ANNUARIO - Liceo Orazio

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LICEO GINNASIO STATALE “ORAZIO” ROMA ANNUARIO n. 2 Anno scolastico 2008-2009

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LICEO GINNASIO STATALE “ORAZIO”ROMA

ANNUARIO

n. 2Anno scolastico 2008-2009

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Stampa: Tipolito Istituto Salesiano Pio XIVia Umbertide, 11 - 00181 RomaTel. 06.7827819 - E-mail: [email protected] di stampare: Maggio 2009

La pubblicazionedi questo numero dell’Annuarioè stata curata dal prof. Mario Carini.

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INDICE

Introduzione ....................................................................................................................................................... 5

PROGETTO “SULLE ORME DI DANTE”

ANNA PAOLA BOTTONI, Introduzione al Progetto “Sulle orme di Dante”..................... 11Viaggio intorno a Dante e ad altri... (Ricerche svolte dagli alunni delle classi I e

II D, coordinati dalla Prof.ssa Francesca Bozzi) ..................................................................... 16MARINA CASTELLANO, Dante ed il Francescanesimo................................................................... 34MARINA CASTELLANO, Dante e la storia ................................................................................................. 37MARINA CASTELLANO, La filosofia nella Divina Commedia................................................... 40MARINA CASTELLANO, La scienza nella Divina Commedia..................................................... 44MARIO CARINI, Un noir nei versi dell’Inferno dantesco: l’omicidio di Guido del

Cassero e Angiolello da Carignano.................................................................................................. 47MARIO CARINI, La valenza “politica” delle simmetrie strutturali nel canto XXVIII

dell’Inferno dantesco.................................................................................................................................... 61MARIO CARINI, Indagine conoscitiva su Dante e la Divina Commedia ......................... 70

VITA DELL’ISTITUTO

Ciao a tutti, sono Gisa.......................................................................................................................................... 93Lavorare a via Isola Bella................................................................................................................................. 95Ragazzi, vi parla Massimo ................................................................................................................................ 97Rina, una voce dalla Centrale........................................................................................................................ 99Il Liceo Orazio e i genitori ............................................................................................................................... 101

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LE ATTIVITÀ REALIZZATE

LICIA FIERRO, Il tema di approfondimento culturale del Liceo Orazio........................... 105I cicli di conferenze nei precedenti anni scolastici......................................................................... 107RAFFAELE CUCCURUGNANI, Partecipazione dell’Orazio al Piccolo Certamen

Taciteum.................................................................................................................................................................. 111ANNA PAOLA BOTTONI, La mia biblioteca .............................................................................................. 114ANNA PAOLA BOTTONI, “La scienza narrata”: esperimenti di scrittura creativa ... 117ADRIANA DE NICHILO, Un progetto civile: il viaggio nella memoria ................................ 119MARIA GRAZIA GIORDANO, L’educazione alla salute all’Orazio.......................................... 124CRISTINA ANGELETTI, L’attività della pallavolo e il laboratorio di tecniche motorie

e sportive nella nostra scuola ................................................................................................................ 127PATRIZIA RICCHIUTO, Progetto “Sapere i Sapori”............................................................................ 129Scambi and study/holiday .................................................................................................................................. 131Navigando fino al 2009 ....................................................................................................................................... 133

CONTRIBUTI DEI DOCENTI

SILVANO SCALABRELLA, La domanda su Gesùnella prospettiva della teologia cristiana dell’ebraismo .................................................. 137

ANNA PAOLA BOTTONI, Riflessioni sulla traduzione e una proposta di CertamenHoratianum ........................................................................................................................................................... 150

MARIA MARCHEI, Simulazioni di lezioni di letteratura greca................................................. 155ANNA MARIA ROBUSTELLI, Le ragioni delle donne: Penelope, Santippe e le altre 164UGO CLAUDIO GALLICI, Mestizajes (mescolanze) ............................................................................ 179ROBERTA CASALDI, L’archivio: dal mondo antico ai giorni nostri ..................................... 184L’esperienza del Naturalismo francese nell’opera letteraria di Giovanni Verga,

elaborato dello studente Francesco M. Orlando (classe III N) presentato dalProf. Giorgio Rizzo ........................................................................................................................................ 197

MARIO CARINI, I bambini nella narrativa di fantascienza: un percorso di lettureper il biennio....................................................................................................................................................... 201

MARIO CARINI, Ricordi di Libia..................................................................................................................... 218

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INTRODUZIONE

L’annuario, che lo scorso anno inaugurava un nuovo filone di pub-blicazioni dell’Istituto, si proponeva di far conoscere una parte dellarealtà scolastica più quotidiana e più informale di quella che può risultaredalla lettura di un POF. Quest’anno, invece, esso risponde a un intentoprimario: quello di far conoscere e divulgare i lavori di studenti e docentiche si sono impegnati nella realizzazione del Progetto “Sulle orme diDante”, finanziato come previsto dalla CM n. 5906/P5 del 28 novembre2007. Precisiamo, tra l’altro, che lo stesso annuario è stato pubblicatocon i fondi erogati per l’attuazione di tale iniziativa.

Parimenti si è ritenuto che esso potesse costituire ancora una voltal’occasione per parlare della vita della scuola, scandita secondo quellevoci o quei momenti, già individuati nel numero precedente. Si fa pre-sente al riguardo che nell’annuario figura solo una parte delle attivitàproposte e realizzate nella scuola per il corrente anno scolastico, senzaprivilegiare volutamente aree o ambiti di pertinenza, anzi diremmo inmodo casuale, così come casualmente si sente parlare di una scuola,magari discorrendo fra amici. Chi voglia avere informazioni sistematichesulle iniziative e l’organizzazione delle attività didattiche, culturali eformative dell’Istituto può consultare il sito web della scuola, indicatosul retro della copertina. È un invito che rivolgiamo ai lettori che deside-rino avere una conoscenza più completa del nostro Istituto.

L’annuario è anche un modo per parlare di scuola, ma anche per farparlare la scuola, attraverso la presentazione di alcune delle sue compo-nenti: quest’anno si è scelto di privilegiare la figura del collaboratorescolastico (ossia il bidello, come era ufficialmente qualificato un tempo).Queste persone che ogni giorno, vivendo a contatto dei nostri studenti,ne raccolgono le confidenze o gli sfoghi, sono osservatori privilegiatidell’ambiente umano in una comunità scolastica e possono leggere nel-l’animo dei giovani forse meglio di noi docenti, ai quali talvolta si frap-pone lo schermo della cattedra nel dialogo con i discenti. Un ingiusto eforse mortificante pregiudizio limita il loro ruolo a quello di modestilavoratori “minori” della scuola, ma non è affatto così. Forse dovremmoconsultarli più spesso, magari tenerli in maggior considerazione, senzadimenticare che anch’essi, come noi, cooperano alla formazione dei gio-

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vani e considerando che ci possono aiutare a inquadrare meglio la perso-nalità dei nostri alunni, soprattutto allorché dobbiamo fronteggiare casiscolasticamente “difficili”. E senza dimenticare, soprattutto, che la loropreziosa presenza è un costante punto di orientamento per tutti.

Anche i docenti hanno peraltro avuto la possibilità di esprimere illoro vissuto, abbandonandosi un po’ alla nostalgia: il Prof. Gallici rievocala mescolanza di culture e lingue che ha permeato i suoi anni giovanilitrascorsi nel Sud e nel Nord del mondo, noi personalmente raccontiamo il nostro primo incarico di insegnante che abbiamo svolto in una scuolaitaliana all’estero, in Libia.

E ora passiamo, più in dettaglio, al contenuto di questo secondonumero dell’annuario, relativo all’anno scolastico 2008-2009. La sezioneche comprende i lavori presentati per il Progetto “Sulle orme di Dante” èaperta dall’Introduzione al Progetto “Sulle orme di Dante”, curato dallaProf.ssa Anna Paola Bottoni; segue il Viaggio intorno a Dante e adaltri..., una serie di ricerche su aspetti della cultura e del pensiero delgrande Fiorentino, svolte dagli alunni delle classi I e II D, coordinatidalla Prof.ssa Francesca Bozzi; appaiono, poi, i contributi della Prof.ssaMarina Castellano, che sono stati oggetto di conferenze tenute aglialunni del nostro liceo: Dante ed il Francescanesimo, Dante e la storia,La filosofia nella Divina Commedia, La scienza nella Divina Commedia;vengono infine due nostre ricerche, Un noir nei versi dell’Inferno dan-tesco: l’omicidio di Guido del Cassero e Angiolello da Carignano e Lavalenza “politica” delle simmetrie strutturali nel canto XXVIII dell’In-ferno dantesco. La sezione “Sulle orme di Dante” è conclusa da un altronostro lavoro, l’Indagine conoscitiva su Dante e la Divina Commedia: in esso abbiamo analizzato i risultati di un questionario somministrato aigenitori di una classe del biennio. Grazie alla loro cortese disponibilità,abbiamo avuto la possibilità di rilevare, attraverso un recupero dellamemoria, quali ricordi abbia lasciato la lettura del capolavoro dantescoin termini di emozioni e impressioni e come venga percepito, in etàadulta, un testo letto negli anni della scuola.

La seconda sezione dell’annuario è dedicata alla vita dell’Istituto ecomprende brevi scritti con cui si presentano i nostri collaboratori scola-stici, Gisa e Luigi, della sede di via Isola Bella, Massimo, di quella in viaSpegazzini, Rina, della Centrale. Conclude la sezione, in rappresentanzadei genitori, uno scritto della Sig.ra Giuliana Piras, docente e membro,per la componente genitori, del Consiglio d’Istituto.

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La terza sezione, quella delle attività realizzate, è un po’ il cuoredell’annuario, perché dà conto, come dice il nome, delle attività (ivicompresi i Certamina di traduzione di autori latini, gare ormai assurte arilevanza internazionale), dei progetti e dei laboratori realizzati nellascuola durante il corrente anno scolastico. Non è stato possibile darconto di tutto quanto è stato fatto, ma ciò che viene indicato mostra cer-tamente la vitalità e l’impegno che quanti operano nella nostra comunitàscolastica mettono al servizio della formazione umana e intellettualedegli studenti. La sezione si apre con la relazione della Prof.ssa LiciaFierro sul ciclo di conferenze da lei annualmente organizzato nella nostrascuola, Il tema di approfondimento culturale del liceo Orazio (il temaprescelto quest’anno è “Umanesimo e Scienza”); seguono le relazioni delProf. Raffaele Cuccurugnani (Partecipazione dell’Orazio al piccolo Cer-tamen Taciteum), della Prof.ssa Anna Paola Bottoni (La mia biblioteca e“La scienza narrata”: esperimenti di scrittura creativa), della Prof.ssaAdriana de Nichilo (Un progetto civile: il viaggio nella memoria, rievo-cazione del viaggio compiuto dalla docente con le classi V E e III G nellager di Auschwitz-Birkenau), della Prof.ssa Maria Grazia Giordano(L’educazione alla salute all’Orazio), della Prof.ssa Cristina Angeletti(L’attività della pallavolo e il laboratorio di tecniche motorie e sportivenella nostra scuola), della Prof.ssa Patrizia Ricchiuto (Progetto “Saperei Sapori”). Concludono la sezione alcune lettere che gli studenti impe-gnati nei soggiorni di studio e negli scambi culturali hanno inviato allaProf.ssa Judith Maria Ciampa, responsabile dell’iniziativa nel nostroIstituto (Scambi and study/holiday) e Navigando fino al 2009, uno scrittosul sito Web del Liceo Orazio, curato dall’ex studente Davide Ballarano,che, dopo gli anni del liceo, ha scelto di continuare a collaborare con lanostra scuola. È giusto dare rilievo alla preziosa attività del nostro Davide(che peraltro è uno specialista dell’informatica), perché permette di avereconoscenza pressoché immediata di tutte le iniziative organizzate dallascuola durante l’anno scolastico e della relativa documentazione.

L’ultima sezione, quella dei contributi dei docenti, appare se non la più nutrita certamente la più varia, contenendo sia articoli di carattereculturale sia scritti memorialistici. I lavori sono quelli del Prof. SilvanoScalabrella (La domanda su Gesù nella prospettiva della teologia cri-stiana dell’ebraismo), della Prof.ssa Anna Paola Bottoni (Riflessioni sullatraduzione e una proposta di Certamen Horatianum), della Prof.ssa MariaMarchei (Simulazioni di lezioni di letteratura greca), della Prof.ssa Anna

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Maria Robustelli, già docente di lingua e letteratura inglese presso ilnostro Istituto (Le ragioni delle donne: Penelope, Santippe e le altre), delProf. Ugo Claudio Gallici (Mestizajes (mescolanze)), della dott.ssaRoberta Casaldi (L’archivio: dal mondo antico ai giorni nostri).1 Chiu-dono la sezione due nostri lavori, I bambini nella narrativa di fanta-scienza: un percorso di letture per il biennio e Ricordi di Libia. La se-zione comprende anche un elaborato di uno studente della classe III N,Francesco M. Orlando, presentato dal Prof. Giorgio Rizzo.

Con l’auspicio di aver realizzato un volume interessante e piace-vole, sperando che il prossimo sia migliore e più esaustivo nel dar contodelle attività realizzate nella nostra scuola, concludiamo ringraziandotutti i collaboratori di questo secondo numero dell’annuario, il nostroDirigente Scolastico Prof. Franza e le maestranze della tipografia del-l’Istituto Pio XI.

Roma, 18 aprile 2009

Mario Carini

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1 Su questo argomento l’autrice ha tenuto una conferenza agli studenti del biennionella sede di via Isola Bella il giorno 12 marzo 2009.

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Progetto“Sulle orme di Dante”

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ANNA PAOLA BOTTONI

Introduzione al Progetto“Sulle orme di Dante”

Nel corrente anno scolastico è stato realizzato il Progetto “Sulle ormedi Dante”, interamente realizzato con i finanziamenti ottenuti grazie allapartecipazione secondo la C.M. n. 5906/P5 del 28/11/2007. Il progetto ènato dalla constatazione che nelle scuole odierne, in generale, lo studiodel poema dantesco è ridotto nella quantità e nella qualità, e dalla conse-guente necessità di accostare gli studenti in modo più adeguato e costrut-tivo all’opera dantesca. Risulta, infatti, piuttosto evidente, nei nostri stu-denti, un disinteresse generalizzato verso l’opera dantesca, che spesso siaccompagna a una conoscenza superficiale, approssimativa e lacunosa deicontenuti della Divina Commedia. Le conseguenze negative più diffusetra gli studenti sono una difficoltà nell’inquadramento storico-culturaledell’opera dantesca nel suo tempo, una concezione erronea e pregiudizialedella medesima come sostanzialmente estranea alla letteratura del Nove-cento e, in generale, alla cultura moderna, una sottovalutazione dell’im-portanza di Dante nell’evoluzione storica della lingua italiana, la scarsaconoscenza delle matrici culturali, storiche e filosofiche della DivinaCommedia, nonché della tradizione letteraria e mitica a cui si collega laDivina Commedia con riferimento al tema del “viaggio”, la scarsa consa-pevolezza della valenza dell’opera di Dante nella formazione di un patri-monio culturale comune alle nazioni europee, l’incomprensione dei valorietici riflessi nel poema dantesco, quali espressione di una moderna menta-lità laica non avulsa dalla dimensione dello spirito.

Il progetto, pertanto, si è posto i seguenti obiettivi didattici: stimolodelle motivazioni allo studio dell’opera dantesca; conoscenza dell’operadantesca quale chiave di accesso e interpretativa delle espressioni cultu-rali del medioevo; conoscenza dei valori etici riflessi nel poema dantesco,quali espressione di una moderna mentalità laica aperta alla visione spiri-tuale; conoscenza delle fonti bibliografiche informatiche più importanti edei portali che consentono l’accesso ai dati di biblioteche informatizzatesu Dante e la sua opera; conoscenza di strumenti lessicografici ed enciclo-pedici danteschi.

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ASPETTI INNOVATIVII Certamina di traduzione di opere latine hannoquasi esclusivamente come oggetto autori latini. Lascelta di Dante è significativa per due aspetti:• la scoperta di Dante autore di opere in latino;• la comprensione della dinamicità, dell’evoluzione

della lingua latina e del passaggio dal latino alvolgare;

• l’acquisizione di competenze traduttive nellalingua latina non solo limitata al periodo classico;

L’innovatività dell’iniziativa è data dalla scelta delpercorso tematico (Dante nella narrativa contem-poranea di facile ma non esclusivamente di consu-mistica fruizione). Esso è finalizzato ai seguentiaspetti:• stimolare la curiosità e il desiderio di conoscere

Dante e la sua opera attraverso letture di partico-lare interesse narrativo (la scelta di Dante qualeprotagonista di intriganti avventure contribuiscea far luce sugli aspetti più affascinanti del Dantepoeta e letterato);

• utilizzare gli elementi riferibili al mondo dan-tesco, presenti nei romanzi, per constatarne laveridicità storico-letteraria e stimolare negli stu-denti la capacità di analisi, critica e discerni-mento del dato fantastico-romanzato da quellostoricamente provato.

La novità del percorso scaturisce dalla necessità disuperare alcuni pregiudizi:• concezione erronea dell’opera dantesca come

sostanzialmente estranea alla letteratura del No-vecento e, in generale, alla cultura moderna;

• peso eccessivamente preponderante della cono-scenza letteraria e storica del Novecento, perce-pita come fenomeno nettamente indipendentedalla cultura letteraria delle origini.

Sono stati individuati, inoltre, i seguenti obiettivi formativi: abilitàal lavoro di ricerca guidata in biblioteca; capacità di raccogliere, selezio-nare e organizzare le informazioni; capacità di distinguere l’elementostorico letterario da quello di pura invenzione nei romanzi della narrativacontemporanea che hanno per protagonista Dante.

Elenchiamo alcune iniziative proposte e quasi tutte realizzate e i lororispettivi aspetti innovativi:

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INIZIATIVECERTAMINA DI TRADUZIONE DELLE OPERELATINE DI DANTE

PERCORSI TEMATICI SU DANTE NELLANARRATIVA CONTEMPORANEA: nei romanzidella paraletteratura che negli ultimi anni sono statidei veri e propri successi editoriali come L’ultimoCatone di M. Asensi o Il Circolo Dante di M. Pearlo i romanzi di G. Leoni (I delitti della Medusa etc.)che hanno come protagonista Dante investigatore.

PERCORSO TEMATICO SU DANTE NEGLIAUTORI DEL NOVECENTO

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Il progetto è stato, dunque, finalizzato ad accostare gli studenti al-l’opera e al personaggio di Dante attraverso una serie di iniziative qualila realizzazione di un Certamen di traduzione di brani tratti dalle operein latino del poeta, di incontri seminariali e conferenze su alcuni temidell’opera dantesca (dalla concezione della storia al pensiero scienti-fico), per gli studenti del triennio, e di incontri laboratoriali sul perso-naggio Dante nelle trasposizioni narrative più recenti, per gli alunni delbiennio.

I percorsi proposti per gli alunni del biennio hanno come obiettivoquello di sviluppare la curiosità e il desiderio di conoscere Dante e la suaopera attraverso letture di particolare interesse. La scelta di Dante qualeprotagonista di intriganti avventure contribuisce a far luce sugli aspettipiù affascinanti del Dante poeta e letterato.

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PERCORSO TEMATICO SUL PENSIEROSCIENTIFICO NELLA DIVINA COMMEDIA

INDAGINE CONOSCITIVA SU DANTE E LADIVINA COMMEDIA: INCHIESTA CONDOTTASUI GENITORI RIGUARDO AI LORO RI-CORDI SCOLASTICI DELLO STUDIO DELPOEMA DANTESCO

Il percorso si propone, invece, di realizzare i se-guenti obiettivi:• rinvenimento e analisi dei riecheggiamenti e or-

meggiamenti di temi e motivi dell’opera dan-tesca nella letteratura del Novecento italiana edeuropea;

• correlazione tra temi letterari del Novecento etemi della tradizione letteraria dantesca;

• lettura di Dante nella prospettiva degli scrittoridel Novecento.

L’aspetto innovativo è costituito dall’apporto deldocente di materie scientifiche, nell’ambito di unlaboratorio di intersezione disciplinare.L’aspetto innovativo consiste nella natura dellastessa inchiesta, lo studio scolastico del poemadantesco (ricordi di interrogazioni, di spiegazioniavvincenti o deludenti, ragioni dell’avversione odell’ammirazione nei confronti della Divina Com-media), che pone in evidenza i seguenti aspetti:• permanenza nella memoria di personaggi, epi-

sodi e versi danteschi come conseguenza di uninteresse stimolato dalla lettura scolastica delpoema;

• lo stile di apprendimento delle precedenti gene-razioni: ragioni di avversione o ammirazione neiconfronti della Divina Commedia;

• indicazioni della perennità dei valori etici e reli-giosi della Divina Commedia.

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Gli incontri, iniziati nel mese di aprile, si sono svolti il giovedì allafine delle lezioni scolastiche con il seguente calendario:

• 2 aprile: “Un noir nei versi di Dante: Guido del Cassero e Angio-lello da Carignano”, un giallo storico narrato da Dante nel cantoXXVIII dell’Inferno. È stata esposta sull’argomento una relazionedal Prof. Carini ad alcuni alunni delle classi biennali nella sede divia Isola Bella.

• 23 aprile: percorso tematico sul personaggio Dante nella narrativacontemporanea: dall’interpretazione esoterica del poeta (es. Ma-tilde Asensi, L’ultimo Catone) a Dante investigatore nella Firenzedel Trecento (es. i romanzi di Giulio Leoni, I delitti della Medusa,I delitti del Mosaico, I delitti della Luce ) o nella narrativa noir (es.Matthew Pearl, Il circolo di Dante; Valerio Massimo Manfredi,L’isola dei morti). La Prof.ssa Bozzi ha tenuto una relazione sultema ad alcuni alunni della I D.

• 30 aprile: percorso tematico sul personaggio Dante nella paralette-ratura e/o nella narrativa mistery (es. Matthew Pearl, Il circolo diDante; Valerio Massimo Manfredi, L’isola dei morti). La Prof.ssaBozzi ha tenuto una relazione sul tema ad alcuni alunni della I D.

Nell’ambito della serie di incontri “La mia biblioteca” la Prof.ssaBottoni ha trattato i seguenti temi: a) Dante e le tradizioni latine-medioe-vali; b) la funzione salvifica della donna angelo da Dante ai poeti con-temporanei (breve excursus).

I percorsi progettuali hanno previsto un ciclo di lezioni seminarialitenute dalla Prof.ssa M. Castellano. Ogni tema trattato è stato sviluppatoin due incontri che si sono svolti ogni mercoledì dalle ore 14.20 alle15.20 presso la sede centrale, a partire da mercoledì 11 marzo. Sono statiaffrontati i seguenti argomenti:

• Dante e il francescanesimo• Dante e la storia• Dante e la filosofia• Dante e la scienza

A partire dal 26 marzo, ogni giovedì, presso la sede centrale hannoavuto luogo, invece, gli incontri di carattere tematico e di approfondi-mento interdisciplinare tenuti dai Proff. Bozzi, Castellan e Gigli. Sonostati trattati i seguenti aspetti dell’opera dantesca:

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• Preumanesimo di Dante: la figura di Virgilio e Catone• Le parole dell’amore in Dante e nei poeti del suo tempo• L’ecclesia spiritualis in Dante e Guicciardini• Scienza e natura ai tempi di Dante

Il 20 aprile dalle ore 10.30 alle ore 13.30 si è svolta presso la sedecentrale la prova della prima edizione del Certamen Alagherianum, consi-stente in un saggio di traduzione di un brano tratto dalle opere latine diDante integrato da un breve commento o da risposte a domande di carat-tere linguistico, storico e letterario (docente referente Prof. Cuccurugnani).

Anna Paola Bottoni(docente referente del progetto)

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Viaggio intorno a Dante e ad altri...(Ricerche svolte dagli alunni delle classi I e II D,

coordinati dalla Prof.ssa Francesca Bozzi)

Questo lavoro su Dante nasce dall’attività degli alunni del I D e del II D, dell’Anno Scolastico 2008-2009, che hanno accolto con entu-siasmo il Progetto “Sulle orme di Dante”. Per i primi si è trattato diun’attività nuova, connessa con lo studio, avviato quest’anno, di Dante,per gli altri, invece, è stata l’occasione per riprendere argomenti giàaffrontati lo scorso anno e di approfondirli. Per quanto mi riguarda misono limitata a suggerire loro, relativamente ai contenuti, alcuni percorsi,quali ad esempio il rapporto di Dante con i classici, o il Progettodell’“Ecclesia Spiritualis” presente nell’autore fiorentino, o la presenzadi Dante in opere di paraletteratura, o ancora, gli aspetti scientifici, pre-senti nella “Divina Commedia”, posti in relazione a quelli elaborati daaltri intellettuali del Medioevo, quali ad esempio Averroé e Fazio degliUberti, o del momento di passaggio dal mondo antico a quello medioe-vale, quali Isidoro di Siviglia, in tal caso fornendo solo degli spunti,perché il lavoro è stato affrontato dai Professori Castellan, di Matematicae Fisica, e Gigli, di Scienze. Altre ipotesi di percorso, quali ad esempio“Le parole dell’amore in Dante”, mi sono state proposte dagli stessialunni e da loro portate avanti con competenza. Infine per quanto ri-guarda la metodologia seguita ho preferito lasciare liberi gli alunni nellescelte da effettuare, mettendo talvolta da parte lo scrupolo filologico, perdare spazio alle loro riflessioni e stimolare il più possibile un approccioallo studio di Dante, oggetto di relazioni anche con altre discipline.

Il primo percorso affrontato ha avuto come argomento “Dante intel-lettuale preumanista, Virgilio, Catone e Stazio”. In esso, analizzando i le-gami tra Dante e Virgilio, alla luce della lettura della IV Egloga (quellache annuncia la nascita del puer), si è posta in evidenza la rivisitazione“stoica” che Dante realizza dell’intellettuale dell’età augustea, molto di-stante dalla dimensione epicurea, propria dello scrittore mantovano. Tale“lettura” stoica ha permesso poi di affrontare la figura di Catone, che,pure se pagano e suicida, viene posto da Dante quale custode del Purga-

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torio. L’aspetto più importante di tale percorso ha riguardato tuttavia lapresenza di elementi medioevali e preumanistici presenti nell’opera diDante e esaminando la formazione culturale dell’Alighieri, avvenuta al-l’interno del Comune attraverso le Arti del Trivio e del Quadrivio e lostudio della filosofia aristotelica, ma anche di altri aspetti del pensiero an-tico e medioevali, quali l’averroismo, il neoplatonismo, filtrato dai mi-stici, ed alcuni aspetti della “Commedia”, si è giunti alla conclusione cheper l’intellettuale fiorentino è importante la felicità dell’uomo, da realiz-zare sia attraverso il viaggio ultraterreno, sia attraverso la partecipazioneattiva alle vicende del proprio tempo e pertanto è possibile estendere in uncerto senso pure a Dante l’idea, appunto, di “intellettuale preumanista”.

Nel secondo percorso dal titolo “Le parole dell’amore in Dante”,proposto con entusiasmo da alcuni alunni del II D, si è toccato appunto iltema dell’amore in Dante, attraverso le componenti della passione (In-ferno, V Canto), del rapporto padri-figli, analizzato attraverso il drammadel conte Ugolino (Inferno, XXXIII Canto) e la speranza di Manfredi(Purgatorio, III Canto) e Nino Visconti (Purgatorio, VIII Canto) e dell’a-more mistico tra Francesco e Povertà (Paradiso, XI Canto).

Il terzo percorso ha affrontato il tema dell’“Ecclesia Spiritualis daDante a Guicciardini”. Questo tema ha offerto l’occasione di riflettere suelementi relativi alla formazione religiosa di Dante, contraddistinta dallavicinanza ad ambienti della corrente degli Spirituali francescani (caratte-rizzata dalla presenza a Firenze, negli ultimi decenni del Duecento, delfrate provenzale Pietro di Giovanni Olivi, lettore di Teologia a SantaCroce, ed interprete delle tesi di Gioacchino da Fiore. Anche se probabil-mente Dante non conobbe personalmente Giovanni Olivi, perseguitato inmolte parti d’Europa a motivo del suo pensiero, che recuperando aspettigioachimiti presentava l’Ordine francescano come una necessità volutadalla Provvidenza per il rinnovamento della Chiesa, la cui “componentecarnale” sarebbe stata oggetto di imminente punizione divina, ricorda nelParadiso, seppure per criticarlo, un discepolo di Giovanni Olivi, Uber-tino da Casale, e nel Purgatorio il maestro di quest’ultimo, Pier Pettinaio,una delle voci degli Spirituali nella Firenze del tardo Duecento) e dall’a-desione al Terzo Ordine francescano, che prevedeva la possibilità per ilaici di vivere la spiritualità francescana per quello che era consentitodalla loro condizione sociale, privilegiando aspetti collettivi propri dellavita del comune. L’esperienza religiosa fornisce quindi a Dante elementidi riflessione fondati sulla centralità dell’uomo, che verranno sviluppati

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poi nel “De Monarchia”, nel quale assegna un ruolo fondamentale allamonarchia universale, che, attraverso la figura dell’imperatore, è stru-mento indispensabile per la realizzazione della felicità terrena, necessariaper il conseguimento di quella ultraterrena, della quale garante è il Papa.Tale aspetto della centralità dell’uomo, del terziario, dell’imperatore con-tribuisce a delineare una fisionomia diversa della Chiesa, lontana dallemire temporali proprie del Medioevo e anticipatrice, per certi versi, di al-cuni atteggiamenti, relativi alla realizzazione dell’uomo nella vita terrenaprima ancora che in quella ultraterrena, o del valore della vita associata,che verranno proposti nell’Umanesimo. Dunque tale riflessione in Dantenon è disgiunta da una critica vivace condotta contro la Chiesa del pro-prio tempo, accusata, come già detto, di essere preda di interessi mon-dani e di essersi allontanata dal messaggio evangelico, polemica an-ch’essa riproposta dagli intellettuali quattrocenteschi e nel Cinquecentoda Guicciardini, che critica la corruzione del clero (Ricordo 28. In essotuttavia l’intellettuale fiorentino scrive che ragioni di “opportunismo po-litico” lo hanno condotto ad assumere incarichi di responsabilità presso ipapi), che valuta positivamente l’azione intrapresa da Lutero contro legerarchie ecclesiastiche e che soprattutto propone valori religiosi condi-visibili anche dai laici, quali l’attenzione per il prossimo, vista nella pro-spettiva del raggiungimento del bene, da parte di quest’ultimo (Ricordo159) o l’idea che la fede (Ricordo 1), identificata con l’ostinazione, per-mette all’uomo di raggiungere i propri scopi. L’esito ultimo dell’EcclesiaSpiritualis di Dante è dunque la visione laica di Guicciardini e di alcuniriformatori italiani, il primo che si fa sostenitore di “ideali laici”, i se-condi che nella maggior parte dei casi colgono della Riforma solo aspetticulturali, prosecuzione a loro avviso dell’Umanesimo e del Neoplato-nismo, e non il potenziale spirituale, che contribuisce, invece, nel restod’Europa a cambiare le coscienze e la società. Ci si è allontanati, quindi,dalla proposta di Dante, attento anche e soprattutto alla spiritualità del-l’uomo.

Infine l’ultimo percorso, quello relativo alla presenza di Dante inopere di paraletteratura, ha fornito un’immagine dell’intellettuale fioren-tino distante rispetto a quella fiera e sdegnosa, proposta a scuola, per pre-sentare una figura diversa, con tratti lontani forse da analisi filologiche,ma utili per avvicinare gli studenti, soprattutto del Biennio, allo studio diDante.

Prof.ssa Francesca Bozzi

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DANTE PRE-UMANISTA

Se vogliamo parlare di Dante e riuscire davvero a comprendere la fi-gura del Sommo Vate è necessario iniziare ricordando la sua vita, e comela formazione che ricevette e poi tutte le esperienze che lo segnarono,prima fra tutte l’esilio, influirono sulla sua opera e sul suo pensiero.

VitaDante nasce a Firenze nel 1265 da una famiglia guelfa di piccola

nobiltà e di antiche origini, ma di condizioni modeste e senza un ruolo dirilievo nella vita pubblica.

Suo precettore nella prima fase della sua formazione (retorico-gram-maticale) è Brunetto Latini, che esercita grande influenza su di lui, in par-ticolare nell’apprendimento delle “artes” del Trivio (grammatica, retorica,dialettica) e del Quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia).

Nelle prime opere poetiche e nella formazione filosofico-letterariaincide molto l’amicizia con gli altri esponenti dello Stilnovo, comeGuido Cavalcanti e Guido Guinizzelli, e la sua permanenza a Bologna, lacui università offre a Dante la possibilità di conoscere le filosofie domi-nanti in quel periodo, come il Platonismo, l’Aristotelismo, il Tomismo el’Averroismo.

Egli frequenta sia la scuola francescana sia quella conventualedomenicana. Ricopre numerose cariche politiche a Firenze, ma vienecondannato nel 1303 in contumacia e per evitare il rogo va in esilio. Inquesto periodo viene in contatto con numerose corti ghibelline delCentro-Nord, in particolare presso i mecenati Cangrande della Scala eGuido Novello da Polenta. Muore a Ravenna nel 1321, avendo da pocoterminato la Commedia.

Quello nel quale Dante opera è, dunque, il contesto medioevale degliultimi decenni del Duecento e dei primi del Trecento, segnato in Italia daprofonde divisioni, nel quale già si possono cogliere i segni di un pro-cesso di laicizzazione della cultura, legati alla nascita delle Università ealle opere di alcuni movimenti letterari (Scuola Siciliana, Siculo-Toscani,Stilnovismo).

Nel contesto medievale è ancora il latino la lingua utilizzata inambito letterario e sarà proprio Dante il primo intellettuale a prendere ledifese del volgare.

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In questo contesto è fondamentale prestare attenzione al modo in cuii classici vengono interpretati, poiché questi ultimi contribuiscono allaformazione degli intellettuali, ed essi stessi ne fanno attento studio.

Interpretazione dei Classici nel MedioevoDurante il Medioevo i Classici vengono letti ed attualizzati attraverso

una lettura che ha caratteri essenzialmente dovuti alla grande importanzadata alla religione nel Medioevo, e quindi principalmente cristiani. L’e-sempio più celebre di questo processo è sicuramente la quarta eglogadelle “Bucoliche” di Virgilio, nella quale il poeta latino narra la nascita diun “puer” che, nell’ottica pagana del tempo, avrebbe dovuto ricondurre il mondo ad una nuova età dell’oro; nel Medioevo, invece, secondo unavisione cristiana, il bambino di cui si narra in questo brano viene interpre-tato come il Messia, che sarebbe in effetti nato sotto l’impero di Augusto.Ma l’opera virgiliana più importante per Dante è l’“Eneide”, in quantol’intellettuale vede in Enea un uomo che, come lui, era stato inviato, pervolere divino, a discendere negli Inferi. Anche l’opera di Platone, però,subisce questo stesso processo di cristianizzazione, perché il filosofogreco viene recepito attraverso l’elaborazione operata dai mistici, cosìcome Aristotele, noto, quest’ultimo, attraverso la mediazione di tipo tomi-stico.

Importantissimo in tale ambito di studio dei classici è pure Cicerone,anche se bisogna considerare che nel momento in cui Dante opera laconoscenza dei suoi scritti è piuttosto limitata e ristretta a poche operefilosofiche e retoriche. È proprio a Cicerone, comunque, che si devel’idea che Dante ha di Catone, del quale il celebre oratore romano esaltala costanza, l’austerità, la dignità morale, la fermezza del carattere, tantoda far sì che sia proprio Catone, un pagano morto suicida, ad essereposto a guardia del Purgatorio. Ed è così quindi che Dante versa il suotributo alla classicità, sulla egli si è formato ed alla quale deve moltis-simo.

Ci sono poi una serie di poeti latini le cui opere vengono nel Me-dioevo studiate in modo approfondito, anche se sempre attraverso unamentalità fortemente influenzata dalla religione cristiana, e che assumonogrande rilevanza anche per l’opera dantesca. In particolare vanno ricordatiLucano (con la “Pharsalia”), Orazio (“Poetria”), Ovidio (“Metamorfosi”),Stazio (“Tebaide”).

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Muovendosi in questo contesto letterario, si può affermare cheDante è un intellettuale medievale, frutto della cultura del suo tempo esono molte le caratteristiche che ci portano a valutare come tale l’autorefiorentino. Un aspetto fondamentale a riguardo è sicuramente la conce-zione religiosa. Infatti in lui riscontriamo i canoni tipici di quella chedurante il Medioevo era definita Fede e alla luce di essa vengono colti,come abbiano visto, molti aspetti del mondo classico.

In contrapposizione o meglio, parallelamente al suo intellettualismomedievale, riscontriamo in Dante elementi che lo fanno apparire quasicome un intellettuale umanista, nonostante viva nel Medioevo. Infatti nel“Convivio” possiamo ad esempio vedere come la lingua utilizzata sia ilvolgare, che Dante aveva già elogiato nel “De Vulgari Eloquentia”. Questascelta risulta importantissima perché è necessaria per ampliare il pubblicodella sua opera a quella cerchia di persone che, per vari motivi e non perloro colpa, non avevano avuto accesso alla cultura. Questo infatti è loscopo che il nuovo intellettuale umanista si propone di raggiungere, inoltrenella Commedia non si prefigge solo il raggiungimento della salvezza edella felicità nella vita ultraterrena, ma già in una dimensione terrena edattuale.

In conclusione, ciò che ci sembra più corretto affermare nel tentativodi definire e comprendere un intellettuale importante come lo è Dante, èche egli altro non sia che un intellettuale pre-umanista, ancora profon-damente influenzato dal suo tempo, ma già precursore di una cultura cheancora non è arrivata. Egli si sa districare bene fra le due epoche di cui èrappresentante. Esprime perfettamente tutto questo nella “Commedia”,nella quale sono presenti tutti gli elementi che fanno di Dante uno dei piùgrandi poeti italiani.

Eleonora Accorsi, Valeria Chiaula e Tommaso Accarpio (ID), Giulia Filippo (IID)

DANTE E VIRGILIO

Il Virgilio dantesco non è certamente il personaggio reale, vissutonell’età augustea, ma una figura ideale che risultava dai concetti propridel periodo sopracitato. Il grande poema dantesco è tale che in esso, tantoper la stessa finzione poetica, quanto per il modo come questa è trattata, lapersona e la soggettività dell’autore è tenuta di vista continuamente. Lascelta dunque delle simboliche guide non può essere stata fatta a caso, né

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determinata da ragioni esterne, ma è stata suggerita all’autore fiorentinodalla storia del suo pensiero e della sua coscienza. Se Dante avesse volutofare un poema puramente didattico, in cui dare poco o alcuno spazio alleproprie vicende, avrebbe potuto scegliere altri personaggi, od anche,come altri avevano fatto in casi simili e il simbolismo medievale invitavaa fare, orientarsi su nomi d’idee personificate, quali, ad esempio, Pistis eSofia o altri di tal natura, al posto di Beatrice e Virgilio. Ma le caratteri-stiche della Commedia sono contraddistinte dal rapporto profondo del-l’opera con la storia del pensiero e degli affetti danteschi, cioè con il suomondo, e Dante ha individuato in tale patrimonio intellettuale e senti-mentale due figure che gli sono state realmente vicino in varie vicende ehanno potuto assumere il ruolo di guide nel viaggio ultraterreno.

Virgilio, tuttavia, pur seguendo il processo del pensiero dantesco, èrimasto sempre un personaggio reale e concreto e non soltanto un puronome segno d’idee e di affetti. Egli è l’autore più amato da Dante, chetrova in lui spunti per la sua riflessione e inoltre interpreta elementi pre-senti nella cultura medioevale inerenti proprio all’opera di Virgilio, dellaquale apprezza, in modo particolare l’“Eneide” che gli fornisce la chiaveallegorica, attraverso il racconto del viaggio di Enea, delle peregrinazionidell’anima per il raggiungimento della salvezza. Inoltre Dante è attentoalla celebrazione dell’Impero, proposta sempre nell’“Eneide”. Tuttavia ilVirgilio presentato da Dante nella “Commedia” è un’anima morta, chedimora da secoli nel Limbo e come tale giudica il proprio tempo, definitoquello “degli dei falsi e bugiardi” (Inferno, I v. 72): è quindi lontano dalVirgilio storico, che aveva nutrito simpatie per l’Epicureismo, frequen-tando anche scuole che si ispiravano ai principi di tale filosofia, condan-nata nel Medioevo, perché materialista.

Valerio Cellai, Davide Ricci, Andrea Rizzo e Manuele Vaio (ID)

DANTE E LA LETTERATURA SCIENTIFICA

L’averroismoDante viene a contatto con l’averroismo grazie alla frequentazione

di intellettuali influenzati da tale corrente filosofica, quali ad esempioCavalcanti e forse durante un probabile soggiorno a Bologna, nella cuiuniversità veniva studiata la dottrina di Averroé che rimarrà fondamen-tale nella formazione del pensiero dantesco.

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L’averroismo prende nome dalla dottrina del medico e filosofoarabo-andaluso Averroé (1126-1198) principale interprete arabo di Ari-stotele. L’opera filosofica più importante di Averroé fu “L’incoerenzadell’incoerenza”, in cui egli prese le difese della filosofia aristotelicacontro le critiche esposte da al-Ghazali nel trattato “L’incoerenza dei fi-losofi”, in cui si sosteneva che il pensiero di Aristotele, e la filosofia ingenerale, fossero in contraddizione con l’Islam. Secondo Averroé, invece,in tale ambito vigevano due generi di scienze: le scienze islamiche,basate sul Corano, sulla legge islamica e sulle tradizioni musulmane, e lescienze straniere, comprendenti la scienza e la filosofia naturale dell’an-tica Grecia. Averroé fu un mutakallimun ossia colui che si occupava del“Kalam” vale a dire “un’indagine su Dio, sul mondo come creazione diDio, e sull’uomo come creatura speciale posta da Dio nel mondo con deidoveri verso il suo creatore”.

I mutakallimun cercavano di trovare dei sostegni alla verità rilevata edi conciliarla con la razionalità utilizzando la filosofia greca, mai co-munque studiata per se stessa, ma come sostegno all’interpretazione reli-giosa. Averroé credeva che la scienza potesse servire per comprendere inmodo più ampio il Messaggio Divino del Corano mentre per i tradiziona-listi religiosi sembrava blasfema l’idea stessa che la filosofia greca fossenecessaria per difendere l’Islam e il Corano. Infatti Averroé affermò chetra religione e filosofia non vi è alcuna conflittualità, poiché le eventualidivergenze, sono riconducibili solo a differenze d’interpretazione, o megliole due discipline perseguono due strade per raggiungere la stessa verità:quella religiosa si basa sulla fede e non può essere testata e non richiedeuna particolare formazione per capirla, mentre quella filosofica è riservataa una élite di pochi intellettuali capaci di approfondire studi difficili.

I filosofi, sostenne Averroé, hanno il pieno diritto di studiare la reli-gione utilizzando gli strumenti della ragione, perché l’Islam non lo vieta.

Dante presenta Averroé tra gli “spiriti magni” al di fuori dell’Inferno(If. IV), e lo ricorda nel Purgatorio (XXV, 63) dove viene respinta la tesidell’intelletto separato, nel Convivio (IV, 13, 8) e nella “Monarchia” (I,3, 9).

Daniele Mocavini (ID)

Isidoro di SivigliaIsidoro è nato forse a Siviglia verso il 560, da genitori cattolici,

ispano-romani. Visse in Spagna sotto la dominazione dei Visigoti.

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Vescovo di Siviglia, nel corso del suo episcopato compilò oltre dicias-sette opere sugli argomenti più vari. Non a caso è considerato il più ce-lebre scrittore latino del settimo secolo, anche se si era limitato ad unaraccolta e ad una rielaborazione di materiale redatto da altri: è conside-rato insieme a Boezio e Cassiodoro il “grande maestro del medioevo”.Esercitò il suo massimo influsso con la prima enciclopedia cristiana inti-tolata “Etymologiae”, in 20 libri, che fu testo obbligatorio nelle scuolemedioevali quando il mondo, al dire di Dante, viveva “sotto l’ardentespiro di Isidoro” (Par. X, 130).

Eleonora Ceralli e Eleonora Testa (ID)

DittamondoFazio degli Uberti, bisnipote del celebre Farinata cantato da Dante

nell’Inferno (Canto X), nacque tra il 1305 e il 1309 a Pisa. Per problemidi fazione politica (la sua famiglia era stata esiliata da Firenze) fu sempreesule di città in città. Lo troviamo attivo infatti a Verona, alla corte Scali-gera, in missione diplomatica a Genova per conto di Luchino Visconti, esempre al seguito della famiglia lombarda a Bologna. Incerta è la datadella sua morte che molto probabilmente avvenne dopo il 1367, anno delsuo nuovo trasferimento a Verona.

Fazio degli Uberti è l’autore del “Dittamondo”, un poema allegoricocon intento didattico, in terzine dantesche, scritto in diversi intervalli ditempo tra il 1345 e il 1367 e rimasto incompiuto. Il titolo originale in la-tino è “Dicta Mundi” cioè “detti del mondo”, ma la forma corrente, atte-stata già in tempi antichi in molte rubriche di manoscritti, deriva da unadattamento in volgare della formula latina sulla scia di quanto accadutoalla parola “mappamondo”.

Il modello che Fazio degli Uberti seguì nell’impostazione del pro-prio poema è la Commedia di Dante. Questo fattore è evidente, come giàvisto, nella preferenza del metro (le terzine dantesche), nella strutturaorganizzata in libri e canti (o capitoli) e anche nella scelta linguistica,modellata sulla lingua del Dante “comico”. Esemplari di quanto dettosopra sono i primissimi versi del Dittamondo dove il poeta sembra quasivoler omaggiare e quindi ricalcare l’incipit della Commedia:

Non per trattar gli affanni, ch’io soffersinel mio lungo cammin, né le paure,di rima in rima tesso questi versi;

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ma per voler contar le cose oscurech’io vidi e ch’io udio, che son sì nove,ch’a crederle parranno forti e dure.

(F. degli Uberti, Il Dittamondo, libro I, cap. I, vv. 1-6)

In comune con Dante vi sono anche alcune tematiche quali adesempio il racconto del viaggio in prima persona, o la guida scelta traun’auctoritas del mondo classico (nel caso di Fazio degli Uberti CaioGiulio Solino, autore del III secolo d.C. molto studiato nel Medio Evo,ricordato per “Collectanea rerum Memorabilium”, meglio noti al tempocon il titolo di “Polystor”), nonché le polemiche anticuriali e pro impera-tore di memoria dantesca che si sviluppano in un importante sistema divisioni premonitrici e profezie, mentre è quasi del tutto assente nel poetapisano l’aspetto ultraterreno che caratterizza invece il poema dantesco.

Il “Dittamondo” è un’opera ricercata ed erudita che risente della ri-presa degli studi di geografia in periodo tardogotico. Fazio, con ilviaggio che compie attraverso la Terra, intende fornire il maggior nu-mero di notizie, sia nel campo della “fisica” dei luoghi che in quellodell’“antropologia” dei popoli che abitavano il pianeta.

Per la ricchezza di riferimenti eruditi, di notizie storiche, mitolo-giche, per le notizie di botanica, zoologia e geografia, il Dittamondo di-ventò subito un testo colto meritandosi diverse chiose ed è importanteper cogliere i tentativi di indagare la natura caratteristici del Medioevo.

Alessandro Cavalletti e Federico Zanniello (I D)

LE PAROLE DELL’AMORE IN DANTE

La parola Amore ha assunto nella storia dell’umanità i significati piùdiversi ed è stata analizzata in ogni sua sfaccettatura. Dante ci propone di raccontarci l’amore attraverso le vicende di dannati, penitenti e beati,facendoci percorrere un’immaginaria scala dell’amore tramite la qualeepurarsi dapprima delle sue concezioni sbagliate, per poter giungere allasublimazione di questo stesso, nella forma dell’amore verso Dio, la carità.

Tra le svariate forme dell’amore che Dante ci racconta, troviamol’amor filiale, anch’esso analizzato in vari aspetti che lo caratterizzano.Quello che è forse il più famoso esempio di questo tipo d’amore, lo ritro-viamo all’interno del XXXIII canto dell’Inferno, con la triste vicenda del

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conte Ugolino, dannato “residente” nel 9° girone dell’Inferno in quantotraditore della patria. Reo infatti di aver lasciato il governo di Pisa nellemani dei guelfi, fu poi raggirato dalla figura dell’arcivescovo Ruggeri, ilcui teschio sta rodendo quando Dante lo incontra. Preso dal popolo per lesue colpe, Ugolino venne imprigionato nella torre dei Gualandi (torredella Muda, anche detta Torre della Fame), ed è qui che si svolgono ifatti narrati dal Conte stesso a Dante. Rinchiuso nella torre insieme aifigli e ad alcuni dei nipoti, fu colto da un sogno premonitore che gli fecepresagire la successiva sventura che condusse tutti loro alla morte; infattipoco dopo l’uscio della porta venne inchiodato, in modo che neanche il cibo potesse essere passato ai prigionieri.

Il finale della vicenda è volutamente ambiguo. Ugolino dirà infatti:“...Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi, / dicendo: «Padre mio, ché non miaiuti?» / Quivi morì; e come tu mi vedi, / vid’io cascar li tre ad uno ad uno/ tra ‘l quinto dì e ‘l sesto; ond’io mi diedi, / già cieco, a brancolar sovraciascuno, / e due dì li chiamai, poi che fur morti. / Poscia, più che ‘l dolor,poté ‘l digiuno” (Inferno, XXXIII, vv. 68-75).

Quest’ultima frase è stata infatti oggetto di molteplici interpretazioni.Secondo alcuni critici Ugolino intende dire che riuscì a sopravvivere aldolore della morte dei figli, ma non al digiuno, che lo uccise. Un’altrainterpretazione vuole, però, che la fame superò il dolore per la morte deifigli e che quindi si cibò delle loro carni morte per sopravvivere il piùpossibile, proprio come gli aveva consigliato uno dei “figlioli” con lui im-prigionati prima di morire, dicendo: “«Padre, assai ci fia men doglia / se tumangi di noi: tu ne vestisti / queste misere carni, e tu le spoglia»” (Inferno,XXXIII, vv. 61-63).

Come potremo notare ancor di più per contrasto con le vicende deipadri penitenti nel Purgatorio, l’amore che Ugolino prova per i figli deiquali ha in qualche modo causato la morte, si mescola col rimorso e sirende più importante dell’amore che egli avrebbe dovuto riversare versoDio. È però allo stesso tempo un amore più sincero, che non ha alcunsecondo fine.

Nel III e nel IV del Purgatorio infatti troviamo le figure di Manfredi,Re di Sicilia e figlio di Federico II, e di Visconti. Entrambi chiedono aDante di riferire alle rispettive figlie la loro situazione di penitenti, af-finché preghino per loro abbreviando così la loro permanenza nel Purga-torio e avvicinandoli al Paradiso. Manfredi chiede inoltre a Dante di ras-sicurare la figlia, la quale lo credeva un dannato, in quanto morto da sco-

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municato. In questo caso l’amore filiale non si manifesta tanto come rim-pianto per chi si è perduto, quanto come una via che permette di accedereall’amore per Dio e quindi alla beatitudine.

Possiamo infatti dedurre dalla Divina Commedia due ideali scale,facilmente riassumibili in schemi piramidali, che stanno in stretta corre-lazione tra loro: la già citata scala dell’amore, con evidenti riferimenti aPlatone, e una scala o piramide letteraria.

Dante suddivide quindi il processo amoroso in tre ideali fasi, le qualicorrispondono a tre fasi della letteratura di cui egli è stato più o menopartecipe. Tali fasi vengono esemplificate nella Divina Commedia tra-mite alcune precise parole, appunto, le parole dell’Amore in Dante.

L’esempio più noto e più bello dell’Amore Carnale, prima fase delprocesso amoroso, è sicuramente quello di Paolo e Francesca. Troviamoquesti due dannati all’interno del primo girone infernale, quello dei lussu-riosi, un canto permeato in tutta la sua interezza dalle passioni terrene edalle loro tragiche fini. “Stavvi Minos, orribilmente e ringhia” leggiamoinfatti in uno dei primi versi del canto (Inferno, V, v. 4). Si parla di Mi-nosse, padre putativo del mitico Minotauro che la moglie aveva avuto dalrapporto sessuale con un toro. Costui è posto a guardia di questo primogirone. Superatolo, Dante si trova davanti ad una schiera di dannati trasci-nati su e giù da un vento infernale, proprio come nella loro vita furono tra-scinati solo dalle passioni dei sensi. Virgilio nominerà uno ad uno questidannati, tra cui spiccano Elena di Troia, Semiramis, regina babilonese,“che libido fe’ licito in sua legge” (Inferno, V, v.56), ovvero che rese leggei suoi costumi lussuriosi per non doversene vergognare, e Didone, amantedi Enea. E proprio “nella schiera ov’è Dido” (Inferno, V, v. 85) troviamodue anime che Dante nota poiché sembrano volare più leggere “quali

Carità

Amoreper la

Donna-Angelo

AmoreCarnale

DivinaCommedia

DolceStilnovo

PoemiCavallereschi

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colombe” (Inferno, V, v. 81). Si tratta ovviamente di Paolo e Francesca,che accettano la richiesta di Dante e cominciano a conversare con lui.Grazie a Boccaccio, sappiamo che si tratta di Paolo Malatesta e Francescada Polenta. Questa era la moglie del fratello di lui, Gianciotto da Polenta,signore di Rimini. Il matrimonio però, era stato deciso dai genitori per ra-gioni politiche e, come se ciò non bastasse, i Malatesta l’avevano ingan-nata facendole credere che avrebbe sposato il bellissimo Paolo.

All’altare si ritrovò invece Gianciotto (il quale, come chiaro già dalnome, era storpio), ma essendosi lei e Paolo innamorati a prima vista lapassione tra i due continua a crescere finché quando un giorno si trovanoa leggere assieme dell’amore tra Lancillotto e Ginevra, Francesca dirà“la bocca mi baciò tutto tremante” (Inferno, V, v. 136).

Sappiamo che Dante conobbe quasi sicuramente Paolo nella sua vita,tanto che il Dante Agens (ovvero il Dante personaggio della Commedia enon il Dante scrittore), riconosce senza presentazione alcuna Francesca,solo dalle sue parole. Alla fine del racconto di questa, Paolo infatti staràsempre zitto a piangere, Dante sviene, tanta la pietà che prova per loro.

Sembra che lo stesso autore ci suggerisca un’osservazione: checolpa avevano queste due anime? Francesca era infatti stata ingannata, enutriva del vero Amore per Paolo. Un amore che non si esauriva nellasoddisfazione delle carni, dato che nessuno dei due rimpiange la loroscelta e ancora all’Inferno volano insieme. “Che mai da me fia diviso”(Inferno, V, v. 135) dice Francesca. Allora in che consiste veramente lacolpa dei due dannati? La questione può essere analizzata in più livelli.Innanzitutto bisogna spiegare i peccati più evidenti, ovvero la rottura delsacramento di matrimonio da parte di Francesca e l’aver sottomesso “laragione al talento” (la ragionevolezza all’istinto) da parte di entrambi.Bisogna però ricordare che la Divina Commedia è anche un’opera pedago-gica e ciò che più preme a Dante è insegnare come l’amore debba esserevissuto perché conduca alla beatificazione. Quindi Paolo e Francesca rap-presentano il paradigma dell’Amore riversato soltanto nei confronti di unaltro essere umano: essi non solo non esitano a cedere agli istinti sul mo-mento, ma neanche dopo la morte rinnegano il loro amore. Porli tra i pec-catori serve quindi a Dante per illustrare il primo gradino della Piramidedell’amore e condannare chi si arresti solo a questo, condannando cosìanche i poemi cavallereschi di cui i due sono chiara idealizzazione, nonsolo perché si baciano proprio leggendo di Lancillotto e Ginevra, ma ancheperché Francesca viene descritta da Dante come la classica dama di corte.

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Con Paolo e Francesca Dante riesce quindi, riassumendo, a illu-strarci il primo gradino del processo amoroso e, mostrando cosa causal’arrestarsi a questo, ad epurarci dall’errore e predisporci al passo succes-sivo, ovvero l’amore per la donna angelo, presente nel dolce stilnovo.

Quest’amore è fortemente vissuto da Dante nella sua vita, ma anchedal Dante Agens nella Divina Commedia, attraverso la quasi adorazionenei confronti di Beatrice. Si tratta di un amore che si soddisfa di sestesso, in quanto non serve che sia ricambiato, diretto verso la spiritualitàdella persona soggetto d’amore che viene innalzata sopra il livelloumano. Il rischio, che Beatrice nel Purgatorio fa ammettere a Dante, è disostituire la donna a Dio, facendole perdere il ruolo di tramite per Dio.Dante nella Divina Commedia riesce a superare questa fase, come d’al-tronde supera la sua fase stilnovistica, sublimando così l’amore terrenoin quello per Dio. Il suo amore cortese nei confronti di Beatrice lo avviainfatti sulla strada del sommo bene, benché non compia l’ultimo passo, ilpunto più alto dell’ideale scala d’amore, la carità.

Con carità si intende un amore il cui soggetto è Dio, rivelato all’uomosia dalla ragione che dalla rivelazione e intuito tramite l’osservazione dellesue opere. Questo amore non esige contropartite e accetta ogni scelta di Dio, è quindi un atto d’ubbidienza al Signore, però dettato dal liberoarbitrio, quindi non per costrizione, ma per puro amore verso di Lui.

Leggiamo infatti nel 21° del Paradiso: “Ma l’alta carità, che ci faserve / pronte al consiglio che ‘l mondo governa, / sorteggia qui sì cometu osserve” (Paradiso, XXI, vv. 70-72). Ovvero l’amore (alta carità)spinge a eseguire la volontà di Colui che regge il mondo, realizzando conpiacere i compiti che a ciascuno vengono assegnati per attuare l’ordineprovvidenziale universale.

Nel Purgatorio, possiamo anche leggere:“Quello infinito e ineffabil beneche là su è, così corre ad amorecom’a lucido corpo raggio vene.Tanto si dà quanto trova d’ardore;sì che quantunque carità si stende,cresce sovr’essa l’etterno valoreE quanta gente più là su s’intende,più v’è da bene amare, e più vi si ama”. (Purgatorio, XV, vv. 67-74)

Dio, quel bene infinito ed indicibile che è nei cieli, si concede pron-tamente all’anima che arde d’amore così come un raggio di sole corre

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verso un corpo capace di rifletterlo. Tanto più si concede quanto piùgrande è l’ardore (dell’anima verso di Lui); così che, nella misura in cuil’amore si dispiega nell’anima, cresce sopra di essa la luce divina.

Dio quindi si concede all’amore caritatevole senza remore e chi haquesto desiderio nei suoi confronti è illuminato dalla luce divina.

Per questi motivi, vedremo a breve, la carità è fondamento dell’or-dine del cosmo.

La carità in Dante infatti assume poi diverse accezioni a seconda deipiani in cui viene collocata. Nel piano individuale costituisce le fonda-menta del sistema morale. Nel piano dei rapporti fra uomini è base del-l’ordinamento politico. Nel piano universale, è fondamento dell’ordinedel cosmo, in quanto l’amore-carità di Dio è ciò che regge il mondo. Maandiamo ad esaminare uno ad uno questi punti. L’amore-carità costi-tuisce le fondamenta del sistema morale poiché l’amore naturale ed exanimo è un amore responsabile, ovvero voluto, base del comportamentoumano. Questo amore voluto, in quanto disposizione ad amare e ad averepiacere (a ricercare l’unione con la cosa amata, come in Platone) è bene,ma non tutti gli oggetti amati sono buoni. Quindi la ragione lavora sulsentimento d’amore indirizzandolo verso cose buone e la ragione puòpermetterci di arrivare al piano più alto dell’amore, quello verso Dio, cheè poi la carità. Perciò la morale umana si basa sull’orientamento giustodell’amore tramite la ragione.

L’impero poi è un’istituzione antiegoistica con fine nella felicitàumana, basato quindi sull’amore per l’uomo e sulla carità. Si tratta deltrionfo della cortesia contrapposta all’avarizia mercantile della lupa.

Non solo la carità ha creato il cosmo ed è ora principio formale delregno beato: l’amore è ciò che governa il mondo in ogni sua parte.Amore è infatti la assoluta tensione verso Dio di tutto il cosmo, è l’or-dine che rende l’universo simile a Dio. L’amore-tensione a Dio regola imovimenti dei cieli, il succedersi delle stagioni, al vita dell’universoperché raggiunga il suo fine prefissato.

La carità può manifestarsi nella storia del singolo e dei popoliperché è principio che regola il cosmo e la storia dell’universo. Come ab-biamo visto prima nel ventunesimo del Paradiso e nel quindicesimo delPurgatorio, è l’amore verso Dio che, più è grande, più ci illumina. Allostesso tempo la creazione in sé è un atto di amore di Dio, che non ci creaper ottenere risultati, ma solo per carità.

Francesco Aliberti, Giulia Campana e Marta Rossi (II D)

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DANTE E L’“ECCLESIA SPIRITUALIS”

Un testo fondamentale dal quale partire è sicuramente il “De Monar-chia”, in particolar modo il III libro, quello nel quale Dante affronta ilproblema del rapporto tra Papa e Imperatore e condanna la concezioneteocratica del potere che legittimava l’ingerenza del Papato in questionipolitiche. Come fondamenti Dante oppone l’idea dei due fini della vitadell’uomo, l’uno terreno, della cui realizzazione è garante l’Imperatore,l’altro ultraterreno affidato al Papa. La sfera temporale, quella nella qualesi realizza la felicità terrena è autonoma, rispetto a quella spirituale, equindi l’Imperatore è libero nelle sue iniziative rispetto al Papa. In questomodo Dante sostiene che l’autorità dell’Imperatore viene da Dio.

Altre caratteristiche presenta, invece il “Defensor pacis” di Marsilioda Padova, che pone come base della sua riflessione, appunto la pace,considerata come base indispensabile dello Stato e come condizione perlo svolgimento dell’attività umana. La concezione proposta da Marsilio èlaica, perché non legata più a finalità etico religiose, ma indirizzata allaricerca di una convivenza pacifica tra gli individui, ordinati in comunità,fondate sulla volontà comune dei cittadini. L’autorità politica nascequindi dal popolo e tale potere deve investire anche la Chiesa, attraversol’elezione dei vescovi e la subordinazione del Papa al Concilio. Il ruoloassegnato ai laici è quindi molto importante e Marsilio nega che esistanodifferenze tra Clero e laici e nell’ambito stesso del Clero tra vescovi e sa-cerdoti. Infine l’opera di Lorenzo Valla, intellettuale formatosi sui valoridella filosofia epicurea e di Lucrezio, ripropone motivi di polemica neiriguardi della Chiesa presenti tanto in Dante quanto in Marsilio, conun’attenzione nuova nata dalla sua formazione filologica, quindi da undiverso approccio ai classici, rispetto a quello presente negli intellettualimedioevali.

Emanuela Piacentini, Federica Pesci e Alessandro Fumagalli (I D),Michele Maiella e Jacopo Zocchi (II D)

DANTE E LA PARALETTERATURA

Da un po’ di tempo a questa parte Dante e le sue opere stanno tor-nando alla ribalta e sembrano rinsaldare il loro posto all’interno dellacultura popolare. Se Benigni riempie le piazze leggendo la Divina Com-

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media può sembrare un ovvio frutto della tradizione letteraria italiana, lanotizia della produzione in America di un videogioco su Dante e sullasua discesa all’Inferno (con le dovute storpiature del caso) è molto piùsorprendente. Che autori italiani come Jovanotti e Venditti citino il Poetanelle loro canzoni è abbastanza scontato, quasi banale, che inveceJohnny Depp si sia proposto di interpretare un film sulla vita di Dante la-scia alquanto perplessi. In realtà il maggior luogo di citazioni sulla vitadi Dante ancora prima che sulla sua opera viene fornito proprio dalla let-teratura, italiana ma (paradossalmente) soprattutto straniera. Fin daquando la Commedia e le altre opere di Dante si sono diffuse tra il pub-blico anglofono europeo sono state presenti citazioni e rimandi alSommo. Fin da Chaucer sono presenti riferimenti a Dante, ma sono so-prattutto autori come Ezra Pound, Thomas Stearns Elliot e EdwardMorgan Forster che riprendono l’opera di Dante; Forster in particolarepone nelle sue opere una parodia del personaggio di Dante nel suo “Om-nibus Celeste”. Anche poeti italiani moderni come Montale e Luzi pro-pongono spesso idee e visioni dantesche, soprattutto legate al Purgatorio;Primo Levi in “Se questo è un uomo” struttura un intero capitolo sullabase del XXVI canto dell’Inferno.

Ma è soprattutto in epoca recente che la fantasia degli scrittori mo-derni ha rimodellato la vita di Dante, a cominciare da Topolino. Già: laprima a parodiare la Divina Commedia è stato proprio la redazione delfumetto italiano nel 1949, con tanto di terzine in endecasillabi. Più recen-temente, il caso più eclatante è stato il ciclo di Giulio Leoni cominciatocon “I Delitti della Medusa” in cui Dante ci viene presentato come unsommo detective impegnato ad indagare nella Firenze del ’300 tra grandiintrighi e ancor più grandi anacronismi; secondo un’altra fantasiosa scrit-trice, la spagnola Matilde Asensi, egli in realtà apparteneva ad una settasegreta che custodirebbe il segreto della Vera Croce e avrebbe dissemi-nato la Divina Commedia di indizi e rimandi atti ad aiutare un futuroinvestigatore a fare luce su pericolosi misteri... Sempre di pericolosimisteri si parla anche nel “Circolo Dante”, thriller di Matthew Pearl, cheracconta di come nell’America protestante di metà Ottocento un assas-sino insanguini le coste di Boston con omicidi misteriosamente legatialla Divina Commedia e di come solo un club di appassionati di Dantepossa risolvere l’arcano. Anche Valerio Massimo Manfredi, tra i suoi variromanzi storici tratta l’argomento Dante: in un vascello arenato al largodi Venezia viene trovato un verso inedito di Dante, ma ancora una volta

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una spirale di inganni e pericolose corporazioni londinesi impedisconoche la realtà salga a galla. È indiscutibile quindi parlare di Immortalitànon solo per le opere di Dante, ma per Dante stesso; chi ormai, sentendoquesto nome, non si immagina un uomo dal naso aquilino vestito dirosso? Speriamo soltanto che le generazioni future non finiscano peridentificarlo con una specie di Sherlock Holmes medievale.Dario Marin, Fabrizio Avizzano, Giorgia Agostini, Francesca D’Agostino, Andrea Decio,

Fabio Crescenzi, Nicola Bartalotta e Daniele Andrenelli (ID)

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Dante e il Francescanesimo

Il personaggio di S. Francesco ha costituito, ancora egli vivente,un’icona etica, religiosa e culturale dalla quale molti intellettuali sonorimasti affascinati, sino a decidere di intraprenderne la sequela, come nelcaso di Jacopone da Todi; lo stesso Dante, nel tratteggiarne la figuranell’XI canto del Paradiso non ha saputo (voluto!) resistere alla malia diquesto eroe del Cristianesimo, così diverso dalle immagini di Santi-intel-lettuali o guerrieri che costellavano l’agiogramma del tempo. Si può diretuttavia che il “suo” S. Francesco va ben oltre le raffigurazioni anche va-lidissime degli agiografi, finendo per assumere una consistenza poetico-ideologica di altissimo profilo: il S. Francesco di Dante è connotabilecome “metapersonaggio”, creazione poetica “scolpita” dall’Autore che inlui ha voluto coagulare non solo un momento di alta spiritualità, ma unaben precisa ideologia. Questo implica, a volte, dissonanze tra le legendaeed il testo dantesco, oppure vere e proprie interpretazioni della figura delSanto, che forse hanno colto, più di quelle, la reale personalità france-scana. Ma, per scendere nel dettaglio, vediamo quali siano queste raffi-gurazioni, che, come quelle giottesche, tratteggiano a tuttotondo la realtàdel santo letta da Dante.

