ANNO XVIII NUMERO 36 GIUGNO 2011 - misinta.it · mel dice, che i moderni lettori di libri virtuali...

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1 EDITORIALE di Mino Morandini 3 LA DIVINA COMMEDIA ILLUSTRATA CON GRA- FICA D’ARTE DEDICATA ED EX-LIBRIS di Mauro Mainardi 5 LA FORTUNA DEL “DITTICO QUERINIANO” NELLA STAMPA di Pietro Lorenzotti 15 LE CARTIERE IBERICHE (XV E XVI SECOLO) di Giuseppe Nova 21 A GIUSEPPE NOVA IL PREMIO ALLA BRESCIANITA’ DEL ROTARY di Mino Morandini 27 UNA LEGATURA BIZANTINA ALLA BIBLIOTECA QUERINIANA di Federico Macchi 29 I SACRARI DEL SAPERE ANTICO. DALLE BIBLIOTE- CHE DELL’ANTICA ROMA A VIVARIUM di Antonio Semprini 39 NOTIZIE SULL’APERTURA DELL’ARCA CONTENENTE LE RELIQUIE DEI SANTI FAUSTINO E GIOVITA di Stelio Gusmitta 59 PEPITE QUERINIANE: AGOSTINOGALLO e la “nuova” agricoltura bresciana di Ennio Ferraglio 63 LE RIVISTE DEL BIBLIOFILO: Lo sport bresciano di Antonio De Gennaro 67 VISTI IN LIBRERIA: RUBRICA DI RECENSIONI LIBRARIE di Mino Morandini 71 MOSTRE DAVEDERE E RIVEDERE, DA GUARDARE E DA SFOGLIARE di Mino Morandini 77 DIARI BRESCIANI: ANIMALI FANTASTICI. I miti del mondo greco, romano ed etrusco di Mino Morandini 83 L’ANGOLO DELLE LEGATURE: TITOLO SULLA LEGA- TURA: UNA NOTA di Federico Macchi 89 INDICE ANNO XVIII NUMERO 36 GIUGNO 2011 In copertina: Acquaforte di Luca Crippa. Speranza nelle nuove leve per far cessare la disonesta politica (solo nel XIII secolo?). ISSN 2038-1735

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EDITORIALEdi Mino Morandini 3

L A D I V I N A C O M M E D I A I L L U S T R A T A C O N G R A -F I C A D ’ A R T E D E D I C A T A E D E X - L I B R I Sdi Mauro Mainardi 5

L A F O R T U N A D E L “ D I T T I C O Q U E R I N I A N O ”N E L L A S T A M P Adi Pietro Lorenzotti 15

LE CARTIERE IBERICHE (XV E XVI SECOLO)di Giuseppe Nova 21

A GIUSEPPE NOVA IL PREMIO ALLA BRESCIANITA’ DEL ROTARYdi Mino Morandini 27

UNA LEGATURA BIZANTINA ALLA BIBLIOTECA QUERINIANAdi Federico Macchi 29

I SACRARI DEL SAPERE ANTICO. DALLE BIBLIOTE-CHE DELL’ANTICA ROMA A VIVARIUMdi Antonio Semprini 39

NOTIZIE SULL’APERTURA DELL’ARCA CONTENENTELE RELIQUIE DEI SANTI FAUSTINO E GIOVITAdi Stelio Gusmitta 59

PEPITE QUERINIANE: AGOSTINO GALLO e la “nuova” agricoltura bresciana di Ennio Ferraglio 63

LE RIVISTE DEL BIBLIOFILO: Lo sport brescianodi Antonio De Gennaro 67

VISTI IN LIBRERIA: RUBRICA DI RECENSIONI LIBRARIEdi Mino Morandini 71

MOSTRE DAVEDERE E RIVEDERE, DAGUARDARE E DASFOGLIAREdi Mino Morandini 77

DIARI BRESCIANI: ANIMALI FANTASTICI. I miti del mondogreco, romano ed etruscodi Mino Morandini 83

L’ANGOLO DELLE LEGATURE: T I T O L O S U L L A L E G A -T U R A : U N A N O T Adi Federico Macchi 89

INDICEANNO XVIIINUMERO 36

GIUGNO 2011

In copertina: Acquaforte di Luca Crippa. Speranza nelle nuove leve per far cessare ladisonesta politica (solo nel XIII secolo?).

ISSN 2038-1735

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icenzio tardivamentequesto numero di“Misinta”, tra mille pro-

blemi di scrittura per la vetu-stà del mio pc -per scriverequesto editoriale ho dovutoprovvedermi di un nuovo elet-tronico… calamo, come dice-vano una volta, o cembaloscrivano, come fu chiamata laprima macchina per scrivere,pieno di funzioni inutili e privodel conteggio delle battute,importantissimo per chiunquenon debba scrivere romanzifiume, ma articoli, cioè perquasi tutti- per non dire dellamail, che ogni tanto mi censu-ra gli invii, perché la Valle,donde scrivo, non è moltocoperta; fortunatamente ilDirettore di Redazione e amicoFilippo Giunta dispone dirisorse inesauribili, di pazien-za anzitutto e di tecnica poi,delle quali mi corre l‘obbligodi rendergli pubblici ringrazia-menti: come e più del solito, senon ci fosse stato lui, chissà see quando questo 36° numeroavrebbe visto la luce!Ma ci sono guai peggiori:quando internet funziona, lafacilità di reperimento di datisempre nuovi, lo spalancarsiinfinito di un mondo apparen-temente perfetto, può dare l’il-lusione di poter acquisire ogniconoscenza senza fatica, dipoter scrivere pagine su pagi-ne, anzi tomi su tomi, a colpidi taglia-incolla, accumulandoimpressioni, divagazioni, emo-zioni, curiosità e chi più ne ha… pigi il tasto stampa!1

Oppure al contrario, un biblio-

filo serio può pensare: “Tuttoè già stato scritto su internet,non c‘è più spazio per chi stu-dia ‘per diletto’, lo studiosodilettante deve scomparire;dopo internet, l’unica possibileoriginalità appartiene, se mai,all’arcigno specialista, guar-diano più che coltivatore didiscipline talmente concentratesu un ridottissimo ambito …da non interessare più neppurea lui”.È un rischio grave, palpabilein tanti libri di saggistica, cheriducono invece di ampliare laprospettiva del lettore, e quindilo annoiano, perché era anno-iato chi li ha scritti.Eppure qualche motivo diriflessione si può trarre ancheda cotanta sventura: i guai

dell’Era Web permettono dicapire i problemi dei letteratid’un tempo, alle prese con ilimiti intrinseci di strumentiscrittori approssimativi (quan-to durava la tempera di unapenna d’oca su un foglio dicarta spugnosa, con un inchio-stro fatto in casa? Leopardistudiava verbi tedeschi, mentreaspettava che la pagina scrittaasciugasse, per poterla girare)e di mezzi di trasmissione rudi-mentali, dai costosi corrieri acavallo, che potevano essereassaliti per il sospetto che tra-sportassero carichi preziosi, aipiù comuni vagabondi, pelle-grini o mercanti, che potevanoessere ritardati o bloccatidalla dimenticanza, dalla stan-chezza o da un improvviso

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E D I T O R I A L E

di Mino MorandiniProfessore di Lettere Ginnasiali al Liceo Classico Arnaldo da Brescia; Socio dell’Ateneo di Brescia.

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Athanasius Kircher. Lanterna magica.

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cambio di programma, oltreche dai sullodati briganti, oancora traviati da un’osteria eda mille altre cause.Anche ai tempi senza internet,c’è sempre stato chi ha studia-to con rigore e con diletto2, echi ha scoperto l’acqua caldadel copia/incolla e scrisse pon-derosi volumi ‘de omnibusrebus … et quibusdam aliis’senza vagliare l’attendibilitàdelle fonti e guardandosi benedal citarle; allora come oggi(cfr. l‘editoriale di “Misinta”35), chi più accumula chiac-chiere strampalate, più trovaun pubblico desideroso di esse-re ingannato: nella letteraturaantica, e poi medievale, e poimoderna, fino almeno alBarocco, ma con significativepropaggini nei secoli successi-vi, ci sono i ‘mirabilia’, ibestiari prodigiosi, le ‘wunder-kammern’ illustrate, l’OedipusAegyptiacus del padreAthanasius Kircher3, dotta-mente citato, suo tempore, dalFantozzi di Paolo Villaggio …Ma sono limiti degli autori osedicenti tali; in sé, il libro èun amico fedele, ha bisognosolo di essere protetto dalfuoco e dall’umidità per resi-stere alla fuga degli anni, sem-pre pronto a dare –basta aprir-lo- conforto di parole e pensie-ri; può persino sopravvivere alsuo proprietario ed esserelasciato in eredità, se solo

prima è stata lasciata nellamente e nel cuore degli eredila coscienza del suo valore nonsolo venale.Forse questo motivo concretopuò far breccia nei cuori enelle usanze delle generazioniventure, abituate alla costosacaducità degli attrezzi elettro-nici, destinati dopo qualchetempo, per bene che si tenga-no, a essere sostituiti, e nonc’è da pensare di ripararli, pernon sentirsi dire dal tecnico“no, è un modello superato,costa meno comprarlo nuovo epiù evoluto; e poi, anche seglielo riparassi, dopo un po’saremmo daccapo; cambiano iprogrammi, e quelli vecchi nonfunzionano più.”Anche il problema delle biblio-teche private un po‘ troppocospicue, problema di spazi edi conservazione, si avvia adessere risolto dal digitale:giorno verrà, presàgo il cormel dice, che i moderni lettoridi libri virtuali torneranno adavere le piccole bibliotechedegli umanisti, formate damanoscritti (per lo più digitali)di produzione propria e daipochi libri ai quali si sonoveramente affezionati, scarica-ti da internet (certi libri altri-menti introvabili), acquistati inlibreria (il profumo di un libroben stampato, la sensazionevisiva e tattile della carta, labellezza artistica delle legature

-su “Misinta” ne abbiam vistee continuiamo a vederne distupende, grazie agli interventidi Federico Macchi- non tra-monteranno mai, finché cisaranno persone sensibili allaparola ‘bellezza’) o addiritturatrascritti da loro stessi, propriocome tra XV e XVI secolo. Nonè un mistero, per chi insegna:gli studenti migliori, che dinorma sono anche i frequenta-tori di libri, ancorché virtuali,amano scrivere, con la tastierae di proprio pugno.A titolo d’esempio, in momentidiversi ma recenti, ho avutomodo di vedere una notevoleserie di testi (alcune decine),lunghi ciascuno anche parec-chie righe, aggiunti a mo’ dicommento a un’antologia difoto d’autore tratte da internet,e poi una raccolta di brani,scelti da testi di sant’Agostinopure trovati in internet, tra-scritti sul cellulare: le duemoderne amanuensi sono duegentili fanciulle diciassettenni–mia figlia e una sua amica-cresciute a cell, face book, i-pad e, ultimamente, smartpho-ne: cambiano gli strumenti e iloro nomi, ma le figlie e i figlid’Eva o del sire Iperione cheda lungi saetta restano semprequelli, nei difetti, ma anche neipregi.

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1 Colgo l’occasione per un caldo appello anche ai collaboratori di “Misinta”: evitiamo i contributi ‘enciclopedici’, perché lo spaziodella rivista non li consente ed è troppo forte il rischio di omissioni esiziali, per non dir di peggio.2 Come esempio di erudito umanista, cioè ricco di una profonda e gentile umanità, mi sembra perfetto il grande brescianoGianmaria Mazzuc-chelli, così come l’ha descritto, tramite i suoi libri, il nostro Segretario Enzo Giacomini nel suo contributo a“Misinta” n°35, che permette di cogliere la dimensione umana del dotto, più di un saggio specialistico, nel quale l’umanità dellapersona resti infine nascosta dall‘accumulo di minuti particolari.3 In realtà il padre Athanasius Kircher (Geisa, Fulda 1602 - Roma 1680) era un gesuita eruditissimo, ma non sempre capace di spiri-to critico e di sintesi: il suo tentativo di decifrare i geroglifici lascia un po’ a desiderare; “seppe tuttavia contribuire al progressodelle molte discipline a cui si dedicò e immaginare applicazioni pratiche realizzate solo nei nostri tempi” (cfr. Grande DizionarioEnciclopedico UTET, fondato da PIETRO FEDELE, X, Torino 1969, p. 754.).

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ell’incontro con iBibliofili dell’Associa-zione Misinta di Brescia

ho dato in primo luogo la defi-nizione dell’ex libris, ne hofatto poi una breve storiadando risalto alle sue variazio-ni d’uso nel tempo, come gra-fica d’arte e come mezzo dilettura ed esegesi di un testo(La Divina Commedia nel miocaso). Ho presentato due edi-zioni antiche (1578 e 1629)della mia collezione, che mihanno dato l’opportunità diun’esegesi personale. Non hoperso l’occasione di accennaread alcune idee “politiche” diDante, idonee per l’interpreta-zione di eventi del 2000. Perfare un solo esempio, nel 1300aveva indicato la causa delle“crisi economiche globali” delXXI secolo.

L’espressione latina ex libris,seguita dal nome di una perso-na o di un ente, è la dichiara-zione di proprietà del libro sulquale è applicata. Ha pratica-mente lo stesso significatodella firma o del timbro con idati personali che tanti lettoriapplicano su un volume direcente acquisto. Quando queste dichiarazioni diproprietà sono inserite in“vignette” eseguite da artistidiventano grafiche d’arte ecome tali sono raccolte in col-

lezioni private e nei pubblicimusei.Non è mio compito, in que-st’occasione, fare la storia del-l’ex libris; segnalo solo che findall’antichità s’indicava il pro-prietario di un oggetto equiva-

lente al libro dei nostri giorni.Per questo è considerato comeil più antico ex libris conosciu-to la dichiarazione scritta sulcoperchio in ceramica smaltatadi un raccoglitore di papiri delXV secolo avanti Cristo, con-

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LA DIVINA COMMEDIA ILLUSTRATA CONGRAFICA D’ARTE DEDICATA ED EX-LIBRIS di Mauro MainardiMedico e Bibliofilo, Presidente dell’Associazione Italiana ex-Libris (AIE).

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Figura 1. Egitto XV secolo a.C.n.

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servato al British Museum diLondra: “In questo vaso sonocontenuti i papiri del FaraoneAmenofi III e di sua moglieTeje”. Papiri e loro contenitoreequivalgono al libro dei nostritempi: i papiri sono le pagine,il contenitore è la copertina, lascritta sul coperchio è il segnodi proprietà del “libro” dell’an-tico Egitto (Figura 1). Gli ex libris tradizionali per ilibri stampati sono nati con la

stampa nel XV secolo dopoCristo. Tra i loro primi incisoritroviamo artisti che fanno partedella storia dell’arte, qual èAlbrecht Dürer (per segnalareil più grande), di cui conoscia-mo oltre quindici di questegrafiche d’arte.

Il collezionismo exlibristico èiniziato alla fine dell’Ottocentoe si è diffuso nel Novecento,da quando si è ripreso a com-

missionare ad artisti importantile vignette in cui è inserita ladichiarazione di proprietà di unlibro. I primi collezionisti eranoanche bibliofili; per loro eraimportante trovare libri antichicon una coeva dichiarazione diproprietà, oppure un volumecon due o più ex libris, indi-canti quindi i passaggi di pro-prietà di biblioteche private epubbliche. La presenza di piùd’una di queste dichiarazionisu uno stesso volume di biblio-teche pubbliche ha valore didocumento storico, sia purminore, perché certifica levariazioni della gestione politi-ca di un territorio e definisce ilcarattere dittatoriale di unanuova gestione quando ilprimo ex libris è stato, con attovandalico, staccato, corretto,cancellato o sovrapposto a unoprecedente. Dalla seconda metà del secoloscorso la maggior parte degliexlibristi non sono bibliofili ecollezionano gli ex libris indi-pendentemente dal loro rappor-to con un libro e li inseriscononelle loro raccolte di graficad’arte dedicata a un tema epersonalizzata dal nome di uncommittente. Per incrementarele loro raccolte usano moltiesemplari della tiratura a lorodedicata per fare scambi conaltri titolari (come tutti abbia-mo fatto da bambini con lefigurine e come fanno ancora inostri nipotini). Ognuno gesti-sce la sua collezione in mododiverso, inserendo, accanto allasezione di base pluritematica,una o più sezioni preferitequali l’araldica, la storia, lamusica, le arti visive, l’eroti-

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Figura 2. Edizione del 1578 del “Nasone”.

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smo, lo sport e altro. Alcuniinfine si interessano di lettera-tura in genere o di un soloautore, come faccio io che,come bibliofilo colleziono edi-zioni (soprattutto illustrate,antiche e recenti) della DivinaCommedia, come exlibristacolleziono ex libris dello stesso

tema, utilizzandoli per un’ese-gesi figurata del Divin Poema. Dino Formaggio (il grandefilosofo dell’arte recentementescomparso) ha introdotto ladefinizione di esegesi figuratal’illustrazione del poema dan-tesco con gli ex libris; l’haproposta nel 2003 in occasione

dell’inaugurazione dellamostra La Divina Commedianell’ex libris, al Museo dellaStampa / Casa degliStampatori Ebraici di Soncino.Questo tipo di grafica dedicatafacilita la scelta dei tipi di let-tura del poema dantesco, comelo stesso Dante ha consigliato

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Figura 3. “Vidi e conobbi l’ombra di colui / che fece per viltà il gran rifiuto” Ponzio Pilato e non San Pietro Celestino (Inferno III, 89-90).

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di fare nell’Epistola aCangrande della Scala; l’exlibris, infatti, è caratterizzatodall’intervento di un commit-tente (buon conoscitore delpoema dantesco) che proponead un artista di interpretareliberamente, secondo la sua“invenzione”, l’esegesi propo-

sta di un evento della DivinaCommedia.

Le edizioni illustrate dellaDivina Commedia sono sem-pre esistite, fatte a penna o conminiature (i codici) prima dellascoperta della stampa, inseguito con immagini stampa-

te, già a partire dagli incunabo-li. La più antica e più citata diqueste prime edizioni a stampaè quella del 1481, commentatada Cristoforo Landino e illu-strata da Baccio Baldini constampe eseguite su disegni(sembra) di Botticelli.Delle cinquecentine illustratecito solo le tre riedizioni(1544, 1578, 1596) delle illu-strazioni del 1481 perché houtilizzato quella del 1578, dicui possiedo un esemplare(Figura 2), per fare alcune con-siderazione esegetiche nonusuali. In primo luogo segnalo che alcommento di CristoforoLandino si è aggiunto quello diAlessandro Velutello, al fine difare due tipi delle letture delpoema, la letterale e l’allegori-ca, che Dante stesso ha consi-gliato nell’Epistola, sopra cita-ta, a Cangrande della Scala. In secondo luogo perché, conl’inizio della ControriformaCattolica, in attuazione dellenorme del Concilio di Trento(terminato nel 1563), da partedelle autorità ecclesiastiche èiniziata una critica del testodantesco e della sua esegesi.Tale critica è sfociata nel 16l4nella decisione dell’IndiceEspurgatorio di Madrid di cen-surare sia la collocazione nel-l’inferno (tra gli eretici!) dipapa Anastasio II (Inferno XI,5-9) sia il commento diCristoforo Landino, non peraverlo messo tra i dannati, maper averlo collocato tra gli ere-tici: Ci raccostammo, in dietro, adun coperchiod’un grand’avello ov’io vidiuna scritta

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Figura 4. San Pietro Celestino in abiti pontificali.

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che dicea: “Anastasio papaguardolo qual trasse Fotin dalla viadritta”Nel corso del XVII secolo si èintervenuti in modo più pesan-te, come vedremo in seguitoparlando delle edizioni di quelsecolo, perché oltre a sconsi-gliare la lettura e censurare itesti del poema si è ridotto dra-sticamente il numero delle sueedizioni.Anastasio II è stato messo tra idannati in base ad una leggen-da, nata da una sua biografia,di autore anonimo, in cui sidescrive in modo ridicolo escurrile la sua morte improvvi-sa durante una seduta in cuierano in discussione le discor-danze su problemi di fede tradue chiese cristiane, quella diRoma e quella di Costantino-poli. Una morte dovuta conogni probabilità, vista la sinto-matologia descritta nella citatabiografia, a “vasculopatia cere-brale acuta con dissoluzione dicoscienza e perdita del control-lo degli sfinteri” oppure a“Sincope da arresto cardiacocon dissoluzione della coscien-za e perdita del controllo deglisfinteri”. Nulla quindi da met-tere in ridicolo! Sono cose chespesso succedono in momentidi alta emotività, qual era cer-tamente quella di un papaimpegnato ad evitare lo Scismanella Cristianità, voluto daisuoi curiali integralisti, chesono stati i principali propaga-tori della leggenda in cui vieneconsiderata un castigo divinola morte improvvisa del papa.Già i primi commentatori deldivin poema hanno fatto notareche Dante ha probabilmente

confuso (facendone una stessapersona) il diacono tessaloni-cense Fotino del V e il vesco-vo Fotino di Smirne del IVsecolo. Il primo è stato mandato aRoma dal patriarca diCostantinopoli, dopo averascoltato un interlocutore cat-tolico inviato in Oriente dalpapa, per discutere insiemeproblemi di fede, al fine dicomporre una controversia trala chiesa cattolica e quellamonofisita.

