha fatto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 6 ottobre, e'

piu' che mai opportuno, specie in un' atmosfera culturale che tende spesso a

dissolvere o almeno a risolvere la morale nella sociologia e nella politica,

considerando giusto cio' che corrisponde a un presunto sentire comune, ai

Page 74: Antigone Articoli

sentimenti o ai valori di una maggioranza, e considerando dunque giusta una

legge che codifichi le opinioni largamente diffuse. Se cosi' fosse, le leggi razziali

di Norimberga, che sancivano un atteggiamento largamente condiviso, o altre

leggi che in diverse parti del mondo hanno sancito o sanciscono discriminazioni

razziali o d' altro genere, sarebbero giuste e andrebbero rispettate e obbedite

non solo per la forza con cui si impongono ma, anche e prima ancora, per un

dovere morale. Noi invece veneriamo come eroi e martiri i fratelli Scholl o il

teologo Bonhoeffer che, come Antigone, si sono ribellati alla legge dello Stato

nazista che calpestava l' umanita' e in questa ribellione hanno sacrificato la loro

vita. Qualunque cosa pensino i cinici e i realisti da strapazzo, i quali credono che

basti avere pochi scrupoli per essere dei Machiavelli e conoscere la verita'

effettuale delle cose, se il mondo non perisce lo si deve, in buona parte, a chi sa

sentire la voce delle "non scritte leggi degli Dei" e obbedirle, qualsiasi ne siano le

conseguenze e qualsiasi cosa proclamino i legislatori del momento. Non si puo'

pretendere che esistano molte persone come Antigone, non siamo chiamati ad

essere eroi, ma ad essere il piu' possibile liberi e onesti nel piccolo

combattimento quotidiano, il che peraltro non e' poco, una civilta' o anche

soltanto una societa' non e' viva se e' troppo povera di individui capaci di

formarsi una personalita' autonoma, di cercare e fondare dei valori in cui

credere, di darsi dei criteri per riconoscere il bene ed il male, e comportarsi in

conseguenza. Se l' individuo non ha questa volonta' e questa forza, nessun

meccanismo giuridico potra' dargli la capacita' di orientarsi nella vita e di vivere

in modo libero e creativo il rapporto con gli altri e col suo stesso destino; Kipling

direbbe che nessuna norma giuridica puo' fare di lui un uomo. In questo senso

Page 75: Antigone Articoli

giustamente Galli della Loggia sottolinea l' importanza fondamentale della

personalita' individuale. Non credo tuttavia che gli individui siano oggi meno

capaci di scegliere tra il bene ed il male di quanto non accadesse ieri, e

soprattutto non credo che ci sia un nesso fra una pretesa impotenza o almeno

irresolutezza morale e l' espandersi della sfera legislativa e giurisdizionale,

chiamate ad occuparsi di problemi sempre piu' numerosi, in altri tempi lasciati

alla discrezione dei singoli e "alla spontaneita' dei loro comportamenti", come

scrive Galli della Loggia denunciando questa crescente e a suo avviso negativa

ingerenza della legge. Il proliferare del diritto e delle leggi e' inevitabilmente

legato allo sviluppo di una societa' sempre piu' complessa; una tribu' nella

foresta non ha bisogno di un codice stradale, o almeno non di uno cosi'

complicato, anche se si preoccupa di stabilire chi ha piu' o meno diritto di

accesso a un sentiero di caccia. Pure la cessione di un igloo fra gli eschimesi

richiede una regolamentazione meno articolata di quella che e' necessaria al

mercato immobiliare di una metropoli. Non considero affatto rozzi e selvaggi gli

eschimesi, della cui vita e della cui poesia mi e' anzi capitato di scrivere con

ammirazione sul Corriere, ma non considero a priori necessariamente meno

libero e moralmente meno creativo di loro chi acquista o vende immobili

operando all' interno dell' intricata selva di leggi che ordinano la sua attivita' .