Innanzitutto bisogna precisare che egli è concepito come un cavalieremedioevale. Come sappiamo, Dante coltivava gelosamente il sogno di unritorno degli antichi valori cavallereschi, che avrebbe voluto vedere rivis-suti nella civiltà borghese (a questo mirava il Convivio), con il necessarioapporto della mentalità cristiana: ecco, S. Francesco può ben incarnarequesto ideale cristiano-cavalleresco-borghese (in fondo era “fi’ di PietroBernardone”!). Così Dante costruisce, nel suo universo poetico-ideolo-gico (in lui i due elementi sono sempre contigui, con buona pace diCroce!), questo personaggio cui non manca alcun distintivo cavalleresco:riceve l’investitura (vv. 93, 98, 107), presta il servitium alla donna (la Po-vertà, per cui “in guerra del padre corse”, 58, 63, 74), intraprende unviaggio (85) che poi diventa una Crociata (100 sgg.), ha una sua armatura(la Fede), i suoi nemici (il padre), un atteggiamento altero (91), un gruppodi seguaci disposti a vivere secondo la sua Regola (83). Dante forgia

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questa figura forte, in contrasto con le rappresentazioni leggendarie, co-struite intorno al mito del “Poverello”, fragile e remissivo, per affidarle il ruolo di restauratore della nuova Chiesa, una comunità forte ma nonaggressiva, soprattutto basata sugli ideali cristiani originari: una Chiesacoraggiosa, salda nell’affermazione dei principi, ma anche misericor-diosa, e comunque disposta a muoversi nel mondo per manifestare Cristo“vivo” (la Chiesa, per intenderci, poi delineata da Manzoni nelle Osserva-zioni e nella Pentecoste). Una Chiesa anche rispettosa dei suoi limiti,come il Santo, che sa quando combattere e quando ritirarsi (105), nonarrogante (87), e soprattutto fondata sul primo Comandamento, nonscritto, “che diè Cristo”: la povertà, che certamente in quel tempo non eratra le principali virtù della Santa Sede, come Dante più volte lamentanella sua opera. Ma un altro carattere della figura di S. Francesco cherisalta è senza dubbio quello, già sottolineato da Auerbach nell’ambitodell’interpretazione figurale, di alter Christus: egli ha praticato una per-fetta mimesis della vita e dell’opera del Messia, di cui Dante coglie tuttele significazioni. San Francesco infatti nasce in “Oriente” (54), propriocome il Sole (50), che rappresenta la figura di Cristo; sin da giovane dàsegni della propria “virtute” (57), come Cristo nel Tempio, e compie unascelta di povertà, perseguita fino alla fine; presto sarà circondato da se-guaci (= discepoli); predicherà nel mondo e sarà “padre e maestro”, comeCristo, umile, quale Egli stesso dice di essere nel Vangelo, e infine ricevele stimmate, che definiscono indelebilmente la totale identificazione conLui.

Tuttavia la caratterizzazione che più preme a Dante, sempre attentoal messaggio rivolto ai contemporanei, è quella che vede S. Francesco“povero”. Dante parte infatti dal presupposto che il denaro come fonda-mento del vivere sociale rappresenti un disvalore, un pericolo continuodi cadere nel peccato (in ogni peccato, compreso quello, fatale, del sui-cidio, come avverte in If. XIII, ultimo verso); di qui la necessità di unametanoia civile, che necessariamente deve partire dalla Chiesa. Così, SanFrancesco rappresenta una figura ideale fondata sul principio pauperi-stico, che dovrebbe essere la base stessa e della Chiesa e della vita so-ciale. Come si sa, il periodo in cui sia il Santo sia il Poeta vissero pullu-lava di movimenti pauperistici, che tuttavia, radicalizzando la loro ideo-logia, proponevano la totale sovversione dell’istituzione ecclesiastica: ilSan Francesco di Dante si ferma prima. Non vuole cancellare la Chiesama semplicemente testimoniare un modello veramente cristiano di vita;

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la sua è una Weltanschauung, non un progetto rivoluzionario. Natural-mente la sua scelta di vita, una volta divenuta fatto comunitario con lafondazione dell’Ordine, si pone come realtà sociale, così da assumere,tacitamente, valore di proposta e costringere il mondo a prendere posi-zione. Ecco come si torna alla prima raffigurazione, quella del cavaliereche, come lui, si poneva come nullatenente e basava la sua vita su valoriideali, morali, spirituali. Sinteticamente, possiamo affermare che la“triade ideologica” che Dante costruisce sulla figura di S. Francesco con-centra in sé l’ideale dell’“uomo nuovo cristiano”, i cui valori sono leggi-bili nel senso di una virtus, appunto cristiana, basata sulla scelta “senzase e senza ma” di una povertà vissuta con profondo amore, su di una fedeincrollabile, sula volontà di lottare per affermare, senza protervia, le pro-prie idee. E tale scelta da individuale si farà collettiva, così da recuperarequegli antiqui mores che Dante tratteggia nostalgicamente in Pd. XV eche sono l’unica reale garanzia di una convivenza civile serena e pacifica.A Dante il compito di cantare l’epos dell’eroe cristiano San Francesco, in cui si concentra non solo un’idea, ma una vera e propria civiltà ideale,un sogno realizzabile di una società nuova con fondamenta antiche, unmondo la cui legge basilare sarà appunto “il primo consiglio che dièCristo”.

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Dante e la storia

Uno dei concetti fondamentali che informano la stessa Weltan-schauung dantesca, nonché la sua poetica, e cui rimarrà fedele in tutta lasua opera, riguarda la visione della storia: la storia è la storia della “pre-senza” di Dio sulla Terra. Da questo assioma, che sostiene il suo pensierofenomenologico, scaturisce l’interesse verso tutte quelle manifestazionistoriche che testimonino, direttamente o indirettamente, questo “protago-nismo” divino. Così Dante organizza la sua visione storica secondo unpercorso veritativo per cui i fenomeni terreni, insignificanti in sé, assu-mono valore eterno se inseriti nel più alto disegno divino, verso cui sonoorientati (Pg. XVI, 94-120, Pd. VI, 1-96).

Quindi la storia antica, in cui Dio ha agito secondo il Suo progetto, èmodello ed exemplum per il presente: proprio per questo Dante, varia-mente a seconda delle situazioni, si rifà alla storia romana, realizzazioneper eccellenza della Volontà divina, “figura”, come direbbe Auerbach, diun ordine politico e sociale cui mancava solo, per la piena compiutezza,l’apporto cristiano. In realtà la storia romana già porta in sé, in nuce, ilcarattere della redenzione dal peccato originale, che per Dante rappre-senta il “Big bang” della storia umana (Pd. VII, 25-29, XXVI, 115). ConAdamo si attua lo “stacco” che darà all’uomo il libero arbitrio, ma lo al-lontanerà da Dio fino alla Crocifissione, momento nucleare, centraledella storia umana-divina (Pd. VII, 25-100 e VI). Proprio per questo Dioha voluto che il Figlio si incarnasse in un luogo che già, embrionalmente,disponeva di quelle caratteristiche morali (virtus) che poi costituiranno ilsistema valoriale cristiano, una volta “riempiti” con le virtù teologali(Catone e le “quattro stelle”): basti pensare ai continui exempla cheDante trae dalla storia romana per verificare quanto detto (Amiclate,figura di S. Francesco).

Quindi la Roma che accoglie l’Incarnazione è frutto di un disegnoprovvidenziale preparato ab origine che non casualmente si attua a patiredal viaggio ipogeo di Enea (If. I, II, VI), come Dante fa raccontare al-l’Aquila di Pd. VI, un Enea che non casualmente viene dall’Oriente,come Cristo, come il Sole. E, una volta fondata, Roma sarà “impero”,

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garanzia di stabilità e solidità, realizzazione di quel contesto terreno basi-lare per una convivenza pacifica e fondata su valori imperituri, quell’Im-pero, insomma, che Dante sogna per il mondo moderno come “altroSole”, che, in serena collaborazione con la Chiesa, conduca l’umanità “acasa”.

Cristo nasce dunque nella “culla” dell’Impero, secondo il disegnodivino che vede il mondo pacificato dal dominio romano (e qui si di-stacca totalmente dal pensiero agostiniano, che vedeva in Roma la nega-zione della civitas Dei); è la stessa ideologia, naturalmente orientata nelsolo senso politico, che informa il pensiero di Livio e dello stesso Vir-gilio, che leggono nella provvidenzialità di Roma la sua missione cultu-rale e civilizzatrice. Dante non esclude questa visione, ma la radicalizzain senso cristiano: ciò che contraddistingue il mondo nuovo è la consape-volezza della meta del percorso storico, che ovviamente ai Romani sfug-giva. Essi perseguivano la virtù (Catone), non intravedendone la fun-zione escatologica. È ciò che accade al Virgilio dantesco, confinato nelLimbo per un peccato “storico”: egli ha colto il valore provvidenzialedella storia di Roma, ma non il target, che è il ricongiungimento a Dio:ha concepito l’Impero come missione, ma non ha potuto verificarne lafunzione salvifica; ha individuato l’uomo nuovo, Enea, come esponentedei valori che informeranno Roma, ma non ha potuto vederli incarnati inambito meta-morale, quindi come segno della presenza divina. Il com-pito di realizzare la figura è ora affidato a Dante, che assiste, al suotempo, alla disgregazione dell’Impero, al crollo della virtus (Pd. XV),alla perdita dei valori, alla corruzione della Chiesa, all’apparente scon-volgimento del disegno divino. Tale processo involutivo è individuato daDante nella “donazione di Costantino” (Pd. VI), che ha proiettato laChiesa nel mondo secolare e politico, da cui dovrebbe tenersi lontana, e distratto l’imperatore dai suoi doveri governativi; a ciò si aggiunge la “lupa” che “morde” i comuni italiani, soprattutto Firenze; a questoproposito molto si è detto su un Dante “reazionario”, che non capirebbela realtà comunale in tutta la sua portata rivoluzionaria a livello socio-politico.

La verità è che Dante era ben più che moderno: era metastorico, nelsenso che a lui interessa l’uomo come integrale realizzazione del disegnodivino; in lui non c’è incomprensione del dato sociale, ma semplice-mente lo supera in nome di un ideale più alto. E comunque, la stessaconcezione del Convivio testimonia un suo intervento in questo campo e

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conferma la sua idea per cui senza valori la società muore. Per questo laDivina commedia si pone come opera salvifica, che vede in Dante unalter Christus che addita agli uomini una sicura svolta storica: Dio nonabbandona i Suoi figli, ma continua a presiedere alla storia umana; Dantece ne rassicura indicandoci la figura del Veltro, Virgilio vi aveva allusonella IV Ecloga, S. Francesco e S. Domenico lo hanno mostrato con il“dire e ‘l fare”, San Pietro (Pd. XVII, 63) ce ne dà la certezza.

Il Padre e i Suoi figli riprenderanno quindi il cammino laddove siera interrotto con il peccato originale e così la storia divina e la storiaumana ritorneranno a coincidere, e stavolta in eterno.

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MARINA CASTELLANO

La filosofia nella Divina Commedia

Sarebbe un imperdonabile errore, che il Poeta stigmatizzerebbe con“Voi che siete in piccioletta barca”, irridendo le nostre semplificazioniesegetiche (benché rivestite della supponenza propria di certa critica), ri-condurre il pensiero portante della Divina Commedia al solito Tomismo,che rappresenterebbe così l’intero impianto e, al contempo, la “gabbia”concettuale del Poema. Pur contenendo in larga presenza i fondamentaliinsegnamenti dell’Aquinate, infatti, la “biblioteca” ideale di Dante eracostituita altresì da innumerevoli “voci”, che egli compulsò con atten-zione ed amore, e che riproducono la costellazione intellettuale che illu-mina l’intera opera.

È importante intanto ricordare che, come molti suoi contemporaneieuropei, Dante non conosceva il greco, quindi era costretto a ricorrere atraduzioni in latino: così è stato, per esempio, per l’opera di Platone, dicui solo il Timeo, reso in latino da Calcidio, era, e neanche in versioneintegrale, reperibile. Tuttavia, il pensiero platonico si aggirava latente inmolti altri autori dell’antichità, attraverso i quali il Medioevo poté inqualche modo ricostruirlo, e, naturalmente, adattarlo all’idea cristiana:anzi, mai come in questo caso si potrebbe parlare, secondo l’orizzontemedioevale, di compimento (cristiano) della figura (classica). Eloquen-tissimo, in tal senso, il c. IV del Paradiso, nel quale Dante, in modoquasi commovente, tenta un salvataggio in extremis del pensiero plato-nico sulla sorte delle anime dopo la morte (vv. 22-24): secondo il pen-siero espresso nel Timeo infatti esse sarebbero destinate a ritornare neicieli in attesa di reincarnarsi, in conformità alla dottrina della metempsi-cosi. Concetto assolutamente inaccettabile dal Cristianesimo, che vedel’anima come ente unico, irripetibile ed eterno. Eppure Dante, con unamanovra intellettuale quanto mai ardita ma certo non estranea alla men-talità del suo tempo, “salva” Platone leggendolo in senso allegorico(vv.55-63): “forse sua sentenza è d’altra guisa / che la voce non suona”.Questa interpretazione, per così dire “obliqua”, di Platone, troverebbefelice riscontro nel De natura et origine animae di S. Alberto Magno, ilDottore della Chiesa domenicano che fu maestro di S. Tommaso e che

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ammise la possibilità di un punto d’incontro tra il pensiero del fondatoredell’Accademia e quello cristiano.

Molto più presente nella Divina Commedia, anche perché più radi-cato nella cultura medioevale, appare tuttavia Aristotele, le cui opere, daquelle politiche a quelle morali, a quelle scientifiche, sono variamente ci-tate: nel VI dell’Inferno, per esempio, Virgilio apostrofa Dante con questeparole, a proposito del concetto aristotelico di perfezione: “ritorna a TUAscienza”: evidentemente il pensiero dello Stagirita era sentito da Dantecome intrinseco ed imprescindibile; nell’XI il riferimento è ancora piùpreciso, quando Virgilio addirittura cita l’Etica Nicomachea, sempre ag-gettivata con “tua”, dove tratta le disposizioni negative dell’animo umano(akrasìa, kakìa, theriòtes) interpretate naturalmente alla luce della moralecristiana. Nel Paradiso un riferimento importante è già nel I canto,quando Beatrice illustra a Dante l’ordine del cosmo e la sua perfezione,utilizzando anche la stilematica aristotelica fondata sul sillogismo; nel-l’VIII (v. 120) il discorso si sposta sul sociale, individuando nella divi-sione delle funzioni sulla terra, analizzata da Aristotele nella Politica, una“figura” dell’organizzazione perfetta del Cielo, in cui ognuno è inseritosecondo la propria disposizione, benché sempre e comunque in assolutabeatitudine. Nel XXVI, al v. 38, sembra di poter ancora ritrovare Aristo-tele in quel “colui” che “tal vero a l’intelletto... sterne”: “tal vero” è natu-ralmente Dio, altrove identificato come “ben dell’intelletto”, che nell’in-terpretazione medioevale di Aristotele si legge come il “sommo bene” dicui tratta la Metafisica. In ultima analisi tutta la Divina Commedia siregge su di un ordine aristotelico: la struttura ternaria ravvisabile sia nelladivisione delle cantiche sia nell’andamento metrico rimanda alla triparti-zione del sillogismo, modalità di pensiero ordinata e, nella cultura me-dioevale, garanzia di verità in quanto riflettente lo schema trinitario.

Come si sa, sia Platone sia Aristotele hanno lasciato un solco tal-mente profondo nella cultura successiva da dar vita a vere e propriescuole di pensiero che muovono dal loro e che, con l’aggiunta del pre-fisso “neo-”, si sono in qualche modo calate nella realtà contemporaneautilizzando la strumentazione intellettuale e metodologica dei rispettiviMaestri. Appare già nel I canto del Paradiso l’idea plotiniana dell’ema-nazione dall’Uno, corretta tuttavia da Avicenna che ne estirpò il caratteredella necessità, inaccettabile al cristiano, nella direzione di una liberascelta d’amore compiuta da Dio nella creazione. Rimangono comunque,di schiettamente neoplatonici, due concetti importanti: quello dell’in-

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flusso, che ravvisiamo evidentissimo in Pg. XVI, a proposito del poteredegli astri sui caratteri umani, in realtà niente di più che una disposizione(“Lo cielo i vostri movimenti inizia”, v. 73), e quello chiaro e luminoso, èproprio il caso di dirlo, della “metafisica della luce”, per usare la defini-zione di Clemens Baeumker, così ben irradiato all’inizio del I canto delParadiso, quando Dante si trova proiettato dall’ambito terreno al pianodell’infinito: ma la luce e le sue svariate modalità nel manifestarsi(splendor, lux, radium, lumen...) costituiscono a ben vedere la vera e pro-pria struttura portante, anche a livello descrittivo (sostituiscono in uncerto senso quel paesaggio che fisicamente non c’è) della terza cantica.Anche il pensiero di Aristotele, tuttavia, appare sovente nella sua formu-lazione “moderna”, mediato dalla straordinaria personalità di Averroè: ilpensatore arabo, tanto importante agli occhi di Dante da essere collocatonel pensoso, dolente ambito del Limbo (If. IV, 144), è apprezzato per il“posto d’onore” che conferisce alla filosofia razionale come strumentoteoretico, almeno fino ad un certo livello, anche in campo teologico:colui che “il gran comento feo” (il commento ad Aristotele) avrebbe in-fluenzato successivamente il pensiero di Sigieri di Brabante, che Dantepone in Paradiso (c. X), salvandolo in un certo senso dalle accuse di ete-rodossia.

Sulla profonda influenza del pensiero tomista sull’opera di Dantemolto è già stato scritto (ma anche sulla necessità di un suo ridimensio-namento, secondo la lettura di B. Nardi), cosicché sottolinearne ancora laportata sembrerebbe lavoro sin troppo facile, e comunque trito: tuttaviavale la pena ricordare come sicuramente il procedimento scolastico costi-tuisca l’apparato metodologico sul quale Dante si muove nelle sue di-squisizioni teologiche e scientifiche; d’altra parte la stessa Chiesa uffi-ciale, nel Medioevo come ancora oggi, fonda come propria auctoritasl’ipse dixit tomistico, così che sembra inevitabile che lo stesso Poeta,quasi istintivamente, si affidi al Doctor angelicus nelle questioni che cosìmagistralmente egli trattò nelle sue Summae. Sempre nello stesso Xcanto del Paradiso appare una delle altre figure filosofiche di riferimentodel Poema, S. Alberto Magno (per Nardi il vero e proprio “maestro” diDante), un aristotelico di stampo averroista di derivazione neoplatonicache sosteneva la validità della filosofia come percorso veritativo auto-nomo ed indipendente dalla teologia.

Tuttavia, l’analisi dell’impostazione della Divina Commedia non sa-rebbe completa se non si considerasse la rilevante portata, anche a livello

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di risoluzione poetica, della visione di S. Agostino: sin dalle prime mossedel Paradiso infatti, là dove Dante “trasumana”, avvertiamo la presenzadel misticismo che pervade i momenti di maggiore vicinanza alla Verità,quegli episodi di excessus mentis che rappresentano l’attimo eterno del-l’unione con Dio e che sono, di fatto, caratteristici della realtà paradisiaca.Attimi che traboccano di poesia, poesia che nasce dall’Amore divino,Amore che Dante sublima fissando i suoi occhi in Beatrice, che lo tramor-tisce con la sua luce metafisica (ma non solo) e allo stesso tempo lo elevasempre più, fino a toccare con la mente l’Ente supremo, l’“Amor chemove il Sole e l’altre stelle”.

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MARINA CASTELLANO

La scienza nella Divina Commedia

“Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questa è forma / chel’universo a Dio fa somigliante” (Pd. I, 103-105).

Questo principio fondamentale, che informa la struttura del mondoper l’uomo del Medioevo, del pensiero di Dante e quindi della stessa Di-vina Commedia, consente, anzi impone al Poeta un utilizzo delle cono-scenze scientifiche orientato alla conoscenza della Verità: le scienze,quindi lo studio specialistico dei fenomeni contingenti, rappresentanouna parcellare analisi della Realtà universale, attingere compiutamentealla quale necessita tuttavia di un passo ulteriore, quello fideistico.Quindi sostenere, come pure si è fatto, che il Medioevo non fruisce distudi scientifici è prova di scarsa intelligenza di un’epoca che, al con-trario, ha molto contribuito all’approfondimento della conoscenza delcosmo. Solo, lo ha fatto da un punto di vista, per così dire, religioso: laprospettiva dell’“uomo delle cattedrali”, la cui Weltanschauung era im-prescindibile da una concezione universalistica. Così, anche Dante si al-linea a questo orizzonte concettuale, mettendo a frutto le conoscenze ma-turate con le esperienze e soprattutto con le letture tratte dalle auctori-tates del suo tempo.

Tutto il sistema fenomenologico si basa, ovviamente, sulla cosmo-logia concepita secondo il sistema aristotelico-tolemaico: la terra alcentro, circondata dai cieli costituiti dall’orbita dei sette pianeti, il cielodelle stelle fisse, quindi il Primo Mobile ed infine l’Empireo, un “nonluogo”, o “luogo metafisico”, che si espande infinitamente. Il Primo Mo-bile, il “ciel velocissimo”, imprime il moto agli altri: tale movimentoaltro non è che desiderio di raggiungere Dio, comune agli uomini ed aicorpi celesti, cui presiedono le schiere angeliche, custodi della perfe-zione e dell’armonia del sistema universo. Entro questo schema si collo-cano le varie scienze, ognuna delle quali si pone come strumento cono-scitivo in un ben determinato ambito: nel Paradiso esse passano da un li-vello teoretico ad un livello evidenziale, per cui la verità che ricercanosulla terra qui viene manifestata nella sua piena rivelazione, alla lucedella Verità divina: infatti da una conoscenza di tipo pragmatistico,

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espressa dalle arti liberali, si sale man mano ad un grado filosofico piùelevato (scienze della terra), fino a giungere alla teologia, passando attra-verso la morale e la metafisica. Ma cos’erano, nel mondo di Dante, learti liberali? Intanto è opportuno distinguerle in “arti del Trivio” ed “artidel Quadrivio”: le prime sono grammatica, dialettica e retorica, cono-scenze basilari per un uso consapevole dello strumento linguistico, lealtre invece, più legate al mondo logico-razionale, sono l’aritmetica, lamusica, la geometria e l’astronomia. Si può dire che tutte e sette le“artes” abbiano il loro fondamento nella teologia, che rappresenta allostesso tempo il fine conoscitivo ultimo di queste stesse. E Dante disse-mina l’intera Divina Commedia di sottigliezze linguistiche, che rivelanouno studio approfondito delle possibilità del volgare, ancora tutte da sco-prire, come chiarisce nel De vulgari eloquentia, e di complesse ed elabo-rate evoluzioni retoriche, che denunciano ampio attingere sia agli schemiclassici sia alle raffinate costruzioni della Scolastica.

Per quanto riguarda le arti del Quadrivio, già nella scansione ternariaè ravvisabile un forte interesse di Dante per il numero e le sue espansionisimboliche, ma anche per la geometria, che rappresenta, in forma stiliz-zata, la perfezione del mondo; altre volte questa è usata come dimostra-zione pratica di un concetto (“come veggion le terrene menti / non caperein triangol due ottusi”, Pd. XVII, 15-16, “come raia / da l’un, se si co-nosce, il cinque e ‘l sei”, ibidem, XV, 56-57).

La musica, poi, è disseminata in tutto l’arco delle tre cantiche: nel-l’Inferno più che altro sotto forma di cacofonia, nel Purgatorio in vestedi canto corale liturgico, nel Paradiso come elevazione dell’anima a Dioe accompagnamento delle numerose coreografie che vi compaiono:d’altra parte gli stessi cieli, nel loro moto, compongono una dolcissimaarmonia, secondo l’intuizione di Platone. L’astronomia rappresenta lastessa base concettuale del Paradiso, dove si esplica in termini di strut-tura, ma vale anche come indicazione di posizioni, orari, riferimenti sim-bolici (classici i casi delle “quattro luci sante” del Purgatorio, riferibilialle virtù cardinali, e dei “quattro cerchi [giunti]con tre croci” del I cantodel Paradiso, di difficilissima composizione letterale-simbolica).

A livello di scienze della terra, Dante si è servito di quanto potessetornargli utile nello sforzo di rendere efficace l’intelligenza del testo daparte del lettore: così troviamo riferimenti alla scienza ottica (la visioneoffuscata in alcuni luoghi dell’Inferno, dove il suo occhio si avvezza pianpiano all’oscurità, le anime mancanti ai voti del I c. del Paradiso, che gli

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appaiono “specchiati sembianti”, le varie modalità di visione della luceetc.), alla fisica (le macchie della luna, spiegate con un discorso moltocomplesso, sospeso tra la teologia e la teoria dell’aggregazione dellamassa, oppure anche i frequenti riferimenti al fuoco, che tende versol’alto così come fa lo spirito che ama Dio, infine il concetto della coe-sione e della gravitazione universale, espresso anche qui in termini ambi-valenti), alla meteorologia (famoso il racconto della tempesta scaturitaalla morte di Bonconte di Montefeltro nel Purgatorio).

E tuttavia queste importantissime discipline non sono altro che fun-zioni teoretiche ordinate alla conoscenza della Verità, una sorta di scalaelevata verso il cielo cui manchi l’ultimo piolo: questo sarà costituitodalla teologia, allegorizzata in Beatrice, che non casualmente nel Para-diso prenderà il posto di Virgilio-ragione e rappresenterà l’illuminazionedelle conoscenze scientifiche, irrimediabilmente evanescenti ed incom-plete, nell’orizzonte della totalità della Fede. Esattamente come il mondoclassico, potente nell’uso dello strumento razionale ma incompleto ecome privo di contorni netti, avrà la sua definizione, la sua rivelazione,con l’avvento di Cristo, che illuminerà di Verità il mondo e la storia, ren-dendoli consapevoli dell’ordine provvidenziale di Dio.

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MARIO CARINI

Un noir nei versi dell’Inferno dantesco:l’omicidio di Guido del Cassero e

Angiolello da Carignano1

L’ignaro turista che l’estate viene a soggiornare nelle note e ridentilocalità adriatiche di Fano, Pesaro e Cattolica, al confine tra le Marche ela Romagna, difficilmente potrebbe immaginare che quella zona dalleacque limpide e invitanti, che fanno la gioia di tanti bagnanti piccini eanziani, fu teatro, ben settecento anni fa, di una delle vicende più foschee tenebrose dell’Italia medievale: l’assassinio dei due capi fanesi Guidodel Cassero e Angiolello da Carignano.

La storia, che nulla ha da invidiare a un noir o a un mistery, di quelliche, ambientati in epoche storiche più o meno fedelmente ricostruite,oggi vanno tanto di moda, ci è narrata da Dante nel canto XXVIII del-l’Inferno. È una storia cupa, e non spiegata nei dettagli, ma soltanto rico-struibile per via di allusioni e deduzioni, che però non manca di incidersinelle mente di chi la legge, soprattutto per la tanto rapida quanto effica-cissima descrizione dei caratteri dei personaggi rappresentati. Che sonoquelli tipici del contesto dei comuni medievali a cavallo tra Duecento eTrecento: due intrepidi difensori della libertà della loro patria e un ti-ranno crudele e senza scrupoli. Gli ingredienti per elaborare un modernonoir vi sono tutti: un crudele e nefando delitto, perpetrato violando leleggi del diritto internazionale, che fin dal tempo dei feziali dell’anticaRoma concedevano l’immunità ai nemici venuti a parlamentare, le mo-dalità stesse dell’esecuzione, i particolari orridi e macabri che segnanonon il delitto, ma il contesto in cui esso viene annunciato.

Giunto nella nona bolgia dell’ottavo cerchio, guidato da Virgilio,Dante si trova di fronte a un autentico mattatoio. Vi si aggirano dannati

1 L’argomento di questo breve saggio è stato oggetto di una relazione tenuta ad alcunistudenti ginnasiali della sede di via Isola Bella, il giorno 2 aprile 2009. Per ulteriori ap-profondimenti e la bibliografia relativa rimandiamo a un nostro precedente lavoro: “E FASAPERE A’ DUE MIGLIOR DA FANO...” Guido del Cassero e Angiolello da Carignanonei versi di Dante (Inferno XXVIII 76-90), in “Nuovi Studi Fanesi”, n.10, 1995, pp.79-104.

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orribilmente dilaniati, con ampie e profonde ferite e mutilazioni in tutte lemembra del corpo. Per rappresentare l’orrenda scena, con il sangue chescorre a fiumi e la carne messa a nudo, Dante ricorre a un efficacissimoparagone: se si radunassero tutti i feriti di tutte le guerre più cruente chehanno dilaniato l’umanità, la scena non eguaglierebbe quella che offre lanona bolgia (d’aequar sarebbe nulla / il modo della nona bolgia sozzo).2

Questo è il luogo dove scontano la pena i seminatori di discordia, che perla legge del contrappasso sono condannati a essere squarciati dalla spadadi un diavolo, essi che in vita si dedicarono a dividere le città, le amicizie,le famiglie, spargendo liti e contrasti. Il poeta, vivamente turbato dallosconcio spettacolo dei brandelli di membra che pendono dagli squarci in-sanguinati, ascolta da un dannato che gli appare con il volto orribilmentemutilato, il romagnolo Pier da Medicina, la profezia sulla futura morteviolenta dei due più importanti cittadini di Fano, Guido del Cassero e An-giolello da Carignano. Riportiamo di seguito le parole di Pier da Medicina(If. XXVIII, 76-90), che preannunciano al Fiorentino il tragico evento: Efa sapere a’ due miglior da Fano, / a messer Guido e anco ad Angiolello, /che, se l’antiveder qui non è vano, / gittati saran fuor di lor vasello /e mazzerati presso a la Cattolica / per tradimento d’un tiranno fello. / Tral’isola di Cipri e di Maiolica / non vide mai sì gran fallo Nettuno, non dapirate, non da gente argolica. / Quel traditor che vede pur con l’uno, /e tien la terra che tale qui meco / vorrebbe di vedere esser digiuno, / faràvenirli a parlamento seco: / poi farà sì, ch’al vento di Focara / non saràlor mestier voto né preco.

In pochi efficacissimi versi Dante rappresenta un terribile, ma noninconsueto nel Medioevo, fatto di cronaca e lo descrive con dovizia diparticolari, quasi fosse un cronista della “nera” ante litteram. Sgom-briamo, anzitutto, il campo da un sospetto che fu avanzato dallo studiosoVittorio Rossi, secondo il quale Dante avrebbe inventato di sana pianta ilfatto, perché esso non è attestato da alcuna altra fonte fuor che dal passocitato della Commedia. Ossia, il poeta avrebbe posto in bocca a Pier daMedicina, ben noto per aver guastato in vita i rapporti tra i Romagnoli etra Bolognesi e Fiorentini, una menzogna postuma per fargli mettere ziz-zania tra i Fanesi e il signore di Rimini, Malatestino Malatesta.3 Invece il

2 If. XXVIII 20-21.3 Vittorio Rossi, Maometto, Pier da Medicina e compagni nell’Inferno dantesco, in

Saggi e discorsi su Dante, Firenze 1930, pp.167-168.

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racconto di Dante è troppo ricco di particolari, pur nella sua sinteticità,per pensare a una invenzione. E poi sarebbe strano che un dannato sentaall’Inferno, mentre sta scontando l’orribile pena comminata al suo pec-cato, il desiderio di commettere ancora, sulla terra e post mortem, quelmedesimo peccato che gli ha ottenuto la dannazione eterna. Sorgerebbeuna evidente incongruenza nel piano della divina giustizia. Se la pena aidannati è comminata per le colpe commesse in terra – e vediamo che nel-l’Inferno dantesco la pena è assegnata per contrappasso alla colpa preva-lente –, quale pena dovrebbe meritare il dannato che seguitasse postmortem a commettere sulla terra il peccato, nella specie la menzogna ma-levola che il Rossi attribuisce a Pier da Medicina? Dovrebbe forse subireuna modifica della pena, nel senso di un aggravamento dell’intensità?Ma i decreti di Dio, di cui Minosse, quale giudice infernale, è lo stru-mento, sono immutabili. Dunque vi è una contraddizione, se si accettal’ipotesi del Rossi (ma precisiamo che pressoché la totalità degli studiosil’ha rifiutata), che Dante non avrebbe potuto ammettere. Perciò anchequesto nostro ragionamento ci porta a ritenere che il delitto sia realmenteavvenuto, sebbene Dante sia il solo che ce ne dà notizia. E poi, non èdetto che la storia debba documentare ogni fatto accaduto.

Con i versi succitati Dante costruisce un autentico giallo, con le tintedel noir. In effetti, gli elementi del giallo ci sono tutti. Le vittime, anzi-tutto: si tratta dei due nobili fanesi Guido del Cassero e Angiolello daCarignano, appartenenti alle più importanti famiglie del piccolo comunedell’Adriatico e strenui e autorevoli difensori della libertà cittadina.Erano personaggi autorevoli, sostanzialmente i capi della città e con laloro avveduta opera ne avevano preservato l’indipendenza.4 Non che trale due famiglie, i del Cassero e i da Carignano, per il fatto di opporsi achi mirava ad assoggettare Fano, fosse sempre corso buon sangue. Anzi,come attesta lo storico fanese Pietro Maria Amiani, erano assai nemichetra di loro, per essere l’una guelfa e l’altra ghibellina.5 La famiglia dellaBerarda, detta del Cassero per la vicinanza della sua abitazione a una

4 Rimangono a Fano vestigia delle due famiglie: il palazzo dei Carignano, totalmen-te ristrutturato, sito in via Montevecchio, oggi è sede della Banca delle Marche e degliAbruzzi; il palazzo del Cassero, trasformato nei secoli XVII e XX, è stato ridenominato Se-veri ed è in via dell’Arco d’Augusto.

5 Pietro Maria Amiani, Memorie istoriche della città di Fano, vol.I, Forni editore,Bologna 1967, p. 22 (I ed. Stamperia G. Leonardi, Fano 1751).

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torre presso l’Arco di Augusto a Fano, era una famiglia podestarile diprofessione, e rimase sempre fedele alle istituzioni comunali. Fiorì pernumerosi personaggi, tra cui il celebre giurista Martino del Cassero, chenelle sue opere affrontò le più varie questioni di diritto richiamandosialle norme statutarie e a quelle della codificazione giustinianea, dandocosì un importante contributo alla grande tradizione esegetica medievale,e svolse una preziosa attività politica prima di ritirarsi in convento versoil 1264.6 Non meno illustri erano i da Carignano, tenaci oppositori dei delCassero, perché ghibellini. Furono proprio i del Cassero ad avversareRamberto da Carignano allorché la sua famiglia volle portarlo alla pre-tura di Fano. Ma nel 1291 il matrimonio tra Orianna, figlia di Angiolello,con Guido II, figlio di Guido, aveva pacificato i difficili rapporti tra ledue famiglie, portando anche nella città un periodo di nuovo benessere.Sicché Guido e Angiolello, a capo delle milizie fanesi, poterono disper-dere al torrente Arzilla le truppe di Malatestino Malatesta, desideroso diimpadronirsi dela città (1294).

Malatestino Malatesta: ecco il nome dell’assassino o, meglio, delmandante del duplice assassinio. È lui il tiranno fello, il traditor chevede pur con l’uno, per citare le espressioni con cui Pier da Medicina in-tende riferirsi al signore di Rimini, senza nominarlo esplicitamente. Mail particolare fisico doveva far intendere benissimo di chi si trattava,perché Malatestino era orbo di un occhio. La cittadina di Fano, prosperocomune dell’Adriatico al confine con la Romagna, doveva far troppogola ai signori di Rimini, i Malatesta, perché si rassegnassero a una man-cata conquista, ottenuta, com’era nel loro stile, con le buone o con le cat-tive. Stirpe feroce e violenta, i Malatesta padre e figlio, ossia Malatestada Verrucchio (Malatesta il Vecchio) e suo figlio Malatestino, avevanogià al loro attivo il feroce assassinio di Montagna dei Parcitadi, il capodei ghibellini di Rimini, fatto proditoriamente uccidere nel 1295, al mo-mento della presa della città. E Dante, rivelando a Guido da Montefeltrola triste condizione delle genti di Romagna, rinfaccia il delitto al mastinvecchio e al nuovo da Verrucchio, che fecer di Montagna il mal governo(If. XXVII, 46-47), segnando la citazione del delitto di Malatesta padre efiglio con un’immagine ferocemente bestiale, quella dei due mastini che

6 Su Martino del Cassero (o Martino da Fano), tra i più eminenti giuristi postaccur-siani, vd. Vincenzo Piano Mortari, Aspetti del pensiero giuridico medievale, Liguori Edi-tore, Napoli 19872, pp.119-120.

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azzannano, dilaniandoli, gli avversari politici, là dove soglion fan d’identi succhio. Quindi i due verso Fano tentarono prima un’iniziativa di-plomatica (forse in questo caso ad opera del solo Malatestino, perché suopadre era già alquanto avanti con gli anni), in concomitanza con la con-quista di Rimini. Vistala fallire, Malatestino sfidò i Fanesi con le suetruppe alla battaglia dell’Arzilla, ma ne ricavò una inaspettata e cocentesconfitta. Allora, seguendo la tradizione familiare, decise di sfruttare l’a-stuzia diplomatica, preparando l’inganno che gli avrebbe permesso disbarazzarsi dei due nemici e di impadronirsi della città. Ma non subito:volle lasciar passare del tempo, in modo che i Fanesi dimenticassero labattaglia dell’Arzilla e lui potesse presentarsi con propositi più amiche-voli e rassicuranti verso i suoi nemici, cogliendoli mentre avevano laguardia abbassata. Malatestino aveva già inviato doni e auguri per lenozze di Orianna e di Guido II, allo scopo di conciliarsi il favore delledue importanti famiglie. Qualche anno dopo la battaglia dell’Arzilla, ilnobile Riminese (essendo ancor vivo suo padre Malatesta il Vecchio)propose di sancire finalmente una pace con Fano e chiese ai due capi, di-venuti nel mentre consuoceri, Guido e Angiolello, un incontro di riconci-liazione. E a questo fa riferimento, appunto, la profezia di Pier da Medi-cina, una profezia da considerarsi post eventum, dato che il fatto era giàaccaduto, al momento in cui Dante stava componendo il canto XXVIII.

Come si svolse il duplice assassinio? È noto che nelle cronachecoeve mancano riferimenti alla morte di Guido del Cassero e Angiolelloda Carignano, e gli unici dati vanno perciò desunti dal passo dantesco, ivv. 76-90 del canto XXVIII, che divengono così un’autentica fonte sto-rica. V’è anzitutto da osservare che Pier da Medicina, al quale Dante fapreannunciare il duplice omicidio dei due Fanesi, era stato amico diDante (e cu’ io vidi in su terra latina, ossia il dannato ricorda di aver co-nosciuto il poeta in vita, al v. 71) e al riguardo Benvenuto da Imolaspiega che il poeta fiorentino conobbe Piero in casa dei Cattani, potentisignori di Medicina (località tra Bologna e Imola), quando da essi venneospitato. Ma Piero mostra anche una certa familiarità con Guido del Cas-sero e Angiolello da Carignano, che chiama soltanto per nome, e che cer-tamente doveva assai stimare, dato che li chiama i due miglior da Fano,se si intende migliori anche in senso morale. Il fatto che il dannato invitiDante ad avvertire i due Fanesi dell’incombente omicidio, non vorràforse significare che anche Dante aveva conosciuto entrambi? In effetti,Pier da Medicina, Guido e Angiolello erano legati dalla comune ostilità

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7 Il Sermonti ritiene che Guido e Angiolello utilizzassero i servigi di Pier da Medicina(Vittorio Sermonti, L’Inferno di Dante, Rizzoli, Milano 1988, p. 148).

8 Mazzerare, secondo il Buti, è “gittare l’uomo in mare in uno sacco legato con unapietra grande, o legate le mani e i piedi e uno grande sasso al collo”. Vd. la voce omo-nima in Enciclopedia Dantesca, vol. 11, edizione speciale per la Biblioteca Treccani,Milano 2005, p. 210 (di Bruna Cordati Martinelli).

9 Così chiosano commentatori antichi e moderni, come Jacopo e Pietro di Dante e,sulla scorta di questi, il Tonini, il Porena, il Vasina, etc. Non v’è però prova alcuna che ilcolloquio sia mai avvenuto. Per la questione rimandiamo al nostro lavoro “E FA SAPEREA’ DUE MIGLIOR DA FANO...”, cit., pp. 83-87.

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verso i Malatesta e Dante dipinge i due signori di Rimini come tiranni in-gannevoli e prepotenti.7

Una ricostruzione del delitto deve necessariamente essere ricavata,anzitutto, dai versi di Dante, in verità non troppo chiari seppur ricchi di par-ticolari. Le parole del v.88, farà venirli a parlamento seco, significano cheun giorno Malatestino invitò (usiamo i verbi al passato, in quanto la profe-zia riguarda un evento già avvenuto) i due Fanesi a Cattolica, verosimil-mente per parlare con loro del futuro della città. Guido e Angiolello s’im-barcarono a Fano, e in mare, appunto, avvenne il delitto: i due furono ag-grediti a bordo della loro nave, storditi o uccisi, chiusi in un sacco o legaticon una pietra al collo (come indica il termine mazzerati al v. 80)8 e gettatiin mare. I corpi non vennero più ritrovati. L’assassino, ossia il mandante, èchiamato tiranno fello (v.81), traditor che vede pur con l’uno (v.85), ed è,chiaramente, Malatestino, il tiranno orbo di un occhio (era chiamato ancheMalatestino dell’Occhio). Il delitto avvenne prima o dopo il convegno deidue Fanesi con Malatestino? Le parole di Dante (farà venirli a paramentoseco; /poi farà sì, ch’al vento di Focara /non sarà lor mestier voto né pre-co, vv.88-90) lascerebbero intendere che il delitto sia avvenuto dopo il col-loquio tra Malatestino e Guido e Angiolello.9 Ma può essere stato commes-so anche prima dell’incontro, quando i due Fanesi si stavano dirigendo ver-so Cattolica: i versi di Dante non autorizzano a dare per avvenuto il collo-quio e, d’altra parte, il momento dell’invito (v. 88) e quello dell’assassinio(vv.89-90, anticipati dai vv.79-80) sono presentati senza soluzione di con-tinuità, congiunti in un’unica drammatica sequenza. Guido e Angiolellopotrebbero essere stati uccisi dai sicari di Malatestino, imbarcatisi con lorodal porto di Fano o saliti a bordo dell’imbarcazione durante il viaggio permare o in un porto intermedio tra Fano e Cattolica. Ognuna delle due ipotesi(prima o dopo il convegno con Malatestino) resta, a nostro giudizio, valida.

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Un dettagliato resoconto del fatto è offerto dalle chiose dell’Ano-nimo fiorentino (un commentatore della Commedia vissuto tra XIV e XVsecolo), che hanno il merito di rappresentare vividamente una cronacadell’omicidio. Riferiamo il passo di seguito:10 “Mess. Guido da Fano eAgnolello11 erano i maggiori uomini di Fano; onde mess. Malatestino de’Malatesti... signore di Rimino, vennegli in pensiero d’essere signore diFano. Mostrandosi amico di questi... pensò, avendo tentato più volte:‘S’io uccido costoro, che sono i maggiori, io ne sarò poi signore’; e cosìgli avvenne... Scrisse loro ch’egli volea loro parlare, e ch’egliono venis-sono alla Cattolica, et egli sarebbe ivi, ch’è uno luogo in mezzo tra Ri-mino e Fano. Questi due fidandosi si missono in una barchetta per mareper venire alla Cattolica; messer Malatestino fece i suoi stare in quellomezzo con una altra barchetta; e come messer Malatestino avea lorocomandato, presono messer Guido et Agnolo e gettorongli in mare. Ondeseguì che la parte che aveano in Fano, perdendo i loro capi, furonocacciati di Fano; onde ultimamente seguì che messer Malatesta ne fusignore”. Il movente, l’agguato, l’esecuzione: questa la cronaca dell’even-to, dalle parole di un commentatore non troppo lontano dai tempi diDante e perciò provvisto di resoconti che per noi moderni sono andatiperduti. Secondo l’Anonimo fiorentino i fatti sarebbero andati così:Guido e Angiolello, invitati da Malatestino, si misero in mare su unabarca e gli uomini del Riminese li seguirono su un’altra barca. In altomare i sicari aggredirono i due Fanesi, li uccisero e ne affondarono icorpi chiusi in sacchi o legati a grosse pietre. Poi affondarono anche l’im-barcazione di Guido e Angiolello, per cancellare ogni traccia. Quanto ècredibile questa versione? L’interrogativo rimane, ed è destinato a rima-nere, perché non vi sono altri riscontri. Comunque è una narrazione vero-simile, e dunque accettabile. Per quanto riguarda il luogo dell’omicidio,anche se molti commentatori indicano Cattolica, questo potrebbe inveceessere stato il tratto di mare in prossimità del promontorio di Focara,12

una località che dista qualche chilometro prima di Cattolica, per chi

10 Da La Divina Commedia nella figurazione artistica e nel secolare commento, acura di Guido Biagi, vol. I, Inferno, UTET, Torino 1924, p. 675.

11 Angiolello da Carignano.12 Il termine Focara (forse dal lat. focarium) deriva dalle torri su cui si accendevano i

fuochi di notte, come i fari, per segnalare ai naviganti il sito. Esso sopravvive nel toponi-mo Fiorenzuola di Focara. Sul porto di Focara: Francesco Vatielli, Focara, nota dantesca,Federici, Pesaro 1897, p. 7.

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venga da Fano. Dante ne cita il vento, proverbialmente tempestoso (poifarà sì, ch’al vento di Focara / non sarà lor mestier voto né preco, vv. 89-90), ad indicare che Malatestino farà in modo che i due non avranno bi-sogno di voto né di preghiera per scampare al vento di Focara, “perchésaranno ammazzati prima” (così il Bosco-Reggio).13 Ma queste preghierenon potrebbero essere state rivolte dai due agli stessi carnefici, come apregarli di risparmiar loro la vita?14 Se fosse questa l’interpretazione delpasso dantesco, il poeta stesso ci darebbe il luogo preciso dell’assassinio,ossia il promontorio di Focara.

Per quanto riguarda la datazione del fatto, l’anno 1294, indicato daipiù antichi storiografi fanesi come il Clementini, il Nolfi e l’Amiani, vascartato perché il fatto non può essere anteriore al sabato 9 aprile 1300,data dell’incontro tra il poeta e Pier da Medicina, che gli annuncia laprofezia. Il giurista d’origine bizantina Tommaso Diplovatazio (ThomasDiplovatatzis) nella sua cinquecentesca Cronaca pesarese aveva indicatoil 1312, prendendo a fondamento il fatto che Dante indica Malatestinocome colui che tien la terra (v. 86), ossia che è signore di Rimini. Pro-prio in quell’anno, il 1312, Malatestino successe nella signoria rimineseal padre Malatesta da Verrucchio. Ma, accettando questa data, troppoampio sarebbe il divario temporale rispetto alla sconfitta dell’Arzilla(1294), che incitò alla vendetta il Riminese. Inoltre Malatestino già datempo, ossia ben prima del 1312, assumeva incarichi di governo (fupodestà di Rimini dal 1301 al 1308) e coadiuvava suo padre, ben avantinegli anni e non in grado di governare Rimini da solo. Aggiungendo chemancano notizie di Guido del Cassero e di Angiolello da Carignano apartire dal 1306, e che proprio in quell’anno Fano cadde sotto la potestàdei Malatesta, sarà agevole assegnare il fatto a prima del 1312 e attornoal 1306. Una data a nostro giudizio assai plausibile fu proposta dallostorico Luigi Tonini: quest’ultimo scrisse che un storico fanese avevaposto quel fatto sotto il pontificato di Benedetto XII, cosa erronea perchéquesto papa regnò dal 1334 al 1342. “Ma se quello Storico”, scrive ilTonini, “avesse inteso a dire Benedetto XI, il quale pontificò dall’Ot-tobre 1303 al Luglio 1304, non potrebbe per avventura più d’ogni altro

13 Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reg-gio, Inferno, Le Monnier, Firenze 1982, p. 420.

14 È la nostra interpretazione, per cui rimandiamo a “E FA SAPERE A’ DUE MI-GLIOR DA FANO...”, cit., pp. 85-88.

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aver colto nel segno?” Da una svista casuale il Tonini avrebbe dedotto,dunque, la datazione del delitto. È, in fondo, ancora una congettura, maci sembra assai soddisfacente e, forse, la più vicina al vero.

Dunque, abbiamo tutti i dati di questo omicidio: le vittime, il colpe-vole, il movente, la modalità dell’esecuzione, il luogo e il tempo proba-bile. Il quadro appare completo, eppure sentiamo che continua a sfug-girci qualcosa. Torniamo a Dante: leggendo i versi che nel canto XX-VIII dedica al misfatto, ci accorgiamo dello sdegno che prorompe in-contenibile, ben oltre la condanna morale. Egli chiama Malatestinotiranno fello (v.81), traditor che vede pur con l’uno (v. 85), qualifica lasua azione come un tradimento (v. 81). Prima, nel canto XXVII, dipin-gendo le tristi condizioni della Romagna, l’aveva chiamato mastinnuovo da Verrucchio, alludendo sia all’emblema araldico dei Malatesta(una testa di mastino) sia alla crudeltà e alla prepotenza di quella genìadi tiranni. E poi adopera una iperbole per indicare che mai, in tutto ilMediterraneo (ossia tra Cipro e Maiorca), si vide un atto simile (Tral’isola di Cipri e di Maiolica / non vide mai sì gran fallo Nettuno, / nonda pirate non da gente argolica, vv. 82-84). Quel terribile omicidio fupeggio di un atto banditesco, da pirati, peggio di un inganno dei Greci(gente argolica da Argo, città del Peloponneso), che erano proverbialifin dall’antichità per la loro astuta crudeltà e per non rispettare i patti.Perché tanta acre condanna? Lo sdegno morale di Dante è troppo alto eci invita ad aggiungere ancora qualcosa, senza accontentarci del quadrofin qui delineato.

Sul personaggio di Malatestino converrà dire che le fonti, con l’ec-cezione dell’anonimo autore del Chronicon Ariminense (che comunquemostra bene l’odio accanito di Malatestino per i ghibellini),15 lo dipin-gono come un uomo violento, astuto e senza scrupoli. Lasciamo la parolaal Vasina: “Fra i figli del mastin vecchio M(alatestino) può considerarsicome il più abile uomo politico e d’armi, ma, al tempo stesso, anchecome la persona meno scrupolosa nella scelta dei mezzi per accrescere il potere personale e dinastico; potere che egli si procurò, senza mai esi-

15 Il quale scrive che “tanto fu savio e ardito e da bene, quanto mai fosse uomo; avevauno difetto solo, che non voleva né udire né vedere nessuno Ghibellino, e molto li perse-guitava” e, all’anno 1312, “fu fatto il detto Malatestino signore d’Arimino, e era tantoamato, che non si porria contare” (in Ludovico A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores,vol.XV, Forni, Sala Bolognese 1975, rist. anast., p. 896).

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tazioni, con le armi della violenza e dell’inganno”.16 Aggiungiamo, in-fine, che Malatestino morì nel 1317, avendo ceduto da tempo il potere suFano al fratellastro Pandolfo I, mal sopportato forse dalla popolazionefanese che non gli perdonava l’omicidio di Guido e Angiolello.

A Malatestino poteva dunque convenirsi una azione delittuosa e in-famante, un tradimento. Ma in cosa sarebbe consistito, più precisamente,questo tradimento di cui, secondo Dante, non si vide mai l’eguale intutto il Mediterraneo? Ci aiuta a ricavare nuove deduzioni un singolaredocumento che abbiamo rinvenuto nell’estate del 1995, mentre attende-vamo ad alcune nostre ricerche, nella Biblioteca Comunale Federicianadi Fano. È uno scritto del letterato, storico e uomo politico fanese FilippoLuigi Polidori (1801-1865),17 pubblicato in un volume comprendente piùfascicoli, l’Antologia oratoria, poetica e storica dall’edito e dall’inedito,a cura di Francesco Maria Torricelli, Anno IV, vol. IV, nn. 7 e 8, Fossom-brone 1845.18 Nei nn.7 (pp. 55-56) e 8 (pp. 61-64) è stampata la “Letteradi Filippo Luigi Polidori intorno ai versi dell’Inferno di Dante nei qualiè predetta la morte di Guido del Cassero e di Angiolello da Carignano”,un’operetta di notevole gusto ed erudizione sull’episodio dantesco.Anche se non è accettabile la datazione proposta dall’erudito fanese,ossia il 1294, e giustificata con un’imperfetta preveggenza del futuro daparte dei dannati, l’operetta è oltremodo interessante perché contiene,elaborata come una oratio ficta, il discorso che Malatestino tenne allacittadinanza di Fano, dopo il suo ingresso in città. Riportiamo di seguitoil testo (alle pp. 63-64):

“Cittadini, io non son qui venuto per opprimervi, ma sibbene persollevarvi da una tirannide, che coperta al momento della pace, vi hatenuti e tien tuttavia legati con catene, le quali, benché mostrino inapparenza di esser d’oro, son però tali che vi niegano la libertà, che piùdell’oro e della pace medesima è da stimarsi. Avete voi mai, dopo laconcordia de’ due capi delle fazioni, potuto guidar negozio alcuno, tantonelle pubbliche quanto nelle private faccende, senza prima riceverne da

16 Augusto Vasina, voce Malatestino Malatesta, in Enciclopedia Dantesca, vol. 11, cit., p. 78.

17 Su Filippo Luigi Polidori ricaviamo le notizie biografiche da Adolfo Mabellini,Fanestria, uomini e cose di Fano, Tipografia letteraria, Fano 1937, pp. 408-420.

18 Catalogato col n. 7-S-V-28.

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esso loro gli oracoli?19 Eglino,20 composto un decemvirato, vi hanno a lortalento governati con mano monarchica; di modo che voi, nati per vostrafortuna sudditi solamente al Pontefice, vi siete fatti per propria viltà sog-getti ad uomini della vostra condizione, ed a voi per ogni conto non su-periori ma eguali. Quanti di voi non hanno a cedere né per retaggio néper virtù ad Angiolello né a Guido; e nondimeno (scusatemi se io ve lorimpróvero) pusillanimi avete ad essi obbedito, come se la natura e il va-lore ve li avesse costituiti per principi? Non si trova, a mio credere, sortea soffrir più dura, che il veder un cittadino, a sé pari di nascita e nonmaggior di merito, divenuto per caso di fortuna 21 prepotente sopra glialtri, dar leggi nella propria patria. E pur voi spontaneamente cedendo aquesti il principato, godete in certo modo con la prontezza di una esattaobbedienza di esser conosciuti per loro inferiori.22 E questi divenuti inso-lenti e per la vostra docilità e per le dissensioni del collegio de’ Cardi-nali, per cui siete sì lungamente stati e siete ancor privi del vostro na-tural Signore, degnamente aggravano sui vostri colli il lor dispoticogiogo, senza aver riguardo ch’essi pur sono cittadini di questa terra esudditi come voi siete. – Io li ho fatti ambidue uccidere, se nol sapeste:perché, nonostante il vincolo dell’amicizia che in palese mi professa-vano, segretamente erano contro di me collegati col conte Federico diMonte Feltro,23 a cui hanno somministrato calore co’ lor consigli e forzecon ajuti di gente,24 per farmi perdere, com’è pur testé avvenuto, la Cittàdi Pesaro, caduta in potere de’ miei nemici. Erami quindi necessaria lavendetta, per dar esempio di ciò, ch’io non son uomo da sopportar di

19 senza prima riceverne da esso loro gli oracoli: senza prima obbedire alle loro di-sposizioni. Malatestino dipinge Guido del Cassero e Angiolello da Carignano come dueodiosi tiranni che si intromettevano in tutte le faccende, pubbliche e private, dei cittadini.

20 Eglino: essi.21 per caso di fortuna: per un caso fortuito.22 godete in certo modo con la prontezza di una esatta obbedienza di esser cono-

sciuti per loro inferiori: vi compiacete, con l’obbedire prontamente ai loro comandi, diammettere la vostra inferiorità.

23 collegati col conte Federico di Monte Feltro: è l’accusa principale di Malate-stino, ossia che i due Fanesi stessero organizzando, d’accordo con Federico di Monte-feltro, un complotto contro di lui, al quale già avevano sottratto la città di Pesaro. È, ov-viamente, un pretesto per giustificare il delitto.

24 a cui hanno somministrato calore co’ lor consigli e forze con ajuti di gente: chehanno sostenuto nei suoi progetti antimalatestiani dispensandogli consigli e fornendogliaiuti militari.

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leggieri25 l’altrui offese. Io l’avrei volentieri fatta in isteccato,26 ma nonera convenevole per la disparità degli anni e de’ natali. Mi consigliavaancora lo sdegno di farla col venire armato a’ danni di questa terra, mala ragione me ne ha ritenuto, persuadendomi che non si hanno a punirgl’innocenti per le colpe de’ malvagi –. Questa, come vi dico, è stata laprincipal cagione che mi ha indotto a farli uccidere: ma egli è il veroeziandio,27 che quello sdegno il quale suol destarsi negli animi generosinel vedere da’ più potenti oppressi i migliori cittadini, mi ha novella-mente28 aggiunto stimoli alla già risoluta impresa”.

È un testo di fantasia, d’accordo, un mero esercizio retorico. Ma chi cidice che il Polidori non abbia avuto presenti altre fonti, oltre a quelle giànote, e che poi queste siano andate perdute?29 Il discorso non è un’apo-logia, giacché Malatestino non si difende dall’accusa, ma è un’ammissionedel duplice omicidio, con un tentativo, in verità piuttosto maldestro, di giu-stificazione a posteriori del suo operato. Una giustificazione che potrebbeapparire piuttosto ingenua: egli sofisticamente rovescia la colpa e dice cheuccidendo i due ha liberato da un giogo tirannico la popolazione fanese.Inoltre attribuisce a Guido e Angiolello, dipinti come due biechi prepo-tenti, l’orditura di un complotto contro di lui, per togliergli il dominio suPesaro, in combutta con Federico da Montefeltro, il duca di Urbino.30

25 di leggieri: facilmente.26 Io l’avrei volentieri fatta in isteccato: mi sarei potuto vendicare facendoli soppri-

mere segretamente.27 ma egli è il vero eziandio: ma è anche vero che.28 novellamente: di nuovo.29 Il Polidori ritiene che il fatto fosse trascritto in carte e documenti e che questi ac-

cusassero esplicitamente Malatestino, anzi costituissero la prova della sua colpevolezza.Purtroppo tali documenti, posto che ci siano stati, andarono perduti nel corso dell’in-cendio che devastò l’Archivio pubblico di Fano nel 1731. Il Polidori sospetta anche che iMalatesta abbiano sottratto le carte compromettenti dal convento dei Francescani diFano, prima degli incendi del 1696 (Antologia oratoria, poetica e storica dall’edito edall’inedito, a cura di Francesco Maria Torricelli, Anno IV, vol. IV, n. 7, Fossombrone1845, p. 55).

30 Capo dei ghibellini marchigiani e sostenitore dell’imperatore Enrico VII del Lus-semburgo, promosse un’azione politico-militare antiguelfa, venendo scomunicato dapapa Giovanni XXII. Fu ucciso nel 1322 dai suoi sudditi urbinati, che gli si erano rivol-tati contro. Vd. la voce Federico da Montefeltro di Giorgio Baruffino, in EnciclopediaDantesca, vol. 11, cit., pp. 427-428.

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Quindi avrebbe agito sia per vendicarsi delle offese patite sia per assicu-rare la sopravvivenza del suo governo, in linea con la ferocia dei tempi,dominati dalla politica del pugnale e del veleno.

Queste parole sarebbero state pronunciate da Malatestino, secondo ilPolidori, non qualche tempo dopo e neppure all’indomani, ma il giornostesso dell’atroce misfatto. Aggiungendo questo documento agli elementiche già abbiamo enucleato sulle circostanze del misfatto, possiamo, conl’ausilio di un po’ di fantasia, ricostruire meglio l’accaduto. E allora im-maginiamo di essere sul posto, nei panni di un osservatore onnisciente.Vediamo i due Fanesi, Guido e Angiolello, venuti a Cattolica per incon-trare Malatestino e rassicurati sulle intenzioni del signore di Rimini, chevuol assicurare alla città di Fano l’indipendenza e la prosperità, ora inprocinto di accomiatarsi da lui. Anzi, si mostra perfino bonario e amiche-vole e li convince ad accettare la sua compagnia per accompagnarli finoa Fano, dove vuole incontrare anche gli altri maggiorenti della popola-zione. Vediamo quindi i due Fanesi, dopo aver goduto probabilmentedella confortevole ospitalità dell’ex nemico, imbarcarsi per il ritornosenza nulla sospettare, traditi dall’atteggiamento benevolo e dal sorrisoamichevole del Riminese, che li segue sulla nave assieme a una scortaarmata (col pretesto di difenderli da eventuali attacchi di nemici). Ad uncerto punto, mentre la nave costeggia il promontorio di Focara, approfit-tando di una qualche distrazione delle due ignare vittime, ecco che Mala-testino fa un rapido cenno ai suoi: gli sventurati Guido e Angiolello sonoall’improvviso afferrati dai sicari del Malatesta, sgozzati o strangolati,messi dentro due sacchi, zavorrati e gettati in mare. I corpi scompaionotra i flutti: tutto si è compiuto, rapidamente e in silenzio. L’assassino orapuò presentarsi alla popolazione e si prepara all’ingresso in città, dove loattendono altri, e in gran numero, uomini in armi. Qui sbarcato, tiene bo-rioso e prepotente, in mezzo a nugoli di uomini armati, il suo discorsoalla popolazione, la quale, profondamente costernata e impaurita, nonpuò far altro che ascoltare in silenzio quelle scellerate parole. A Fano fi-nisce così la libertà, il giorno stesso della tragica scomparsa di Guido eAngiolello.

Quanto al discorso di Malatestino, esso, se davvero lo pronunciòcome lo ha scritto il Polidori (o su quella falsariga), mostra impudenza eprepotenza, ma il Riminese non aveva bisogno di cercare lambiccategiustificazioni, detenendo ormai saldamente il potere sulla città. Certa-mente, avrà avuto in Fano stessa sostenitori e accoliti, magari pronti a

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imbracciar le armi contro i loro stessi compatrioti. Se non fosse statocosì, non gli sarebbe probabilmente bastata una scorta armata, giacché iFanesi stessi avrebbero provveduto a vendicare i due stimati e corag-giosi compatrioti. Ma non fu così, non vi fu alcuna vendetta: nessunoreagì e al silenzio seguì la sottomissione della città alla signoria dei Ma-latesta.

Quella che abbiamo voluto presentare è soltanto una nostra sugge-stiva e fantasiosa ricostruzione del duplice omicidio. Pur frutto, ripe-tiamo, dell’immaginazione, essa però può permetterci di comprenderemeglio lo sdegno di Dante e l’uso dei termini tradimento e traditore perindicare il misfatto e il suo artefice. Malatestino tradì due volte Guido eAngiolello: non solo come amico (o presunto tale) ma anche come ga-rante della incolumità dei suoi ospiti, anche in base a precise condizionidel diritto internazionale, che risalivano allo ius gentium degli antichiRomani (il diritto dei feziali). Come ambasciatori e rappresentanti di unacomunità cittadina Guido e Angiolello avevano diritto alla tutela dellaloro persona, quella tutela che il loro ospite si guardò bene dal rispettare.Quel duplice delitto fu dunque progettato da lui, compiuto in sua pre-senza e disonorò per sempre il signore di Rimini.

Passati dalla letteratura alla storia, ritorniamo alla letteratura, per se-guire le tracce dei personaggi di questa vicenda: nella tragedia Francescada Rimini (1901) di Gabriele d’Annunzio Malatestino è effigiato con letinte dell’orrore e della crudeltà. È lui a consegnare la testa di Montagnadei Parcitadi al fratello Gianciotto, è sempre lui a rivelargli l’adulterio disua moglie Francesca con l’altro fratello Paolo (scena terza dell’atto IV).Quanto ai ricordi del fatto, a Fiorenzuola di Focara, in piazza Alighieri,sul portale del borgo dall’aspetto ancora medievale vi è una epigrafe coni versi danteschi del canto XXVIII (E fa’ saper ai due miglior da Fano ~non sarà lor mestier voto né preco), ivi apposta nel 1921, anno del sestocentenario della morte di Dante. Chi vuol infine vedere una impressio-nante rappresentazione iconografica dell’episodio dantesco, se passa perFano non manchi di visitare la bella Pinacoteca Civica. Vi troveràesposto il quadro di Giovanni Pierpaoli (1833-1911), Eccidio di Guidodel Cassero e Angiolello da Carignano (1862): lo sguardo allucinato diGuido, mentre sta per essere sopraffatto dal carnefice sulla barca, sembralanciare ancora oggi una muta, terribile protesta contro la disumana cru-deltà del tiranno ed è il miglior commento a una pagina noir della DivinaCommedia.