Il secondo Fotino era statovescovo eretico di Smirne, vis-suto un secolo prima del diaco-no suo omonimo, mortoimprovvisamente in pubblicocon le stesse caratteristicheplateali di quella di AnastasioII, considerata, anche questa,un castigo divino.La Storia ha dato un giudiziopiù equilibrato degli eventi.Anastasio ha contrastato l’ere-sia monofisita cercando il dia-logo e non la condanna senzadiscussione, come hanno volu-

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Figura 5. Xilografia di Diego Donati per Giovanni Mantero.

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to i curiali romani. Per questol’Indice Espurgatorio (pubbli-cato a Madrid nel 1614) èintervenuto per censurare la“lettura allegorica” del 1578 diCristoforo Landino dei versicitati. Un papa, infatti, nel-l’esercizio delle sue funzioniecclesiali e proclamato Santo,non può essere eretico e messoall’inferno tra i dannati pereresia.A questo punto è giusto segna-lare che, per quello che io sap-pia, in nessuna edizione suc-cessiva alla cinquecentina del

1578, compresa quella del1629 (l’unica che conoscadelle tre edizioni del 1600)sono stati depennati i versicensurati, relativi alla figura diAnastasio II. Considerazioni analoghe sipossono fare anche per quantoriguarda il canto dei pusillani-mi, come Jacopo di Dante(figlio del poeta) chiama quelliche nei secoli successivi sonostati chiamati ignavi, con paro-la non in uso nel Medioevo. Lamaggior parte dei commentato-ri pensa a Celestino V quando

Dante parla di colui “che feceper viltà il gran rifiuto”.L’opinione che il sommo poetapensasse a Pietro da Morrone èsubito entrata nella leggenda(non ancora sfatata) grazie aquanto è stato ipotizzato nelleChiose di Jacopo di Dante, magià pochi anni dopo la mortedel poeta (1321), autorevolicommentatori della DivinaCommedia, quali FrancescoPetrarca (1304-1374) eBenvenuto da Imola (1330-1387), hanno criticato l’opinio-ne tanto diffusa. Tutti sannoperò quanto sia difficile sfatareuna leggenda, anche se la sto-ria è piena di pusillanimi. Sonostati proposti alcuni nomi dipersonaggi dell’antichità emedioevali; il più gettonato, inEuropa e nelle Americhe, èPonzio Pilato, il più noto pusil-lanime della Storia.Personalmente penso cheDante, che ha popolato l’infer-no di tanti “chiercuti” ed alcu-ni papa (sicuramente condan-nabili per la loro simonia), nonha mai contestato le “Veritàdella Fede Cattolica” e hadeprecato le offese subite (lo“schiaffo” di Anagni!) daBonifacio VIII, suo persecuto-re politico ma indiscussoVicario di Cristo come Papa(“e nel vicario suo Cristoesser catto”, Purgatorio XX,87). Da credente qual era ilnostro sommo poeta non pote-va mettere all’inferno FraPietro da Morrone (CelestinoV) perché, morto nel 1296, èstato canonizzato nel 1313come San Pietro Celestino.Di questa opinione erano certa-mente i committenti e gli arti-sti degli ex libris dedicati a

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Figura 6. Buoso da Duera e Bocca degli Abati, traditori del partito (anzi della “corrente bianca” del partito guelfo).

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colui che fece per viltade ilgran rifiuto, che l’incisoreRenato Coccia raffigura con unnudo atletico (Figura 3), evi-dentemente non attribuibileall’ascetico San PietroCelestino, per quel che si puòsapere dall’iconografia ufficia-le di questo santo.Polemicamente Nicola Ottria,docente di tecniche incisorieall’Accademia Ligustica di

Genova, ha presentato, nell’exlibris a mio nome, Celestino Vin paramenti pontificali (Figura4), e non come i dannati“ignudi, stimolati molto damosconi e vespe”

La libertà di stampa dellaDivina Commedia è stataquasi annullata nel 1600 perfar sì che meno gente la potes-se leggere perché i testi e la

loro esegesi non erano graditiai gestori della Controriforma.E’ un dato di fatto che si puòdedurre dall’esame del numerodelle edizioni pubblicate nelcorso dei secoli, elencate in“Edizioni a Stampa dellaDivina Commedia” diGIULIANO MAMBELLI (NicolaZanichelli Editore, Bologna1930):- 1400: 16 Incunaboli, alcuni

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Figura 7. Xilografia di Furio De Denaro “Ov’è ‘l buon Lizio e Arrigo Mainardi?”

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dei quali illustrati.- 1500: 36 (postincunaboli ecinquecentine), un buon nume-ro dei quali illustrati.- 1600: 3 (dicesi tre) edizioni,non illustrate “economiche etascabili” (si direbbe oggi),edite nel 1613 a Padova, nel1629 a Padova e, nello stessoanno, a Venezia (“appressoCamerini”). Di questa edizioneveneziana ho presentatoun’esemplare della mia colle-zione, un piccolo volumetascabile (cm 4,5x9,2), confrontespizio decorato, senzaillustrazioni del testo. - 1700: 32 di cui alcune illu-strate. Sono ancora poche per-ché non era ancora spento lospirito della Controriforma. - 1800: 410, di cui segnalo sol-tanto la più famosa, quella diGustave Doré, stampata aParigi negli anni 1862/64 e, inItalia, da Sonzogno a partiredal 1868 con un seguito dicentinaia di riedizioni, anchescolastiche, nel secolo XIX edin quelli successivi.- 1900: 219 dal 1901 al 1929(ultimo anno dello studio diGiuliano Mambelli del 1930),migliaia nei settant’anni delsecolo, a partire dal 1930.

Le edizioni del 1578 e del1629 hanno dato l’opportunitàdi fare riferimento a realtà diogni tempo, quali l’importanzadelle leggende (oggi chiamate“metropolitane”) per creareopinioni e successi, e l’influen-za dei poteri forti sulla libertàdi stampa. Il non stampare unlibro e/o il ritiro dal commer-cio di ogni esemplare stampa-to, è il modo più semplice pernon farlo leggere.

Il danaro, la sua acquisizio-ne, il suo uso nel Medioevo enel 2000 Nel 1300 Dante ha fatto dire aVirgilio, suo “maestro eautore”, che è contro il voleredivino “fare i soldi con i soldie non con l’Arte (sinonimo diLavoro). Sta, infatti, scritto(Genesi III, 19): “mangerai ilpane prodotto con il sudore deltuo volto”. A richiesta di Danteil poeta latino spiega perché“usura offende / la divina bon-tade; perché va contro la natu-ra ch’è figlia di Dio (creatoredi tutto l’universo) e va control’Arte (il lavoro) che, essendofiglia della natura, è nipote diDio (nipotina dicono con tene-rezza i nonni). “Sì chevostr’arte a Dio quasi è nepo-te” (Inferno XI, 105).Con questi ragionamenti, fattienunciare da Virgilio, Dante(filosofo e teologo “scolasti-co”) spiegherebbe la crisi eco-nomica globale dei nostri gior-ni: si sono fatti i soldi con isoldi, creando“finanziarie” enon prodotti. E a dire il vero,visto quello che hanno combi-nato “le banche e le finanzia-rie”, è quasi eufemistico chia-mare usura il livello dei tassisui mutui per le case di chivive solo con i soldi guadagna-ti con il lavoro (che magari haperso o sta per perdere). Da non competente vedo nellamia città la chiusura degli opi-fici, l’aumento degli sportellibancari e dei supermercati, evedo la gente che fa la codanei supermercati per acquistarequei prodotti, genericamente“cinesi” che una volta si pro-ducevano nelle nostre indu-strie. Della Fabbrica Italiana

d’Automobili di Torino ilnostro sommo poeta direbbeche è andata in crisi quando,invece di creare automobili, hacreato finanziarie, e che si stariprendendo da quando haripreso a fare automobili. Miha fatto piacere sentire dire lestesse cose, in un dibattito tele-visivo, da parte di eminentieconomisti.L’esegesi figurata di questiragionamenti danteschi, adatta-bili al 2000, è ben interpretatadall’ex libris dell’incisoreDiego Donati (Perugia 1910-2002), una xilografia di testa(Figura 5) che dice: Dio èautore di tutto il Creato, l’arte(architettura) del collezionistacommittente, Gianni Manterodel gruppo dei grandi architettidi Como del secolo scorso,elabora le cose da Dio createper creare costruire edifici,sotto l’occhio vigile del“Grande architettodell’Universo”. Questo riferi-mento alla massoneria non èfuori luogo, vista la simbologialasciata dai “liberi muratori”nelle grandi cattedrali del pas-sato.

Il malcostume dei poteri forti(spirituali e temporali) deitempi di Dante è presentenella valutazione di molti altriepisodi della sua Commedia.Essi danno l’occasione di farcommenti sui malcostumi,politici e non, del Tredicesimoe Quattordicesimo secolo, nonmolto diversi di quelli degliultimi due secoli. Ho presenta-to tre episodi, uno per cantica.

Inferno XXXII. Buoso daDuera, signore di Cremona e

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di Soncino, del partito guelfo(corrente bianca), nel 1265ebbe sovvenzioni da Manfredi,re di Sicilia, per allestire unesercito capace di opporsiall’invasione francese. Nonfece l’opposizione patteggiata,per la buona tangente ricevutaanche dagli invasori (“l’argen-to dei Franceschi” InfernoXXII, 115).Bocca degli Abati, nobile fio-rentino, anch’egli della corren-te bianca del partito guelfo, hatradito il suo partito nella bat-taglia di Montaperti.In Antenora, nel più profondodell’inferno ghiacciato, (ovesono posti i traditori di parte)Buoso e Bocca si tradisconotra di loro, svelando a Danteciascuno il nome dell’altro:“… Che fai tu Bocca?”(XXXII, 106), “…io vidi,potrai dir, quel da Duera”(XXXII, 116).L’ex libris dell’incisore AngeloSampietro (Figura 6) è und’après Botticelli, di un parti-colare, per la precisione, dellastampa dedicata al XXXIIcanto dell’inferno (esposta aRoma nel 2000 nelle exScuderie del Quirinale) con lealtre 85 del Kupferstichkabi-nett di Berlino e alle 9 deiMusei Vaticani.

Purgatorio XIV. Cino delDuca descrive a Dante il mal-costume degli amministratoridella Romagna dei suoi tempie chiede se le cose siano cam-biate.Avendo appreso che nulla ècambiato, rimpiange gli ammi-nistratori onesti dei tempi pas-sati ed in modo particolare diquelli della città di Bertinoro,

come quello scritto nell’exlibris a mio nome:“Ov’è’l buon Lizio e ArrigoMainardi?” (Purgatorio XIV,96).Come titolare di questo docu-mento di proprietà ho propostoa Furio de Denaro (Figura 7),maestro della xilografia italia-na, di inserire qualche riferi-mento all’operato di questomio omonimo personaggio,nella piccola schiera dei politi-

ci romagnoli onesti. L’artistaha inciso, con il profilo domi-nate del volto di Dante, laColonna delle anella dellapiazza medioevale di Bertinorosimbolo dell’ospitalità. A que-sta colonna erano applicati (elo sono ancora) alcuni anelli diproprietà di famiglie benestantidella città (del 1200 s’inten-de!). Ogni straniero (pellegri-no, commerciante, esiliatopolitico, ecc) veniva, ope legis,

Figura 8. Acquaforte di Luca Crippa. Speranza nelle nuove leve per far cessare ladisonesta politica (solo nel XIII secolo?).

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ospitato dalla famiglia titolaredell’anello al quale avesselegato il proprio cavallo. Altritempi!

Paradiso XXVII. E’ un cantodedicato quasi esclusivamentea due importanti filippichecontro la corruzione dei poteriecclesiastici e temporali. L’apostolo San Pietro, primopapa, deplora con asprezza ilcomportamento d’alcuni suoisuccessori, Bonifacio VIII inprimo luogo: “Fatt’ha del cimitero miocloaca / di sangue e di puzza”(XVII, 25-26).

Beatrice descrive una Firenzecorrotta e dominata dalla“cupidigia che i mortali offen-de” (XXVII, 121), ove i cattiviesempi non aiutano a migliora-re, anche se uno lo volesse,perché “ben fiorisce ne liuomini il volere; / ma la piog-gia continua converte / in boz-zacchioni le susine vere”(XXVII, 124-126).Beatrice conclude la filippica eil canto con la visione di unbarlume di speranza nei fioriche stanno nascendo, impolli-nati da api operose, promessedi un futuro migliore (nelMedioevo e nel 2000), che

daranno frutti quasi giganti,felicemente presentati dall’ac-quaforte (XXVII, 148) di LucaCrippa (Figura 8), maestro pertrent’anni di decorazioneall’Accademia di Brera, autoredi tanti caroselli televisivi chehanno fatto la felicità di finegiornata dei nostri figli, quan-d’erano fiori ancora in boccio:“E vero frutto verrà dopo ilfiore” (XXVII, 148).

Ippocampo. Da ANIMALI FANTASTICI, I miti del mondo greco, romano ed etrusco, Silvana Editoriale, 2011.

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l Dittico, dal greco dipti-cos = piegato in due, èun oggetto costituito da

due assicelle di varia materia,legno, marmo, avorio, metallo,carta, chiamate valve, i dueelementi che compongono laconchiglia, incise, scolpite,dipinte al recto e al verso,unite a cerniera e chiudibilicome due pagine di libro.Il cosiddetto “DitticoQueriniano”, considerato operadi tarda epoca romana, è costi-tuito da due tavolette in avoriointagliate a bassorilievo, didimensioni simili, una di cm.26,5 per 14,3, l’altra di cm. 25per 14, rinchiuse in una custo-dia di rame fatta eseguire nel1452 dal cardinale PietroBarbo, allora vescovo diVicenza, divenuto poi il ponte-fice umanista Paolo II, emeglio sistemata nel 1732 dalcardinale Angelo MariaQuerini, che aveva acquistatoil dittico con il proprio denaroe grande entusiasmo, a testi-monianza del suo amore perl’antichità e il collezionismodelle cose belle, inserendolonella sua biblioteca poi donataal popolo bresciano nel 1750.Simone Signaroli nel suo con-tributo alla rivista del Misintan. 35 del dicembre 2010 scri-ve: “E’ forse poco noto cheanche la biblioteca Querinianain origine comprendeva non

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LA FORTUNA DEL “DITTICO QUERINIANO”NELLA STAMPAdi Pietro LorenzottiBibliofilo, esperto in Bibliografia bresciana.

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Figura 1. Valva sinistra del dittico.

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solo libri, ma anche collezioniartistiche e museali. Ne è unesempio il cosiddetto “DitticoQueriniano”, un dittico d’avo-rio di età romana, finementecesellato, appartenuto in epocarinascimentale a papa Paolo II,poi acquistato da Angelo Maria

Querini, che lo collocò inbiblioteca per il suo interessestorico”.Alla morte del Querini nel1755 il dittico passò allabiblioteca civica Queriniana,nel 1882 al civico Museo cri-stiano, infine si trova al Museo

di Santa Giulia, ed è stato pre-stato anche all’estero in occa-sione di Mostre di particolarerilevanza.Il Dittico Queriniano è statoaccuratamente descritto, senzaperò far ricorso a tutte le fonti,da Clara Stella nel catalogopubblicato per la mostra tenu-tasi a Brescia nel 1981“Iconografia e immagini queri-niane” – (Brescia – Grafo edi-zioni 1980).Le tavolette, come si può veri-ficare dalla stampa, presentanouguale impianto architettonico,ai lati due colonne tortili chereggono un arco con inserita alcentro una valva di conchigliacon grossa perla. In alto adestra e a sinistra in coronacircolare d’alloro ornati dinastri con al centro leone ram-pante crinito, barrato. Nellatavoletta di sinistra un prestan-te giovane riccioluto regge conla destra una lancia e nellasinistra tiene, nella mano aper-ta, un libro che legge ad unagiovane donna con ampia vestee drappo che discende dallatesta; tra di loro in alto unamorino che porge con ladestra una fiaccola e che ha unarco nella sinistra, in basso trale due figure un cane levrierocon il muso rivolto verso l’al-to. Nella tavoletta di destra, daitratti più marcati, un uomo inatteggiamento di riposo per legambe incrociate, appoggiatocon la destra a una lancia men-tre con la sinistra tiene rittouno scudo poggiato a terra; intesta ha un berretto frigio,mentre la donna, la chiomaornata da un nastro, stringe conla mano destra il labbro infe-riore dell’uomo; in alto al cen-

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Figura 2. Valva destra del dittico.

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tro un puttino non alato reggecon le mani alzate delle coronesulle due teste. Drappeggi siaprono sotto la valva con laperla al centro. Tutte le quattrofigure portano calzari: le vestinelle due figure della tavolettadi destra si fermano sopra ilginocchio.Lo spunto a parlarne mi è deri-vato dall’acquisto sul mercatoantiquario romano, transitatoda Brescia come si può arguireda una pecetta ovale bianco-celeste applicata al retro di unacopertina che reca: AngeloDelai libraio in Brescia.Angelo Delai (Brescia 1842 –1911) fu garzone della libreriaValentini all’angolo dellaPiazza delle Poste, che poi rile-vò e la rese la prima della città

sotto l’insegna “Libri antichi emoderni”, conosciutissimo emolto apprezzato per la pro-fonda conoscenza libraria. Fuun occasione per acquistarealcune opere del Querini, inparticolare i dieci volumi“Decas EpistolarumCollectione “, pubblicati in IV°, il primo nel 1742 “editor etillustrator Gian Maria Rizzardi– Stampatore in Brescia”, ilsecondo nel 1743 “Romaeexcudebant Nicolaus et MarcusPalearini ad TheatrumPompei”, i seguenti 1744,1747, 1748, 1749, 1751, 1753,1754 e di nuovo 1754, tutti aBrescia dal Rizzardi.Alcuni volumi della Decasfigurano nella biblioteca delcardinale Querini, negli scaffa-

li al retro della allegoria dellaSapienza, dipinta ad affrescoda Enrico Albricci (Bergamo1714 – 1775), e riprodottanella stampa all’acquafortedello Zucchi (Venezia 1692 –1764) nelle tavole del volume“Commentari historici derebus pertinentibus adAngelum Mariam S. R. ECardinalem Quirinum –Brixiae Rizzardi MDCCLIV” ,e dove nel palchetto i dorsi deilibri recano leggibili i titolidelle opere queriniane, e nelsecondo si trovano i volumidella Decade, che si arrestanoall’VIII, pubblicato nel 1753,ma ne figurano due contrasse-gnati con il IV. 1747.La “Decas” fu ristampata“Venetiis, Tipys et sumptibus

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Figura 3. Particolare di antica stampa con riferimento al berretto frigio.