Una societa' sempre piu' complessa crea nuovi rapporti tra gli uomini, nuove

forme . lecite o illecite . di confronto e dunque eventualmente di conflitto e dove

c' e' un conflitto, anche solo potenziale, deve esserci un diritto che lo regola e lo

media in modo civile. Le trasformazioni sociali generano nuove possibilita' di vita

e di sviluppo, ma anche di prevaricazione, di sopraffazione, di violenza e dunque

Page 76: Antigone Articoli

c' e' necessita' di nuove norme che tutelino le loro possibili vittime. Armi piu'

potenti richiedono maggiori controlli su chi le usa. Sarebbe insensato deplorare

lo sviluppo tecnologico e sociale che spesso crea condizioni di vita piu' umane

per cerchie piu' vaste di persone, e deplorare la semplicita' dei tempi antichi,

certo piu' semplici ma non certo piu' scevri di oppressioni, ingiustizie e iniquita' .

Una nuova realta' puo' comportare, accanto a vantaggi, nuovi pericoli, che

occorre arginare. La legge e' tutela dei deboli, perche' i forti non ne hanno

bisogno; e' stata la plebe a Roma a chiedere e a ottenere le dodici tavole,

basilari nel diritto romano scritto. La legge non deve rincorrere l' evoluzione

della realta' per mutare i principi che la ispirano, come vorrebbe un malinteso

sociologismo in base al quale l' etica e il diritto dovrebbero adeguarsi

passivamente all' evolversi della realta' , termine vago che non dice niente di

preciso, perche' non si capisce cosa sia questa realta' , cui noi . che saremmo

quindi fuori di essa . dovremmo comunque conformarci. I principi che ispirano l'

etica e il diritto . l' uguale dignita' di tutti gli uomini, la tutela di ognuno di essi

da ogni violenza . non hanno da mutare con i tempi; se si diffonde l' abitudine all'

aggressione razzista, la morale non cessa certo dal condannarla e il codice non

cessa di perseguirla. Ma proprio per la fedelta' ai principi che la fondano, la

legge deve adeguare le sue norme alle nuove forme di violenza che possono

sorgere, ai nuovi problemi che possono venirsi a creare. Gli embrioni congelati e

scongelati diventano individui, che vanno tutelati nei loro diritti alla successione

ereditaria e cosi' via. Chiedere nuove leggi dinanzi a nuovi problemi non significa

abdicare alla morale e all' impegno personale, come mi sembra dica Galli della

Loggia, ma significa dare realta' concreta agli imperativi e ai comandamenti

Page 77: Antigone Articoli

della morale. Certo non bisogna creare nuove leggi superflue, quando per

risolvere i problemi si puo' ricorrere a quelle esistenti e alle potenzialita'

implicite in esse. Ma quando un individuo puo' venire leso da un altro, magari in

nuovi modi e in nuove forme, non si puo' lasciare alla coscienza morale

individuale la decisione se lederlo o no. Anche ogni omicidio e' un fatto morale

prima di essere un fatto giuridico, un peccato prima ancora che un reato, ma la

legge che lo persegue . e che certo non estingue ne' assorbe o supera la sua

dimensione morale, come insegna Delitto e castigo . non e' un arbitrio nei

confronti della coscienza. Nuove possibilita' tecniche di mettere al mondo dei

figli sono soltanto tecniche, ma quei figli messi al mondo hanno diritto all'

assistenza da parte di chi li ha generati e se questi ultimi si rifiutano, arrecando

loro danno, la legge deve costringerli con la sua forza. Ogni legge, col suo

formalismo e la sua autorita' , appare facilmente antipatica; a Don Chisciotte non

piaceva che uomini d' onore si facessero giudici dei peccati di altri uomini e

avrebbe preferito che a difendere i deboli perseguitati fosse la sua lancia di

cavaliere, ma i deboli perseguitati non si sentirebbero abbastanza protetti dalla

sua lancia nobilissima e fragile. Tanta letteratura, anche grande ma ingiusta, ha

guardato con freddezza al diritto, considerandolo arido e prosaico rispetto alla

luce della poesia e della morale. La legge invece ha una profonda e malinconica

poesia; e' il tentativo di calare concretamente nella realta' vissuta le esigenze

della coscienza . un tentativo fatalmente compromissorio, perche' costretto a

fare i conti con i limiti del reale, ma grande proprio per questo arduo e ingrato

confronto con la dura prosa del mondo. Se le "non scritte leggi degli Dei" si

limitano a contrapporsi astrattamente alla legge positiva, possono rivelarsi

Page 78: Antigone Articoli

estremamente pericolose; se per Antigone esse si identificano con un valore che

tutti consideriamo universale, un fanatico puo' considerare un comandamento

divino la voce interiore che lo spinge, in nome della sua morale o religione, a

impedire alle donne di studiare o a sparare a Rabin. Sul piano politico, una pura