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MARIO CARINI

La valenza “politica”delle simmetrie strutturali

nel canto XXVIII dell’Inferno dantesco1

Le interpretazioni del canto XXVIII dell’Inferno, ove l’apparenteunitarietà di materia, il dramma del sangue e delle piaghe rappresentatonel modo della nona bolgia sozzo, cela una profonda complessità tema-tica e stilistica, sono state segnate in misura cospicua da una lettura stili-stico-retorica, attenta a evidenziare, tralasciando le connotazioni psico-logiche dei personaggi ivi rappresentati, i mezzi artistici con cui Dantedomina l’orrore e la volgarità.2 Anche nella rappresentazione dei corpimutilati dei dannati, i seminatori di discordie che nella nona bolgia scon-tano la pena del contrappasso (l’esser feriti a colpi di spada da un diavolocrudele che li accisma, li taglia mettendone a nudo le viscere), Danterivela supreme qualità di artista mostrando, in una sorta di estetica delrepellente, membra lacerate e moncherini insanguinati, veri e proprispaccati anatomici, lasciando un’impressione indelebile nel lettore masenza alcun compiacimento per il morboso e l’osceno.3

Proprio per la forte impressione che riceve il lettore, i personaggirappresentati da Dante, pur non caratterizzati da evidenti tratti psicolo-gici (è stato ben notato che alcuni di essi, come Maometto, sono ridotti a

1 Questo nostro contributo riassume in forma sintetica un lavoro più ampio suGuido del Cassero e Angiolello da Carignano, apparso alcuni anni fa, al quale riman-diamo anche per la bibliografia relativa: “E FA SAPERE A’ DUE MIGLIOR DAFANO...” Guido del Cassero e Angiolello da Carignano nei versi di Dante (Inferno XX-VIII 76-90), in “Nuovi Studi Fanesi”, n. 10, 1995, pp. 79-104.

2 Ben scrive il Marchese che l’attenzione del lettore deve essere principalmenterivolta ai dati stilistici della rappresentazione oggettiva e impietosa della degradazionefisica dei dannati (in Angelo Marchese, Guida alla Divina Commedia, Inferno, SEI,Torino 1977, p. 206, rist.). Va ricordato che il Fubini per primo ha messo in rilievol’intento retorico di Dante nella costruzione del canto XXVIII, vd. Mario Fubini, Il cantoXXVIII dell’Inferno, in Lectura Dantis Scaligera, Le Monnier, Firenze 1962.

3 “È l’orgia del sangue, che il sangue rivolta, e ripugna a’ sensi ed al sentimento”,così Vincenzo Crescini, Il canto XXVIII dell’Inferno, in Letture dantesche, a cura diGiovanni Getto, vol. I, Inferno, Sansoni, Firenze 1964, p. 551.

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pure marionette, a tragici buffoni, e in ciò esauriscono la loro vitalità),4

assumono, in un crescendo di orrore, da Maometto a Bertram del Bornio,definite connotazioni, e il loro ruolo va al di là delle esemplificazionidella pena.

Partendo quindi dalle funzioni che il poeta ad essi attribuisce (e chevanno dalla spiegazione della colpa commessa all’enunciazione profetica,nel caso di Maometto e di Pier da Medicina) e dalla loro disposizione nel canto, in ragione degli spazi assegnati, potremmo individuare precisesimmetrie e rispondenze strutturali e compositive, che spiegherebbero laragion d’essere di questi stessi personaggi, al di là dell’intento morale delpoeta. Vedremo allora come Dante si serva dei personaggi rappresentatiper costruire un discorso dalle precise valenze politiche e attento, forse inquesto canto più che altrove, al succedersi di eventi contemporanei, in unpiù ampio contesto politico, il cui centro è occupato dall’Italia.

È noto che nel canto XXVIII, tra i seminatori di discordia, quei chescommettendo acquistan carco (ossia coloro che disgiungendo i legamiumani gravano la loro anima del peccato), Dante incontra, uno dopol’altro, Maometto, Pier da Medicina, Mosca dei Lamberti, Bertram delBornio, nei quali personaggi il grande Fiorentino vuol simboleggiare gliscismi che hanno dilaniato l’umanità nelle sue istituzioni più rilevanti,pubbliche e private. Maometto (che una tradizione accolta dal poeta fa-ceva cristiano apostata), che appare a Dante aperto come una botte sfon-data, rotto dal mento infin dove si trulla (v. 24), indica lo scisma reli-gioso, la divisione nella Cristianità. Pier da Medicina, che istigò in vita iBolognesi contro i Fiorentini e guastò i rapporti tra Guido Novello daPolenta e Malatesta da Verrucchio, secondo la testimonianza di Benve-nuto da Imola, ha il volto orribilmente mutilato e rappresenta le discordiecivili, le contese tra le città che sconvolsero l’ultimo periodo dei Comunie generarono l’avvento delle signorie. Mosca dei Lamberti, che spinsegli Amidei a uccidere Buondelmonte dei Buondelmonti perché si era ri-fiutato di adempiere alla promessa di matrimonio con una fanciulla dellaloro famiglia, generando così le divisioni a Firenze, leva i moncherin per l’aura fosca, sì che ’l sangue facea la faccia sozza (vv. 104-105) e

4 Il Momigliano, per esempio, ha posto l’accento sulla trivialità della figura diMaometto, spregevole figura da Corte dei Miracoli, che anche nel descrivere la mutila-zione del genero Alì si mostra “brutale, quasi tristo buffone” (vd. commento al v. 32,Sansoni, Firenze 1945-46).

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ricorda la discordia nel corpo della città stessa. Infine, la visione più rac-capricciante di tutte: Bertram del Bornio, che eccitò con i suoi ma’conforti contro il re Enrico II d’Inghilterra il figlio, appare col bustosenza capo, che tiene avanti a sé per le chiome (Di sé facea a sé stessolucerna, / ed eran due in uno e uno in due, spiega il poeta ai vv. 124-125,sottolineando, con gusto retorico, come la mutilazione abbia trasformatoil dannato in una sorta di vivente, mostruosa endiadi). In lui il poeta vuolsimboleggiare la divisione più triste e odiosa, quella delle famiglie. Ora,si noti come nel canto Maometto e Pier da Medicina assumano nel lorointervento movenze e funzioni pressoché simmetriche: il fondatore del-l’Islam, infatti, indica a Dante suo genero Alì (il quale fondò anch’egliuna setta, all’interno dell’Islam, ed è all’origine della sua distinzione indue sottocomunità, gli Sciiti e i Sunniti), fesso nel volto dal mento alciuffetto, e recita la profezia della prossima fine di fra Dolcino (anch’essauna vicenda di scisma religioso) ai vv. 55-60, Pier da Medicina profetizzaa sua volta la futura morte di Guido del Cassero e Angiolello da Cari-gnano, i due miglior da Fano fatti uccidere proditoriamente da Malate-stino, figlio di Malatesta da Verrucchio (la profezia è omogenea al temadelle discordie civili personificate da Pier da Medicina), ed indica Scri-bonio Curione, con la lingua tagliata ne la strozza, il tribuno della plebeche nel 49 a.C. esortò Cesare a marciare contro Roma, dando così avvioalla guerra civile.

Vi è dunque un perfetto equilibrio tra i ruoli e gli interventi assegnatinell’economia del canto a questi personaggi dal poeta della Commedia (si noti che Maometto e Pier da Medicina hanno ben sei versi ciascunoper predire i fatti riguardanti fra Dolcino e i due Fanesi, sicché i vv. 55-60hanno rispondenza nei vv. 76-81).5 Riconducendo questi personaggi a uncontesto più ampio, quello dell’intero canto XXVIII, si vedrà allora benecome la prospettiva dantesca consideri tutto l’orbe terrestre e la sua storia,a mostrare la perennità e l’universalità della piaga degli scismi e degliscandali tra gli uomini. Lo sguardo di Dante, dopo l’adynaton iperbolicoche apre il canto e occupa i vv.7-21 (con il fulmineo excursus delle guerreromane, normanne e angioine, e l’ammasso di morti e feriti in un unico,immenso campo di battaglia), si apre all’Oriente con Maometto, trapassain Occidente con Pier da Medicina, per volgersi a Roma antica con Cu-

5 La profezia vera e propria è ai vv. 76-81; i vv. 82-84 sono un’iperbole e i succes-sivi 85-90 contengono altre indicazioni dell’omicidio dei due Fanesi.

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rione e a Firenze con Mosca dei Lamberti (si noti come Roma e Firenze,la patria ideale del poeta e quella naturale, siano accomunate entrambe dalmedesimo strazio delle contese civili, soffrendo così un comune destino),ritorna poi all’Occidente (estremo) con Bertram del Bornio, e si chiudeinfine con l’Oriente (biblico), nella menzione di Achitofèl che, come Ber-tram del Bornio fece con Enrico II e suo figlio, spinse Assalonne a ribel-larsi al padre David. Nella diversa successione prospettica di Oriente, Oc-cidente, Roma, Firenze, Occidente, Oriente (ove ogni personaggio corri-sponde a una regione: Maometto = Oriente, Pier da Medicina = Occi-dente, Curione = Roma, Mosca dei Lamberti = Firenze, Bertram delBornio = Occidente, Achitofèl = Oriente) ci è agevole riconoscere unasorta di struttura chiastica, con la quale Dante intende rappresentarel’orbis terrarum, il cui centro è occupato da Roma e Firenze, simboleg-gianti la storia antica e quella contemporanea (per Dante) d’Italia. Tale di-sposizione ci viene dunque a mostrare che proprio l’Italia è al centro dellepreoccupazioni politiche del poeta. Facciamo un’ulteriore osservazionesulla posizione cronologica dei personaggi del canto XXVIII. A mostrareche le discordie e gli scismi hanno la loro radice nella storia stessa dell’u-manità, essi sono tratti da epoche diverse e riuniti nel canto in una appa-rentemente disordinata congerie (in realtà abbiamo visto come si leghinoalla visione prospettica dantesca). Maometto, infatti, muore nel 633, Pierda Medicina presumibilmente poco dopo il 1277 (terminus post quem,giacché le notizie su di lui cessano a partire da tale anno), Curione nel 49 a.C., Mosca dei Lamberti nel 1243, Bertram del Bornio nel 1215. Marispetto a tanta diversità di datazioni, una singolare coincidenza spicca trale due profezie, quella su fra Dolcino, fatta pronunciare a Maometto (se siconsidera che l’Islam ebbe tra i suoi peculiari effetti anche l’assorbimentodelle antiche comunità cristiane d’Oriente, e che Maometto era ritenutonel Medioevo un cristiano apostata, si vedrà come la sua profezia risultiomogenea al personaggio di fra Dolcino e al carattere ereticale del suomovimento), e quella su Guido del Cassero e Angiolello da Carignano, diPier da Medicina. Per quanto riguarda la prima, la critica ha osservato cheessa riguarda la morte dell’eretico (avvenuta sul rogo il 2 giugno 1307).Noi saremmo però più propensi a scorgere nelle parole di Maometto nontanto il momento dell’esecuzione (al rogo) di Dolcino, quanto l’avvisodella persecuzione e del lungo assedio a cui l’eretico novarese e i suoiseguaci saranno soggetti, nelle montagne del Biellese, ad opera delletruppe dei vescovi di Vercelli e di Novara. La lettura del testo conferma la

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6 La citazione è tratta da La Divina Commedia nella figurazione artistica e nel se-colare commento, a cura di Guido Biagi, vol. I, Inferno, UTET, Torino 1924, p. 674.

nostra interpretazione: Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi, / tu che forsevedra’ il sole in breve, / s’ello non vuol qui tosto seguitarmi, / sì di vivanda,che stretta di neve / non rechi la vittoria al Noarese, / ch’altrimenti acqui-star non saria leve (If. XXVIII, 55-60). Le parole di Maometto voglionodunque significare non tanto che Dolcino di lì a poco sarà arso vivo sulrogo (ciò che avvenne nel giugno del 1307), ma che proprio per evitarequesta fine e quindi la dannazione e la pena nella bolgia dei seminatori di discordia, egli dovrà procurarsi rifornimenti abbondanti (che s’armi, ...sì di vivanda, etc.) per fronteggiare l’inverno e il duro assedio a cui locostringerà il vescovo di Novara (il Noarese). È noto che fra Dolcino(Dolcino Tornielli), successore di Gerardo Segarelli a capo della settadegli Apostolici, si rifugiò sul monte Debello (poi Rebello) nel territoriodi Trivero (Biellese), nel 1306, incalzato dagli avversari. Ora, la profeziadi Maometto, evidentemente ironica perché Dolcino fu costretto ad arren-dersi proprio per fame, ci sembra aver riguardo principalmente a quellungo assedio, che iniziò appunto nel 1306 ed ebbe termine il 26 marzo1307, e fu l’ultimo atto della vicenda dolciniana.

Segue, a distanza di qualche verso, la profezia di Pier da Medicina,che riferiamo di seguito: E fa sapere a’ due miglior da Fano, / a messerGuido e anco ad Angiolello, / che, se l’antiveder qui non è vano, / gittatisaran fuor di lor vasello / e mazzerati presso a la Cattolica / per tradi-mento d’un tiranno fello. / Tra l’isola di Cipri e di Maiolica / non videmai sì gran fallo Nettuno, / non da pirate, non da gente argolica. / Queltraditor che vede pur con l’uno, / e tien la terra che tale qui meco / vor-rebbe di vedere esser digiuno, / farà venirli a parlamento seco; / poi faràsì, ch’al vento di Focara / non sarà lor mestier voto né preco (If. XXVIII,76-90). Le parole del dannato spiegano a Dante la sorte futura dei duemiglior da Fano (migliori in quanto capi della cittadinanza), Guido delCassero e Angiolello da Carignano: Malatestino Malatesta, signore di Ri-mini (il traditor che vede pur con l’uno, perché era orbo di un occhio), liconvocherà presso la Cattolica, località tra Pesaro e Rimini, col pretestodi un abboccamento, quindi li farà gettare in mare durante il viaggio(mazzerati, scrive il poeta: mazzerare, chiosa Francesco da Buti, è gittarel’uomo in mare in uno sacco legato con una pietra grande, o legate lemani e i piedi e uno grande sasso al collo,6 da mazzera, una grossa pietra

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che si attaccava alle reti per farle andare a fondo). Lo sdegno di Danteper questo atto proditorio è ben rimarcato dall’iperbole Tra l’isola diCipri e di Maiolica ~ non da pirate, non da gente argolica (vv. 82-84),ove significa che mai in tutto il Mediterraneo si vide un crimine cosìabietto, che rese chi lo ordì più spregevole dei pirati e della gente argo-lica, i Greci, di cui era proverbiale la sleale astuzia.7 Chiude poi la pro-fezia il beffardo riferimento al vento di Focara: Guido e Angiolello nonavranno bisogno di pregare Dio che li scampi dalle tempeste suscitate dalvento di Focara (che prende il nome da un promontorio tra Pesaro e Ga-bicce), perché saranno uccisi prima di passare per quel punto.8

Il fatto è narrato in modo troppo circostanziato per poter pensare auna invenzione poetica (quantunque di esso non esista testimonianza nellecronache coeve, sicché i versi di Dante restano l’unica fonte), com’è statofatto dal Rossi,9 in specie a una menzogna di Pier da Medicina che anchenell’Inferno seguiterebbe nella sua arte di mettimale, volendo così gua-stare i rapporti tra Fano e i Malatesta. In realtà si tratta molto probabil-mente di un episodio storicamente avvenuto (non a caso in Pg. V, 64-84Dante ricorda un’altra vittima della famiglia del Cassero, Jacopo, uccisodai sicari di Azzo VIII d’Este nelle paludi presso Padova, nel 1298) e pro-prio di quel periodo di lotte e sanguinose contese tra le città che anima-rono l’ultimo periodo dei comuni, episodio che ci restituisce, attraverso leparole di Dante (che designa il fatto come un vero e proprio tradimento,al v. 81), il clima di quei torbidi. L’assassinio di Guido del Cassero e An-giolello da Carignano, oltre a permettere a Malatestino d’impossessarsidella città di Fano (che assegnò al fratello Pandolfo I), rappresentò una

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7 È, questa, la terzina più spiccatamente retorica del canto, com’è stato notato dalFubini, quella che meglio dichiara l’intenzione moralistica del poeta (Fubini, cit., p. 15). Il Giannantonio ha altresì osservato l’inconsueto uso della rima sdrucciola (PompeoGiannantonio, Dante e i seminatori di scandali e scismi (If. XXVIII), in “Atti dell’IstitutoVeneto di Scienze, Lettere e Arti”, CXXXVIII, 1979-80, p. 54.

8 È stato chiarito che per vento di Focara deve intendersi non quello che soffia dalpromontorio di Focara, ma quello che spira dal mare, in direzione nord nord-est (Borea),vd. Italo B. Bonini, Il porto di Focara e una nuova interpretazione di un passo dantesco,in “Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Marche”, serie IV, vol. III,1926, pp. 11-22. Il vento di Focara suscitava tempeste ed era proverbialmente temuto dai naviganti, donde il detto citato da Benvenuto da Imola Deus custodiat te a ventoFocariensi.

9 Vittorio Rossi, Maometto, Pier da Medicina e compagni nell’Inferno dantesco, inSaggi e discorsi su Dante, Sansoni, Firenze 1930, pp. 157-175.

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vendetta che il signore di Rimini si volle prendere per la sconfitta patitaad opera dei due Fanesi, Guido e Angiolello, nella battaglia presso il tor-rente Arzilla, alle porte della stessa Fano, nel 1294.

Per quanto riguarda la datazione del fatto, abbandonata la tradizio-nale data del 1294,10 dato che esso evidentemente avvenne prima cheDante cominciasse a scrivere l’Inferno e comunque dopo il sabato 9 aprile 1300, data dell’incontro tra il poeta e Pier da Medicina nell’im-maginario viaggio oltremondano, si è pensato di collocare l’episodio al1312: Pier da Medicina indica il mandante dell’omicidio, ossia Malate-stino, come colui che tien la terra che il dannato che gli è vicino, Cu-rione, non avrebbe mai voluto vedere (che tale qui meco / vorrebbe di ve-dere esser digiuno), Rimini, e proprio nel 1312, morto il vecchissimoMalatesta da Verrucchio, gli successe Malatestino nella signoria dellacittà adriatica. A nostro giudizio non è però necessario postulare quel-l’anno, o altro successivo, perché, tra l’altro, assai ampio sarebbe l’arcotemporale tra la rotta dell’Arzilla (1294) e la morte di Guido e Angio-lello, che va vista come una vera e propria vendetta che il Riminese volleprendersi per quello smacco. Stante l’avanzatissima età del padre (chemorì centenario nel 1312), Malatestino, il quale già da tempo ricoprivaimportanti incarichi di governo, teneva effettivamente in mano le redinidella città (la riprova è nel fatto che Dante non esita a chiamare in causai due Malatesta, padre e figlio, per l’assassinio di Montagna dei Parci-tadi, il capo dei ghibellini fanesi, in If. XXVII, 46-47, mentre attribuisceal solo Malatestino la morte di Guido del Cassero e Angiolello da Cari-gnano), e prendeva autonome iniziative politiche e militari, non semprecoronate da successo (come l’attacco a Fano concluso con la disfatta del-l’Arzilla, nel 1294), informandone o meno il genitore. Siccome mancanonotizie di Guido del Cassero e Angiolello da Carignano a partire dal1306, e in quell’anno Pandolfo I, fratello di Malatestino, diviene podestàa Fano, a ragione è stata avanzata l’ipotesi di una connessione tra questifatti. Un’interessante ipotesi sulla datazione è stata poi avanzata dallostorico Luigi Tonini,11 sulla base di una testimonianza dello storico da-

10 Attribuivano il fatto al 1294 gli antichi storici fanesi, come il Clementini e il Nolfie, più recentemente, l’Amiani (Pietro Maria Ariani, Memorie istoriche della città di Fano,vol. I, Forni editore, Bologna 1967, rist.; I ed., stamperia G. Leonardi, Fano 1751).

11 Luigi Tonini, Rimini nella signoria de’ Malatesti, Tip. Albertini e c., Rimini 1880,pp. 14-18.

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nese Nolfo Nolfi (il quale però accettava il 1294) nella sua opera Dellenotizie historiche della città di Fano. Quest’ultimo riferisce che uno sto-rico fanese pone quel fatto sotto il pontificato di Benedetto XII, il che èpalesemente un errore perché Benedetto XII regnò tra il 1334 e il 1342.“Ma se quello Storico”, scrive il Tonini, “avesse inteso a dire BenedettoXI, il quale pontificò dall’Ottobre 1303 al Luglio 1304, non potrebbe peravventura più d’ogni altro aver colto nel segno?”12 Siamo dunque sempreallo stadio delle congetture, mancando elementi più precisi, ma la data-zione del Tonini, ormai accettata dalla maggior parte degli studiosi,sembra anche a noi quella più vicina al vero.

Assegnando dunque al 1304 (e ancor più, se al 1306) l’uccisione deidue Fanesi prevista da Pier da Medicina, potremmo ricavare dunque unasorta di suggestivo sincronismo tra questa profezia e quella di Maomettosu fra Dolcino. Possiamo in proposito elaborare lo schema seguente perun più agevole orientamento nella connessione tra spazi geografici, per-sonaggi e profezie:

ORIENTE OCCIDENTE ROMA FIRENZE OCCIDENTE ORIENTE

Maometto Pier da Medicina Curione Mosca dei Lamberti Bertram del Bornio AchitofèlProfezia Profeziasu fra su GuidoDolcino del Cassero e1306-1307 Angiolello

da Carignano1304-1306

Grazie a questo legame di contemporaneità (e si è ben notato che fraDolcino è l’unico eretico contemporaneo di cui parla Dante), le due pro-fezie vengono dunque a inanellarsi formando un preciso blocco nellacongerie di scismi e divisioni rappresentate da personaggi risalenti alle

12 Luigi Tonini, cit., p.18. Il Tonini riprende qui la tesi del suo articolo Sull’anno incui presso alla Cattolica fu l’assassinio de’ fanesi messer Guido del Cassero e Angio-lello da Carignano, in L’eccitamento, IV, 1858, pp. 581-588.

13 In questo senso le considerazioni della Chiavacci Leopardi: “Ciò (la datazione al1306) porterebbe l’episodio vicinissimo a quello di Dolcino (1307), e l’uno e l’altrosembrano penetrare nel canto per la forza immediata dell’emozione di allora. Questodato – se vero – aumenterebbe fortemente quella connotazione ‘contemporanea’ che ab-biamo riconosciuto nel canto” (Anna Maria Chiavacci Leonardi, Il canto XXVIII del-l’“Inferno”, in “L’Alighieri”, 1/2, Nuova Serie, 1993, p. 55).

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più svariate epoche e luoghi ed introdotti nel canto XXVIII.13 Se la let-tura che abbiamo fatto è corretta, la coincidenza tra le due profezie(unicum nel canto XXVIII e nella Divina Commedia) potrebbe acqui-stare un significato e una valenza di carattere politico. La repressione delmovimento dolciniano, episodio su cui Dante, com’è stato notato, so-spende il giudizio se non addirittura mostra qualche velata simpatia,14

coinciderebbe, per il medesimo torno di tempo, con la fine della libertàdel comune fanese e l’avvento di una signoria di tiranni felli. ForseFano, nella prospettiva dantesca, assurgerebbe a simbolo dei comuni ita-liani, caduti sotto il dominio delle signorie, anche, talora, per l’ingerenzadella Chiesa? La fine di un coraggioso esperimento di riforma religiosa,sia pur velato da ombre ed eccessi, avrebbe dunque il suo riflesso, su unpiano squisitamente laico, nella fine della libertà comunale. Libertà dallagerarchia ecclesiastica e libertà dalla tirannica signoria nella visione diDante sembrano perciò coniugarsi quali aspetti di una medesima condi-zione ideale, riassumibile nel nome della libertà e sempre vagheggiata daDante quale ottimale condizione delle cose d’Italia. Non vogliamo peròspingerci troppo oltre. Certo è che questi due episodi, l’uno per il ver-sante religioso l’altro per quello laico, segnano l’inasprimento di lotte edivisioni nella condizione d’Italia, mercé l’affermazione dell’autorità pa-pale (con la crociata di Clemente V contro i dolciniani e con i Malatesta,strenui fautori della parte guelfa), a cui l’esule Dante, animato da spiritoghibellino e vagheggiante un rinnovamento morale e spirituale dell’uma-nità nelle sue supreme istituzioni,15 guarda con evidente preoccupazione.

14 Così il Paratore (Il canto XXVIII dell’Inferno, in: Casa di Dante in Roma,Inferno, Bonacci editore, Roma 1977, p. 698). Del resto, il biasimo per gli avversari diDolcino è comprovato dalle aspre rampogne indirizzate da Dante al papa Clemente V,Bertrand de Got (il Nuovo Iasòn, il Guasco, come sprezzantemente lo chiama il poeta,che lo condanna nella bolgia dei simoniaci, vd. If. XIX, 82-87).

15 Sul pensiero politico di Dante, fondamentale Bruno Nardi, Il concetto dell’Im-pero nello svolgimento del pensiero dantesco, in Saggi di filosofia dantesca, La NuovaItalia, Firenze 19672 (I ed. 1930); vd. anche Federico Sanguineti, Il percorso politico diDante, in Aa.Vv., Guida alla Commedia, Bompiani, Milano 1993, pp. 71-90.

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MARIO CARINI

Indagine conoscitivasu Dante e la Divina Commedia1

Quanto rimane, nel corso degli anni e quando si è da tempo giuntiall’età adulta, della lettura del testo principe della letteratura italiana,ossia la Divina Commedia di Dante? Parte immancabile della formazionescolastica di ciascuno, testo che ha accomunato e accomuna le genera-zioni degli Italiani, legato ai ricordi della gioventù e delle prime impe-gnative fatiche scolastiche, che ruolo ha oggi Dante nella vita dell’ita-liano medio? È un residuo del passato o può dire ancora qualcosa al-l’uomo di oggi? E come viene percepito, a distanza di molto tempo, iltesto letto nella giovinezza? Che ricordi ha lasciato, non tanto in terminidi nozioni quanto di sensazioni ed emozioni?

Per tentare una risposta a queste domande abbiamo voluto ripro-porre all’attenzione di persone adulte, in questo caso dei genitori dei no-stri alunni, il capolavoro della Commedia, invitandoli a lasciarsi coinvol-gere in un lavoro di recupero della memoria.

Abbiamo perciò sottoposto all’attenzione dei genitori (ma anche,eventualmente sostituendoli, dei nonni e degli zii) dei nostri alunni (diuna classe del biennio nel Liceo Orazio, anno scolastico 2008-2009) ilseguente questionario, che abbiamo fatto pervenire tramite i loro figli eriproduciamo di seguito. Li ringraziamo anzitutto per la cortesia e la sol-lecitudine con la quale hanno risposto alle nostre domande.

1 A tutti i genitori e parenti degli alunni che hanno collaborato, rispondendo al pre-sente questionario e determinando la riuscita dell’iniziativa, va il nostro più sincero rin-graziamento. Le citazioni dei versi di Dante sono state tutte uniformate secondo l’edi-zione Bosco-Reggio (Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di Umberto Bosco eGiovani Reggio, Inferno, Le Monnier, Firenze 1982, rist.).

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INDAGINE CONOSCITIVA SU DANTE E LA DIVINA COMMEDIAGentile Signore/a, il seguente è un questionario relativo a una indagine conoscitiva, di tipo statistico,su Dante e la Divina Commedia, realizzata nell’ambito del progetto scolastico Sulle orme di Dante(anno scolastico 2008-2009). La preghiamo di collaborare rispondendo cortesemente alle seguentidomande. Garantiamo l’assoluta riservatezza e anonimato sulle risposte date. Grazie. Mario Carini.

Risponde il Sig. / la Sig.ra ____________________________________________, genitore / zio / nonnodell’alunno ____________________________________________ della classe ___.

1. In quale occasione è avvenuta la prima lettura della Divina Commedia e quali sono state le impressioniriportate?

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2. Qual è l’episodio o il personaggio della Divina Commedia che ha lasciato maggior impressione di sé,allora? È ancora lo stesso, oggi?

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3. Qual è, a suo giudizio, il messaggio più importante che Dante ha voluto darci? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

4. Qual è una espressione o un verso di Dante che Le avviene di ricordare meglio o più spesso, e perché? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5. Omero, Dante, Shakespeare, Leopardi, Manzoni. Se dovesse stilare una classifica ideale tra questi cinquegrandi della letteratura, in quale ordine di preferenza trascriverebbe i loro nomi?1° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

6. Quali ricordi ha delle lezioni dei Suoi insegnanti sulla Divina Commedia negli anni del liceo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Gli adulti intervistati sono stati ventuno, quasi tutti genitori. Hannorisposto alle domande i Sigg.ri (li elenchiamo per ordine alfabetico):Amedeo (genitore), Annamaria (genitrice), Carlo (genitore), Chiara (geni-trice), Daniela (genitrice), Doriana (genitrice), Eliana (genitrice), Ema-nuela (genitrice), Fabio (genitore), Filomena (genitrice), Francesco (zio),Ileana (genitrice), Laura C. (genitrice), Laura M. (genitrice), Loredana(genitrice), Michele (genitore), Nello (genitore), Paola (genitrice), Paolo(nonno), Sandro (genitore), Silvia (genitrice). Riportiamo, adesso, le ri-sposte date ad ogni domanda del questionario.

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1. In quale occasione è avvenuta la prima lettura della DivinaCommedia e quali sono state le impressioni riportate?Riportiamo in una tabella i risultati ottenuti:

LUOGO DELLA PRIMA LETTURA DI DANTE GENITORI PERCENTUALI

Scuola media inferiore Amedeo, Daniela, Laura M., Nello, Paola 33,34%Scuola media superiore Carlo, Chiara, Doriana, Eliana, Emanuela, 66,66%

Fabio, Filomena, Francesco, Ileana, LauraC., Michele, Paolo, Sandro, Silvia

Per tutti i genitori intervistati il primo contatto con Dante è avvenutoa scuola (ma la Sig.ra Annamaria ha conosciuto Dante anche attraverso lalettura di suo padre). Hanno letto Dante alla scuola media inferiore il Sig.Amedeo, la Sig.ra Laura M., il Sig. Nello, la Sig.ra Daniela, la Sig.raPaola. In effetti la lettura di brani della Divina Commedia era prevista, untempo, nei programmi di italiano della scuola media inferiore: anche noiricordiamo di aver letto pagine della Divina Commedia durante la scuolamedia, sul testo di epica che allora si studiava (e che comprendeva ipoemi omerici, l’Eneide, la Chanson de Roland, il Canto dei Nibelunghi,il Canto della schiera di Igor, l’Orlando Furioso). L’incontro con Dante èavvenuto, invece, nella scuola media superiore per i Sigg. Paolo, Eliana,Ileana, Filomena, Sandro, Michele, Emanuela, Doriana, Carlo, Chiara,Laura C., Francesco, Fabio, Silvia. In totale quattordici genitori su ven-tuno hanno iniziato lo studio di Dante nella scuola secondaria superiore,ossia il 66,6%. Cinque invece lo hanno letto per la prima volta alla scuolamedia inferiore, con una percentuale del 33,34%.

Per quanto riguarda le impressioni riportate, esse in genere perman-gono positive e mostrano la consapevolezza di aver ricevuto un arricchi-mento interiore da quella esperienza di lettura. L’iniziale approccio aDante è stato comunque per molti genitori non privo di difficoltà, anchese le immagini dantesche hanno esercitato un immediato, profondo fasci-no sulla mente delle allora giovanissime lettrici e lettori. La Sig.ra Filo-mena scrive: “La prima lettura della ‘Divina Commedia’ avvenne al liceoe da subito risultò appassionante. Si trattava, infatti, del racconto di unostraordinario viaggio nell’aldilà: dalle tenebre dell’Inferno allo splen-dore del Paradiso, fra mostri orrendi, anime crudeli e pietose, tragiche ecomiche, figure diaboliche e divine”. La Sig.ra Eliana: “A scuola sonorimasta molto impressionata nel modo in cui Dante descrive attraversoun viaggio fantastico, l’itinerario che l’uomo deve percorrere per sfuggire

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alle passioni terrene”. La Sig.ra Chiara: “Mi è sembrato subito un rac-conto affascinante, con qualche effetto di déjà vu, dovuto alla notorietà dialcune strofe. L’originalità delle idee mi ha interessata, quasi intrigata.L’impressione generale è stata di aver a che fare con l’esercitazione difantasia di una mente particolarmente fervida. Un racconto fantasticoche mi ha aperto a nuove prospettive di osservazione del reale”. La Sig.raLaura C.: “Le impressioni furono di grande ammirazione per la letturadantesca che rivelava una visione grandiosa e universale da parte delpoeta, sostenuta da una cultura letteraria, scientifica, filosofica, teologicache mi stupì”. La Sig.ra Silvia: “(La Divina Commedia) mi ha subitosuscitato ammirazione”. La Sig.ra Daniela: “Mi ha impressionato molto ilviaggio di Dante, soprattutto attraverso l’Inferno, per riscoprire la ‘rettavia’”. La Sig.ra Ileana: “Sebbene Dante descrivesse situazioni e tempiremoti, devo essere sincera, mi catturava e provavo piacere a leggerlo”. Il Sig. Amedeo: “Ricordo che mi colpì questo viaggio fantastico nell’al-dilà”. La Sig.ra Doriana: “Le impressioni sono state positive, in quantocredo sia un’opera moto affascinante e innovativa”.

Altri genitori hanno invece incontrato difficoltà che hanno resoostico o noioso lo studio di Dante, forse perché non sufficientemente mo-tivati dai loro insegnanti o ancora non idonei, a quel tempo, ad affrontareuna esperienza di lettura indubbiamente e prematuramente impegnativa(soprattutto se fatta nella scuola media inferiore). Col passare degli anni,però, essi hanno riscoperto la bellezza artistica del poema e i suoi pecu-liari valori, e ne sono stati interessati o se ne sono appassionati. Cosìscrive in proposito la Sig.ra Emanuela: “Riscontravo alcune difficoltàpur appassionandomi molto, soprattutto grazie alle lezioni del bravis-simo professore di italiano”. Lamenta una iniziale incomprensione laSig.ra Paola: “Le prime impressioni, che ancora ricordo, furono di noiae incomprensione. Poi man mano che si andava avanti con la lettura, laspiegazione e la conoscenza del personaggio Dante, l’opera mi ha inte-ressato e appassionato”. Analoga l’esperienza della Sig.ra Laura M.:“Ho letto per la prima volta la ‘Divina Commedia’ alla scuola media edevo ammettere che all’inizio non l’avevo apprezzata molto, anzi l’avevo‘catalogata’ come un’opera noiosa e di difficile comprensione. Solo piùtardi, alle superiori, sono riuscita a comprenderla e ad apprezzarla”.Anche il Sig. Sandro ricorda di aver studiato con difficoltà: “Ricordo lafaticosa difficoltà con cui si studiava (spesso di malavoglia) cercando diinterpretare quei versi che avrebbero necessitato di uno studio più serio

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e approfondito”. Così pure il Sig. Francesco, che studiò la Divina Com-media al ginnasio: “Non l’amai molto. Credo difettassi della cultura sto-rica, filosofica e filologica per apprezzarne in senso pieno la rilevanzaletteraria”. Anche le impressioni del Sig. Michele sono state “negativeper una lettura troppo nozionistica”. L’esperienza del Sig. Nello è stataparticolare: la sua prima impressione, alla scuola media inferiore, fuassai negativa, invece al liceo poté apprezzare il capolavoro dantescograzie all’intelligente opera del docente d’italiano, che fu – rara fortuna!– il grande intellettuale e poeta Mario Socrate.2 Scrive, infatti: “(Laprima lettura avvenne) alla scuola media inferiore con pessimi risultati.Perché l’insegnante (poverino) non ha saputo cogliere il giusto criteriopedagogico atto a svegliare in me l’interesse a questo ‘sublime’ capola-voro. Sublime capolavoro perché molto più tardi un grande intellettualee profondo docente con estrema sensibilità e passione e colore e timbronarrativo nonché assoluto rispetto del ‘ritmo’ cadenzale ha saputo ‘can-tare’ alcuni momenti della Commedia. Il suo nome è Mario Socrate (ilGiovanni Battista del pasoliniano La Passione secondo Matteo)”. Il checonferma quanto sia delicata e importante l’opera del docente quale me-diatore culturale, nel momento di avvicinare gli allievi per la prima voltaai capolavori del patrimonio letterario dell’umanità.

2. Qual è l’episodio o il personaggio della Divina Commedia che halasciato maggior impressione di sé, allora? È ancora lo stesso, oggi?Nella seguente tabella riportiamo i risultati ottenuti:

PERSONAGGIO E/O EPISODIO GENITORI PERCENTUALI

Paolo e Francesca Daniela, Emanuela, Eliana, Filomena, 33,33%Ileana, Silvia, Sandro

Virgilio Amedeo, Fabio, Francesco, Loredana, 23,80%Nello

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2 Mario Socrate, uno dei più importanti critici e poeti italiani contemporanei, halavorato anche nel cinema come sceneggiatore nei film Achtung banditi!, di CarloLizzani (1951), La strada lunga un anno, di Giuseppe De Santis (1958), Senza sole néluna, di Luciano Ricci (1963). Tra le sue opere ricordiamo: Tutto il tempo che occorre(Mondadori, Milano 1964), Il linguaggio filosofico della poesia di Antonio Machado(Marsilio, Venezia 1972), Prologhi al “Don Chisciotte” (Marsilio, Venezia 1974), Alle-gorie quotidiane (Garzanti, Milano 1991), Il riso maggiore di Cervantes (La NuovaItalia, Firenze 1998), Rotulus pugillaris e altre poesie (Manni, 2004).

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PERSONAGGIO E/O EPISODIO GENITORI PERCENTUALI

Caronte Annamaria, Chiara, Doriana, Paolo 19,04%Il conte Ugolino Laura M., Paola 9,52%Ulisse Laura C., Michele 9,52%Farinata degli Uberti Carlo 4,76%

Poiché ogni personaggio corrisponde a un episodio specifico delpoema, abbiamo unificato le risposte date. L’episodio, dunque, che ha lasciato maggior impressione negli intervistati è quello celeberrimo diPaolo e Francesca, contenuto nel canto V dell’Inferno, forse il più fa-moso dell’intera Commedia. Hanno indicato questo episodio con i rela-tivi personaggi le Sigg. Daniela, Emanuela, Eliana, Filomena, Ileana,Silvia e il Sig. Sandro (sette preferenze su ventuno, con percentuale del33,33%). Cinque genitori si sono espressi per Virgilio (i Sigg. Amedeo,Fabio, Francesco, Loredana,3 Nello), con una percentuale del 23,80%,quattro per Caronte (le Sigg. Annamaria, Chiara, Doriana e il Sig.Paolo), con una percentuale del 19,04%. Due genitori hanno scelto ilconte Ugolino (le Sigg. Laura M. e Paola), con percentuale del 9,52%,altri due Ulisse (la Sig.ra Laura C. e il Sig. Michele) con la medesimapercentuale. Infine il Sig. Carlo ha indicato Farinata degli Uberti, specifi-cando che oggi sceglierebbe Paolo e Francesca o il conte Ugolino.

Per quanto riguarda le ragioni che hanno indotto i genitori a indicarein maggioranza l’episodio di Paolo e Francesca, possiamo riportare al-cune significative risposte. Così scrive la Sig.ra Filomena: “Il canto chemaggiormente mi colpì e commosse allora e commuove oggi, fu il V del-l’Inferno, Paolo e Francesca. La bellezza e la poesia di questo episodio,ciò che lo ha reso tra i più noti della ‘Divina Commedia’, sta nella sensi-bilità con cui Dante ha rappresentato l’animo di Francesca, ondeggiantetra la consapevolezza del male compiuto e il desiderio di giustificarsi.La commozione di Dante, che è animato da un’istintiva e immediatapietà. Nel peccato di Francesca, infatti, vede un errore in cui egli stessoe tutta l’umanità rischiano continuamente di cadere”. Aggiungiamo ilcommento del Sig. Sandro: “Sicuramente la morte di Paolo e Fran-cesca, storia di un amore segreto, scoperto e punito con l’uccisione deidue amanti. Quelle due figure di amanti entrate a far parte del mio im-

3 La Sig.ra Loredana ha indicato, dopo Virgilio, anche i personaggi di Paolo eFrancesca.

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maginario di adolescente sentimentale hanno rappresentato nel corsodella mia vita la dimostrazione che tutto può accadere e come l’amorepossa portare alla perdizione e all’inferno”. Concludiamo con le paroledella Sig.ra Emanuela: “Ricordo sempre volentieri l’episodio di Paolo eFrancesca, forse per l’idea di un amore puro e incondizionato che tra-smette”.

Le ragioni esposte non hanno, naturalmente, bisogno di essere com-mentate. Possiamo però vedere come questo piccolo sondaggio confermila fortuna che la celebre coppia di amanti ha avuto nell’immaginariooccidentale sia a livello letterario (pensiamo, per fare un esempio, allatragedia Francesca da Rimini di Silvio Pellico e a quella di Gabrieled’Annunzio) sia, soprattutto, a livello iconografico, fornendo il soggettoper quadri di grande suggestione artistica, come quelli di Blake (1824-1827), Ingres (1834), Rossetti (1855), Feuerbach (1863-1864), Boccioni(1908-1909). In effetti, ancora oggi la romantica vicenda di Paolo eFrancesca, rielaborata in sublime forma poetica dal grande Fiorentino,non manca di appassionare i lettori dell’Inferno, soprattutto i più giovani,per i motivi dell’amore proibito tra i due cognati e dell’esito tragico cheebbe la loro relazione. E, infine, non va dimenticata la suggestiva corniceche fornì l’ambientazione all’episodio, il bellissimo castello di Gradara,che domina il paesaggio tra Pesaro e Cattolica e ancor oggi affascina ivisitatori che dagli spalti possono ammirare il panorama costiero.

Per quanto riguarda Virgilio, che i genitori hanno scelto come se-condo personaggio, l’impressione che è rimasta della guida e maestro diDante, è quella di un “amico ideale”, di una guida sicura e preziosa,pronta ad aiutarci nell’incertezza delle nostre decisioni. Così si espri-mono la Sig.ra Loredana (“Virgilio, che accompagna Dante nel suoviaggio nella selva oscura dei suoi errori e dei suoi peccati e cioè nel-l’Inferno e nel Purgatorio, perché incarna l’amico ideale”.), il Sig.Amedeo (“L’incontro con Virgilio che dà sicurezza a Dante e lo aiuta aintraprendere il cammino. È in effetti una sorta di coscienza che lo illu-mina e lo conduce verso la salvezza”.), il Sig. Fabio (“Virgilio, che rap-presenta la guida del poeta nel percorso più difficile che questi compienel suo viaggio (la visita dell’Inferno). Ancora oggi il personaggio diVirgilio, oltre ad essere l’autore dell’Eneide, per me rappresenta unasorta di guida nelle difficoltà o, meglio, è l’idealizzazione del bisogno diguida dell’uomo”.), il Sig. Francesco (“Virgilio. Ho sempre avuto e hotuttora un debole per i mentori”.).

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Caronte, prescelto dai genitori come terzo personaggio, è una potenterappresentazione, ancor oggi, del demoniaco, del Male, di fronte alla cui ine-sorabile forza i dannati appaiono disperatamente impotenti e rassegnati. ÈCaronte, infatti, che preannuncia loro, con la sua figura di orrido vecchio ri-pugnante e con le sue terribili parole, il loro irreversibile ed eterno distacconon solo dalla vita terrena ma anche e soprattutto dal Cielo e dal PadreCeleste. Passare l’Acheronte può oggi, per una mentalità adulta, assumere ilsimbolo di un definitivo e doloroso distacco dal proprio passato, da unaprecedente situazione o condizione esistenziale. Tale è il senso, ci sembra,della risposta della Sig.ra Chiara (“Caronte, senz’altro, per il personaggio,così come descritto, e per l’inquietudine provocata dalla tematica affron-tata. Ancora oggi, oltrepassare le sponde ha per me un doloroso aspetto didefinitività, di addio”.), mentre la Sig.ra Annamaria connette la figura diCaronte alla celebre iscrizione sulla porta infernale (“Sicuramente il tra-ghettatore di anime Caronte e ricordo ancora la famosa scritta sulla porta.Oggi penso che l’Inferno sia l’opera massima in cui Dante rappresenta inpieno vizi e virtù del genere umano”.) e la Sig.ra Doriana ne ricorda più l’im-magine demoniaca (“Il personaggio che mi ha maggiormente impressionatoè stata la figura di Caronte. La descrizione che Dante fa di lui è talmentegrottesca da ricordarmi la figura del demonio stesso”.).

Ulisse, il quarto personaggio nelle preferenze dei genitori, rappre-senta invece l’instancabile anelito alla conoscenza e al compimento dinuove esperienze, potente fattore di stimolo alla crescita personale: cosìè interpretato il personaggio nelle risposte della Sig.ra Laura C. (“L’epi-sodio che più mi colpì fu la presentazione di Ulisse come ‘eroe della co-noscenza’ e mi appassionai molto all’Ulisse dantesco come simbolo del-l’uomo che mira al superamento dei limiti a lui imposti. Anche oggi ilsuperamento delle ‘colonne d’Ercole’ mi affascina e mi pare il simbolodella vita intesa come ‘continua ricerca’”.) e del Sig. Michele (“Il follevolo di Ulisse per l’utile crescita personale di un adolescente e per ilvalore civico odierno”.). Il fascino del conte Ugolino, che ha raccolto lestesse preferenze di Ulisse, nasce soprattutto dalla terribile sofferenza diun padre costretto a diventare carnefice dei suoi stessi figli. In tal senso èla risposta della Sig.ra Paola: “Sicuramente, oggi come allora, il conteUgolino. All’inizio non avevo ben capito la storia e il personaggio misuscitava allo stesso tempo curiosità e disprezzo per ciò che aveva fatto.In seguito, approfondendo, mi ha affascinato questa storia di un uomopotente in vita e forse ambizioso, ma ora solo padre”.

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3. Qual è, a suo giudizio, il messaggio più importante che Dante havoluto darci?Anche in questo caso riportiamo su una tabella i risultati ottenuti:

GIUDIZI SUL MESSAGGIO DI DANTE GENITORI PERCENTUALI

Dante non ha inteso lasciare messaggi Francesco, Paolo 9,52%Dante si rivolge ai lettori del suo tempo Filomena, Michele, Paola, Silvia 19,04%Dante descrive il suo personale itinerario Carlo, Loredana 9,52%spiritualeDante si rivolge ai lettori di tutti i tempi Amedeo, Annamaria, Chiara, Daniela, 57,14%

Doriana, Eliana, Emanuela, Ileana,Laura C., Laura M., Nello, Sandro

Con questa domanda abbiamo voluto chiedere ai genitori se Dante abbiainteso rivolgersi anche a noi, suoi posteri, e non soltanto ai lettori del suotempo. Ossia, abbiamo voluto chiedere se il messaggio di Dante, ammessoche la Divina Commedia ne contenga uno (e su questo non tutti coloro chehanno risposto sono d’accordo), sembri ancora attuale o no. Dante puòancora “parlare” alla mente e al cuore dell’uomo di oggi o è irrimediabil-mente legato al suo tempo, a un Medioevo da secoli tramontato e leggibilesoltanto attraverso le lenti del filologo, del critico letterario e dello storico?

Negano anzitutto che l’opera dantesca debba contenere messaggi i Sigg.Francesco (“Non credo che la letteratura porti messaggi, ma piuttosto ali-menti la nostra immaginazione e la comprensione del mondo. L’elemento più rivoluzionario, comunque, credo sia quello linguistico”.) e Paolo (“Dan-te, a parte la lingua, non scriveva portando messaggi di modernità (comeBoccaccio o Petrarca) ma conservava lo spirito religioso del Medioevo.D’altronde non è obbligatorio che una opera d’arte lanci messaggi”).

Degli altri, vedono Dante legato alla realtà del suo tempo, della qualevolle rappresentare la corruzione, il bene e il male, e la necessità di unaprofonda riforma morale sia delle istituzioni laiche che di quelle religiose, laSig.ra Filomena (“Come è stato osservato, la Divina Commedia è “la rap-presentazione del mondo terreno alla luce di una verità universale”. Parten-do dalla propria visione religiosa della vita e dell’universo, Dante giudical’intera società del suo tempo. Personaggi storici o mitologici si intreccianoa vicende di papi, imperatori, nobildonne e uomini qualsiasi. Episodi e per-sonaggi rappresentano un vizio o una virtù, la santità o l’immoralità”.), ilSig. Michele (“La riforma del mondo corrotto”.), la Sig.ra Paola (“Penso cheabbia voluto rappresentare il bene e il male del suo tempo e del suo Paese,

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l’Italia, che in quel momento era disunita e smembrata politicamente, po-polata da personaggi ambiziosi e prepotenti”.), la Sig.ra Silvia (“Quello difarci conoscere la società dell’epoca e di polemizzare contro la politica”.).

Il Sig. Carlo (“La redenzione dopo un periodo di traviamento”.) e laSig.ra Loredana (“Dante secondo me vuole esprimere in forma d’arte la suaricerca della fede e della pace interiore perduta ma anche il suo sdegno neiconfronti dei protagonisti dei mali di tutti i tempi”.) vedono nell’opera dan-tesca la rappresentazione dell’itinerario personale del poeta, dal traviamen-to spirituale a una più autentica e sofferta conversione alla fede cristiana.

Per altri genitori, e sono la maggioranza, Dante traccia un itinerariodi salvezza per l’uomo di ogni tempo e il suo messaggio di fiducia versola giustizia divina può ancora essere ascoltato da noi, che viviamo nellasocietà “postmoderna”. Così ci sembrano esprimersi il Sig. Amedeo(“Che per arrivare alla salvezza e alla verità occorre intraprendere unviaggio irto di difficoltà”.), la Sig.ra Annamaria (“Seguire la retta viaanche se la nebbia del nostro quotidiano può offuscarcela”.), la Sig.raChiara (“Un grande messaggio di fiducia nella giustizia universale, unordine cosmico che si compone dopo la vita e uno sprone a guardare larealtà con occhi profondi, oltre le convenzioni sociali, oltre ciò che ap-pare”.), la Sig.ra Daniela (“L’esempio di come guadagnare la salvezza,attraverso il recupero della “retta via”, per l’umanità corrotta”.), laSig.ra Doriana (“Dante Alighieri con la Divina Commedia voleva redi-mere se stesso e l’umanità dalla corruzione e dall’ignoranza in cui eranocaduti. Il suo messaggio è, secondo me, che l’uomo può arrivare alla fe-licità e alla beatitudine solo passando attraverso la consapevolezza delpeccato”.), la Sig.ra Eliana (“Secondo me Dante attraverso il viaggiosimboleggia il percorso che ogni uomo dovrebbe compiere per redimersidal peccato: è solo conoscendo i peccati che l’uomo può trovare giova-mento per redimersi”.), la Sig.ra Emanuela (“Una riflessione profondasul senso della nostra vita terrena ed eterna”), la Sig.ra Ileana (“Danteattraverso il suo viaggio vuole dare l’esempio a tutta l’umanità su comeguadagnarsi la salvezza”), la Sig.ra Laura C. (“Il messaggio centralecredo sia la grandezza di Dio e dell’universo da Lui creato, l’importanzadel libero arbitrio che induce l’uomo a scegliere, nella sua fragilità elimitatezza, tra il bene e il male la sua possibilità quindi di elevarsi dalpiano degli istinti e delle passioni al piano della spiritualità e della con-templazione del divino. I papi non sempre hanno aiutato l’uomo, col loroesempio, a compiere questo percorso”.), la Sig.ra Laura M. (“Secondo

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me il messaggio più importante che Dante ha voluto trasmetterci èquello di riflettere bene sulle nostre azioni terrene, poiché una volta nel-l’aldilà riceveremo a seconda della nostra condotta un magnifico premioo la dannazione eterna”.), il Sig. Nello (“Intelligenza espressa in sag-gezza, approfondimento conoscitivo, umiltà, rispetto degli altri e del “di-verso”, non possono avere altro obiettivo che l’avvicinamento al “Di-vino” attraverso la consapevolezza del proprio spirito”.), il Sig. Sandro(“Il messaggio che ho colto è “Scegli nel bene o nel male, e va’ fino infondo!”. Per esempio nell’Inferno non ci sono peccatori disprezzati dal-l’autore più degli ignavi, che, per paura delle conseguenze, preferironoastenersi e non mettersi in gioco”.).

In conclusione i genitori che ritengono ancora attuale il messaggiodantesco sono dodici, su ventuno interpellati, ossia il 57,14%.

4. Qual è una espressione o un verso di Dante che Le avviene diricordare meglio o più spesso, e perché?Indichiamo in una tabella i versi citati:

VERSI DI DANTE SCELTI GENITORI PERCENTUALI

Nel mezzo del cammin di nostra vita Amedeo, Annamaria, Doriana, Loredana, 23,80%mi ritrovai per una selva oscura, Paolaché la diritta via era smarrita.Amor, ch’a nullo amato amar perdona, Daniela, Eliana, Sandro 14,28%mi prese del costui piacer sì forte,che, come vedi, ancor non m’abbandona.Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, Filomena 4,76%prese costui della bella personache mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse Francesco 4,76% +

(14,28 + 4,76) =23,80%

Considerate la vostra semenza: Ileana, Michele, Laura C., Laura M. 19,04%fatti non foste a viver come bruti,ma per seguir virtute e canoscenza.Per me si va ne la città dolente, Emanuela, Nello 9,52%per me si va ne l’etterno dolore,per me si va tra la perduta gente.Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate. Silvia 4,76%Se’ tu già costì ritto, Carlo 4,76%se’ tu già costì ritto, Bonifazio?

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VERSI DI DANTE SCELTI GENITORI PERCENTUALI

Caron, non ti crucciare: Chiara 4,76%vuolsi così colà dove si puoteciò che si vuole, e più non dimandareNon ragioniam di lor, ma guarda e passa Fabio 4,76%Pape Satàn, pape Satàn aleppe! Paolo 4,76%

La maggioranza dei genitori ha indicato i celebri versi che aprono ilpoema, al canto I dell’Inferno (vv. 1-3): “Nel mezzo del cammin di nostravita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita”.In tal modo si sono espressi il Sig. Amedeo (che non ha dato motiva-zioni), la Sig.ra Annamaria (con la seguente motivazione: “L’inizio delsuo viaggio quando si perde nella selva oscura, perché è ciò che accadead ognuno di noi durante la nostra esistenza in cui cerchiamo la luce perla nostra anima”.), la Sig.ra Doriana (“Quello che ricordo meglio èl’inizio del I canto dell’Inferno perché è quello che viene citato piùspesso quando si parla della Divina Commedia”.), la Sig.ra Loredana(non ha dato motivazioni),4 la Sig.ra Paola (“Senza dubbio l’inizio delcanto I dell’Inferno, versi dai quali nasce l’opera”).

Altri genitori hanno citato i celebri vv.103-105 del canto V dell’In-ferno, le parole con cui Francesca rievoca la tragica vicenda d’amore chela legò in vita e la lega dopo la morte a Paolo Malatesta (“Amor, ch’anullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte, / che,come vedi, ancor non m’abbandona”): li hanno ricordati la Sig.raDaniela, la Sig.ra Eliana e il Sig. Sandro. La Sig.ra Filomena ha citato ivv. 100-102 appartenenti al medesimo contesto, “Amor, ch’al cor gentilratto s’apprende, / prese costui della bella persona / che mi fu tolta; e ’lmodo ancor m’offende”.5 Anche il Sig. Francesco ha ricordato “Galeottofu ’l libro e chi lo scrisse” (If. V, 137), con la seguente motivazione:“Per come la letteratura può sublimare le nostre passioni e le nostreidee”.

4 La Sig.ra Loredana ha indicato anche i vv. 103-105 del canto V dell’Inferno:“Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte, / che, comevedi, ancor non m’abbandona”.

5 La Sig.ra Filomena ha indicato anche i vv. 118-120 del canto XXVI dell’Inferno:“Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguirvirtute e canoscenza”.

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Per altri genitori i versi più memorabili sono quelli, celebri, dellaorazion picciola che Ulisse rivolge ai suoi compagni: “Considerate lavostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtutee canoscenza” (If. XXVI, 118-120). Così si sono espressi la Sig.ra Ileana(che ha dato la seguente motivazione: “Per me è un’esortazione con cuiDante ci invita a voler capire le cose andando oltre la superficialità”.),il Sig. Michele (che ha aggiunto: “Perché ritengo essere una spinta de-cisiva per la costruzione di una civiltà che tenda alla perfezione”.), la Sig.ra Laura C. (con la seguente considerazione: “Questo discorso mifece capire la grandezza di Dante che da un lato, ponendo Ulisse al-l’Inferno, si mostrava espressione della visione cristiana medioevale edall’altro, ammirando la sua curiosità di conoscere, trascendeva ilMedioevo e si proiettava decisamente nell’Umanesimo, valorizzando lecapacità umane”.), la Sig.ra Laura M..

Alcuni genitori hanno poi ricordato l’iscrizione posta all’ingressodell’Inferno (If. III, 1-3: “Per me si va ne la città dolente, / per me si vane l’etterno dolore, / per me si va tra la perduta gente”.): sono stati laSig.ra Emanuela e il Sig. Nello (“Questo, per me, è il commento assaiattuale di un giornalista del TG che descrive gli avvenimenti del nostrotempo e per gli infiniti “tempi” in una qualsiasi parte del mondo”). LaSig.ra Sivia ha ricordato il verso 9 tratto dal medesimo contesto, “La-sciate ogne speranza, voi ch’intrate”, con la seguente motivazione:“perché mi è sempre sembrata molto significativa e realistica”.

Quindi il Sig. Carlo ha ricordato i versi forse più ferocemente anti-papali di Dante, “Se’ tu già costì ritto, / se’ tu già costì ritto, Bonifazio?”(If. XIX, 52-53), che il poeta mette in bocca a papa Niccolò III, il quale,conficcato nel suolo a testa in giù, sconta la pena nella bolgia dei simo-niaci e crede che sia già venuto il suo successore, ossia Bonifacio VIII.La Sig.ra Chiara ha citato le parole che Virgilio rivolge a Caronte per in-durlo a traghettare Dante (If. III, 94-96): “Caron, non ti crucciare: /vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare”,adducendo la seguente motivazione: “Per la potenza che promana dal-l’ordine divino che vince sui demoni”. Il Sig. Fabio ha ricordato il ce-lebre verso con cui Dante bolla gli ignavi: “non ragioniam di lor, maguarda e passa” (If. III, 51). Infine il Sig. Paolo ricorda il verso di Pluto,dio della ricchezza trasformato nel demonio che sta a guardia del IV cer-chio (If. VII, 1): “Pape Satàn, pape Satàn aleppe!”, con la motivazione“Perché è uno dei pochi versi spiritosi”.

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Esaminando le risposte dei genitori alla domanda n.4, possiamo facil-mente trarre due considerazioni. Solo i versi dell’Inferno sono quellirimasti più impressi nella memoria degli adulti che un tempo hannostudiato Dante, a confermare che la drammaticità delle immagini infernaliha una forza suggestiva assai superiore a quella delle altre due cantiche esi imprime invariabilmente nella memoria dei giovani studenti. La se-conda considerazione è che, tra i versi citati, la prevalenza spetta, in egualmisura, a quelli che aprono il poema e a quelli dell’episodio di Paolo eFrancesca (cinque preferenze su ventuno, con percentuale del 23,80%).

5. Omero, Dante, Shakespeare, Leopardi, Manzoni. Se dovesse sti-lare una classifica ideale tra questi cinque grandi della letteratura,in quale ordine di preferenza trascriverebbe i loro nomi?Presentiamo nella seguente tabella le classifiche formulate secondo

le preferenze dei genitori.

GENITORE/ZIO/NONNO 1° AUTORE SCELTO 2° AUTORE 3° AUTORE 4° AUTORE 5° AUTORE

Amedeo Dante Omero Manzoni Shakespeare LeopardiAnnamaria Omero Shakespeare Dante Leopardi ManzoniCarlo Dante Shakespeare Omero Leopardi ManzoniChiara Dante Manzoni Omero Shakespeare LeopardiDaniela Dante Manzoni Leopardi Omero ShakespeareDoriana Dante Leopardi Omero Shakespeare ManzoniFabio Dante Shakespeare Omero Leopardi ManzoniEliana Leopardi Dante Omero Shakespeare ManzoniEmanuela Dante Omero Manzoni Leopardi ShakespeareFilomena Shakespeare Leopardi Dante Omero ManzoniFrancesco Shakespeare Omero Leopardi Dante ManzoniIleana Dante Manzoni Shakespeare Leopardi OmeroLaura C. Dante Leopardi Omero Shakespeare ManzoniLaura M. Manzoni Omero Dante Shakespeare LeopardiLoredana Manzoni Leopardi Omero Dante ShakespeareMichele Leopardi Shakespeare Dante Omero ManzoniNello Shakespeare Dante Omero Leopardi ManzoniPaola Omero Dante Shakespeare Manzoni LeopardiPaolo Shakespeare Leopardi Omero Dante ManzoniSandro Dante Omero Shakespeare Manzoni LeopardiSilvia Dante Leopardi Shakespeare Manzoni Omero

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Dalle scelte dei genitori si evince che Dante ha ottenuto la prefe-renza tra i cinque grandi per undici volte su ventuno, con una percentualedel 52,38%. Nel numero delle preferenze, come prima scelta, Dante èstato seguito da Shakespeare (quattro preferenze, percentuale del19,04%), poi da Omero, Leopardi e Manzoni (due preferenze ciascuno,percentuale del 9,52%).

Non vogliamo ovviamente pretendere di giudicare i gusti letteraridei genitori, ma se considerassimo questa classifica come un piccolosondaggio sulla permanenza dei classici studiati a scuola, esso potrebbepermetterci di fare qualche interessante valutazione. Perché Dante è pre-ferito a Manzoni, che è più moderno e meno impegnativo, nella lettura,del Fiorentino? Pur essendo due classici della letteratura italiana, scrittoridi profonda tempra religiosa ed entrambi letti nella scuola, hanno susci-tato evidentemente impressioni diverse. Una ragione della preferenzadata a Dante potrebbe essere, forse, il suggestivo effetto della forte com-ponente immaginativa che nel poema crea le straordinarie figure e scenedestinate a fissarsi per sempre nella mente dei giovani lettori nellascuola. Poi vi potrebbe essere anche l’atteggiamento fustigatore e mora-lista del poeta che critica e condanna la corruzione di personaggi e istitu-zioni del suo tempo, sia laiche che religiose: un atteggiamento che puòtrovare una notevole consonanza con l’animo degli alunni, la cui età ali-menta naturalmente le giovanili pulsioni all’insoddisfazione, all’irrequie-tezza e alla contestazione verso il mondo degli adulti. È vero che Dante èun uomo del suo tempo, impregnato della cultura del Medioevo, ma èanche vero che è straordinariamente moderna la passione con la quale siimpegna nelle contese civili del tempo, una passione che si traduce nellaveemenza polemica delle celebri invettive. Pur essendo i suoi giudiziquelli propri di un militante, di un uomo di parte, ciò che li fa accettaresono l’enorme capacità di spendere se stesso, di non risparmiare i proprisentimenti, fino all’acuta sofferenza per le condizioni politiche del-l’Italia, e la straordinaria coerenza morale del personaggio.

Poi vi è la componente religiosa: la religiosità di Dante è, ovvia-mente, ben diversa da quella manzoniana e forse può attrarre di piùperché risulta più in linea con la moderna mentalità “laica”. Il lettorecomprende che la concezione religiosa del poeta è assai tormentata, è ilfrutto di un ravvedimento seguito a un periodo di forte disorientamento,di tormento interiore, di traviamento spirituale. E anche l’adesione allaChiesa non è assoluta e acritica: Dante non tutto accetta di essa, ne con-

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danna anzitutto l’atteggiamento dei suoi membri, a tutti i livelli (chiericie frati, alte gerarchie, gli stessi papi), allorché sembrano aver trascuratol’insegnamento evangelico per seguire le ambizioni mondane e le cosetemporali. E, infine – ma non d’ultima importanza –, la materia delpoema, il viaggio oltremondano, è elaborata in una forma poetica che hacreato pagine di straordinaria e insuperata bellezza artistica, pagine chesempre colpiscono la sensibilità dei giovani studenti (pensiamo all’epi-sodio di Paolo e Francesca).

Il capolavoro manzoniano, se si può stabilire (anche se non sarebbelecito) un confronto con il poema dantesco, sembra aver impressionatomeno i genitori. Forse le spiegazioni possono cercarsi in certi aspetti deiPromessi Sposi. Il Manzoni ha saputo certamente costruire episodi e per-sonaggi indimenticabili, ma la suggestione che da essi promana è, forse,inferiore alla Commedia dantesca. In effetti, le scene di grande tensionenarrativa si riducono sostanzialmente a tre: il mancato rapimento diLucia nella “notte degli imbrogli”, la triste vicenda della Monaca diMonza (con il delitto nel convento, spunto degno di un romanzo “nero”,che però il Manzoni smorza nelle ellissi e nelle allusioni), la drammaticanotte dell’Innominato, sospeso tra la tentazione del suicidio e la fortis-sima angoscia spirituale che si scioglierà di lì a poco nella conversione.Poi vi sono le grandi scene della guerra e della peste, la cui drammaticitàil Manzoni riesce comunque a stemperare introducendo elementi, talunidecisamente comici, che attenuano la violenza o il macabro. Il Manzoni,pur dando spazio, com’è noto, alla polemica politica (contro l’Austria,simboleggiata nell’inettitudine del secentesco malgoverno spagnolo),non riesce veramente a condannare nessuno: il suo slancio moralista èfrenato sempre dalla considerazione del comune destino che tutti attendee che a tutti riserva infelicità e gioia, dallo scoprire nel prossimo, di qual-siasi rango sociale e condizione intellettuale o morale, l’evangelico fra-tello. Il messaggio del romanzo, pur assai discusso dai critici, non puòprescindere comunque dalla fede nella misteriosa ma ineludibile Provvi-denza, dalla comprensione che si deve avere verso il prossimo e dall’e-sortazione al buon senso e alla misura nel proprio comportamento (chealcuni critici, com’è noto, hanno inteso per rassegnazione). È un fattoche Renzo non è un ribelle sociale (la sua tirata contro i nobili che affa-mano il popolo, il giorno dell’assalto ai forni di Milano, è presa per undiscorso sovversivo, ma è solo il frutto di un equivoco) e, dietro la guidadi fra Cristoforo, che diventa anche il suo direttore spirituale, dà il per-

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dono al suo peggior nemico, don Rodrigo, che giace moribondo per lapeste. Perdono verso i nemici, comprensione verso tutti e acquiescenzaall’ordine costituito non sono però motivi che possano accendere l’entu-siasmo o la fantasia dei giovani lettori. Quando c’è da condannare Dantecondanna (mettendo all’Inferno anche i papi come Bonifacio VIII), Man-zoni, invece, fa al massimo redarguire il pusillanime don Abbondio dalbuon cardinale Federigo.