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Sebastiani Coleti” nel 1756sotto il pomposo titolo“Epistolae eminentissimi etreverentissimi Angeli MariaeQuirini S. R. E. cardinalisbibliotecarii sacraeCongretationis indicis praefec-ti Brixianaeque ecclesiae epi-scopi, ducis etc. quot – quotlatino sermone is edidit, quae-que seu seorsum, seu in deca-des distributae ante vagaban-tur, eas omnes collegata diges-sit Nicolaus Coleti”, che nellasua prosopopea non fa alcunriferimento all’edizione origi-nale bresciana. Questa veneta,apparsa postuma, fu però pro-mossa dallo stesso Querini chein una sua lettera del 23 genna-io 1754, contenuta nel volumeIX, indirizzata al senatoreveneto Flaminio Cornelioannuncia “Collectio illa inpublicam lucem esset proditurasub prelo Venetiis sudat”. Ed èa questa edizione che molticommentatori fanno riferimen-to perché più difficilmentereperibile quella brescianapubblicata anno per anno. Aquesta edizione fa riferimentoil Brunet, nel IV volume –colonna 1034, che aggiunge:“Une partie de ces lettres ava-ient d’abord paru sous le titrede Decas epistolarum (Romaeet Brixiae 1752-54) 10 vol. inIV°; recueil rare”. Invece ilPeroni, III p. 85, cita questiultimi aggiungendo “ le episto-le latine sono le stesse cheseparatamente sono state pub-blicate in diversi tempi sopra”.L’epistolario del Querini è unodei più imponenti del ‘700,oltre 10.000 lettere, un numerocospicuo, non ancora intera-mente repertoriate, molte auto-

grafe, sparse in archivi ebiblioteche di vari paesi, indi-rizzate a corrispondenti dinazioni e lingue diverse, chediscettano di religione, cultura,letteratura, storia, filosofia,libri ed altro. Le lettere, inrealtà scritte a volte di moltepagine, venivano anche stam-pate e le risposte pubblicate. IlQuerini decise poi di raggrup-pare le lettere e pubblicarle peranno in “Collectione”, cioèraccolte, con la suddetta“Decas” il cui contenuto servìdi base per i successivi studisul Querini, a cominciare dal“Commentarius historicus” acura del gesuita FedericoSanvitale (1704-1761), suofido collaboratore, pubblicatodal Rizzardi nel 1761, dovenella dedica al senatore venetoAndrea Quirino richiama“Recensio decadis Epistolarumquas sub prelo sudante collec-tione earum editor et illustra-tor in lucem emisit”. Oltre apubblicazioni varie dedicatealle opere del Querini, ilRizzardi stampò “A. M.Querini – Raccolte di lettereitaliane pubblicate da lui sepa-ratamente ed ora ripartite intre volumi – 1746. 1751.1754” . Richiamo curiosoanche alle lettere pubblicate daRizzardi nel 1750 che si riferi-scono a richieste, consigli erisposte “de morbo qui eundemCardinalem per quinque etamplius menses lectulo affi-xum detenuit”, che ha formatooggetto di una mia comunica-zione al Misinta n. 9 del set-tembre 1997.I libri in mio possesso proven-gono dalla biblioteca di GianMaria Mazzucchelli (1707-

1765), ricco bibliofilo e biblio-mane, come il Querini, colen-dissimo e fecondo scrittore conla collaborazione dell’abatePaolo Gagliardi (1675-1742), ele cui opere sono state illustra-te da Enzo Giacomini nel suocontributo alla rivista delMisinta n. 35 del dicembre2010; al retro di tutti piattianteriori dell’originale legaturacartonata è scritto con inchio-stro ocra “Ex libris ComitisJoannes Mariae Mazzucchelli,Donum Auctoris”.Il Querini orgoglioso del suodittico ne scrisse e descrisse adiversi cultori della materia.Sui dittici, perchè oltre quelloche stiamo descrivendo, unaltro famosissimo detto deiLampadi, anch’esso di proprie-tà del Querini e passato allabiblioteca Queriniana, esisteuna ricca bibliografia settecen-tesca, che qui sotto indichiamoprodotta dai personaggi inter-pellati dal Querini, con descri-zioni e interpretazioni, spessodi fantasia, a partire dall’origi-ne degli avori, la loro datazio-ne e il loro incerto utilizzo.Scipione Maffei (1675-1755)fu addirittura portato a negarel’autenticità del dittico, congrande collera del Querini chetroncò ogni rapporto colMaffei, in precedenza suogrande stimatore:- J. H. LEICHUS - DeDiptychis veteres et de veterediptyico card. Querini – Lipsia1743- MAZZOCCHI AlessioSimmaco – Epistola deDiptyco Quiriniano et Brixiano– Venezia – Occhi 1745, coninterpretazione dell’archeologoe riproduzione delle tavole

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- VOLPI Giovanni Antonio –Divinatio in Diptycum ebur-neum Vaticanum olimCardinalis Angeli MariaeQuerini – Venezia – Occhi1746- BARTOLI S. – Osservazionicritiche sopra il DitticoQueriniano – s.l. 1749- MAFFEI Scipione – DitticoQueriniano, pubblicato e con-siderato- Verona – Andreoni1754- BARTOLI G. – Il vero dise-gno delle due tavolette d’avo-rio chiamate DitticoQueriniano- Parma 1757, conriproduzione delle tavole, deri-vate da “falso disegno delValesi, copiato dal Zucchi eanche da Paolo Monaco”GORI A. F. – Thesaurus vete-rum diptycorum consulariumet ecclesiasticorum – Firenze –1759.Numerose sono le lettere traquelle raccolte e stampate neidieci volumi delle “Decas”nelle quali l’autore si dilunga adescrivere il dittico e a chiederil parere, lumi, interpretazionedelle figure e dei significati, intre occasioni allega una ripro-duzione a stampa del dittico ein caso con riferimento al ber-retto frigio (fig. 3). Il dittico èriprodotto su doppia pagina,una tavoletta di fronte all’altra,con incisione a bulino e all’ac-quaforte, in basso su quella didestra sotto la figura di uomosi legge Valesi inc. , ripetutasotto la donna in quella di sini-stra. Dionigi Valesio (1715-1781), pittore e incisore, nato aParma, attivo a Brescia,Verona, Venezia, discendenteda famiglia emiliana di artisti,è citato dal Fappani nella sua

“Enciclopedia” - vol. XX apag. 191 e dallo Spini negli“Editori e incisori a Brescianei secoli XVII e XVIII”, apag. 57 e 114. La stampa èstata riprodotta più volte daCarlo Stella a pag. 141 e 142nella “Iconografia” già citata,con indicazioni delle copiatureche sarebbero state fatte dalloZucchi e da Paolo Monaco,riprese dal libro del Bartoli,più sopra indicato. Nell’epistola di 31 pagine, conallegata la riproduzione del dit-tico, indirizzata il “VI Kal.Nov. MDCCXLII” a Claudiode Boze ”perpetuum secreta-rium Gallicae RegiaeEcclesiae”, sottopone all’esa-me degli accademici i pareri dalui ricevuti da vari corrispon-denti e chiede lumi agli acca-demici parigini. Questi, comerisulta dagli “Extrait des regi-stres de l’academie royale” del17 agosto 1742, dopo averdescritto le tavolette dice « ilne se trouve dans l’une oudans l’autre aucune ressem-blance marquee avec les por-traits que nous connoisson dejapar les Medailles, les Pierresgravee ou les Statues antiques». Riporta il parere in italianodi Antonio Francesco Gori chepropende per Meleagro eAtalanta, per Venere e Adone ;ma poi ci ripensa e indicaanche Endimione con Selene,ma ha dubbi per il cappello fri-gio; Scipione Maffei, pure initaliano, propende per Ati (oAttis) e Cibele in tutti e due:“in una tabella ha in capo ilpileo, ossia berretto frigio, cheè proprio di Ati, amato daCibele, nell’altra è senza segnodi virilità. Con che si conferma

per Ati, il quale o da sè o dallagelosa dea, patì tal mutilazio-ne”, ma “il cane fa indizio diMeleagro e quindi la donna èAtalanta”. Lodovico AntonioMuratori, pure in italiano, nonsi pronuncia “Né io son suffi-ciente pel mio corto intendi-mento a rischiarare sì belpezzo di antichità” e aggiunge“Non sapendo dove fissare ilpiede e trovandosi sottosopraquesta Ducale Libreria percagione delle correnti disgra-zie, senza poter io consultarealcuni libri, altro non possodire, se non che nulla so dire inquesto buio”. Giovanni Francesco Baldino(Brescia 1677 – Tivoli 1764),sacerdote somasco, numismati-co e archeologo scrive alQuerini in italiano “Nel dise-gno da me diligentementeosservato parmi si rappresentiMeleagro in atto di prendermoglie Atalanta” e si dilungain profonde elucubrazioni suisignificati del cane, della lan-cia, della mancanza di attributi,del piccolo libro che forse con-tiene l’accordo nuziale.“Certamente in questo pezzo didittico si allude a qualchematrimonio di fresco seguito oprossimo a seguire”. Nell’altratavola “parmi vedere Paride eElena, il pileo frigio, i coturniricamati sembra indicare ilprode figlio di Priamo cherapita Elena a Menelao suoprimo sposo la piglia in suaconsorte” e si dilunga in inter-pretazione descrittiva di suafantasia facendo ricorso areminiscenze greche e latine,finendo con un riferimento allenozze “di Onorio conTemanzia nel 408 D. C. Il fan-

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ciullo in aria sospeso pone lacorona all’uno e all’altra ed èchiaro simbolo di matrimoniodi amendue”. A questa datapotrebbe risalire il lavoro inavorio. Il Baldino viene citatoanche nella lettera del “XVIKalen. DecembrisMDCCXLIII” al canoniconapoletano Alessio SimmacoMazzocchi “Né quello è Ati,né quella è Cibele, né il lavoroè degli ottimi tempi, ma ditempi inclinati e assai posterio-ri. Che a che fare il cane conAti e Cibele? Lo scultore haper modestia occultato i veren-di (primo significato = degnodi rispetto o venerabile, secon-do = verendas partes, le partivergognose – Castiglioni –voc. lingua latina) del giovi-netto effigiato. Le colonne, icapitelli, i fregi mostranoarchitettura scaduta e infelice”.Naturalmente queste espliciteesternazioni del Baldino, nèquelle del Maffei “nulla anti-qua fabula in diptyco”, nonfurono gradite dal nostroCardinale, che continuò a scri-vere e discutere con altri suoicorrispondenti; per lui sembradiventato un chiodo fisso e neparla anche per esteso in deci-ne di lettere Tra queste daRoma “die XVIII DecembrisMDCCXLV” manda allaAccademia di Cortona con lastampa del dittico il parerericevuto da Giovanni AntonioVulpio “Humanarum litterarum

in Patavino Atheneo summussemper cum laude commenda-dus professor” di ben 41 pagi-ne che attribuisce le figure diuna tabella a Paride ed Elena,rifacendosi a Omero, Ovidio,Orazio, non è invece d’accordodelle altre a Endimione eDiana , detta anche Luna oSelene, anche se Properzioscrisse “Nudus EndimionPhoebi cepisse sororem etnudae concubuisse Dianae”.Secondo lui sono Tolomeo eBerenice, anche se questa nonha la leggendaria chioma,secondo richiami a Catullo,Tibullo, Giovenale e altri. Perònel dubbio è onesto perchè ter-mina con una frase che tuttidovremmo avere sempre diriserva “Iudicium tamen doc-tioribus et acutioribus libentis-sime permitto”.Al paziente e benigno lettore,tra tante interpretazioni dateper il Cardinale al “Diptycummeum eburneum” riprodottonelle stampe, la difficile sceltae l’ardua sentenza dopo ilguazzabuglio fin qui esposto:Endimione e Diana, Adone eVenere, Ati e Cibele, Meleagroe Atalanta, Paride e Elena,Ippolito e Fedra, Tolomeo eBerenice, Onorio e Tamanziaricordando i vari simboli eattributi, anche quelli mancantial giovinetto ignudo “genitaliailla vel nulla, vel intra com-pressus lumbos occulta, castiamoris indicium” secondo

Henricus Lecchious Lipsiensis. A questo proposito il Querini,senza commento, fece pubbli-care in fine del terzo volumedella raccolta di lettere italiane,le “Osservazioni critiche soprail Dittico Quiriniano divise intre parti tratte dalle lettere delsig. abate Giuseppe Bartoli,pubblico professore di elo-quenza nell’università diTorino stampate in essa cittàl’anno 1749”.Il Bartoli scrisse al Queriniqueste lettere di ben 64 paginedopo aver esaminate le ripro-duzioni a stampe del dittico edesaminato quanto scritto finoallora da vari relatori in parti-colare sopra “l’antichità del-l’oggetto” , su chi si debbavedere rappresentato nellefigure e, a lungo, “sopra lafigura ignuda”. “Ridur si pos-sono a quattro capi le opinioniche chiarissimi scrittori porta-rono intorno alla mancanzatotale del sesso”. Alcuni pensa-rono fosse rappresentatoAdone mancante della virilità,perchè ermafrodito; altri chia-mò la mutilazione come “castiamoris indicium”; altri ancorasi riferirono alla modestia delloscultore, infine che in secolinon remoti “si avrà così fattocon religiosa scrupolositàmutilar le figure” sottintende ladestinazione a Paolo Barbocardinale.

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arte delle carta inSpagna, pur avendo vastee profonde radici, presen-

ta una storia alquanto oscura e,per certi versi, addirittura con-traddittoria. Alcuni studiosi,soprattutto la corrente capeg-giata da C. M. Briquet e da J.Irigoin, pur ammettendo che“l’Italie dispute a l’Espagne lapriorité, non de l’invention,mais de la fabrication dupapier en occident”, sono con-cordi nel ritenere che nel XV eXVI secolo la carta prodotta intutta la penisola non bastava néper i fabbisogni delle officinetipografiche attive sul territo-rio, né per le esigenze delleamministrazioni locali. La pro-duzione cartaria spagnola eradunque insufficiente, tanto cheesistono svariati documentidell’epoca comprovanti l’im-portazione di considerevoliquantità di carta dalla Francia(distretto di Bordeaux) edall’Italia (territorio diGenova), ma a stigmatizzare lasituazione risulta particolar-mente significativa la famosa“nota ai lettori” scritta conevidente stizza dallo stampato-re Juan Bermudo nell’introdu-zione al suo libro Umadodeclaracao de instrumentosmusicales, stampato ad Osunain Andalusia nel 1555, nelquale si legge: “L’opera com-prenderebbe sei parti, ma una

delle cause per le quali lasesta parte non ha potuto esse-re impressa, è la mancanza el’elevato costo della carta, cheè tale che all’inizio dellaprima parte valeva tre volte dimeno”.Altri studiosi, soprattutto lacorrente guidata da José CarlosBalmaceda e da Anne Basa-noff, pur ammettendo la supe-riorità del prodotto italiano,tendono invece a tracciare unprofilo più che positivo circa laproduzione cartaria spagnola,affermando che fin dal XIIIsecolo “la carta ispano-arabanon ebbe concorrenti nei mer-cati stranieri”. A sostegno diquesta tesi vengono riportatidiversi documenti che certifi-cano l’uso, la vendita e la

distribuzione della carta fabbri-cata in Spagna, non solo inAragona e nel resto dei regnispagnoli (soprattutto a Napolie in Sicilia), ma anche “invasta parte del VicinoOriente”.La verità è che in Spagna l’artecartaria, pur sviluppandosiabbastanza presto, non riuscì atenere il passo delle innovazio-ni tecniche apportate dai cartaiitaliani1, così che, tra il XV edil XVI secolo, cedette alla con-correnza straniera che costrinsei manifattori locali o ad ade-guarsi ai nuovi standards pro-duttivi, o ad sospendere la fab-bricazione di un prodottodiventato obsoleto e qualitati-vamente inferiore.Eppure proprio in Spagna, nei

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LE CARTIERE IBERICHE (XV-XVI secolo)

di Giuseppe NovaBibliofilo

L’

Filigrana “Stemma del re del casato di Barcellona” proveniente dalla cartiera diBarcellona (XV secolo).

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territori conquistati dagli arabi,sorsero diverse cartiere chefurono tra le prime aperte inOccidente. Secondo cronistiarabi, infatti, la carta in “al-Andalus” veniva già all’epocaprodotta nelle città di Cordoba(secondo il geografo Muqaddsinei dintorni della città eranoattive cartiere animate dalleacque del Guadalquivir, fin dalXI secolo2) e di Granada (inun documento epistolare del1130 tale Goiten evidenziava

la qualità della carta qui pro-dotta, affermando che si tratta-va della “migliore carta che ioabbia mai visto. E’ quasi com-pletamente bianca, resistente egradevolmente liscia3”. I muli-ni erano con ogni probabilitàubicati su seriole derivate daifiumi Darro e Genil, propriodove successivamente risultaattivo il maestro d’originegenovese Xeronimo de Fabian4

(documentato nel 1531). Esistono inoltre documenti cheattestano un’attività cartariaanche a Toledo (Judah Ha-Levi attorno al 1125 spedì“500 fogli di carta” da Toledo,rilevante città della Castiglia-La Mancha al suo amicoHalfon ben Nethanel in Egitto;mentre Pedro el Venerable nel1142 menzionò l’esistenza ditesti ebraici realizzati a Toledocon “carta straccia5” prodottada un opificio posto su un’ansadel Tago), Murcia (tra i docu-menti della cattedrale vennescoperto un contratto che con-teneva l’elenco del carico chepartì per la Sicilia ed altri luo-ghi verso la fine del 1267. Incalce vi erano le relative

“annotazioni d’origine” nellequali tra l’altro è segnalato“che la carta proviene daMurcia”, il che proverebbel’esistenza di industrie cartarieche, verosimilmente, eranoubicate su un braccio del fiumeSegura) e Barcellona6, doveerano stati avviati da maestricartai genovesi alcuni mulinida carta: in località Reixacerano attivi i folli gestiti daTàlamo de Fabiane (1525),Bautista Melibe (1531), BenitoBosan (1538), Stefano Patrone(1538), Tomaso Golo (1541),Lorenzo Bosa (1574) ePasquale Pollerà (1592); inlocalità Moncada quelli gestitida Beneto Borsa (1544) eSimone de Agramonte (1571);e in località Jonqueres il follogestito da Bartolomeo Lipora(1556).Negli archivi storici dellaCorona di Aragona nella catte-drale di Leon7 e nell’archiviocivico di Palma di Maiorca8,capoluogo dell’isola maggioredelle Baleari, sono conservatidocumenti che proverebberol’esistenza di antichi “molinosde papel” anche in queste città,

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Filigrana “Stemma con la Corona dellacittà di Valencia” proveniente da una car-

tiera di Valrncia (XV secolo).

1 Le cartiere italiane migliorarono la qualità del prodotto grazie alla raffinata ed omogenea preparazione della pasta realizzata conl’impiego di pile a magli multipli; con la tecnica di trattare i fogli con colla di gelatina animale che sostituiva le sostanze amidaceeutilizzate dagli arabi e dagli spagnoli che a lungo andare corrodevano la carta; e dando il giusto grado di impermeabilità, necessarioper una buona resa degli inchiostri.2 MÀRMOL BERNAL E., Cordoba, la ciudad de los libros (Barcellona 1997); Remie Constable O., Comercio y comerciantes en laEspana Musulmana (Atti del Quinto Congresso della Storia della carta in Spagna. Sarrià de Ter. Cataluna 2003).3 Documento riportato da C. Sistach nel suo saggio intitolato El papel àrabe en la Corona de Aragòn (Atti del Quinto Congressodella Storia della carta in Spagna. Sarrià de Ter. Cataluna 2003).4 Filigrane genovesi, oggi conservate nell’Archivio Storico di Granada, sono infatti riscontrate in atti pubblici della prima metà delXVI secolo.5 Si tratta del Breviarium et misale mozarabicum, ma anche di altri testi liturgici realizzati con questo particolare tipo di carta.6 MADUREL M.J.-MARIMON I., El papel a les terres Catalanes (Barcellona 1972).7 BURÒN CASTRO T., Papel hispano-àrabe en el Archivo de la Catedral de Leon (in “Actas del V Congreso Nacional de Historia delPapel en Espana” Sarrià de Ter 2003). 8 MUT CALAFELL A., Existieron molinos de papel en la Mayurqa Musulmana? (in “Actas del III Congreso Nacional de Historia delPapel en Espana” Alicante 1999).

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così come si ebbero più omeno importanti attività carta-rie a Cadice (attorno al primoquarto dell’XI secolo), a S.Vincente de Jonqueres, a LaRiba, a Copòns, a Manresa, aOlot, a Gerona (mulini tuttiaperti fra il 1158 e il 1193), masoprattutto a Valencia9, dove troviamo l’anconetanoAgostino di Giovanni, al qualenel 1442 “fu concesso il dirittodi dare inizio alla sua attivitàcartaria e di esercitarla perdieci anni in città”. “MastroAgostino”, che fu il primo pro-duttore straniero documentatoin Spagna, gestiva un mulinoda carta conosciuto come “car-tiera povera”, situato nellazona di Campanar. Nel 1448ottenne dal re Alfonso V il per-messo di far arrivare dall’Italiacinque maestri per lavorarenella sua cartiera: si trattava diTomas Andrach, Hodi Anfòs,Bentràn Oler e Johan Viu (tuttidi Genova) e Francisco delPorto (di Cagliari). Nel 1454 siaggiunse anche Luca de Pre, diSavona. A Saragozza aprì una cartieraattorno alla fine del XV secoloJaime Perez di Fano, a Jaén,in località Arbuniel, è docu-mentato nel 1581 il cartaio ita-liano Merlo de Scote, aSegovia gestì un proprio follonel 1515 Juan Thomas Favariodi Milano, e a Cuenca, il loca-lità Hoz del Huetar, fu attivonel 1538 il non meglio noto

maestro cartaio “NicolasVeneciano”.Ma la più antica e conosciutacartiera spagnola è senza dub-bio quella aperta dagli arabi aXativa10, oggi San Felipe, inprovincia di Valencia. Il folloin questione sfruttava la forzaidraulica per triturare con unmaglio, collegato alla ruotaanimata dalle acque del fiumeAlbaida, i frammenti di canapae di lino. Esistono documentiepistolari che provano e lodanola qualità della carta qui pro-dotta, come quelli scritti nel1154 e in momenti successivi11

dal famoso geografo al-Idrisi eda altri dignitari arabi. Il metodo di fabbricazionedella carta fu poi trasmessodagli specialisti arabi ai cristia-

ni di Xativa nel 1244, quandola zona fu conquistata daGiacomo I, il quale protesse,regolamentò e favorì la produ-zione. Un secolo più tardi, nel1338, il re Pedro IV, detto “ElCeremonioso” stabilì che “ilformato della carta non dove-va essere ridotto dai produttoridi Valencia e da quelli diXativa”, esigeva che “la cartadoveva essere fabbricatasecondo i vecchi metodi, man-tenendo le stesse dimensioni elo stesso peso” e, con successi-ve leggi del 1341 e 1352, ordi-nava che “la cartamantenesse”, nonostante l’evi-dente cattiva qualità “la stessacomposizione”.Con la conquista dellaSardegna nel 1323, però, iniziò

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Filigrana “Città turrita” proveniente da una cartiera di Xàtiva (XV secolo)

9 MONTALVO HINOJOSA J., Sobre mercaderes extrapeninsulares en la Valencia del siglo XV (1976) SALVADOR R., La economiaValenciana en el siglo XVI (1972). 10 BURNS I.R., El papel de Xàtiva (1999); ALONSO LLORCA J., La fabrìcaciòn de papel en Xàtiva (Cordoba 1999).11 Tutta la documentazione relativa al carteggio tenuto dal geografo al-Idrisi nel XII secolo è stata pubblicata nel volume Geografiade Espana (Valencia 1974).