moralita' , anche nobile ma non mediata dalla legge, puo' divenire violenza

giustizialista, sino al linciaggio. Chi ha rubato, poco importa se per se' o per il

suo partito, deve andare in carcere (e bisognerebbe una buona volta anche

vedere qualcuno andarci veramente, quando la sua responsabilita' e' stata

accertata e la sentenza e' passata in giudicato), ma deve pagare il suo debito alla

giustizia in base alla qualificazione giuridica del suo reato, non al sentimento o

all' indignazione morale. La legittimita' morale riscalda il cuore piu' della fredda

legalita' , ma la democrazia, ha scritto Norberto Bobbio, si fonda su valori

"freddi" come la legalita' . O meglio, essa si fonda sulla legittimita' solo quando

quest' ultima si e' tradotta in legalita' . Il compito delle "non scritte leggi degli

Dei", osservava un grande giurista come Ascarelli, e' quello di tradursi in leggi

positive sempre piu' giuste e piu' capaci di tutelare gli uomini. Sara' quindi non

solo inevitabile, ma anche bene promulgare tutte le leggi che il corso delle cose

rendera' necessarie. Non e' un lavoro divertente; puo' sembrare cavilloso, ma

richiede fantasia. Gli antichi, che avevano capito quasi tutto, sapevano che ci

puo' essere poesia nel legiferare; molti miti ci dicono che i poeti fondatori sono

stati anche i primi legislatori.

Magris Claudio

Page 79: Antigone Articoli

CLASSICI. L' EROINA DI SOFOCLE SI RIBELLO' A CREONTE PER RISPETTARE UN

ORDINE MORALE SUPERIORE. PERCHE' QUELLA TRAGEDIA, DOPO 2500 ANNI , E'

ANCORA ATTUALE

ANTIGONE La pieta' contro la legge

I comandamenti divini che ci spingono a disubbidire allo Stato " Una norma

razzista non diventa giusta neanche se votata da un parlamento regolarmente

eletto " " La storia esige che tante donne anche oggi seppelliscano fratelli e figli

stroncati dalla violenza umana "

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ CLASSICI L' eroina di

Sofocle si ribello' a Creonte per rispettare un ordine morale superiore. Perche'

quella tragedia, dopo 2500 anni, e' ancora attuale TITOLO: La pieta' contro la

legge I comandamenti divini che ci spingono a disubbidire allo Stato "Una norma

razzista non diventa giusta neanche se votata da un parlamento regolarmente

eletto" "La storia esige che tante donne anche oggi seppelliscano fratelli e figli

stroncati dalla violenza umana" - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Si

apre a Bled, in Slovenia, il convegno del Pen club internazionale dedicato ad

Antigone. Pubblichiamo parte della relazione di Claudio Magris. Negli ultimi due

secoli si sono succedute, nella letteratura di tutto il mondo, innumerevoli

Antigoni. Ogni rielaborazione, commento e ripresa sono un' interpretazione del

Page 80: Antigone Articoli

nodo centrale dell' immortale tragedia di Sofocle, il conflitto fra la legge dello

Stato . in questo caso rappresentata dal decreto di Creonte, che proibisce di dar

sepoltura al cadavere di Polinice, morto mentre combatteva contro la sua citta' e

la sua patria . e le "leggi non scritte degli de' i", il comandamen to etico assoluto

che impone ad Antigone di seppellire il fratello caduto nella guerra fratricida, di

osservare l' eterna legge dell' amore fraterno e universale, e della pietas dovuta

ai morti, legge che nessun diritto positivo puo' infrangere senza perdere la sua

legittimita' . Certo, l' Antigone non e' solo questo; e' anche, nota George Steiner .