Per quanto riguarda Shakespeare, forse giocano molto nella me-moria dei genitori, a parte le loro personali letture, le straordinarie tra-sposizioni teatrali e cinematografiche ricavate dai suoi drammi. Shake-speare è, nel teatro moderno, almeno in Italia, il cavallo di battaglia o laprova del fuoco del grande attore di teatro e/o di cinema: misurarsi conShakespeare significa conoscere e saggiare il proprio valore e i proprilimiti nell’arte della recitazione. Pensiamo, per citare alcuni degli spetta-coli più famosi, all’Amleto diretto e interpretato da Vittorio Gassman nel1955, all’Amleto recitato a teatro e interpretato per il cinema da sir Law-rence Olivier (1948), al Riccardo III del grande attore inglese (1955), alMacbeth di Orson Welles (1947), al Giulietta e Romeo di Renato Castel-lani (1954), a La bisbetica domata (1967), Romeo e Giulietta (1968) eAmleto (1990) di Franco Zeffirelli.

6. Quali ricordi ha delle lezioni dei Suoi insegnanti sulla DivinaCommedia negli anni del liceo?Riportiamo nella tabella gli elementi ricavati dalle risposte dei geni-

tori:

GIUDIZI SULL’OPERATO DEI DOCENTI GENITORI PERCENTUALICHE SPIEGARONO DANTE

Hanno ricordi positivi Amedeo, Annamaria, Chiara, Daniela, 61,90%Doriana, Eliana, Emanuela, Filomena,Laura C., Laura M., Michele, Paola, Silvia

Hanno ricordi negativi Carlo, Fabio, Francesco, Ileana, Nello, 33,33%Paolo, Sandro

Non hanno ricordi Loredana 4,76%

I genitori che hanno ricordi positivi sono unanimi nel sottolineare lapassione e la competenza con cui i docenti spiegavano Dante e l’entu-siasmo che trasmettevano agli alunni. Per molti studenti di allora la con-

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sapevole lettura di Dante, condotta sotto la competente e attenta guidadel docente, si è tradotta in un potente fattore di crescita personale, nelgusto, nella cultura e nella coscienza critica. Vanno intese in tal senso lerisposte fornite dal Sig. Amedeo (“I ricordi sono pochi, è passato moltotempo. Comunque le letture della Commedia erano sempre stimo-lanti”.), dalla Sig.ra Annamaria (“L’ironia e la capacità di ipnotizzarcidurante la lettura”), dalla Sig.ra Chiara (“Appassionanti lezioni che,grazie alla capacità dei professori, hanno reso comprensibile il testo eaggiunto nuovi aspetti alla mia personalità stimolando nuovi spunti diosservazione nella mia mente ancora adolescente”), dalla Sig.ra Da-niela (“Il professore, veramente appassionato alla Divina Commedia, citrasmetteva le sue emozioni”), dalla Sig.ra Doriana (“Sono ricordi di le-zioni abbastanza interessanti e piacevoli, anche grazie alla bravuradella mia insegnante di italiano”), dalla Sig.ra Eliana (“Ricordo che imiei insegnanti riuscirono a farci appassionare alla Divina Commediaperché l’entusiasmo che trasmettevano spiegandola ci rendeva parte-cipi”), dalla Sig.ra Emanuela (“Bellissimi ricordi. Talvolta eravamo let-teralmente “rapiti” dalle lezioni del professore! Unico rammarico: nonaver allora apprezzato fino in fondo l’importanza e la ricchezza diquello che ci veniva insegnato”), dalla Sig.ra Filomena (“Al liceo ebbila fortuna di avere un insegnante che seppe presentarci la “DivinaCommedia” come un racconto avvincente e intenso. Un viaggio pienodi avvenimenti e sorprese, di incontri drammatici e commoventi, conuna galleria di personaggi storici e fantastici, che risultarono indimen-ticabili”), dalla sig.ra Laura C. (“Bellissimi, io amavo molto la mia in-segnante di Lettere, la sua lettura recitata valorizzò molto le terzinedantesche e anche se non riuscivo a comprendere tutti i versi che mi ri-sultavano sintatticamente complessi, ne fui molto affascinata perché av-vertivo che in essi vi era una visione del mondo completa e armonica,sostenuta da un’eccezionale sintesi di intelligenza e fede”), dalla Sig.raLaura M. (“Riguardo alle lezioni sulla Divina Commedia ho un ricordomolto positivo, infatti la lettura di quest’opera era per me un momentopiacevole e direi anche appassionante, anche se penso che molto di-penda anche dalla bravura e dalla passione del proprio professore/pro-fessoressa”), dal Sig. Michele (“Entusiasmo sulla lettura condivisa coni compagni e un puntuale riporto critico sulle parti delle cantiche esa-minate”), dalla Sig.ra Paola (“Avendo frequentato come scuola mediasuperiore l’istituto tecnico commerciale le lezioni sulla Divina Com-

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media non sono state molte. Le lezioni del biennio non le ricordo ancheperché la professoressa era concentrata su Alessandro Manzoni, mentrenel triennio ho qualche ricordo in più grazie ad un professore appassio-nato della sua materia”), dalla Sig.ra Silvia (“I ricordi che mi sono ri-masti più impressi sono l’entusiasmo degli insegnanti nel farci cono-scere al meglio questo capolavoro della lingua italiana e l’ammirazionedi noi studenti”).

Una parte dei genitori, invece, non può vantare ricordi lieti o posi-tivi dal suo approccio scolastico all’opera dantesca. Anch’essi sono una-nimi nel sottolineare la responsabilità dei docenti, che non sono stati ingrado di rendere le loro lezioni stimolanti e coinvolgenti. In effetti, certeanalisi testuali filologicamente minuziose e “asettiche” possono ri-schiare di appesantire le lezioni su Dante e di renderle fredde e poco in-teressanti (a parte il possibile aspetto della scarsa motivazione o attitu-dine pedagogica del docente stesso), soprattutto per giovani che si atten-dono di essere motivati dalle novità nel loro percorso di studi. L’elencodelle risposte fornite da questi genitori, un po’ o alquanto delusi dallaloro esperienza scolastica di Dante, potrebbe essere considerato anchecome un campionario dei rischi da cui il docente, che illustra ai suoi al-lievi il poema, deve guardarsi, al fine di evitare di far perdere l’occa-sione di gustare il grande poema. “Ricordo molta noia” è la laconica eassai significativa risposta del Sig. Carlo. Analoga è la risposta del Sig.Fabio: “Ricordi di lezioni un po’ pesanti e non molto coinvolgenti”,come quella del Sig. Francesco, che però, onestamente, chiama in causaanche se stesso: “Non buoni ricordi. La complessità del testo credo ri-chiedesse maggiore disponibilità da parte mia e vocazione pedagogicada parte dei miei insegnanti”. La Sig.ra Ileana nota lo spazio eccessivodato, a suo dire, alla critica dantesca (“Mi ricordo che si soffermavanoun po’ troppo sulle interpretazioni degli studiosi delle cantiche dante-sche”), mentre il Sig. Nello ha ricordi pessimi su Dante nella media pri-maria, mediocri nella media secondaria, eccellenti all’università(“Media primaria: pessimo, media secondaria: mediocre, università:eccellente”). Aggiungiamo, da ultimo, anche le critiche del Sig. Paolo(“Nulla di particolare. Non ho avuto forse buoni insegnanti”) e del Sig.Sandro (“Una lettura semplificata avrebbe avvicinato maggiormentenoi studenti così come oggi le vulcaniche recite di Roberto Benignihanno avvicinato a questo capolavoro nazionale tante persone che maisi sarebbero sognate di riprenderlo in mano di propria iniziativa”).

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Come ci fa vedere quest’ultima risposta, anche se la scuola purtropponon sempre riesce ad avvicinare nel giusto modo gli studenti ai capola-vori della letteratura, questi possono essere incontrati di nuovo, come“amici ritrovati”, grazie a inattese evenienze della vita, come la splen-dida opera divulgativa che dal poema dantesco hanno ricavato famosipersonaggi del mondo dello spettacolo (vorremmo ricordare, oltre a Ro-berto Benigni, anche Giorgio Albertazzi e Carmelo Bene). La percen-tuale comunque è largamente a favore dei docenti che hanno lasciato ri-cordi positivi delle loro lezioni su Dante: hanno ottenuto tredici rispostea favore, con una percentuale del 61,90%.

7. Conclusioni.A conclusione della nostra indagine sulla memoria di Dante negli

adulti, possiamo trarre qualche rapida osservazione, senza alcun intentodi giudizio sulle risposte date.

Lo scopo del questionario presentato era soprattutto quello di verifi-care la permanenza dell’opera dantesca nella memoria degli adulti daitempi della scuola. Le risposte del piccolo ma rappresentativo campio-nario potrebbero essere, forse, prese come una sorta di specchio dellamemoria scolastica della società italiana (diciamo forse perché non sap-piamo se e quanto Dante sia letto dagli adulti, a parte il caso di coloroche sono tenuti a leggerlo e studiarlo per ragioni professionali). Le ri-sposte, allora, ci dicono che il primo incontro con Dante è avvenuto tra ibanchi di scuola, soprattutto nella media superiore (prima del SessantottoDante era letto anche nella media inferiore). Di Dante sono rimasti neiricordi soprattutto i primi versi del poema, quelli di Paolo e Francesca equelli di Ulisse; dei personaggi ed episodi studiati sono ricordati soprat-tutto Paolo e Francesca. La tragica storia dei due amanti ha colpito e col-pisce la fantasia e l’immaginazione degli studenti, permanendo nel ri-cordo con le bellissime, poetiche immagini di una passione proibita. Lapopolarità del personaggio di Francesca, che appare così viva nella rap-presentazione dantesca e tale permane nelle reminiscenze degli ex stu-denti, sembra dunque confermare quanto sia stato ben detto di lei da ungrande critico, ossia che è “la prima donna del mondo moderno”.6

6 È la celebre definizione di Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana,a cura di Maria Teresa Lanza, Feltrinelli, Milano 19675, p. 190.

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Quanto alla funzione e all’operato della scuola nell’insegnare Dante,le risposte date, che attribuiscono a grande maggioranza un giudizio po-sitivo ai docenti, ci fanno concludere ottimisticamente: in tempi di grandicambiamenti la scuola italiana c’è ancora e non manca di svolgere ade-guatamente il suo fondamentale compito, che è quello di trasmettere ilgrande patrimonio culturale della nazione alle giovani generazioni.

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Vita dell’Istituto

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Ciao a tutti, sono Gisa

Ciao a tutti, sono Gisa la bidella di via Isola Bella, ma forse dovreiaggiungere anche la segretaria e la centralinista. Insomma, quando c’èbisogno, non mi tiro mai indietro di fronte a un’emergenza, non perchésia una “collaboratrice scolastica” (tanti ruoli in uno, e poi questo nomenon mi piace, mi sembra tanto freddo!) ma perché questa scuola, ormaila sento un po’ anche mia, è come una figlia: l’ho vista crescere.

Se devo dirvi tutta la verità, io qui, in questa sede che da fuori faproprio una brutta impressione, non ci volevo proprio venire: stavo cosìbene alla centrale, al mio primo piano, sezione B! Mi conoscevano econoscevo tutti: alunni e professori, e poi c’erano tutte le mie colleghe,anzi le mie amiche, perché sono all’Orazio dal 2002 e mi sentivo proprioa casa.

Lo scorso settembre, vi dicevo, fu proprio traumatico: non mi sentiitrasferita ma sradicata per essere impiantata in una sede di cui nessunosapeva niente. All’inizio ho pianto, non faccio i capricci ma se fossi statauna ragazzina mi sarei buttata per terra per rimanere alla Centrale. Chimi conosce sa quanto mi piace chiacchierare, e quale ruolo mi era statoassegnato a via Isola Bella? La sorveglianza al piano terra. Diciamocelopure, la funzione di portinaia. E poi questa sede, all’inizio, era proprio unmortorio: pochi i ragazzi, pochi i professori. Mi mancava il chiasso, lavivacità dei miei alunni, qui sembrava di stare in collegio. Mi ci vedete ame rinchiusa in un collegio? Fin da piccola ero come sono adesso: un“peperino”! Per uno strano scherzo del destino a scuola, poi, mi divertivoa infastidire soprattutto le bidelle, con i mie dispetti le facevo impazzire!Su, non pensate chissà che cosa combinassi: ai miei tempi ci si divertivacon poco e i miei erano proprio scherzi ingenui, se non stupidi. Vorrestesapere di che si tratta? Vi lascio con la curiosità, così se lo volete saperemi venite a trovare e parliamo un po’ insieme.

Ma torniamo alla tristezza dell’abbandono della Centrale: oltre allatristezza di separarmi dalle mie amiche avevo anche tanta paura: sareiriuscita nel mio nuovo incarico? È proprio così, anche se vi sembro tantosicura ho sempre il timore di sbagliare e sono un po’ come certi alunni.Non pensate, però, che questo sia uno sfogo nella speranza di tornare alla

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Centrale: ormai via Isola Bella è diventata la mia seconda casa e illavoro, gli incarichi che svolgo qui mi riempiono di soddisfazione.

In questa nuova sede mi sono sentita proprio valorizzata, ho capitoche il mio lavoro e la mia presenza qui sono importanti. A farmi com-prendere questo sono stati un po’ tutti, alunni, professori e il Preside.

Ci sono tante cose che possono cambiare una giornata per noi“collaboratori scolastici” (vi ho detto che non mi abituerò mai a non sen-tirmi più chiamata “bidella”): l’affetto degli alunni, i genitori che entranoarrabbiati, pronti a protestare contro tutto e tutti, ed escono poi rassere-nati, le chiacchiere (tanto per cambiare, direte voi) con i professori, lamattina prima del suono della campanella, di fronte a un caffè e, infine, imiei due body-guard, Luigi e Salvatore, con cui ho stabilito un rapportobellissimo.

Il perché di questo mio scritto? Tanto per cominciare, perché voiragazzi impariate che nella vita non bisogna mai scoraggiarsi o averepaura del nuovo, perché può riservarci delle sorprese piacevoli che nonci saremmo aspettati, e poi soprattutto per salutare una mia collega, un’a-mica, anzi una vera e propria sorella che ho lasciato alla Centrale, la miaRina (non se ne abbiano le altre). Perché, Rina, ti voglio tanto, tantobene? Perché sei capace di ascoltare, parli poco ma comprendi molto;perché la tua vita, come la mia, non è semplice, le difficoltà comuniuniscono. Da te ho imparato che ad ogni cosa bisogna dare il giusto pesoe che le piccole contrarietà della vita vanno affrontate senza farne undramma e, ancora, che si può amare anche un lavoro come il nostro, se sicerca di essere d’aiuto agli altri.

Qualche volta pure io faccio “la seria”, basta però con la commo-zione. Un bacio e un grazie a tutti, a tutti voi che mi fate sentire a mioagio, perché quest’anno, lasciatemelo dire, qui sto ’na crema!

Adalgisa Viti

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Lavorare a via Isola Bella

Mi chiamo Luigi, da settembre sono entrato a far parte dell’organicodel Liceo Orazio come collaboratore scolastico. Provengo da una scuolamedia di una delle tante anonime periferie di Roma. Per me questo tra-sferimento è paragonabile a quello di un calciatore che partendo da una“provinciale” si trova ad approdare in una squadra di serie A; il LiceoOrazio infatti, con oltre mezzo secolo di storia, sessanta e più classi eoltre milletrecento alunni distribuiti in tre sedi, ha tutte le carte in regolaper apparire come una grande compagine che incute rispetto.

Il mio senso di smarrimento iniziale però è svanito ben presto grazieall’accoglienza ricevuta da parte di tutto il personale con il quale sonoentrato in contatto. In particolare nella sede nella quale presto servizio,che è quella di via Isola Bella, ho avuto la buona sorte di trovare colleghiforniti di grande professionalità e spessore umano: Gisa, collaboratricevigile, grintosa e dinamica nello svolgere le sue funzioni, ma anchemadre premurosa con quegli alunni che, alle prese con i problemi con-nessi alle vicende scolastiche e con quelli propri degli adolescenti, si tro-vino nella condizione di aver bisogno di un incoraggiamento e di unavoce amica. Salvatore, per tutti oramai Sasà, collega con meno anni diservizio di me, ma che grazie ad una lunga esperienza nel campo alber-ghiero, è capace di accogliere come pochi. Un carattere solare, mediter-raneo, tipico per chi come lui provenga dal Sud del nostro Paese, unitoad un inesauribile sorriso completano la figura di quest’uomo.

Insieme a loro ho avuto tutto il tempo per adattarmi alla nuova situa-zione e conoscere l’ambiente. Quest’anno poi mi è stata data la possibi-lità di arricchire l’esperienza lavorativa con delle mansioni di profilo di-verso dal mio: il Dirigente Scolastico venuto a conoscenza delle mieprecedenti esperienze in campo informatico, ha deciso di affidarmi un in-carico aggiuntivo di assistente tecnico per il laboratorio d’informatica.L’aula in questione più che un laboratorio d’informatica è un vero e pro-prio laboratorio multimediale; la dotazione è fornita di computer perogni alunno, un videoproiettore da parete per le presentazioni audiovi-sive, un riproduttore multimediale unito a un impianto sonoro di elevataqualità. Questo ha permesso di preparare e svolgere in collaborazione

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con gli insegnanti non solo lezioni d’informatica ma anche esercitazioniinterattive di latino, greco e inglese. Il laboratorio è inoltre sede di corsiche prevedono la partecipazione di esperti esterni, come ad esempioquello interessantissimo sull’educazione alimentare svolto in collabora-zione con i medici della ASL.

In chiusura di questo piccolo intervento vorrei menzionare glialunni; mai mi era capitato di avere a che fare con ragazzi più rispettosiverso il prossimo e l’Istituzione di questi. Non un episodio di bullismoma una pacifica convivenza come ogni genitore che affidi i propri figlialla scuola spera. Visto da qui il futuro non è così nero.

Luigi De Filippis

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Ragazzi, vi parla Massimo

Salve a tutti, molti mi conoscono, altri solo di vista, altri ancora nonmi hanno mai incontrato: mi chiamo Massimo, e sono il custode dellasede di Via Spegazzini, dal “lontano” 2002.

Quest’anno mi è stato chiesto di scrivere due righe per l’annuario,che descriva il mondo scolastico, il vostro mondo, di voi studenti attra-verso gli occhi di un collaboratore. In tutto questo tempo molte cosesono accadute, molti di voi sono entrati a far parte della mia quotidianitàcome “ragazzini” spauriti, provenienti dalle medie, a un ambiente comeil liceo; per poi uscirne come ragazzi maturi pronti, o quasi per la “vera”vita che li attende. Alcuni ancora ne fanno parte, poiché stanno comple-tando il loro percorso di studi. Ognuno di voi, e di loro, ha una storia,che io magari non conosco a fondo, ma che in questi anni ho imparato aconoscere e ad apprezzare per il modo in cui affrontare i problemi dellavostra età.

Durante ogni giorno davanti alla mia “postazione” passano tanti divoi, ognuno con nome, con un volto, con un’esperienza di vita, seppurbreve, diversi. Quando parlate con me, siete tutti presi da un nuovo ra-gazzo/a o da uno/a che vi ha lasciato/a, dalla voglia di farsi magari deitatuaggi, piercing, dalle interrogazioni, dai compiti in classe, da un prof ouna prof un po’ troppo autoritario/a, o da uno/a che considerate “grande”.Io come al solito, vi ascolto, vi consiglio, cerco di dissuadervi dall’ideadei tatuaggi o dei piercing; insomma per voi divento un punto di sfogo, ocome ha detto un papà di una vostra compagna, “un fratello maggiore”,anche se io mi vedo meglio come uno “zio”. È bello vedere come cre-scete durante gli anni, come, una volta diplomati, tornate a trovarci e viricordate di noi, come alla fine si crea un legame di rispetto e amiciziaoltre il ruolo studente-bidello.

Ora, dopo tutti questi preamboli, vi vorrei raccontare un fatto che miè rimasto impresso. Nel periodo poco prima delle vacanze di Natale, ilprimo anno che ero qui, è stata organizzata una tombola pomeridiana,con alcuni ragazzi e ragazze. Quando sono arrivato mi sentivo un po’ adisagio, perché ancora non ci conoscevamo bene, ma dopo alcuni istantimi avete fatto sentire parte della “grande famiglia”. Quello che mi è

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rimasto molto impresso, è come mi avete accolto: in quelle ore non c’erapiù il distacco tra alunni, professori e collaboratori, ma sembravamo unafamiglia in festa che ride, scherza e passa delle ore piacevoli, come si fadurante le feste natalizie. Lo scherzo che ricordo ancora con allegria, èstato quello ad una ragazza, Alessandra, alla quale è stata regalata conironia, una scopa da Befana dalla professoressa Palanga.

Ci sono tante altre storie, episodi, sia belli che spiacevoli, ma quelloche conta è che tra di noi il dialogo è sempre presente, e che anche con inostri difetti, ci vogliamo bene come una “famiglia”.

Massimo Magheri

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Rina, una voce dalla Centrale

Mi presento: sono Rina, la più anziana bidella dell’Orazio, infattisono venti anni che l’Orazio mi sopporta. In questi venti anni ho vistocambiare presidi, vicari, professori, alunni (e alcuni di loro sono diven-tati professori!) e personale ATA...

Il mio lavoro si svolge tutto in portineria, una posizione strategicache mi pone come primo approdo per qualsiasi visitatore si avvicini al-l’Istituto, perché lo devo indirizzare alle segreterie o al corpo docenti.Quante facce nuove vedo ogni anno varcare l’ingresso della scuola! Edall’espressione che hanno quando si avvicinano al gabbiotto, capiscosubito se sono animate da pacifiche intenzioni o no.

Come in tutte le scuole, anche le direttive delle segreterie passanoattraverso la portineria, da dove sono smistate verso i vari piani. Natural-mente non potrei fare tutto da sola, ma qui in portineria posso contaresulle mie colleghe Paola e Carolina, che portano le circolari ai collabora-tori dei piani superiori: Pina e Laura del primo piano, Roberta Floritta eRosaria del secondo, Marcello (che è anche il custode) e Roberta Sbar-dellati del terzo. Sono queste brave colleghe e Marcello a portarle diret-tamente nelle classi, costringendo purtroppo i professori a interromperele lezioni (non ne abbiamo certo colpa noi, è una necessità di servizio).Ho nominato il personale dei piani superiori, invece al piano seminter-rato, dove sono le palestre, vigilano i collaboratori Roberta Spiriticchio ePatrizio, sempre pronti a tenere sotto controllo le molte attività sportivedella scuola.

Sebbene il ruolo del collaboratore scolastico venga spesso sotto-valutato, voglio dire, parlando anche a nome dei miei colleghi, che tuttinoi, il personale del liceo Orazio, oltre a svolgere appieno le propriemansioni primarie di pulizia, controllo e accoglienza, siamo semprestati disponibili alle esigenze dell’Istituto: teniamo aperta la scuola,anche a sera inoltrata, per qualsiasi evento straordinario, cerchiamo dismussare le asperità che spesso si creano tra genitori e docenti, me-diando quando sorgono incomprensioni e conflitti, prestiamo il primosoccorso agli studenti, quando ne hanno bisogno per questioni di salutee... di cuore.

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Con tutti i colleghi ho stabilito un buon rapporto, ma quella chericordo più volentieri è Gisa. La ricordo quando entrò in questo Istitutonel 2002. Il nostro rapporto è incominciato con uno scambio di opinionimolto caloroso, e poi si è trasformato in una bellissima amicizia. Cilegano molto i nostri problemi di vita, ma nonostante sia dura abbiamosempre un sorriso e una buona parola per tutti. È stato duro il trasferi-mento di Gisa, ma l’amicizia non è diminuita e continua anche fuori dallavoro.

Agrippina Virlinzi

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Il Liceo Orazio e i genitori

Si coglie subito l’accoglienza, l’assistenza del team di docenti, delpersonale ATA quale supporto al ruolo di “genitorialità” nella Scuola.

La complessità e varietà delle famiglie sono determinanti nell’interosistema Scuola, ma anche il primo legame con il territorio dove le pro-blematiche da cogliere e fronteggiare sollecitano interventi a più voci.

Nel corso dell’anno si è creato un approccio con le competenzespecifiche di alcuni genitori che volontariamente si sono resi disponibiliper una collaborazione all’arricchimento dell’offerta formativa della“Nostra Scuola”.

Così si è pensato di valorizzare il “suggerimento” quale contributodi ciascuno, mirandolo alla soluzione di problemi nell’ambito dei lavoridelle Commissioni, cogliendo ancora l’opportunità di un coinvolgimentoe una responsabilizzazione nella gestione del progetto educativo, poten-ziandolo.

Si è andato così via via promuovendo un clima empatico, reciproca-mente accogliente tra insegnanti e genitori, propositivo, così da favorireuna comunicazione efficace e la condivisione delle prospettive educative.

Un esempio il “patto di corresponsabilità”, che ha come finalità lapromozione dello “star bene a Scuola tutti” nel rispetto della legalità,studenti, docenti, famiglie, attraverso la costruzione ed il mantenimentodi relazioni di fiducia.

Si è così raggiunta la possibilità di poter parlare piuttosto liberamentetra genitori e docenti mediando conflitti e mantenendo gradualmente un senso di appartenenza e contesto, percepito come uno spazio utile nel quale acquisire e condividere informazioni e strumenti in un’azionesinergica.

Ovviamente è l’inizio di un percorso, non senza ostacoli, con moltaattenzione a far sì che l’azione dei genitori non risulti invasiva piuttostoche costruttiva.

Sicuramente il ruolo dei genitori in questa Scuola è stato motivo diriflessioni su alcune criticità, ma volto a promuovere, fra tutte le risorse,la condivisione di obiettivi e prassi per, ancora una volta, condividereprogettualità articolate integrate ed efficaci.

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Una Scuola in “osmosi” con tutte le sue componenti alla ricerca diun “equilibrio” nell’attuale contesto socio-politico-culturale che tende,inevitabilmente a “destabilizzare”.

Con i frequenti cambiamenti istituzionali introdotti, si mette indiscussione quanto appena “costruito”, ponendo però in essere quellapositiva flessibilità di pensiero che deve comunque adeguarsi ad unanormativa in continuo mutamento, motivo di attenta interpretazione eCOMUNICAZIONE.

Così ancora una Scuola che tende a ridurre eventuali difficoltà nelprimo impatto delle famiglie, dei “quartini” o “primini” (per dirla nelgergo degli studenti), distribuiti nelle tre sedi, promuovendo un climapositivo e rafforzando il senso di appartenenza alla Scuola che glistudenti percepiscono come risorsa del “Loro Territorio” consapevolidel “Loro Protagonismo”.

Questa è la possibilità dei “figli dell’Orazio”, la loro occasione di sperimentazione e laboratorialità nell’ambito dei SAPERI ponendosiin ascolto e vivendo attivamente e serenamente la “Loro Scuola”.

Giuliana Piras

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Le attività realizzate

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LICIA FIERRO

Il tema di approfondimento culturaledel Liceo Orazio

L’attività didattica del nostro liceo si è arricchita, nel corso deglianni, di vari contributi e ricerche grazie al lavoro congiunto di docenti ediscenti.

Tra le iniziative, una delle più antiche è quella dell’approfondimentotematico attraverso un ciclo di conferenze-dibattito scandite mensilmenteda gennaio ad aprile. La scelta dell’argomento è legata ai grandi pro-blemi del mondo contemporaneo inseriti nel contesto degli studi classicie letti nella prospettiva di intellettuali specialisti della materia da trattare.

La conferenza è concepita come una lezione cui segue il dibattitocon la viva partecipazione degli studenti che devono essere preparati asostenere il confronto.

Quest’anno il tema prescelto è stato “Umanesimo e Scienza” svoltonella dimensione semantica come un’analisi del linguaggio nella suamultiforme costruzione ed applicazione. Sono stati acquistati alcuni testidi riferimento come “Contare e raccontare” di Tullio De Mauro e CarloBernardini e “Prima lezione di fisica” di Carlo Bernardini, per dare ai ra-gazzi la possibilità di un approccio al problema con autonome, prelimi-nari riflessioni.

La vexata quaestio circa la presunta debolezza del pensiero umani-stico come responsabile della scarsa diffusione della cultura scientifica inun paese come il nostro di lunga e consolidata tradizione idealistica, haprovocato una sorta di allargamento dei termini del confronto sulla basedi una flessibilità intellettuale non più solamente evocata, ma concreta-mente messa in pratica.

Gli interventi diretti di Tullio De Mauro, Carlo Bernardini, Anto-nella Rampino, Corrado Augias, sono stati orientati proprio a restituireun fondamento saldo e dunque “scientifico” alle varie forme del sapere,pur nella specificità dei rispettivi linguaggi.

Naturalmente, come scrive De Mauro, bisogna conoscere la linguain cui progettiamo e analizziamo parole e frasi; una lingua non solocome insieme potenziale di forme diverse, ma anche nelle sue modalità

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idiosincratiche di realizzazione e quindi, entro certi limiti, dobbiamo co-noscere la cultura, la vita più profonda della massa parlante che adoperaquella lingua.

Il nostro intento è quello di educare i giovani a pensare e a capire ilmondo non attraverso le banalità e le semplificazioni in cui spesso re-stano irretiti, ma facendo risorgere il pensiero complesso, la capacità diargomentare sulla base di cognizioni seriamente acquisite e validamentecriticate.

Tutte le conferenze vengono registrate, sbobinate, ricostruite. I testi,dopo la verifica dei relatori, costituiscono la prima parte del Saggio pub-blicato a fine anno; la seconda parte di esso contiene la riflessione deglistudenti, ovvero le migliori relazioni che essi elaborano sotto la guida deiloro docenti.

Il nostro liceo ha già pubblicato, a partire dall’a.s. 2001/2002, i se-guenti saggi: “La Globalizzzazione”; “La Giustizia”; “Fedi e ateismonella civiltà contemporanea”; “La Bioetica”; “Religioni e convivenza ci-vile”; “Quale Europa?”.

Licia FierroLa Coordinatrice

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I cicli di conferenzenei precendenti anni scolastici

Elenchiamo di seguito i cicli di conferenze sui temi di approfon-dimento culturale, organizzati dalla Prof.ssa Licia Fierro, a partire dal-l’anno scolastico 2001/2002. Di ogni ciclo indichiamo i relatori che sonostati invitati a trattare del tema prescelto nel nostro istituto: si tratta,come si vedrà dall’elenco, di personalità assai qualificate del mondodella cultura e delle istituzioni, spesso di primo piano per gli incarichirivestiti. Le conferenze degli illustri invitati, assieme alle relazioni deglistudenti, sono pubblicate annualmente in una serie di volumi, che sono adisposizione dei docenti e degli studenti nella biblioteca dell’istituto.

ANNO SCOLASTICO 2001/2002Tema di approfondimento culturale:

La GlobalizzazioneRelatoriVINCENZO VISCO,1 Gi aspetti economico-finanziari, conferenza del 17 gen-

naio 2002PIETRO RESCIGNO,2 Gli aspetti giuridici, conferenza del 26 febbraio 2002VITTORIO AGNOLETTO,3 Gli aspetti politico-sociali, conferenza del 4 marzo

2002PIERLUIGI CIOCCA,4 Gli aspetti economici: una prospettiva di lungo

periodo, conferenza dell’8 aprile 2002

1 Professore di Scienza delle Finanze all’Università “La Sapienza” di Roma e Mini-stro del Tesoro nel Governo Amato. Questa e le note seguenti vogliono fornire soltanto al-cune sommarie indicazioni sulle molteplici attività svolte da ciascuno degli invitati, senzaalcuna pretesa di completezza ed esaustività. Gli incarichi assunti si riferiscono, ovvia-mente, all’epoca della loro partecipazione ai cicli di conferenze nella scuola.

2 Accademico dei Lincei, già professore di Diritto Civile all’Università “La Sa-pienza” di Roma.

3 Medico del lavoro, già presidente della LILA (Lega Italiana per la Lotta all’Aids) eleader del movimento No-Gobal.

4 Vicedirettore generale della Banca d’Italia.

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ANNO SCOLASTICO 2002/2003Tema di approfondimento culturale:

La GiustiziaRelatoriGIOVANNI CONSO,5 Gli aspetti filosofico-giuridici, conferenza del 28 gen-

naio 2003 MAURIZIO DE LUCA,6 Le grandi inchieste giudiziarie, conferenza del

24 febbraio 2003 ANTONELLA PATRIZIA MAZZEI,7 Il processo penale, conferenza del 13 marzo

2003PIERLUIGI VIGNA,8 Gli strumenti dello stato contro la criminalità organiz-

zata, conferenza del 16 aprile 2003

ANNO SCOLASTICO 2003/2004Tema di approfondimento culturale:

Fedi e Ateismo nella civiltà contemporaneaRelatoriFRANCESCO PAOLO CASAVOLA,9 Gli aspetti della società multiculturale e

multireligiosa, conferenza del 23 gennaio 2004CARLO DI CASTRO,10 Ragione scientifica e fede religiosa, conferenza del

23 febbraio 2004BIJAN ZARMANDILY,11 Religione e politica nella dimensione medio-orien-

tale, conferenza del 29 marzo 2004PAOLO FLORES D’ARCAIS,12 Religioni, ateismo, tolleranza, conferenza del

20 aprile 2004

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5 Professore di diritto processuale penale, già presidente della Corte Costituzionale eministro della Giustizia nel Governo Amato.

6 Giornalista tra i più noti del nostro Paese, ha seguito le più importanti inchiestegiudiziarie negli anni Settanta e Ottanta, tra cui il caso Sindona e il caso Calvi.

7 Magistrato e vicepresidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma.8 Magistrato e Procuratore Nazionale Antimafia.9 Eminente studioso di Diritto Romano, già presidente della Corte Costituzionale e

presidente dell’Istituto della Enciclopedia Italiana.10 Professore di Meccanica Quantistica all’Università “La Sapienza” di Roma.11 Giornalista di origine iraniana, corrispondente per l’Iran di Limes e collaboratore

di numerose testate e agenzie giornalistiche internazionali.12 Saggista e filosofo, direttore della rivista Micromega e collaboratore di numerosi e

prestigiosi giornali italiani e stranieri.

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ANNO SCOLASTICO 2004/2005Tema di approfondimento culturale:

La BioeticaRelatoriEUGENIO LECALDANO,13 Introduzione filosofica ai problemi di bioetica,

conferenza del 20 gennaio 2005LUCIANO TERRENATO,14 Le “ragioni” della scienza, conferenza del 16

febbraio 2005STEFANO RODOTÀ,15 La bioetica: campo di confronto di problemi filoso-

fico-giuridici, conferenza del 7 marzo 2005 ELIO SGRECCIA,16 Fecondazione artificiale umana: il pensiero della

Chiesa cattolica, conferenza del 5 maggio 2005

ANNO SCOLASTICO 2006/2007Tema di approfondimento culturale:

Religioni e convivenza civileRelatoriGIORGIO GOMEL,17 L’esperienza ebraica nella cultura italiana, confe-

renza del 18 gennaio 2007 ALÌ RASHID,18 Un palestinese nel nostro Parlamento, conferenza dell’8

febbraio 2007 FEDERICO DI LEO,19 La religione come strumento di pace e convivenza

civile, conferenza del 2 marzo 2007Tavola rotonda sul tema: moderatore dott. PAOLO NASO,20 19 aprile 2007

13 Professore di Storia della Filosofia Morale all’Università “La Sapienza” di Roma. 14 Professore di Genetica delle Popolazioni all’Università “Roma Due” di Tor Ver-

gata.15 Professore di Diritto Civile all’Università “La Sapienza” di Roma e vicepresidente

della Camera dei Deputati.16 Vescovo, promotore dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro

Cuore presso il Policlinico Agostino Gemelli e presidente della Pontificia Accademia perla Vita.

17 Direttore per le Relazioni Internazionali della Banca d’Italia e cofondatore del“Gruppo Martin Buber – Ebrei per la pace”.

18 Diplomatico palestinese e deputato di Rifondazione Comunista, eletto nel 2006.19 Economista dell’ISTAT e responsabile della Comunità di S.Egidio.20 Direttore della rivista Confronti e curatore del programma televisivo Protestante-

simo.

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ANNO SCOLASTICO 2007/2008Tema di approfondimento culturale:

Quale Europa?RelatoriROSY BINDI,21 Cittadini italiani, cittadini europei, cittadini del mondo,

conferenza del 24 gennaio 2008LUIGI SPAVENTA,22 La moneta unica: era necessaria? È sufficiente?, con-

ferenza del 19 febbraio 2008LUISA MORGANTINI,23 La sfida dell’Europa per l’estensione dei diritti

umani, conferenza del 17 marzo 2008PIETRO ROSSI,24 Alla ricerca dell’Europa che non c’è, conferenza del 18

aprile 2008

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21 Esponente del Partito Democratico e ministro delle Politiche per la Famiglia nelGoverno Prodi.

22 Professore di Economia all’Università “La Sapienza” di Roma, già presidentedella CONSOB e ministro del Bilancio e della Programmazione Economica nel governoProdi.

23 Vicepresidente del Parlamento Europeo e candidata al Premio Nobel per la Pacenel 2008.

24 Filosofo e Accademico dei Lincei, professore emerito all’Università degli Studi diTorino.

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RAFFAELE CUCCURUGNANI

Partecipazione dell’Orazioal Piccolo Certamen Taciteum

Quest’anno il nostro Liceo ha partecipato al Piccolo Certamen Taci-teum: una gara di traduzione coordinata dal Liceo Classico “G. C. Tacito”di Terni, ma gestita autonomamente da ogni singolo Liceo che aderisceall’iniziativa. La gara è articolata in tre sezioni – la prima dedicata aglistudenti della V ginnasio; la seconda agli studenti della I liceo; la terzaagli studenti della II liceo – e per ciascuna di esse consiste in una provadi traduzione seguita da un breve commento. Il Liceo di Terni ha inviatoi testi che sono stati oggetto della prova e una commissione formata datre docenti di latino del nostro istituto ha organizzato lo svolgimentodella prova per il giorno stabilito dal bando (2 Marzo 2009), ha corretto le prove e segnalato alla Commissione Nazionale i nominativi degli stu-denti che si sono distinti in ogni sezione.

Gli autori scelti per le prove di quest’anno sono stati:• per la V ginnasio: Cesare, De bello Gallico, III, 14 (un brano che

narra una battaglia navale, un episodio della lotta di Cesare controi Veneti);

• per la I liceo: Cesare, De bello civili, III, 13 (un brano relativo aicombattimenti tra Cesare e Pompeo nei pressi di Durazzo);

• per la II liceo: Livio, I, 24 (un brano tratto dal famoso episodiodegli Orazi e Curiazi).

Al Certamen hanno partecipato 51 alunni, un numero piuttosto alto,anche se non uniformemente distribuito: infatti sono stati 31 gli alunnidella V ginnasio; 14 quelli della II liceo; solo 6 quelli della I liceo. Taledisparità è probabilmente imputabile al fatto che la data della prova si èsovrapposta al viaggio di istruzione di alcune classi liceali.

La commissione locale è stata formata dai docenti:- RAFFAELE CUCCURUGNANI, docente di latino e greco al liceo e re-

sponsabile del laboratorio dei Certamina per l’istituto;- MARIA MARCHEI, docente di latino e greco al ginnasio;- VALENTINA PELLEGRINI, docente di italiano e latino al liceo.

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La commissione nei giorni successivi si è riunita per la correzionedelle prove, operando dapprima una scrematura e concentrando poi lasua attenzione nella valutazione delle prove migliori. Al termine di unaserie di incontri la commissione all’unanimità ha individuato i vincitoriper ciascuna sezione che sono stati:

• per la sezione V ginnasio: Ludovica Rozera (V H)• per la sezione I liceo: Matteo Fortunato (I H)• per la sezione II liceo: Marina Amadori (II B).

Per concludere possiamo affermare che l’esperienza è stata positivae stimolante sia per gli alunni che hanno mostrato di gradirne particolar-mente il carattere agonistico e che, in alcuni casi, sono stati in grado discrivere commenti non generici, ma attenti alle caratteristiche particolaridei testi tradotti e con qualche spunto di riflessione critica personale; siaper i professori che hanno colto l’occasione per confrontarsi, in manierapiù approfondita di quanto sia possibile nei rapidi incontri durante icambi d’ora o nell’intervallo, sulle modalità e sui criteri di correzionedelle traduzioni. Si può anche pensare di organizzare nei prossimi annigare di questo genere in maniera autonoma, non solo per il latino, maanche per il greco come momento di stimolo per gli studenti e per i pro-fessori di verifica del lavoro svolto.

Certamen Alagherianum

Nell’ambito del laboratorio dantesco che è stato organizzato que-st’anno nel nostro istituto e che ha visto conferenze e seminari su diversiaspetti della sua produzione, si è ritenuto opportuno dar vita anche ad unCertamen Alagherianum, una gara aperta agli studenti del liceo e consi-stente nella traduzione di un brano tratto dalle opere latine di Dante ac-compagnato da un commento in italiano di carattere storico-letterario.Problemi di carattere organizzativo hanno impedito di dare adeguatapubblicità a questa prova che ha visto la partecipazione di un numeroesiguo di studenti. Il brano scelto è stato il capitolo finale del terzo librodel De Monarchia. Gli studenti impegnati hanno dimostrato di sapersiorientare nella traduzione e nel commento del brano e sono degne dimenzione le prove di Marta Rossi (II D), di Federica Cipolletta (I M) e, inparticolare, di Alessandra Menichini (I M).

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A conclusione di questa esperienza, gli organizzatori esprimonol’auspicio di riproporre il Certamen anche l’anno prossimo, cercando dicoinvolgere un numero maggiore di docenti e di studenti.

Raffaele Cuccurugnani(responsabile del laboratorio dei Certamina)

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ANNA PAOLA BOTTONI

La mia biblioteca

Il laboratorio “La mia biblioteca”, svolto nel corrente anno scola-stico 2008-2009, è stato elaborato con l’intento di rispondere all’esi-genza di avvicinare gli alunni al concetto di biblioteca e di archivio, in-tesi come luoghi tradizionali di ricerca in qualsiasi campo, soprattuttonell’area delle discipline umanistico-filosofiche, e alla metodologia dellaricerca bibliografica.

È noto ai docenti quanto gli alunni più capaci e volenterosi, manmano che procedono nel loro percorso formativo attraverso lo studiodelle discipline curricolari, sentano l’esigenza di approfondire determi-nati argomenti spiegati dal docente, ma non si sentano ancora in grado diutilizzare autonomamente l’ambiente della biblioteca, a partire dalla con-sultazione dell’archivio cartaceo.

Essi devono perciò, almeno nel biennio, essere guidati dal docenteper svolgere una ricerca in biblioteca, e non sempre riescono a vincere ildisagio iniziale o il disorientamento nell’affrontare un ambiente per lorosostanzialmente nuovo.

La finalità del presente laboratorio è stata perciò duplice: abilitare glistudenti alla ricerca e alla consultazione delle opere di carattere bibliogra-fico e/o saggi critici (soprattutto quelle presenti nella sede) per svolgerericerche di approfondimento su alcuni temi o percorsi inerenti lo studiodel mondo classico, seguendo le indicazioni di carattere metodologicofornite; svolgere alcuni percorsi tematici, concordati con i partecipanti delcorso, fra quelli proposti, elaborando con la guida del docente una rela-zione scritta su alcuni aspetti degli argomenti trattati, e una eventualeesposizione orale.

Gli obiettivi previsti sono stati i seguenti:• conoscenza della diffusione del libro, dell’editoria e delle biblio-

teche nel mondo antico;• conoscenza dei più importanti strumenti lessicografici e di ap-

profondimento bibliografico del mondo antico;• conoscenza di alcuni siti web sulla storia antica e sulle letterature

classiche;

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• svolgimento di alcuni percorsi di approfondimento tematico, con-cordati con i partecipanti del corso, inerenti le letterature antiche emoderne, utilizzando la modalità laboratoriale;

• produzione scritta, elaborata con la guida del docente, su alcuniaspetti degli argomenti trattati ed esposizione orale.

Il luogo di svolgimento è stato la sede di via Isola Bella, l’orario dellaboratorio il giovedì, dalle 12,30 alle 14,00 circa. Nell’ambito del labo-ratorio sono stati invitati a trattare gli argomenti in programma i seguentirelatori: la Dott.ssa Roberta Casaldi (esperto esterno), laureata in lettere especializzanda presso l’Archivio Centrale dello Stato; il Prof. Mario Ca-rini, docente di materie letterarie nel nostro Istituto; il Dott. GiovanniNucci, editor; la scrittrice Patrizia Carrano. Come si vede dall’elencodelle persone invitate a relazionare, il laboratorio, riproponendo unodegli aspetti della biblioteca nel mondo antico, quale luogo di incontrocon gli autori delle opere conservate o divulgate, ha offerto anche la pos-sibilità di conoscere alcuni personaggi del mondo dell’attuale editoria,un editor e una scrittrice, nello spazio riservato al concorso di scritturacreativa “La scienza narrata”.

Gli incontri, svolti secondo il calendario previsto dal 15 febbraio al14 maggio 2009, sono stati i seguenti:

• 15 febbraio: l’editoria nel mondo antico (intervento della referenteProf.ssa Anna Paola Bottoni);

• 5 marzo: incontro con un editor dei nostri giorni, previsto nell’am-bito del concorso di scrittura creativa “La scienza narrata” (inter-vento del Dott. Giovanni Nucci);

• 12 marzo: il concetto di archivio e di biblioteca dall’antichità ainostri giorni (intervento della Dott.ssa Roberta Casaldi);

• 19 marzo: l’ucronia negli antichi e nei moderni, percorso di ap-profondimento tematico (intervento del Prof. Mario Carini);

• 26 marzo: l’ucronia nella storiografia e nella narrativa moderna,percorso di approfondimento tematico (intervento del Prof. MarioCarini);

• 2 aprile: la morte di Guido del Cassero e Angiolello da Carignano,un giallo storico nel canto XXVIII dell’Inferno dantesco (inter-vento del Prof. Mario Carini);

• 23 aprile: l’ucronia nella narrativa moderna, percorso di approfon-dimento tematico (intervento del Prof. Mario Carini);

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• 30 aprile: incontro con la scrittrice Patrizia Carrano previsto nel-l’ambito del concorso di scrittura creativa “La scienza narrata”(intervento della Dott.ssa Patrizia Carrano);

• 7 maggio: consultazione delle opere di approfondimento biblio-grafico presenti nella sede e redazione di una scheda bibliograficatematica (intervento della Prof.ssa Anna Paola Bottoni);

• 14 maggio: “L’eroe inghiottito”, percorso di approfondimento te-matico (intervento della Prof.ssa Anna Paola Bottoni).

Gli incontri hanno riscosso il vivo interesse dei partecipanti e sisono svolti in un’atmosfera serena e costruttiva, permettendo di raggiun-gere gli obiettivi prefissati.

Anna Paola Bottoni(responsabile del laboratorio)

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ANNA PAOLA BOTTONI

“La scienza narrata”:esperimenti di scrittura creativa

Per il secondo anno consecutivo alcuni alunni delle classi prevalen-temente ginnasiali del Liceo Orazio partecipano al concorso “La scienzanarrata, esperimenti di scrittura creativa”.

Il concorso, patrocinato dalla Accademia delle Biotecnologie MerckSerono, si propone di promuovere la creatività individuale attraversol’arte del racconto e l’interesse verso il mondo della scienza.

Con La scienza narrata, l’Accademia delle Biotecnologie MerckSerono “intende rafforzare il suo impegno nella diffusione e promozionedi una cultura della scienza, rivolgendosi ad un pubblico particolare: igiovani”.

Abituati a percepire la scienza come qualcosa di lontano dal loroquotidiano, confusa spesso con la fantascienza, i giovani rischiano diperdere il legame con un ramo del sapere che in realtà è parte della loro esistenza più di quanto riescano a percepire. «Quello che vogliamocomunicare ai giovani – spiega il promotore del progetto, Dottor PaoloGrillo (Responsabile Affari istituzionali di Merck Serono, l’aziendafarmaceutica che ha finanziato l’iniziativa) – è l’importanza di infor-marsi su ciò che accade, ma anche di aprirsi alla conoscenza di se stessi,per capire che il sapere non sarà mai finito e che dunque è importanterestare all’ascolto per comprendere, interpretare, decidere, mantenendosaldi i propri valori, senza fare di ciò che è un “mezzo”, la scienza, un “fine”».

Si richiede ai partecipanti di elaborare un racconto, al massimo didieci cartelle circa (20.000 battute), in grado di sviluppare un intrecciotra scienza e letteratura, dimostrando, attraverso un linguaggio semplicee diretto, la presenza della “scienza”, nell’accezione più ampia deltermine, nella nostra vita, cercando così di realizzare un nuovo percorsoculturale finalizzato a considerare scienza e letteratura come dueelementi facenti parte di un unico sistema della conoscenza ampio euniversale. «L’ideale di sguardo sul mondo che guida anche il Galileoscienziato è nutrito di cultura letteraria» (Italo Calvino).

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I racconti più meritevoli riceveranno premi in denaro e Menzionid’onore. Tutti gli elaborati prodotti e inviati entro il 15 giugno potrannoessere pubblicati, con il nome dell’autore, in un volumetto di raccontiche sarà stampato in occasione del concorso. Durante le fasi di elabora-zione del racconto gli alunni avranno l’opportunità di incontrare l’editorNucci e la scrittrice Patrizia Carrano che forniranno loro delle indica-zioni.

Ricordiamo, infine, che lo scorso anno, la studentessa Elga Casciano,del nostro Liceo, ha avuto una menzione speciale dalla Giuria.

Si fornisce di seguito il calendario degli incontri:• 24 febbraio: incontro nella sala della Protomoteca in Campidoglio

di presentazione del progetto esteso agli alunni dei licei della capi-tale e di Milano. La presentazione è stata curata da alcuni esponentidella scienza, della letteratura e del giornalismo scientifico, quali ilProfessor Carlo Alberto Redi, Accademico dei Lincei e professoredi biologia dello sviluppo all’Università di Pavia; lo scrittore mila-nese Marco Rossari; l’editor Giovanni Nucci; il giornalista Ripa-monti del Corriere della Sera;

• 5 marzo: incontro con l’editor Nucci nella sede di Via Isola Bella;• 7 maggio: incontro con la scrittrice Patrizia Carrano nella sede di

Via Isola Bella.

Anna Paola Bottoni(responsabile dell’iniziativa)

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ADRIANA DE NICHILO

Un progetto civile:il viaggio nella memoria

Che cosa potrebbe connotare come unico e speciale,almeno perme,l’anno scolastico che si sta concludendo? Avere dedicato energie edimpegno al recupero della memoria degli eventi più drammatici del XXsecolo sarebbe probabilmente la risposta più immediata e genuina a taleinterrogativo.

In effetti nell’anno scolastico 2008/2009 ho sperimentato percorsididattici per me inediti, anche perché tradizionalmente affidati a docentidi discipline storico-filosofiche. Accolsi con entusiasmo la propostaemersa in uno dei primi Collegi dei docenti di occuparmi del progetto“Viaggio nella memoria. Per non dimenticare la tragedia del ’900” pro-mosso dall’Assessorato e dal Dipartimento XI del Comune di Roma e,sebbene “non addetta ai lavori”, ho tentato di assolvere il compito forsepiù nell’ottica di un impegno civile che in una prospettiva in sensostretto didattica. Per la prima volta sono state coinvolte nell’iniziativadue classi della sezione linguistica, la V E e la III G, per la quale ho avutola preziosa collaborazione della professoressa Maria Giuseppina Cavallo,anche lei, come me, non “addetta ai lavori”, perché insegnante di In-glese.

Il viaggio di tre giorni ad Auschwitz-Birkenau, riservato ad un do-cente accompagnatore e a due alunni per ciascuna classe partecipante alprogetto, è stato solo una delle tappe del percorso attraverso la tragediadel Novecento, sebbene certamente la più toccante.

Il progetto si è di fatto articolato in una serie di attività ed iniziativeche posso così sintetizzare:1) un giorno di formazione riservato ai docenti;2) una giornata di studio e preparazione in Campidoglio riservata al

docente accompagnatore ed ai quattro alunni prescelti per il viaggioad Auschwitz;

3) il viaggio medesimo che si è svolto dal 9 all’11 novembre 2008 aspese del Comune di Roma;

4) la cerimonia dell’accensione della Chanukkah;

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5) una visita alla Sinagoga, al Museo ebraico e all’ex-ghetto di Roma,alla quale hanno partecipato tutti gli alunni della V E e della III G;

6) un elaborato a cura degli studenti da realizzare ed esporre in una pros-sima mostra al Vittoriano.

Se questi sono stati i momenti ufficiali dell’iniziativa, altre attivitàcollaterali sono state effettuate nelle classi a completamento del progettocome lettura di saggi, di articoli di giornali, di libri e visione di film.

Veniamo ai dettagli.Nel corso di formazione di complessive otto ore rivolto agli inse-

gnanti incaricati del progetto, che si è svolto a Roma il giorno 3 ottobre2008 presso la Casa della Memoria e della Storia in Via San Francesco diSales, il Comune di Roma ha messo a disposizione dei materiali e pro-posto una conferenza a più voci con accurati interventi dei professoriSarfati, Picciotto, Mantelli e Pezzetti che hanno chiarito alcuni aspettifondamentali della persecuzione contro gli ebrei e della Shoah.

La giornata di studio del 31 ottobre 2008 nell’Aula Giulio Cesare inCampidoglio è stata particolarmente densa e coinvolgente, soprattuttoperché sono stati proiettati dei filmati d’epoca, praticamente irreperibili,relativi ai temi della cosiddetta “operazione eutanasia”, promossa dai na-zisti per eliminare i disabili tedeschi, e della propaganda antisemita chesi avvalse perfino dell’uso dei cartoni animati, realizzati con tecnicheassai sofisticate per i tempi, per inculcare sentimenti razzistici anche neibambini. La seconda parte dell’incontro è stata dedicata agli aspetti orga-nizzativi del viaggio ad Auschwitz.

Il viaggio vero e proprio si è svolto nei giorni 9-10-11 novembre2008 e mi ha visto partecipe insieme ai quattro alunni prescelti. Nelprimo giorno, dopo il trasferimento aereo da Roma a Cracovia, con laguida del professor Pezzetti e delle responsabili del progetto dell’XI Di-partimento del Comune di Roma è stata effettuata una visita del ghetto,della Sinagoga Temple e dell’antico quartiere ebraico di Kazimierz dellacittà polacca. La sera si è avuto un primo incontro con i sopravvissuti,Shlomo Venezia, Andra e Tatiana Bucci, Samuele Modiano che accom-pagnavano il gruppo di circa trecento studenti romani e dei loro docentiaccompagnatori, validamente supportati dal personale del Comune diRoma che da vari anni si occupa del progetto. Nel secondo giorno si èsvolta la visita a Birkenau e ad Auschwitz e un nuovo incontro serale con

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il Sindaco ed i sopravvissuti. Il terzo giorno è stato dedicato alla visitaguidata al centro storico di Cracovia e al ritorno a Roma.

Non è possibile rendere conto in questo breve spazio delle emozionie della mole di conoscenze che questo viaggio ha comportato. Altrove,nella “Miscellanea”, ho tentato di comunicare e condividere il sensoprofondo di questa esperienza, che non può non lasciare un segno indele-bile in chi l’ha vissuta.

Quanto al rito dell’accensione della Chanukkah, esso si è celebrato aRoma, al Portico d’Ottavia, il giorno ventitré dicembre ed è stato seguitoda un folto gruppo di insegnanti e di studenti, che hanno così coralmentepartecipato ad un momento significativo della tradizionale festa ebraicadella luce.

La visita al Tempio maggiore è stata effettuata, ancora con l’au-spicio del Comune di Roma, nel giorno 23 febbraio 2009 ed ha visto par-tecipi tutti gli alunni della V E e della III G, che hanno manifestato vivointeresse soprattutto per il materiale esposto nell’adiacente Museoebraico di Roma che raccoglie testimonianze pregevolissime della storiae delle tradizioni degli ebrei romani, una delle comunità di più antico in-sediamento e radicamento del bacino del Mediterraneo. Estremamentevalida la ricca documentazione che mi è stata consegnata anche in questacircostanza, principalmente relativa alle vicende degli ebrei di Roma.

L’ultima fase del progetto, la produzione di un elaborato, è ancora incorso di realizzazione.

Come detto, ai momenti canonici di incontro e confronto si sono ac-compagnate altre attività proposte dai docenti come la lettura di libri (Sequesto è un uomo di Primo Levi e 16 ottobre 1943 di Giacomo De Bene-detti sulla razzia nel ghetto di Roma) commentati dagli studenti o la vi-sione di film particolarmente significativi in lingua inglese proposta dallaprofessoressa Cavallo.

Questo insieme di attività ha consentito di utilizzare il progetto comepunto di riferimento per un’esperienza didattica multidisciplinare, al cro-cevia tra storia, arti, letterature e lingue alla quale ha contribuitoulteriormente il viaggio di istruzione a Berlino, meta strategicamentescelta per gli alunni della V E, parte dei quali studia anche la lingua e laletteratura tedesca. La città di Berlino, nel ventennale del crollo del muro,ha consentito agli studenti partecipanti di conoscere più direttamente la

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storia travagliata della Germania attraverso testimonianze artistiche, sto-riche e culturali fino alla divisione in due blocchi nel dopoguerra e la sog-gezione ad un altro regime totalitario, quello sovietico, con i suoi dolorosirisvolti, simboleggiati dal muro e dal Checkpoint Charlie da noi visitati.Momento saliente di questo pur breve attraversamento del recente passatotedesco e del suo risorgere dalle sue ceneri è stata la visita del Monu-mento all’Olocausto, suggestiva opera dell’architetto americato Peter Ei-senman, inaugurata nel 2005, col suo impeccabile ed efficace Centro diinformazioni, depositario di memorie e documenti di prim’ordine. La“nuova Berlino” ci ha invitato a sorridere e sperare facendosi ammiraredalla cupola del Reichstag, dalla quale la vista può spaziare anche sugliavveniristici edifici che sono stati in pochi anni costruiti nella “terra dinessuno” un tempo occupata dal muro e dallo spazio che lo circondava.

Gli studenti hanno partecipato con attenzione e impegno alle attivitàproposte; grande rilevanza ha avuto poi per i quattro alunni intervenuti ilviaggio ad Auschwitz che li ha visti infaticabili e sempre disponibili alleesperienze e alle riflessioni per loro organizzate e a loro suggerite.

Per strade completamente diverse, ma non per questo divergenti, ènato l’intento di celebrare il giorno della memoria all’interno del Liceo“Orazio”. La proposta mi è giunta da parte dell’Ispettore Roberti delCommissariato di Fidene, nell’ambito di un progetto di più ampio respiropatrocinato dalla Polizia di Stato per diffondere nelle scuole del IV Mu-nicipio il principio del rispetto della legalità.

Questa giornata è stata individuata nel 27 febbraio 2009, data in cui,nell’Aula Magna del Liceo si è tenuta un conferenza, alla quale hannopartecipato numerose classi: prima, seconda, terza e quarta E, prima equarta F, terza G, tutte le prime dei corsi A, B, C, D, H, L, M, N, O e P,nonché numerosi docenti. Il principale oratore è stato padre PiersandroVanzan che ha pazientemente introdotto e commentato, nonostante gliinconvenienti di tipo tecnologico, due documentari, uno dedicato alla tra-gedia delle foibe ed un altro al ricordo di Giovanni Palatucci, funzionariodal 1937 della Questura di Fiume, deportato ed ucciso a Dachau nel1945, perché eroicamente si adoperò per salvare dalla deportazione edalla morte migliaia di ebrei, come riconosciuto nel 1990 dallo YadVashem di Gerulemme che lo ha giudicato “Giusto tra le Nazioni”. DiGiovanni Palatucci è da anni in corso un processo di beatificazione.

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L’avere ripercorso le tragedie del Novecento, il cui ricordo deveessere conservato ben vivo nelle nuove generazioni per indurle al rifiutodell’odio razziale, del pregiudizio, della discriminazione, della violenza edella guerra, per motivarle all’amore per la pace e per il dialogo tra ipopoli è stato un compito impegnativo di questo anno scolastico, ma dialta valenza pedagogica, nel generale quadro formativo che il Liceo“Orazio” si propone da tempo come obiettivo primario dell’attività edu-cativa che si adopera a svolgere.

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MARIA GRAZIA GIORDANO

L’educazione alla salute all’Orazio

Da quindici anni ormai l’educazione alla salute è presente nell’offertaformativa del nostro istituto, e si colloca all’interno di due grandi direttrici:la cura di sé, intesa come prevenzione dai comportamenti a rischio e comepotenziamento dell’autostima e delle abilità relazionali, e la cittadinanzaattiva, cioè la capacità di assumere atteggiamenti e comportamenti solidali.

Tali direttrici corrispondono alle linee-guida indicate dall’Organizza-zione Mondiale della Sanità e fatte proprie dal Ministero della PubblicaIstruzione per ciò che riguarda proprio l’area dell’educazione alla salute:

Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità affidano alle istituzioni pre-poste all’educazione delle nuove generazioni due funzioni principali in ordine all'edu-cazione alla salute e alla prevenzione delle dipendenze patologiche: quella informa-tiva e quella formativa, da esplicare in modo continuativo e strutturale, attraverso pro-grammi che si avvalgano degli strumenti ordinari dell'attività scolastica e medianteun’azione concertata e condivisa con le agenzie socio-sanitarie del territorio. (...)È stata del tutto condivisa, a questo riguardo, l’elaborazione proposta in sede inter-nazionale che individua la salute come progressiva integrazione nella crescita per-sonale dei livelli di organizzazione bio-psico-sociali. L’attuale concetto di salutecomporta il superamento della sola prospettiva preventiva in favore di un’ottica cheenfatizza la promozione della salute e la valorizzazione della persona: cultura,scuola e persona sono inscindibili. Come afferma Edgar Morin «bisogna insegnarea vivere»: insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compitooggi ancora più ineludibile rispetto al passato.

Tratto da: MPI “Piano nazionale per il benessere dello studente:linee di indirizzo per l’anno scolastico 2007/2008”

Del resto, il concetto della cura di sé come base per una equilibratavita individuale e collettiva è presente non solo nella filosofia classica(platonici, stoici, epicurei...), ma anche in quella contemporanea. Unodei maggiori intellettuali del nostro tempo, Michel Foucault, a questoproposito, scrive:

La cura di sé è etica in se stessa; ma implica dei rapporti complessi con gli altri, nellamisura in cui questo ethos della libertà è anche un modo di aver cura degli altri; perquesto motivo, per un uomo libero, che si comporta come si deve, è importante sapergovernare la moglie, i figli, la casa. L’arte di governare sta anche in questo. L’ethos

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implica un rapporto con gli altri nella misura in cui la cura di sé rende capaci di oc-cupare, nella città, nella comunità o nelle relazioni interindividuali, il posto appro-priato – per esercitare una magistratura o per avere rapporti di amicizia.Se si ha una buona cura di se stessi, se cioè si sa ontologicamente quello che si è, sesi sa anche quello di cui si è capaci, se si sa che cosa significa essere cittadino in unacittà, padroni di casa in un oikos se si sa quali sono le cose da temere e quelle da nontemere, se si sa quello che bisogna sperare e quali sono le cose che, al contrario, deb-bono essere completamente indifferenti, se infine si sa che non si deve aver pauradella morte, ebbene, allora non è possibile abusare del proprio potere sugli altri. Una città in cui tutti avessero cura di se stessi come si deve sarebbe una città chefunzionerebbe bene e che troverebbe in ciò il principio etico della sua permanenza.

(M. Foucault, L’etica della cura di sé come pratica della libertà, 1984in Archivio Foucault, 3. 1978-1985, ed. Feltrinelli, pag. 279-81 passim)

Le attività svolte negli anni presso la nostra scuola hanno avutodunque questi obiettivi, e si sono avvalse dalla collaborazione di entipubblici (ASL, Sert, consultori) e di associazioni presenti sul territorio.

LO SPORTELLO DI ASCOLTOLe problematiche presentate allo sportello di ascolto psicologico

sono prevalentemente di tipo:a. scolastico (insegnamento, apprendimento, relazionale)b. personale (ansie, angosce, affettività, dipendenza, aggressività,

alimentazione, sessualità)c. familiare (relazione genitori-figli, o tra fratelli, perdita di una

figura genitoriale, separazioni e divorzi ecc.)

Traspare chiaramente il bisogno dei ragazzi di avere un punto diriferimento nell’ambito scolastico con cui ridimensionare o impararead affrontare i loro problemi personali di ogni natura. Questo lavororichiede un investimento nel tempo di anni, perché i giovani hannobisogno di creare un clima di fiducia e di empatia verso chi hanno di fronte e di vincere quelle resistenze che nascono spesso da culturefamiliari di tipo borghese, dove si è più rigidi nell’accettare e risol-vere un problema di tipo psicologico. È auspicabile offrire ai genitoriuna garanzia di contenimento delle ansie adolescenziali tipiche del-l’età dei loro figli ed un equilibrato servizio di mediazione tra lediverse componenti dell’istituzione scolastica: in primis i ragazzi.

Prof.ssa Giovanna Mirra

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CRISTINA ANGELETTI

L’attività della pallavolo eil laboratorio di tecniche motorie

nella nostra scuola

Tra le varie attività dei gruppi sportivi la pallavolo rappresenta datempo una bella realtà.

Gli studenti sia maschi che femmine, che si impegnano in tale disci-plina sono numerosi. Divisi in due categorie di età: allievi e juniores, par-tecipano ai campionati studenteschi.

Un primo girone di qualificazione normalmente riguarda le scuoledel distretto. Superata questa fase si passa alla interdistrettuale dove si in-contrano le vincenti dei vari distretti, quindi alla comunale e infine aquella provinciale.

Da molti anni le squadre rappresentative del nostro Liceo hannoavuto accesso alle fasi finali tra le più prestigiose scuole della provincia diRoma.

In quest’anno scolastico, nel momento in cui si sta scrivendo perl’annuario, sono state superate le prime fasi di qualificazione. È già unrisultato di grande soddisfazione per i ragazzi, per la loro insegnante e na-turalmente per il Liceo. Ma in questo particolare momento, dove è prema-turo parlare di risultati finali, mi preme mettere in risalto la situazione chepiù esalta e che dà la misura di quanto l’impegno della scuola e di chiopera per essa, è stato appieno ripagato.

Lo scopo della diffusione della pratica sportiva, oltre a dare ai ragazziun sano impegno e una piacevole distrazione dalle fatiche dello studio, èquello di insegnare il rispetto delle regole, dell’avversario dei compagni.

Impegnarsi per dare il meglio di se stessi ed essere soddisfatti diaverlo fatto anche quando non si vince. Sono valori molto spesso sbandie-rati, condivisibili dai più, ma difficili da accettare quando si è presi dallavoglia di vincere, dall’agonismo esasperato.

Direi che l’insegnamento delle attività sportive deve ritenersi rag-giunto quando si va oltre il gesto tecnico, oltre la prestazione e soloquando quei valori tanto ricercati diventano patrimonio personale degliallievi.

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Gli obiettivi e le finalità dei gruppi sportivi sono stati da sempre darea tutti, bravi e non bravi, dotati o meno, l’occasione di affrontare una di-sciplina sportiva senza l’oppressione del risultato, trovando soddisfazionenella partecipazione.