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a penetrare nel Paese anche lacarta di fabbricazione italiana,la cui importazione fu partico-larmente incoraggiata dai re diAragona e di Castiglia che pre-ferivano il migliore prodottoitaliano nei loro territori. Ciònonostante Xativa continuò aprodurre carta in settori specia-listici diretti da Mori converti-ti, fino alla loro espulsione nel1609.

Durante il XV e XVI secolosono state documentate in ter-ritorio spagnolo diverse filigra-ne che comprovano l’uso divari tipi di carta da parte nonsolo dei fabbricanti e dei ven-ditori specializzati, ma soprat-tutto degli stampatori e delleamministrazioni pubbliche. Aquesto proposito esistono studiche riguardano in modo speci-fico i “senyal de papel” riscon-trati in varie città spagnole: è ilcaso di Madrid (con riferi-mento alla filigrana “Mano constella”, segnalata dal 1530 al

1580, alla filigrana “Serpente”,segnalata negli anni Trenta delXVI secolo, entrambe di pro-venienza francese” e alla fili-grana “Croce latina” segnalatadal 1560 al 1580 di provenien-za genovese), Valladolid (conriferimento alla filigrana“Serpente” segnalata dal 1525al 1555 di provenienza france-se, e alla filigrana “Bilancia”segnalata negli anni Trenta delXVI secolo di provenienza ita-liana), Pamplona (con riferi-mento alla filigrana “Mano constella”, segnalata negli anniSessanta del XVI secolo e allafiligrana “testa umana” segna-lata sempre negli anni Sessantadel XVI, entrambe di prove-nienza francese) e Segovia(con riferimento alla filigrana“Mano con scudo”, segnalatanell’ultimo quarto del XVsecolo, di provenienza italia-na).

Con l’inizio del Seicento,anche a causa della grave crisidovuta all’aumento del costodegli stracci e delle altre mate-rie prime, in Spagna si assistet-te ad un inesorabile declinodella manifattura cartaria cheportò alla chiusura di moltiopifici e ad un netto ridimen-sionamento delle importazionidall’estero. Soltanto quegliimprenditori che sepperoapportare i necessari cambia-menti ed investire in nuovetecnologie sopravvissero aquesta congiuntura e, coltempo, riuscirono a conquista-re una fetta importante delmercato interno, sostituendosiai produttori stranieri, soprat-tutto italiani e francesi.

In Portogallo l’arte della stam-pa fu introdotta dal tipografoebreo Samuel Gacon, il qualepubblicò nel 1478 a Faro ilPentateuco con carta fatta arri-vare dalla vicina Spagna (pro-babilmente da Cordoba o daGranada). I primi stampatori cristianifurono fatti venire da Eleonorad’Aragona, moglie di EdoardoI re del Portogallo, nel 1495allo scopo di aprire un’officinatipografica a Lisbona e, quindi,i primi libri usciti dai torchiattivi nella capitale portoghesesono successivi a tale data. Lacarta che serviva per scopiamministrativi di competenzadelle amministrazioni pubbli-che era tutta importata dagliopifici spagnoli gestiti primadagli arabi (Cordoba, Ganada,Toledo e Xativa), poi dai mae-stri cartai italiani (Barcellona,Valencia e Saragozza).L’unico riferimento certo circala provenienza della carta usatain Portogallo nel periodo con-

Filigrana “Mano con scudo” riscontrataSegovia (XV secolo). Filigrana “Bilancia” riscontrata a

Valladolid (XVI secolo).

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siderato riguarda la città diEvora, antico possedimentoarabo e località dal prestigiosopassato (nel XVI secolo fu laseconda città del Paese), dovein diversi antichi documenti èregistrata la presenza della fili-grana “Vaso a due anse”,segnalata negli anni Trenta delXVI secolo e d’incerta prove-nienza (non sembrerebbe,come vorrebbero alcuni autori,di produzione locale, ma piut-tosto di fabbricazione mediter-ranea: italiana o del Midi fran-cese).Vere e proprie cartiere sorseroin territorio portoghese soltan-to nei secoli successivi, riu-scendo così ad eliminare lastorica dipendenza dalla produ-zione straniera.

Filigrana “Vaso a due anse” riscontrata aEvora nel 1536.

BibliografiaALONSO LLORCA J., La fabrìcaciòn de papel en Xàtiva (Cordoba 1999).BALMACEDA J.C., Los fabricantes del papel del molino de Maro. Investigaciòn y tècnica del papel(Madrid 2000).BALMACEDA J.C., La contribuciòn genovesa al desarrollo de la manufactura papelera espanola(Madrid 2005).BURNS R.I., El papel de Xàtiva (Xàtiva 1999).

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BURNS R.I., El papel de Xàtiva . Ayuntamiento de Xàtiva (Madrid 1999)BURÒN CASTRO T., Registri della carta ispanico-araba dal 1270 al 1468 (Madrid 1982).BURÒN CASTRO T., Papel hispano-àrabe en el Archivio de la Catedral de Leon (Sarrià de Ter2003).CABANES PECOURT M.D., El Consejo valenciano y la compra de papel en la primera mitad delsiglo XV (Cordoba 2001).CASTAGNARI G., Contributi italiani alla diffusione della carta in occidente (Fabriano 1990).CASTAGNARI G., L’arte della carta nel secolo di Federico II (in “Federico II e le Marche, Roma1994).DERENZINI G., La carta occidentale nei manoscritti datati XIII e XIV secolo (Fabriano 1990).GAYOSO CARREIRA G.., Historia del papel en Espana (Vigo 1995).GUTIÉRREZ M.-POCH I., Full a Full. La indùstria papelera de l’Anoia (Barcellona 1999).HIDALGO BRINQUIS M.C., Spanish Watermarks (Brepols 1999).HINOJOSA MONTALVO J., Sobre mercaderes extraoeninsulares en la Valencia del siglo XV (in“Revista Saitibi”, Valencia 1976).IRIGOIN J., L’introduction du papier italien en Espagne (in “Papiergeschichte” n. 10, 1960).MADURELL J.M.-MANCLÙS CUNAT I., Papeleros italianos en Valencia (Cuenca 1999).MARIMON I., El papel a les terres Catalanes (Barcellona 1972).MARMOL BERNAL E., Cordoba, la ciudad de los libros (Sarrià de Ter 2003).MUJTA AL-CABBADI O., Las artes del libro en al-Andalus y el Magreb (Madrid 2005).MUT CALAFELL A., Existieron molinos de papel en la Mayurqa Musulmana? (Alicante 1999).REMIE CONSTABLE O., Comercio y comerciantes en la Espana Musulmana (Barcellona 1997).SALVADOR E., La economìa Valenciana en el siglo XVI (Valencia 1972).SISTACH C., El papel àrabe en la Corona de Aragòn (Cuenca 2003).SISTACH C., Microscopio y reactivos son espejo del papel (Sarrià de Ter 1997).SISTACH C., Aportaciòn al estudio del papel sin filigranas en la documentaciòn de la Corona deAragòn (Cordoba 1997).

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a sera del 14 giugno2011 presso il RotaryClub Brescia Ovest il

nostro socio Giuseppe Nova èstato insignito della medagliad’oro per il “Premio allaBrescianità” dal Presidente delClub, Guido Rossi, in ricono-scimento dell’attività di ricercaportata avanti da GiuseppeNova nel corso degli ultimi 20anni con particolare attenzioneall’ambito dell’attività editoria-le e tipografica -libri e stampe-nel territorio bresciano, ricer-che che l’hanno portato a pub-blicare nove libri, stampatidalla Fondazione CiviltàBresciana e dall’AssociazioneBibliofili Bresciani“Bernardino Misinta”, e nume-rosi articoli, usciti sulla nostrarivista “MISINTA”, nonché acomparire come relatore indiverse conferenze, tenutenella Emeroteca dellaBiblioteca Queriniana.L’iniziativa è nata dall’ottimaconoscenza che il dott. CarloGorno, già socio bibliofilo eappartenente al Rotary Club,ha delle realtà culturali cheagiscono in Brescia e nel terri-torio. Il dott. Gorno ha anchepromosso un’intervista, tra-smessa il 30 maggio neglistudi di Teletutto, con la parte-cipazione di Giuseppe Nova edel nostro Presidente, FilippoGiunta.

Alla premiazione erano presen-ti Ennio Ferraglio, Direttoredella Biblioteca CivicaQueriniana, Filippo Giunta ePietro Lorenzotti, socio Rotarye “Misinta”, bibliofilo edesperto collezionista di libristampati a Brescia e non solo.Riceviamo e volentieri pubbli-chiamo la relazione di un testi-mone oculare della serata:

“Pochi, se non gli addetti ailavori, possono sospettare chedietro il banco dell’edicoladella stazione, attorniato dariviste, giornali e biglietti fer-roviari, lavori uno dei maggio-ri esperti della storia dellastampa e dell‘editoria brescia-na.Per gli antiquari, i collezionistidi libri ed incisoni, per i diret-

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A GIUSEPPE NOVA IL PREMIO ALLA BRE-SCIANITA’ DEL ROTARYdi Mino MorandiniProfessore di Lettere Ginnasiali al Liceo Classico Arnaldo da Brescia; Socio dell’Ateneo di Brescia.

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tori di biblioteche di tutto ilmondo Giuseppe Nova è unafonte di informazioni inesauri-bile; i suoi volumi che trattanola storia dell’editoria brescianadall’origine ai giorni nostrisono uno strumento imprescin-dibile per capire lo svilupposociale, imprenditoria e cultu-rale della nostra città. Come haavuto modo di sottolineare ilprimo dei relatori della serata,il Dr. Ferraglio, l’opera diGiuseppe Nova è monumenta-le; composta da numerosivolumi, saggi piacevoli, ricchied approfonditi, rappresenta

una fonte impagabile che per-mette di capire di più la storiadell’editoria. E’ un’operaimponente a cui Nova ha dedi-cato con grande passione tuttoil suo tempo libero; e continuaa dedicarlo. Ci consente di sco-prire che a Brescia si sonostampati molti volumi per unmercato non solo cittadino, maper tutto il territorio nazionale;ci dà una immagine dellanostra città che le dà cittadi-nanza nel mondo della cultura.Le stesse parole di apprezza-mento vengono dal Presidentedell’Associazione Bibliofili,

Dr. Giunta, che nel suo inter-vento ha sottolineato comel’associazione si sia giovatadella collaborazione diGiuseppe Nova per pubblicarediverse monografie in volumeed articoli nella rivista MISIN-TA; collaborazione culminatanella mostra del 2004 in SantaGiulia dal titolo DallaPergamena al Monitor. Ultimodei relatori, il Dr. Lorenzotti,che per sottolineare l’impor-tanza dello studioso Nova ci haletto la prefazione da lui stessoscritta per il primo dei volumidi Nova dedicato a Stampatori,librai ed editori bresciani inItalia nel ‘500. Per ultimo haparlato Giuseppe Nova, che ciha descritto come in questiultimi 20 anni abbia cercatocon le sue opere di dare uncontributo a raccontare l’ope-rosità dei bresciani. Nova hasottolineato che, nonostanteBrescia non avesse le caratteri-stiche essenziali per diventareun centro di stampa importante(la presenza di una Università,la presenza di almeno un gran-de mecenate, l’essere un centrodi grande comunicazione), riu-scì ugualmente a sviluppareuna propria editoria grazie atre fondamentali qualità: ilcarattere imprenditoriale deibresciani; la presenza di unagrande scuola di incisori, consede presso i Carmelitano; lapresenza di importantissimecartiere. La serata si è conclusacon la cerimonia della conse-gna a Giuseppe Nova delPremio alla Brescianità.”

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rosegue la divulgazionedelle legature Queriniane,con l'unica coperta bizan-

tina custodita in questaBiblioteca su testo C. LASCARI,Tractatus de nominibus et ver-bis, manoscritto cartaceo delsecolo XV, 217x140x45 mm,segnata Ms. B.VII.15 (Figura1). Cuoio bruno di capra dal fioreparzialmente scomparso, suspesse assi in legno (10 mm)decorato a secco. Coppia dicornici concentriche ornate apiastrella: esterna a raffiguraredei motivi cuoriformi affrontatifogliati, interna a viticci (nodiintrecciati sul piatto posterio-re). Specchio diviso da unacoppia di filetti incrociati:negli spazi così creati, alcunipunzoni raffigurano dei mostrifantastici, delle aquile bicipitiad ali patenti e delle rosette.Dorso liscio. Capitelli a spinadi pesce, di colore rosso, verdee bianco. Tracce di un tenonesul piatto anteriore e di duelegacci a tre trecce in cuoiofissati al contropiatto posterio-re. Il taglio grezzo raffigurasette cerchi rosa tra loro colle-gati con un nastro a torciglionerosa, marrone e bianco.Rimbocchi al naturale.Contropiatti rivestiti da unfoglio di carta bianca. Lo studioso Anthony Hobson,con lettera in data 22 maggio

2006, ritiene il volume propo-sto realizzato a Candia(Herakleion, Figura 2), Creta,dall'officina più importante

dell'isola, attiva nella secondametà del secolo XV, e proba-bilmente, anche all'inizio diquello successivo. Confortano

UNA LEGATURA BIZANTINA ALLA BIBLIO-TECA QUERINIANA

di Federico MacchiBibliofilo, esperto in Legature Storiche

P

Figura 1. Legatura della seconda metà del secolo XV, eseguita a Candia (Herakleion),Creta, dalla più importante officina dell'isola, su C. LASCARI, Tractatus de nominibuset verbis, manoscritto cartaceo sec. XV, Brescia, Biblioteca Queriniana, Ms. B.VII.15,

piatto anteriore.

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Figura 2. Mappa di Creta con l'attuale comune di Candia evidenziato in rosso.

l'attribuzione cretese, i motivicuoriformi affrontati fogliati1(Figura 3), i viticci2 e i punzo-ni triangolari dall'animale fan-tastico interno3. Le legature bizantine sonoquelle eseguite dall'VIII alXVI secolo nei territori del-l'impero bizantino o in quelliche, per averne fatto parte inpassato, ne conservarono l'ere-dità culturale: Costantinopoli,la Macedonia, la Grecia conti-nentale, le isole Egee, Cipro,

Creta, Rodi, l'Egitto, laPalestina, la Turchia, laMesopotamia e, in Italia, laCampania, la Calabria e le cittàdi Messina e di Otranto. Undiscorso a parte meritano lelegature preziose di testi litur-gici: le più note, eseguite dalsecolo VIII al XII, sono rico-perte con lamine d'argentodorato e decorate con pietrepreziose, perle e smalti. Quelle correnti, viceversa, ese-guite su manoscritti, sonocaratterizzate da:- capitello più alto del bloccodel volume, spesso doppio,costituito da fili colorati,avvolti attorno a un'animacucita in testa e al piede deldorso, che si prolunga suibordi delle assi (Figura 3a,3b);- assenza di unghiatura, parteinterna del piatto che deborda,

sui tre lati rispetto al corpo delvolume lungo il taglio: il bloc-co dei fogli possiede così lastessa dimensione della coper-ta; - dorso liscio, senza nervi;- assi lignee, in prevalenzapioppo, ma anche conifere,faggio o quercia;

1 FEDERICI, CARLO - HOULIS, KOSTANTINOS, Legature bizantine vaticane, Roma, F.lli Palombi editori, 1988, p. 120, Vat. gr. 1585;PHILIPP HOFFMANN, Reliures crétoises et vénitiennes provenant de la bibliothèque de Francesco Maturanzio et conservées aPérouse, in "Mélanges de l'école française de Rome, Moyen Age. Temps Modernes", 94, 1982, 2, pp. 729-757, p. 734, planche II,Perusinus 714. 2 Idem. 3 Città del vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, Barb. gr. 249; FEDERICI - HOULIS, 1988, p. 120, Vat. gr. 1585.

Figura 3b. Legatura bizantina del secoloXV, su Hisocratis et plures alii auctoresgraeci mss., manoscritto cartaceo sec.XV, Cremona, Biblioteca statale, Ms.

160. Piatto posteriore, dettaglio del capi-tello in testa, di profilo.

Figura 3a. Legatura bizantina del secoloXV, su Hisocratis et plures alii auctoresgraeci mss., manoscritto cartaceo sec.

XV, cc. 347, Cremona, Biblioteca statale,Ms. 160. Piatto posteriore, dettaglio del

capitello in testa, di fronte.

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Figura 3. Legatura bizantina del secolo XV, Città del Vaticano, Biblioteca vaticana, Vat. gr. 1585. Piatto anteriore.

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- copertura in cuoio general-mente di capra, di colore mar-rone o marrone rossiccio;- fermagli su uno o più lati deipiatti, costituiti di solito da trecorde in cuoio intrecciato col-locate sul contropiatto poste-riore, agganciate al bordo delpiatto anteriore mediante unanello infilato in un bottoncinoo tenone (Figura 4). Soggetti, acausa della loro posizione, a unforte logoramento, i fermaglisono assenti nella maggiorparte degli esemplari; il metal-lo più usato per il tenone sem-bra sia l'ottone:- scanalatura lungo il labbrodei piatti, la cui funzione e ori-

gine non sono ancora del tuttochiare: forse la forma derivadalle antiche legature coptenelle quali la scanalatura era ilrisultato dell'unione di doppipiatti di fogli di papiro rivesti-titi separatamente;- uso frequente di borchie inottone, argento, argento dorato,rame, il cui numero può aiutarea definire la provenienza delmanufatto. Tra le più comuniquelle angolari a forma dimandorla ("amigdalai"), giglio,oppure rotonde, al centro deipiatti, anche a forma di soleradiante ("boullai"); - cucitura dei fascicoli senzal'aiuto dei nervi: i fascicoli

sono legati tra loro dal solospago il quale, creando unacatenella per ogni traccia dicucitura, li àncora l'uno all'al-tro (Figura 5);- indorsatura, operazione checonsiste nel consolidare laforma arrotondata del dorso,creando nello stesso tempo ilmorso o spigolo: è ottenutaincollando con dell’adesivovegetale un lembo di tessutosul dorso, fino ad abbracciareun terzo circa della superficiedei piatti. La sua funzione èquella di migliorare il rapportotra il blocco delle carte e leassi, reso precario dall'assenzadei supporti di cucitura (Figura6); - fissaggio delle assi al bloccomediante il passaggio dei filidelle cuciture attraverso deifori praticati nelle assi inlegno, o a scanalature orizzon-tali congiunte obliquamente a"zig-zag" (Figura 6).La decorazione delle legaturebizantine, sempre a secco,poco è mutata nel corso deisecoli: essa adotta infatti dueschemi fondamentali, variatimarginalmente nella lungavicenda di questo impero. Ilprimo è costituito da una cor-nice rettangolare a filetti, tal-volta arricchita da piccoli ferri.I piatti sono divisi all'internoda filetti disposti a croce disant'Andrea (Figura 7) e alosanga: i triangoli che nerisultano sono provvisti di pic-coli ferri. Il secondo schema ècostituito da cornici rettangola-

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Figura 4. Schemi di fermaglio di legaturabizantina.

Figura 5. Schema di un blocco cucito dilegatura bizantina.

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Figura 7. Schema ornamentale a croce disant'Andrea di legatura bizantina.

Figura 6. Schema di indorsatura e di fis-saggio delle assi al blocco di legatura

bizantina.

Figura 8. Serie di punzoni tratti da legature bizantine dei secoli XV-XVI.