autore di un mirabile libro sulle Antigoni (Garzanti) . una summa di tutti gli

essenziali rapporti e conflitti umani: fra vecchiaia e giovinezza, societa' e

individuo, mondo dei vivi e mondo dei morti, uomini e divinita' , ethos maschile e

femminile, amore e sacrificio, sfera dell' intimita' privata e sua profanazione

pubblica, martirio del cuore esposto alla piazza. E la piu' nota espressione dei

valori femminili, elevati a una universalita' che li trascende ma nasce da essi. Ma

l' Antigone e' in primo luogo conflitto fra Antigone e Creonte, fra le due leggi

che, nelle loro persone, si affrontano. Creonte non e' solo un tiranno, perche'

se fosse tale, dice Heidegger, non sarebbe neppure degno di essere

contrapposto all' eroina. Hegel, cosi' turbato dalla sublime figura di

Antigone che egli accostava a quella di Cristo, vede nella sua ribellione

all' ordine di Creonte non solo un comandamento universale, ma anche

un culto della famiglia e dei legami di sangue e dunque un culto

sotterraneo, infero, inferiore, una morale personale e privata cui lo Stato

non puo' sottomettersi, ma che lo Stato, pur tributandole un religioso

onore, deve sottomettere alla propria piu' alta e oggettiva realizzazione

Page 81: Antigone Articoli

dell' universale umano; la famiglia non puo' sovrapporsi allo Stato senza

provocare una regressione. Tragedia non significa, da questo punto di

vista, contrapposizione del bene al male, di una pura innocenza a una

truce colpa, ma e' un conflitto nel quale non e' possibile assumere una

posizione che non comporti inevitabilmente, anche nell' eroismo del

sacrificio, pure una colpa. La grandezza di Antigone, secondo Hegel

infinitamente superiore a Creonte, consiste nel fatto che lei sa che la sua

altissima scelta e' anche colpevole, mentre Creonte lo ignora, almeno

finche' la sventura non travolge pure lui. Va aggiunto che la pietas di

Antigone diventa un valore universale . come in realta' accade, credo, nella

tragedia di Sofocle, quasi in risposta anticipata alle critiche di Hegel . solo se

essa si estende, dai fratelli di sangue, a tutti gli uomini sentiti come fratelli,

superando cosi' ogni ethos tribale nazionale. Per Holderlin, che traduce e riscrive

Sofocle con risultati di incomparabile potenza poetica, l' Antigone e' la tragedia

dell' incontro fra il divino e l' umano, incontro che e' altezza suprema ma anche

lotta devastante, in cui fatalmente l' uomo, essere limitato, trascende e sfonda

distruttivamente i suoi limiti, scatenando una forza vitale illimitata che lo porta

all' autodistruzione. Le eta' rivoluzionarie sono un aspetto storico di questa

tragedia liberatrice e distruttiva, in cui la redenzione che l' eroe individuale

porta nel mondo, abbattendo il suo vecchio ordine oppressivo e instaurandone o

facendone intravvedere uno nuovo e spiritualmente superiore, comporta una

colpa, che il redentore colpevole deve pagare con la morte. La tragedia e'

dunque conflitto fra legge e comandamento morale, i quali hanno entrambi un

loro valore. Ma l' Antigone e' la tragedia, perennemente attuale, del nostro

Page 82: Antigone Articoli

dovere di scegliere tra questi valori, con tutte le difficolta' , gli errori e anche le

colpe che questa scelta, nelle singole circostanze storiche, implica. La legge

positiva, di per se' , non e' legittima, nemmeno quando nasce da un ordinamento

democratico o dal sentimento e dalla volonta' di una maggioranza, se calpesta la

morale; per esempio, una legge razzista, che sancisca la persecuzione o lo

sterminio di una categoria di persone, non diventa giusta, neanche se viene

votata democraticamente da una maggioranza in un parlamento regolarmente

eletto, cosa che potrebbe accadere o e' accaduta. Una violenza inflitta a un

individuo non diventa giusta solo perche' il cosiddetto sentire comune l' approva,

come vorrebbe farci credere una sociologia malintesa. L' antisemitismo in

Germania all' epoca del nazismo o la violenza contro i neri nell' Alabama

corrispondevano certo al sentire di una larga, forse larghissima parte delle

popolazioni di quei Paesi, ma non per questo erano giusti. Talvolta puo' essere

vero quello che grida il dottor Stockmann nel Nemico del popolo di Ibsen: "La

maggioranza ha la forza, ma non la ragione!". E allora bisogna obbedire alle "non

scritte leggi degli de' i" cui obbedisce Antigone, anche se tale obbedienza .

ovvero disobbedienza alle inique leggi dello Stato . possa avere delle

conseguenze tragiche per noi, e pure per gli altri. Ma a questo punto sorge un

interrogativo terribile, a sua volta tragico: come si fa a sapere che quelle leggi

non scritte sono degli de' i, ossia sono dei principi universali, e non invece arcaici

pregiudizi, cieche e oscure pulsioni del sentimento, condizionate da chissa' quali

vincoli atavici? Noi tutti siamo convinti che l' amore cristiano del prossimo, i

postulati dell' etica kantiana che ammonisce a considerare ogni individuo sempre

come un fine e mai come un mezzo, i valori illuministi e democratici di liberta' e