Quest’anno forse, abbiamo raggiunto il vero risultato da semprericercato: un piacevole clima da parte di molti che si impegnano per sestessi e per i compagni.

Si è instaurato un positivo rapporto tra i partecipanti dove i più bravisono da esempio e di aiuto per la crescita dei meno bravi. Il tutto in unospirito di collaborazione che veramente ripaga con soddisfazione l’inse-gnante impegnata nel raggiungimento delle finalità.

Merita ricordare inoltre, che numerosi partecipanti hanno permessoanche la realizzazione di un “laboratorio di approfondimento delle tec-niche motorie” nell’ambito del quale vengono proposti percorsi differen-ziati individuali o di gruppo.

Gli studenti, pur non essendo obbligati a partecipare, si applicano di-mostrando impegno, passione e senso di responsabilità.

In questo spazio, privilegiato per l’opportunità di applicazione delletecniche diverse e alternative, si rende realizzabile il conseguimento diobiettivi speciali come lo sviluppo delle capacità di organizzazione della“coordinazione fine”, della capacità di analisi e di controllo dell’azionemotoria, della capacità espressiva sistematica e consequenziale attraversol’introspezione e l’autoanalisi (percezione di sé).

Sul piano dell’empatia, gli obiettivi sono la capacità di stabilire rap-porti di fiducia, di collaborazione e di coinvolgimento.

Un altro aspetto non trascurabile, di queste fortunate occasioni didat-tiche, è quello socializzante, infatti gli studenti hanno modo di confron-tarsi e cooperare oltre il loro nucleo classe.

Concludendo, queste attività in ambiente protetto, non si limitano adun aspetto meramente ricreativo, ma divengono funzionali allo sviluppodella personalità dell’adolescente, concorrendo in modo trasversale anchead un più proficuo approccio verso tutte le altre discipline di studio e leattività quotidiane.

Si ribadisce ciò con orgoglio e soddisfazione e si auspica che tutti glioperatori della scuola ne tengano ancor più conto e considerino che glistudenti, pur rimanendo nel giusto equilibrio, hanno necessità di spazi, ditempi e di persone disponibili affinché si possano concretizzare le finalitàeducative tanto annunciate e predicate.

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PATRIZIA RICCHIUTO

Progetto “Sapere i Sapori”

La necessità di nutrirsi accomuna tutti gli esseri appartenenti sia almondo vegetale sia a quello animale, in quanto nutrendosi ogni essere vi-vente si procura l’energia necessaria per il corretto funzionamento di tutti gliapparati o organi che lo costituiscono e che ne determineranno la crescita ela riproduzione. Se il nutrimento manca o è inadeguato, possono insorgereproblemi nel funzionamento degli organi, e più in generale nello stato di sa-lute e benessere dell’individuo. Occorre dunque prestare la massima atten-zione alla nutrizione, in quanto vitale necessità degli esseri viventi. A mag-gior ragione il discorso riguarda noi individui. Purtroppo proprio una sanae corretta alimentazione viene ad essere spesso trascurata dalle persone, siaper colpevole ignoranza sia perché i ritmi lavorativi e, più in generale, quo-tidiani imposti dalla nostra società, costringono a soddisfare il proprio ap-petito, soprattutto quando si mangia fuori casa, con pasti comodi e veloci,composti da pietanze di provenienza talvolta incerta, se non oggetto di ve-re e proprie sofisticazioni, e mal abbinate fra loro. Occorrerebbe invece ladiffusione di una conoscenza alimentare che aiuti il consumatore ad esserepiù autonomo e criticamente consapevole nelle scelte fatte a tavola, parten-do magari dalla presa di coscienza delle proprie abitudini alimentari. È bennoto, infatti, che, a lungo andare, una scorretta abitudine alimentare puòcomportare gravi problematiche sul piano fisico e l’insorgenza di malattieanche gravi, ad esempio a carico dell’apparato cardiovascolare.

Una guida alla corretta alimentazione, dunque, appare sempre di piùcome una vera e propria emergenza sociale, ed essa deve attuarsi findagli anni della scuola, per educare gli studenti, che saranno i futuri con-sumatori e lavoratori, a sapere gestire bene, nella migliore consapevo-lezza critica, questo fondamentale momento della vita quotidiana, che èl’alimentazione. Il Progetto “Sapere i Sapori”, proposto dalla RegioneLazio, nasce proprio dall’esigenza di educare i giovani ad una sana ali-mentazione, senza trascurare le tradizioni del territorio in cui vivono.

Il Liceo “Orazio” ha aderito all’iniziativa con entusiasmo. Questo èstato il primo anno di attività e, in qualità di referente, ho preferito predi-ligere l’attività di laboratorio. Infatti, con la dott.ssa Irene Amici, bio-

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loga, abbiamo organizzato, per i ragazzi del liceo, una serie di incontri,di cui allego il prospetto, che hanno previsto lo svolgimento di esperi-menti e attività di tipo didattico-scientifico di facile comprensione, da at-tuarsi in laboratorio, nell’ambito delle analisi chimiche e biologichedegli alimenti di uso comune, quali olio, vino, latte, pane etc.

Ho sentito l’esigenza di attivare il laboratorio perché, nel corso delle mielezioni curricolari ho realizzato che i ragazzi non sanno quasi nulla sulla pro-duzione degli alimenti e quanto possa essere facile la loro sofisticazione.

Mi auguro che la visione diretta e la loro partecipazione attiva ab-biano suscitato il dovuto interesse, momento importante per la cono-scenza, e spero che questo laboratorio possa essere il primo passo nelcammino per una presa di coscienza delle proprie necessità alimentari.

MATERIE ATTIVITÀ DI LABORATORIO MATERIALE OLTRE A VETRERIA E BUNSEN

Chimica biologica alimentare Produzione di birra Kit birra, malto, zuccherodai composti base

Chimica biologica alimentare Trasformazione del latte Latte, caglio, salein formaggio

Chimica biologica Determinazione Idrossido di Sodio kOH sol. 0.1 Ndella quantità Etere etilicodi acido Alcool etiliconell’olio Fenolftalina sol. 0.1%Determinazione Idrossido di Sodio NaOH sol. N/4dell’acidità Indicatore Fenolftalina -totale soluzione alcolica all’1%nel vino Indicatore Blu di bromotimolo allo 0,04%Determinazione Fenoftalinadell’acidità Soluzione di idrossido di sodio N/4del latte Vetreria

OhmetroChimica biologica Saggio di riconoscimento H202

delle Proteine:Enzimi - Catalasi

Chimica biologica Saggio di riconoscimento Indicatore Sudandei grassi, lipidi

Chimica biologica Produzione di glucosio Indicatore Blu di bromotimolo,(fotosintesi) sorgente luminosa

Chimica biologica Saggio di riconoscimento Reattivi di Feeling, glucosio, degli zuccheri saccarosio, etc.

Patrizia Ricchiuto(docente referente)

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Scambi and study/holiday

Pubblichiamo in queste pagine alcune lettere che gli studenti impe-gnati nei soggiorni di studio all’estero e negli scambi culturali hanno in-viato alla docente responsabile dell’iniziativa nel nostro Istituto, Prof.ssaJudith Maria Ciampa.

PATRIZIO TISCIONI (3° G)Study/Holiday in Gloucester 18/04/2009 - 25/04/2009

Hi Judith. What can I say about Gloucester? My family was perfect,we ate very well and everything was clean and beautiful. Their sonsbecame our friends, particularly the youngest, Joseph, who is 16 years oldand whose MSN contact we have. Gloucester is a nice city and we had areally good weather; it never rained. It was always sunny, we were lucky!Prof. Cavallo was happy with our English and pleased with what thefamilies told her about us. The other class and the other teacher were nicebut a little boring. The school was ok, but my partner was a NERD so I didn’t really get on with him. But no problem... I met other people andpartners, and in particular a girl who fell in love with me and whose MSNcontact I’ve got =) For the next trip to Gloucester, I think you shouldchoose a Grammar School and not a Comprehensive School like ChosenHill, because Grammar Schools are more similar to our Liceo. If I have torate this study/holiday, I think I will give it a nine. Don't worry about thehelp, it was the least that I could do. ;)

Thanks a lot for the amazing trip, Patrizio.

SONIA CRISTOFORI (4° I)Scambio Praga 25/03/2009 - 01/04/2009

Io sono stata benissimo. Sono capitata con una ragazza simpaticissi-ma. Mi ha trattata molto bene! Mi piacerebbe tornare a Praga anche con

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i miei amici oltre che per rivedere lei anche per visitare meglio Praga chemi sembra una città bellissima! DAVVERO BELLISSIMO SCAMBIO!!!

Sonia Cristofori

GIULIA DELL’UOMO (2° L)Scambio Praga 25/03/2009 - 01/04/2009

Dear teacher,I’m sorry but I had no time to write you sooner... The trip was beau-

tiful, an amazing experience, we had a lot of fun. Fortunately we had noproblems, and I can truly say I'm really glad I joined the exchange. Wesaid with the Czech guys that we want to meet another time, maybe inJune, but still we don't know if we will go to Prague or if they will cometo Rome... I’m really glad about everything.

Cheers, Giulia Dell’Uomo

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Navigando fino al 2009

Progetto: Sito Internet. Nome: Davide. Età: 23 anni. Occupazione:studente presso la Facoltà di Ingegneria Elettronica, Università “La Sa-pienza” di Roma. Tranquilli, tranquilli… non è il mio profilo su Facebook!

Potrei qui dilungarmi a stendere pagine e pagine sui miei cinque anniall’Orazio, ma ora sono qui a scrivere e raccontare l’esperienza maturatanel gestire il sito del Liceo dal 2004 (e anche qualche anno prima da stu-dente) fino ad oggi. Cercherò di essere rapido ed indolore e volendo ma-gari essere anche un po’ simpatico.

Tutto è iniziato quando la mia professoressa di matematica in V gin-nasio propose, a me e ad un mio compagno di classe, la collaborazioneper la realizzazione di un sito internet della scuola.

Nonostante la giovane età, poiché già interessato alla materia, misono reso disponibile e da lì a breve prese luce www.liceoorazioroma.it.A quell’epoca, appena sfuggiti dal millennium bug, ci si aprivano le portedi internet, parola quasi ancora sconosciuta per la maggior parte di noi.Poi purtroppo la professoressa lasciò l’insegnamento e da quel momentoad oggi, il sito ha cambiato più volte nome passando per www.liceoorazioroma.191.it per poi approdare fino ai giorni nostri al definitivo www.liceo-orazio.it.

Ripensando alle versioni precedenti del sito si possono scorgere siadal punto di vista grafico che funzionale il cambiamento delle esigenzedella scuola, ed inoltre si notano persone, fatti e avvenimenti che milasciano un sorriso pensando ad oggi che la mia visione della scuola ècambiata da studente ad “esterno”.

Dopo dunque aver gestito il sito da “studente” della scuola per quasitre anni, dopo l’Esame di Stato, la scuola mi contattò per chiedermi seeventualmente fossi stato interessato al proseguimento di quel progettoche ancora oggi è sotto gli occhi di tutti.

Io naturalmente accettai, dato l’interesse che avevo, e ammetto chemi sarebbe dispiaciuto lasciare proprio in quel momento in cui stavoiniziando ad imparare, tant’è che da quel momento in poi ho continuato aperfezionare sempre di più il sito, così che ad ogni versione che si è suc-

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ceduta nel tempo, ci sono stati cambiamenti che per i naviganti potevanoessere più o meno visibili ma che per chi era “dietro le quinte” rappresen-tavano molto.

Oggi il nostro sito conta (sto sbirciando nell’altro monitor) oltre40.000 visite, con un incremento dei naviganti che negli ultimi tre anni èaumentato notevolmente diventando così un portale informativo per le famiglie e per gli studenti, un luogo dove è possibile trovare le ultimecircolari e le comunicazioni della scuola che vengono aggiornate settima-nalmente da me, ma non dimenticando anche la disponibilità di tutto il personale del Liceo.

Abbiamo attivato mailing-list, servizio di messaggi, e la cosa di cuivado più fiero, anche se è quella meno in vista, l’area ex alunni, dove i di-plomati del liceo possono registrarsi e lasciare un recapito mail dove poteresser contattati. E tutto questo ad anni dal veder alla luce il famoso “Librodelle Facce”.

Attualmente il nostro sito è maturato notevolmente rispetto ai prece-denti anni, anche se può, e sicuramente potrà sempre crescere con il cre-scere delle esigenze di una scuola che è passata dai miei tempi in cui ciconoscevamo tutti, ad oggi che è diventata una realtà molto più grande.

Un’altra peculiarità e punto di forza è la sua funzione di archivio ememoria storica per tutti i progetti, le relazioni dove qui trovano dimorafissa e possono perdurare nel tempo... e dove domani magari ci sarà anchequesto annuario.

Davide Ballarano(WebMaster)

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Contributi dei docenti

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SILVANO SCALABRELLA

La domanda su Gesùnella prospettiva

della teologia cristiana dell’ebraismo

Durante la sua predicazione, Gesù si rivolge ad un piccolo gruppo didiscepoli: ciò che egli dice vale per il suo gruppo, per noi e non per tuttoIsraele, per la nostra vita senza impegnare tutta la Torah, tutto lo Stato,tutto il mondo con le sue regole leggi istituzioni. Gesù insegna al suopiccolo gruppo di discepoli la via da seguire. Egli è sulla montagna,come Mosè sul Sinai, tuttavia non ha in mente di parlare a tutto Israeleperché non vuole modificare la Torah: non vuole costituire un nuovoIsraele, né mettere in crisi l’Israele nato sul Sinai. Tuttavia sarebbe legit-timo aspettarsi che Gesù parli non solo a me, ai singoli individui, bensì atutto Israele: “Ma io attendo un messaggio rivolto non solo a me stesso oalla mia vita o alla mia famiglia, ma anche a tutti noi, all’Eterno Israele,che si trovò al Sinai non come una folla eterogenea, ma come popolo diDio, come figli di Abramo, Isacco e Giacobbe... Noi – l’Eterno Israele –abbiamo bisogno della Torah perché ci dica che cosa Dio desidera da noi.Gesù ha parlato, tuttavia, soltanto di come io, in particolare, posso fareciò che Dio vuole da me” (J. Neusner, Disputa immaginaria tra unrabbino e Gesù, Piemme 1996, pp.46-7):a) L’incarnazione e la salvezza si situano nella messianica ‘pienezza

dei tempi’ (Rm.1,3-4; Gal. 4,4-5).b) Il suo rapporto con la Legge (Mt.5,21-48): le antitesi; da confrontare

con l’altra novità introdotta dal Discorso della montagna (Mt.5,1-20).c) Gesù è sottomesso alla Legge (Gal. 4,4). Totalmente ebreo (Lc. 2,

21.22-4). Predica il rispetto della Legge (Mt.5,17-20), l’obbedienzaad essa (Mt. 8,4). Gesù in quanto ebreo appartiene ad una comunità,professa la fede ebraica e santifica la vita religiosa nel rispetto delculto, delle feste, dello studio (Lc.2,41-52; Gv.2,13; 5,1; 7,2.10.37;10,22; 12,1; 13,1; 18,28; 19,42).

d) Gesù insegna nella Sinagoga (Mt. 4,23; 9,35; Lc. 4,15-18;Gv.18,20), nel Tempio (Gv.18,20). Anche la comunità postpasqualefrequenta il Tempio (At. 2,46; 3,1; 21,26).

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e) L’annuncio della sua messianicità non è estraneo né estraniato dallaSinagoga (Lc.4,16-21). Gesù ha situato l’atto del sacrificio di sé nel-l’economia pasquale ebraica (Mc.14,1; Gv.18,28).

Il parallelismo pasquale assume particolare importanza nella pro-spettiva di una cristologia essenzialmente escatologica. Questa evidenziamaggiormente i punti che accomunano ebrei e cristiani, in relazione alsignificato salvifico della Pasqua: la promessa, l’alleanza, l’inabitazione,la salvezza, l’elezione a popolo di Dio...

Dunque, la circoncisione, insieme alla osservanza del riposo delsabato (Es. 31,12-7), è il segno dell’Alleanza. Secondo Gn. 17,9-14 lacirconcisione fu voluta da Dio come segno della sua Alleanza conAbramo e la sua progenie. La circoncisione assume per gli ebrei impor-tanza capitale; diviene il primo atto esterno visibile e comunitario di ap-partenenza al popolo di Dio. Data la peculiarità di tale atto, la prima co-munità cristiana si trovò subito di fronte alla necessità di risolvere il pro-blema sollevato dall’osservanza o meno di tale prescrizione (At. 15,1-3).Con la decisione del cosiddetto ‘concilio di Gerusalemme’ (At.15,6-29)si sciolsero i neoconvertiti dall’obbligo della circoncisione.

Con tale atto i seguaci di Gesù Cristo avviarono quel processo diallontanamento dal giudaismo, in quanto veniva messa in crisi l’osser-vanza stessa di tutta la Legge, perché superata dalla Nuova Alleanza.

Tuttavia dobbiamo chiederci: quale comprensione hanno gli Apo-stoli, e quindi la Chiesa pasquale, dell’affermazione di Gesù (o a lui attri-buita): “Io non sono venuto per abolire, ma per compiere” (Mt.5,17-20;16,17)? Il suo Regno coincide con il Regno di Dio di cui parlano laLegge e i Profeti?

La predicazione di Gesù va, a tale riguardo, interpretata secondo ilprincipio della distinzione- non esclusione: l’adorazione di Dio in spiritoe verità (Gv.4,21-3), per cui il comandamento dell’amore è superiore alleprescrizioni rituali della Legge (su cui d’altronde molti erano d’accordocon Gesù), non implica automaticamente la condanna né della Legge, nédell’adorazione nel Tempio, né della osservanza dei sacrifici o di qual-siasi osservanza cultuale. Anzi Gesù ne raccomanda all’occasione la pra-tica (Mc.1,44; Mt.5,23-4; 23,1-3.23). Gesù conferma la Legge: essa nontramonta con lui, bensì giunge a pienezza.

Quale termine usò Gesù per esprimere quello che noi nella versionedal greco traduciamo con ‘compiere’? Il termine greco dei Vangeli è

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“pleròsai” (dare pienezza), contrapposto a “katalysai” (sciogliere, rove-sciare, distruggere). Dunque, Gesù dovrebbe avere inteso la cosa inquesti termini: io non sono venuto per rovesciare la Legge, ma perportarla alla sua pienezza. In tal senso si dovrebbero interpretare i suoi“ma io vi dico”: compiere, dunque, la Legge nella sua vera essenza e nonperfezionarla, perché in sé la Legge è dal principio già perfetta e intra-montabile (Lc.16,17).

Quel Regno di Dio che è stato preparato dalla Legge e dai Profetiviene ora annunciato e reso presente tra gli uomini e in particolare allacasa di Israele (Lc. 16,16). Alla Legge si conformano S. Paolo e gliApostoli: essi rispettano la Legge con zelo e con assidua frequenza del Tempio (At. 2,46; 3,1; 5,12.21.42).

La folla si entusiasma sia davanti ai miracoli sia davanti all’an-nuncio della Parola: anche se l’immediatezza positiva e sanatrice del mi-racolo ha una maggiore capacità di fascino persuasivo, non per questo siè in diritto di dubitare della comprensione e dell’accoglienza dell’an-nuncio della Parola, la cui interiorizzazione richiede, ieri come oggi,tempi più lunghi.

Il vangelo di Giovanni presenta, invece, alcune difficoltà per la sua particolare raffigurazione degli Ebrei del tutto diversa da quella deiSinottici. C’è in primo luogo la questione sollevata dal Prologo(Gv. 1,11) circa la incredulità di Israele, sentenziata senza possibilitàd’appello: “Egli venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”.

Ci si chiede: chi sono “i suoi” di cui parla il Vangelo? Questi “isuoi” che rapporto hanno con la folla, che tuttavia anche in questo Van-gelo continua a seguire entusiasta Gesù, al contrario di quanto fanno icapi religiosi? Chi sono, dunque, gli Ebrei per il Vangelo di Giovanni?

È stato ipotizzato che per Giovanni gli Ebrei sono come un popolostraniero, o almeno per tale li tratta; oppure si è dedotto che l’ebreo Gio-vanni non sia l’autore di questo Vangelo, almeno che lo stesso autoreebreo Giovanni non usi il termine ‘Ebrei’ esclusivamente in senso ‘teolo-gico’, senza fare alcuna concessione ad un uso ‘storico’ di esso.

Un altro testo che presenta alcune difficoltà è quello di Gv.7,11-3: “I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: ‘dov’è queltale?’ E si faceva sommessamente un gran parlare di lui tra la folla; gliuni infatti dicevano: ‘È buono!’ Altri invece: ‘no, inganna la gente!’

Nessuno però ne parlava in pubblico, per paura dei Giudei”. Qui sifa un uso promiscuo del termine ‘Giudei’, ora nell’accezione positiva ed

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ora in quella negativa. Di qui la domanda: chi sono i Giudei che accet-tano Gesù e chi invece gli è contro? Cosa si intende per ‘Giudei’: unaminoranza o l’intera collettività ebraica? Come possono i Giudei tacere“per paura dei Giudei”? Ciò è incoerente.

L’incoerenza scompare se si ammette che l’Evangelista fa un usointenzionalmente antiebraico del termine ‘Giudei’: in questo modo èdifficile distinguere tra coloro che seguono Gesù e gli altri, anche se siintuisce la realtà di fatto corrispondente a tale distinzione. Così, se dauna parte c’è chi dice che Gesù “è buono” (Gv.7,12), anche se in sensogenerico indefinito e come sottovoce, dall’altra invece i Giudei ci ven-gono presentati come ostili a Gesù, anche se poi non si capisce chi sianopropriamente questi Giudei (Gv. 5,16.18; 6,35.41; 7,1; 8,39-44.49.59;20,19).

In definitiva: sebbene Giovanni usi il termine ‘Giudei’ pregiudizial-mente esteso a tutti i Giudei, tuttavia è opportuno distinguere all’internodel quarto Vangelo tra ebrei favorevoli a Gesù ed ebrei a lui sfavorevoli.

Si può dire che per l’Evangelista Giovanni esistono due categorie diebrei e tuttavia egli si risolve per l’uso teologico negativo del termine‘ebrei’, per indicare in senso forte coloro che non hanno accolto Gesù. Sipotrebbe interpretare la sua scelta ideologica alla luce di quanto S. Paoloscrive nella Lettera ai Romani: “...non tutti i discendenti di Israele sonoIsraele, né per il fatto di essere discendenza di Abramo sono tutti suoifigli. No, ma ‘In Isacco ti sarà data una discendenza’, cioè: non sonoconsiderati figli di Dio i figli della carne, ma come discendenza sonoconsiderati solo i figli della promessa’ (Rm.9,6-8), i quali tuttavia sonopur sempre gli ebrei.

Il resto che Dio si è riservato non è necessariamente nemico diIsraele: il resto non è infatti la prova del ripudio da parte di Dio, quantopiuttosto la conferma dell’Alleanza, della elezione di Israele, dell’amoredi Dio che sceglie sempre nuove vie (e quella di Gesù non fu per gliebrei certo né la prima e tuttavia del tutto imprevedibile: quante volte il Signore ha sorpreso Israele con i suoi ‘cambiamenti di rotta’?). Cosìmalgrado le opposizioni di alcuni tra gli ebrei, anche il vangelo di Gio-vanni non ignora la entusiastica accoglienza della folla (Gv. 3,26;7,12.31.49; 11,48; 12,19).

Particolarmente i capp. 2 e 11 del Libro di Isaia esprimono il grandedesiderio di pace tra tutti i popoli e di riunificazione di Israele disperso.Sebbene nei primi capitoli di Isaia manchi la figura del Messia, nel Deu-

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teroisaia, scritto due secoli dopo, compaiono i canti del Servo delSignore, in cui è evidenziata tutta la sofferenza del popolo di Dio. TuttoIsraele riceve l’incarico di portatore della Parola di Dio.

Messia (aramaico Meshiha; ebraico Maschiah; greco Christòs)significa Unto. Nell’A.T. Dio accorda l’unzione di olio ai suoi inviati,affidando così loro l’incarico di eseguire il suo piano salvifico; Oppuretale unzione costituisce il rito della consacrazione regale (1Sam. 9,16). A questi due significati specifici si aggiunge un terzo più complesso,sfumato, indefinito, che andrà a comporre con la sua ricchezza di testiscritturistici la cosiddetta fede messianica, la speranza di Israele per larealizzazione piena del Regno di Dio.

Con l’esperienza dell’esilio (il ritorno da Babilonia è del 536 a.C.)Israele aggiunge, dunque, alla speranza messianica il tema del ServoSofferente, in linea con la comprensione di sé come ‘popolo in esilio’,come popolo che ha sofferto la lontananza di Dio. Trasmesso attraverso isecoli con la stessa intensità di fede (Is. 55,3-5), il tema messianico dellasperanza in un futuro Re giusto, adombrato dalla gloria di Dio, discen-dente di Davide, rifluisce in un’opera ebraica del I sec. a.C., i cosiddettiSalmi di Salomone. Uno di questi, il Salmo 17,21-46, ci presenta l’idealemessianico nel modo inequivocabilmente più aderente alla tradizioneebraica e non sconosciuto, né estraneo, alla ispirazione neotestamentariae in particolare al Benedictus, pronunciato da Zaccaria nel Vangelo diLuca (1,68-79).

Senza difficoltà è lecito riconoscere affinità di toni messianici tra il Salmo 17 di Salomone e il Benedictus con testi quali i Salmi 2,79;72,1-11; 110,2-7: vi sono e vanno riconosciuti ambedue gli aspetti,quello politico-materiale e quello religioso-morale, con la notevole pre-minenza di quest’ultimo; né potrebbe essere diversamente se veramenteè Dio l’Autore e il Signore che dà salvezza e che ha promesso il Regnoalla discendenza di Davide (Ez.34,27; Ger. 30,8; Mic.5,5; Zac.9,8). Ora,è anche vero che il messianismo riconosciuto dagli Ebrei era soprattuttoquello davidico, cioè del Messia glorioso, vittorioso e liberatore diIsraele. Il Messia sofferente, doloroso (Is. 53,2-10; cf. 50,4-9; 52,13-5)non esaurisce da solo la fede messianica di Israele. Da parte sua laChiesa ha liberamente intravisto nei testi del Deuteroisaia la Passione diGesù, identificando così il Servo Sofferente, umiliato e percosso (Is. 53),con il Messia Gesù Cristo. Tuttavia tale identificazione, quella di Messiaglorioso e Messia sofferente, si sarebbe potuta applicare con uguale di-

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ritto anche a figure messianiche quali il Maestro di giustizia della Comu-nità di Qumran (ritenuto da essa Profeta e Messia, anche nel senso indi-cato da Is. 53). Ma solo Gesù Cristo, con l’unicità della Passione, ha as-segnato al Messia sofferente un significato del tutto nuovo, ignoto allaTradizione e imprevedibile per i contemporanei.

Quale posto occupa la figura del Messia nella predicazione di Gesù?E qual è la sua reazione di fronte a coloro che, secondo la testimonianzadel N.T., proclamano o negano la sua messianicità? Prima della Passionenessuno accusò Gesù di essersi dichiarato Messia. Che Gesù si siaespresso in tal senso emerge nel racconto della sua comparizione davantia Pilato (Lc. 23,2; cf. Mc. 15,9.12.18.26.32; Mt. 27,17.22.29.37.42;Lc.23,37-9). Ma è Pilato, cioè un pagano, ad affermare la messianicità diGesù, Re dei Giudei. Lo stesso Sommo Sacerdote non affermerà positi-vamente che Gesù si ritiene il Messia, ma gli porrà la questione sottoforma di domanda, evidenziando, al contrario di quanto farà Pilato, l’a-spetto religioso più che quello politico (Mc.14,61-2; Mt.26,63-4; Lc.22,67-70).

Prima dei Capi della Giudea e di Pilato solo i demoni avevano rico-nosciuto e proclamato Gesù Messia, Figlio di Dio (Lc. 4,41). Gli altritesti (Mt.1,1.8.16-7; Lc.2,11.26; Mc.1,1; 11,2), in cui Gesù è chiamatoCristo, appartengono alla tradizione apostolica e rispecchiano la fedepasquale della comunità cristiana primitiva, a noi nota attraverso gli Attidegli Apostoli. Di certo gli Apostoli ebbero fede nel Cristo GesùMc. 10,37 e Mt. 20,21; At. 1,6; Mt. 16,16 insieme ai testi paralleliMc.8,29 e Lc.9,20). Ma nessun testo evangelico può dimostrare che essitrassero – ammesso che potessero farlo – fin dall’inizio, e cioè durante lavita terrena di Gesù, tutte le conseguenze escatologiche di quel ricono-scimento messianico, così come invece fu loro possibile dopo la resurre-zione.

Ammesso che Gesù in quella circostanza abbia detto “tu lo dici”, eche ripeterà tale espressione davanti a Pilato, non c’è dubbio che il “tu lodici” può essere inteso sia nel senso di ‘tu lo dici, non io’, sia di ‘è cometu dici = sono io’. Comunque il semplice fatto che su questo punto cosìfondamentale ci possa essere una pur minima possibilità di ambiguitàlinguistica ed esegetica, questo fatto deve consigliare cautela e profon-dità di discernimento.

Una domanda: è una colpa dichiararsi Messia? Se i Sinottici diconoil vero, Pilato affermò di non aver trovato colpa in Gesù (Lc.23,4), dopo

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avergli chiesto se fosse il re dei Giudei ed aver ricevuto in risposta il “tulo dici” (Lc.23,3; Mc.15,2; Mt.27,11; Gv.18,33-7). Se la messianicità diGesù coincide con la dichiarazione di sé quale Messia-Re (in quale altrosenso potrebbe essere oggetto di interesse per Pilato?), è allora evidenteche Luca risolve negativamente il senso della domanda, giustificandocosì l’affermazione di Pilato “non trovo nessuna colpa in quest’uomo”(Lc.23,4).

Invero il Cristo della fede pasquale si sovrappone al Gesù, lo spiega,lo interpreta alla luce della resurrezione, lo orienta in senso apologetico epropagandistico. In realtà cosa cerchiamo noi oggi nei Vangeli? Doveavviene l’incontro, da cui scaturisce la fede? Chi incontriamo: quelGesù, che con il suo sì a Dio trasforma il suo particolare tragico destinonell’adempimento della speranza messianica, oppure il Cristo universaleannunciato dalla comunità cristiana? Con quali dei due avviene il nostroincontro personale? Quali dei due noi possiamo realmente conoscere?

Se è possibile una risposta, questa non può che partire dall’uomo eguardare con fede al Gesù Crocifisso: esprimerebbe così l’incontro per-sonale con il Gesù predicatore del Regno che si rivela sulla Croce. È dal-l’incontro che nasce la fede in Gesù Cristo; ogni cristiano rende eccle-sialmente testimonianza a questo incontro personale.

In realtà, il riferimento al duplice parallelismo tra Gesù e Elia, sulpiano carismatico e su quello escatologico, non deve necessariamentericondurre tale distinzione ad unum, come condizione della sua validità: i due piani possono restare in rapporto dinamico tra loro senza negarsireciprocamente o pretendere la derivazione dell’uno dall’altro. Tuttaviala loro reciproca inderivabilità non deve indurre a trarre conseguenzecirca una loro non-interscambiabilità, seppure non definita concettual-mente e non suffragata da una lunga tradizione. D’altronde è la stessafolla, che ha conosciuto Gesù, a raffrontarlo al profeta Elia che devevenire (Ml.3,23).

Ora, mentre non vi sono dubbi sul carattere carismatico dell’avvici-namento tra Gesù e Elia, è invece da chiarire lo sviluppo che tale carat-tere assume in senso escatologico, soprattutto in funzione della poste-riore separazione che la comunità pasquale opererà tra l’Elia-GiovanniBattista (il profeta che prepara la via al Signore) e Gesù-Messia.

Riguardo al rapporto che intercorre tra la profezia e la missione mes-sianica, è degna di nota la rilevanza acquisita, nel fariseismo contempo-raneo a Gesù, dall’equivalenza tra Spirito Santo, di cui è investito il pro-

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feta, e spirito di profezia. Osserva il teologo Vermes: “Di Hillel, unadelle colonne del fariseismo contemporaneo di Gesù, si racconta che ‘allorché gli anziani arrivarono alla casa di Gadia in Gerico, una voce dal cielo disse loro: ‘c’è un uomo tra voi degno dello Spirito santo, maquesta generazione ne è indegna. Essi fissarono lo sguardo su Hillell’Anziano’.

Il solo mezzo alternativo di rivelazione riconosciuto dall’insegna-mento rabbinico e da esso presentato espressamente quale successoredella profezia, è la ‘voce dal cielo’ (bath qol)” (G. Vermes, Gesù l’ebreo,Borla, Roma 1983, pp. 108-9). Nel battesimo di Gesù si sente la ‘vocedel cielo’ a testimonianza della vocazione profetica. La missione profe-tica di Gesù incontrerà invero forti resistenze nell’ambiente dei Sad-ducei, i quali identificavano la profezia con la funzione sacerdotale(Gv.11,51): ciò non toglie che tra gli strati popolari della fede messianicaera forte comunque l’attesa di una rinascita del profetismo (1Mac.4,46;14,41).

“Il titolo di ‘profeta’ non è attribuito a Gesù in nessuna delle profes-sioni di fede cristologica documentate nell’epistolario paolino. Inoltre lafigura del ‘profeta’ cristiano è vista con un certo sospetto o riserva dairesponsabili della comunità e dai rappresentanti autorevoli della tradi-zione (cfr. Mt.7,22)” (R. Fabris, Gesù di Nazareth, Assisi 1983, p. 208).La prima comunità cristiana non utilizzò il titolo di profeta ritenendoloinadeguato per l’interpretazione della figura di Gesù nella prospettivasalvifica e gloriosa, illuminata dall’evento della resurrezione.

In secondo luogo, l’analisi dei testi neotestamentari fa emergere ilfatto che l’interpretazione di Gesù quale profeta ha riscontro solo nel-l’ambiente popolare. Il modello profetico è estraneo al gruppo dei disce-poli di Gesù, così come all’ambiente dei capi giudei e dei fautori dell’op-posizione a Gesù.

Invece, come già si è detto, il titolo di profeta è collegato all’attivitàtaumaturgica di Gesù: “Una volta ammesso il nucleo storico dell’attivitàtaumaturgica di Gesù in rapporto all’annuncio del Regno di Dio, è diffi-cile negare l’attendibilità storica del modello profetico. Esso negli am-bienti popolari della Galilea è stato utilizzato per interpretare la figura diGesù mettendola in rapporto con quella di Giovanni, il profeta del de-serto, con le grandi figure del profetismo che nella tradizione giudaicaimpersonavano anche le speranze religiose più o meno impregnate dimessianismo” (R.Fabris, op.cit., p. 209). D’altra parte Gesù stesso allude

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indirettamente alla missione profetica, presentando la sua propria mis-sione (Mc.6,4; Gv.4,44; Lc.13,33). Tale autocomprensione in senso pro-fetico è pensata da Gesù – dissociandosi dalla interpretazione popolare –in collegamento alla sua situazione conflittuale esposta al rischio di unafine violenta, conseguente alla sua missione. “Il prototipo di questa cate-goria è il servo sofferente e fedele della tradizione isaiana, al quale Gesùprobabilmente si è ispirato, per dare un significato di speranza alla suamissione di fronte alla minaccia della morte violenta” (R. Fabris, op.cit.,pp. 209-10).

In realtà le decisioni del concilio erano di una importanza capitale,quanto di più equilibrato si potesse discernere nel difficile sforzo di con-ciliare la fedeltà alla legge mosaica con la missione di diffondere il Van-gelo di Gesù Cristo presso i Gentili. In effetti le istruzioni del concilio diGerusalemme riguardavano la proibizione di mangiare le carni prove-nienti dai sacrifici pagani, in quanto tali impure; poi, l’istruzione circal’immoralità riguarda le unioni illegittime secondo la Torah (Lv. 18,6-18); la terza proibizione riguarda le carni degli animali non svuotati delloro sangue; la quarta proibizione si riferisce ancora alle carni impure(Lv.17,10-16) oppure all’omicidio. In conformità alla Torah, tali proibi-zioni hanno un carattere rituale e pertanto, se eseguite con spirito di ob-bedienza, avrebbero consentito la fraterna convivenza e la condivisionedei pasti rituali tra ebrei e incirconcisi, evitando che questi ultimi rappre-sentassero per i confratelli ebrei una fonte di impurità e occasione discandalo.

Il lavoro, dunque, altro non è che il frutto del riposo, mediante ilquale l’uomo risponde alla chiamata di Dio sotto il segno della libera esi-stenziale adesione a Dio: lavoro e missione dicono dunque la stessa cosae ciò sembra essere l’insegnamento più riposto contenuto in Fil. 2,5-11:“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale,pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua ugua-glianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servoe divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò sestesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (vv. 5-9; cfr. Ef. 1,3-14).

Se accostiamo i due testi, quello di Matteo e quello paolino, com-prendiamo il significato del giogo leggero di Gesù che dona il riposo:non si tratta di abolire la sofferenza, la fatica, quanto piuttosto di instau-rare un mondo di pace e giustizia sociale tra gli uomini. In effetti quel

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dono di Gesù è la speranza su cui poggia la Chiesa stessa: il sogno dellaChiesa è proprio quello di poter sostituire il peso opprimente del giogocon il riposo promesso da Gesù.

“Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero”, dice Gesù.Poiché Gesù dice “il mio giogo è dolce”, possiamo sinteticamente

osservare: Cristo è nella Torah e la Torah è in Cristo. L’incarnazione diCristo nel mondo della realtà terrena e l’incarnazione della Parola di Dionella Torah rappresentano lo stesso movimento verso il basso della po-tenza trasfiguratrice di santificazione di Dio, l’Eterno, il Signore di tuttele cose visibili e invisibili. L’orientamento della trascendenza verso ilbasso si concretizza nel patto di alleanza tra Dio e il suo popolo; la Torahè lo strumento di santificazione o ricreazione del mondo, resa possibileanche ai cristiani provenienti dal paganesimo mediante Cristo risorto:“Non sono venuto ad abolire la Torah, ma ad adempierla” (Mt. 5,18). E Gesù adempie la Torah nel modo suo: quello della dolcezza e dellamitezza.

Colui che si conforma a Gesù, inevitabilmente si contrappone alleschiavitù del mondo che opprime e che uccide, che affatica e che umilia.Il riposo che Dio ha promesso, speranza di Israele e della Chiesa, non èun qualcosa di intimistico o psicologico, né è qualcosa che ha a che farecon il riposo eterno del cimitero: il riposo è una realtà promessa e realiz-zata da Gesù, lasciata in eredità a coloro che lo seguiranno nella impresadella edificazione della Chiesa. “Sia fatta la Tua volontà, come in Cielo,così in terra”: la vita terrena di Gesù altro non è che la concreta esempli-ficazione della imperscrutabile volontà di Dio; la venuta di Gesù Cristo èl’inizio di tale evento e compendia in sé tutta la storia della redenzione.

Da quel momento comincia ad attuarsi, nella storia, l’opera soterio-logica secondo la volontà divina, che dispone una collaborazione tra Dioe l’uomo: seminatore e mietitore, che lavorano nello stesso campo e mi-rano ai frutti finali che di certo verranno. Tale opera non è, quindi, dapensare riferita ad un futuro remoto, o anche all’ordine metastorico del-l’aldilà, bensì alla storia ed all’uomo attuale, impegnato in essa così damanifestare la presenza della volontà divina.

Scrive un grande studioso ebreo dei nostri giorni: “Il Sabato èquando il regno di Dio viene. Giustamente, allora, Gesù collegò i duemessaggi: prendete il mio giogo, il Figlio dell’Uomo è il signore del sa-bato. Egli non avrebbe potuto rendere il problema più chiaro” (Neusner,Disputa immaginaria..., pp. 86-7). Cosa voleva dire Gesù con il riferi-

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mento a quanto fecero i seguaci di Davide nel Tempio, i quali presero disabato il cibo riservato ai sacerdoti? Dice ancora Neusner: “Per capirequello che disse... dovete sapere che il Tempio e il mondo che sta fuori diesso sono delle immagini specularmente opposte. Quello che facciamonel Tempio è l’opposto di quello che facciamo altrove.

La Torah afferma esplicitamente che i sacrifici debbono essere of-ferti in quel giorno. Numeri 28,3-8; 28,9-10 prescrive, per esempio, dioffrire per il sabato un ulteriore sacrificio; il pane di presentazione erasostituito di sabato (Lv.24,8).

Ciascuno aveva ben chiaro, perciò, che quello che non doveva esserefatto fuori del Tempio, cioè nello spazio profano, doveva essere fattonello spazio sacro, cioè nel Tempio stesso. Quando, perciò, Gesù affermache qui c’è qualcosa di più grande del Tempio, egli può solo voler direche egli e i suoi discepoli hanno compiuto, di sabato, quell’azione, perchéessi hanno preso il posto dei sacerdoti nel Tempio; il luogo santo è cam-biato e si identifica con il gruppo formato da Gesù e dai suoi discepoli”(Neusner, Disputa..., pp. 87,8).

Dunque il vero problema non è quello della disobbedienza allaTorah: Gesù non mette in discussione il Sabato, bensì il Tempio. “La suaaffermazione non riguarda, allora, se il sabato vada o meno santificato,ma dove sia e cosa sia il Tempio, il Luogo dove si fanno, di sabato, dellecose che altrove non si debbono fare affatto. E non basta: come è per-messo, di sabato, porre sull’altare il cibo da offrire a Dio, così è per-messo ai discepoli di Gesù di preparare, di sabato, il loro cibo” (Idem,p.88). Il Figlio dell’uomo è il padrone del Sabato. Gesù offre una nuovainterpretazione della osservanza del Sabato: nel modo in cui egli celebrail Sabato porta a compimento la Torah. Il modo in cui Gesù adempie laTorah, osservando il Sabato così come egli stesso propone, differisceprofondamente dalla maniera tradizionale osservata da Israele fino adallora.

Come adempie Gesù la Torah? Noi cristiani abbiamo una solarisposta: mediante la Croce e, credendo questo, riconosciamo che Diorivela se stesso nella morte di Gesù sulla croce. Gesù sperava che la suapredicazione del Regno provocasse nel popolo l’accettazione del suoannuncio profetico, inaugurando così l’avvento del Regno. La morte nonsembra rientrare nel suo progetto messianico, anche se Gesù stessomostra di essere ben consapevole del fatto che il suo ministero profeticopotrebbe consumarsi in modo violento: la morte, tuttavia, appare piut-

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tosto come una conseguenza della predicazione. Quello che sul pianostorico sembra avere un carattere reattivo, sul piano divino rivela signifi-cati indipendenti dall’agire umano. Dal punto di vista della Rivelazione,infatti, possiamo dire che Dio si rivela in Gesù Crocifisso come davanti aMosè sul Sinai si rivelò nel Nome.

Il mistero della autorivelazione sulla Croce non può essere risolto e chiarito tutto dentro una cristologia della incarnazione-resurrezione. Laincarnazione e la morte di Gesù sono tempi escatologici della autorivela-zione di Dio. Il Cristo escatologico non si lascia facilmente riconciliarecon una concezione storicizzata della salvezza già realizzata e definitanell’ambito dello schema teologico incarnazione-resurrezione. Comegiustamente scrive Moltmann, “Nel Crocifisso del Golgotha si cela qual-cosa che non si lascia superare nel concetto della riconciliazione. Sol-tanto la nuova creatura, che ha per proprio fondamento il crocifisso, puòsuperare lo scandalo della croce in un puro inno di lode” (J. Moltmann, Il Dio crocifisso,Brescia 1973, p. 112).

Invero, nel momento culminante dell’avventura terrena di Gesù vifurono da parte degli Apostoli comportamenti diversamente patologici(la sconfessione di Pietro, le paure di tutti gli Apostoli, i tre Apostoli chesi addormentano nel Getsemani, la confusione, l’inermità, l’impotenza,la delusione davanti alla cattura e condanna di Gesù). Ciò che avvieneprecede il significato, anzi in quanto avviene è significato: noi dobbiamosforzarci di adeguare le nostre interpretazioni, e cioè dare un senso a ciò che avviene, al senso stesso del fatto in quanto avvenuto. Ciò cheavviene di per sé non ha un significato, siamo noi a darglielo: Gesù èvenuto, Gesù è ad-venuto ed è stato e resta circonciso crocifisso, e restal’Ebreo circonciso e crocifisso; la Croce resta. Tutti questi sono fatti,come sono fatti il tradimento, il rinnegamento, la fuga: ecco tre paroleper condensare il ruolo degli Apostoli avuto nella Passione e Morte diGesù. I discepoli abbandonano Gesù in tutto. Questo è un fatto, cosìcome è un fatto il mistero del ruolo che le donne hanno avuto quali testi-moni della Resurrezione, dato che la loro testimonianza secondo i co-stumi di quel tempo non doveva essere tenuta per valida. La debolezza di Gesù, che non è solo simbolica, è reale, è un fatto, così come dob-biamo considerare un fatto la spossatezza di Gesù che passa il patibuluma Simone di Cirene e quindi sviene (Marco, in 15,22 dice che “condus-sero Gesù”, dove “fero” in greco significa “portare qualcuno incapace di muoversi”; cfr.: Mc.2,3; 8,22; 9,7).

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È anche un fatto che i Romani distrussero il tempio, cosicché dopoquesto evento terribile ci fu qualcuno che si sentì in dovere di chiedersidove risiedesse ora la shekinah di Dio, essendo andato distrutto il Sanctasanctorum. In realtà quel luogo sacro inaccessibile che custodiva la realepresenza divina, una volta scoperchiato e spianato, rivelò un vuoto, unaassenza, uno spazio fisico comune ad ogni altro. Oppure in quello spazioprofano Dio continua ancora oggi ad “essere presente”? Qualcuno, altempo della distruzione affermò che Dio avesse abbandonato il Tempio,ma: dov’era andato?

Gesù è ebreo, venuto in Israele per Israele; ha annunciato il regno emolti hanno creduto, anche se la maggioranza del suo popolo non lo haconosciuto. Il suo popolo non si è rivoltato contro di lui. Separato daIsraele Gesù Cristo è inconcepibile. Il cristiano separato da Israele nonha fondamento. L’antisemitismo storico e teologico ha posto la Chiesafuori dalla storia della salvezza: lo dico dal punto di vista di Ef. 2, dove èscritto che Gesù Cristo ha fatto di due popoli una unità e di certo nonintendeva l’appartenenza alla chiesa cattolica, mediante conversione adun’altra religione il compimento di quella unione salvifica. Quella unitànon doveva realizzarsi mediante il passaggio di tutti ad una nuova reli-gione: per gli Ebrei si sarebbe dovuto trattare del compimento naturaledella propria antica fede; per i non Ebrei, un’adesione alla fede messia-nica di Israele che si adempiva in Gesù Cristo.

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ANNA PAOLA BOTTONI

Riflessioni sulla traduzione euna proposta di Certamen Horatianum

Quando sentiamo parlare di Liceo Classico ancora una volta, nono-stante i cambiamenti spesso più formali che sostanziali, avvenuti a par-tire dall’introduzione dell’autonomia, non possiamo, anche se in modo,forse, eccessivamente tradizionalista, non identificare lo stesso LiceoClassico con la conoscenza della cultura classica e la conoscenza deiclassici con la lettura e traduzione delle loro opere.

Oggi i Licei Classici, almeno nella facciata più esteriore, si conno-tano per una varia e ricca offerta formativa di progetti e laboratori, rispon-dente alle rinnovate esigenze degli studenti del nostro tempo ma ancor piùalla nostra idea “aggiornata”, più o meno forzatamente, di cultura clas-sica. Non è certo questo il luogo per far riferimento a tutte le accese di-scussioni, vere e proprie diatribe culturali, ideologiche se non politiche,che si aprono ogniqualvolta si rifletta sulla necessità e sulle modalità diaffrontare gli studi classici, ma è evidente che in nessun modo si possaparlare di cultura classica prescindendo dalla lettura dei classici, per com-prendere in modo diretto, senza intermediazioni, il patrimonio valoriale ela sensibilità di quella cultura. È per queste ragioni che non mi trovo d’ac-cordo con chi vorrebbe, in considerazione delle vistose difficoltà che in-contrano i nostri alunni nello studio del latino e del greco, ridurre gli studiclassici alla conoscenza della civiltà, della letteratura e alla lettura delleopere degli autori solo in traduzione italiana. Se per alcuni versi un similerimedio potrebbe aiutare i nostri studenti a superare l’avversione per certibrani particolarmente complessi assegnati nei compiti in classe e soprat-tutto per le inevitabili insufficienze che accompagnano tali prove, travise-rebbe, per altri aspetti, lo spirito di sfida, di competizione, di emulazione,di superamento delle difficoltà nel raggiungimento di traguardi semprepiù alti, insito nello spirito agonistico degli antichi, che lo si voglia inten-dere come lotta contro le passioni o le debolezze dell’animo umano op-pure come impegno negli agoni sportivi e nei giochi olimpici.

Trascorsi gli anni della scuola, gli ex studenti ricordano molto benele difficoltà incontrate nello studio del greco e le prime traduzioni, che

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sembravano ben lontane da ogni parvenza di logicità. Ma ricordanoanche, con maggiore vividezza, però, lo sforzo e l’impegno che si sonoimposti per divenire padroni di quelle lingue sentite inizialmente così re-mote e la soddisfazione, enormemente superiore ad ogni fatica, che ne èinevitabilmente conseguita. Credo, pertanto, che facilitare eccessiva-mente ogni percorso di apprendimento non sia proficuo né sotto l’aspettodidattico né, soprattutto, sotto quello formativo. Tutti i risultati ottenutifaticosamente diventano ktéma eis aéi, per usare un’espressione di Tuci-dide, ci danno fiducia e incoraggiano la nostra capacità di affrontare altresfide, in altri termini contribuiscono alla costruzione di quella si è solitichiamare “resilienza”, ossia lo sviluppo e il rafforzamento delle proprierisorse personali di fronte alle difficoltà incontrate. Ma non basta conce-pire lo studio del latino e greco come una palestra in cui esercitare e po-tenziare la propria resistenza individuale: è necessario anche trovare unamotivazione valida e gratificante che giustifichi tali sforzi. Imparare aconoscere la lingue classiche come chiave d’accesso al patrimonio lette-rario e culturale di quelle civiltà rischia di ridursi ad un’astratta idealità,soprattutto per lo studente ginnasiale, ma sperimentare, passaggio dopopassaggio, la possibilità di comprendere la costruzione di un testo, il suosignificato letterale, il pensiero dell’autore, risolvendo le oscurità gram-maticali e gli enigmi contenutistici presenti nel brano, è una meta con-creta da conquistare.

Nello stesso tempo, però, non è mai un punto d’arrivo la compren-sione di un testo, semmai di partenza, a cui far seguire la riformulazionedi quegli stessi contenuti, sia pure nel rispetto della forma originaria edella grammatica utilizzata, nella lingua d’arrivo. La traduzione, quindi,costituisce uno degli aspetti fondamentali, a mio avviso, dello studiodella classicità e al tempo stesso un esercizio che coinvolge tutti gliaspetti dei processi d’apprendimento: studio delle regole grammaticali,capacità di analisi, capacità di costruzione e destrutturazione, intuizione,abilità mnemoniche e logiche, padronanza delle competenze linguistiche.Gli studenti di oggi, a mio avviso, non credo abbiano perso il gusto dellasfida, semmai hanno sostituito la soddisfazione, anzi, il piacere di com-prendere un brano di Tacito o di Sallustio con quello di cimentarsi ingare virtuali ai limiti dell’impossibile, sottoponendosi per ore e ore aduna sorta di addestramento informatico. È proprio questo, secondo me,uno dei punti su cui insistere nel proporre l’attualità dello studio del la-tino e del greco: l’“addestramento”, il superamento degli ostacoli, possi-

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bile solo con il ricorso ad una pratica costante e continua, che in fondonon è altro che l’esercizio di traduzione.

Questa è una delle ragioni per cui appaiono assai utili e apprezzabilile iniziative dei Certamina, gare di traduzione latina a cui partecipano glialunni del biennio e del triennio. Cimentarsi in una prova di traduzioneche non sia la versione assegnata nel compito in classe è un momentoparticolarmente significativo nella vita scolastica di uno studente:richiede “addestramento”, un esercizio preparatorio per affrontare testipiù complessi di quelli solitamente incontrati, incentiva il desiderio dimigliorarsi, ingenera uno spirito d’emulazione, ben diverso dalla compe-tizione arrivistica.

Il nostro Liceo non solo partecipa ad alcuni dei numerosi Certaminaproposti a livello nazionale, ma organizza anche alcune gare di traduzioneal suo interno, rivolte, però, solo agli alunni della scuola. Sarebbe auspica-bile, allora, che proprio il nostro Istituto, che si fregia del nome del grandeVenosino, possa divenire centro organizzatore e sede di svolgimento altempo stesso di un Certamen Horatianum romano. La realizzazione diquesta idea ci è stata più volte proposta e sollecitata dal nostro DirigenteScolastico, attento a promuovere lo studio dei classici nel nostro Istituto,rivendicandone al contempo l’identità “oraziana”. Abbiamo, certo, benpresente il prestigioso Certamen Horatianum di Venosa, assurto al pre-stigio internazionale, e organizzarne un altro potrebbe apparire superfluo.A ben riflettere, però, va ricordato che, se è vero che la città di Venosa hadato i natali al poeta augusteo, è soprattutto nell’Urbe che si è svolta la suavita artistica, culturale e sociale. E poi, se il Certamen Hortatianum che sidisputa a Venosa prevede la traduzione delle opere poetiche dell’autore, lacui produzione è, peraltro, interamente poetica, quello eventualmente or-ganizzato a Roma potrebbe invece avere per oggetto la traduzione di passiin prosa riguardanti la vita e le opere del poeta. Si potrebbero proporre, alriguardo, brani di autori latini, quali Svetonio e il grammatico ValerioProbo, contenenti riferimenti al poeta, oppure passi di commentatori qualiPorfirione o lo Pseudo-Acrone che si sono occupati della biografia e dellapoesia oraziana. Va tenuto presente, tuttavia, che la traduzione di brani digrammatici e scoliasti può risultare particolarmente impegnativa per i nostri studenti e sarebbe certamente più semplice far ricadere la scelta sualcuni temi oraziani, siano essi riflessioni sull’esistenza umana o precettidi stile, facilmente riscontrabili in altri autori latini a lui successivi. Sipotrebbe, ad esempio, assegnare una tematica, come quella ben nota della

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caducità e brevità dell’esistenza umana, e scegliere un autore, qualeSeneca, che si è occupato di tale problematica. In tal caso allo studentesarebbe richiesto non solo la traduzione del passo proposto ma l’elabora-zione di un commento in cui confrontare le diverse posizioni degli autori.

Un’altra proposta potrebbe essere costituita da un Certamen relativoal poetare oraziano: traduzioni di satire. I brani proposti riguarderebbero,così, una scelta di autori, indicati preventivamente, che si sono occupatidi un tal genere di composizione, compreso lo stesso Orazio, in ognicaso oggetto di confronto nel commento al brano assegnato. Di partico-lare interesse, poi, potrebbe essere un Certamen che partendo dall’ArsPoetica oraziana prevedesse la trattazione degli aspetti della critica lette-raria a Roma, attraverso la traduzione di autori, quali ad esempio Sve-tonio e Gellio. Un tema che, al riguardo, potrebbe offrire l’occasione diinaugurare la tradizione del Certamen Horatianum romano potremmo in-dividuarlo in Orazio e la critica letteraria: Orazio critico letterario, com-mentatori oraziani e critici letterari dell’antichità.

Queste proposte, forse un po’ aleatorie, potrebbero inoltre costituireun elemento in grado di dare un aspetto fortemente connotativo alla no-stra scuola: incentivare negli alunni il gusto della traduzione, promuo-verne l’abilità traduttiva, per tutte quelle ragioni che abbiamo esposto inprecedenza, ma al tempo stesso indirizzare tale competenza nei confrontidi quelle opere in grado di sviluppare la conoscenza e l’interesse verso ilpoeta Orazio, icona del nostro Istituto. Far conoscere Orazio non signi-fica solo aiutare a comprendere chi sia quel personaggio che ha legato ilsuo nome alla storia della letteratura e alla nostra scuola ma far maturare,negli alunni, la coscienza di appartenenza ad una comunità scolastica che,proprio a partire da quel nome, può distinguersi dalle altre. Al riguardo,quindi, il Certamen Horatianum andrebbe a configurarsi solo come unadelle molteplici iniziative realizzabili in tal senso. Moltissimi sono i modiper diffondere la conoscenza del poeta venosino: basterebbe, ad esempioche, annualmente, al momento della programmazione per area (si inten-dono, in modo particolare, le aree umanistiche), si scegliesse un tema co-mune legato ad un aspetto delle opere o delle tematiche trattate dal poeta(il tema del viaggio, dell’amicizia etc., tanto per far riferimento a quellipiù comunemente trattati) e che venissero elaborati percorsi di approfon-dimento al riguardo, da parte delle singole discipline, parallelamente o diinterclasse. Il prodotto di tali lavori potrebbe comparire in uno spazio del-l’Annuario.

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Sono moltissime, ripeto, le iniziative che possono essere ideate perfar meglio conoscere la figura del grande poeta ai nostri giovani studentie quelli che ho presentato sono soltanto modesti suggerimenti. Le mieproposte, che vogliono essere di carattere esemplificativo, hanno solo unfine: se Traina scrive che “classico è uno scrittore che ha parlato di noi”,riferendosi all’attualità e universalità dei temi esistenziali trattati dagliautori dell’antichità latina e greca, io vorrei aggiungere, nel caso diOrazio, “e che ci ha parlato della nostra scuola”.

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MARIA MARCHEI

Simulazioni di lezioni di letteratura greca1

Nelle simulazioni di lezioni di Letteratura greca di seguito proposte iltermine LEZIONE è da intendersi come sinonimo di UNITÀ DIDATTICA

che sviluppa un argomento in sé concluso.

PRIMA LEZIONEAnalisi di Alc., fr. 333V

Classe: II Liceo Classico

Obiettivi: nel quadro della lettura in lingua originale di vari testi deipoeti greci, dall’età arcaica all’età ellenistica (prevista dal pro-gramma in questo anno di corso), nella parte conclusiva dell’A.S., cisi propone di mostrare agli alunni il percorso attraverso il quale itesti della classicità greco-romana sono giunti fino a noi. Ci si av-varrà dell’introduzione del testo Fondamenti di critica testuale, cu-rato da A. Stussi, introduzione scritta da Stussi stesso; essa illustrainfatti bene e sinteticamente i fondamenti della teoria filologica sullaricostruzione dei testi. Al termine della lezione ci si propone di far sìche gli allievi siano in grado, di fronte a un testo diverso da quelloesaminato, di leggerne l’apparato critico.

Tempo dedicato all’esposizione orale: tre lezioni distinte da 1 oraciascuna (Scansione oraria: 60 minuti).

Modalità di esposizione: la lezione sarà frontale nella prima partedi ciascuna delle 3 ore, sarà partecipativa nella seconda; sarà fornitaa ciascun allievo copia del testo e di un foglio che riepiloghi la ter-minologia fondamentale della critica testuale.

1 Il presente elaborato è stato presentato dall’autrice come prova applicativa pre-vista dal Corso di Specializzazione FOR.COM. in Didattica delle Letterature dell’Anti-chità (Anno Accademico 2006-2007).

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Motivazione della scelta dell’argomento: nell’ottica di uno studiodella storia delle letterature greca e latina che sia costantemente sor-retto dalla conoscenza diretta, in lingua originale, di una parte degliautori esaminati (in una prospettiva che vada nella stessa direzionedello studio delle letterature italiana e straniera), si ritiene impor-tante mostrare agli alunni che le opere greco-romane, così come noile leggiamo, sono frutto tanto dell’opera creatrice degli autori quan-to della lunga teoria di copisti e di filologi, che con il loro lavoro lihanno interpretati e consegnati a noi.

Introduzione all’argomento: saranno riepilogati i prerequisitinecessari per seguire con profitto la lezione e, cioè, le caratteristichegenerali della lirica monodica e di Alceo, studiate in I Liceo Classico(I ora di lezione).

Punti chiave: 1) stato frammentario di molti dei testi dei lirici ar-caici; 2) chiarimento del concetto di variante testuale.

Esposizione dell’argomento: lettura metrica del testo scelto; tradu-zione del testo; contestualizzazione del testo; presentazione dei duepunti del testo, al v. 1, sui quali c’è stato l’intervento dei filologi(μεϑυσϑην e προς βιαν), mostrando come sul verbo sia interve-nuta la correzione di Buttman rispetto al testo tradito dai codici ecome invece sull’espressione προς βιαν, saldamente attestata, gliinterventi che tendono a cambiarla per ragioni metriche siano deltutto fuori luogo e oggi generalmente respinti.

Difficoltà linguistiche: come già detto, sarà fornito e brevementespiegato un foglio contenente un riepilogo dei principali termini filo-logici relativi alla critica testuale (I ora di lezione).

Spazio lasciato agli studenti per formulare domande: nella I oradi lezione, dedicata alla lettura, alla traduzione, alla contestualizza-zione del testo e all’analisi della prima delle due questioni testuali,l’ultimo quarto d’ora sarà riservato alle domande degli studenti;nella III ora di lezione, dedicata all’analisi della seconda questionepresente nel testo, gli ultimi venti minuti saranno riservati alle do-mande degli studenti sull’intero argomento.

Sintesi conclusiva: procedendo in senso inverso rispetto alla primalezione, sarà sintetizzato il concetto di trasmissione e di edizione dei

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testi antichi a partire da una seconda lettura dei versi alcaici.

Proposta di svolgimento di un’esercitazione individuale: saràproposto agli allievi di verificare l’apprendimento di quanto spiegatomediante un esercizio di analisi del testo di un altro lirico, e.g.Sapph., fr. 132 V., dedicato alla figlia della poetessa.

Collegamenti interdisciplinari individuati: il testo di Alceo sipresta bene a un confronto con Hor., carm. I, 37.

Verifica orale: in una IV ora di lezione, nella quale sarà corretta l’e-sercitazione sul fr. di Saffo, sarà verificata la comprensione da partedegli allievi dell’argomento svolto attraverso domande dal posto.

Verifica scritta: in una V ora di lezione sarà svolta una verificasemistrutturata, contenente un esercizio a risposta multipla, un eser-cizio di completamento e due domande a risposta aperta, una di sin-tesi dei contenuti svolti e l’altra avente come scopo la rielaborazionepersonale.

SECONDA LEZIONEAnalisi di Hom., Il. VI, 119-236 – Glauco e Diomede

Classe: I Liceo Classico

Obiettivi: nel quadro di una lettura il più possibile ampia del testodei poemi omerici (prevista dal programma in questo anno di corso),sia in lingua originale sia in traduzione con testo a fronte, ci si pro-pone di mostrare agli alunni la complessità nascosta nella lunga ela-borazione dei due poemi epici. Ci si avvarrà del testo Introduzione aOmero di F. Codino, in modo particolare del capitolo dedicato allacomposizione dei due testi, nel quale è messo in luce il fatto cheentrambi i testi risentono della coeva presenza di elementi antichi edi elementi nuovi. Al termine della lezione ci si propone di far sì chegli allievi siano in grado, di fronte a un testo diverso da quello esa-minato, di cogliere, sia pur guidati, gli elementi generali propri deltesto omerico individuati nel corso della lezione.

Tempo dedicato all’esposizione orale: tre lezioni distinte da 1 oraciascuna (Scansione oraria: 60 minuti).

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Modalità di esposizione: la lezione sarà frontale nella prima partedi ciascuna delle 3 ore, sarà partecipativa nella seconda; sarà fornitaa ciascun allievo copia del testo greco con traduzione a fronte delpasso scelto, se esso non è contenuto nell’antologia in adozione.

Motivazione della scelta dell’argomento: nell’ottica di uno studiodella storia delle letterature greca e latina che sia costantementesorretto dalla conoscenza diretta, in lingua originale e in traduzione,di una parte degli autori esaminati (in una prospettiva che vada nellastessa direzione dello studio delle letterature italiana e straniera), siritiene importante mostrare agli alunni che la scrittura, pur essendoconosciuta dal III millennio a.Cr., per un lungo periodo non è statauno strumento indispensabile sia per la composizione sia per la tra-smissione di opere fin dall’inizio sentite come testi letterari.

Introduzione all’argomento: saranno riepilogati i prerequisiti neces-sari per seguire con profitto la lezione e, cioè, la conoscenza dellastruttura generale dell’Iliade, della questione omerica e della civiltàmicenea (I ora di lezione).

Esposizione dell’argomento: lettura in italiano a tre voci del testoscelto (a un allievo sarà affidata la voce narrante, a un altro allievo laparte di Glauco, al terzo la parte di Diomede); contestualizzazionedel testo; analisi del punto del brano in cui sono narrate le vicende diLicurgo e di Bellerofonte (esempio della mutevolezza della sorteumana), poiché rappresenta uno dei casi nei quali il testo omericoricava dal mito un esempio morale a soggetto.

Spazio lasciato agli studenti per formulare domande: nella II oradi lezione, dedicata alla lettura e alla contestualizzazione del testo,l’ultimo quarto d’ora sarà riservato alle domande degli studenti;nella III ora di lezione, dedicata all’analisi del passo sopra sintetiz-zato, gli ultimi venti minuti saranno riservati alle domande degli stu-denti su tutti i contenuti svolti.

Sintesi conclusiva: sarà dedicata al riepilogo degli elementi tradizio-nali e di quelli innovativi presenti nel brano scelto, per esemplificarebene il concetto che Il. e Od. sono figlie di un’epoca di transizione.

Proposta di svolgimento di un’esercitazione individuale: saràproposto agli allievi di verificare l’apprendimento di quanto spiegato

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mediante un esercizio di analisi del testo di un altro passo o dell’I-liade o dell’Odissea; potrebbe essere per esempio esaminato il branocontenente il canto di Demodoco nell’VIII libro dell’Odissea.

Verifica orale: in una IV ora di lezione, nella quale sarà corretta l’e-sercitazione sul passo dell’Odissea, sarà verificata la comprensioneda parte degli allievi dell’argomento svolto attraverso domande dalposto.

Verifica scritta: in una V ora di lezione sarà svolta una verifica se-mistrutturata, contenente un esercizio a risposta multipla, un eser-cizio di completamento e due domande a risposta aperta, una di sin-tesi dei contenuti svolti e l’altra avente come scopo la rielaborazionepersonale.