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ri concentriche che formano alcentro uno stretto specchio ret-tangolare, anch'esso ornato dipiccoli ferri: aquile, animalifantastici, fiori, palmette, ara-beschi, oppure, in un contornogeometrico, figure come fioridi loto, rosette a sei petali,viticci,stelline, gigli, iris e cer-chietti (Figura 8). Il taglio puòessere: manoscritto general-mente su quello di piede; amotivi in tintura monocromarealizzati ad inchiostro; a fregipolicromi, come qui, spessocaratterizzati da intrecci e race-mi (Figura 9). La datazione diesecuzione della legatura,generalmente basata sulla tipo-logia dell'ornamentazione, nonè qui significativa in quantosvolta analogamente per secoli:non può quindi che basarsi sulperiodo di redazione del mano-scritto originario. Affianca questo genere inOccidente, la legatura allagreca, varietà impostasi in

Italia e in Francia nel secoloXV e nel XVI (Figura 10, 11),nel quadro dell'interesse dellacultura umanistica per la clas-sicità, impiegata in genere perle opere di autori greci, anchetradotte, che è caratterizzata daelementi in gran parte comunia quelli delle legature greco-bizantine, differenziandosenetuttavia per: - la cucitura su nervi realizzatatramite il grecaggio, serie diintagli praticati sul dorso deifascicoli con una piccola segaper alloggiarvi gli spaghi sucui si esegue la cucitura, ondeottenere un dorso liscio, senzanervature; - la decorazione a secco e inoro; - capitelli di tipo rinascimenta-le; - eventuali zoccoli, come sullelegature reali francesi eseguiteprima per Francesco I (1515-1547), poi per Enrico II diFrancia (1547-1559): in queste

legature, il dislivello fra labase del dorso, più alta di quel-la del taglio inferiore, è colma-to fissando 2 o 4 piedini d'ar-gento più o meno rilevati, allabase del volume, sul suo bordoanteriore e posteriore, così dapoterlo collocare in posizioneeretta.La legatura alla greca, tuttavia,si limita a una particolare strut-tura, senza proporre particolaridecorazioni, che sono in gene-re legate agli stilemi dominantinel luogo e nel periodo di ese-cuzione. Diffusasi sul finire delsecolo XV in Italia, e partico-larmente a Venezia, dove fuadottata nel secolo successivoda legatori quali Andrea diLorenzo o "Mendoza binder",Anton Ludwig, il"Venezianischer Fugger-Meister", la legatura alla grecasi affermò poi in Francia, cometestimoniano le numerose eimportanti legature eseguiteper Francesco I e Enrico II, e

Figura 9. Taglio di piede della legatura bizantina Queriniana di cui alla Figura 1.

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Figura 10. Legatura alla greca eseguita a Bologna nella prima metà del secolo XVI, su Apollonius Dyscolus, De constructione.Magni Basilij De grammatica exercitatione, Florentiae, in aedibus Philippi Iuntae Florentini, 1515, A.V.X.XVI.11.

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Figura 11. Legatura alla greca eseguita a Parigi verso il 1550, alle armi di Enrico II di Francia (1547-1559), su ManuelisMoschopuli de ratione examinandæ orationis libellus, Gr., Paris, 1545, Londra British Library, c46h11.

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Figura 12. Legatura alla greca eseguita a Parigi nel primo quarto del secolo XVII, alle armi di Jacques-Auguste de Thou (1553-1617) e della seconda moglie Gasparde de la Chastre, su Historiae Augustae scriptores sex.. Isaacus Casaubonus..., Paris, 1603,

Londra, British Library, c20d12.

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in misura minore in Germania,come attestano, fra gli altri,alcuni volumi così legati per iFugger. Agli inizi di quellosuccessivo, quando questelegature non erano più richie-ste da almeno una generazione,appartiene una ventina di

esemplari eseguiti per Jacques-Auguste de Thou, in maggio-ranza alle armi della suaseconda moglie, Gasparde dela Chastre, sposata nel 1602(Figura 12). Originariamenteriservata ai manoscritti e ailibri in greco, questo tipo di

legatura fu utilizzata nel secoloXVII anche per altri testi dipregio.

38Delfino. Da ANIMALI FANTASTICI, I miti del mondo greco, romano ed etrusco, Silvana Editoriale, 2011.

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e fonti librarie della cultu-ra latina sono da cercareprevalentemente (e ovvia-

mente) nel mondo greco italio-ta, dal quale dipende la lettera-tura latina fin dagli albori, conil tarantino Livio Andronico(III sec. a.C.), schiavo e poiliberto dell'aristocratica gensLivia, primo autore di opereletterarie (epiche e teatrali,delle quali ci restano scarniframmenti) in latino; ma ancorprima, seppure in misuraminore e forse minima, traccedi testi scritti ci riconducono almondo etrusco, nel quale nascela prima scrittura italica, moltoprobabilmente appannaggioesclusivo, almeno all'inizio, diambienti femminili (è noto chele donne etrusche delle classialte godevano di una libertà eautorevolezza ignote alledonne greche e solo in minimaparte ereditata dalle matroneromane dei secoli successivi).Infatti i primi oggetti scrittirinvenuti in area italica sonotavolette con fori e segni -leprime lettere- incisi, usate perla tessitura e quindi da donne,e brevi testi epigrafici rinvenu-ti in aree di culto di divinitàfemminili, dove le sacerdotes-se davano responsi; ancor piùimportanti sono i libri lintei,dei quali ci parlano autori piùtardi (p. es. Livio, 4,13,7) eche troviamo raffigurati in

alcune opere d'arte etrusca:libri di lino, avvolti a volumecome i papiri o anche piegati afisarmonica e difesi da dueassicelle, come i futuri codici,ma senza legatura. Il più lungotesto etrusco sopravvissuto èappunto un liber linteus, 12bende di lino che avvolgevanouna mummia di età greco-romana, rinvenuta adAlessandria d'Egitto: è lacosiddetta "Mummia diZagabria" (o di Agram), dalnome della città nella quale futrasportata ed è conservata.Dai confinanti Etruschi quindi,prima che dagli Italioti, Romaricevette con ogni probabilitàl'uso della scrittura e dei libri,connessi però non tanto conl'ambito letterario (benchéanche tra gli Etruschi esistesseuna letteratura: abbiamo noti-zie di testi tragici, storici, dioratoria politica e d'altro),quanto con l'ambito giuridico-sacrale, basato fin dall'inizio(le 12 aquile viste da Romoloal momento della fondazionedi Roma) sull'aruspicina, o"Etrusca disciplina", la scienzadi trarre auspici dalle visceredelle vittime sacrificali o dalvolo degli uccelli o da altrifenomeni naturali, per la qualeesistevano, ab immemorabili, ifamosi "Libri Haruspicini"(cfr. Cicerone, de divinatione1,72) che, con i parimenti

famosi e antichissimi "LibriSibyllini" (cfr. Cicerone, dedivinatione, 2,112 e Livio, 22,9, 8), contenenti gli oracolidella Sibilla di Cuma, la piùantica colonia greca dell'Italiacontinentale, fondata nell'VIIIsec. a.C. da greci di Càlcide,chiudono il cerchio delle primefonti librarie romane. Per avereun'idea dell'uso pratico di que-sti libri, che non possono inalcun modo essere associati alnostro concetto laico di biblio-teca come deposito di cono-scenze scritte, basta leggereLivio, XXII 57, 4-6: nel 216a.C., dopo la disastrosa scon-fitta di Canne, con Annibalealle porte di una Roma presso-ché indifesa (per difenderlafecero sbarcare parte dei mari-nai e arruolarono, come dicenel § 9, tutti i ragazzi di 17anni "e anche alcuni più giova-ni"), in questa atmosfera tragi-ca, dopo aver fatto seppellireviva una vestale accusata difornicazione (l'altra s'era suici-data) e aver massacrato a fru-state lo scriba del ponteficeche aveva cooperato all'infa-mia, il senato ordina ai decem-viri - i magistrati che soli pote-vano farlo- di consultare iLibri Sibillini, e il responso,prontamente eseguito, è che“un Gallo e una Galla, unGreco e una Greca (evidente-mente schiavi al servizio, per

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I SACRARI DEL SAPERE ANTICO:DALLE BIBLIOTECHE DELL’ANTICA ROMA AVIVARIUM.di Antonio SempriniPediatra e Bibliofilo.

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loro disgrazia, di qualche fami-glia romana, e quindi del tuttoincolpevoli sia delle imprese diAnnibale e dei suoi mercenarigalli e greci, sia della defezio-ne di alcune città italiote) furo-no sepolti vivi sotto terra nelForo Boario, in un luogo recin-tato da pietre, già prima imbe-vuto del sangue di vittimeumane, secondo un rito chenon è affatto romano (Livioallude ad analoghi sacrificifatti per propiziare la guerracontro i Galli di 10 anni primae, come meglio può, disappro-va)". Si può capire come mai,caduto l'Impero, nessuno abbiavoluto sprecare pergamena pertrascivere i Libri Sibillini, deiquali restano solo frammenti,mentre un clamoroso falso,l'apocrifo degli OracoliSibillini, testi forse del I sec.a.C. interpolati da Ebrei eCristiani fin verso il IV sec.d.C., venne conservato e tra-scritto, ispirando anche nume-rose opere d'arte, come leSibille michelangiolesche1.

Il primo scrittore veramentelatino, nato a Sarsina, nell'at-tuale Romagna, sul finire delIII secolo a.C., fu Plauto. Egli,conoscitore della lingua greca,scrive le sue commedie (ce nesono pervenute 21, quelle chemarco Terenzio VarroneReatino, nel I sec. a.C., avevadefinite autentiche, rispetto alcorpus di 130 commedie attri-buitegli; la ventunesima, laVidularia, è mutila; queste 21,nonostante il contenuto spessoassai poco castigato, vennerocopiate nel Medioevo e sonoall'origine del teatro comicoeuropeo) adattando e contami-

nando canovacci e situazionida commedie greche, ma rin-novandone potentemente la viscomica con quell'"aceto itali-co" che già i critici antichi ave-vano rilevato come il suo pre-gio maggiore, assieme allacreatività musicale dei cantica,parti cantate da un solo attoredove rifulgono le capacità poe-tiche e l'abilità metrica (inumeri innumeri) di Plauto, edove si riversa e si salva ancheun mondo di suggestioni eimmagini, battute e giochi diparole nati dalle antiche cultu-re orali italiche, altrimenti per-dute, che in Plauto trovano iltraghettatore nella letteraturalatina (ndr).E' lecito porsi la domanda sucome e dove Plauto potessetrovare i testi greci da imitare econtaminare nelle sue comme-die. Gli studiosi ritengono cheegli si servisse di testi in pos-sesso degli stessi impresari tea-trali, i quali dovevano necessa-riamente avere , per le lororappresentazioni, i testi teatralidegli autori greci, che essicomperavano o facevano com-perare a Taranto o a Siracusa.

A partire dal II secolo a.C. iRomani delle classi sociali piùelevate furono sempre piùattratti dalla cultura greca; neimpararono la lingua e ne stu-diarono la letteratura. Di con-seguenza amarono dotarsi dibiblioteche sempre più ricche.Tuttavia la nascita delle primeimportanti biblioteche privateromane fu il frutto di compor-tamenti non certo ortodossi,trattandosi di bottini di guerra.

Le biblioteche private nella

Roma repubblicana.La prima biblioteca romanaprivata di cui si abbia docu-mentazione storica è quella diScipione Emiliano.Appassionato di cultura greca,durante la conquista dell'impe-ro macedone realizzata dalpadre Emilio Paolo con la bat-taglia di Pidna, egli ottenne dalui, come bottino di guerra,l'intera biblioteca del re mace-done Perseo. Si trattava di unaraccolta molto ricca, perché erastata iniziata verso la fine delV secolo a.C. dal re Archelao eampliata ulteriormente daAntigono Gonata (III secoloa.C.).Quando nell'86 a.C. Silla con-quistò Atene, si appropriò dellabiblioteca di Apelliconte di Teoche conteneva i resti dellebiblioteche di Aristotele e diTeofrasto, acquistati dagli eredidi Neleo:" (…) Aristotele aveva lasciatola sua raccolta in eredità aTeofrasto, suo successore nelladirezione della scuola.Teofrasto la lasciò a sua volta,insieme alla propria, al disce-polo Neleo che trasportò iltutto nella propria città natale,Scepsi, in territorio diPergamo. La collezione passòpoi ai suoi eredi, personecomuni che non utilizzaronomai i libri, ma si limitarono aconservarli, fino a quando levoci sulla bramosia del re diPergamo per nuove acquisizio-ni li indusse a sotterrarli.(…)"(Strabone, 13, 608-609)Silla si impadronì quindi dellaraccolta e la trasferì a Roma,lasciandola in eredità al figlioFausto. Quest'ultimo però,nutrendo poco interesse per

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quei libri, ne affidò la cura peril restauro e la conservazioneal bibliotecario Tirannione,studioso greco che viveva aRoma.Dai bottini di guerra dellecampagne militari nel Ponto,contro Mitridate e Tigrane,nacque la ricchissima raccoltadi Lucullo, che si potè permet-tere di dotare la sua sontuosavilla romana e le sue ville dicampagna, come quella diTusculo, di biblioteche traboc-canti di libri greci. Le sue rac-colte erano però generosamen-te aperte a parenti, amici e aquei letterati greci che avevanopreso dimora a Roma con iquali egli conversava amabil-mente all'ombra dei porticidella villa.Origine più corretta ebberoinvece le grandi bibliotecheprivate di Cicerone e del suoamico Attico, perché questefurono il risultato di acquisi-zioni fatte sul mercato librario2

che era fiorente ad Atene, laprima città a sviluppare questogenere di mercato, Rodi eAlessandria. Ma anche a Romaesisteva un mercato librario ,anche se di minor qualità, In

quanto a fedeltà dei testi.Cicerone stesso parla in unasua orazione di una tabernalibraria (negozio di libri), vici-no al Foro. Il negozio di libriera sostanzialmente uno scrip-torium dove copie degli autoripiù letti, perché di uso scolasti-co o di gran moda in quelmomento, venivano trascrittisu ordinazione.Le biblioteche di Cicerone3 edAttico4 erano così vaste e com-plesse che necessitavano di unsistema organizzativo altamen-te specializzato; perciò essidotarono le loro biblioteche di

una schiera di greci altamentequalificati oltre che nell'orga-nizzazione della loro bibliote-ca, anche nella sua manuten-zioneCicerone sistemò la sua biblio-teca ad Anzio5 , assicurandosila collaborazione di quelTirannione che aveva organiz-zato la biblioteca di FaustoSilla ispirandosi ai modellialessandrini. Frequenti eranogli scambi di libri, per motividi studio e/o di copiatura, tra lebiblioteche di Cicerone, Atticoe Lucullo e di Fausto Silla.Frequenti erano i furti di libri e

1 I Libri Sibillini, che la leggenda vuole scritti dalla Sibilla Cumana, secondo quanto scrive Aulo Gellio nelle sue “ Notti Attiche”,furono acquistati dal re di Roma Tarquinio Prisco ed ebbero come prima dimora il Foro Romano, per essere trasferiti successiva-mente nei sotterranei del tempio di Giove Capitolino. Distrutti da un incendio il 18 marzo dell’83 a.C. la raccolta venne ricostituitadopo lunghe ricerche nelle città ove erano conservate le profezie delle Sibille. L’imperatore Augusto selezionò accuratamente leraccolte oracolari facendo riporre quelle che riteneva autentiche in due armadi dorati nel tempio di Apollo Palatino e bruciare lealtre come false.Quattro secoli dopo, con l’avvento del cristianesimo, il Libri Sibillini furono proibiti come testimonianza di unacultura pagana e pare che siano stati distrutti per ordine del generale romano di origine vandala Stilicone.2 Librai famosi a Roma sono citati da Orazio: i Sosii; da Quintiliano e Marziale: Trifone e Atretto.3 Fu probabilmete Attico a fornire Cicerone la prima raccolta di libri attraverso l’acquisto in blocco di una biblioteca greca. A que-sto primo blocco di libri si aggiunse poi la donazione fattagli dall’uomo di affari e ammiratore Lucio Papirio Peto. SuccessivamenteCicerone arricchì la sua raccolta libraria anche di qualche libro pregiato della biblioteca di Fausto Silla, che aveva poco amore per ilibri e la cultura in genere ed aveva la fama di spendaccione.4 La biblioteca di Attico era ingente per la sua attività di editore, tanto da fornire egli stesso Atene di testi greci.5 Ma aveva una villa anche a Cuma, vicina a quella di Fausto Silla ed una a Tusculo, vicina a quella di Lucullo.

Figura 1. .Ricostruzione ideale della Villa dei papiri di Ercolano (Globopix).

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lo stesso Cicerone ci raccontadi un furto di libri operato dauno schiavo che fuggì e non fupiù catturato, con grave disap-punto del grande oratore e diquei collaboratori che egliaveva sguinzagliato per i vastiterrori occupati da Roma,avviata ormai a diventare lacapitale di un immenso impe-ro.La biblioteca di Varrone6 eraanche più ricca di quelle citate.Varrone, il sopracitato coltissi-mo filologo plautino, vissutotra il 116 e il 27 a.C., ebbe unagrande produzione letteraria,ma di lui ci sono pervenuti sol-tanto un libro sull'agricoltura ilDe re rustica e, con qualchelacuna, i libri dal V al X delDe lingua latina, la prima trat-tazione sistematica della lingualatina, nella quale confluisconoanche dati desunti dalla suaattività di filologo plautino,libri salvatisi nella bibliotecadi Montecassino. (ndr).In età imperiale ebbero impor-tanti biblioteche privatePersio7, Silio Italico, Plinio ilgiovane nella sua villaLaurentina, SerenoAmmonico.8

L'eruzione del Vesuvio del 79d. C. ci ha restituito la bibliote-ca della Villa cosidetta "deipapiri" ad Ercolano (Figura.11), che si presume sia appar-tenuta a L. Calpurnio Pisone,suocero di Cesare. Gli studi

fatti sui papiri ritrovati hannoportato a conoscere che labiblioteca era formata princi-palmente da opere di Filode-mo, filosofo epicureo, vissutoa Roma tra il 75 e il 40 a.C.

Le biblioteche pubbliche aRoma Caio Giulio Cesare, pocoprima di essere assassinato nel44. a.C., aveva manifestatol'intenzione di fondare unabiblioteca pubblica di librigreci e latini, la più vasta pos-sibile, dandone l'incarico aVarrone (autore, tra l'altro, diun De bibliothecis), ma la tra-gica morte del dittatore (e lepersonali traversie di Varrone,inserito nel 43 a.C. nelle listedi proscrizione dall'estremistacesariano e triumviro MarcoAntonio; Varrone si salvònascondendosi nella casa diFufio Caleno; passata la bufe-ra, tornò ai diletti studi, cheproseguì fino alla morte, senzapiù impacciarsi di politica) neimpedì momentaneamente larealizzazione.Il progetto di Giulio Cesare fuperò realizzato nell'AtriumLibertatis (annesso al tempiodella Libertà presso il Foro),da Asinio Pollione (76 a.C. - 5d.C.) reduce dal suo trionfo suiPartini della Dalmazia nel 39a.C.9Fu quella la prima bibliotecapubblica a Roma, con distinte

raccolte di autori greci e latini,i busti dei quali la decoravano,mentre pubbliche letture delleloro opere (le recitationes) nepermettevano anche una frui-zione senza fatica a un'elettaschiera di nobili invitati; eppu-re tutto questo impegno per lacultura libraria non portò fortu-na al munifico fondatore, per-ché la vasta opera di Pollione,comprendente poesie in stileneoterico, tragedie lodate daVirgilio, Orazio e Tacito, ora-zioni che lo rendevano secon-do al solo Cicerone e soprattut-to i 17 libri delle Historiae,nelle quali narrava le guerrecivili dal Primo Triumviratoalla battaglia di Filippi, tutto(salvo qualche frammentariacitazione in testi altrui) andòperduto nel giro di poco più diun secolo, forse grazie almeschino giudizio diQuintiliano, che ne biasima lostile antiquato per l'oratoria,molto più per la fama di uomoe di storico abituato a ragiona-re con la propria testa, non conquella dell'imperatore di turno,fosse pure il Divo Augusto.Pollione aveva criticato lascarsa veridicità deiCommentarii di Cesare, equando Marco Antonio s'eraschierato, con Cleopatra, con-tro Ottaviano, aveva severa-mente ripreso questo compor-tamento, indegno di un civisRomanus, ma non era passato

6 Purtroppo quando Varrone finì nelle liste di proscrizione la sua biblioteca gli fu in parte sottratta.7 Persio possedeva 700 rotoli con gli scritti di Crisippo.8 Sereno Ammonico aveva ereditato la biblioteca dal padre, erudito del tempo di Settimio Severo. Questa biblioteca confluì nelpatrimonio imperiale.9 Asinio Pollione, seguace di Cesare, amico di Catullo, di Orazio e di Virgilio, uomo politico, soldato, poeta, storico, nel 39 a.C. eratornato a Roma con un cospicuo bottino di guerra che gli diede la possibilità di realizzare la biblioteca pubblica che era stata neidisegni di Cesare.