Page 83: Antigone Articoli

tolleranza, gli ideali di giustizia sociale, l' uguaglianza dei diritti di tutti gli

uomini in tutti i luoghi della Terra siano fondamenti universali che nessun

Creonte, nessuno Stato puo' violare. Ma sappiamo anche che spesso le civilta' .

anche la nostra . hanno imposto con violenza ad altre civilta' dei valori che esse

ritenevano universali umani e che invece erano il prodotto secolare della loro

cultura, della loro storia, della loro tradizione, che era semplicemente piu' forte

dei valori di altre civilta' . Quando un Dio parla al nostro cuore, bisogna essere

pronti a seguirlo a ogni costo, ma solo dopo essersi interrogati con la massima

lucidita' possibile se a parlare e' un Dio universale o un idolo dei nostri oscuri

gorghi interiori. Se la maggioranza non ha ragione, come grida Stockmann, e'

facile cadere nella tentazione di imporre con la forza un' altra ragione, che a sua

volta ha solo la forza. La disubbidienza a Creonte comporta spesso tragedie non

solo per chi disobbedisce, ma anche per altri innocenti, travolti dalle

conseguenze. La tragedia, ma anche la dignita' umana consistono nel fatto che a

questo dilemma non c' e' una risposta precostituita; c' e' solo una difficile ricerca,

non esente da rischi, anche morali. Sappiamo tutti che e' illecito imporre o

vietare con la forza la professione di una fede religiosa, costringere o impedire

col fucile di andare a Messa, ma quando, per esempio, dinanzi al seguace di una

setta che vorrebbe lasciar morire il suo bambino piuttosto che fargli una

trasfusione di sangue, noi siamo pronti a intervenire per imporre con la forza

quella trasfusione di sangue che salva il bambino, sappiamo di esser nel giusto,

ma sappiamo anche che quell' intervento e' il primo passo su una strada che

potrebbe portarci a imporre tutte le nostre convinzioni morali con la forza. Non

ci si puo' sottrarre alla responsabilita' di scegliere un valore quale universale e di

Page 84: Antigone Articoli

comportarsi in conseguenza; se si rinuncia a questa assunzione di responsabilita'

, in nome di un relativismo culturale oggi dominante che pone ogni

atteggiamento sullo stesso piano, si tradiscono le "non scritte leggi degli de' i" di

Antigone e ci si fa complici della barbarie. Ma occorre renderci conto di quanto

pesante, tragica sia questa responsabilita' e di quanto difficile sia risolvere tale

contraddizione. Todorov ravvisa in Montesquieu una ideale via di mezzo fra

il giusto relativismo culturale, rispettoso delle diversita' , e il quantum

necessario di universalismo etico senza il quale non e' pensabile una vita

politica, civile e morale. Questo e' il nodo di sempre e piu' che mai di oggi,

della nostra epoca drammaticamente chiamata, come prima nessun' altra, a

conciliare la fede nell' universale col rispetto delle diversita' . Ancora una volta

l' Antigone, dopo 2500 anni, parla a una generazione del suo presente,

parla a noi del nostro presente. Il diritto naturale, con i suoi inviolabili

principi universali umani, si contrappone alla norma positiva ingiusta; la

legittimita' nega la legalita' iniqua. Lo Stato e' servitore del bene comune

e quand' esso invece lo opprime l' ubbidienza alle sue leggi ingiuste

diventa una colpa . un peccato, dicono i teologi . e la ribellione un dovere. Ma,

per non cadere in un' altra colpa, ossia per non travolgere la legalita' .