TERZA LEZIONEAnalisi di Plat., resp. X

Classe: II Liceo Classico

Obiettivi: nel quadro della lettura in lingua originale di un testo plato-nico (prevista dal programma in questo anno di corso), nella parteconclusiva dell’A.S., ci si propone di mostrare agli alunni, attraversola graduale (e parziale) lettura del X libro della Repubblica, la com-plessità del pensiero platonico sull’arte. Ci si avvarrà del testo Culturaorale e civiltà della scrittura di E.A. Havelock, con particolare ri-guardo per il cap. III, che illustra bene i concetti platonici sulla poesiae che completa il capitolo precedente dedicato al concetto di μιμησις.Al termine della lezione ci si propone di far sì che gli allievi siano ingrado, di fronte a un testo diverso da quello esaminato, di cogliere lecoordinate fondamentali di questo aspetto del pensiero platonico.

Tempo dedicato all’esposizione orale: tre lezioni distinte da 1 oraciascuna (Scansione oraria: 60 minuti) al termine dell’A.S..

Modalità di esposizione: la lezione sarà frontale nella prima partedi ciascuna delle 3 ore, sarà partecipativa nella seconda; ciascun al-lievo avrà copia del testo esaminato e un foglio che riepiloghi i ter-mini e i concetti platonici relativi alla valutazione che il filosofo dàdell’arte.

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Motivazione della scelta dell’argomento: nell’ottica di uno studiodella storia delle letterature greca e latina che sia costantemente sor-retto dalla conoscenza diretta, in lingua originale, di una parte degliautori esaminati (in una prospettiva che vada nella stessa direzionedello studio delle letterature italiana e straniera), si ritiene impor-tante mostrare agli alunni il testo di un autore che accompagna a piùriprese il loro percorso liceale.

Introduzione all’argomento: saranno riepilogati i prerequisitinecessari per seguire con profitto la lezione e, cioè, le caratteristichegenerali del pensiero e dell’opera di Platone, studiate in I Liceo inFilosofia, unitamente al contenuto globale dell’opera scelta (I ora dilezione).

Punti chiave: 1) analisi del termine μιμησις; 2) valutazioni di Pla-tone sull’arte in generale.

Esposizione dell’argomento: esposizione delle linee generali delprogetto educativo stilato da Platone nella Repubblica; analisi delsignificato della parola μιμησις, così come emerge nel X libro deldialogo sopra citato.

Difficoltà linguistiche: come già detto, sarà spiegato il senso dellaparola μιμησις sia in generale sia in rapporto al pensiero platonico(III ora di lezione).

Spazio lasciato agli studenti per formulare domande: nella II ora dilezione,dedicata alla ri-lettura, in traduzione,dei passi già analizzati delX libro della Repubblica nei quali la questione qui esaminata emergecon particolare chiarezza, l’ultimo quarto d’ora sarà riservato alledomande degli studenti; nella III ora di lezione, dedicata a una sintesi sul concetto di μιμησις, gli ultimi venti minuti saranno riservati alledomande degli studenti sull’intero argomento svolto.

Sintesi conclusiva: procedendo in senso inverso rispetto alla primalezione, a partire da una seconda ri-lettura dei passi del X libro presiin considerazione, saranno riepilogati i capisaldi del pensiero plato-nico sull’arte in genere e sulla poesia in particolare.

Proposta di svolgimento di un’esercitazione individuale: saràproposto agli allievi di verificare l’apprendimento di quanto spiegato

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mediante un esercizio di analisi del testo di qualche passo (in tradu-zione) tratto da un altro dialogo platonico, per esempio il Fedro.

Collegamenti interdisciplinari individuati: l’argomento ben sicollega allo svolgimento del programma di Storia della Filosofiasvolto in I Liceo e aiuta ad anticipare opportunamente la trattazionedi questo filosofo nell’ambito della Storia della Letteratura Greca,prevista in III Liceo.

Verifica orale: in una IV ora di lezione, nella quale sarà corretta l’e-sercitazione sul Fedro, sarà verificata la comprensione da parte degliallievi dell’argomento svolto attraverso domande dal posto.

Verifica scritta: in una V ora di lezione sarà svolta una verifica se-mistrutturata, contenente un esercizio a risposta multipla, un eser-cizio di completamento e due domande a risposta aperta, una di sin-tesi dei contenuti svolti e l’altra avente come scopo la rielaborazionepersonale.

QUARTA LEZIONEAnalisi di Pind., ol. I

Classe: I Liceo Classico

Obiettivi: nel quadro della lettura in traduzione (con testo a fronte)dei poeti lirici greci, monodici e corali (prevista dal programma inquesto anno di corso), nella parte conclusiva dell’A.S., ci si proponedi mostrare agli alunni la complessa dimensione pubblica propriadella poesia lirica corale. Ci si avvarrà del testo Poesia e pubbliconella Grecia antica di B. Gentili, in modo particolare del capitolo de-dicato al rapporto fra i lirici corali tanto con i loro committentiquanto con il pubblico, poiché illustra bene come l’essere la loro unapoesia di corte nulla tolga alla grandezza e alla complessità deilunghi carmi da essi composti. Al termine della lezione ci si proponedi far sì che gli allievi siano in grado, di fronte a un testo diverso daquello esaminato, di cogliere gli aspetti essenziali del legame stabilitoda questi autori con i loro committenti e con il loro uditorio.

Tempo dedicato all’esposizione orale: tre lezioni distinte da 1 oraciascuna (Scansione oraria: 60 minuti).

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Modalità di esposizione: la lezione sarà frontale nella prima partedi ciascuna delle 3 ore, sarà partecipativa nella seconda; ciascun al-lievo, qualora l’ode scelta non fosse contenuta nell’antologia abbi-nata al manuale di Letteratura Greca, avrà copia del testo, in origi-nale con traduzione a fronte; sarà inoltre distribuito un foglio cheriepiloghi la terminologia propria della struttura delle odi corali.

Motivazione della scelta dell’argomento: nell’ottica di uno studiodella storia delle letterature greca e latina che sia costantemente sor-retto dalla conoscenza diretta, in lingua originale e in traduzione contesto a fronte, di una parte degli autori esaminati (in una prospettivache vada nella stessa direzione dello studio delle letterature italianae straniera), si ritiene importante mostrare agli alunni che la gran-dezza dell’ispirazione poetica può esistere anche là dove il talentodell’autore non si esprime a briglia sciolta, ma guidato dai desideridi un committente.

Introduzione all’argomento: saranno riepilogati i prerequisiti ne-cessari per seguire con profitto la lezione e, cioè, la conoscenza dellecaratteristiche generali della lirica corale (I ora di lezione).

Punti chiave: 1) struttura generale di una qualunque ode corale; 2) capacità di adattamento del poeta alla situazione contingente (i.e.la norma del polipo).

Esposizione dell’argomento: lettura in traduzione del testo scelto,dedicato alla vittoria di Ierone di Siracusa nell’Olimpiade del 476a.Cr.; contestualizzazione del testo; analisi della struttura dell’ode;individuazione e analisi dei punti del testo in cui emerge particolar-mente la così detta norma del polipo.

Difficoltà linguistiche: con l’ausilio del foglio distribuito agli stu-denti, saranno riepilogati all’inizio i termini indicanti le varie parti diuna qualunque ode corale (I ora di lezione).

Spazio lasciato agli studenti per formulare domande: nella II oradi lezione, dedicata alla lettura in traduzione e alla contestualizza-zione del testo, l’ultimo quarto d’ora sarà riservato alle domandedegli studenti; nella III ora di lezione, dedicata all’analisi dei puntidel testo, con riferimento all’originale greco, nei quali emerge chia-ramente la così detta norma del polipo, gli ultimi venti minuti sa-

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ranno riservati alle domande degli studenti, su tutti i contenuti esa-minati.

Sintesi conclusiva: procedendo in senso inverso rispetto alla primalezione, sarà sintetizzato il concetto-chiave su cui si è centrata lalezione a partire da una seconda lettura dei versi pindarici.

Proposta di svolgimento di un’esercitazione individuale: saràproposto agli allievi di verificare l’apprendimento di quanto spiegatomediante un esercizio di analisi del testo dell’Epinicio V di Bacchi-lide, anch’esso dedicato alla vittoria di Ierone di Siracusa nell’Olim-piade del 476 a.Cr..

Collegamenti interdisciplinari individuati: i testi di Pindaro e diBacchilide si prestano bene a essere analizzati in confronto con leopere degli autori latini di età augustea, in modo particolare conquelle di Orazio e di Virgilio; ci si propone di istituire un confrontoper analogia e per differenza relativo al rapporto dei due poeti grecicon i loro committenti e a quello dei due poeti latini con l’ideologiaaugustea.

Verifica orale: in una IV ora di lezione, nella quale sarà correttal’esercitazione sull’Epinicio V di Bacchilide, sarà verificata la com-prensione da parte degli allievi dell’argomento svolto attraversodomande dal posto.

Verifica scritta: in una V ora di lezione sarà svolta una verificasemistrutturata, contenente un esercizio a risposta multipla, un eser-cizio di completamento e due domande a risposta aperta, una di sin-tesi dei contenuti svolti e l’altra avente come scopo la rielaborazionepersonale.

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ANNA MARIA ROBUSTELLI

Le ragioni delle donne:Penelope, Santippe e le altre

Quando guardiamo al passato consciamente o inconsciamente guar-diamo anche al nostro presente. Il significato che attribuiamo a ciò che ègià avvenuto fatalmente si pone in prospettiva con quello che già sape-vamo di quel passato, ma ecco che gli occhi nuovi con cui osserviamo ciguadagnano nuovi punti di vista e nuova conoscenza. Questo avvieneanche nell’approccio didattico, che più di ogni altra cosa va attualizzato,perché chi vi si accosti, i giovani, vi rintraccino significati capaci di ve-nire incontro a bisogni nell’hic et nunc – come ci ha insegnato G. Ponte-corco nel film Queimada. Si comincia a cercare, a capire, a lottare a par-tire dalle proprie personali esigenze e più tardi, lentamente, si scoprequello che ci accomuna agli altri uomini e alle altre donne e si può ancheimparare a cercare e a lottare insieme.

Agli studenti del liceo sono certamente familiari l’epopea di Ulissenell’Odissea e il personaggio della moglie fedele Penelope che ha aspet-tato l’eroe per vent’anni. Quando alla fine il sovrano d’Itaca, tornatosotto le spoglie di un mendicante, compie la sua vendetta contro i Proci ele ancelle traditrici e dopo che la sala oggetto della mattanza è stata ripu-lita, Euriclea, la vecchia nutrice di Ulisse, annuncia a Penelope il ritornodel marito. Non venendo mai meno al suo personaggio di donna morige-rata e prudente, Penelope non è sicura della sua identità e gli chiede unsegno di riconoscimento, anche dopo che Telemaco ha manifestato la suaira di fronte all’esitazione della madre. La consorte di Ulisse spiega:

“L’ansia mi rende attonita, smarrita,figlio mio; di parlargli e interrogarlonon ho la forza, o di guardarlo in viso.Ma se è davvero Ulisse, ed è tornatonella sua casa, abbiamo un infallibilesegno, per riconoscerci anche meglio,a noi ben noto e sconosciuto agli altri”.1

1 Omero, Odissea. Nella versione poetica di Giovanna Bemporad. Le Lettere,Firenze, 1992, p. 262.

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Il segno dimostra a Penelope che è il suo sposo che le sta davanti eallora lei dichiara:

“... Ma poiché mi rivelasti,come segno infallibile, il segretodel nostro letto, che tu ed io soltantoconoscevamo, ed una sola ancella...questo mio cuore incredulo hai persuaso”.Disse; in lui suscitò sempre più acutavoglia di pianto; e stretto alla fedele,dolce sposa piangeva. ...2

Finalmente il ricongiungimento degli sposi avviene. Dopo tantoaspettare e dopo tanta pena, essi possono godere del loro ritrovarsi edella loro rinvenuta intimità. Omero chiude il libro XXIII con questeespressioni soavemente poetiche:

... tanto a lei desideratolo sposo era, a guardarlo, e non staccavapiù le candide braccia dal suo collo.E li avrebbe sorpresi ancora in piantola ditirosea Aurora, se un rimedionon trovava la dea dagli occhi azzurri:fermò all’estremo limite la lunganotte, trattenne sull’Oceano Aurora,non lasciando che i rapidi cavalli,messaggeri del giorno, ella aggiogasse.Lampo e Fetonte, i fulgidi puledriche portano la dea sul trono d’oro.3

Questa storia è stata rivissuta in termini moderni dalla poetessa BiancaTarozzi nel suo poemetto Variazioni sul tema di Penelope (Raccontodomestico), inserito nella raccolta Nessuno vince il leone.4 Ci troviamo avivere in una situazione di attesa del ritorno dell’eroe, con un figlio incerca affannosa di un’identità. che chiede:

“Da giovane lo hai visto un dinosauro?La chimera, la sfinge e il minotauroerano vivi quando eri bambina?”

2 Ibid., p. 264.3 Ibid., p. 265.4 Arsenale Editrice, 1988.

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“I mostri erano morti, anche la sfinge.Il tempo è una difficile matassa”.

E poi, improvvisamente:II

Quando nessuno lo aspettava piùarriva Ulisse: È di febbraio, piove.Arriva gocciolante,fragile eppurenon è cambiato, è ancora come allora.Le guerre e il temposono passati solamente dentrodi lui, nella sua mente.Non abbraccia nessuno, come sempre.Lei si è tagliatai capelli da sola proprio ieri:un gesto decisivo,inaugurale del “do it yourself”.Lui dice: “Bene, quella permanente”.Non si ricorda niente,neppure dei suoi ricci naturali.Eppure è ritornato.

La Tarozzi lo descrive nella sua frettolosità, nel suo completo estra-neamento alla vita familiare e alla compenetrazione con un altro essere,scelto a compagna della propria vita. Sbaglia nel complimento ai capellidella moglie. La rima finale, usata con molta libertà, imprime un ritmoserrato al dipanarsi del racconto, arricchito e reso più ironico dall’usofrequente di anglicismi comuni al linguaggio della modernità.

È ritornato, ma si ferma poco.La sua temperatura mentalescotta, scotta e salema lei è un fermacartedi vetro con un fioredentroposato sopra il tavolocon un solo argomento.

Questo paragone, usato per descrivere Penelope, ce la raffigura im-mobilizzata e sterilizzata in un oggetto posato sul tavolo, dimenticato lì ecomunque di poca utilità: serve solo a trattenere qualcosa in un punto.Ulisse è lesto a imbarcarsi in nuove imprese.

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Lui mangia poco,non dorme volentieri.Per ore, sveglio,le racconta i suoi viaggi.Viaggi d’incubo, viaggi disperati:l’odio di Poseidone,il suo per lui,il proprio per se stesso,...

Racconta alla moglie dei suoi viaggi, della sua eterna lotta conPoseidone, ma non interagisce mai veramente con lei. In lui si celebral’ossessione dell’uomo moderno per il suo lavoro, mondo esclusivo incui si realizza e trova il proprio significato più profondo. Penelope seguela sua strada.

Lei ora scrivetutte le sere, lui studia le mappe.Telemaco non fadomande. Giuoca,con l’arco e con le frecce,decide che da grandefarà il ranger.Ai mari preferisce le foreste.Ulisse attende il vento favorevole;Penelope ha da fare:conferenze, letture, traduzioni,lettere agli editori; comprarisme e nastri per nutrire la Remington,verdure e minestrine per la suatemporanea famiglia trinitaria.

Telemaco in qualche modo imita il padre finalmente presente. Fin-tanto che è a casa, Ulisse dà un contributo più apparente che reale allaconduzione della vita familiare. Non cerca conflitti.

Lui per qualche giornolava i piatti, le corregge le bozze.Si sforza come può, ma è troppo buono:vuole un perdonoanticipato....Ulisse parte – in questo è disumano –di nuovo.

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Lei lo accompagna alla nave, di notte. I loro volti si scontrano, me-tafora dolorosa del loro mancato accordo.

Ora Penelope, maldestra,appoggia il viso sulla mano, cercasostegni inesistenti, ha mal di testa.Parlano i due in salottodelle rottedi ciascuno – tortuose,perverse, parallele.Poilo accompagna alla nave –è ancora notte.Nel voltarsi di scatto, alla partenza,cozzano con violenzagli zigomi dei due.È l’ultima metafora;nel cielole montagne di nubi, sterminate,si gonfiano di luce in lontananza.È l’alba. A lei rimaneper tutto il giorno un segno sulla guancia.

Penelope ritorna alla sua tela, alla sua scrittura e in essa rivive le tappedel viaggio di Ulisse.

III

Penelope ritornaalla tela incompiuta,alla sua vitada mutare in disegno.Cedel’oggetto per il segno –intreccia, disfae ricomincia:non a tutti è datol’odio di un dio o un cavallo di legno;c’è chi è degno soltanto di una tela.

Dà corposità a Circe:Circe è la figliadi un antiquario:si respira in famigliauna magica aurea,

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un’abbondanzadi stile.

Questa mitica maga diventa una ragazza facoltosa che sparge la pro-pria ricchezza intorno a sé con noncuranza, collezionando opere d’arte euomini finché arriva Ulisse. Calipso è vissuta come una hostess eterna-mente scontenta dei propri partner sentimentali, che cerca di superare ipropri problemi spendendo fortune nei prodotti del trucco. o – in un’altraversione – esibisce la propria fragilità in reiterate minacce di suicidio.Nausica è una teenager capricciosa e egocentrica.

Calipsolavora alla Pan Am; tra un volo e l’altroraccoglie viaggiatori, si lamentadegli ex, non è contenta,spende delle fortune in maquillage...(In un’altra versione,altrettanto probabile, Calipsoper sette anni minaccia il suicidio:lo stillicidioè interrotto da Zeus.)Resta da immaginareNausica, capricciosateenager. ...

Ma Ulisse non si impegna più di tanto in rapporti amorosi; la solacosa che lo conquista è la lotta con Poseidone. La sfida a una potenterealtà esterna è un conflitto in cui l’uomo occidentale si misura da secoli,vi è rimasto impigliato fino al punto di non essere capace di ritornare in-dietro, di rivedere i propri valori e riadattare le proprie scelte.

Nel ripercorrere sulla tela le fasi della vita del marito Penelopepensa e indugia alle soglie del mistero:

I fili di Penelope, ripresi,conducono alle soglie del mistero –un emisferoche non sa inventare.Ora discesasulla riva, dal mare risuonantesente voci lontane, antichi naufraghi,fantasmi che la vogliono afferrare:tutte le guerre che non ha perdutoné vintotutti gli amori che non ha vissuto

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il dolore e il furore degli eroi,che non le spetta:scempio,dolce urlare del ventodentro l’anima.

Ritorna sui suoi passi.L’esperienzadel limite per leiè l’acqua incollerita della riva –per Ulisse lo schiantoe la fine tremendacontro li scogli, verso la leggenda.

La Tarozzi dipinge una Penelope che ha trovato una sua strada indi-pendente nella scrittura, che però non riesce a dialogare con un Ulisseteso al compimento di imprese gloriose e non trova parole per trattenerlodall’intraprendere l’ennesimo tragico viaggio. La versione moderna dellastoria epica è meno catartica, i due personaggi mitici non si incontranopiù, mentre nell’Odissea condividono una notte di tenerezza e piantodopo essersi finalmente riconosciuti. Spetta a Penelope il compito di in-terpretare questa divisione dell’uomo dalla donna, sancita nel momentoin cui la donna, divenuta soggetto attivo della storia, non accetta la collo-cazione in disparte dove per secoli l’aveva posizionata il suo partner.

Anche la Santippe della bella poesia di Maria Clelia Cardona San-tippe a Socrate5 rimane sull’orlo di una soglia invisibile, impotente asciogliere i nodi di un rapporto che i due personaggi vivono in modo di-vergente:

Santippe a Socratediceva quelle cose che di solito

dicono le donnePlatone

Sedendoti accanto tenevo in braccioil bambino. La morte attendeva il maestrodevota a lui, sottomessa, molto forsevoleva imparare. La morte era ancorauna giovinetta falce di luna, lasciava le animeperdersi come bianchi petali in terra e in cielo.

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5 Il Vino del Congedo, I Nuovi Poeti di Amadeus, 1994.

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Ci univano parole ostili venute a dividercischegge di luce – da incantatore –ma sotto le palpebre non più appario appari ospite di geografie disabitate.come allora ti incammini ozioso?Il mercato odora di pesce, chiacchierail foro levantino, nelle terme tieni banco mentrel’occhio scivola obliquo sui corpi accaldati?Svolazza il sudicio lembo del vestito –Tra i tanti ben oliati fanno scandaloancora le tue tasche sformate?O tu, su troppo ripide strade!Sempre amore conducead una soglia invisibile.

Ma in quel momento speravo in tel’aprirsi delle parole all’incantesimo eche tu accostassi le labbra a un doloreche non mi escludesse.Dolci intanto le sfrangiate foglie mutavanol’acqua in una promessa ignota sebbenevisibile ai tuoi occhi sporgenti.

O Socrate, gridai, è l’ultima volta orache i tuoi amici parlano con te e tucon loro.Il consenso non era un rimediopiù che le tue dotte parole volgevail giorno alla tenaglia nascostain ogni verità.

Volevi partire per un luogo di buone compagnieebbro del vino ghiacciato della ragionespezzare molliche in un volo di colombementre l’affresco si dissolvenei duri tratti della sinopia.

Sapevi di lasciarmi affidata a minuscolemenzogne: ravvivare il fuoco, sfarinarececi nella ciotola e lune sterili segretecorrispondermi.Svelta la linguaa filare maldicenze, la ruvida teladei rancori che ingialliscono al chiuso.

Sapevo non saresti tornato in forma dinibbio formica asino – non ho maiappeso cestelli alla tua curva impazienza.

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Da troppe fibbie trattenutatroppo facile scherno per i venti –polvere.

Stupefatta vedevo l’inganno mutarsiin musica e io averne parte, io legnoio frangibile corda.

Se devi inchinarti a un più possentedio, non fissarlo troppo a lungo.

Diversa dalla megera tramandataci dalle testimonianze storiche,siede solerte accanto al marito con in braccio il bambino. Fin dall’inizio,nel suo realismo di donna avvezza ad affrontare i problemi di ognigiorno, le risulta chiaro che il filosofo ha intrapreso un dialogo imparicon la morte nel tentativo di dare una forma compiuta, quasi artistica,alla sua vita e a ciò che aveva sempre predicato. Il suo sguardo percettivosi allunga sull’ambiente cittadino dove Socrate teneva i suoi discorsi coni discepoli. Coglie particolari precisi “il sudicio lembo” del vestito delmarito, le sue “tasche sformate” in mezzo ai “tanti ben oliati”, la noncu-ranza del marito per la ricchezza. Spera ancora di farsi capire da lui, dicondividere il suo dolore. Intuisce fin troppo bene che il famoso filosofosi è inebriato “del vino ghiacciato della ragione”, che è il suo narcisismoa spingerlo verso la morte. Mentre si sente lasciata agli umili servizidella sua vita, di cui il consorte non riesce minimamente a capire l’essen-zialità, drammaticamente coglie i segni della mancanza di ancoraggioalla vita del marito, che risolve con la magia delle sue parole tutti gli in-terrogativi dell’esistenza. Lei vede chiaramente che “volgeva/ il giornoalla tenaglia nascosta/ in ogni verità”, e sapeva che Socrate non sarebbe“tornato in forma di/ nibbio formica asino...”. Ma, dopo tutto, come laPenelope della Tarozzi, è impotente a mutare il corso degli eventi o a in-traprendere un dialogo del quale il suo compagno non l’ha mai gratifi-cata. A Socrate non mancano mai le parole per riflettere sulla sua vitafino all’ultimo. Se “sa di non sapere”, affida sempre alle parole il com-pito di incorniciare la sua vita. Ma Santippe, in fondo, lancia un mes-saggio più profondo: confinata alle sue umili incombenze quotidiane,perpetua la vita e non ha parole per spiegare la morte.

Se studiando la letteratura greca e l’epica in particolare si può fareun confronto con un poemetto moderno che presenta gli stessi perso-naggi, anche studiando filosofia si può provare ad introdurre nel quadrodi riferimento una protagonista scomoda del background familiare di un

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grande filosofo e riflettere sui cambiamenti di prospettiva che questaoperazione ingenera. Allo stesso modo affrontando la storia dell’arte siincontrano opere d’arte che trovano un corrispettivo nella modernità. Èciò che avviene a S. Giorgio e il Drago, tema trattato da molti pittori eincisori e che è diventato popolare nell’iconografia cristiana perché èemblematico della lotta del Bene contro il Male. Vediamo come ungrande pittore del Rinascimento italiano, Paolo Uccello, affronta questosoggetto. Nel dipinto osserviamo la principessa, esile figura disposta diprofilo, che ricorda le figure femminili del Pisanello e del Pollaiolo, conle mani aperte, non si sa se per mettere in risalto la corda che la tiene le-gata al drago o se per chiedere pietà per il drago stesso. Subito dopo,quasi al centro del riquadro, il drago, su cui si concentrano un coacervodi linee perpendicolari ad indicare l’asprezza dello scontro con il santo,la cui prorompenza è rafforzata dal fatto di essere il conduttore di unalinea che continua dietro di sé in una vorticosa nuvola rosata, una spiraleche sta per l’infinito e quindi per Dio La figura della dama è esile eeterea, sembra quasi non avere consistenza. Assistiamo a una scena ca-valleresca in cui la donna incarna gli ideali di virtù e di bellezza. Nellecomposizioni di liriche cavalleresche, sottolinea l’Hauser,“ricorronosempre le stesse formule retoriche, come se il poeta fosse uno solo. Lamoda letteraria è così tirannica, così assoluta la convenzione di corte,che spesso abbiamo l’impressione che agli occhi del poeta non appaiauna donna determinata, individualmente caratterizzabile, ma un’astrattaimmagine ideale e che il sentimento s’ispiri a un modello letterario piut-tosto che a una creatura viva”.6 La principessa di Paolo Uccello siconforma a questi schemi, non è che un’irraggiungibile figura di donnaidealizzata.

Ma è ben diversa nella poesia della poetessa inglese U. A. FanthorpeNon il meglio di me:

I

Non il meglio di me, temo.L’artista non mi ha permesso diposare come si doveva, e come potete vedere,poveretto, aveva l’ossessione deitriangoli, così ha lasciato fuori due dei mieipiedi: non ho detto niente allora

6 Arnold Hauser, Storia Sociale dell’Arte, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1979.

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(dopo tutto, che cosa sono due piediper un mostro?) ma dopomi è dispiaciuto per la pubblicità negativa.Perché, mi dissi, il mio conquistatore dovrebbeessere così palesemente imberbe, e cavalcareun cavallo con un collo deformato e gli zoccoli quadrati?Perché la mia vittima dovrebbe essere cosìbrutta da essere immangiabile,e perché dovrebbe letteralmente tenermiin pugno? Non mi importa di morireritualmente, poiché io risorgo sempre,ma mi sarebbe piaciuto un po’ più di sangueper dimostrare che mi prendevano seriamente.

II

È duro per una ragazza convincersi veramente divoler essere salvata. Voglio dire, mi ero piuttostoaffezionata al drago. È bello essereamati, se capite quello che voglio dire. Eracosì autenticamente fisico, con i suoi artiglie la bella pelle verde, e quella coda sexy,e il modo in cui mi guardava,mi faceva sentire che era proprio pronto amangiarmi. E questo piace a qualunque ragazza.Così quando capitò questo ragazzo, che portava

tutti quei marchingegni,su un cavallo veramente pericoloso, ad essere onesti,non mi è andato molto a genio. Voglio dire,Com’era sotto l’armatura?Poteva avere l’acne, i punti neri o persinol’alito cattivo per quanto ne sapevo, ma il drago –bene, si poteva vedere tutta la sua attrezzaturain una sola occhiata. Pure, che potevo fare?Il drago venne battuto dal ragazzo,e una ragazza deve pensare al suo futuro.

III

Ho diplomi nella Gestionedei Draghi & nella Rivendicazione delle Vergini,Il mio cavallo è l’ultimo modello, conTrasmissione automatica & obsolescenzaincorporata. La mia lancia è fuori-serie,& il prototipo della mia armaturaè ancora segreto. Non si puòfare di meglio al momento.

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Ho titoli & sono attrezzato fin sopra aicapelli. Allora perché fare la difficile?Non vuoi essere uccisa e/o salvatanel modo più moderno? Nonvuoi entrare nei ruoliche la sociologia & il mito hanno previsto per te?Non capisci che, a furia di fare la schizzinosa,metti in pericolo prospettive di lavoronelle industrie manifatturiere di lance & cavalli?Che cosa importa, ad ogni modo, quello chevuoi? Tu sei sulla mia strada.7

Il primo a parlare è proprio il drago e non è affatto il più spaventoso.Con tono snobistico e accattivante vuole convincere il suo pubblico chenon è stato preso sul serio e che l’artista l’ha raffigurato in maniera deci-

7 The Faber Book of 20th Century Women’s Poetry, ed. by Fleur Adcock. Faber andFaber, London Boston, 1987.

Not My Best SideI - Not my best side, I’m afraid./ The artist didn’t give me a chance to/ Pose properly,

and as you can see,/ Poor chap, he had this obsession with/ Triangles, so he left off two ofmy/ Feet. I didn’t comment at the time/ (What, after all, are two feet/ To a monster?) butafterwards/ I was sorry for the bad publicity./ Why, I said to myself, should my conqueror/Be so ostentatiously beardless, and ride/ A horse with a deformed neck, and square hoofs?/Why should my victim be so/ Unattractive as to be inedible,/ And why should she have meliterally/ On a string? I don’t mind dying/ Ritually, since I always rise again,/ But I shouldhave liked a little more blood/ To show they were taking me seriously.

II - It’s hard for a girl to be sure if/ She wants to be rescued. I mean, I quite/ Took tothe dragon. It’s nice to be/ Liked, if you know what I mean. He was/ So nicely physical,with his claws/ And lovely green skin, and that sexy tail,/ And the way he looked at me,/He made me feel he was all ready to/ Eat me. And any girl enjoys that./ So when this boyturned up, wearing machinery,/ On a really dangerous horse, to be honest,/ I didn’t muchfancy him. I mean,/ What was he like underneath the hardware?/ He might have acne,blackheads or even/ Bad breath for all I could tell, but the dragon -/ Well you could see allhis equipment/ At a glance: Still, what could I do?/ The dragon got himself beaten by theboy,/ And a girl’s got to think of her future.

III - I have diplomas in Dragon/ Management and Virgin Reclamation. / My horseis the latest model, with/ Automatic transmission and built-in/ Obsolescence. My spear iscustom-built,/ And my prototype armour/ Still on the secret list. You can’t/ Do betterthan me at the moment./ I’m qualified and equipped to the/ Eyebrow. So why be diffi-cult?/ Don’t you want to be killed and/or rescued/ In the most contemporary way? Don’t/You want to carry out the roles/ That sociology and myth have designed for you?/ Don’tyou realize that, by being choosy,/ You are endangering job-prospects/ In the spear- andhorse-building industries?/ What, in any case, does it matter what/ You want? You’re inmy way. Traduzione e scelte grafiche di Anna Maria Robustelli.

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samente inadeguata. È il più simpatico perché ci fa stare dalla parte deiperdenti, dalla parte di quelli che non sono mai stati capiti bene, ma sonostati confinati in un ruolo stereotipato. Anche la principessa modernaesprime le sue ragioni, antagoniste a quelle della leggenda medievale.Non si sente una vittima, ma si era “piuttosto affezionata” al drago, alquale fisicamente non poteva eccepire nulla. Cautamente esprime le sueriserve sulla bellezza del cavaliere che l’ha salvata che, ricoperto com’è diuna fredda armatura, non risalta di certo per la sua bellezza. È attrattadalla fisicità del drago ma, dato che è stato sconfitto, deve prenderne attoe “pensare al suo futuro”. Il più rigido e disumano è proprio l’eroe clas-sico, San Giorgio, raffigurato come un monumento alla tecnologia mo-derna, proprio quella tecnologia che spodesta l’uomo e gli scava una nic-chia ininfluente. È l’unico a non provare sentimenti e a agire per luoghicomuni e per schematismi. Come è stato notato da Lidia Vianu “il salva-tore ne viene fuori come l’aggressore”.8

Gli esempi di letteratura che si rifà ai miti e li reintepreta in modo fem-minile non sono solo testi di attualizzazione del discorso didattico che bensi prestano all’insegnamento di oggi. Quando Penelope parla e proietta le esi-genze del suo personaggio accanto all’indistruttibile eroe omerico, ne rela-tivizza il valore che lui ha espresso nei secoli. In particolare la Tarozzi fa delconsorte di Penelope un viaggiatore e combattente contro Poseidone, un uo-mo che non sa venire meno al richiamo della sfida della lotta con un poterepiù grande di sé. Tema affascinante e dominante la nostra cultura occiden-tale, ma forse datato. Nel nostro secolo le lotte importanti sono più interio-ri che esteriori e probabilmente sarebbe necessario trovare i modi per nego-ziare rapporti di coesistenza con gli altri popoli, con le altre persone – inclusii membri della propria famiglia – e con la terra.

Anche Santippe, che ritrova la voce nella poesia della Cardona, scar-dina un altro principio della nostra storia: non ci può essere una filosofia,una ricerca della verità senza che tutti i personaggi che compongono ilquadro di riferimento, inclusa la propria moglie, ne siano investiti.Inoltre questa figura mina la perfezione del ragionamento filosofico cheSocrate va perseguendo persino nel momento più irrazionale della vitadegli esseri umani, la morte, lasciando capire che esso possa essere fal-lace e forse uno sterile esercizio di narcisismo.

8 Poetic arrogance is as bad as any other kind of arrogance, published in LidiaVianu, Desperado Essay-Interviews, Editura Universitatii din Bucuresti, 2006.

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Se nel caso di Ulisse viene ridimensionato il concetto di conquista edi aggressività proprio della storia patriarcale, nel caso di Socrate vienemesso in dubbio implicitamente la convinzione che “il cosmo sia gerar-chicamente ordinato con la terra e il corpo in fondo e la mente e lo spi-rito in cima”,9 come afferma Alicia Ostriker. In altre parole viene vanifi-cato il tentativo di relegare una donna, o tutte le donne, al livello infe-riore di ‘corpo’. In entrambi i casi la nuova conoscenza acquisita è – come osserva la stessa autrice – “realizzata attraverso mezzi personali,intuitivi e soggettivi, non deriva da una precedente autorità”.10

Le donne che scrivono queste poesie non provano nostalgia per unpassato alla cui formazione ufficiale non hanno preso parte, né lo con-siderano un depositario di verità, un’epoca dell’oro o una società ideale.

Le loro armi sono un’ironia sottile con cui i personaggi femminiliche entrano nel mito e che sono sempre rimasti in disparte considerano le“gesta” dei mitici eroi dall’indiscusso carisma. Il loro buon senso, le loroconsiderazioni ancorate alla quotidianità, a una vita vissuta in tutta la suaconcretezza, smontano inevitabilmente l’assolutezza del mito. Spessoun’altra caratteristica del loro stile è un linguaggio colloquiale, il contrario della parola altisonante e aulica di cui si sono adornati glieroi maschile, un tipo di parola che è spesso appannaggio degli umili, ma che è uno dei modi più efficaci per penetrare nella realtà e rendersiaccessibili agli altri.

In realtà, a ben pensarci, è come se nuovi ambiti di conoscenza sifossero dischiusi allo sguardo umano e nuovi atteggiamenti verso la co-noscenza non più intesa in senso monolitico. Le ragioni di queste donneemergono con una nitidezza che non era mai esistita prima. Esse inva-dono i santuari “della lingua esistente, i tesori dove i nostri significati di‘maschio’ e ‘femmina’ sono conservati. Quando le donne scrivono inten-samente come donne, è chiaro che la loro intenzione è di sovvertire e tra-sformare la vita della letteratura che ereditano”.11

Così la Penelope della Tarozzi non si limita ad aspettare, ma scrive e,attraverso la scrittura, reintepreta la realtà. La Santippe della Cardonavuole condividere il dolore di Socrate davanti alla morte, da cui lui – comea una donna a cui non si parla – l’ha esclusa. E la principessa di U. A.

9 Alicia Ostriker, Stealing the Language, The Women’s Press, 1987.10 Ibidem.11 Ibidem.

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Fanthorpe prova più simpatia per un drago “umano”, come donna, che perun S.Giorgio tecnologico, venuto a distruggere, con tutta l’arroganza dellesue convinzioni, il loro rapporto.

Nelle ragioni di queste donne scorre una conoscenza che non si puòpiù ignorare.

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UGO CLAUDIO GALLICI

Mestizajes(mescolanze)En el desierto vi la joven Esfinge, que acaban de labrar.Nada hay antiguo bajo el sol.Todo sucede por primavera vez, pero de un modo eterno.El que lee mis palabras está inventándolas.

J. L. Borges, La dicha

Il mio sangue è misto, e ha il colore del Sud. Quando ero piccolomio padre mi raccontava delle sue estati infantili e semiselvagge, tra-scorse ai bordi settentrionali della pampa argentina fra cavalli e man-driani, e mia madre le storie arcaiche della sua famiglia in un altrettantoarcaico paese a ovest di Palermo. Poi, quando stavo male, alleviava lemie ore influenzate leggendomi, da un libro per ragazzi, le vicende dellaguerra di Troia. Immaginavo – forse aiutato dagli stati febbrili – i pae-saggi, i volti, i colori e gli odori di quel mondo lontano nel tempo e nonmi meravigliavo più di tanto nel ritrovarli durante i mesi che trascorrevoogni estate in Sicilia.

Avevo quattro anni quando attraversai per la prima volta l’oceano.Era il 1976, e l’Argentina era nel pieno di una delle dittature più brutali esanguinarie del dopoguerra nell’intero globo terracqueo. Giunti a BuenosAires fu sequestrato a mio padre il passaporto “per verifiche” (qualunquecittadino emigrato era considerato un potenziale dissidente), e per il mesedella nostra permanenza, senza documenti, rischiò ogni giorno di ingras-sare le file delle migliaia di desaparecidos, se solo fossimo stati fermatida uno dei tanti posti di blocco militari appostati dovunque. Era inverno efaceva freddo. Eppure lo sfocato ricordo che ho di quel viaggio sa dibuono, di calore umano, di mate e carne alla brace. E, soprattutto, di casa,un mondo altro ma familiare che parlava una lingua differente ma com-prensibile. Come nei sogni, quando riconosciamo le cose anche se sonodiverse. Quando alla fine fummo in grado di ripartire, non volevo andar-mene, perché avrei sentito l’infinita mancanza di quei cieli espansi e del-l’onnipresente odore di pelle conciata.

Ma l’essere, almeno culturalmente, un siculoargentino, non costi-tuisce una definizione definitiva. Mio padre ha sangue austroungarico,

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portoghese e creolo, mia madre lontane ascendenze arabe e spagnole(come, del resto, la maggior parte dei Siciliani). Mi ritengo immensa-mente fortunato di essere nato e cresciuto a Roma – forse solo perché è lì che conducono tutte le strade, o per un accidente del caso o del fato –dove vivo da eterno turista, sempre pronto a una meraviglia sincera. E poiperché Roma mi ha dato la giusta chiave per riflettere sulle mie mesco-lanze, ha donato ai miei miscugli la prospettiva profonda del tempo. Mase mi si chiedesse qual è la mia patria, non saprei cosa rispondere, avendotre cuori come Ennio.

Tutta la mia storia è meticcia. La prima lingua straniera che hoappreso è il siciliano (occidentale), poi l’inglese e lo spagnolo, quest’ul-timo in presa diretta. Nel corso degli anni ne ho imparate altre, un po’ pernecessità, un po’ per passione, un po’ per una scommessa fatta con mestesso. Ma in realtà perché sapere come la gente parla vuol dire saperecome pensa, e quindi come vive. Una curiosità egoistica, se in fondotutto ciò mi serve a capire come vivo io, uno che non sempre sogna nel-l’idioma che di solito parla.

Vicende familiari e personali mi hanno spesso portato in Germania,in particolare fra la mia adolescenza e la mia gioventù. Ho avuto occa-sione di girarla in lungo e in largo, e di mescolarmi agli indigeni (mi di-cono che la mia faccia è quella tipica del Francone medio). Ho passatoserate intere tra fiumi di birra in luoghi fumosi in cui il tempo sembravanon trascorrere e non trascorso dalle notti di mille o duemila anni fa. Hovisto i volti che atterrirono e disgustarono i Romani e ho finito, comeloro, per trovarli familiari. Dopo le prime incomprensioni, e a volte re-pulsioni, ho abbracciato il fascino del nord, il lato ancestrale e puro diquella che per secoli abbiamo considerato barbarie. Dopo di ciò, e dopoaver visto gli effetti dei conquistadores in Sudamerica, la mia già scarsaprospettiva eurocentrica (ossia “latinocentrica”) si è rovesciata come unpolipo, e come un polipo ha cambiato forma e colore.

La mia storia, una qualunque fra miliardi, parla di globalizzazionilontane e indubbiamente più profonde e reali di quella attuale, che indefinitiva fluttua su un mare sdrucciolevole di onde virtuali. E cerco diportare tutto questo – col massimo grado di consapevolezza possibile –nel mio complesso lavoro di (in)formazione. Oggi più che mai è neces-sario che le nuove generazioni comprendano che ogni singolo uomo è il risultato della somma di tutti quelli che lo hanno preceduto e che ri-vivono in lui affacciandosi dagli abissi della Storia. Oggi più che mai è

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vitale comprendere che la “purezza” umana non solo è biologicamenteimpossibile ma potenzialmente nociva. E ciò vale in particolare per “noi”italiani, che abbiamo imposto, vissuto e subito la storia e le storie di tutti(diceva Orson Welles che in Italia quattro secoli di guerre, massacri ecorruzione hanno prodotto un Dante, un Leonardo, un Michelangelo e unGalilei; gli Svizzeri – absit iniuria verbis – in quattro secoli di pace inin-terrotta hanno dato al mondo gli orologi a cucù). In certi casi, il caos èfecondo, come ben capirono i Greci che da lì diedero origine a tutto.

Devo confessare un mio limite: di fronte alle recrudescenze di certonazionalismo, o alle posizioni “di destra” di buona parte anche dei nostristudenti, la mia prima reazione è di sgomento, semplicemente perchénon capisco. Non capisco, almeno inizialmente, come possa avere pauradell’“altro”, fino a odiarlo, chi l’“altro” se lo porta dentro. La xenofobiaè una manifestazione di autolesionismo. Poi rifletto che non se ne rendeconto. Più che autolesionismo è semplice ignoranza. A questo, credo, do-vrebbe servire la scuola, per questo il nostro ruolo riveste un’importanzacapitale a volte sproporzionata alle nostre forze e, soprattutto, ai nostrimezzi. Il senso, oggi, di studiare le “culture classiche” risiede nel fattoche noi siamo diretti discendenti del mondo che le ha prodotte, ma anchee forse soprattutto nel fatto che noi ne siamo diretti discendenti nono-stante le enormi differenze che ci separano da esso. I Greci e i Romanipossono essere uno specchio tridimensionale di noi, di come siamo esiamo stati, ma è uno specchio infranto, che ci restituisce un’ immaginenon falsa ma neanche omogenea, uno specchio il cui valore risiede ingran parte proprio nelle crepe che ne attraversano la superficie. La consa-pevolezza di un’eredità profonda, amplificata ma per questo anche irri-mediabilmente modificata dalla distanza temporale, è la vera conquistaper gli adolescenti del terzo millennio, e la vera sfida di un liceo chevuole ostinatamente continuare a definirsi “classico”. E proprio oggi chei ragazzi si sentono padroni di un universo in punta di tastiera, si sentel’esigenza di prepararli al confronto con la diversità in tutte le sue mani-festazioni, se non si vuole correre il rischio che quanto più il mondo siallarga, tanto più si ergano muri impenetrabili, meno per escludere glialtri che per chiudere se stessi all’interno, al “sicuro” di ciò che è noto osi ritiene tale.

A parte la mia storia personale, che probabilmente ha favorito certiprocessi, credo di appartenere all’ultima generazione caratterizzata dallatendenza all’estroiezione, sia volontaria che imposta. Appena maggio-

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renni, e a volte anche prima, il sogno di tutti i miei coetanei era quello diprocurarsi un biglietto ferroviario interrail e andare in giro a conoscere ilcontinente. Certo, di solito si partiva in gruppo, ma poi inevitabilmenteci si mescolava. Incontri improbabili con gente d’ogni tipo in città dalnome impronunciabile. Notti d’amore più o meno esplicito cercando diintendersi con linguaggi universali, se gli idiomi non erano sufficienti.Esperienze tanto più assolute quanto più fugaci. Poi, dopo la caduta delmuro e Maastricht, salutammo l’Europa come fosse l’America. All’uni-versità il neonato Progetto Erasmus consentì una circolazione di corpi edi idee fino a poco prima impensabile, creando legami più o meno stabilima comunque oltre gli orizzonti abituali. E sempre, al fondo di tutto, lavoglia, quasi il bisogno, del miscuglio e del confronto, di uscire dal li-mite, anche se solo per potervi tornare. Le famiglie, in generale, erano sìun punto di riferimento, ma da cui imparare a tenere le debite distanze;anzi spesso erano proprio loro a prendere iniziative “espulsive”. Parti perl’Inghilterra per un corso di Inglese, cerca di farti vivo quando puoi.Niente cellulari niente posta elettronica poca ansia di comunicazione,almeno nella maggior parte dei casi. Anche perché, a ben guardare, oggila comunicazione sta inesorabilmente perdendo in profondità quantoguadagna in estensione e immediatezza. Per anni ho mantenuto vivi rap-porti possenti scrivendo lettere, quasi sempre a mano, come ai vecchitempi, e l’attesa delle risposte era un mare dolce in cui naufragare. Iltempo dava la dimensione e il senso delle cose, una dimensione orasempre più piatta man mano che diventa più veloce. Il mito del “temporeale” è una mera illusione, può portare tutto in superficie ma nascondereinesorabilmente ciò che è al di sotto. La vera globalizzazione – quelladavvero in grado di essere un valore – si nutre di tempi lunghi, a prescin-dere dagli stadi tecnologici, perché le informazioni devono sedimentareper farsi storia, e tale sedimentazione dipende dai tempi fisiologiciumani, che in definitiva non sono soggetti a grosse variazioni. In fondonoi “occidentali” siamo figli della prima globalizzazione essenziale delpercorso umano, quella panmediterranea, il trionfo luminoso di un sin-cretismo spontaneo anche se non sempre pacifico o scontato. Ma di fattoparliamo lingue per la maggior indoeuropee che scriviamo con alfabetisemitici; pensiamo come i Greci e contiamo come gli Indiani. Abbiamoassistito, subito e collaborato alla nascita e alla distruzione di imperi au-tocratici ma poliglotti e politeisti, e la nostra civiltà è rimasta una finchéha saputo arricchirsi e sostenersi sulle culture che ci hanno preceduto,

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combattendole magari con le armi ma assorbendole con la parte piùumana di noi. Alessandro che sposa una principessa persiana, Adriano eMarco Aurelio che parlano e pensano in Greco e greci d’Oriente che sisentono romani. Emiri Arabi che affidano la persistenza del loro splen-dore ad architetti bizantini e principi normanni che vivono in palazzi disogno edificati dagli Arabi. L’Odissea, Gilgamesh e Le mille e una notteche raccontano un’unica avventura di uomini che partono, apprendono,scambiano e tornano più uomini, nel bene e nel male.

La cultura è in ultima analisi il prodotto necessario della mesco-lanza, ogni pretesa di purezza degenera prima o poi in una sterilità disu-manizzante. Se i nostri ragazzi hanno il timore più o meno consapevoledi non saper riconoscere la propria identità, dovremmo cercare di inse-gnare loro che possono trovarla solo in ciò che è meticcio, compresi sestessi. Ogni cosa può avere posto in ciò che nasce dal brodo primordialedella differenza, perché questa contiene in potenza i semi di tutto.

Non c’è niente di antico sotto il sole. Tutto succede per la primavolta, ma in un modo eterno.

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ROBERTA CASALDI

L’archivio:dal mondo antico ai giorni nostri1

1. Archivio: etimologia e storia

Per archivio si intende l’ordinato insieme dei documenti prodotti e/oacquisiti da un ente, un’istituzione, una famiglia o una persona nel nor-male esercizio delle proprie funzioni per tutto il tempo della propria atti-vità. In secondo luogo, per estensione, si è chiamato “archivio” anche illocale destinato alla loro conservazione e l’ufficio, organo o ente cui èaffidata istituzionalmente la conservazione, tutela e valorizzazione deidocumenti storici.

Con il vocabolo archeion gli antichi Greci indicavano il palazzo el’ufficio dell’arconte. La parola passò quindi nella lingua latina archi-vium, “luogo del governo”; spesso i documenti si chiudevano in cassedette “arca” e si custodivano gelosamente tenendo lontano tutti coloroche volevano distruggerli, da qui il verbo arcere, “tenere lontano, rinser-rare”, come il greco arkeo che vuol dire “custodire”. Sempre per i Ro-mani un sinonimo di archivio era tabularium poiché i loro documentierano scritti su tavolette di legno (Tabulae). Anche il primo edificio co-struito nel I sec. a.C. sul Colle Palatino fu denominato Tabularium.

Nel senso comune un archivio è un agglomerato di carte o altri ma-teriali, una raccolta di informazioni conservata per la consultazione, uncampionario.

Non mancano nel linguaggio generico le accezioni negative: si pensial verbo “archiviare”, che può essere sinonimo di “dimenticare”, “met-tere da parte”, “seppellire”.

In realtà uno degli elementi essenziali dell’archivio è proprio la con-sultabilità e la fruizione.

1 L’Autrice, laureata in Filologia e Letterature dell’Antichità e specializzandapresso l’Archivio di Stato, ha tenuto una relazione sull’argomento agli studenti dellasede di via Isola Bella il giorno 12 marzo 2009.

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La gestione della memoria tramite archivi è ampiamente documen-tata almeno dal III millennio a.C., grazie a scoperte archeologiche diinteri archivi di tavolette di argilla, tra i quali spicca quello di Ebla inMesopotamia (quasi integro, con circa ventimila tavolette); nel secondomillennio spiccano invece gli archivi degli Ittiti in Anatolia.

Nell’età classica si passò a supporti più agili e leggeri (papiro, pelle,pergamena), ma anche più volatili, tanto che la stragrande maggioranzadegli archivi egiziani, greci e romani è oggi perduta. Restò però l’uso diregistrare alcuni avvenimenti di massima importanza su supporti piùduraturi, come le incisioni su lastre di marmo o di pietra, per salvaguar-darne la memoria in eterno (epigrafia).

Nella Roma repubblicana si conosce dalle fonti l’uso di tavolettelignee sia imbiancate e scritte a inchiostro (album), sia rivestite di cera eincise (tabulae cerussatae), che venivano custodite con la massima curain ambienti sacri.

In epoca imperiale il sistema archivistico venne perfezionato e nac-quero le idee di memoria eterna dei fatti e della fides verso le scritturedegli archivi pubblici.

Ma i problemi legati alla fragilità nel tempo dei supporti ha fatto sìche siano veramente esigue le testimonianze archivistiche dal I millennioa.C. al I millennio d.C., con rare eccezioni riguardanti episodici, singolidocumenti.

Solo sul finire del I millennio d.C., allo scadere dell’Alto Medioevo,l’uso della pergamena e lo sviluppo sociale ed economico degli ordinireligiosi e della Chiesa permisero la conservazione di una significativaquantità di documentazione archivistica, via via più consistente.

La nascita dei Comuni segnò un grande sviluppo, con l’introduzionedella carta, dei libri e degli armari, al posto delle poco pratiche capse escrinia (casse e scrigni).

Nacquero in questo periodo figure addette alla conservazione deidocumenti, i notari, che ordinavano e custodivano il materiale prove-niente dagli uffici comunali, rendendolo disponibile per la fruizione deifunzionari pubblici e dei privati cittadini che avessero un interesse perti-nente.

Si può dire che agli inizi del Trecento quella del notaro-archivistafosse già una professione ben definita e qualificata.

All’epoca comunale risalgono anche i primi regolamenti sulle ge-stione degli archivi pubblici.

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Dalla seconda metà del XVI secolo nacque un vero e proprio dibattitoteorico sull’archivistica, con la stampa di importanti opere al riguardo, so-prattutto in area tedesca, con riflessioni sul metodo e sull’organizzazionedegli archivi.

Nel XVII e XVIII secolo, fino alla metà del XIX, si aggiunsero icontributi degli studiosi italiani, con grandi archivisti come FrancescoBonaini, Cesare Guasti e Salvatore Bongi, che inventarono il cosiddetto“metodo storico”, ancora oggi il più usato.

In quel periodo si ebbero i maggiori sviluppi della disciplina archivi-stica sia a livello teorico che pratico, riuscendo a risolvere svariati pro-blemi, tra i quali spiccava ormai quello del riordino degli archivi antichi.

Nel Novecento ebbero importanza i teorici olandesi e altri studiosiche perfezionarono le teorie archivistiche già formulate.

2. Vita e funzioni di un archivio

Tra le funzioni principali di un archivio si ricordano:• la conservazione, tutela e valorizzazione dei documenti;• la redazione di inventari, repertori, indici o guide che consentano

la consultazione del materiale archivistico;• promuovere l’utilizzo dei beni conservati, per esempio in campo

didattico.

L’organizzazione dell’archivio è oggetto di studi (che vanno sotto ilnome di archivistica), prevalentemente con il fine di aumentare i beneficiderivanti dall’archiviazione per mezzo di una gestione il più possibile ra-zionale, facilitando la ricerca e la conservazione, contenendo gli spazi e icosti.

Un archivio nasce innanzitutto quando un soggetto, detto “produt-tore” (di documentazione), decide di conservare le testimonianze delleproprie operazioni: a questa decisione è legata la convinzione che tali do-cumenti possano tornare ad essere utili in un futuro più o meno vicino,per questo se ne evita la distruzione.

Nelle fasi iniziali la conservazione dei documenti ha essenzialmentefinalità pratiche, amministrative e giuridiche, mentre solo col passare deltempo, mentre questi interessi vanno sfumando o decadendo, subentra unaltro valore, di tipo storico, legato alla ricerca della conoscenza del pas-sato, da parte degli studiosi.

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La vita di un archivio si muove su una coordinata temporale (verti-cale) che va dalla nascita alla chiusura dell’archivio (l’“archivio morto”,cioè il cui soggetto produttore non produce più documenti per la cessa-zione dell’attività, e quindi non è più soggetto agli accrescimenti), finoall’ipotetica data della distruzione dell’archivio.

Inoltre l’archivio si riferisce a un determinato territorio ed a una serie disoggetti col quale il soggetto produttore interagisce (coordinata orizzontale).

La nascita dell’archivio richiede alcuni elementi necessari:• l’esistenza di un soggetto produttore, in attività e legato a una par-

ticolare tipologia di azioni;• la volontà di conservare le memorie, tramite supporti destinati a

durare nel tempo;• la presenza del vincolo archivistico.

Fondamentale è poi il concetto di “ordine”, che serve per garantireuna struttura logica e utile per la consultazione, anche se non incide lanatura dell’archivio stesso: un archivio disordinato resta sempre unarchivio, magari in attesa dell’inventariazione e del riordino, mentre unarchivio senza vincolo non è un archivio.

Oggi la vita degli archivi, almeno quelli di enti pubblici e quelli pri-vati dichiarati di pubblico interesse, è regolamentata da precise disposi-zione di legge. Inoltre gli archivi in Italia sono oggi considerati e tutelaticome beni culturali.

La vita di un archivio è stata schematizzata in tre fasi, che corrispon-dono a:

• l’archivio corrente (per gli affari in corso); • l’archivio di deposito (per gli affari detti “esauriti”); • l’archivio storico (per i documenti con più di 40 anni di età, desti-

nati a venir conservati per sempre).

Questa impostazione “italiana” risale al teorico seicentesco Baldas-sarre Bonifacio.

In area tedesca prevale l’impostazioni in quattro fasi delle quali solol’ultima è definita “archivio”, mentre le altre sono dette “registratura”(corrente, di deposito e prearchivio, ovvero la fase di scarto), sottolinean-done le finalità più immediate e pratiche.

In area francese esistono pure quattro fasi, come in Germania, mavengono denominate già tutte “archivio”, come in Italia.

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La quarta fase del modello tedesco e francese è in sintesi la fasedello scarto, che in Italia è inglobata al termine della fase di deposito.Durante lo scarto si distruggono tutti i documenti ritenuti superflui per lamemoria futura, ad esempio i doppioni, i contenute accessori, ecc.

Nell’archivio i documenti sono di solito sistemati dentro delle“buste” (contenitori di cartone nei quali si conservano i documenti rag-gruppati in fascicoli) che sono a loro volta sistemati su delle scaffalature.Dentro alle buste i documenti, raggruppati in cartelline, formano un fa-scicolo (insieme di documenti sistemati in ordine cronologico). Il fasci-colo è considerato l’unità base dell’archivio.

Sulle scaffalature, oltre alle buste, sono presenti anche dei registri(documenti formati da più fogli contenenti atti di genere vario), ma sequesti sono troppo rovinati vengono anch’essi racchiusi in buste.

Di notevole importanza è il soggetto, ossia colui che produce o ricevei documenti che finiscono nell’archivio. I documenti sono la memoriadella sua attività specifica. A seconda della natura del soggetto, special-mente nella disciplina giuridica contemporanea, si hanno diverse disposi-zioni, regolate nella principale legge italiana sulla gestione degli archivi,il D.P.R. 1409 del 30 settembre 1963.

Una prima distinzione è attuabile tra soggetti pubblici e privati. I sog-getti pubblici si dividono in:1. Soggetti pubblici “statali”:

• Centrali, come i Ministeri, la Corte dei Conti, il Consiglio di Stato,ecc.

• Periferici, come le Prefetture, le Questure, le soprintendenze, ecc. 2. Soggetti pubblici “non statali”, come Regioni, Province, Comuni,

Associazioni Intercomunali e Comunità montane.

I soggetti privati si distinguono in:1. Soggetti privati singoli (persone fisiche e giuridiche, come le im-

prese individuali o gli artigiani)2. Soggetti privati complessi:

• Nuclei familiari• Associazioni• Imprese

Nel caso dei soggetti privati le norme lasciano ampia libertà e,tranne nel caso in cui intervenga una dichiarazione di pubblico interesse,

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i privati sono liberi di tenere o anche distruggere i propri archivi, salvorestanti le sole disposizioni in materia fiscale e contabile, che prevedonola conservazione di alcuni tipi di documentazione per un certo lasso ditempo (in genere dieci anni).

In archivistica è fondamentale il concetto di attività, intesa come in-sieme di rapporti “verso l’esterno”, escludendo invece in linea di mas-sima i comportamenti che si esauriscono all’interno del soggetto.

Durante l’attività ci può essere un periodo di inerzia, che può esseretransitoria o definitiva: nel secondo caso l’archivio non è più suscettibiledi aggiunte e si dice “morto”.

L’archivio non si forma mai per i soli comportamenti attivi del sog-getto produttore, ma sempre anche per il concorso di altri soggetti che viinteragiscono (si pensi ad esempio ai carteggi in entrata e uscita). Da ciòdiscende il principio della non volontarietà della formazione dell’ar-chivio, che ne caratterizza la fattispecie rispetto alle raccolte “volontarie”(come le collezioni di documenti).

3. L’altro aspetto della memoria: la biblioteca

Una biblioteca è una collezione ordinata di libri. Il termine può riguar-dare una collezione privata personale, ma più spesso viene utilizzato per unaestesa collezione fondata e mantenuta da un ente locale (municipio, regioni,università) o da una istituzione e che viene condivisa da molte persone chesingolarmente non sono in grado di affrontare l’acquisizione di tanti libri.

Tuttavia con lo sviluppo di nuovi mezzi per la registrazione delleinformazioni diversi dai libri e con le raccolte di questi oggetti, molte bi-blioteche ora sono anche dei depositi e/o dei punti di accesso di mappe,stampe o altri artefatti, microfilm, microfiche, nastri audio, CD, LP,video tape e DVD, e provvedono postazioni per il pubblico per l’accessoa CD-ROM, a basi-dati e a Internet.

La voce è composta di due parole greche: ββιιββλλιιοονν (biblíon, “libro”,“opera”) e θθηηκκηη (théke, “scrigno”, “ripostiglio”).

Il termine ββιιββλλιιοονν (biblìon) differisce da βιβλος (bíblos). Bιβλοςera il nome dato alla corteccia interna del papiro (βυβλος), e visto chequesto materiale era usato come supporto per la scrittura, in epoca atticala parola βιβλος divenne, per estensione, sinonimo di “libro”.

Anche ββιιββλλιιοονν nasce come identificativo della “carta” o della “let-tera” su cui si scriva, ma presto tende a diventare sinonimo non solo di

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“libro scritto”, bensì di “opera letteraria”, di vero e proprio contenuto dicui il libro è mero contenitore.

Mentre nel greco moderno esiste la parola ββιιββλλιιοοθθηηκκηη, non ve n’ètraccia nel greco classico. È attestata però la voce ββιιββλλιιοοϕϕυυλλαακκιιοονν(bibliofiulákion) con il significato di “deposito di libri”, “archivio dilibri”.

Dione Crisostomo, nel I sec. d.C., dà alla stessa parola βιβλιον ilvalore di “biblioteca”.

L’esistenza di biblioteche antiche è documentata da numerose testi-monianze e reperti archeologici. A Ninive gli archelogi hanno rinvenutoin una parte del palazzo reale di Assurbanipal 22.000 tavolette d’argilla,corrispondenti alla biblioteca ed agli archivi del palazzo. Altre notevolicollezioni di tavolette sono state scoperte a Lagash in Mesopotamia, adHattusa, capitale degli Ittiti, a Babilonia e ad Ebla.

Anche nell’antica Grecia abbiamo notizia di una biblioteca pubblicaad Atene, fondata da Pisistrato intorno al 550 a.C., e della raccolta pri-vata di Aristotele.

3.1 La Biblioteca di AlessandriaLa più celebre biblioteca dell’antichità è senza dubbio la Biblioteca

di Alessandria, in Egitto, creata nel III sec. a.C.: aveva circa 700 milavolumi. Fu la più grande e ricca biblioteca del mondo antico ed uno deiprincipali poli culturali ellenistici.

Andò distrutta nell’antichità in data imprecisata (presumibilmenteintorno all’anno 270 o forse verso l’anno 400 e in circostanze miste-riose).

La Biblioteca di Alessandria fu costruita intorno al III secolo a.C.durante il regno di Tolomeo II Filadelfo.

Questo polo culturale, annesso al Museo, era gestito da unπροστατης (sovrintendente), ruolo di grande autorità che era investitodirettamente dal re (il primo filologo ad occupare tale carica fu Zenodotodi Efeso). Questi aveva il compito di dirigere una squadra di preparatis-simi grammatici e filologi che avevano il compito di annotare e di emen-dare i testi delle varie opere di cui si redigevano delle edizioni criticheche venivano poi conservate all’interno della Biblioteca stessa: si sup-pone che al tempo di Filadelfo i rotoli conservati in questo luogo fosserocirca 490.000 (quando non bastò più lo spazio, venne costruita una se-conda struttura, la Biblioteca del Serapeo).

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Secondo le fonti la Biblioteca di Alessandria fu costruita all’iniziodel III sec. d.C. durante il regno di Tolomeo II Filadelfo.

È comunque probabile che almeno l’ideazione della biblioteca siastata del padre del Filadelfo, Tolomeo I, che fece edificare l’annessotempio delle Muse, il Museo.

Secondo una usanza tipica della politica di propaganda della dinastiatolemaica è verosimile che l’importanza del ruolo del primo faraone tole-maico sia stata offuscata a favore del figlio.

Questo fatto sarebbe comprovato dalla Lettera di Aristea, la qualeattribuisce l’iniziale organizzazione della biblioteca a Demetrio Falereo,amico di Teofrasto e allievo di Aristotele, la cui biblioteca sarebbe ser-vita da esempio per l’ordinamento di quella di Alessandria.

Secondo le fonti Demetrio fu cacciato da Tolomeo II all’inizio delsuo regno ed è quindi probabile che i lavori di costruzione della biblio-teca iniziarono già sotto Tolomeo I.

Sicuramente è da attribuire al Filadelfo l’impulso dato alla politicadi acquisizione di opere, soprattutto con il cosiddetto “fondo delle navi”.Questa raccolta deve il suo nome al fatto che, secondo un editto farao-nico, tutti i libri che si trovavano sulle navi che sostavano nel porto diAlessandria dovevano essere lasciati nella biblioteca in cambio di copie.

Il primo direttore della biblioteca fu Zenodoto di Efeso, famoso perl’edizione critica dei poemi di Omero ed al quale si deve la sistemazionein ordine alfabetico del patrimonio librario.

La prima catalogazione delle opere contenute nella biblioteca sideve forse a Callimaco di Cirene, invitato da Tolomeo I ad unirsi al cir-colo di intellettuali della corte alessandrina.

Dopo la direzione di Apollonio Rodio, nella seconda metà del III a.C.fu a capo della biblioteca il grande geografo Eratostene, che, a differenzadei predecessori, contribuì alla crescita delle opere di ambito scientifico.

Fu comunque nella prima metà del II sec. a.C. con Aristofane di Bi-sanzio ed Aristarco di Samotracia che la lessicografia e la filologia ales-sandrina toccarono l’apice della loro fortuna.

Dopo la metà del II secolo le complesse vicende interne e i disordinisociali non permisero ai Tolomei di proseguire la politica culturale deipredecessori e la Biblioteca ed il Museo persero progressivamente ilruolo che avevano ricoperto in passato.

Le fonti riguardanti la fine della Biblioteca di Alessandria sono con-traddittorie ed incomplete e rendono ardua una ricostruzione condivisa

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dell’episodio e della sua datazione. La prima notizia di un incendio chedistrusse almeno parte del patrimonio librario concerne la spedizione diGiulio Cesare in Egitto. In seguito ai disordini scoppiati ad Alessandriaun incendio si sviluppò nel porto della città ed avrebbe danneggiato labiblioteca.

Dei sedici scrittori che hanno tramandato notizie dell’episodio,dieci, fra cui lo stesso Cesare nella “Guerra alessandrina”, Cicerone,Strabone, Livio, Lucano, Floro, Svetonio, Appiano ed Ateneo non ripor-tano alcuna notizia relativa all’incendio del Museo, della Biblioteca o dilibri. Sei di questi forniscono notizie dell’incidente come segue:

- Seneca (49) afferma che furono bruciati 40.000 libri. - Plutarco (c. 117) dice che il fuoco distrusse la grande Biblioteca. - Aulo Gellio (123-169) riporta la notizia di 700.000 volumi bruciati. - Cassio Dione Cocceiano (155-235) informa che furono incendiati i

depositi contenenti grano ed un gran numero di libri. - Ammiano Marcellino (390) scrive di 70.000 volumi bruciati. - Paolo Orosio (c. 415) conferma il dato di Seneca: 40.000 libri.

Di tutte le fonti, Plutarco, nella Vita di Cesare, è l’unico che parladella distruzione della biblioteca riferita esplicitamente a Giulio Cesare.