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attivamente al partito diOttaviano, preferendo ritirarsinegli otia letterari, per scrivereil più obiettivamente possibilela suddetta storia delle guerrecivili. Tanto bastò per farloescludere dal canone degliautori d'uso e per far perire lasua opera, che non venne piùcopiata. (ndr)Ma andò anche peggio a unaltro personaggio importantedel circolo augusteo, il poetaCornelio Gallo (ca 70 a.C. - ca26 a.C.): amico di Pollione ecesariano come lui, non necondivideva l'equilibrio e seguìpedissequamente le orme e gliordini di Ottaviano, tanto daessere da questi nominato pre-fetto d'Egitto, la carica piùimportante dell'impero, perchéne controllava la principalefonte di energia, il grano chenutriva le legioni e placava,panis assieme ai circenses, leplebi cittadine. Qui lo raggiun-se la notizia del disfavoredell'Augusto imperante, fonda-ta su accuse forse non del tuttofondate, oggi diremmo, diculto della personalità e diintenzioni ribelli; dovettecomunque suicidarsi, e la suaopera, tra le più importanti diquell'Età Augustea, che vide lamassima fioritura della poesialatina, venne radicalmente eintenzionalmente distrutta,tanto che persino Virgiliodovette riscrivere il finale delIV libro delle "Georgiche",dove ne tesseva le lodi, sosti-tuendolo con il mito di Orfeoed Euridice (oggi i filologidiscutono se e fino a che puntosia andata così, perché invecela X ecloga di Virgilio, dedica-ta a Gallo, è rimasta; ma era

già pubblicata e circolante inmolte copie da tempo); certo èche dell'opera di Gallo, che -sappiamo per certo- fu vasta eimportante, non restano oggiche frammenti, per lo più resti-tuiti da papiri di recente rinve-nimento. (ndr)Di Cornelio Gallo fu persinoeraso il nome dalle epigrafi, ilche porta a parlare della prati-ca detta damnatio memoriae,applicata in genere in etàimperiale agli imperatori tiran-ni o usurpatori o presunti tali eai loro seguaci, naturalmentese sconfitti, altrimenti ... tocca-va ai legittimisti, com'è semprestato nella storia, notoriamentescritta dai vincitori, salvo l'uni-co e lodevole caso della cultu-ra occidentale, che con iRomani si lasciò conquistaredai vinti Elleni (Graecia captaferum victorem cepit) e con ilMedioevo (barbarico e cristia-no) salvò cultura e lingua deivinti e l'assunse in luogo diquella dei vincitori. La damna-tio memoriae tuttavia distrug-geva anche gli scritti ritenutiinaffidabili da chi deteneva ilpotere, ed è colpevole dellaperdita di una parte notevoledella letteratura antica (quasitutta la storiografia ellenisticae tutta quella romana di partesenatoria), assieme alla conce-zione antistorica e selettiva,per cui solo le opere miglioriin ciascun genere letterario,giudicate secondo schemi stili-stici prefissati, venivano copia-te e conservate nelle bibliote-che; l'idea di conservare anchegli scritti di chi la pensa diver-samente nasce in ambito cri-stiano durante la lotta contro leeresie, per cui gli scritti degli

eretici, da distruggere secondol'uso romano della damnatiomemoriae, devono però primaessere confutati in opere che licitano ad litteram il più ampia-mente possibile, affinché imotivi della condanna restinoben visibili anche nel futuro.Ma questo è frutto della nuovamentalità storica, di matriceebraica, che vede la storiacome un procedere progressi-vo, un tendere a un Bene finaleposto oltre la storia stessa,regio dissimilitudinis nellaquale anche il male ha unafunzine provvidenziale e con-corre, in ultima analisi, allavittoria del Bene: gli amanuen-si medievali salvarono anchel'empio De rerum natura del-l'ateo materialista ed epicureoLucrezio (I sec. a.C.), che nonera entrato negli autori canoni-ci e che è poco noto agli stessiantichi, con il suo "tantum reli-gio potuit suadere malorum" (atanto gran cumulo di mali potépersuadere la superstizionereligiosa), perché era un testoche dava da pensare per quelche diceva, offriva splendidiargomenti contro il Pagane-simo e un genere di bellezzaletteraria altrove introvabile(motivi non molto dissimili daquelli che determinarono lasalvezza di Catullo, carminaobscena inclusi, o Plauto oAristofane ecc.). Per gliAntichi invece il tempo storicoera circolare, dalla mitica Etàdell'Oro tramite una lungainterminabile decadenza finoalla catastrofe finale e al nuovoinizio: un eterno ritorno delsempre uguale (sempereadem), nel quale valeva lapena di salvare solo ciò che

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toccava lo zenit. Va infine rile-vata l'incidenza del reato d'opi-nione già nella cultura antica:la condanna a morte di Socratenella democratica Atene del399 a.C. e la persecuzione, connumerose condanne a morte,contro i seguaci di Bacco delSenatus consultum deBacchanalibus (186 a.C.) nella

Roma repubblicana, si perpe-tuano e si estendono nell'usodella damnatio memoriae nellerispettive età Ellenistica eImperiale. Vittime, oltre agliuomini, furono i libri, e la pra-tica scellerata dei roghi trovòsolerti imitatori anche nellacultura occidentale dall'Au-tunno del Medioevo ai giorni

nostri, da fra GirolamoSavonarola ai riformatori ditutte le tendenze, dagli inquisi-tori di ogni confessione reli-giosa ai monarchi, assoluti,costituzionali o illuminati, sepensavano che un libro potevaportare idee pericolose nei lorodomini, dalla censura feroce edesplicita delle dittature d'ognicolore, che amano bruciare illibro e possibilmente anchel'autore, alla censura dissimu-lata e sottile della democraziapoliticamente corretta, cheesclude chi non si omologaalla cultura dominante senzaneppure concedergli la palmadel perseguitato (ed espelle ilibri dalle pubbliche bibliote-che, semplicemente perché nonhanno un numero di richiestesufficientemente alto, per cui igrandi della letteratura d'ognitempo e Paese rischiano diessere condannati al maceroper far posto alla letteratura-spazzatura dell'ultima moda,che subirà presto e giustamentela medesima fine, ma invano,perché la distruzione dei clas-sici non è risarcibile; troppospesso in questi anni di merca-tismo trionfante vediamo con inostri occhi splendide edizioni,magari in carta india e rilegatein pelle con impressioni in oro,mandate al macero perchéhanno troppo pochi acquirentie bisogna far posto, appunto, arobaccia che non val la cartasu cui è stampata e stivarne imagazzini che costano, costa-no ...). Possiamo consolarcipensando che, nel frattempo, lebiblioteche occidentali hannotratto in salvo parti notevoli dialtre culture antiche, per es.quella cinese, altrimenti perdu-

Figura 2. Pianta delle biblioteche gemelle collegate al tempio di Apollo sul colle pala-tino a Roma detta Biblioteca palatina. (2001- Yale University; 2003-Ed. Sylvestre e

Bonnard )

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te del tutto o in gran parte, per-ché messe al rogo per interve-nuti mutamenti politici o perincuria, nei Paesi d'origine.(ndr)

Forse Asinio Pollione donò isuoi stessi libri, ma molti altrivenivano acquisiti attraversodonazioni o copie eseguite suitesti di altre biblioteche priva-te, raramente sul mercato libra-rio che già esisteva in Roma.In quella biblioteca esistevanodue sale di lettura, una per ilibri latini, una per i libri greci,come aveva desiderato GiulioCesare, schema che sarebbestato adottato in seguito datutte le biblioteche pubblicheromane. Infatti, in epoca clas-sica i Romani colti parlavano escrivevano in greco senza pro-blemi (per Cesare o Cicerone ilgreco era come il francese perManzoni o Leopardi: la linguaquotidiana della persona diposizione sociale medio-alta),le traduzioni dal greco eranolimitate e dovute a particolarimotivi (in genere si trattava direndere accessibili opere gre-che di carattere tecnico a unpubblico più vasto) e bisognòattendere il cristiano Boezioperché si potesse avere , ormainel VI secolo d. C, la primatraduzione, ancorchè parziale,di una fondamentale operafilosofica, l'Organon diAristotele. L'imperatoreAugusto, successivamente, nel28 a.C. fece costruire il tempiodi Apollo sul Colle Palatino evi collocò la seconda bibliote-ca pubblica di Roma, laBiblioteca Palatina (Figura 2),che ebbe come primo direttoreil grammatico Pompeo Macro,

cui succedette Gaio GiulioIgino; la Palatina subì deva-stanti danni da incendio sottoNerone e Commodo, finchènon venne completamentedistrutta da un ulteriore incen-dio nel 363 d.C.

Quando nel 23 a.C. morìMarcello, il figlio della sorellaOttavia, in suo onore Augustofece fondare una terzaBiblioteca situata nel campoMarzio, all'interno del PorticusOctaviae, finanziando l'opera-zione con il bottino delle guer-ra contro i Dalmati. LaBiblioteca di Ottavia bruciòsotto Tito nell'80 d.C., fu fattarestaurare da Domiziano, masubì un altro incendio e nel203 Severo e Caracalla nuova-mente la restaurarono. Unabiblioteca "del Tempio delDivo Augusto" fu fondata daLivia e Tiberio sulle pendicidel colle Palatino; danneggiatada un incendio prima del 79d.C., fu restaurata daDomiziano e migliorata daAntonino Pio. Si fa cennoanche di una biblioteca dellaDomus Tiberiana sul Palatinoche probabilmente è la stessadella precedente o con essavenne fusa. Vespasiano, grazieal bottino di guerra dellaGuerra Giudaica, nel 75 d.C.creò una biblioteca nelTemplum Pacis. Anche questanon fu risparmiata da un incen-dio al tempo di Commodo, peressere restaurata sotto SettimioSevero e Caracalla. Traiano nel112/113 d.C. fondò una grandebiblioteca, la biblioteca Ulpia,su progetto dell'architettoApollodoro di Damasco, i cuiresti sono ancora visibili intor-

no alla Colonna Traiana chestava al centro della bibliotecastessa, ricca di circa ventimilarotoli. Questa biblioteca costi-tuì la biblioteca pubblica pereccellenza della Roma impe-riale fino al V secolo (Figure3-4-5-6).Queste biblioteche imperialierano frequentate da scrittori,oratori, filosofi, insegnanti,studiosi in generale, ma nondalla gente comune. La biblio-teca traianea fu l'ultima di que-sto genere, a carattere quasiesclusivo per un'elite di studio-si, perché di lì a poco sarebbe-ro comparse le bibliotechedelle terme pubbliche imperia-li, introdotte da Nerone, fre-quentate da tutti gli stratisociali. Soprattutto le Terme diTraiano e di Caracalla, menoquelle di Diocleziano, ci dico-no molto su questo aspettodelle biblioteche termali, cheavevano un contenuto di gene-re più divulgativo di quelleimperiali, perché frequentateda un pubblico più eterogeneo;perciò contenevano testi degliautori più noti, come Omero,Menandro, Plauto, Virgilio. Maesistevano biblioteche pubbli-che anche annesse ai templi,come quella del Pantheon, oannesse alle ville imperiali,come quella di Adriano aTivoli. Il numero delle biblio-teche pubbliche nella Roma diquel periodo passò dalle 3 del Isecolo alle 28 documentate nel377. Nel V secolo d.C. il cri-stiano Sidonio Apollinare èancora in grado di descriverciuna ricca biblioteca privatanella sua villa in Gallia dove,in una rumorosa e vivace cor-nice di giochi, erano ammesse

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anche le donne; descrivendoneil contenuto, ci racconta come,accanto ai libri di Agostino, cisia Varrone e, accanto aOrazio, ci sia Prudenzio, in unmisto di sacro e di profano.

Le biblioteche nei territoridell'Impero RomanoIn Italia gli scavi archeologicihanno consentito di localizzarebiblioteche pubbliche, oltreche a Pompei,a Milano, aComo, dovuta a Plinio ilGiovane, a Sessa Aurunca,dove esisteva una bibliotecaMatidiana10 , a Bolsena(Volsinii), a Tortona, aTivoli11, ma molte altre biblio-teche, non ancora o non piùvenute alla luce, dovevanoesserci, sicura testimonianzadell'elevato livello di culturadell'aristocrazia anche provin-ciale in età imperiale.Nella parte occidentaledell'Impero, a parte l'Italia,sono documentabili solo duebiblioteche: una è a Cartagine,che ci è nota solo per la men-

zione di uno scrittore latino delII sec. d.C.; l'altra è a Timgad,nell'attuale Algeria, città fon-data da Traiano nel 100 d.C.,dove nel III secolo esistevaun'importante biblioteca venutaalla luce con gli scavi archeo-logici ( Figura 7).Si ritiene molto probabile cheesistessero biblioteche, nonancora documentate da scavi,anche a Marsiglia e a Narbona.Il contenuto delle bibliotechedi provincia era formato preva-lentemente da opere degliautori canonici, oltre che gliscritti di personalità e autorinoti in ambito locale.Atene, nella prima metà del IIsec. d.C., fu dotata di duenuove biblioteche: una pressol'agorà, dedicata a Traiano daTito Flavio Pantaino, e unaseconda, donata da Adrianoalla città di Atene, dalla splen-dida architettura (Figura 8).Altre biblioteche esistevano aAlicarnasso, Efeso, Prusa,Smirne, Antiochia e insommain tutte le principali città

dell'Oriente ellenistico roma-nizzato.Intorno al 135 d.C. ad EfesoTiberio Giulio AquilaPolemeano donò alla città unapiccola, ma sontuosa bibliote-ca, dedicandola al padreTiberio Giulio Celso Pole-meano12, che da quest'ultimoprese il nome di Biblioteca diCelso. L'edificio della bibliote-ca di Celso a Efeso è pervenu-to a noi quasi intatto e si sache ebbe a costare 25.000denari, corrispondenti a circa400.000 euro attuali (Figure 9-10).

Quando il codice sostituì ilrotolo.Fino al II secolo era prevalso ilrotolo prevalentemente papira-ceo, in minor quantità perga-menaceo, ma nel VI secolo ilcodice aveva completamentesostituito il rotolo che restavain uso solo per archivi e sche-dari pubblici. L'innovazionedei codici si fece faticosamentestrada nel mondo romano, se

Figura 3. Pianta delle biblioteche gemelle del Foro Traiano a Roma, poste l’una di fronte all’altra e separate dal portico al cui centro sta la Colonna traiana. ( 2001- Yale University; 2033- Ed. Sylvestre e Bonnard)

10 Matidia era la suocera di Adriano.11 A Tivoli la biblioteca era annessa al tempio di Ercole.12 Tiberio Giulio Celso Polemeano, fu console d’Asia e uomo di grandi meriti verso l’Impero.

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alla fine del I sec. d.C. appren-diamo da Marziale, che il codi-ce è "Quella ingombrantemassa di fogli ripiegati". Ilfatto che Roma fosse il centrodei commerci di libri in latinofavorì la diffusione dell'uso delcodice. Fu la comunità cristia-na ad adottare per prima l'usodei codici pergamenacei, suiquali furono trascritte copiedella Bibbia e di altri testisacri, mentre le opere paganecontinuavano ad essere copiatesu rotolo. Infatti nello stessoperiodo ( II-III secolo) le operepagane su codice erano solo il3%. Tuttavia il codice perga-menaceo si impose con unacerta rapidità anche in campogiuridico per la sua praticità(era molto più semplice cerca-re sfogliando le pagine, nume-

rate per di più, che non svol-gendo un fragile rotolo di papi-ro, privo di punti di riferimen-to), tanto che il Codice diTeodosio (438 d.C.) e ilCodice di Giustiniano (529d.C.) sono in pergamena.

La cultura cristiana delle ori-gini: la scuola scriptorium diCesarea di Cappadocia.Mentre l'Impero Romano siavviava al suo massimo splen-dore e alla sua massima espan-sione territoriale, una nuovacultura andava delinendosi,quella legata alla nuova reli-gione cristiana, e con essanasceva una nuova produzioneletteraria.La sua prima espressione èlegata alla figura del greco-alessandrino Origene

Adamànzio13 (Alessandriad'Egitto 185- Tiro 254), forma-tosi alla scuola catechetica delMuseion di Alessandria, ilDidaskaleion. Trasferitosi aCesarea di Cappadocia percontrasti religiosi, vi creò unascuola di carattere teologico-filosofico e critico-esegetico,ispirandosi al modello delDidaskaleion di Alessandria.Vi si trovava uno scriptorium,dove il testo veniva dettato atachigrafi (i predecessori deifuturi stenografi), ricopiato dacopisti, emendato dallo stessoautore, indi steso nuovamenteda periti calligrafi. QuiOrigene fece la grande edizio-ne sinottica dell'AnticoTestamento: gli Exapla13 .Dal233 al 238 frequentò quellaScuola San Gregorio

Figura 4. Pianta del complesso traianeo, con il foro, i mercati, la basilica e le due biblioteche ( www. sovrintendenzaroma.it).

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Taumaturgo, il quale incorag-giava i discepoli a leggere laletteratura classica, in specialmodo i filosofi, pur escludendogli scrittori che proclamasseroil loro ateismo. Dopo un perio-do oscuro per mancanza dinotizie documentate, nel IIIsecolo giungeva a CesareaPanfilo, anch'egli formatosi alDidaskaleion di Alessandria.Panfilo si dedicò al recupero diquanto restava della bibliotecadi Origene, cercando di recu-perare le opere disperse e

aggiungendone altre, arrivandoad accumulare, secondoIsidoro di Siviglia, trentamilavolumina. La scuola era fre-quentata anche da Girolamo,che menziona una copia del-l'originale greco del Vangelosecondo Matteo. C'erano ancheopere di ClementeAlessandrino e di Ippolito,Filone di Alessandria eGiuseppe Flavio, oltre chenumerosi autori pagani siagreci che latini, come Virgilio.Panfilo, con l'aiuto dell'allievo

Eusebio, riorganizzò lo scripto-rium impegnandosi nel diffon-dere edizioni corrette delleSacre Scritture. I codici, per-ché di codici si trattava, dellabiblioteca di Cesarea eranodisponibili solo all'internodella scuola stessa, se si eccet-tuano le cinquanta copie dellaBibbia che l'imperatoreCostantino commissionò aquello scriptorium per lenuove chiese diCostantinopoli14 15. Nel Vsecolo lo scriptorium di

Figura 5. Il foro di Traiano oggi ( www.sovrintendenzaroma.it)

13) Il titolo Exapla indica le sei versioni del testo dell’antico Testamento disposto su sei colonne.14) A Costantinopoli e ad Antiochia erano studiate le versioni della Bibbia curate da Luciano, mentre ad Alessandria e nel restodell’Egitto quelle curate da Esichio.15) Ma vennero prodotti anche esemplari del Nuovo Testamento.16) Manetone, sacerdote egiziano del III secolo a.C. al tempo di Tolomeo I. Scrisse in greco una Storia delle’Egitto andata perduta,di cui ci sono giunti estratti attraverso le opere di Giuseppe Flavio, Sesto Africano e Eusebio di Cesarea.

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Cesarea era già in declino ecessò definitivamente di fun-zionare con la conquista arabadel 638.