insostituibile tutela civile e democratica dell' individuo . con una legittimita' che,

proprio perche' vaga e giuridicamente infondata, non sarebbe altro che un'

ideologia potenzialmente totalitaria come ogni ideologia, c' e' un' unica strada,

come ricorda Norberto Bobbio: battersi per creare una legalita' piu' giusta senza

limitarsi a contrapporre le "voci del cuore" alle norme positive, ma facendo

diventare norme, nuove norme piu' giuste, quelle voci del cuore, trasformandole

Page 85: Antigone Articoli

e sottoponendole alla verifica della coerenza logica e delle ripercussioni sociali;

verifica propria a ogni norma e alla sua creazione. Un grande giurista, Tullio

Ascarelli, vedeva nell' Antigone non l' astratta contrapposizione della

coscienza individuale alla norma giuridica positiva, del singolo allo Stato,

bensi' la lotta della coscienza per tradursi in norme giuridiche positive

piu' giuste, per creare uno Stato piu' giusto. Creonte, alla fine, assume

consapevolezza che la sua legge era iniqua ed e' pronto . anche se troppo

tardi . a cambiarla. Le "non scritte leggi degli de' i" vengono scritte in

leggi umane piu' giuste, anche se la loro trascrizione e' interminabile e

sempre, a ogni legge positiva, la coscienza oppone l' esigenza di una

legge piu' alta. La tragedia non e' che questo processo sia interminabile, questa

sua perenne perfettibilita' e' semmai la sua gloria; noi abbiamo piuttosto tante

ragioni per temere che il processo s' interrompa e che paurose ricadute inumane

facciano regredire la storia alla barbarie, la civilta' alla ferocia, la convivenza all'

odio. La tragedia e' che anche i passi in avanti dell' umanita' esigono il sacrificio

di innumerevoli Antigoni, che anche oggi, in questo momento, mentre scrivo

queste parole, continuano a seppellire fratelli, figli, padri, compagni stroncati

dalla violenza degli uomini.

Magris Claudio

La tragedia di Antigone diventa lezione moderna

Page 86: Antigone Articoli

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ TEATRO TITOLO: La

tragedia di Antigone diventa lezione moderna - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

- - - - - - - - Quando nel ' 48 Bertolt Brecht penso' ad un adattamento della

tragedia di Sofocle "Antigone" si riprometteva, come scrisse, di "far fare ad essa

qualcosa per noi". Del resto dal 442 a.C. ad oggi la figlia di Edipo che sfida il

potere per dare degna sepoltura al corpo del fratello, con la forza della sua

ribellione, per dirla con Brecht, ha fatto moltissime cose per noi. Questa donna

sola, impavida e superba nella sventura, che sceglie senza alcun timore il

suo destino di morte, e' diventato il simbolo di chi urla i diritti del

singolo contro la sopraffazione del potere, ci ha parlato della stupidita' e

dell' orrore della guerra e della brama di conquista. A questa poetica figura

il gruppo Sottoteatro di Frontiera ha dedicato lo spettacolo "Storie di Antigone",

elaborazione drammaturgica e regia di Giulio Campari. Il testo, ruotando intorno

a Sofocle e a Brecht, unisce al suo interno anche parole di Ce' line, di Eliot, di

Omero, di Krauss, ricorda i fatti di piazza Tienamen, insomma cerca ancora una

volta di far fare ad Antigone qualcosa per noi. Cioe' di sottolineare, con molta

ingenuita' e con necessita' sincera, il "tragico conflitto uomo potere guerra".

Obiettivo piu' dichiarato che drammaturgicamente centrato: le tessere del

mosaico non riescono a far intravedere il disegno nella sua completezza e spesso

i materiali utilizzati risultano tra loro incompatibili. Sensazione amplificata da

una lettura registica che, facendo a pugni con la "molteplicita' " del testo, ha in

Page 87: Antigone Articoli

se' tutti i logori stereotipi di una messa in scena convenzionale di una tragedia

greca. Ad esempio il potere, Creonte, e' insopportabilmente tonante, le donne

sono quasi sempre sdraiate a terra, prostrate dal dolore, i cori sono in greco

antico per avvisarci che siamo in clima classico. E non basta passare da un luogo

deputato all' altro per creare il ponte tra ieri e oggi, tra mito e realta' . Ma la

scolasticita' della regia e le molte ingenuita' espressive non soffocano del tutto le

qualita' e le potenzialita' dei singoli e del gruppo. Applausi amichevoli. (All' Out

Off fino al 13 maggio)

Poli Magda

IL GRECO TERZOPOULOS IGNORA LA LETTURA MODERNA DELLA TRAGEDIA DI

SOFOCLE E LA RICONDUCE AL RITO RELIGIOSO

ecco Antigone, ma reazionaria

al Teatro Olimpico lo spettacolo " Antigone " di Sofocle, regia di Theodoros

Terzopulos, scene e costumi Georgios Patsas, interpreti Galatea Ranzi, Pino

Micol, Tassos Dimas, Paolo Musio

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ TEATRO Il greco Terzopoulos

ignora la lettura moderna della tragedia di Sofocle e la riconduce al rito religioso