La testimonianza di una completa distruzione della biblioteca nelcorso della guerra alessandrina sarebbe inficiata non solo dalla discre-panza delle fonti, ma anche da altri indizi, che indurrebbero a pensare aduna perdita parziale del patrimonio librario.

L’interpretazione più plausibile è che solamente i libri depositati inun magazzino nei pressi del porto furono accidentalmente distrutti dalfuoco. Questa ipotesi sarebbe suffragata da altre fonti che fanno supporreche la biblioteca fosse ancora in piedi in tempi più recenti dell’episodionarrato. Si sa infatti che Strabone durante il suo soggiorno in Egitto (25a.C.-20 a.C.) lavorò nella biblioteca e che un ampliamento degli edificifu realizzato da Claudio (41-54).

La continuità storica della biblioteca sarebbe comprovata anche dauna iscrizione databile alla metà del I secolo e dedicata a Tiberio ClaudioBalbillo, che avrebbe ricoperto un incarico supra Museum et ab Alexan-drina bibliotheca.

La distruzione della biblioteca è attribuita dalla maggioranza deglistorici al tempo del conflitto che oppose l’imperatore Aureliano alla re-gina Zenobia di Palmira, verso il 270.

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Nel corso dei feroci scontri ingaggiati nella città di Alessandria,l’area del palazzo reale fu completamente distrutta e con essa verosimil-mente anche la biblioteca.

In alternativa a questa teoria alcuni studiosi, basandosi su fonti che at-testano la sopravvivenza del Museo fino al IV secolo, hanno ipotizzato chela distruzione della biblioteca vada ricondotta ad una data vicina al 400.

Secondo questa interpretazione la fine della Biblioteca di Alessan-dria e del Museo sarebbe collegata a quella del Serapeo, la biblioteca mi-nore di Alessandria, distrutto in seguito all’editto dell’imperatore Teo-dosio del 391, su istigazione del vescovo cristiano della città, Teofilo,ostile alla cosiddetta “saggezza pagana”. Secondo altri studiosi quest’i-potesi sarebbe originata da una confusione tra le due biblioteche di Ales-sandria. È inoltre da smentire a causa di varie parti della vicenda avvoltedal mito. Inoltre sarebbe un controsenso visto l’orientamento della cul-tura cristiana da sempre tollerante e aperta verso le altre fonti di sapere.

• Zenodoto di Efeso (284 a.C.-260 a.C.)• Apollonio Rodio (260 a.C.-246 a.C.)• Eratostene di Cirene (245 a.C.-195 a.C.)• Aristofane di Bisanzio (195 a.C.-180 a.C.)• Apollonio ει jδογραϕος (?-160 a.C)• Aristarco di Samotracia (?-146 a.C.)

Durante l’età ellenistica sono attestate grandi biblioteche ad Atene ea Pergamo, fondata da Attalo I e con un patrimonio di 200.000 volumi,mentre a Rodi e ad Antiochia ne esistevano di più modeste.

La biblioteca di Alessandria e quella di Pergamo furono istituzionirivali per secoli. Dopo l’incendio della biblioteca di Alessandria (47a.C.), Marco Antonio fece distruggere quella di Pergamo per compensarela regina Cleopatra della perdita subita.

Anche a Roma esistevano grandi biblioteche pubbliche, la primadelle quali fu quella istituita sull’Aventino da Asinio Pollione nel 39 a.C.,e private, come quelle famose di Attico e Cicerone. Durante il periodoimperiale, il numero delle biblioteche pubbliche a Roma passò dalle 3del I secolo alle 28 attestate nel 377.

La crisi che pervase il mondo occidentale dopo la caduta dell’im-pero romano interessò anche le biblioteche. La prima testimonianza me-dievale di una nuova biblioteca riguarda quella creata nel 550 da Cassio-doro nel Vivarium di Squillace in Calabria.

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La formazione di grandi raccolte librarie riprende con la rinascitacarolingia, grazie soprattutto all’espansione dei monasteri benedettini. Ifrati impiegavano molto del loro tempo negli scriptoria, atelier di copia-tura dei manoscritti associati alle biblioteche monastiche. Tra le raccoltelibrarie più importanti sono da menzionare quella dell’Abbazia di Mon-tecassino, quella del cenobio di Bobbio e quella del monastero di Ci-teaux.Questo lavoro ha permesso la trasmissione di opere antiche che al-trimenti si sarebbero irrimediabilmente perse.

Dall’XI secolo la costituzione di scuole collegate ai vescovati diedeun forte impulso alla creazione di biblioteche capitolari, come quelle diLucca e di Verona. Un altro incremento delle biblioteche si ebbe dal XIIsecolo con l’organizzazione delle prime università, per esempio a Bo-logna ed a Parigi, con la costituzione delle prime biblioteche adibite allostudio.

La diffusione dei libri miniati fu uno stimolo notevole alla creazionedi raccolte librarie presso le corti europee, come la biblioteca di Luigi IX.Ma l’impulso più importante fu dato dall’invenzione della stampa, cheverso la fine del XV secolo moltiplicò il numero e la disponibilità deivolumi, anche per la riduzione del costo della produzione libraria. Inquesto contesto si inserisce la formazione di alcune grandi bibliotecheodierne, come la Biblioteca Apostolica Vaticana, fondata da papa Sisto IV.

3.2 La Biblioteca Apostolica VaticanaIl papa umanista Niccolò V (1447-1455), nel XV secolo, fu il primo

a concepirne l’idea, e a costituire una consistente raccolta di codici chesarebbe stata il primo nucleo della futura biblioteca. La fondazione èinvece del papa Sisto IV nel giugno 1475, con la bolla Ad decorem mili-tantis Ecclesiae, del 15 giugno. Subito dopo, il 18 giugno, ebbe iniziol’attività del suo primo gubernator et custos, che fu il mantovano Barto-lomeo Sacchi, detto il Plàtina, riferendosi al quale la Biblioteca Aposto-lica Vaticana è detta anche “Biblioteca Palatina”.

La nuova biblioteca raccolse i manoscritti, i codici, i fondi, le raccoltedi Sisto IV e dei suoi predecessori. La finalità è espressa da papa Paolo VInel Discorso nel V centenario della Biblioteca Apostolica Vaticana del 20 giugno 1975: la biblioteca “veniva dotata, cioè, di un abbondante eprezioso, anzi inestimabile, patrimonio librario, per metterlo a disposi-zione degli studiosi, nelle diverse fasi della consultazione, della lettura, delriscontro e della sintesi conclusiva”.

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Sisto V (1585-1590) commissionò poi all’architetto Domenico Fon-tana la costruzione del Salone Sistino nel quale i volumi furono sistematiin armadi appositamente predisposti. Ivi rimasero fino al pontificato diLeone XIII (1878-1903).

La biblioteca si arricchì in seguito di molteplici collezioni bibliogra-fiche. Nel XVIII secolo sorsero le collezioni antiquarie e artistiche, comin-ciando con il Medagliere (1738). Nel 1755 si aggiunsero tre raccolte dioggetti appartenenti all’antichità cristiana, in maggior parte provenientidalle catacombe romane.

Tra i pezzi più famosi della Biblioteca c’è il Codex Vaticanus, il piùantico manoscritto della Bibbia che si conosca.

La Biblioteca Apostolica Vaticana contiene oggi:• 1.600.000 libri a stampa antichi e moderni• 8.300 incunaboli (di essi, 65 in pergamena)• 150.000 codici manoscritti e carte di archivio• 300.000 monete e medaglie• circa 20.000 oggetti di arte. • Dal 1985 esiste un catalogo informatico consultabile in linea dei

volumi a stampa moderni.

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Editore, Roma 1978.ELIO LODOLINI, Archivistica. Principi e problemi, Franco Angeli Editore,

Milano 1985.

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L’esperienza del Naturalismo francesenell’opera letteraria di Giovanni Verga

Il testo seguente rispetta piuttosto fedelmente una prova sostenuta in classe da unostudente della III N (liceo classico). Si trattava di una prova strutturata – un’“analisitestuale” – in cui veniva sottoposto all’attenzione degli alunni un ampio stralcio dellaprefazione de I Malavoglia che, a sua volta, doveva costituire lo spunto per analizzare lecaratteristiche della narrativa verista, nella forma in cui venne realizzata ne I Malavoglia,il suo debito nei confronti dell’esperienza del Naturalismo e, ancora, la coesistenza diistanze divergenti all’interno del romanzo. L’elaborato, sottoposto ad alcuni tagli, è statocompendiato e razionalizzato in alcuni passaggi; altrove, per lo più tra parentesi, hoinserito riferimenti necessari all’orientamento del lettore.

Prof. Giorgio Rizzo

Il progetto del Ciclo dei Vinti, parzialmente realizzato dal Verga cheaderì alla poetica verista, muove inizialmente e sostanzialmente dalla ne-cessità dell’autore di “descrivere” la situazione socio-economica del Me-ridione italiano, più propriamente della Sicilia in pieno Ottocento. Lascelta di una poetica incentrata essenzialmente sull’impersonalità e sul-l’eclissi dell’autore – il narratore verista si propone di descrivere oggetti-vamente “il vero”, eclissando la propria personalità – ebbe la sua ragiond’essere a seguito della pubblicazione de l’Assommoir di E. Zola, subitorecensito da L. Capuana (1877-78): già un paio di decenni prima (1857)veniva pubblicato Madame Bovary di G. Flaubert e, poco dopo (1865),Germinie Lacerteux dei fratelli de Goncourt; è, tuttavia, l’opera di Zola il“manifesto” meglio riuscito del Naturalismo francese, che prevedeva pro-grammaticamente l’applicazione del rigorismo scientifico, osannato dalpositivismo, anche in ambito letterario, per il quale, tra l’altro, si negavache nella narrazione potesse prendere piede, neanche in minima misura,alcuna forma di soggettivismo lirico, avvertito come retaggio dell’ormaianacronistica cultura romantica. Come sostiene il critico G. Lukács (ci siriferisce ad un saggio del 1936, Il marxismo e la critica letteraria), lagenerazione di Flaubert, Baudelaire e Zola non era più motivata da unamore per gli ideali, che invece sono erano ancora vivi nella produzionedi Balzac e Stendhal: è una generazione che, a seguito delle brutali repres-

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sioni delle insurrezioni parigine del ’48, si limita con atteggiamento disin-cantato e demistificante a denunciare i mali della società.

Il romanziere, secondo i fratelli de Goncourt e gli altri “naturalisti”,è come un medico che effettua una diagnosi propedeutica a una possibilecura di una società malata, in cui il materialismo utilitaristico prevale sulsenso, ormai vistosamente soffocato, di Fratellanza e Uguaglianza. Nelloscrivere un romanzo naturalista, tanto i de Goncourt quanto Zola propon-gono una fredda e razionale analisi, quasi fosse una radiografia dellarealtà contemporanea: prediligono uno studio che si articola dalle com-ponenti più “basse” e dai nuclei più ristretti della società (la famiglia,anzitutto), in un’ottica deterministica secondo cui l’individuo è anche – talvolta soprattutto – un prodotto delle relazioni di più fattori di carat-tere storico, politico o sociale: sono, queste, condizioni che vincolano eplasmano l’individuo e dettano le relazioni all’interno del nucleo fami-liare e che si riversano anche al di fuori di esso, su più ampia scala.

Quest’ultimo punto è proprio una delle istanze che avvicinano Vergaal Naturalismo francese: “Il movente... che produce la “fiumana del pro-gresso”... (l’aspirazione a migliorare la propria condizione) è preso qui...nelle proporzioni più modeste” afferma Verga nella prefazione a I Mala-voglia, preannunciando di voler trattare di uno “studio sincero e appas-sionato... da lontano”: fonte di questo studio fu anche e soprattutto L’In-chiesta in Sicilia di L. Franchetti e S. Sonnino, e il progetto letterario diVerga ne conserva il carattere “realistico” e “democratico”, se inten-diamo, con questo termine, un’analisi che investe indistintamente tutti glistrati della società. (Il riferimento è al celebre libro-inchiesta La Sicilianel 1876, in cui gli autori, esponenti della destra storica e fondatori dellarivista Rassegna settimanale, descrivevano minuziosamente le causedella crisi in Sicilia).

Il Ciclo dei Vinti è dunque l’ambizione, parzialmente concretizzata,di esaminare, alla guisa dei naturalisti francesi, la società in Sicilia, nonsenza sostanziali mutamenti di prospettive: nella descrizione di Verga,infatti, è assente l’“ottimismo” positivista che prevedeva la possibilità diuna “cura” della società, dopo averne diagnosticato i “mali”; in più l’ine-sorabile affermazione della “logica della roba” non riesce, almeno neiMalavoglia, a liberare la “descrizione” da ogni sfumatura lirico-sogget-tiva, in quanto “chi osserva questo spettacolo... è già molto se riesce atrovarsi un istante fuori del campo... per studiarla senza passione”. Vergaè un latifondista siciliano e vive sulla propria pelle le “passioni” soffo-

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cate dalla “fiumana” inarrestabile: ed è per questo che, nonostante il“campo della lotta” sia visto “da lontano” (da Milano, per l’appunto,dove Verga scrive il suo primo romanzo), tuttavia permane un sentimento“nostalgico”, che ravvisa anche L.Capuana nella prima redazione deiMalavoglia, il vago rimpianto della Sicilia, proiettato nella ricostruzioneletteraria all’interno del “cronotopo idillico”. (Per il critico M. Bachtin il“cronotopo” – cioè la rappresentazione dello spazio e del tempo nellanarrativa – assume talvolta, come in Rousseau, una valenza particolare,per la quale i protagonisti, rispettosi delle tradizioni ed animati da un’u-manità autentica e reciprocamente solidale, vengono rappresentati inpiena armonia con la natura – idillica, appunto – e all’interno di una di-mensione temporale scandita ciclicamente dai ritmi naturali delle sta-gioni e delle tradizioni della comunità di appartenenza. Tale “cronotopo”emerge chiaramente in alcuni passaggi dei Malavoglia: M. Bachtin, Leforme del tempo e del cronotopo nel romanzo, in Idem, Estetica e ro-manzo, Torino, 1979.)

Nel romanzo, comunque, conformemente alle prescrizioni della poe-tica verista, Verga adotta alcuni accorgimenti retorici per la resa dell’im-personalità: anzitutto l’autore è portato a vedere con distacco alla condi-zione in cui versano i suoi personaggi, partendo dalle relazioni che na-scono dai singoli “interessi particolari”; da ciò viene all’autore l’obbligodi “declassarsi” al livello di contadini e pescatori “sempliciotti” attra-verso l’artificio di regressione che, secondo G. Baldi, in Verga producemimeticamente ed “ecolalicamente” il “processo affabulativo”, ovvero lacapacità di imitare, “facendo il verso”, i suoi personaggi. (Il riferimento èal saggio di G. Baldi L’artificio della regressione. Tecnica narrativa eideologia nel Verga verista, Napoli, 1980.) Di qui, spesso, l’artificiodello straniamento: il lettore si trova davanti agli occhi una descrizionecondotta da una voce “corale”, la comunità malevola di braccianti e co-mari, che offrono una visione paradossale del reale, per la quale spessociò che è strano (per chi legge) risulta essere normale (per i personaggidel romanzo), e viceversa: si pensi all’affetto che spinge i Toscano (ov-vero i Malavoglia) a tenere in casa il vecchio Padron ’Ntoni, una sceltagiudicata come dettata da egoismo utilitaristico dalla comunità, chepensa sia un lasciarlo marcire “tra le pulci”, pur di non “perdere del de-naro” per inviarlo in qualche ospizio; in questo caso il lettore non puònon avvertire come in realtà l’autore si collochi all’opposto di questaprospettiva, subendo un processo di “straniamento” che lo porta, inevita-

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bilmente, ad un’analisi critica di ciò che legge. (Si fa riferimento alla tec-nica dell’artificio di straniamento, illustrata in un saggio di V. Šklovskij,L’energia dell’errore, Roma, 1984.)

Non è questa l’unica “infrazione” alla distaccata asetticità oggettivadella narrazione verista. Ne I Malavoglia, infatti, sopravvive ancoraun’istanza tipicamente romantica nella rappresentazione della realtàcome contrasto tra opposti: i personaggi, anzitutto, sono implicitamentesuddivisi in due gruppi – diremo banalmente “buoni” e “cattivi” – e ciòdi per sé già suggerisce un vago giudizio dell’autore che del tutto impar-ziale non riesce ad essere. È lo stesso sistema binario, commenta R. Lu-perini, che si articola nella novella di Rosso Malpelo (il primo raccontoverista di G. Verga, pubblicato per la prima volta nel 1878, poi accoltonell’edizione del 1880 di Vita dei campi), per il quale vi è una schiera dioppressori ed una di “vinti”: ne I Malavoglia, Zio Crocifisso, Campanadi legno, Piedipapera e don Silvestro sono esempi di “quanto c’è di me-schino negli interessi particolari”; essi si oppongono alle figure, moral-mente nobilitate, quali Padron ’Ntoni, Alfio e Mena, che ancora conser-vano un’umanità destinata ad “affogare” nella “fiumana”, non adatta aipiù deboli. È il darwinismo applicato alla società. (Il riferimento è alleteorie del “darwinismo sociale” di H. Spencer, per il quale nella società ilprogresso si realizza – come nel mondo naturale – attraverso i conflitti ela selezione naturale dei migliori.)

Le vicende dei personaggi, infine, rimandano anche a sfere piùampie, in cui l’analisi dell’autore si fa più sentita e rassegnata, ancor una volta all’insegna di inconciliabili dicotomie: la città e la campagna; la“modernità”, che crea un disequilibrio incontrollabile, e l’“arcaicità ru-rale”, intesa come serbatoio di quei valori cui l’autore si rifà, incarnati nelvecchio ’Ntoni. A tale esempio di integrità morale è contrapposto il nipote’Ntoni, inevitabilmente corrotto dalla sua generazione, investita senzamezze misure dall’ondata del progresso: è un giovane che per sua naturanon può sottrarsi a questa logica, ed è costretto ad abbandonare le sue ra-dici, per ricercare al nord un senso da dare a tanto amaro squilibrio. Alsuo partire Verga dedica l’ultima parte del romanzo, in cui descrive conforte (per quanto nei limiti della sua poetica) simbolismo lirico l’alba diun altro giorno che ciclicamente si ripeterà ad Aci-Trezza dimenticandosidei suoi figli più deboli, tra cui lo stesso ’Ntoni, costretto a fuggire, sullosfondo di una visione paurosamente pessimistica della condizione umana.

Francesco M. Orlando (IIIN)

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MARIO CARINI

I bambini nella narrativa di fantascienza:un percorso di letture per il biennio

È noto che gli scrittori di fantascienza hanno spesso saputo anticiparela realtà, trattando di viaggi spaziali, computer, nuovi sistemi di comuni-cazione, esperimenti biologici, scoperte della medicina, etc. A livello pret-tamente sociologico, la fantascienza, in particolare quella degli anni Ses-santa, si è mostrata ancora una volta anticipatrice di certe tendenze tipichedel comportamento e della morale dell’uomo d’oggi, quando ha trattato,accogliendolo tra i temi consueti, anche quello del rapporto tra vecchie enuove generazioni, tra genitori e figli, o, in generale, tra adulti e bambini.Premettiamo che il tema dei bambini nella narrativa di fantascienza è va-stissimo, e questo lavoro, non certamente esaustivo quanto ad autori eopere citati, neppure ha la pretesa di svolgere in poche pagine una com-piuta trattazione dell’argomento. Piuttosto, attraverso i testi prescelti(tratti dalla produzione degli anni Cinquanta e Sessanta, e recuperati dallamemoria delle mie prime letture), ho voluto offrire una breve ma signifi-cativa campionatura degli aspetti peculiari di questo tema.

L’universo dei bambini, questo mondo così familiare ma per certiversi sempre sorprendente, è entrato nell’immaginario degli scrittori difantascienza offrendo lo spunto per creare trame e situazioni dotate d’in-dubbio effetto straniante: il messaggio che questi testi (risalenti peraltro adanni – gli anni Cinquanta e Sessanta – in cui fermentavano, negli StatiUniti, le mode e le tendenze che avrebbero aperto l’epoca della contesta-zione al sistema) contengono può suscitare ancora oggi nel lettore, anostro giudizio, spunti di riflessione inaspettati e talora inquietanti, se nonangosciosi. Uno su tutti, in particolare: riuscirà a reggere ancora, e se sì

Avvertenza: pubblico sull’Annuario questo testo, risalente a una quindicina di anni orsono, che ho ritrovato tra le mie carte. Sono consapevole che esso, soprattutto per quantoriguarda gli autori citati, sia inevitabilmente datato e limitato nella scelta (rispetto allastesura originale, mi sono limitato a pochi interventi nel testo e ad aggiungere qualchenota), ma spero che comunque possa riuscire di qualche utilità per i docenti di italianoche intendano costruire un percorso di narrativa sul tema del rapporto genitori-figli.Tutte le citazioni sono state da me controllate sui testi originali.

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per quanto tempo, il patto tra generazioni che è sempre stato tra gli ele-menti costitutivi del nostro vivere associati? L’insicurezza che attanaglia ilnostro vivere quotidiano, le mille e non ingiustificate apprensioni che con-dizionano la nostra esistenza e che, sfilacciando i rapporti umani in una ra-gnatela di contatti frammentati e condizionati da sospetto, diffidenza, ras-segnazione, solitudine, paura, hanno creato l’odierna “società dell’incer-tezza”, per usare la celeberrima espressione del sociologo Bauman,1 lacondizione di precarietà che domina la maggior parte delle esperienze la-vorative ed esistenziali dei giovani d’oggi, l’inarrestabile senescenza dellegenerazioni non ovviata da un necessario e salutifero ricambio generazio-nale, tutti questi fattori non potrebbero far scoppiare, magari a lungo ter-mine (se a questi si unisse anche un radicale abbassamento del tenore divita conseguente a una devastante crisi economica, le cui avvisaglie pe-raltro si cominciano già a intravedere con l’odierno e inarrestabile au-mento del prezzo del petrolio),2 le contraddizioni insite nel nostro sistemasocioeconomico? Non potrebbe perciò darsi (in questa prospettiva che,purtroppo, si tinge dei colori dell’incubo) una nuova e violenta redistribu-zione della ricchezza disponibile, compiuta non però in nome della lotta diclasse (la cui rivoluzionaria ideologia è ormai tramontata), ma in quello diuna lotta generazionale (quale, per certi aspetti, fu la contestazione del’68)? Giovani contro anziani in una feroce lotta senza pietà e senza quar-tiere, ingaggiata per la pura sopravvivenza fisica, al solo scopo di impos-sessarsi delle scarseggianti vitali risorse del pianeta: è una prospettiva da

1 Una società nella quale l’uomo, teso verso la ricerca dei piaceri, deve praticare laquotidiana convivenza con paure terrificanti: vd. Zygmunt Bauman, La società dell’in-certezza, trad. di Roberto Marchisio e Savina Neirotti, Il Mulino, Bologna 1999, pp. 61-72 e 99-106.

2 Economia in stagnazione e vertiginoso aumento del prezzo del petrolio concorronoa disegnare per il nostro Paese un futuro alquanto incerto. Al momento in cui scriviamoquesta nota, il prezzo del greggio ha toccato i 145,85 dollari al barile a New York. Sul«Corriere della Sera» del 27 giugno 2008 è peraltro riportata l’allarmante previsione delpresidente dell’Opec (l’organizzazione dei paesi produttori di petrolio), il ministro alge-rino Chakib Khelil, sul prossimo aumento del prezzo del petrolio a 170 dollari al barilegià alla fine dell’estate, su quello del 4 luglio 2008 si legge l’ancor più inquietante pro-fezia del russo Alexei Miller, presidente di Gazprom, colosso mondiale nella produzionedi gas e petrolio, per il quale il prezzo del petrolio è destinato a salire molto presto a 250dollari al barile. Vd. sul medesimo quotidiano l’analisi di Francesco Giavazzi, Il nuovoshock petrolifero, secondo il quale gli odierni aumenti del prezzo del petrolio comporte-ranno inevitabilmente un trasferimento di reddito dall’Occidente ai paesi produttori.

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incubo, che peraltro è già stata affrontata, in modo certamente più soft manon meno agghiacciante, da uno scrittore di fantascienza e horror comeRichard Matheson. Nel suo racconto L’esame (The Test, 1957), infatti, loscrittore americano immagina che la società del futuro,3 di fronte alla scar-sità delle risorse disponibili, per risolvere il problema degli anziani abbialegalizzato l’omicidio degli ultrasessantenni.4 Essi devono presentarsi ogniquinquennio in appositi Centri governativi per sostenervi esami psicofisicie di cultura generale: chi li supera guadagna cinque anni di vita (fino alsuccessivo esame), chi non li supera ha un mese di tempo per provvederealla propria eutanasia. Decorso il termine interviene lo Stato a sopprimerel’anziano che risulti abusivamente ancora in vita.

Fino a che punto l’egoismo, l’odio o l’indifferenza potrebbero so-praffare i più elementari sentimenti di affetto e solidarietà verso le per-sone care, ancorché anziane, per spingere i governanti a emanare e i cit-tadini a tollerare una siffatta legge, nella società del futuro rappresentatain questo crudele racconto da Matheson? Eppure le radici dell’odio, del-l’indifferenza e dell’insofferenza tra bambini e adulti e, quindi, del pros-simo conflitto generazionale, si avvertono in numerosi testi immaginatidagli scrittori di fantascienza, ancor prima di Matheson, e incentrati sulmondo dell’infanzia.

Due motivi saltano subito agli occhi leggendo la più parte dei rac-conti che hanno per protagonisti i bambini, in autori come Bradbury, anzi-

3 Un futuro che Matheson pone in un anno del nostro passato, ossia all’anno 2003:il Duemila, per gli scrittori di fantascienza degli anni Cinquanta e Sessanta, era l’annofatidico delle utopie e dei futuri disastri possibili. Dato che il racconto fu pubblicato nel1957, quel 2003 appariva comunque sufficientemente tranquillizzante (se quella diMatheson voleva essere una profezia, vi sarebbe stato tutto il tempo di risolvere un even-tuale problema di penuria delle risorse disponibili). Ma nel nostro paese, così come pertutto l’Occidente, oggi si pone in maniera evidente il problema dell’insufficientericambio generazionale, con la diminuzione della popolazione in età lavorativa rispettoagli anziani e l’insufficienza delle risorse economiche per garantire un trattamento pen-sionistico adeguato all’effettivo costo della vita.

4 Richard Matheson, L’esame, trad. di Carlo Fruttero, in Aa.Vv., Le meraviglie delpossibile, a cura di Sergio Solmi e Carlo Fruttero, Einaudi, Torino 1973, pp. 235-255. Perun profilo di Matheson vd. Giuseppe Lippi, L’arte dell’imprevisto, in Richard Matheson,Shock, prima parte, trad. di Giuseppe Lippi (“Millemondi” n. 27), Mondadori, Milano2000, pp. 5-18. Un omaggio a quello che considera il suo maestro è l’articolo di StephenKing, Mio padre, re dell’orrore e signore dei vampiri, in «Corriere della Sera», 1 aprile2004.

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tutto, e poi Ballard, Dick, Sturgeon, Wyndham, Kuttner, i”grandi” dellafantascienza moderna: l’alienità dei bambini, visti come creature altre ri-spetto agli adulti e chiusi, quasi, in una sorta di loro mondo agitato da pri-mitive pulsioni e angosce, un mondo da cui gli adulti stessi sono estra-niati; l’estrema vulnerabilità psicologica, intesa come capacità di rice-zione ed interiorizzazione, nel bambino, di coercizioni, repressioni,traumi provenienti dal comportamento degli adulti. E questi stimoli chegli adulti trasmettono, scontrandosi con l’innato bisogno di libertà edespressività che caratterizza il bambino, generano terribili conflitti cheesplodono in clamorosi atti di ribellione, fino alla soppressione violentadel genitore, considerato come un mortale antagonista, perché intollera-bile ostacolo alla libertà. È questo il caso di alcuni racconti in cui il temadel difficile rapporto genitori-figli è trattato assoggettandolo a un gustoche indulge al facile effetto orrorifico. Pensiamo a un testo come Il veldtdi Ray Bradbury (The Veldt, 1950), ove lo scrittore americano narra didue bambini che uccidono i loro genitori facendoli sbranare dalle imma-gini dei leoni, divenute reali, apparse sulle pareti della loro nursery. Abi-tuati a navigare virtualmente in mondi esotici proiettati sulle pareti dellacamera, che funge da sorta di schermo cinematografico integrale, i bam-bini del racconto di Bradbury mal soffrono l’ingerenza dei genitori nellaloro pratica liberatoria, e ne progettano freddamente l’assassinio serven-dosi delle immagini dei leoni nella savana, prodigiosamente (l’autore nondice come, lasciando credere all’intervento del magico, quasi i bambinifossero piccoli stregoni) trasformate in felini veri.5 Più inquietante cisembra il precedente racconto Il piccolo assassino, del medesimo autore(The Small Assassin, 1947), con l’idea che l’odio mortale del bambinoverso l’adulto covi fin dentro l’utero materno. Anche in questo caso vi èl’assassinio dei genitori, compiuto però da un neonato. Il movente? Comespiega lo scrittore, ripagarli dell’odio che hanno mostrato concependo emettendo al mondo il neonato. La nascita è, infatti, l’evento traumaticoche segna la rottura dell’armonia tra il piccolo neonato e il suo mondo in-terno, l’utero della madre, con la forzata rinuncia alla sicurezza e alla feli-cità della vita prenatale. L’esserino venuto al mondo, per usare le paroledi Bradbury, “è costretto a sgomberare, sbattuto fuori in un mondo rumo-roso, indifferente, egoista, dove gli si richiede di muoversi da solo, di cac-

5 Ray Bradbury, Il veldt, trad. di Carlo Fruttero, in Aa.Vv., Le meraviglie del possi-bile, cit., pp. 257-273.

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ciare, di nutrirsi della sua caccia, di procacciarsi un amore labile che untempo era suo diritto indiscusso, di affrontare la confusione in luogo delsilenzio intimo e del sonno ristoratore! Il neonato se ne risente!”.6

Il rovesciamento della teoria rousseauiana sulla bontà innata nelbambino è alla base del romanzo Il Signore delle Mosche (Lord of theflies, 1954)7 dello scrittore inglese e Premio Nobel per la letteratura Wil-liam Golding (1911-1993). Ambientato su una sconosciuta, lussureg-giante isola del Pacifico (una moderna versione del Paese di Cuccagna,innestata però nel contesto di una utopia negativa) nella quale ha trovatoscampo da un disastro aereo un gruppo di bambini inglesi, il romanzonarra del progressivo degenerare di questi fanciulli, educati ai rigidi ca-noni del college, in piccoli mostri sanguinari. Privi di una guida adulta, ibambini cadono preda degli istinti primordiali, allignanti al fondo dell’a-nimo umano, che, non più repressi dalle regole della civiltà, esplodonogenerando follia e distruzione. Il romanzo di Golding è, dunque, una mo-derna parabola sulla presenza del Male nell’animo umano: qui il Diavoloè espressamente richiamato dalla testa di maiale ricoperta di mosche chei bambini, abbandonati su un’isola tropicale durante un’ipotetica terzaguerra mondiale, adorano come un feticcio (l’etimologia di Belzebù èdall’ebraico Ba´al Zebub, “signore delle mosche”, a cui allude il titolo).Il messaggio del romanzo è dichiaratamente pessimistico, a mostrare lavana e ottimistica fiducia che l’uomo ripone nella Tecnica, nella raziona-lità e nell’azione civilizzatrice della educazione e della cultura: bambiniinglesi, dunque figli di una nazione tra le più civilizzate del pianeta, ab-bandonati a se stessi e privi di una guida adulta, dimenticano ben prestole regole civili, trasformandosi in orridi selvaggi, e l’isola remota, cadutasotto il controllo dei bambini, o meglio del gruppo dei cacciatori istituitodal più prepotente e animoso di essi, Jack, da luogo di un’ideale e inspe-rata vacanza diventa teatro di riti sanguinari.8

6 Trad. di Renato Prinzhofer, in Ray Bradbury, Paese d’ottobre, Editrice Nord, Mi-lano 1975, pp. 140-141.

7 William Golding, Il signore delle mosche, trad. di Filippo Donini, Mondadori,Milano 1980.

8 Potremmo ripetere, con il Ferrini, che, attraverso il suo desiderio di ribellione e il senso di onnipotenza, il bambino vuole attuare la rinascita nella natura, distruggendol’ordine preesistente (nel romanzo di Golding le regole e gli usi trasmessi dall’educa-zione): sui fanciulli nella narrativa di fantascienza vd. Franco Ferrini, Che cosa è lafantascienza, Ubaldini editore, Roma 1970, pp. 133-138.

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I bambini vogliono un mondo tutto loro e non tollerano che gliadulti vi mettano piede: un mondo regolato da norme e leggi create daibambini sull’onda della pura istintività. E come appare questo mondoagli occhi dell’adulto che, per una curiosa, fantastica combinazione,riesca ad entrarvi? Pensiamo al parco giochi della nostra infanzia, quelbellissimo territorio al di fuori di ogni ordine e regola imposti dagliadulti, ove noi bambini abbiamo creato le nostre regole per divertirci egiocare spensierati. Lo spazio anarchico, pieno di gioia e divertimento,che abbiamo scoperto, uguale e sempre diverso, da bambini, ci appari-rebbe, se lo guardassimo veramente con i nostri occhi da adulti razionalie disincantati, nient’altro che un luogo di crudeltà e supplizi. È quantoscopre il signor Charles Underhill nel racconto Il parco giochi di RayBradbury (The Playground, 1953). Underhill non è soltanto un padretroppo apprensivo, è, in realtà, un adulto che ha scoperto il vero volto diquel parco giochi, riemerso prepotentemente dagli opachi ricordi dell’in-fanzia, e ne vuole evitare al piccolo Jim, suo figlio, la terribile – ai suoiocchi di genitore – esperienza. Emblematica è la descrizione del parcogiochi, come appare agli occhi di Underhill: il concentrato delle torture esofferenze gratuite inflitte dai più grandicelli ai più piccoli. “Prima ditutto fu colpito dal suono di voci fievoli, di grida soffocate provenienti dauna serie di righe dritte e oblique, come quelle del televisore prima chelo si metta a fuoco. Poi, come se qualcuno avesse dato un calcio all’ap-parecchio, gli urli arrivarono fino a lui a pieno volume e le immagini glipervennero chiare. E vide i bambini! Correvano attraverso il prato lot-tando, azzuffandosi, graffiandosi, con tutte le loro ferite sanguinanti, osul punto di sanguinare, o già con la crosta. Una dozzina di gatti scate-nati su un mucchio di cani addormentati avrebbero fatto meno chiasso.Con incredibile chiarezza, il signor Underhill distinse ogni più piccolograffio, ogni più piccola crosta su facce e ginocchia. (…) Annusò gliodori acuti di unguenti, cerotti, canfora e mercurio cromo. Erano cosìforti che gli parve di sentirli, amarissimi, sulla lingua. Una zaffata diiodio superò d’un balzo l’inferriata del cancello il cui metallo rilucevadebolmente alla luce grigia di quel pomeriggio nuvoloso. I bambini siurtavano, cozzavano, si picchiavano senza esclusione di colpi, totaliz-zando un numero incredibile di brutalità mai viste”.9 Questo giardino

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9 Ray Bradbury, Il parco giochi, in Aa.Vv., Horroriana, a cura di Gianni Monta-nari, Mondadori, Milano 1979, p. 196.

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10 Ibid., pp. 197-198.

della crudeltà, questo luogo di supplizi e tormenti diviene agli occhi del-l’adulto Underhill il simbolo stesso dell’infanzia, con le sue inevitabilivessazioni, afflizioni e dolori: egli vede e giudica con una punta di tenerocompatimento il bimbo che è stato, e che tutti gli adulti sono stati, bimbiindifesi di fronte alle prepotenze dei più grandi (“Chi ha detto che l’in-fanzia è l’età migliore della vita? Non è affatto la migliore, è la più orri-bile, la più dolorosa, la più bestiale. Non c’è polizia a proteggerti, sol-tanto genitori preoccupati di se stessi e del loro mondo di adulti.”).10 Un-derhill è disposto a tutto pur di evitare a suo figlio le dolorose esperienzedel parco giochi: per una sorta di strano incantesimo vi riuscirà, ma alprezzo per lui terribile di tornar di nuovo bambino e di essere, in quelmedesimo parco giochi, malmenato, spintonato, ferito, pizzicato da tuttele parti, costretto a subire le torture più dolorose camuffate da piacevolipassatempi di gruppo.

Altri autori affrontano questo tema, ossia il rapporto del bambinocon il suo mondo, dilatandolo in senso grottescamente pessimistico. Lospazio attorno al bambino, quello di cui il bambino fruisce assoggettan-dolo alla sua volontà capricciosa, non è più ristretto alle dimensioni delparco giochi, ma si amplia fino a comprendere l’intero pianeta. Così, ilbambino che può impossessarsi del suo mondo, inteso come tutto lospazio esistente attorno a lui, esercita su di esso l’incosciente oppres-sione di un gigantesco, cieco tiranno: possiamo leggere questo mes-saggio, contenuto in una angosciante metafora (tale che ha fatto com-prendere il testo in varie antologie dell’orrore), nel racconto di JeromeBixby Bella vita (It’s a Good Life, 1953). In esso il piccolo Anthony, unbambino mutante nato con prodigiosi poteri soprannaturali, cancella e ri-crea la realtà con la sua straordinaria energia mentale, ma anche secondoil suo umore capriccioso, gettando nello sgomento e nel terrore la comu-nità di adulti che, unici sopravvissuti alla distruzione della Terra causataproprio da Anthony, sono costretti a usare mille cautele per vivere con luio, meglio, per sopravvivere malgrado lui. Ad esempio, un visitatoreadulto che gli è particolarmente antipatico viene immediatamentesprofondato dal bambino, con la forza del pensiero, nelle viscere dellaTerra, sotto gli occhi atterriti della moglie. Il parco giochi qui si è estesosmisuratamente fino a comprendere l’intero pianeta o la parte che neresta dopo l’istantaneo e immane cataclisma causato dal piccolo mutante,

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e gli adulti (i familiari e i vicini del bambino) sono ridotti al rango di in-sulse pedine, disperati compagni di giochi che Anthony, piccolo de-miurgo malvagio, manipola a suo piacimento, senza rendersene conto.11

Nei racconti di questo filone, dal tono più pessimistico, gli autorihanno posto in evidenza come l’incomunicabilità regni sovrana nei rap-porti tra bambini e adulti, quegli adulti che però avevano scatenato unadistruttiva guerra mondiale e poi una ancor più distruttiva (in ipotesi)corsa agli armamenti atomici, non esitando a mettere a repentaglio la vitae il futuro di generazioni di bambini in nome di una sorda e spietata con-trapposizione ideologica. Non a caso questi racconti risalgono all’epocadella seconda guerra mondiale e della successiva Guerra Fredda. In EranBirbizzi i Borogovi, della coppia di autori (e coniugi) Henry Kuttner eCatherine L. Moore (Mimsy were the Borogoves, 1943),12 due bambinitrovano casualmente strani giocattoli, provenienti dal futuro, che dannoloro la possibilità di penetrare in un universo non euclideo e di sparireper sempre: il tutto sotto gli occhi attoniti e increduli dei genitori, chenon si rendono minimamente conto di quanto stiano combinando i lorofiglioli. Il nuovo “paese delle meraviglie” (il titolo stesso rimanda al fa-moso romanzo di Lewis Carroll) è l’universo di un’altra dimensione, re-golato da leggi rigorosamente non terrestri, che inghiottirà definitiva-mente i bambini, dopo averli resi incomprensibili agli adulti. Il raccontopuò interpretarsi, a nostro giudizio, come una satira dei tanti linguaggigergali usati dai più giovani, che mutano a ogni generazione e riesconosempre più incomprensibili agli adulti (oggi, poi, ne abbiamo un diffusocampionario con i linguaggi in codice usati per comporre gli SMS), maanche come il simbolo di una estrema protesta attuata dai bambini, chescelgono di sparire da questo mondo, di fronte all’incomprensibile e tal-volta disumana violenza distruttiva degli adulti: del resto, per ricordaresoltanto la seconda guerra mondiale, quante decine di migliaia di bam-bini finirono nei forni crematori dei lager nazisti o rimasero inceneritidall’atomica sganciata su Hiroshima?

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11 Jerome Bixby, Bella vita, trad. di Vera Martini, in Aa.Vv., Racconti per le orepiccole, vol. I, Garzanti, Milano 1973.

12 Henry Kuttner - Catherine L. Moore, Eran Birbizzi i Borogovi, trad. di AntonioBellomi, in Aa.Vv., Le grandi storie della fantascienza 5, a cura di Isaac Asimov eMartin H. Greenberg, Bompiani, Milano 1991. Il curioso titolo è tratto da un nonsense diLewis Carroll, il famoso autore di Alice nel paese delle meraviglie.

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13 Ray Bradbury, Requiescat in pace, in Aa.Vv., Horroriana, cit., p. 238.14 Ray Bradbury, Vieni nella mia cantina, in Aa.Vv., Incubo, a cura di Gianni Mon-

tanari, Mondadori, Milano 1980.

È ancora Bradbury a mostrarci l’estraneità dei bambini al mondodegli adulti nonché la loro potenzialità di piccoli e crudeli perturbatoridella quiete sociale, nel racconto Requiescat in pace (Let’s play “Poison”,1947). Qui è l’istituzione educativa per eccellenza, la scuola, incarnatanell’arcigno insegnante Howard, a smascherare e denunciare il perversocomplotto dei bambini ai danni degli adulti. L’alienità dei bambini di-venta in breve l’ossessione preferita dal signor Howard, i cui sospetti ali-mentano un odio feroce e sembrano condurlo oltre il limite della psicosi(“A volte penso che i bambini siano invasori provenienti da un’altra di-mensione”, si lascia sfuggire mormorando tra sé mentre passeggia tra ibanchi dell’aula).13 Ma i piccoli e detestati allievi, prima che il maestropossa denunciare al mondo al sua terribile “scoperta”, lo attirano in untranello e, dopo averlo fatto cadere in una buca, gli rovesciano addossouna valanga di terra umida e pietrisco, seppellendolo vivo. Il giorno dopouna colata di cemento provvede a sigillare per sempre il maestro entro lasua tomba. E sulla lastra del marciapiede, che ricopre il povero maestroHoward, qualcuno incide le lettere R.I.P. (Requiescat In Pace, da cui il ti-tolo del racconto), mentre i bambini della scuola, che non si danno alcunpensiero per l’improvvisa, misteriosa scomparsa del loro maestro, vi ven-gono a giocare e a saltare, per una crudele legge del contrappasso.

Il tema della cospirazione segreta dei bambini contro gli adulti, chegrottescamente rivestono a loro volta il ruolo di bambini indifesi e al-quanto ingenui, appare anche in altri testi, connessa al classico tema del-l’invasione aliena (accennato, peraltro, nel racconto precedente). Così,Vieni nella mia cantina..., ancora di Ray Bradbury (Come into my Cellar,1963) – autore che, come si vede, ha dedicato grande spazio al tema deibambini nella sua narrativa –, ci mostra bambini che, senza farsi scopriredai genitori, coltivano funghi di origine extraterrestre: una volta ingeriti, ifunghi si impadroniscono dell’organismo umano e trasformano gli indi-vidui in automi obbedienti alla volontà degli invasori alieni.14 Una situa-zione analoga presenta il racconto Minibattaglia di Philip K. Dick (Thelittle movement, 1952): all’insaputa degli adulti, i bambini ricevono ordinida misteriosi giocattoli meccanici, che in realtà sono alieni camuffati, iquali vogliono instaurare un loro dominio sugli esseri umani. Dissimulati

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sotto l’apparenza di giochi innocenti, in tutte le case si svolgono veri epropri combattimenti tra soldatini di piombo e orsi di pezza per la con-quista del potere, mentre i bambini di volta in volta si alleano con l’una ocon l’altra parte.15

Con I figli dell’invasione, romanzo di John Wyndham (The Midwichcuckoos, 1957),16 abbiamo la migliore versione di questo tema della fan-tascienza, l’invasione del nostro pianeta attraverso i bambini. In un tran-quillo villaggio scozzese, Midwich, dopo una serie di curiosi fenomeni,tutte le donne scoprono di essere rimaste contemporaneamente incinte,anche quelle che non potrebbero diventarlo per ragioni fisiche o anagra-fiche. I bambini che di lì a poco nascono presentano tutti le medesimecaratteristiche: magri, i capelli biondi, le iridi color oro. Tutti assai pre-coci e di vivissima intelligenza, sono dotati di poteri ipnotici, possonoleggere il pensiero e comunicano tra loro telepaticamente. Sono i “figlidell’invasione”, avanguardia di una invasione extraterrestre del nostropianeta: verranno alla fine uccisi tutti, allorché l’adulto protagonista delromanzo farà saltare in aria la scuola che li ospita, e il maligno influssoche infesta il villaggio sarà debellato.

Anche Partenza domenica di Daniel F. Galouye (Deadline Sunday,1964), versione fantascientifica della leggenda del Pifferaio di Hamelin,vede i bambini in contatto con entità extraterrestri, animate, come quasisempre, da intenzioni ostili. I bambini prendono ordini da esseri invisibili,ricevono immagini di altri mondi e, all’improvviso, scompaiono contem-poraneamente da tutte le città d’America. Chi siano gli extraterrestri ve-nuti a far razzia dei bambini nel nostro pianeta, nel racconto non vienemeglio specificato. Resta la sensazione, tanto amara quanto angosciante,del rifiuto che lentamente ma inesorabilmente i bambini, in questo caso ipiccoli Baby Jean e Wally, oppongono ai tentativi di dialogo dei genitoridisperati, che non si rassegnano a perderli.17 Ma anche i genitori possonoricoprire un ruolo non certamente positivo, trasformandosi nell’Orco dellefavole. È quanto vediamo nel racconto Giuoco d’ottobre di Ray Bradbury

15 Philip K. Dick, Minibattaglia, trad. di Beata della Frattina, in Aa.Vv., Nuovestrade dell’invasione (“Urania” n. 473), Mondadori, Milano 1967.

16 John Wyndham, I figli dell’invasione, trad. di Giorgio Severi, Mondadori, Milano1973.

17 Daniel F. Galouye, Partenza domenica, trad. di Antonangelo Pinna, in Aa.Vv.,Partenza domenica e altri racconti (“Urania” n. 335), Mondadori, Milano 1965.

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(The October Game, 1957), una storia di puro orrore: nella buia cantinadella propria casa, un padre fa a pezzi la figlioletta, Marion, fingendo diammazzare una strega, durante una festicciola domestica, la sera di Hal-loween.18 Lunghi silenzi, interrotti dalla tetra voce del padre, Mich, che di-stribuisce agli altri bambini le parti del corpo della “strega”, scandiscono imomenti del macabro gioco, tra l’eccitazione dei piccoli e la curiosità di-vertita degli adulti. Ma le risa e il divertimento degli invitati si spengonosubito, quando viene accesa finalmente la luce. È una breve storia di folliae orrore in famiglia, scatenate da frustrazioni e rancori repressi per anninel capofamiglia, Mich, vittima dell’anaffettività della moglie e della fi-glia: “c’era, imprigionato in lui, un acido che lentamente aveva corrosoper anni un tessuto dopo l’altro ed ora, proprio quella sera, stava per rag-giungere il terribile esplosivo ch’era in lui, e tutto sarebbe finito!”.19

Siamo negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, ma leggendo il raccontosembra di rivedere una delle tante cronache di orrore domestico dei nostrigiorni. Un altro racconto dello scrittore di Waukegan, Saltamartino (dallaraccolta The October Country, 1955) presenta il rapporto madre-figlio neitermini di un alienante assoggettamento, dal quale il bambino può liberarsisolo con la morte della madre-carceriera: il piccolo Edwin vive segregatodalla madre in una allucinante, vastissima e labirintica casa-prigione, cheegli è stato abituato a considerare il migliore dei mondi possibili e, forse,l’unico mondo possibile, al di là del quale v’è il nulla. Tutta la vita diEdwin si svolge tra i meandri e le immense camere del palazzo, un vero eproprio mondo chiuso e separato (la casa è, infatti, circondata da un foltobosco che la separa dalle altre costruzioni), dominato dal ricordo mitizzatodella figura paterna e rigidamente regolato dalla madre, che di quell’uni-verso costituisce il centro. “Dall’alto dell’ultima rampa il suo sguardo do-minava quattro intervalli dell’universo. Le pianure della cucina, dellasala da pranzo, del salotto. I due pianori della musica, dei giochi, delle fi-gure e delle stanze chiuse a chiave, proibite. Quassù, infine, l’altopianodelle merende, delle gite avventurose e dello studio. Qui egli vagava,oziava, o si sedeva a cantare, solo soletto, delle canzoni infantili, lungo latortuosa strada fino a scuola. Questo, dunque, era l’universo. Suo padre(o Dio, come mamma lo chiamava talvolta) ne aveva innalzato in tempi

18 Ray Bradbury, Giuoco d’ottobre, trad. di Giorgio Monicelli, in Alfred Hitchcockpresenta 25 racconti del terrore vietati alla TV, Garzanti, Milano 19712.

19 Trad. di Giorgio Monicelli, cit., p. 384.

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immemorabili le montagne d’intonaco tappezzate di carta da parati. Erail Creato di quel dio-padre, in cui girando l’interruttore s’accendevano lestelle! Il sole era sua madre, sua madre il sole intorno al quale orbitavanoroteando tutti i pianeti, ed Edwin, una piccola e oscura meteora che fa-ceva la spola, girando per i tappeti scuri e attraversando le luccicantisimmetrie dello spazio. Lo si vedeva ascendere e svanire su per quellecode di cometa ch’erano gli scaloni, intento a gite o esplorazioni”.20 Lametafora “spaziale” rende assai bene il senso d’inaccessibilità agli estraneidel mondo di Edwin, la cui prigione acquista una sorta di aerea levità: è unpiccolo folletto pieno di vita e di curiosità per quel mondo che egli scopre– o, meglio, che la madre gli consente di scoprire – gradualmente, via viache passano gli anni. Potremmo pensare, applicando all’analisi del rac-conto le categorie junghiane, che la casa funga da gigantesco alveo ma-terno, che ha il compito di assicurare rifugio, protezione e benessere albambino, preservandolo dalle insidie dell’esterno ma compromettendonela crescita per l’assoluta privazione della libertà. Su tutto si erge, domina-trice incontrastata per l’assenza del padre, la figura materna (che nel rac-conto ha la doppia veste di madre e di maestra incognita, allorché, camuf-fata da un ampio mantello nero con cappuccio, dà a Edwin le lezioni mat-tutine), dispensatrice di ansioso affetto ma anche di rigide proibizioni,come il non varcare il cancello, non andare oltre il bosco, non guardare dilà dagli alberi, pena terribili castighi. Ha certamente qualcosa di oscuroquesta donna che vieta al suo bambino di crescere e fare esperienza delmondo esterno, che gli insegna come le strade siano frequentate da ferociOrchi e gli uomini rassomiglino tutti ai quadri di Picasso, siano cioè essericontorti e mostruosi. E quando la madre, come la strega nelle favole deifratelli Grimm, morirà improvvisamente (ma Edwin ignora del tutto checosa sia la morte), porterà via con sé l’incantesimo della casa e le sue proi-bizioni angoscianti. Edwin, finalmente libero di poter uscire dal tetro pa-lazzo, vedendo per la prima volta la realtà esterna fatta di uomini, animalie cose totalmente diversi dalle paurose descrizioni della madre, crederà diessere morto e ne sarà felice. Come ha ben notato il critico Claudio Fer-rari, la casa rappresenta per Bradbury “un mondo cristallizzato per inter-minabili secondi o per fulminei secoli nell’attesa fatidica di una fine o diun principio; e un’inesorabile frattura tra la piattezza di una realtà

20 Ray Bradbury, Saltamartino, trad. di Renato Prinzhofer, in Paese d’ottobre, cit.,p. 159.

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‘adulta’ e l’insondabile profondità dell’universo fantastico dei bambini,con la loro dirompente vitalità e il loro agghiacciante candore”.21 Inte-ressa inoltre rilevare che, nella dialettica vita-morte su cui si basa questoracconto, la casa di Edwin è il luogo della vita artefatta, innaturale, inibitadalla presenza materna. La morte della madre apre a Edwin, per contrasto,la porta della vita: ma egli, che è stato educato a identificare la vita esternacon la morte, non si capacita della nuova realtà che gli si presenta innanzie grottescamente scambia per morte ciò che è in realtà la vera vita. Dondeil suo finale agitarsi, correre e ridere felice gridando a perdifiato di esseremorto. Altro peculiare motivo è quello della figura materna: nella raffigu-razione di Bradbury si fondono vari motivi, quello fiabesco della strega equello junghiano della Madre.22 La Madre, regina di quel regno del-l’Ombra, simboleggia con il suo ruolo nefasto, se non la morte, un vero eproprio ostacolo nel cammino di formazione di suo figlio, che vuole te-nere legato a sé in un alienante e perverso legame di ossessività, dilatan-done all’infinito il tempo della crescita. Con la morte della madre è risoltoil rapporto madre-figlio e, insieme, dissolto il malvagio incantesimo chelegava il bambino alla casa: il piccolo, ormai libero da quella nefasta pre-senza, può assaporare finalmente la libertà.

Una trasgressione che fa assaporare la libertà è anche nel raccontoEvasione e ritorno di Theodore Sturgeon (The way home, 1953),23 in cuiil piccolo Paul Roudenbush prova a fuggire lontano da casa, illudendosidi trovare il suo destino on the road: una fuga che, però, fallisce perchétroppi sono i legami che lo trattengono al suo ambiente, mentre la pauradel futuro gli si manifesta nell’incontro con i suoi Doppi, ossia le ver-sioni di Paul adulto (il ricco imprenditore, il vagabondo, l’aviatore),24

ciascuno segnato in vario modo dal crudele destino della vita. Sicché

21 Claudio Ferrari, Gli interrogativi di Bradbury, in “La Collina”, n. 2, EditriceNord, Milano 1981, p. 51.

22 Sulla figura archetipica della Madre, i suoi aspetti psicologici e il complessomaterno del figlio vd. Carl Gustav Jung, L’archetipo della madre, trad. di Lisa Baruffi,Bollati Boringhieri editore, Torino 1990, rist., pp. 29-39.

23 Theodore Sturgeon, Evasione e ritorno, trad. di Beata della Frattina, in Aa.Vv.,Sette chiavi per l’ignoto (“Urania” n. 466), Mondadori, Milano 1967.

24 L’incontro con il Doppio, ossia con l’altro se stesso, è, com’è noto, un tema pecu-liare della narrativa fantastica, che ha interessato autori come Hoffmann e Poe: sull’argo-mento vd. Otto Rank, II doppio, trad. di Maria Grazia Cocconi Poli, SugarCo edizioni,Milano 1987.

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quando lo sceriffo della città lo trova, confessa che non stava scappando,ma ritornando a casa.

I bambini provano dunque disagio del loro stesso immaginarsi adultie, d’altra parte, sono gli adulti stessi a incutere loro terrore, perfino nel-l’ambito familiare. Il parossismo distruttivo che può imprigionare imembri della famiglia disgregata da dinamiche aggressive di violenzadevastante, è portato alle estreme conseguenze da James G. Ballard nelracconto Riunione di famiglia (The Intensive Care Unit, 1977).25 In unmondo ove i rapporti interpersonali sono stati completamente sostituiti,dalla nascita alla morte, da immagini proiettate sugli schermi televisivi(prefiguranti, nella fantasia di Ballard, l’odierna comunicazione attra-verso la Webcam), il protagonista ha l’idea di riunire, per la prima voltainsieme, i suoi familiari. Ma il contatto fisico, troppo a lungo rimandato,scatena le pulsioni aggressive dei singoli componenti di quella che sol-tanto al riparo ingannevole degli schermi visivi è apparsa come una fa-miglia felice e tranquilla: il risultato è una feroce e sanguinosa lottacorpo a corpo tra padre, madre, fratellino e sorellina, ripresi nei loro reci-proci assalti da una videocamera. Sarà questo nel futuro il modo di mani-festare il più forte dei sentimenti che legano la famiglia, ossia l’amore?

Non sempre, però, gli autori di fantascienza tratteggiano quadri cosìfoschi e desolati dei rapporti tra genitori e figli: qualche racconto lasciaspazio alla dolcezza, alla speranza o, più suggestivamente, alla poesia.Solo una madre di Judith Merrill (That only a mother, 1948) è una deli-cata storia di amore materno.26 Lei, Maggie, scrive felicissima al maritoHank, tecnico in una base militare americana all’estero, dei progressi for-midabili della loro piccola Henrietta, l’ultima nata: è graziosa, paffuta,sana e a sette mesi sa già parlare e cantare. Purtroppo è il marito a doverscoprire, al suo ritorno a casa, che la bambina è completamente priva diarti. Il delicato e commovente ritratto della donna, che fino all’ultimonon vuole accorgersi delle malformazioni della figlia e crea un suomondo immaginario e idilliaco, ha per sfondo il tema della paura dell’o-locausto nucleare (il racconto fu scritto all’indomani del bombardamentodi Hiroshima e Nagasaki, quando ormai erano stati studiati gli effetti

25 James G. Ballard, Riunione di famiglia, trad. di Giuseppe Lippi, in Mitologie delfuturo prossimo (“Urania” n. 976), Mondadori, Milano 1984.

26 Judith Merrill, Solo una madre, trad. di Paolo Busnelli, in “Robot”, nn. 28/29, Ar-menia editore, Milano 1978.

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delle radiazioni). Nel mondo immaginato dalla Merrill, per gran partecontaminato dalle radiazioni atomiche, sono aumentati a dismisura i casidi malformazioni e mutazioni genetiche: pur colpiti dalla deformità dellapiccola neonata, che comunque accettano per la forza del loro amore (èquesto il messaggio del racconto, che solo a prima vista può apparire ci-nico), in fondo i genitori di Henrietta, che pure ha una intelligenza preco-cissima, possono ritenersi fortunati.

Ne Il razzo di Ray Bradbury (The Rocket, 1951) il protagonista è unitaloamericano del futuro, che vive in un’America ove i ricchi possonoviaggiare con ogni comodità nello spazio.27 Fiorello Bodoni, per il qualel’american dream è rimasto soltanto un sogno, ha anch’egli una segreta,grande ambizione: far volare i suoi figli nello spazio, come i figli deiricchi. Purtroppo l’uomo ricco non è e non può permettersi il costosis-simo viaggio. Allora ha un’idea: regalerà ai suoi figli un viaggio virtuale,ma senza che se ne accorgano. Costruisce quindi nel cortile di casa, utiliz-zando vecchi rottami, il modello di un razzo e, adattandovi proiettori didocumentari spaziali e trucchi ingegnosi, riesce a dare l’impressione aisuoi ingenui ed entusiasti figli che il razzo sia vero.Ovviamente il razzo diBodoni non si solleverà da terra, ma l’illusione del viaggio spaziale creatadall’uomo sarà così perfetta, che i suoi bambini crederanno per sempre diaver viaggiato tra i pianeti. Il falso universo fantastico, costruito dall’abi-lissimo Bodoni, assicura così indelebili momenti di emozione e di felicitàai suoi figli e fa rinnovare all’uomo la stima e l’affetto, anche della mo-glie che aveva giudicato con scetticismo l’impresa del marito.

Un delicato ritratto della psicologia infantile è dato da FrancescaMarques con il brevissimo ma denso racconto Michael (Michael, 1973).28

Il piccolo Michael, un bambino ritardato, sente ogni notte le “voci” prove-nienti dal cielo parlargli di un mondo bellissimo, ove potrà divertirsi edessere felice. Lo dice alla sua amica Christie e le promette di portarla viacon sé, quando la “stella blu” atterrerà nel giardino. Ma Christie ode ungiorno la mamma di Michael, disperata, dire a sua madre che ha deciso diricoverare il bambino in una clinica specializzata. Una notte il bambinoannuncia a Christie che “quelli” sono arrivati e perciò deve partire con

27 Ray Bradbury, Il razzo, trad. di Ludovica Fratus De Balestrini, in Il gioco deipianeti, Rizzoli, Milano 1979.

28 Francesca Marques, Michael, trad. di Arianna Livenzev, in Aa.Vv., Il megliodella fantascienza, a cura di Franco Enna, vol.II, Longanesi & C., Milano 1973.

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loro, sulla stella blu: purtroppo c’è posto per lui solo, ma un giorno tor-nerà a prendere anche Christie. Il giorno dopo la mamma dice a Christieche degli uomini sono venuti a prendere Michael per portarlo all’ospe-dale: ma Christie tra sé e sé sorride. “Lei sapeva che Michael era andatovia con la stella blu, diretto verso un mondo lontano dove i bambini sfor-tunati non lo erano più. Un giorno sarebbe tornato a prenderla”.29 Comesi vede, si tratta di una poetica variazione sul tema del bambino rapitodagli alieni, sviluppata in chiave psicologica. La Marques riesce a fonderecon intensa suggestione emotiva l’antitesi mondo degli adulti – mondodei bambini con il mistero dell’altrove, reale o immaginario, del piccoloMichael, per dirci, in fondo, che un bambino, assai più di un adulto, puòguardare con occhi infinitamente saggi e sereni, e perfino curiosi, ad espe-rienze certamente crude (e non sempre accettate dagli adulti) come la ma-lattia o la morte. In fondo il piccolo Michael non si comporta diversa-mente dal suo coetaneo Edwin nel racconto Saltamartino di Bradbury: en-trambi chiusi in un loro mondo immaginato più che vissuto, ma pieni diuna gioia di vivere e di una speranza di felicità da non temere neppure lamorte, se morte può essere la scoperta dell’ignoto al di fuori di noi.

Le indicazioni di lettura fornite in questo lavoro possono essere uti-lizzate dai docenti per conseguire i seguenti obiettivi didattici:

• miglioramento delle capacità espressive ed espositive;• conoscenza delle problematiche del rapporto genitori-figli;• svolgimento del tema rapporto bambini-adulti negli scrittori di

fantascienza (anche diversi da quelli citati);• conoscenza di elementi narratologici: lo straniamento e il rove-

sciamento del punto di vista;• produzione di testi narrativi (brevi racconti), svolti secondo molte-

plici e diversi punti di osservazione: ad esempio, una vicenda fa-miliare può essere narrata dal punto di vista del genitore, del bam-bino, del parente coinvolto, di un conoscente, di un testimone delfatto, etc.;

29 Trad. di Arianna Livenzev, cit., p. 153.

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• ricerche e approfondimenti sul genere della fantascienza e del fan-tasy (con eventuale lettura di brani tratti da romanzi che abbianoper protagonisti i bambini: ad esempio La bussola d’oro, Le cro-nache di Narnia, etc.);

• conoscenza dei procedimenti di adattamento di alcuni dei testinarrativi sopra citati per il grande schermo: si pensi, ad esempio,alle omonime versioni cinematografiche del romanzo Il signoredelle mosche di William Golding, dirette da Peter Brook (1963) eda Harry Hook (1990).

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MARIO CARINI

Ricordi di Libia1

Ricordare la mia prima esperienza di insegnante, ancor oggi suscitain me sensazioni belle e strane, perché non è un fatto comune per un neo-laureato accettare, come primo incarico, una cattedra in un paese stra-niero, passando improvvisamente dalla biblioteca dell’Istituto di Filo-logia Classica2 a una scuola italiana all’estero, e per di più in un estero“difficile” com’era, allora, la Libia. Posso dire, senza timore di esage-rare, che il biennio 1982-1983 e 1983-1984 trascorso al Liceo Scientifico“Al Maziri” della Comunità italiana di Tripoli è stata la mia SSIS (aparte l’anno di formazione, per l’immissione in ruolo, che sostenni suc-cessivamente al concorso a cattedre). Lì, in quella scuola sita a centinaiadi chilometri dall’Italia, ho in effetti imparato l’abbiccì del mestiere diinsegnante, a cominciare dalla compilazione del registro.

Ero stato selezionato, dietro segnalazione dell’Istituto di FilologiaClassica (presso il quale mi ero laureato), dal prof. Luigi Giannaccari, expreside nei licei classici (è stato anche preside del Liceo Orazio), cultoredi antichità classiche3 e consulente della sezione docenti dell’ENI Persest(personale estero). Partii con molte perplessità e paure (devo dire che fumia madre a spingermi ad accettare questo incarico, desiderando proba-bilmente per suo figlio un’esperienza che lo rendesse più sicuro e ma-turo) nonostante le ampie rassicurazioni ricevute da parte dei dirigentiENI, ad anno scolastico ormai iniziato (metà ottobre), per sostituire invia di emergenza un docente che aveva sofferto di insuperati problemi diadattamento all’ambiente libico ed era stato prontamente rimpatriato.

1 Esprimo la mia più viva gratitudine alla prof.ssa Anna Maria Robustelli che con pa-zienza e cortesia ha letto buona parte del testo dispensandomi numerosi e preziosi consigli.

2 Presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.3 Vorrei ricordare del compianto prof. Luigi Giannaccari, al quale riservo un affet-

tuoso e grato ricordo per i preziosi consigli che paternamente mi elargì durante la diffi-cile permanenza in Libia, l’antologia di scrittori greci per il ginnasio Μονιμον μετρον(con A. Bruzzone, Loffredo editore, Napoli 19762) e la traduzione dell’orazione cicero-niana Pro L. Flacco, apparsa nella prestigiosa collana Tutte le opere di Cicerone delCentro di Studi Ciceroniani (vol. 5, Mondadori, Milano 1967).

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Ebbi, all’inizio, un’accoglienza veramente singolare. Quando misipiedi all’aeroporto di Tripoli, alla dogana la guardia aprì una delle mievaligie e la gettò bruscamente in terra, facendomi segno di seguirlo alposto di polizia, dove venni trattenuto (siccome parlavano in arabo,questo lo capii dopo) per aver importato materiale sovversivo e proibito.E cos’era questo “materiale sovversivo”? Nient’altro che i testi che midovevano servire per l’insegnamento di italiano e latino e che mi eroportato dall’Italia, fra cui il manuale L’attività letteraria in Italia di Giu-seppe Petronio, l’antologia in tre volumi Gli autori della letteratura ita-liana di Mario Pazzaglia, il Paradiso di Dante nell’edizione commentatadi Natalino Sapegno, la Storia della letteratura latina di Ettore Paratoree altri testi di classici italiani e latini. Per fortuna fui presto rilasciato,perché intervenne il preside della scuola, che era in aeroporto ad atten-dermi, il quale spiegò la situazione e convinse i funzionari di polizia cheero, come infatti ero, un docente e non un agente controrivoluzionario ouna spia degli americani. Dovetti comunque procurarmi una carta d’i-dentità dell’anagrafe libica, scritta rigorosamente in arabo, e sottopormi auna schermografia presso un centro sanitario, com’era obbligatorio pertutti i lavoratori stranieri.