Eusebio di Cesarea (Cesareadi Palestina 265-340)Allievo di Panfilo, fu vescovodi Cesarea e amico dell'impe-

ratore Costantino. Partecipò alConcilio di Nicea. Insieme aPanfilo redasse i primi cinquelibri dell'Apologia ad Origene,andata perduta. E' consideratoil precursore degli storici dellaChiesa per la sua vasta produ-zione storiografica (Cronaca,Storia ecclesiastica, Vita di

Costantino). Per quanto riguar-da la Storia dell'Egitto si eraavvalso delle opere diManetone16, andate perdute.Mise a punto le tavole delleConcordanze ove si confronta-no i passi uguali dei Vangeli.(Figura 11)

Figura 6. Ricostruzione ideale della Biblioteca Ulpia. (www.sovrintendenzaroma.it)

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La divisione dell’Impero.Nel IV secolo l'imperatoreCostantino elesse a capitaledell'Impero la modesta città diBisanzio vicino a Nicomedia.La Nova Roma, che da luiprenderà nome Costantinopoli,rappresentava un crocevia fraAsia ed Europa e la scelta diCostantino fu probabilmentedettata proprio da questo moti-vo di natura strategica. Era daquella parte che premevano inemici più agguerritidell'Impero tra cui l'eternonemico persiano. Nel 380

(editto di Tessalonica)Teodosio dichiarò il Cristia-nesimo religione di stato (magli ambienti senatorii e granparte dell'aristocrazia resteran-no a lungo nostalgicamentelegati al Paganesimo) e nel 395divise l'Impero in due parti:Occidentale, con capitaleRavenna o Milano, e Orientale,con capitale Costantinopoli,provocando una svolta epocalenei rapporti tra le due partidell'Impero, sia dal punto divista religioso che politico.Non mancano, nell'impero

d'Oriente del IV secolo, uominidi cultura come san Basilio esan Gregorio di Nazianzo, cheproducono opere anche lettera-rie di alto livello e incoraggia-no i giovani a leggere la lette-ratura classica come strumentonecessario alla propria prepara-zione culturale.In Occidente, nel 476, l'eruloOdoacre depone ed esilia ilgiovanissimo imperatoreRomolo Augustolo e spediscele insegne imperialiall'Augusto della pars orientisZenone (426-491), affermando

Figura 7. Pianta della Biblioteca di Timgad ( III sec. a, C.).(2001-Yale University; 2003- Ed. Silvestre e Bonnard)

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che un solo imperatore era piùche sufficiente, istituendo unregno barbarico solo in teoriadipendente dal potere imperia-le romano, che in pratica èormai limitato alla sola parteorientale dell'antico impero, asua volta in lotta per la soprav-vivenza con il confinanteImpero Persiano. Nel 493Odoacre viene battuto e uccisoda Teodorico, re dei Goti, cheinstaura a sua volta un regnoromano-barbarico in Italia concapitale Ravenna. Il regnoostrogoto di Teodorico daràall'Italia un trentennio di relati-va pace, ma il tracollo dellapars occidentis dell'Impero

aveva cominciato a manifestar-si già nel corso della primametà del V secolo. A Roma inquel periodo esisteva un archi-vio nel Palazzo del Laterano epapa Ilario (461-468) avevaistituìto nel battistero latera-nense bibliothecae duo, unaper le opere in lingua greca euna per le opere in lingua lati-na di argomento cristiano.Nel 410 infatti a Roma, abban-donata dagli imperatori, l'unicaautorità rilevante rimasta eraquella del pontefice, che eradivenuto l'ultimo defensor civi-tatis ed era riuscito a contenerei danni alle persone e al patri-monio culturale (sborsando

somme enormi e sacrificandogli oggetti preziosi, anchesacri) in occasione del primogrande saccheggio patitodall'Urbe dal tempo dell'inva-sione gallica guidata daBrenno nel IV sec. a.C., il sac-cheggio di Alarico (410), cuisarebbe seguito Genserico nel455 e nel 472 e, da ultimo, ilgoto Totila nel 549. (ndr)

Da parte pagana, l'ultimo gran-de scatto di vitalità, con conse-guente produzione libraria,delle potenti famiglie senatoriedei Simmachi e dei Nicoma-chi, degli Anici e dei Probi, sicolloca tra la fine del IV seco-

Figura 7bis. Pianta della Biblioteca di Timgad ( III sec. a, C.).(Vani per il deposito dei rotoli nell’abside. Sito archeologico di Timgad nel 2009)

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lo, come reazione alle pretesedell'editto di Teodosio sulCristianesimo unica religionedell'impero, e la fine del V,quando l'eredità morale e cul-turale di queste ultime grandifamiglie, orgogliose della pro-pria tradizione pagana, si affi-da alla genialità generosa delgenero dell'ultimo dei Sim-machi, il cristiano AnicioManlio Torquato SeverinoBoezio (480-525); muore fisi-camente con lui, fatto decapita-re da Teodorico ("di Boezio il

santo viso,/ del romano sena-tor" Carducci), e con lui risor-ge per l'eternità nella fondazio-ne del monastero-biblioteca diVivarium (540) da parte delsuo amico e sodale, in antiquo-rum vestigiis servandis, FlavioMagno Aurelio SenatoreCassiodoro (487-583). Su que-sti due Dioscuri del passaggiocruciale dal Tardo Antico alMedioevo sono da leggere lepagine loro dedicate daLEIGHTON D. REYNOLDS ENIGEL G. WILSON, Copisti e

filologi. La tradizione dei clas-sici dall'Antichità ai tempimoderni, traduzione diMIRELLA FERRARI con unaPremessa di GIUSEPPEBILLANOVICH, Padova, EditriceAntenore, 1973, per es. lepagine 35-37 sulle subscriptio-nes; ma, chi troverà il tempo,deve leggere i due grandiosivolumi, che in qualche modosono la sintesi ultima del suolavoro e il suo testamento cul-turale, di GIUSEPPEBILLANOVICH, La tradizione diLivio e le origini dell'Uma-nesimo, Padova, EditriceAntenore, 1981 ("Studi sulPetrarca", 9), sulla tradizionedel testo di Livio come mappadella storia della cultura euro-pea tra V e XV secolo. (ndr)

La lunga Guerra Gotica (535 -552, con strascichi fino al555), riaffermò in Italia uneffimero dominio bizantino, aprezzo di orrori senza nome, esegnò l'inizio del periodo peg-giore per la penisola, prolunga-to dalla successiva invasione,nel 568, dei Longobardi,superficialmente cristiani aria-ni, in realtà tenacemente attac-cati al loro sanguinario paga-nesimo (il cranio del nemicocome coppa per i grandi ban-chetti -"bevi, Rosmunda, dalcranio di tuo padre!"- e altresimili piacevolezze) e quindiferocemente avversi alla cultu-ra fin quasi alla fine del VIsecolo, quando l'azione combi-nata della regina Teodolinda,sposa dei re longobardi Autari(584-590) e Agilulfo (591-616), ma di origine bavarese equindi cattolica, e di papaGregorio Magno (590-604),

Figura 8. Pianta della Biblioteca di Adriano ad Atene.(2001-Yale University; 2003- Ed. Sylvestre e Bonnard)

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segnano l'alba di una lentaripresa a tutti i livelli, incluso,quello culturale. In particolarepapa Gregorio Magno, conl'invio della prima grande mis-sione pontificia in Inghilterra,guidata da Agostino, primoarcivescovo di Canterbury, nel596, dotandola di un cospicuocorredo di manoscritti di operenon solo ecclesiastiche, maanche profane per l'uso scola-stico, gettò le basi di quellaRinascenza Insulare che inseguito, rafforzata da ulterioriinvii di missionari (la missionepiù importante è quella del

668, con il greco Teodoro diTarso e l'africano Adriano diNiridano, che portarono insalvo nell'estremo Occidente lacultura e i libri dell'ecumenemediterranea, ormai prossimaalla catastrofe) e soprattutto ditesti da Roma (dove calavano acaccia di codici i dotti inglesi,come Benedetto Biscop -VIIsec.-, fondatore dei monasterigemelli di Wearmouth eJarrow, sceso in Italia nonmeno di 6 volte), diventòl'Arca della salvezza per la cul-tura classica latina e persino, inpiccola ma significativa misu-

ra, greca (il greco era ben notoa Beda, che sapeva anche diebraico!) nell'EuropaOccidentale. Da qui, tra VIII eIX secolo, si sparsero per tuttal'Europa cristiana i monaci piùdotti e intraprendenti, primasoprattutto irlandesi, poi spe-cialmente inglesi, fino allegrandi figure di Beda (673-735) e di Alcuino di York (ca735-804), "ministro della cul-tura" di Carlo Magno e mentedirettiva della RinascenzaCarolingia, realizzata in granparte da suoi discepoli. Eall'origine di tutto stanno la

Figura 9. Biblioteca di Celso ad Efeso

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ferrea volontà e la profondasensibilità culturale di papaGregorio Magno: tutta la suaopera di pontefice, permeatadallo spirito benedettino, fa dilui l'uomo che espande nell'in-tero Occidente l'idealedell'"ora et labora et lege etnoli contristari", portandolo afinanziare in proprio la costru-zione di monasteri, con le rela-tive biblioteche. ControGregorio Magno, l'ultimogrande scrittore della Romalatina (la mole dei suoi scrittirivaleggia con l'opera diAgostino d'Ippona, e testimo-nia una cultura sterminata eun'attenzione esemplare allavita della popolazione italica,

che vedeva in lui l'unica con-creta difesa contro la barbarielongobarda e la rapacità bizan-tina; ma la cultura di papaGregorio si estendeva fino allamusica, e il canto gregoriano èancor oggi riconosciuto comeuna delle vette della musicaoccidentale), torna ogni tantola calunnia pseudo-illuministadi essere stato il distruttore,niente meno, della BibliotecaPalatina, che egli avrebbe bru-ciato; davanti all'immagine delvecchio papa, già insignito deltitolo di defensor civitatis dallaplebe romana, che s'inerpica,nonostante la cagionevole salu-te che lo perseguitò tutta lavita, sulle pendici del Palatino,

magari anche munito di lancia-fiamme per la bisogna, perdistruggere una bibliotecapapiracea e che non esiste piùda circa 230 anni, lui che hadedicato la vita e il propriopatrimonio privato anzituttoalla fondazione di bibliotechevere, di codici in pergamenaatti a sfidare i secoli, pensandoa chi ha escogitato una taleassurdità, verrebbe da dire"non so se il riso o la pietà pre-vale"... (ndr)

La città di Roma, che sottoAugusto e Traiano aveva avutouna popolazione di 1.000.000di abitanti, ridusse la sua popo-lazione nel VI secolo a 30.000

Figura 10. Ricostruzione dell’interno della biblioteca di Celso ad Efeso.( 2001-Yale University; 2003- Ed. Silvestre e Bonnard )

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e si trovò a non avere più chiaveva tempo -non dico cultura-per frequentare le bibliotechepubbliche e anche quelle priva-te delle grandi famiglie romanecolte, anche prima che fosserodefinitivamente distruttedurante la Guerra Gotica.Malgrado tutto questo il vec-chio sistema scolastico romanocontinuava ad esistere perché imaestri cristiani continuavanoad usare i vecchi libri:Cassiodoro considerava l'ap-prendimento delle scienze pro-fane prodromo necessarioall'apprendimento delle scienzesacre.

Il mondo bizantino.Nella parte orientaledell'Impero ormai diviso lecose andarono diversamente.Dal punto di vista religiosol'Impero d'Oriente era statodiviso in quattro patriarcati:Costantinopoli, Gerusalemme,Antiochia, Alessandria. A Costantinopoli nel 425Teodosio II istituì trentuno cat-tedre d'insegnamento di linguae retorica greca e latina, oltreche di giurisprudenza. C'eranotre grandi biblioteche, due lai-che, di cui una universitaria euna imperiale, e una teologicanella sede del patriarca. Nellachiesa del Santo Sepolcro aGerusalemme già dal III secoloesisteva una biblioteca contesti teologici che Eusebioaveva avuto modo di apprezza-re. Verso la fine del mondoantico gli studi erano fiorenti,oltre che a Costantinopoli,anche ad Alessandria,Antiochia, Atene, Beirut,Gaza; tuttavia col passar deltempo, a causa delle guerre e

delle calamità naturali, tra cuila terribile peste conosciutacome la " peste diGiustiniano", le scuole decad-dero e nella metà del VI secolorestavano superstiti solo quelledi Alessandria e diCostantinopoli, mentre lo stes-so Giustiniano arrivò a chiude-re l'Accademia, la scuola pla-tonica di Atene, pagana, con ilpretesto, per altro credibile,della carenza di fondi pubblicida destinare al suo manteni-mento.

Tuttavia i testi di Platone con-tinuarono a essere studiati ecopiati negli ambienti ecclesia-stici, che rimasero filosofica-mente più vicini al platonismoche a ogni altra filosofia finoal XIII secolo e alla riscopertadi Aristotele nella Scolasticaoccidentale come fondamentorazionale della riflessione teo-logica. I platonici pagani dellascuola di Atene andarono esuliin Persia, dove furono beneaccolti, data l'ostilità endemicaverso l'impero bizantino, ma

Figura 11. Eusebio, Concordanze evangeliche,latino, fine sec. X-inizio sec. XI, Reichenau. Brescia, Bibl. Civica Queriniana.

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non riuscirono a creare una tra-dizione né culturale né libraria,perchè il platonismo era estra-neo alla sensibilità e agli inte-ressi locali; ogni traccia diquesto passaggio vennecomunque dispersa, circa unsecolo dopo, dalla vittoriosaespansione dell’Islam. Anchele sette ereticali cristiane deiNestoriani e dei Giacobiti,emigrate in Oriente per sfuggi-re alle persecuzioni bizantine,benché siano rimaste attive perdiversi secoli anche dopo l’in-

vasione islamica, o addiritturanon l’abbiano subita, nei grup-pi trasferitisi in EstremoOriente sotto la tollerante tute-la della pax Mongolica, tantoda essere trovate ancora in vitada Marco Polo, tuttavia nonportarono seco testi classici enon riuscirono a costruire nulladi durevole da un punto divista culturale. (ndr)

Per circa un secolo e mezzo,dal 717, quando sale al tronodi Costantinopoli Leone III

Isaurico, alla metà del secoloIX, la cultura bizantina è scon-volta dal movimento iconocla-sta, fattivamente appoggiatodagli imperatori con vere eproprie persecuzioni contro imonaci e i laici accusati di ido-latria per il culto prestato alleicone; in realtà, al di là di sin-goli casi discutibili, si trattavadi un pretesto per mettere lemani sugli immensi beni eccle-siastici, che ebbe il deleterioeffetto di far perire, oltre allavita di una moltitudine dimonache, monaci e semplicifedeli, una quantità impressio-nante di opere d'arte, icone emosaici bizantini, ma anchequasi tutte le opere d'arte figu-rativa classica che si erano sal-vate fino a quel momento, ederano moltissime, e con lorouna quantità di manoscritti,conservati nelle bibliotecheecclesiastiche. (ndr)Le luci della cultura si riacce-sero solo con la sconfitta delmovimento iconoclasta e lacomparsa della figura di Fozio,ma siamo già nel IX secolo.

La "Pars occidentis"dell'ImperoBen diverso fu l'evolversi neltempo della situazionenell'Occidente Europeo, dovegli scriptoria monastici e lebiblioteche di chiese e conven-ti furono le sorgenti da cuiprese l'avvio la cultura occi-dentale della nuova era.Negli oscuri scriptoria deimonasteri i monaci trascrisseroi testi in loro possesso, riu-scendo a salvare quanto pote-vano della culturadell'Occidente latino, mentre icontatti con la parte orientale

Figura 12 Il profeta Esdra nel quale, secondo molti e per lungo tempo si è riconosciu-to Cassiodoro. Da un manoscritto anglosassone degli scriptoria di Monkwearmouth,

700 ca. In R. Barbieri ( a cura di ): Atlante storico della cultura medievale, Jaca Book,Milano 2007.

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dell'Impero si erano fatti sem-pre più rarefatti e difficili.Tuttavia anche nell'Occidentelatino furono attivi pochi, maimportanti dotti conoscitori delgreco, che ricercarono, conser-varono, tradussero in lingualatina gli originali greci. Nelperiodo tra la cadutadell'Impero Romano e il MedioEvo europeo emergono figureche possiamo definire il "traitd'union" tra il mondo dellaclassicità e la nuova era volga-re: Cassiodoro e Boezio. Diquest'ultimo non tratterò inquesto capitolo, perché ritengopiù corretto chiudere la parteche riguarda il mondo anticocon la figura di Cassiodoro,riservando a Boezio il privile-gio di proiettare verso il MedioEvo la luce della cultura. Dopole disastrose guerre gotiche nelcorso del VI secolo, si ebbeuno spaventoso tracollo cultu-rale ed economico e, in conse-guenza dello sfaldamento deldominio bizantino nell'Italiainvasa dai Longobardi, lediminuite comunicazioni conl'Oriente fecero sì che la cono-scenza della lingua grecascomparisse quasi del tutto,eccettuata l'Italia meridionale,dove si parlava e si insegnavail greco. In Sicilia neppure ledominazioni successive a quel-la bizantina, come quellaaraba, a partire dal 827 e quel-la normanna, a partire dal1071, portarono ad un signifi-cativo indebolimento della cul-tura e della lingua greche. Inparticolare i Normanni conser-varono ancora per decenni lalingua greca servendosi di per-sonale greco nell'amministra-zione di stampo bizantino che

tennero a conservare.

Concludo questa seconda partedel mio studio, con la figura diCassiodoro, l'artefice del tra-passo dal mondo antico a quel-lo medievale (Figura 12).Flavio Magno Aurelio Sena-tore Cassiodoro (487-583) fualla corte di Teodorico dovecercò di fondere gli elementiromani con quelli gotici, favo-rito in ciò dallo stessoTeodorico che dedicò grandeattenzione alla conservazionedell'antico (Vetusta servare).All'età di 65 anni era stato que-store, console, generale eprimo ministro a Ravenna,

consigliere della prima reginad'Italia, Amalasunta, figlia diTeodorico, del suo marito eassassino, Teodato, e del di luisuccessore Vitige. Alla sconfit-ta di quest'ultimo da parte deiBizantini, Cassiodoro abban-donò tutte le cariche e si ritirònei suoi vasti possedimenti inCalabria, sul golfo diSquillace, dove attorno al 540,alla fine della guerra greco-gotica, fondò il monastero diVivarium, nel quale istituì unoscriptorium per la raccolta, lacopiatura e la traduzione dimanoscritti greci (tra cui laHistoria ecclesiastica tripartitadi Socrate, Sozomeno,

Figura 13. Prisciano o la Grammatica ( Luca della Robbia- Formella del campanile di Giotto, Firenze).

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Teodoreto) e latini che fece damodello agli scriptoria medie-vali. Egli, inoltre, redasse per-sonalmente il trattato De orto-

graphia, che fissò le norme ele regole per la trascrizione discritti antichi e moderni; ma diparticolare influenza sulla cul-

tura medievale furono le sueInstitutiones, un'opera a carat-tere enciclopedico che trattaargomenti sia biblici sia relati-vi alle arti liberali del "Trivio"(Figura 13 ) e del "Quadri-vio"(Figura 14). Vivarium nonsopravvisse al suo fondatore,ma il patrimonio librario dellabiblioteca di Vivarium, dopo lamorte di Cassiodoro, fu trasfe-rito alla Biblioteca Lateranensedi Roma, "da dove furonodispersi per la generosità disuccessivi papi" (REYNOLDS eWILSON, p.85).Per tutti questi motivi possia-mo affermare che Cassiodoro,mentre si stavano spegnendo leluci del mondo antico, seppecogliere il testimone di quellaciviltà e preparò il terreno cul-turale e gli strumenti per tra-smettere alla posterità le lucidella civiltà antica che sisarebbero altrimenti spentenell'oblio dei secoli. Per questeragioni possiamo definireCassiodoro, insieme al con-temporaneo Boezio, l'ultimouomo dell'Età Classica e ilprimo del Medio Evo.

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Figura 14. Euclide e Pitagora ovvero la geometria e l’Aritmetica ( Luca della Robbia-Formella del campanile di Giotto).

Bibliografia:BATTLES, MATTHEWS, Biblioteche, una storia inquieta. Ed. Carocci spa, Roma, 2004CALABI, FRANCESCA, Lettera di Aristea a Filocrate.BUR, Milano, 2002CANFORA, LUCIANO, La biblioteca scomparsa. Sellerio Ed. Palermo, 2009.CARDINI FRANCO, Cassiodoro il Grande; Roma, i barbari e il monachesimo. Jaca Book spa,Milano, 2009.CASSON, LIONEL, Biblioteche del mondo antico. Ed. Sylvestre e Bonnard, Milano,2003.CAVALLO, GUGLIELMO, Le biblioteche nel mondo antico e medievale. Ed. Laterza, Bari, 2008.LEIGHTON D. REYNOLDS E NIGEL G. WILSON, Copisti e filologi. Ed. Antenore, Padova, 1974.

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econdo la leggendaFaustino e Giovita furo-no due fratelli che si

convertirono al cristianesimo:il primo divenne sacerdote e ilsecondo fu diacono.Perseguitati dall’imperatoreAdriano, a motivo delle tanteconversioni che riuscivano afare, subirono numerose tortu-re sia a Brescia che a Milano,Roma e Napoli, alle qualisopravvissero sempre miraco-losamente per grazia divina,fino a che, ricondotti a Brescia,furono decapitati (Figura 1) il

giorno 15 febbraio di un annotra il 120 e il 134 d.C. , in unalocalità chiamata Forca diCane.Il loro culto, stando ai docu-menti che li citano, sarebbecominciato intorno al VI seco-lo partendo da Brescia, di cuidivennero Patroni, confermatipoi come tali nel 1438 dopo laloro miracolosa apparizionesugli spalti del Roverottodurante l’assedio della città da

parte di Nicolò Piccinino, e siestese soprattutto nel secoloVIII non solo nell’area brescia-na ma anche in numerose altrezone dell’Italia. Nell’anno 639 mentre erano incorso lavori per ricostruirel’antico borgo di PortaMatolfa, fu scoperto in mezzoalle rovine il sepolcro con l’ar-ca che conteneva i resti dei dueSanti; si provvide a fabbricarelì subito una bella chiesa e a

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NOTIZIE SULL’APERTURA DELL’ARCACONTENENTE LE RELIQUIE DEI SANTIFAUSTINO E GIOVITAdi Stelio GusmittaBibliofilo.

S Figura 1. Stampa del XVIII secolo con la raffigurazione della decapitazione dei dueSanti.

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restaurare il cimitero detto diS. Latino. Il brescianoPetronace (670 -747), divenu-to abate di Montecassino evolendo avere una reliquia deidue Santi da portare al propriomonastero, venne a Brescia emaneggiò tanto in modo daottenere dalla città e dal vesco-vo un osso del braccio di S.Faustino e in cambio dette unosso simile di San Benedetto,reliquia che è attualmentecustodita nel Duomo diBrescia. Nell’anno 729 fu

fatto quel cambio e fu apertal’urna di alabastro dei duesanti bresciani e in tale occa-sione i loro corpi furono ritro-vati interi.In seguito la città di Bresciadecise di trasportare detta urnanella chiesa di S. Maria inSilva. Il nove maggio dell’an-no 806 il vescovo Anfrigiofece nuovamente aprire erichiudere quell’urna alloscopo di fare una ricognizionedei corpi. Dopo un incendioche distrusse la chiesa di S.