TITOLO: Ecco Antigone, ma reazionaria La cosa non apparirebbe

Page 88: Antigone Articoli

inconsueta se in genere non prevalesse una lettura laicizzante, volta a

fare dell' opera un manifesto contro le prevaricazioni del potere - - - - - - -

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - L' Antigone di Sofocle comincia, come tutti

sanno, con il dialogo nel quale la protagonista espone a Ismene il suo progetto di

ribellione e di pieta' : contravvenendo al divieto di Creonte, sfidando la morte,

dara' sepoltura al corpo di Polinice. E un colloquio segreto ("Ti ho chiamata all'

esterno, fuori del cortile, perche' tu sola udissi", dice Antigone a Ismene); e non

e' certo casuale ne' privo di senso, dunque, che il Coro entri in scena solo quando

le due sorelle ne escono. Se l' ho ricordato e' perche' nell' allestimento di

Antigone realizzata all' Olimpico di Vicenza dal regista greco Theodoros

Terzopoulos avviene esattamente il contrario: non soltanto il coro (come, del

resto, tutte le altre figure della tragedia) e' presente in scena sin dall' inizio, ma i

due attori dalla cui voce ascolteremo in seguito le parole del Coro eseguono,

prima che Antigone e Ismene comincino a parlare, una sorta di lungo prologo

mimico accompagnato e scandito da una serie di "segni" sonori suggestivamente

preverbali. E anche questo, credo, non e' ne' casuale ne' privo di senso. Quale

senso? Direi, schematicamente, quello di un drastico spostamento dell'

attenzione dal momento razionale del testo al suo momento rituale, alla sua

"funzione" religiosa: uno spostamento cui si riferisce, se non mi inganno, lo

stesso regista quando afferma (come si puo' leggere nel programma di sala) che

"gli attori parleranno direttamente a Dyonisos", e nel quale mi sembra lecito

ravvisare la chiave dell' intero spettacolo. E probabile che la cosa non

apparirebbe cosi' inconsueta se non venisse dopo un lungo periodo in cui

nella messa in scena delle tragedie greche e' prevalso invece un

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orientamento laicizzante, volto a spremere dai miti soprattutto il loro

contenuto umano, psicologico o addirittura politico, insomma . per usare

un termine tanto inelegante quanto, temo, insostituibile . la loro

"attualita' "; e questo e' stato particolarmente evidente proprio nel caso

di Antigone, sentita, non senza ragione, come una sorta di manifesto

della rivolta contro il potere, depositario e custode dell' ingiustizia delle

leggi scritte, in nome delle leggi non scritte della solidarieta' e della

pieta' . Ebbene, di tutto questo l' impressione e' che a Terzopoulos non

importi, per dirla con la dovuta brutalita' , un fico secco. Cio' che gli

importa, a giudicare dai comportamenti che esige dagli attori, e' il nesso

fra verbalita' e corporeita' , fra il peso delle parole e le trasformazioni

concrete, concretamente percepibili, che esso provoca nella voce e nei

gesti di chi e' chiamato a pronunciarle. Ne deriva, in positivo, una sorta di

solennita' viscerale, di plasticita' arcaico misterica, estesa sia agli atteggiamenti

dei singoli interpreti sia all' assetto ritmico e visivo dell' intera rappresentazione;

e in negativo, almeno a mio avviso, un tendenziale allineamento di tutta la

partitura verbale al piu' alto livello possibile di declamazione lirica,

oltranzisticamente antirazionale e antinaturalistica, che e' sempre li' li' per

scivolare (quando non ci scivola del tutto) nell' enfasi. E c' e' anche qualche

problema di incongruenza, che forse l' orecchio non italiano del regista fatica a

cogliere, fra il tono assoluto e, come dire?, intransigente della recitazione e la

bella traduzione di Filippo Maria Pontani, ricca di sottili colloquialita' e

sprezzature. Lo spettacolo e' comunque, nell' insieme, piuttosto interessante, e lo

e' proprio nei suoi aspetti (absit iniuria) piu' "reazionari". Lo scenografo Georgios