All’inizio mi sembrò di vivere un’esperienza inimmaginabile, tro-vandomi all’improvviso immerso in un clima tra Casablanca e Il terzouomo. Gia all’aeroporto il preside della scuola, prof. Giuseppe AronneCicchini (inviato dal Ministero degli Esteri), e il prof. Attilio Coppola,docente di italiano e latino al liceo, mi avevano raccomandato, presen-tandomi la situazione locale, prudenza e discrezione assolute: eravamotutti discretamente ma rigorosamente sorvegliati, in quanto occidentali eitaliani, dunque legati agli USA per via della NATO e amici di Israele(colpe imperdonabili per il regime tripolino, secondo la linea politica diquegli anni).4 In Libia, allora, non era permesso l’ingresso agli stranierise non a quelli con regolare contratto di lavoro già firmato nel proprioPaese d’origine. Non era ancora diffuso il visto turistico, e d’altra partela politica del colonnello Gheddafi allora inclinava vistosamente (e peri-colosamente) verso i movimenti di lotta e di liberazione (cioè antigover-

4 Una linea politica, mi permetto di giudicare, chiara all’apparenza ma ambiguanella sostanza, perché USA, Inghilterra, Germania e Italia, i Paesi occidentali più colpitidalla propaganda del colonnello Gheddafi, erano quelli con cui il regime di Tripoli rea-lizzava gli affari più lucrosi, soprattutto in quanto grande fornitore di petrolio.

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nativi) di ogni Paese e latitudine. Erano, del resto, gli anni in cui, in Eu-ropa e anche in Italia, si viveva nell’ossessione che dietro ogni malefattaci fosse lo zampino della CIA. Figurarsi in Libia, quindi, dove la politicaufficiale del governo era terzomondista, antiamericana e antisionista (o,meglio, contro Israele tout court).

Le avvertenze che mi vennero abbondantemente indirizzate signifi-cavano, anzitutto, evitare di usare la macchina fotografica, limitare almassimo i rapporti con i locali, che potevano essere informatori della po-lizia, e avere come punti di riferimento essenzialmente gli italiani dellacomunità. Compresi che avrei avuto poche possibilità di conoscere ap-pieno la realtà libica, nei suoi aspetti culturali e sociali, al di là dei risul-tati propagandistici esaltati dal regime. Vi era poi la barriera linguisticadell’arabo, anche se l’italiano, parlato soprattutto dai più anziani, eramolto diffuso e quindi non era difficile farsi capire.

Tripoli mi apparve comunque una città popolosa ma al contemposoffocata da una plumbea cappa poliziesca. Gli edifici erano di due tipi: ivecchi palazzi coloniali, dall’inconfondibile architettura razionalista ti-pica del Ventennio fascista, e i moderni grattacieli del centro. I negozierano piuttosto modesti ed esponevano un ridotto numero di articoli (l’e-conomia era pianificata dallo stato, e la conseguenza era che le merci invendita, di qualsiasi genere, erano poche e invariabilmente le stesse). Lefacciate delle case e le vie erano spesso adorne di lunghi festoni di lam-padine multicolori che la sera venivano accese ed erano decorate diverde (il colore ufficiale, quello della bandiera della Libia). Per le viecamminavano uomini in fez avvolti in neri barracani, docilmente seguitidalle loro donne tutte velate. Sulle strade sfrecciavano grosse macchineMercedes, Ford e Volvo (l’importazione di auto straniere era, allora, unadelle voci maggiori dell’economia libica), segno che il tenore di vita eraelevato, rispetto alla media dei Paesi africani (altro segno era dato dalnumero dei negozi di elettrodomestici e articoli hi-fi).

Per quanto riguarda la scuola, il Liceo Scientifico “Al Maziri” dellaComunità italiana di Tripoli, legalmente riconosciuto, sito in Shara Za-viet El Dahmani, n. 8, era una palazzina bianca dalle finestre marrone, vi-cino al centro, col portoncino di legno che portava i segni delle pietreche vi venivano lanciate contro, soprattutto la notte. La scuola compren-deva elementari, medie e liceo scientifico (4 anni). Era diretta, per le atti-vità didattiche, congiuntamente da un direttore libico e da un preside in-caricato inviato dal Ministero degli Affari Esteri (l’amministrazione e la

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contabilità erano invece controllate da un Comitato Gestore compostodai dirigenti delle società italiane operanti in Libia, le quali contribui-vano al mantenimento della scuola). In quel tempo il preside era il prof.Giuseppe Aronne Cicchini (che qualche anno dopo passò a dirigere ilLiceo italiano di Atene). A proposito del preside della scuola, rimane perme una figura indimenticabile. Di origine abruzzese, già docente di peda-gogia e filosofia, appariva all’inizio forse un po’ ruvido, ma sapeva es-sere cordiale e molto simpatico, riuscendo a mascherare assai bene le in-finite preoccupazioni che gli dava la direzione di una scuola italiana inun Paese che, oltre a essere retto sostanzialmente da una dittatura (spac-ciata per democrazia “autentica”), era soggetto per volontà del governo auna fastidiosa propaganda antitaliana. Dirigeva la scuola con grande effi-cienza, risolvendo con paziente sagacia e incredibile inventiva le milledifficoltà che la gestione gli presentava ogni giorno, a partire dai proble-matici rapporti con il direttore del Ministero dell’Educazione libico e leautorità locali in genere. Con il cappello di feltro calato sugli occhialifumé e il bavero del trench bianco rialzato quasi a coprire la metà infe-riore del volto, il preside Cicchini sembrava davvero uscito da un ro-manzo di spionaggio alla Eric Ambler. Eppure fu lui a seguirmi paziente-mente nella mia prima esperienza di insegnante, dandomi, grazie alle suequalità di esperto pedagogista, numerosissimi consigli e indicazioni (dacome si compilano i registri al rapporto con gli allievi), di cui poi hofatto ampiamente tesoro.

Dei colleghi della scuola ricordo il prof. Attilio Coppola (italiano elatino), la prof.ssa Carla Messana (storia e filosofia), residente a Tripolida molti anni ed espertissima di lingua e cultura araba, il prof. GiulianoBiasiotto (matematica e fisica) di Treviso, del Ministero degli AffariEsteri, l’arch. prof. Amedeo Marchetti Dori (matematica), la prof.ssa Fa-rida Coobar, egiziana, docente di lingua francese, il prof. Atom Pietri do-cente di scienze e chimica (nomina sunt omina) e consulente del Mini-stero dell’Agricoltura libico, il direttore didattico dell’annessa scuola ele-mentare Bazzano, perfetto conoscitore, fra l’altro, dell’arabo e dei dia-letti libici. Tutti colleghi molto competenti, umanamente aperti, e soprat-tutto animati da straordinaria passione e senso del sacrificio, dovendo la-vorare con scarsi sussidi didattici e facendo i conti giornalmente con dif-ficoltà d’ogni genere. Il segretario della scuola era il libico Fathi Bechir,grasso e gioviale, a cui ci rivolgevamo per qualsiasi documento (seppipoi che faceva parte della polizia, ma ciononostante era cordiale e ami-

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chevole: ricordo che un giorno volle invitarmi a casa sua e, nell’occa-sione, mi presentò la famiglia, ossia la moglie e la figlioletta, entrambealquanto corpulente così come il rispettivo marito e padre), il custode so-malo, Jibril (Gabriele), piccolo, grassottello e assai simpatico. Ma gestidi simpatia li ricevetti anche dai colleghi: ricordo che mi aiutaronomolto, dispensando a me, assai più giovane e inesperto (intraprendevo ilmio “noviziato” scolastico in un Paese estero non semplice per com-piervi la prima esperienza), preziosi consigli e fornendomi testi ulterioriper l’insegnamento, il prof. Coppola e la prof.ssa Messana, mentre laprof.ssa Coobar mi portò da Parigi alcuni classici latini della collezionedelle Belles Lettres, come il De finibus bonorum et malorum di Ciceronee l’Apologeticum di Tertulliano (squisita cortesia per la quale le resto an-cora grato).

Il direttore libico della scuola dirigeva ufficialmente l’istituto, mararamente era presente in sede. A proposito di questo signore ricordo unaparticolare imbarazzante situazione nella quale mi venni a trovare:quando gli dovetti fare visita assieme al preside, egli, nel mezzo dellaconversazione, cominciò a esaltare le doti di Mussolini scrittore, riferen-dosi al suo libro Parlo con Bruno, che aveva appena letto. Era forse unmodo per capire le mie idee politiche? E che avrei potuto dire a miavolta, sapendo che il regime celebrava la fine del “crudele dominio deifascisti italiani” sul Paese? Per fortuna intervenne il preside che, con ac-cortezza, sviò la conversazione su temi politicamente meno pericolosi.

Gli studenti che mi furono assegnati, come tutti quelli della scuola,erano i figli del personale diplomatico e consolare di Tripoli e i figli deidipendenti delle molte società italiane che operavano in Libia (AGIP,Snamprogetti, FIAT, Montubi, Techint, etc.). Avevo classi molto ridottedi numero, dato che gli alunni, per le necessità lavorative dei loro padri,si spostavano ogni anno da un estero all’altro e raramente terminavano ilciclo scolastico in uno stesso luogo (il primo anno ebbi come alunnoanche il figlio dell’ambasciatore, un giovane molto intelligente e volen-teroso nonché perfetto poliglotta in inglese, francese, tedesco e arabo).Rispetto agli alunni delle scuole italiane (come ho avuto modo di osser-vare poi) quelli della scuola di Tripoli mi sembravano certamente piùvivi e perspicaci, più ricchi di esperienza internazionale e provetti cono-scitori delle lingue straniere fin dalla più piccola età (in genere, molti diloro, dopo la maturità, partivano per frequentare le università in Inghil-terra o negli Stati Uniti). Erano assai interessati verso le materie, incurio-

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siti verso gli argomenti che spiegavo, direi “affamati” di cultura e distoria del nostro Paese: purtroppo, però, avevamo ben pochi strumenticon cui saziare il loro naturale desiderio di conoscere e approfondire(basti dire che la biblioteca scolastica era davvero ridotta ai minimi ter-mini ed era difficile farsi mandare libri dall’Italia, perché rischiavano diessere trattenuti all’aeroporto) e ciò li portava, talvolta ma non rara-mente, a una sorta di triste rassegnazione, che scadeva nell’apatia e unpo’ nel disimpegno. E io ero più triste di loro, anche perché tenevo a farbella figura ma, giovane e inesperto com’ero, non trovavo il modo di ri-spondere pienamente alle loro domande di ricerca e approfondimento(l’unico modo che avevo trovato, data l’impossibilità pratica di accederealle biblioteche libiche, era quello di tornare ogni volta dall’Italia con va-ligie piene di libri, riuscendo a passare alla dogana grazie all’interessa-mento del preside). Sicché succedeva che, quando vedevano in certi mo-menti una mia stanchezza, erano i miei stessi studenti che con un sorrisoe una battuta mi risollevavano il morale, rendendomi l’impegno menospiacevole. Ma l’attività didattica, in un clima dominato dal timore per levoci di ogni genere che abitualmente circolavano e talvolta dalle ten-sioni, era davvero un sollievo per la mente e per lo spirito.

Ricordo che il primo anno abitai in una villetta nei pressi di Garga-resh, un sobborgo distante sette chilometri a ovest di Tripoli, assieme alprof. Giuliano Biasiotto, docente inviato dal Ministero degli AffariEsteri. Ogni mattina passava il pulmino della scuola a prendere noi e glialtri docenti e alunni che abitavano nella zona. Qualche volta mi accom-pagnava a casa il preside stesso, a bordo della sua bella e nuovissimaPeugeot verde, targata Escursionisti Esteri (che qualche teppistello localenon mancava di rigargli, provocandogli ovviamente giustificati accessi dirabbia). Con il collega Biasiotto trascorremmo il primo anno abbastanzabene, adattandoci a una convivenza forzata ma nel complesso sopporta-bile. Era un ottimo docente, che pensava spesso con triste nostalgia allasua famiglia (la moglie e due bambine), lasciata in Italia, a Treviso. Lafece venire l’anno successivo, ma dovette affrontare, temo, ulteriori eseri problemi per il loro adattamento. Il secondo anno fui trasferito allaGuest House, il residence per il personale AGIP N.A.M.E., sito ad AbuSatta, un borgo ad est di Tripoli, e familiarmente chiamato Busetta. Il re-sidence comprendeva anche un ippodromo perfettamente attrezzato, coni cavalli lasciati in libertà sul prato e sulla pista. L’ospitalità era davveroeccellente (la cucina era, per quanto possibile, italiana), gli svaghi non

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mancavano (il biliardo, la televisione e la proiezione di un film in video-cassetta dopo cena; chi voleva poteva fare ginnastica e corsa sulla pistadell’ippodromo), anche se eravamo ubicati vicino a una caserma e il di-rettore del residence ci raccomandava di non usare macchine fotogra-fiche. Alla Busetta, ove alloggiava anche il preside, feci amicizia con tec-nici e dipendenti della società. Tempo libero praticamente non ne avevo,dovendo correggere i compiti e prepararmi per le lezioni. Il giorno fe-stivo (che era il venerdì, come in tutti i paesi musulmani) ne approfittavoper visitare, assieme agli amici della Busetta, ai colleghi della scuola o alpreside, qualche località vicino Tripoli o la città stessa, che però nonaveva, allora, molto da offrire. Prendevo la corriera e giravo per le vie diTripoli, osservando i palazzi del centro, risalenti all’epoca coloniale, ilcui marmo bianco era stato in buona parte ornato con scritte verdi (in ge-nere inneggianti alla lotta contro i soliti “imperialisti americani” e il“grande satana” Israele o esaltanti le conquiste sociali conseguite sotto laguida del leader della Rivoluzione Verde) o dipinto col verde tout court,il colore ufficiale della Libia. Il grande ufficio postale era quello co-struito dagli italiani, la Cattedrale era stata trasformata in moschea. Lapiazza principale della città era la Piazza Verde (l’ex Piazza del Ca-stello), così chiamata perché l’asfalto era stato tinto di verde: in essa siriuniva la popolazione per ascoltare gli infiammati discorsi del Leader(un po’ come le adunate oceaniche di Piazza Venezia ai tempi del Duce).Sulla piazza si affacciava l’antico Castello (es-Serái), dalle possentimura merlate, con il museo archeologico comprendente, fra l’altro, unainteressantissima collezione di statue greche e romane. I bellissimi lun-gomare dell’epoca italiana, il lungomare della Vittoria, il lungomare deiBastioni, il lungomare Conte Volpi e il lungomare Belvedere, non c’e-rano più: erano stati sostituiti da banchine e moli che servivano comeistallazioni portuali militari, ove talvolta vedevo attraccate navi da guerrae anche sottomarini. Ricordo anche che l’arteria principale della città,Shara Omar El Moukhtar, era intitolata al leggendario capo della resi-stenza libica fatto impiccare dal generale Rodolfo Graziani nel 19315 (ilche la dice lunga sul ruolo che ha rivestito l’Italia nei confronti di questo

5 Di fronte ai militari italiani che lo giudicavano e che lo avrebbero condannato amorte, lo sceicco Omar El Moukhtar mantenne un atteggiamento calmo e fiero, comemostra il verbale dell’interrogatorio leggibile in Arrigo Petacco, Storia del Fascismo,vol. 2°, Armando Curcio Editore, Roma 1982, p. 713.

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Paese, secondo la lettura della storia fatta dall’attuale regime).6 In propo-sito, tra i pochi film che in quel periodo ho visto (non andavo al cinema,anche perché i film che venivano proiettati nelle poche sale cinematogra-fiche erano in lingua araba), ricordo Il leone del deserto, mai (per quelche mi risulta) distribuito in Italia, sulle gesta del condottiero libicoOmar El Moukhtar, interpretato da Anthony Quinn. Il film non è maiuscito in Italia, forse perché è uno dei pochi in cui gli italiani non fannouna bella figura, ma appaiono malvagi e stupidi come i nazisti nelle pel-licole di guerra degli anni Cinquanta e Sessanta.

Solo in apparenza, però, il clima era minaccioso, poi ci si faceval’abitudine, e anzi si potevano apprezzare le poche piacevolezze del

6 Per dare un’idea del giudizio sull’Italia cito testualmente da un libro (che ho portatocon me in Italia) allora molto diffuso a Tripoli, del Dr. Henri Habib, Libya Past and Pre-sent, Edam Publishing House, Malta 19813, alla p. 50: The shaky Tripolitanian Republiccollapsed in 1923, and a general revolt spread throughout the whole regions of Libya.Count Giuseppi Volpe (ossia Giuseppe Volpi di Misurata, governatore generale della Tri-politania dal 1921 al 1925), as well as Badoglio and Graziani became known for the ruth-less suppression of Libyan resistance to Italian domination. No one, women and childrenincluded, was spared brutal Italian terrorism and suppression. Va anche ricordato che il 7ottobre si celebra in Libia il giorno della cacciata dei “fascisti italiani”, ossia dei lavoratoriitaliani che dovettero patire l’espulsione assieme alle loro famiglie e l’esproprio di ognibene, senza indennizzo, il 7 ottobre 1970. Se il giudizio complessivo sulla presenza ita-liana in Libia spetta agli storici, va però anche detto che la nostra colonizzazione, la qualeindubbiamente portò un fondamentale contributo allo sviluppo del Paese (in termini diabitazioni, strade e ferrovie, uffici postali, scuole, ospedali, impianti per l’acqua potabile,coltivazioni, attività industriali, etc.), ebbe a registrare pagine nere di feroce crudeltà. De-cine di migliaia di morti, tra fucilati, impiccati e deportati, costarono ai resistenti libici ledurissime repressioni dei militari italiani, soprattutto quelle ordinate da Badoglio e Gra-ziani negli anni Trenta: la campagna di Graziani fu basata sul concetto che la “civiltà diRoma” andava imposta distruggendo fisicamente gli avversari e il generale giustificò l’usodel terrore indiscriminato richiamandosi al Machiavelli (vd., sull’operato di Graziani inLibia, Arrigo Petacco, Storia del Fascismo, vol. 2°, cit., pp. 710-714). Sui massacri indi-scriminati che accompagnarono la presenza italiana in Libia abbiamo ora la preziosa testi-monianza di Mohamed Fekini, capo della tribù dei Rogebàn e leader dei patrioti libici,pubblicata nel saggio di Angelo Del Boca, A un passo dalla forca.Atrocità e infamie del-l’occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota Mohamed Fekini, BaldiniCastoldi Dalai, Milano 2008. La brutalità della dominazione italiana in Libia era però giàstata denunciata nel resoconto del giornalista danese Knud Holmboe (1902-1931), conver-tito all’Islam, che volle affrontare un rischioso viaggio in automobile in Tripolitania eCirenaica, e finì per soggiornare nelle prigioni di Bengasi: l’edizione italiana delle suememorie (Örkenen brænder) è stata pubblicata da Longanesi nel 2005 (Knud Holmboe,Incontro nel deserto, trad. di Eva Kampmann, Longanesi & C., Milano 2005).

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posto, come l’ottima cucina araba. Ho potuto, fra l’altro, apprezzare, neiristoranti locali, un ottimo couscous di verdure (ceci, pomodori sott’olio,peperoncino, patate, zucchine, con semola di grano duro) e carne diharûf (agnello), e la shorba, una minestra di carne, ceci, semola, menta epeperoncino.

Che altro aggiungere a questi ricordi? Amici libici non volli o nonpotei farmene, dato che, come ho detto, continui erano gli inviti, per noistranieri e italiani, a fare attenzione nei contatti con i locali, anche perchiedere semplici informazioni. Del resto, al personale dell’ENI in mis-sione in Libia veniva fornito un libretto di istruzioni con tutte le informa-zioni essenziali per soggiornare in quel paese.7 Quindi i rapporti rimane-vano limitati ai semplici saluti del tipo s.bah. el-he//r (buongiorno) e imässî-k bil-he//r (buonasera), mentre il se+lâm halê-kum era evitato perché esclu-sivo dei musulmani. Dell’arabo studiai quel tanto che mi servì per orien-tarmi su una carta geografica o sulla mappa della città o per leggere le in-segne di cartelli stradali e negozi. Se lo avessi studiato più a fondo, forseavrei avuto qualche problema in più. In quanto stranieri e occidentali, ri-peto, eravamo tutti sottoposti a una discreta ma continua sorveglianza.Se avessi parlato a lungo con un libico, magari gli fossi divenuto amico,questi certamente avrebbe avuto noie con la polizia, e anch’io. Tutto eradunque organizzato, anche dalle stesse società che portavano i loro di-pendenti a lavorare in Libia, per ridurre al minimo i contatti con i locali.La conseguenza era che naturalmente si sviluppavano legami di amiciziae solidarietà tra gli italiani, che formavano perciò, come peraltro spessoavviene in simili contesti di estero, una comunità chiusa e difficilmentepermeabile dall’esterno.

Tuttavia, pur vivendo essenzialmente dentro la comunità italiana,potei conoscere, sia pur superficialmente, la realtà del popolo libico. Eanzitutto mi resi conto che esso non era libero, checché raccontasse lapropaganda: non v’erano partiti di opposizione, anzi non vi erano affattopartiti nel sistema politico instaurato dal regime del leader Gheddafi, lecui idee erano raccolte nel Libro Verde (per cui la base del potere risiedenei Comitati Popolari, che ricordano vagamente le corporazioni di me-moria fascista e si riuniscono periodicamente nel Congresso Generale del

7 AGIP N.A.M.E. (North Africa & Middle East) Libyan Branch, Tripoli (Represen-tative Second Party), Note per il personale in missione o in contratto in Libia, marzo1982.

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Popolo, dotato di potere legislativo).8 Naturalmente vigeva la censura nelpaese: me ne accorgevo perché i giornali italiani, che pure arrivavanonelle edicole di Tripoli, erano provvisti di ampie “finestre” e “occhielli”:ossia le pagine spesso erano tagliate a metà o traforate, poiché la censuraprovvedeva a espungere articoli e immagini non graditi al regime.Sicché, aprendo il “Corriere della Sera” o “Panorama” o “L’Espresso”spesso trovavo ampie “finestre” nelle pagine. Confrontando, dopo essererientrato in Italia, i numeri originali, mi accorgevo che sotto l’occhio delregime cadevano non solo gli articoli strettamente riferiti alla Libia maanche quelli di politica internazionale (relativi soprattutto agli Stati Unitie a Israele, le cui informazioni dovevano essere preventivamente appro-vate prima della pubblicazione).

Del resto, erano, quelli, gli anni in cui il regime aveva stretto i freni,limitando la libertà dei cittadini, e si stava avventurando in una serie diiniziative internazionali pericolose e alquanto destabilizzanti per la pacenel Mediterraneo. Il 1° agosto 1984, infatti, dopo una martellante e ag-gressiva propaganda di regime, i Mig libici avevano bombardato l’oasi diFaya-Largeau in Ciad, appoggiando i ribelli antigovernativi. La Franciaera intervenuta inviando suoi aerei per arrestare le incursioni dell’avia-zione libica. Vi erano stati scontri sanguinosi, con perdite soprattutto peri libici, che si erano dovuti ritirare dal Ciad. Le notizie sul Ciad furono

8 Tra i principi basilari elencati nel Libro Verde, che enuncia la dottrina di Gheddafiossia la “Terza Teoria Universale” (implicante il superamento sia del capitalismo sia delcomunismo), vi sono l’assoluto rifiuto della rappresentanza parlamentare e la concezionedei congressi popolari quale unico mezzo per realizzare una compiuta democrazia. Ci-tiamo, per il primo principio, Moammar El Gheddafi, Il Libro Verde, trad. it., SocietàItalo Araba Editoriale, Roma s.d., pp. 12-13: “I parlamenti sono la spina dorsale dellademocrazia tradizionale moderna, regnante oggi sul mondo. Il parlamento è una rappre-sentanza ingannatrice del popolo ed i sistemi parlamentari costituiscono una falsa solu-zione del problema della democrazia. Il parlamento è costituito fondamentalmente comerappresentante del popolo, ma questo principio è in se stesso non democratico, perchédemocrazia significa potere del popolo e non un potere in rappresentanza di esso. L’esi-stenza stessa di un parlamento significa assenza del popolo. La vera democrazia, però,non può esistere se non con la presenza del popolo stesso e non con la presenza di rap-presentanti di questo”. Per il secondo principio, ibid., p. 35: “I congressi popolari sonol’unico mezzo per mettere in atto la democrazia popolare. Ogni altro sistema è una formanon democratica di governo. Tutti i sistemi di governo dominanti oggi nel mondo nonsaranno democratici fino a quando non avranno adottato questo mezzo. I congressi po-polari sono l’approdo finale del movimento dei popoli verso la democrazia. I congressipopolari e i comitati popolari sono il frutto della lotta dei popoli per la democrazia”.

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diffuse in Italia con un certo understatement ma è bene sottolineare chedavvero si rischiò un conflitto nel Mediterraneo, alle porte di casa nostra.Il 17 aprile 1984 dall’ambasciata libica a Londra, durante una manifesta-zione di oppositori al regime di Gheddafi, erano state esplose raffiche dimitra che avevano ucciso una donna poliziotto inglese. La “diplomaziadel mitra”, com’era stato chiamato dai giornali l’atteggiamento libico,aveva portato in breve alla rottura delle relazioni diplomatiche tra Londrae il regime di Tripoli. Ricordo che allora, forse un po’ opportunistica-mente, sperammo che il Ministero dell’Educazione libico ci concedessegli uffici dell’ambasciata inglese (un bel palazzo di quattro piani, mo-derno) per ubicarvi la sede della nostra scuola. Poi, alla fine di una esca-lation di dichiarazioni aggressive del colonnello Gheddafi a propositodella sovranità del Golfo della Sirte, gli aerei americani bombardarononella notte tra il 14 e il 15 aprile 1986 Tripoli e la stessa residenza delleader libico, la caserma di Bab El Azizia, uccidendo la piccola Aysha,figlia adottiva di Gheddafi.9 Durante la crisi USA-Libia, un missile Scudlanciato dai libici quasi raggiunse l’isola di Lampedusa. Da ultimo, vi funel dicembre 1988 la strage di Lockerbie (l’esplosione di un aereo ameri-cano sui cieli di Scozia, con 270 vittime), definitivamente attribuita adagenti libici e per la quale il regime di Gheddafi ha dovuto pagare un co-lossale risarcimento ai familiari delle vittime.

Il soggiorno in Libia mi offrì comunque molteplici occasioni di in-contri culturali: ricordo i convegni, le conferenze e le mostre organizzatedall’Istituto Italiano di Cultura di Tripoli, grazie all’infaticabile attivitàdei suoi Direttori, i proff. Piero Ferrari e Pietro Roselli.10 Potei così cono-scere esponenti del mondo culturale italiano, di prestigio internazionale:lo storico del colonialismo Romain Rainero, lo studioso di filosofia an-tica Renato Laurenti, che ebbi il piacere di accompagnare in visita alla

9 Sembra che il leader libico si sia salvato dalle bombe americane, perché tempesti-vamente avvertito dell’imminente attacco dall’allora presidente del Consiglio, l’on. Bet-tino Craxi (notoriamente di simpatie filoarabe), secondo le recenti rivelazioni di fonte li-bica (vd. Livio Caputo, «Fu Craxi a salvare Gheddafi dal raid americano su Tripoli», in«Il Giornale», 31 ottobre 2008).

10 Il prof. Piero Ferrari, Addetto Culturale dell’ambasciata italiana di Tripoli, stu-dioso di lingua e letteratura turca e poeta, volle poi cortesemente donarmi la sua raccoltadi liriche Dissonanze (Edizioni del Sole, Roma 1983, con introduzione di Clotilde Pater-nostro e appunti grafici di Gianni Bruni), apponendovi la seguente bella dedica: A Mariocon affetto e nel ricordo della dolce «truce» Libia.

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città romana di Leptis Magna, l’anglista Roberto Sanesi e l’archeologoSandro Stucchi, con cui avevo sostenuto pochi anni prima all’università“La Sapienza” l’esame di archeologia e storia dell’arte greca e romana, ilpittore e incisore Gianni Bruni, che nelle sue opere grafiche omaggiava igrandi pittori del Trecento, come Duccio di Boninsegna e Simone Mar-tini. Della visita a Leptis Magna ricordo l’incredibile iscrizione araba ap-posta alla base della statua a figura intera di Settimio Severo, che (comemi fu spiegato) qualificava grottescamente il grande imperatore tra ipadri fondatori della Jamahirya libica. Di Sabratha ricordo il bellissimoteatro, con la scena, il proscenio e lo sfondo quasi intatti. Con il presideCicchini visitai anche il villaggio di Gharian e la valle dello UadiMerdum, ricca di banchi di fossili e di tombe puniche con la tipica co-pertura a pinnacolo. Un giorno fummo portati anche in elicottero, noi do-centi della scuola, a visitare una piattaforma petrolifera dell’AGIP nelGolfo della Sirte.

Ma altri ricordi mi si stagliano più vivi nella mente: i ragazzi e le ra-gazze che uscivano a frotte dalle scuole-caserme di Tripoli, tutti in divisagrigioverde e basco rosso, e salivano sui camion forse per andare inqualche campo di addestramento nel deserto e magari, poi, combattere inCiad; i ragazzini adolescenti che andavano in giro in divisa, armati conmitra e pugnale e fermavano i passanti per ispezionare i documenti; gliaerei che, soprattutto di notte, passavano rombando sui tetti delle caseper andare a bombardare il Ciad; i sottomarini attraccati ai moli del Lun-gomare, trasformato in un grande porto militare; i blindati e i carri armatiche correvano veloci per le vie della città; il custode della Busetta, il vec-chio Shmeda, dal sorriso malinconico, che ci offriva il tè verde, denso efumante, e le noccioline; i cammelli che vedevo al mercato degli animali,appena fuori Tripoli; i cavalli addormentati, immobili al centro dellapista, che vedevo all’alba, dalla finestra della mia camera al residencedella Busetta; la luna che di notte splendeva intensissima e assai piùgrande di come la vediamo alle nostre latitudini. E molti altri episodi po-trei menzionare. Devo anche dire, però, che ogni tanto si udivano notiziefatte circolare apposta per impressionarci, tra le quali quella che più micolpì (e che mi fu più volte confermata) fu che all’università avevano im-piccato un oppositore politico e costretto gli studenti a interrompere lelezioni e a sfilare davanti al patibolo, con il giustiziato appeso. Ma nonvoglio intristire ancor più queste pagine. Piuttosto, un ricordo curiosoche ancora conservo (e che non mi sono spiegato) è che nel cedolino

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dello stipendio che mi veniva versato dall’AGIP N.A.M.E. in Libia (di-nari libici 436,445 al lordo delle trattenute, 363,000 al netto, il 30/09/83)vi era una voce, Jehad Tax, corrispondente a dinari 12,635, ossia al2,89% della retribuzione lorda. A che cosa serviva questo prelievo?Jeahd Tax dovrebbe significare “tassa per la Jihad”. Forse questo contri-buto (obbligatorio per tutti i lavoratori stranieri in Libia) era destinato alfinanziamento dei movimenti di “liberazione nazionale” che allora laLibia sosteneva? Senza saperlo e senza volerlo, sarei stato, paradossal-mente, un piccolo finanziatore del terrorismo? Non voglio approfondirela questione.

Altri ricordi, decisamente più belli, connessi alla mia esperienza li-bica li ricavo dal mio rientro in Italia durante le vacanze estive. Al ter-mine dell’anno scolastico, nel mese di luglio, noi docenti dell’ENI tra-scorrevamo alcuni giorni di “relax attivo” incontrandoci, per uno stage dicinque giorni, presso la sede della So.Ges.T.A. (Società Gestione Tecno-logie Avanzate) di Urbino. Tra le ridenti colline marchigiane conveni-vano nel centro della So.Ges.T.A. docenti provenienti dalle scuole ita-liane ed ENI nel mondo (soprattutto dall’Africa) per raccontare le loroesperienze e seguire i corsi di aggiornamento didattico. In gruppo con gliinsegnanti delle scuole di Tripoli e Marsa El Brega (Libia), Lagos, Warrie Port Harcourt (Nigeria), Tunisi (Tunisia), Algeri e Skikda (Algeria),Goth Macchi (Pakistan), Pointe Noire (Congo), Muanda (Zaire), AbuDhabi (Emirati Arabi Uniti), vissi una bellissima esperienza di forma-zione professionale, davvero all’avanguardia (in quell’epoca). Sotto laguida di docenti universitari, psicopedagogisti ed esperti di didattica,come i proff. Francesco Guadalupi, Cesare Fregola, Pietro Andreotti eMaurizio Mazzotta (dell’A.E.C.C., Associazione per l’Educazione alComportamento Creativo), lavoravamo addestrandoci ai nuovi (per me)concetti del mastery learning e dell’unità didattica (nel 1983). Ricordo lesimulazioni di lezione con il microteaching, la ripresa con la videoca-mera di una lezione simulata: una prova che, per me che la sostenni, fudavvero emozionante perché il mio comportamento in classe doveva es-sere analizzato e giudicato dai colleghi e dai docenti responsabili deicorsi. Per fortuna riuscii a cavarmela abbastanza bene, anzi fui anche ap-prezzato dal prof. Guadalupi.

A conclusione di queste note voglio allegare alcuni versi (sarebbe ec-cessivo chiamarli poesie), scegliendoli tra quelli che scrissi durante edopo gli anni trascorsi in Libia, ripensando a quella esperienza. Li tra-

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scrivo compiendo un atto non tanto di presunzione quanto di incoscienza,essendo consapevole dei difetti formali, della loro incompiutezza e delleingenuità anche stilistiche. Ma se devo dare una testimonianza preferiscoaffidarla a questi abbozzi di versi, che vorrebbero essere una specie dipiccolo diario, in cui non solo ho annotato sensazioni ed emozioni, sfoghidell’animo, ma ho anche fissato immagini (talvolta violente, dolorose,crudeli o grottesche) che hanno colpito la mia fantasia e si sono incisenella mia memoria. Se qualche giudizio vi appare troppo severo e intran-sigente, ciò va attribuito al periodo in cui i versi sono stati scritti, un pe-riodo in cui la situazione internazionale e quella dell’Italia in specie eranocertamente più difficili di oggi.11 Oggi, dopo che molte riserve verso lapolitica del colonnello Gheddafi sono cadute ed egli sembra aver ripu-diato il terrorismo e aver abbracciato la causa dell’Occidente contro AlQaida, forse quei giudizi potrebbero essere rivisti: è comunque auspica-

11 In quegli anni la politica della Libia oscillava pericolosamente tra l’avventurismomilitare, la connivenza o addirittura il sostegno a movimenti terroristici e alternanti atteg-giamenti verso l’Italia e l’Occidente. Alle infuocate dichiarazioni contro l’Italia, accusatadi essere al servizio degli USA e di Israele, corrispose paradossalmente nel 1976 l’in-gresso della Libia tra gli azionisti FIAT (con l’acquisto del 9% delle azioni, quota salita al16,1% nel 1984 dopo l’aumento di capitale), fatto che portò un oggettivo sostegno allanostra industria automobilistica. Negli anni Settanta e Ottanta l’immagine di Gheddafi eraperò strettamente connessa ai movimenti terroristici e il leader libico non godeva, in Occi-dente, di buona fama. Prova ne sia che addirittura divenne il protagonista negativo in unthriller fantapolitico di Dominique Lapierre e Larry Collins, Il quinto cavaliere (Le cin-quième cavalier, 1980), trad. di Roberta Rambelli Pollini, Mondadori, Milano 1981, rist.:nel romanzo il leader libico fa nascondere dai suoi agenti una bomba atomica a New Yorke minaccia di far saltare in aria la città se gli americani non convinceranno Israele ad ab-bandonare la Cisgiordania e Gerusalemme. Da notare, nell’immaginaria vicenda, il ruoloambiguo giocato dall’allora presidente della FIAT Gianni Agnelli, che aiuta Gheddafi amodernizzare i suoi armamenti. Sulle attività terroristiche finanziate dalla Libia e sui rap-porti tra servizi segreti libici e settori della CIA deviati vd. John K. Cooley, MuammarGheddafi e la rivoluzione libica (Libyan Sandstorm, 1982), trad. di Alda Carrer, EditorialeCorno, Milano 1983, pp. 219-256. Celebrano la rivoluzione di Gheddafi e la personalitàcarismatica del leader libico i testi di Frederick Muscat, September One, a story of revolu-tion, Link Books, 1981, e My President, My Son, Edam Publishing House Limited, Malta1980. Altro volumetto celebrativo dei risultati del regime libico è Al Jamahiriya, Hori-zons et perspectives, Département de l’Information pour l’Etranger, 1981. Una biografiafavorevole al leader libico è quella della giornalista francese Mirella Bianco, Gheddafimessaggero del deserto (Kadhafi, messager du désert, 1974), trad. di Mirella Bianco,Mursia, Milano 1977 (vd. in particolare le pp.190-199, sull’aiuto della Libia ai movimentidi liberazione in tutto il mondo: dietro domanda dell’autrice, il leader libico ammette ilsostegno all’I.R.A. e ad altre formazioni politico-militari).

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bile che nella Libia si pratichi una maggiore democrazia interna e un piùdeciso rispetto dei diritti umani.12

Questi versi, ripeto, risalgono tutti al periodo 1984-1993. Rappre-sentano lacerti di una esperienza sofferta, evocano tutti momenti e fattirealmente vissuti e, per le immagini che contengono, per i sentimenti, lesensazioni, le emozioni che vogliono esprimere, sono la migliore testi-monianza del tempo che ho trascorso, dal 1982 al 1984, sotto il cieloterso e violento di Libia.

TACCUINO DI VERSI (1984-1993)

L’impossibile sogno

Al termine di un giorno solitariopassato ad aspettare fino a serala risposta alla terribile domandadi un lavoro, di un pane insicuro,mi abbatto disperato più di ierinell’ansia del domani oscuro.Ma il sonno porta requie ai miei pensieri.E, sognando, il mio letto diventa la brandadi un marinaio, le pareti della mia stanzasi riempiono di cieli e di mari tropicali.Gordon Pym, Ishmael, Mac Whirr!

12 Sui rapporti tra la Libia e l’Italia e sui controversi atteggiamenti del colonnelloGheddafi, rimandiamo all’ampio articolo di Ugo Bertone, Gheddafi il ‘matto’ del deserto,in «Storia Illustrata», n. 10, ottobre 1998, Editrice Portoria, pp. 6-15. A proposito dei posi-tivi cambiamenti della politica di Gheddafi, vd. l’articolo di Guido Rampoldi, Gheddafi isegreti della svolta, in «La Repubblica», 23 dicembre 2003. Nel 2008 è stato finalmenteraggiunto l’accordo tra la Libia e l’Italia per il risarcimento dei danni subiti dai libicidurante l’epoca coloniale: tale accordo pone fine a un contenzioso durato ben 39 anni, vd. l’articolo di Paola Di Caro, Berlusconi, patto con Gheddafi «Ora meno clandestini epiù gas», in «Corriere della Sera», 31 agosto 2008. Da ultimo la scuola media cattolica DeLa Salle Academy di New York ha ricevuto la somma di 2,5 milioni di dollari dalla Libia,quale risarcimento per le vittime dell’attentato di Lockerbie (vd. Guido Olimpio, Miracoload Amsterdam Avenue.Gheddafi finanzia una scuola, in «Corriere della Sera», 19 dicembre2008).

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Invoco la vostra amicale presenza,se mi udite dall’eden degli eroi.Accogliete con voi il mio spirito randagio,voi che dei flutti vinceste ogni violenza,voi che scampaste allegri al naufragio.

A un docente universitario

Celebrato maestro di un’antica disciplina,mi indichi la terra d’oltremarequale meta del corso di mia vita,perché “qui in Italia, non c’è nulla da fare”.Io son venuto a te ingenuo come un figlioche si volge al padre amato e ammirato,perché il futuro incerto a tutti fa paura.E tu mi dispensi sorridendo un rapido consiglio,senza sapere niente di me, con voce pur sicura,nel chiuso di una calda biblioteca,nel rifugio sicuro della tua facoltà.Eccomi pronto per una disperata avventura!Ogni speranza, ormai lo so, è finita:non solo porrò fine alla ricercama la mia terra madre mi sarà noverca.Addio, maestro (maestro per altri, non per me):forse troverò più saggezza, forse più umanità,forse un altro maestro, un antico sufi, nella terra di Allah.

Ho lasciato ieri il patrio confinee oggi vivo in un posto dove i librisi leggon cominciando dalla fine.E il giorno festivo è il venerdì.Restare o andar via subito da qui?

Vaga lo sguardo impaurito e tremuloper la selva selvaggia delle case,per i torti meandri delle vie.

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Grandi le scrittesui muri scrostatidalla pelle di cemento.Chiamano il popolo al cimento,cariche di oscura minaccia.

Sotto la sferza di un caporaleho visto molti ragazzi gridarecome rondini ferite a mortenel rezzo azzurro di primavera.Tripoli, gennaio 1984.

Shara Omar El Moukhtar

Ho visto un ragazzetto nero neroandare svelto con passo leggeronella calca sudata a mezzogiornonudi i piedi sul duro asfalto.D’un tenue sorriso era adornobrillante di candido smalto.Si faceva largo tra la follastringendo saldo il mitra a tracolla.

Piccola zuarina in grigioverde,13

della divisa vai adorna e fiera,col basco rosso sulla chioma nerae l’orgoglio di chi la patria serve.

Lasciasti ieri a casa la tua bambola,oggi stringi il calcio di un fucile.E io mi sento, forse, un poco viledavanti a te che giochi a fare Rambo.

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13 Zuarina: ragazza di Zuara, località sita ad ovest di Tripoli.

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Giro della città

Il Castello dai superbi bastionis’affaccia sulla Piazza Verde(la piazza delle grandi occasioni)dove il Capo alle folle serveproclama altre Rivoluzioni.Di verde hanno anche dipintoil travertino delle costruzioni;su qualche grigio muro stintopendono festoni di lampadine.Camminano in ampi barracanialteri gli uomini e le donne tripoline,col velo che nasconde il viso tondo,seguono un poco indietro.Giungiamo quindi alla piazza centraledov’è il grande ufficio postale.E poi... la vecchia Cattedrale degli italianiè ora una moschea col minareto.Sento nel cuore un rodìoma penso e concludo che in fondoanch’essa è una Casa di Dio.

Gargaresh14

Quando giunge silente l’ora del crepuscoloaviogetti rombanti solcano il cielocorrusco a velocità supersonicalanciati verso eteree immensitàoltre l’orizzonte. Qui giocanodistratti in allegra compagniafanciulli neri vestiti di cenci:guazzano nella belletta negraa piedi nudi e con voce pronta,squillante o più spesso roca,si chiamano ridendo nella penombra

14 Gargaresh è un borgo sito alla periferia ovest di Tripoli: qui ho abitato durante ilmio primo anno di permanenza in Libia, nell’anno scolastico 1982-1983.

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buia. Risponde di lontano un caneabbaiando con calore inesausto,l’amico buono dell’uomo.Sulle loro piccole teste, sospeso nel cielo,il rombo implacabile del tuono.

A me stesso

Ti han mandato a questa gioventù mattaper fare qualche mese il solerte didatta.

Ai miei studenti

La vostra mestizia di pena segretagrida accorata ciò che vi ha fattola vita: ma nelle ore deserte e tristila vostra gioventù attende lietail tempo della gioia e del riscatto.

Il tema di Diego

Leggo il tuo scritto sgangherato,pieno d’errori d’ortografia.Il periodo non fila, è frammentato:sarebbe un tema da buttare via.

Forse un voto migliore t’attendevi,ma il complemento e anche il verbo manca.Hai scritto male quello che intendevi,ma che puoi far quando la testa è stanca?

Correggere un foglio protocolloe mettere alla fine un brutto voto,ti rende triste e a me fa molta pena.E quando nel silenzio tu ti chiudi

io sento, come te, questo gran vuotoe leggo al fondo dei tuoi occhi cupi

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la rabbia di vivere in questo stallo,il rancore che dentro ci avvelena.

Il preside della scuola italiana

Le mani grosse, callose,di montanaro il volto rude,le parole dure, nervose,lo sguardo amico, chiaro:un onesto cuore di maestrobuono e grande.

Una richiesta delle autorità al circo italiano15

“Signora Orfei, ci presta i suoi leoniper qualche ora, così, da buoni amici?Glieli riporteremo buoni buoni,e se è d’accordo ne sarem felici.Ci chiede cosa ci vogliamo fare,coi suoi leoni che ora stanno in gabbia?È semplice la cosa da spiegare.Vede, è da un po’ che monta la rabbiacontro il governo e i capi più importanti,e si preparano manifestazioniostili. Perciò ai manifestantiaizzeremo contro i suoi leoni”.

Ma quella donna dal cuore di leonedisse di no a un’abominazione.

15 Di questo episodio, orridamente feroce e grottesco, ho sentito molto parlare du-rante la permanenza del Circo Orfei a Tripoli. Non saprei dire se le voci, confermatemiallora da più parti, avessero un fondamento di verità. Oggi non escluderei neppure chesia stata una diceria messa in giro a bella posta per screditare il governo libico.

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La scorta del Capo

Va il Capo tra la guardia personale,sei fanciulle in divisa militare:con il fucile armate e i pugnalidel Capo son le armigere vestali.Le bellissime scrutan con cipiglio,come una madre attenta guarda il figlio,il gran Capo della rivoluzioneper garantirgli sempre protezione.Vicino al Capo van superbe e fiere,col basco rosso sulle chiome nere.Ma quando posano a terra il moschettoson leste a mettersi un po’ di rossetto.

Come ci vedono

Nel centro della cittàs’apre la mostra delle atrocità:fotografie di stracci umani(quel che resta dell’uomo,tracce di crimini senza perdono),corpi in terra annusati dai cani,vecchi e bambini mutilati,bombe e moschetti residuati.Questo è il nostro passato coloniale,qui noi fummo per loro il male.E un dubbio atroce germina nella mente:italiani, sempre, brava gente?

Omar El Moukhtar16

Nei suoi occhi splendeva la lucedell’alba, mentre camminavasaldo verso il turpe palco,rizzato al comando di un ducestraniero e oppressore.

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16 Il leggendario capo della resistenza libica, fatto impiccare dagli italiani nel 1931.

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Maestoso come i patriarchi d’un tempo,non tremò nelle sue ultime ore,andando incontro alla morte.Avvolto in un nero barracano,tra gli zaptié e gli ascari alle scorte,il suo sguardo fiero si posava lontano.Oltre la caserma della cittàmirava, forse, una futura alba di libertà.Era un uomo forte e saggio, quel vecchio:sul capestro il suo corpo torreggiavacome una quercia annosatra molti sterpi secchi.

“Tu stai tutto il giorno in piedi...”:questa canzone senti quando siedial moderno ristorante tripolino.Nulla dici a chi ti sta vicinoe ti senti veramente solomentre alla radio canta Bobby Solo.Scontroso e lesto come un gattopensi a vuotare il couscous nel piatto:ma non essere triste perchéquesta musica è tutta per te.

Ci sono giorni in cui penso di esseredivaricato dal contestodella realtà: sempre le stessele cose che faccio da quando son desto

fino a sera, la gente che vedonel quotidiano squalloredi questa vita senza rimedio.Sempre uguali l’una l’altra le ore

che sento passar mentre le conto.Il mondo ormai mi lascia indifferente.Dalle ore dell’alba a quelle del tramonto

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scorre questa vita, per me e per questa gente:casa e lavoro, finché il sole è spento,finché la sera dà requie alla mente.

La rabbia mi rode il cuoreper la vita consumata invanoin questo deserto senz’amore,assente dalla patria, lontano.E come ricordare i giorni e i mesipassati, tentando di comprenderequesta genteed essere compresi?

È trascorso il tempo degli “ameròper sempre”, scritti a due maniin profumate pagine di vita.È forse giunto il tempo di soffrireper vivere domani, come annunciail roco cingolo di un carro armato.

Lockerbie18

L’irredentismo col mitra e le bombeè costato ai figli dell’Occidentecentinaia di tombe:mani macchiate di sanguehanno ucciso l’ideale innocentedella libertà dei popoli.Dell’aereo esploso il fragoreti ha fatto entrare nella Storia,ma nella Storia del Terrore.

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17 Va chiarito che, pur avendo le autorità inquirenti accertato la responsabilità di agentilibici, un coinvolgimento effettivo del colonnello Gheddafi nella vicenda dell’attentato diLockerbie non è stato provato.

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Africa

Terra massacratadalle feroci dittature,dalle guerre civili,dalle rapaci multinazionali.Terra dimenticatadalla turpe indifferenzadegli occidentali,sordi o ignari alle grida di doloredei fratelli africani.Generazioni perdutedi piccoli miliziani,avvezzi alla droga e alla morte,combattenti di spaventosi eccidi.E mentre un continentenel quotidiano spavento,nella fame e nei massacri langue,qualcuno conta contentoin qualche lussuoso ufficio(nel grattacielo d’una metropoli,là dove sono sazi i popoli)i suoi denari macchiati di sangue,il frutto dell’economia del maleficio.

7 ottobre 198318

Quel mattino davanti al consolatovolavano sassi e urla rabbiose:inveiva un folto gruppo là assiepatodi uomini e donne, giovani e anziani(facce dure, cattive, nervose)contro i “dannati fascisti italiani”.Agitavano di rabbia i pugni chiusilanciando pietre contro le gratedelle finestre, quei brutti musi.E le donne eran le più scalmanate.

18 Anche questi versi, come tutti gli altri, sono ispirati da un ricordo autobiografico.Il “collega Giuliano”, che era con me quella mattina, a Tripoli, era un docente di ruoloinviato dal Ministero degli Affari Esteri.

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Spaventosa era la calca, e le urlasi facevano più forti e più feroci:ma non era una protesta da burlaquella protesta di povera gente,che aveva l’ordine di esser lì presentee che nella canicola dell’orainveiva contro la nostra storia.Era con me il collega Giuliano,giunto da Treviso come docente(come me, del resto) incaricato.“Facciamo presto!” dissi concitato,e lui vide il pallore del mio viso.Dovevamo entrare al consolatoper chiedere, entrambi,non so quali documenti, quali carte.Ma sassi e urla volavano per l’ariae gli occhi mandavano feroci lampi.Io m’arrestai indietro, in disparte:vinto dal timore mi tenni lontano,e lui, invece, volle andare avanti.All’improvviso cessò ogni clamore,su quegli scalmanati urlantipiombò il silenzio: passava un italiano.Entrò, si fermò, uscì dal consolatotornando incolume da dove era arrivatoe venne a me che lo attendevo in ansia.Lo guardai con ammirata emozionementre mi diceva, sorridendo un po’ guascone:“Di’, non crederai che facciano sul serio?”Allora risi dei miei tristi pensieri.Poi, ritornando, dietro i nostri passisentimmo ricominciar le urla e i sassi.

Ho comprato una borsa di lanadi color nero, rosso, arancio e viola,una bella borsa di Misurata,19

con su di un lato venti fiocchetti.

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19 Città sita a est di Tripoli, rinomata per la produzione tessile.

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Vi metterò dentro gli affettie il ricordo di una che ho amata,che non mi ha tolto la terra lontanané il tempo furace che invola.

Cade fine dal cielo una piovaleggera leggera sull’erbacoperta da un velo sottile di sabbia:vorrei provare più certanon so che felicità nuova.Ma provo soltanto la rabbiadi chi dalla patria si sente esclusoe in terra straniera vive recluso.Tripoli, 10 febbraio 1984.

Il sole era allo zenit

Una calda giornata d’estatesulla riva deserta del marevidi un bellissimo gabbianosostare. Turbato dall’importunapresenza mosse in fretta le ali.Lo vidi poi volteggiarelibero nel limpido aereceleste, levandosi rapidosempre più lontano,finché si perse oltre l’orizzonte.E io mi chiesiil perché di questa vita.Il sole era allo zenit.

Un violaceo tramonto sul mareriempiva gli occhi catturando la mente:guardavo il gran sole riverberaresull’onda azzurra dolcemente.

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Sulla spiaggia del porto di Busettacorrevano quattro ragazzini neridietro due cani; e una vedettavegliava sulla torre i sentieri

sabbiosi. Ricordo come fosse ieriquell’ora trascorsa sulla rivadel mare, solo con i miei pensieri.

Festose grida di bimbi e di caniun abbaiar dolente mi rapiva,mentre fissavo orizzonti lontani.

Lunghe navi ormeggiate nel portocome grandi grattacieli che dormono.

Il custode della Guest House

Buon vecchio Shmeda,il tè verde che generoso mi offri,segno ospitale di antica amicizia,ha un sapore troppo amaro.Non lo rifiuto, perché so che ne soffri,ma il sapore della mestizia,ne sono certo, lo conosci anche tu.Tripoli, 31 gennaio 1984.

Al Consolato, un giorno feriale

“Questa è casa sua, venga quando vuole”,mi dice sorridendo il cancelliere.E perché, quando splende a mezza il sole,mi sbarra l’accesso il suo portiere?

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Alla Busetta la sera, dopo cena20

Vi guardo, cari amici, dolente e beffardo,acquattato dietro una porta a vetri,giocare al tavolo di un vecchio biliardo.

Alì, il cameriere pakistano

Mi piace vederti volteggiareallegro per i tavoli della mensae chiedere, con volto giocondo,se gradisco il primo o soltanto il secondo.Tripoli, 9 febbraio 1984.

Cavalli dormienti all’alba,nell’ippodromo della Busetta

Oggi all’alba destatomiho visto i cavalli immobilinel rugiadoso prato dell’ippodromo.Li ho accarezzati con lo sguardoche lambiva il mantello marrone,non osando avvicinarmi.Sognavano galoppi sfrenatiin sconfinate immense praterie?E di lontano mi giungeva attutitol’incessante rumore del mare....Ah, cavalcare il mitico ippocamposull’infinita prateria marinain fuga rapido come il lampo.

20 È il nome del residence per il personale AGIP N.A.M.E., sito nel borgo di Abu Satta(da cui Busetta), periferia est di Tripoli. Vi abitai per tutto l’anno scolastico 1983-1984.

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Di un cammello nell’occhio neroho visto il riflesso di un sentieroche s’insinuava tra le deserte dune,scure gobbe di una notte illune.

L’uomo che ha smesso di amareperché nell’altro non trova se stessonon è più uomo, ma belva mortale.Adesca chi vuole con sorriso falso,

ma dietro la schiena protende l’artiglio,pronto a colpire senza preavviso.Crescete per questo i vostri figli,perché un ghigno invece di un sorriso

abbiano? Sono morte ormai le favoledi un mondo felice, di una terraincantata in un magico evo.

Guardate: un folletto, l’ultimo rimasto, si struggemirando disperato i segni della guerrae per un colle spaventato se ne fugge.

Il peggior cuore di questo mondoè come un libro di pagine bianche,sempre uguale da cima a fondo.Ma ogni foglio ha una macchia di sangue.

Nel giardino di casa mia

Tra gli oleandri in fiore e i viburnisgusciano i gatti quand’è calato il solecome grandi lèmuri notturnicalpestando i papaveri e le viole.

Son spelacchiati, lunghi e magri magri,coi grandi occhi e il respiro roco:

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mi paiono annunciare i giorni agrie dirmi che la vita non è un gioco.

Davanti alla porta di casa mia

Sulla strada stanno intenti al giococorrendo felici dietro a un pallonetre bimbi, e i gatti dal respiro rocosgusciano lesti oltre l’androne.

Magri e affamati coi grandi occhi giallimi fissano come a volermi parlare,e mi chiedon, quando anch’io sto a fissarli:“Ma tu, qui, cosa sei venuto a fare?”

Soffocante soffio del Simun,mi copri implacabile la pelledi polvere di pietra lievitata,spaccata dai raggi ardentidel sole. Occhi, orecchie, lingua,bocca, naso, gengive, denti:tutto penetra la polvere sabbiosa,tutto ammanta dove si posa.Vago stordito in cerca di frescura,ma non avanzo, perché l’occhio non vededove arranca malcerto il piedenella riarsa caligine rossadi questo vento che la mente affossa.

La piattaforma off shore

Nella marina ragniforme cittadellafra tubi di ghisa e tralicci d’acciaiovive e lavora un operoso formicaioche si estenua in abissali sondaggi.Al gelo d’inverno, agli aprichi raggi

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del sole a primavera, all’afa estiva,nella furia delle onde o alla bonaccia,quelle pie formiche in bianca tutabattono i fondali come in caccia,alla ricerca di una nera sorgiva,21

bottino tolto alla natura bruta.Severi e assorti come anacoreti,dirigon nell’abisso la trivella,lo sguardo fisso degli antichi asceti:pensano, forse, alle persone care,formichine perdute nel deserto del mare.

Il “buon” dottore

Hai tua figlia che ha la febbre e sta malee non vuoi portarla all’ospedale,affidarla a medici stranieri...Mentre sei agitato dai pensierie l’angoscia ti fa scoppiar la testa,giochi l’unica carta che ti resta.Quel dottore onesto e competente,quello che parla come la tua gente,saprà aiutare un padre di famiglia,un padre disperato per sua figlia.– Dottore, venga, ha le guance rossee la febbre alta, e pure un po’ di tosse,e ha vomitato, questa mia bambina.Sta così, pensi, da ieri mattina...

Ma il dottore che hai chiamato non verrà,alle preghiere sordo e ai tuoi lamenti:lui cura solamente i dipendentidella sua importante società.

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21 Il giacimento di petrolio.

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Un timido suono di campaneperso tra le voci urlantidei muezzin nella selva dei minaretimi annuncia che principia la messanella vecchia chiesa, tra pochi istanti.Affretto per la via veloce il passoe cammino ansioso a capo chino,sperando di evitare qualche sasso,regalo di feroci monellerie.Saluto un gatto che mi vien vicinoe pare accompagnarmi fino in chiesa,nel dedalo tortuoso delle vie:ma poi sguscia dietro un angolo,ove la strada se ne va in discesa.Polverosa e coperta di fango,quella via piena di sporcizia atrocemi porta quindi fino alla chiesa:d’un frate smunto la flebile vocedirà, tra poco, stanche liturgie.E mentre varco il grande portone di legno,che di sassate reca più d’un segno,e intravedo una piccola follanella spoglia navata che s’aduna,penso com’è difficile annunciare la Crocelà dove domina la mezzaluna.

Il ricevimento dell’ambasciatore, il 2 giugno

Di mille luci il parco si accendeal tramonto d’uno scarlatto sole,la folgore di neon sull’erba si stendementre nereggia il verde delle aiuole.

Luci verdi, blu e gialle auratesplendon come le gemme a primaverae cristalli e pietre lavorate.Eppure nel mio cuore resta sera.

Dame agghindate e signori azzimatis’allietano in ameni conversari;

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della città i primi e i diplomaticison venuti anche per i loro affari.

Suona un complesso musica leggera,mentre scoccano lampi di maliziagli occhi di chi rende ogni notiziafelice e lieta, anche la più nera.

Servono al buffet i camerierii vini e le tartine al caviale.Ma io sto assorto in tristi pensierie ignoro questa accolta un po’ feudale.

Nella chiesa di San Francesco

Sulla parete tra i fraticelliho visto una cosa davvero rara:ritratto col pizzo e i lunghi capelliè nientemeno che il ras di Ferrara.

Passeggiata solitaria

Cos’è la mia giovinezza,mi chiedo, passeggiando sul lungomaresotto i bastioni del Castello.Mi fermo meditando su me stesso,ma una risposta non so trovare.E mi scompiglia i capelli la brezza,portandomi il profumo del tramonto.Vedo un aereo alto nel cielo,vedo una vela nel mare lontano.Come invidio quel bianco gabbianoche libero vola sui tetti del mondo!Fuggir via, ad ali spiegate, adesso!E guardo e contemplo l’immensità,l’indaco e il rosa dell’orizzonte.Ma se rifletto, oltre alle penein fondo all’animo provo una rabbiae vorrei dar di pugno sulla fronte,

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vedendomi attorno questa cittàche mi tien con invisibili cateneaffondando i miei sogni nella sabbia.

Il tema di Giorgio

Nel tuo tema scrivi che più ti piaceun mondo sempre in guerra,devastato e senza pace.E aggiungi che trovi affascinantepiù di un poliziotto, un lestofante.E mi dici con ironico sorrisoe un po’ di sfacciata impudenzache ami l’inferno più del paradiso.Ma nella tua dorata incoscienza,nel tuo risibile fasto di ricco,nel tempo che sprechi in capricci e voluttà,hai mai visto il dolore, la morte,la fame in questa città?La morte e la vita non hanno colore,colgono il bianco e colgono il nero:dell’umano destino è atroce il sentieroe chi non va avanti si deve fermare.E tu, ozioso fanciullo giocondo,non sai com’è fatto il male nel mondo:vivi nel tuo castello incantatoal riparo da un dio crudele e spietato.E se vuoi fuggire e aprire la portaper veder quanto la vita è dolorosa e corta,non potrai mai uscire e incontrare il male,perché di quella porta hai perduto la chiave.

Alla Busetta, una sera davanti alla TV

D’una lunga serata, dopo cena,la terribile noia m’incatena:guardo seduto su un divanoquel che accade in un paese lontano,

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assieme agli altri compagni di pena.La bella e fascinosa annunciatrice,dopo ogni notizia che ci dice,le risa e gli sberleffi ci scatena.Diventa lo specchio il telegiornaledi ogni corruttela, di ogni male,delle miserie e delle pretesedi quel lontano povero paese.E noi che, qui a veder, seduti stiamo,duri di cuore, ormai, e indifferentiper una terra che ci ha fatto assenti,a ogni triste e amara notiziaridiamo senza freno, e poi ridiamo,dimentichi ciascun della mestizia.Ridiam come i Proci al tempo degli Achei,perché ci hanno reso folli i nostri dei.

Il corso di arabo

Un tratto sghembo, un punto e uno svolazzo,e tracci sulla carta la parola.Ma questa lingua mal s’impara a scuolae non si pratica senza imbarazzo.Nella selva di trilittere radicim’affatico a capir quel che tu dici:restan suoni oscuri e misteriosi,croce e pena di stranieri boriosi.

Nella valle dello Uadi Merdum

Davanti a un’antica tomba a pinnacoloparmi d’udir la voce di un oracolo:“Resterai pur qui, amerai il desertoe diverrai di questa landa esperto”.Ma quale dio mi vuole prigionierod’un paese in cui son solo uno straniero?Come d’Atene antica un meteco,tutto quello che ho, con me lo reco.

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Ma quando sarò per sempre andato via,mi vincerà, già lo so, la nostalgia.

Leptis Magna

Tra le termali rovinemi accoglie la bronzea figuradi Severo imperatore:alla sua base cancellaun’iscrizione in araba favellale antiche lettere latinee lo proclama primo fondatoredella libica Jamahirya. Ma il tempo i grandi imperi porta via:solo il Vero rimaneoltre ogni impostura.

Una rissa a Leptis Magna

Questa antica colonia fenicia,dove i marmi di Roma sfidano i secoliche vide ieri un suo figlio assiso sul trono dei Cesari,oggi patisce un’offesa, sotto i cocentiraggi del sole di primavera.Giovani maghrebini furiosi d’irasi assalgono a colpi e a fendenti,mirando al corpo e al viso.Brillano al sole le lame dei coltellie arrossa il sangue le colonne e i rilievi,ove ghigna una testa di Medusache forse pregusta l’offerta di una vita.Non vi incute la Storia alcun rispetto,giovani che sognate altre rivoluzioni,e v’azzuffate lesti e ferocicon il coraggio di piccoli leoni. Qui gli dei assisi a banchettonon vogliono più libagionicol Massico e il profumato Falerno:

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dal cratere sgorgano rivoli di sangue,traboccano colme le coppe atroci,tributo dell’ira bestiale,della stupida facilità del male.

Sulla corriera in viaggio verso Tripoli

Mi porta una corriera scalcinata,partita senza orario dal capolineadel suburbio ove risiedo,ansimando fino all’ultima fermata, fino alla stazione del centro.Assiepati allegramente dentrovedo giovani neri e maghrebini,proletari che al lavoro vanno, spensierati,fino ai ritorni serotininelle loro squallide subtopie.Qualcuno ride,e dalla bocca cavernosariluce un dente d’oro.Rattrappito nella calca,tra l’afrore di corpi sudati,intestardito nella dura volontàdi confondermi tra questa gente,comprimo il mio doloree fisso l’occhio sul paesaggio,mentre dura il viaggio:poche case dall’intonaco frescoo dalle facciate screpolate,qualche palmetta smorta tra i pali della luce,ai bordi sabbiosi della strada,vengono incontro alla corriera che lenta si muove,e bimbi che gridano scalciando un pallone,e l’eco di cani che abbaiano chissà dove.

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La rosa del deserto

Ho visto fiorita sulla stradauna rosa del desertoscabra e dura, frastagliatacome il cuore di questa umanitàche mi circonda:bambini dal sorriso astutoche giocano urlando rochi,tra l’eco di voci confusesulle vie assolate,coperte da mucchi atroci di rifiuti; vecchi dalle mani callose,dal cuore spento che la miseria doma,dalle facce bruciate e rugose,l’occhio acquoso velato dal glaucoma.Bambini e vecchi per le stradedi questa città violenta e cattiva:e in terra d’Africa ho trovato il mio Ade.

Indugi un’alba noiosa allo specchio,col volto insaponato e il pennello;poi scorgi alla tempia un bianco capello,germogliato la notte, e più vecchio

ti trovi d’incanto. Intravedi agli angolidella bocca un piccolo solco di ruga...Dopo un anno di Libia sei già stancodi un esilio che ha pagato la tua fuga.

E attendi che il tuo capo sia canutoper ammettere che oggi sai ridere,come gli altri, di un sorriso astuto?

Ma se scruti più attento quel sorrisot’accorgi che la vita ogni giornocorre come un veltro sul tuo viso.

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Ritorno a casa

Com’è triste non essere compresidai tuoi cari, dagli amici che non vediper lunghe settimane, lunghi mesi:crescono i tuoi figli, nascono altri eredi,

non ti risponde più qualche parentee la tua casa ti sembra più antica;con fatica sul prato della mentequalche ricordo ancora s’abbica.

Vedi tuo padre ormai incurvatodal peso della vita e del doloresofferto per te che sei emigrato.

Vedi il volto di tua madre pien di rugheche ti sorride come prima: e tupiangendo in silenzio sconti le tue fughe.

La residenza dell’ambasciatore

Ogni mattina, mentre vado a scuolain macchina guardo di sfuggitala residenza dell’ambasciatore,un bianco palazzotto stile ventennio.

Accanto al citofono, sul portone in legnoc’è una targhetta un po’ arrugginita,timido segno senza più colore.Oltre il cancello si va per un’aiuola

di piccoli palmizi e oleandripiantati attorno a una peschieradove nuotano pesci rossi e bianchi.

E s’erge sulla torre la bandierache garrisce quando soffia il ventoo spira dal porto una brezza leggera.

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