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Patsas lo ha disposto con sobria efficacia nello spazio intimidente dell' Olimpico,

di cui ha rispettato tutta la monumentalita' proiettando l' azione su una

piattaforma circolare antistante la scena vera e propria; e dello stesso Patsas

sono i costumi, ingegnosamente appropriati alla ieratica intensita' dei movimenti

e delle posizioni (molto bella la visione iniziale dei componenti del Coro immobili

e avvolti in se stessi come insetti pietrificati). Fra i singoli attori, tutti

apprezzabili per disciplina e affiatamento sul piano mimico gestuale, occorre fare

qualche distinzione per quanto riguarda la resa interpretativa o, per dir meglio,

vocale: impeccabile, per chiarezza di dizione e per la capacita' di trattenere l'

enfasi al di sotto del livello di guardia, l' Antigone di Galatea Ranzi; buono, nei

limiti del forse non congeniale antipsicologismo impostogli dalla regia, il Creonte

di Pino Micol; precisi i due portavoce del Coro, Tassos Dimas (che recita in

greco) e Paolo Musio; accettabili gli altri. E stato, la sera della prima, un

successo molto vivo, con un' attenzione evidente nel corso dello spettacolo (due

ore filate) e insistenti applausi finali. ANTIGONE di Sofocle Regia di Theodoros

Terzopoulos. Interpreti principali: Galatea Ranzi Pino Micol Teatro Olimpico

Vicenza fino al 15 settembre

Raboni Giovanni

in polemica con Eschilo e Sofocle, alfieri del potere

teatro programmi. presentata la prossima stagione del CTH ( centro teatrale dell'

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hinterland )

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ CARTELLONE . Tragedie

greche rivisitate da Gianni Rossi, attore regista del CTH di via Olmetto TITOLO:

In polemica con Eschilo e Sofocle, alfieri del potere - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

- - - - - - - - - - - - Beckett, Eschilo, Sofocle ed un pizzico di dialetto milanese nella

nuova stagione del Cth (Centro teatrale dell' hinterland) che, in attesa di una

sede stabile, da anni mette in scena i suoi spettacoli al Teatro Olmetto (al

numero 8.a dell' omonima via). Un cartellone all' insegna dei classici rivisitati.

"Ho sempre visto il teatro greco con atteggiamento critico . spiega il regista

Gianni Rossi, che da quattordici anni dirige il Cth .. Fu un teatro portavoce di

valori che rappresentavano l' ideologia del potere e per di piu' e' riuscito a

influenzare tutta la drammaturgia occidentale, imponendo una cultura basata sul

patriarcato. Basti pensare al sacrificio di Ifigenia, necessario per permettere al

padre Agamennone d' intraprendere la spedizione contro Troia". Si comincia con

il Beckett di "Aspettando Godot", in scena a ottobre e novembre all' Olmetto,

musiche di Franco Ballabeni, interpreti Marco Delle Foglie, Valeria Riva, Monica

Mantegazza e lo stesso Rossi, che cura anche la regia. L' azione e' ambientata

vicino a una discarica, in una periferia metropolitana. "Adulti smarriti nell' attesa

che qualcuno sciolga i loro nodi. Lo Stato sociale? Il partner? L' assessore all'

assistenza? No: Godot!", dice Rossi. Poi, a gennaio e febbraio, il Cth sara' ospite

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al Teatro Aut aut di Roma, con "Le Antigoni", testi di Sofocle, Alfieri, Anouilh e

Brecht, con l' attrice Franca Marchesi che incarnera' il mito di Antigone, visto

come metafora dello sfascio sociale contemporaneo. In marzo e aprile si ritorna

all' Olmetto con la novita' "Una mama e la sua tusa drugada" di Gianni Rossi:

storia di una donna come tante, lasciata dal marito, messa di fronte al dramma di

una figlia eroinomane a causa di una delusione d' amore. Una madre che, "a

differenza di Don Abbondio", tira fuori tutto il proprio coraggio per lottare contro

gli spacciatori e salvare la figlia. Protagonista l' attrice Cristina Colombo, che

ricordiamo al "Franco Parenti" con Dario D' Ambrosio ne "Il principe della follia".

La stagione del Cth si chiudera' a maggio, sempre all' Olmetto, con l'

allestimento della tragedia "Agamennone" di Eschilo. Franco Manzoni

Manzoni Franco

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