Maria in Silva, il vescovoRamperto fece mettere nellacripta della chiesa ricostruita,chiamata da allora S. FaustinoMaggiore, un’arca in marmocon le reliquie, includendoviuna tavoletta in piombo con laseguente scritta: “HIC TUMU-LANTUR CORPORA SAN-CTORUM FAUSTINI ETIOVITTE. EX PARTE MERI-DIANA CORPUS SANCTIFAUSTINI. EX PARTE ALTE-RA CORPUS SANCTI IOVIT-TE” . Ma a seguito delle turbo-lente vicende dei tempi siperse il ricordo di dove si tro-vassero le ossa dei santiProtettori di Brescia e solo nel1455 nel corso di lavori sotto ilCoro della chiesa venne allaluce la loro urna. Dopo pre-ghiere e digiuni, si risolse diprocedere all’apertura dellastessa, cosa che avvenne ilgiorno 11 dicembre 1455. Sifece una nuova ricognizione el’abate Marcello introdussenell’urna una tavoletta inpiombo con su scritto:“M.CCCCLV. XI. DECEMBR.HIC REPERTA ET ELLEVATAFUERUNT CORPORA SAN-CTORUM MARTIRUM FAU-STINI QUI IACET A MANE,ET IOVITE A SERO”. L’arcadopo essere stata richiusa fuposta nella chiesa sotterranea,o “scurolo” come si dice, sottoil Coro, nella quale rimasemaestosamente collocata,dipinta e ornata di oro e soste-nuta sopra colonne di finissimomarmo. Le pareti di questoscurolo mostravano, con variepitture fatte dalla mano delTestorino e del Foppa, diversenobilissime storie della trasla-zione e del trionfo di questi

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Figura 2. Frontespizio del raro volumetto edito sall’apertura dell’Arca nel 1623.

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Santi.Lì rimase fino a quando nel

1601 venne in mente all’Abatedel monastero di distruggere,con la scusa di dare maggioredignità alla chiesa e al coro, lasuddetta cripta. Poiché i mona-ci dissentivano sul fare ciò,l’abate, in un giorno in cui glistessi erano lontani per unaprocessione, ne approfittò perfare spianare tutta la cripta el’arca fu messa poi in mezzo alcoro e adattata come altare. Alcuni anni dopo volendo ilpopolo bresciano ristrutturarela chiesa e renderla più bella,vi furono due religiosi che por-tavano lo stesso nome deisanti, cioè il padre DonFaustino Gioia e l’abate padreDon Giovita Pastorio che sidettero molto da fare (il Gioiausando perfino il proprio dena-ro) perché la cosa venisse acompimento e si facesse unmausoleo degno dei SantiProtettori dove riporre l’urnacon le loro reliquie. A talescopo la città di Brescia, fattoun Consiglio generale, detteincarico allo scultore brescianoAntonio Carra di eseguire unsontuoso cenotafio. L’opera fu terminata nel 1623e fu stabilito il 7 febbraio ditale anno come giorno per lanuova apertura dell’urna ericognizione delle reliquie deiSS. Faustino e Giovita. Esiste in proposito, unicamentepresso la nostra BibliotecaQueriniana, una assai rara pub-blicazione il cui frontespizio(Fig. 2) recita così:“Relazione dell’Aprimento

dell’Arca de’ Santissimi proto-martiri, et protettori della cittàdi Brescia Faustino, et

Giovita” / Scrittaall’Illustrissimo, & eccellentis-simo Sig. Il Sig. LionardoMocenigo Procurator di SanMarco, da O.R. Stampata d’or-dine publico / in Brescia, Pergli Sabbi. 1623 / Con licentiade’ Superiori.”E’ un piccolo volume, quasi unopuscolo, in 8°, composto da4 carte più una tavola incisa.L’estensore del libro, che vieneindicato con le sole iniziali O.R., è il famoso Ottavio Rossi,autore di diverse importantiopere di argomento bresciano. In base al breve contenuto delvolume, integrandolo anchecon quanto scritto nell’opera diBernardo Faino sulle vite deiSS. Faustino e Giovita, stam-pata nel 1670, è possibileconoscere l’interessante reso-conto dell’avvenimento di quelgiorno del 1623.Furono presenti alla cerimoniatutte le autorità cittadine, tra lequali ovviamente il vescovo, ideputati pubblici, i rettori e ilgovernatore, molti illustrissimicavalieri, il clero tutto, i conso-li dei mercanti e i sindaci delterritorio, nonché molta nobiltàe il popolo. In proposito ilFaino fa un lunghissimo elencodi tutti i principali intervenuti,redatto con un certo stile adu-latorio tipico del tempo. Dopo una diligente ricognizio-ne dei sigilli a suo tempoapposti, lo scultore AntonioCarra e l’architetto AntonioComini procedettero, all’oradel vespro, all’apertura dell’ar-ca; in mezzo all’apparato dellecerimonie ecclesiastiche, alfulgore dei lumi, all’armoniosoconcerto musicale e al rim-bombante suono di tutte le

campane della città e del grannumero di tiri di artiglieria.Agli astanti parve come se sifosse spalancata una porta delCielo.Aperta l’arca di marmo greco,che il cronista dice essere“longa quattro braccia, dueoncie, & due terzi; larga duebraccia, & un terzo; alta unbraccio, undici oncie, & 2terzi, & è l’antica, cioè quellanella quale furono riposti dalBeato Ramperto”, si videro icorpi distesi, stando SanFaustino dalla parte destra. Laloro statura “non è straordina-ria, ma ben proporzionata. SanFaustino non eccede l’oncie lequarantasei; ma San Giovita èalquanto maggiore” . Tra le loro teste si trovava latavoletta plumbea messa dalbeato Ramperto e in bassosotto le loro ginocchia quellaun po’ più grande postavi dal-l’abate Marcello. Sopra i loropiedi e parte delle gambe c’erauna specie d’involto, come undrappo, tutto rovinato per idanni della vetustà (pare sia

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Figura 3. Foto del cenotafio con l’Arcadei Santi posto nella Chiesa dei Santi

Faustino e Giovita a Brescia.

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stato il vessillo Orifiamma cheuna volta era esposto nellachiesa e fu poi messo dentrol’urna nel 1455 dall’abateMarcello) e molta terra chesembrava frammista a sangue,il quale sarebbe stato quellodei due martiri che fuoriuscìmiracolosamente dai lorocorpi mentre erano trasportatidal cimitero di San Latinoverso la nuova chiesa.I corpi furono trovati spolpati,le ossa vi erano tutte, meno ilbraccio di San Faustino dona-to al monastero diMontecassino. Dalla testa delpredetto Santo il mento erastaccato. La testa di SanGiovita aveva una rotturatriangolare. Furono rinvenuteanche alcune monete di argen-to di conio di Venezia e deiduchi di Mantova e alcune dirame, però di conio sconosciu-to. Tutto quanto qui sopra descrit-to si vede nella tavola fuoritesto che si trova nella pubbli-cazione “Relazionedell’Aprimento ecc.”. Questastampa, disegnata da uno chedeve avere sicuramente guar-dato bene dentro l’urna, èmolto interessante e importan-te, poiché è l’unica raffigura-zione d’epoca che riproduceabbastanza esattamente il con-tenuto dell’arca e cioè: glischeletri dei due Santi, la posi-

zione delle tavolette plumbee edelle monete, e tutto il resto. Gli oggetti che vi erano dentrofurono toccati con le manisolamente dal vescovo, il qualetirò fuori le tavolette e lemonete per esaminarle e poi lericollocò al loro posto. Verso leore ventiquattro l’arca furichiusa ma non sigillata evenne affidata alla custodiadegli appositi deputati. Il mattino dopo il vescovo edue medici, famosi per lororinomata conoscenza in fatto direliquie, fecero un nuovoesame delle ossa e poscia icorpi santi furono coperti conuno zendado color incarnato;la sera poi furono gettate nel-l’arca monete di Venezia d’oroe di argento e i documenti pub-blici redatti su carta pecora,nonché una laminetta in piom-bo con la scritta “PUBLICODECRETO. ANNO DOM.M.DC.XXIII. SEPTIMOFEBRUARII SUMMA RELI-GIONE RESERATA ARCAREVISA SUNT SACRA MOR-TALITATIS PIGNORA DIVO-RUM TUTELARIUM FAUSTI-NI ET IOVITAE, ET RECO-GNITA IUXTA PUBLICADOCUMENTA, ET TABELLASPLUMBEAS IN EA REPER-TAS. QUOD BRIXIAE FOE-LIX FAUSTUMQ; SIT INAEVUM”.L’arca fu quindi richiusa e

sigillata e due giorni doposolennemente innalzata nelcorpo del mausoleo eretto nelcoro della chiesa dei SantiFaustino e Giovita. Questomonumentale cenotafio (Fig.3) in stile barocco, è scolpitoin marmo di Carrara, con intar-si di marmi neri e policromi,inoltre è abbellito con partico-lari di pregio. Sul davanti e sulretro dello stesso vi sono iscri-zioni in caratteri d’oro in onoredei Santi Patroni. La cronaca riporta che “non èstata la visita di queste glorio-sissime Reliquie senza gratiedivine”, ma che si verificaronoanche dei miracoli, come quel-lo di uno quasi completamentecieco che fissando l’arca riac-quistò la vista. E in particolarequello di un frate cappuccino,di nome Umile da Brescia, ilquale era addirittura in agonia;ma i suoi confratelli, che lovegliavano aspettandone ladipartita, quando sentirono isuoni di tutte le campane e lostrepito delle bombarde cheannunciavano l’apertura del-l’arca, si accostarono al suoorecchio e lo incitarono a rac-comandarsi ai due Santi. Cosache il frate fece, pregando den-tro di sé, e subito, come risve-gliandosi da un profondosonno, si risanò e visse permolti anni ancora.

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gostino Gallo (1499-1570), autore de Le gior-nate dell’agricoltura, va

annoverato fra i principali fau-tori dello sviluppo dell’agricol-tura Il suo contributo allo svi-luppo teorico dell’agricoltura èdifficilmente sintetizzabile,tanta è l’importanza rivestitadalla sua figura. L’ambiente agricolo che fa dasfondo alla nascita della prin-cipale opera agronomica bre-sciana è in particolare dellaBassa pianura bresciana, rap-presentata dalla tenuta diPoncarale del Gallo, dovel’agricoltura, irrigua e relativa-mente fiorente, era destinataprincipalmente all’approvvi-gionamento alimentare dellavicina città di Brescia. Dal punto di vista del Gallo èrilevante la logica del profitto,cioè l’individuazione di unmodus operandi nella condu-zione della terra finalizzato atrarre il massimo guadagnodalla vendita dei prodotti, diconseguenza attraverso unarazionalizzazione dei sistemidi coltura. Gallo è alla ricerca di principîuniversali: lo spinge la neces-sità di rivolgersi a possidentiterrieri – siano essi nobili o no– interessati non solamenteagli svaghi della villa bensìall’investimento di capitali nel-l’agricoltura.

Le Giornate dell’agricoltura, apartire dalla prima edizione del1564, vennero sottoposte ad uncontinuo processo di revisionee ampliamento: dapprimadieci, poi tredici, poi altre setteper comparire, nella versione

definitiva nel 1569, sottoforma di Le vinti giornate del’agricoltura. L’opera, in que-st’ultima veste, conobbe enor-me fortuna editoriale: bendodici edizioni nel corso delXVI secolo, sei nel XVII e

di Ennio FerraglioDirettore del Sistema Bibliotecario Urbano di Brescia, Membro dell’Ateneo di Brescia.

A

PEPITE QUERINIANE: RUBRICA DI SCOPERTE BIBLIOGRAFICHE

AGOSTINO GALLO E LA NUOVA AGRICOLTURA

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quattro del XVIII, alle qualivanno aggiunte le singole edi-zioni delle parti precedenti.L’opera descrive minuziosa-mente le attività quotidiane in“villa” – cioè nei campi – delnobile Giovan BattistaAvogadro, il quale avevalasciato la città per vivere nellacasa di campagna. La villadiviene al tempo stesso luogofisico e metafisico: edificiofunzionale alle attività produt-tive agricole, ma anche esoprattutto luogo spirituale,appartato, funzionale all’animoin cerca di una armonia intimacon la natura circostante.Il padrone della villa, secondo

la visione del Gallo, oltre adoccuparsi della gestione capita-listica dei propri beni, deveanche regolare la propria vitasecondo ideali cristiani: visita-re gli infermi, consolare i tri-bolati, agire rettamente, averefede. La ricerca dell’utile è,quindi, governata da leggimorali, riassumibili nella “cari-tà” paolina: si tratta di unavisione nuova dell’impegnoumano, una proposta di vitacristiana secondo valori uni-versalmente validi ed ampia-mente condivisi.All’interno delle Giornate del-l’agricoltura del Gallo, accan-to alla descrizione, al tempo

stesso fisica e spirituale, dellavita in campagna vi è anchel’esaltazione del lavoro fisico.Non si tratta, però, del laborimprobus di classica memoria,in opposizione all’otium intel-lettuale, bensì di un’attivitàcomplementare a quella dellospirito e dell’intelletto: lamanifestazione della pienezzaumana all’interno del mondo edella natura. Anche il lavorofisico, il duro lavoro neicampi, trova una sua precisacollocazione in un’ottica cri-stiana di compenetrazione conla natura, vista come specchiofedele della grazia divina.

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ell’anno in cui si celebrail 150° anniversariodell’Unità d’Italia, un’al-

tra ricorrenza ha coinvolto lanostra città ed in particolare gliambienti sportivi: il centenariodella nascita della squadra dicalcio cittadino.Tra le riviste che trattano disport, possedute dall’Emero-teca Queriniana, notevole

importanza storica ha il perio-dico Lo sport bresciano di cuipossediamo le annate dal 1920al 1924.È proprio in un articolo, com-parso sullo Sport bresciano del24 aprile 1922, che è tracciatauna breve storia della nascitadel calcio a Brescia. “La leggenda, che spesso va dipari passo con la realtà, narra

come “i primi calci furono tira-ti in Brescia da cinque operaiinglesi che vennero nel 1907nella nostra città per motiviprofessionali, rimanendovi sol-tanto poche settimane.Sotto la guida dei figli diAlbione i fratelli Vielmi, chedalla vicina casa erano subitoaccorsi in Campo Fiera, impa-rarono i primi rudimenti dello

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LE RIVISTE DEL BIBLIOFILOCOME NACQUE IL FOOT-BALL A BRESCIA:RICORDI VAGHIdi Antonio De GennaroResponsabile della Emeroteca della Biblioteca Civica Queriniana

Brescia, 1911 (Piazza d’Armi)Da sinistra in piedi: Bonomi, Ruchti, Legati, Rizzi, Vielmi I°, Vielmi II°, Zamboni, Baccelli (allenatore)

Da sinistra seduti: Maraglio, Vielmi III° (a terra), Carrera, Modena, Ponti.

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sport calcistico. Certamente imaestri inglesi erano pocomaestri…ma tuttavia l’origina-lità e la novità del gioco attras-se nei pressi del Campo Fiera,ogni sera, una vera folla dioperai che stupiti assistevanoalla poco estetica esibizione,cercando, ogni volta ne capi-tasse loro l’occasione, quasisempre con esito negativo, diimitare gli inglesi e i fratelliVielmi. Questi tentativiembrionali dovevano far inseguito germogliare il foot-balla Brescia. Alla loro partenzagli operai inglesi lasciavano inregalo ai Vielmi il pallone: inbreve, malgrado la completasconoscenza delle norme piùsemplici, il circolo dei cultorisi allargò. I giocatori eranocome i Vielmi quasi tutti gin-nasti della Forza e Costanza,ed un bel giorno questi si divi-sero in due schiere e fra unabaraonda indescrivibile e conuna regolarità che lascioimmaginare al lettore, si dispu-tò in Campo Fiera la primapartita di calcio. Per dare unesempio della tecnica dei gio-catori di allora, basti dire cheper qualche tempo essi ignora-rono che si giocasse realmentein partita, quale fosse il nume-ro dei giocatori e la disposizio-ne di essi stessi in campo.Di passo in passo si era cosìgiunti al 1908. i progressi deibresciani non erano stati pochi.Infatti animati dai più fieri pro-positi e visto che la Forza eCostanza non intendeva creareuna squadra di calcio questi sistaccarono dalla vecchia socie-tà ginnastica fondando unasocietà sotto il nome dei Fortie Liberi. Ad istruire nelle

norme del gioco giunse provvi-denziale un bresciano rimastolungo tempo in Inghilterra,certo Magni Mario, che fu ilprimo trainer.. Nella squadrabianco bleu (tali erano i coloridella maglia sociale) figurava-no il non dimenticatoMaraglio, Vielmi, Cancarini el’olimpionico ginnastaSalvi…Appena fu loro possibi-le e cioè nella stagione 1908-1909 i Forti e Liberi vollerolanciarsi nel <gurgite vasto> esi iscrissero (colmo della sfac-ciataggine) alla III.a CategoriaFederale…E’ ovvio dire chenel campionato i bianco bleufinirono buoni ultimi. Dopouna prima strepitosa vittoriaottenuta contro il CircoloSportivo Trevigliese per for-fait…i bresciani cominciaronoa conoscere l’amarezza dellasconfitta.… Malgrado gli insuccessi del-l’anno precedente nella stagio-ne 1909-1910, si ritentò ilcolpo. Le sconfitte furonosempre ininterrotte ma, indicedei continui progressi biancobleu, furono meno disastrosa-mente sonore. Difatti la piùgrave fu per 5-1 contro laAusonia Milano.Per migliorare le proprie con-dizioni finanziarie i Forti eLiberi fondendosi col ClubSportivo Brixia, formarono laSocietà Ginnastica <LaVictoria>.Sotto questo nome i brescianiconobbero l’onore della primavittoria con una squadra etero-genea battendo in partita ami-chevole in Campo Marte laforte squadra del Crema per 2a 0. Un altro buon successoottenevano nella conseguente

terza edizione di campionato1910-1911, costringendo almatch pari, dopo essere statibattuti a Brescia per 4-3, ilCircolo sportivo Treviglese sulproprio campo.Questi primi e sensazionalisuccessi vennero in buon puntoa risollevare il morale un po’basso dei bresciani che sicuridi prossimi trionfi decisero diallargarsi al massimo e dicostituire cioè un vero e pro-prio Club di Calcio che sapes-se rispondere alle cresciute esi-genze e dare allo sport nascen-te l’incremento necessario perscovare fra la folla nuovi epreziosi elementi.Questi giovani calciatori ven-nero in gran parte forniti dallesquadre di oratori che si anda-vano via via formando. In talestato di cose gli ex soci del<Victoria> formavano nel1911 il Brescia F.B.C. e lo for-marono col proposito di seria-mente e alacremente lavorareaffinché anche Brescia potesseavere, in un non lontano avve-nire, una squadra di calciodegna di tal nome che di frontea qualsiasi avversario sapessetenere alto il prestigio dellapropria città.Alla testa del piccolo nucleo diaudaci, infaticabile comandavaBonomi nome sconosciuto nel-l’attuale ambiente sportivo, mache diede, colla propria attivi-tà, base potente a quello chedoveva poi diventare un gran-de Club. E gli sportivi nondevono dimenticare certi nomio confonderli! Sono veramentemeritevoli di ogni elogio, gliumili che oggi con gioia vedo-no il frutto del loro lavoro. Enella nuova sede di Corso

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Garibaldi (Trattoria Brescia)gli allora arancio bleu concreb-bero la gioia delle prime vitto-rie, vincendo a Colorno laCoppa della Regina Madre,battendo, dopo una accanitissi-ma partita durata due ore e unquarto, la fortissima squadradel Bologna per 2-1. … Dopo tale successo ilBrescia si apprestò fidente acombattere una durissima bat-taglia: quella del campionatodi promozione. Nella stagione1912-1913 gli arancio bleuvedevano anche coronare unadelle più ardite e ambite spe-ranze : quella di avere un pro-prio campo cintato, stato difatto a cui gli psicologi delgioco del calcio attribuisconouna grande importanza inquanto il giocatore si sentemoralmente sollevato, e dire-mo così, alzato di grado. E nelcivettuolo campo di via Milanoancora in quel campo, pocofrequentato, i bresciani com-batterono battaglie vivacissi-me, su quel campo videro nau-fragare mille speranze di vitto-rie, videro spesso il trionfantesuccesso dei loro sforzi…

La guerra venne ad interrom-pere brutalmente la marciaoccasionale dei bianco azzurri.Parecchi giocatori e deimigliori, partono per il fronte oper lontani depositi. A sosti-tuirli vennero a Brescia ele-menti superiori per classe evalentia… Ma la nazione erafebbrilmente assorta nell’im-mensa tragedia che l’opprime-va e le squadre andarono lenta-mente scomparendo, i giocato-ri tutti furono al posto ove lavoce della patria li chiamava.A tirar calci rimasero i giovanio meglio i ragazzi.Il gioco del calcio a Brescianell’ante guerra si può dunquecompendiare nella vita delmaggior sodalizio calcistico.Le altre squadre furono tutte divalore mediocre e di pocaimportanza.Così di poca importanza per illettore sarà la descrizione dellavita calcistica del dopo guerra. Ai pionieri, ai dimenticati, agliumili, oggi che il gioco delcalcio assurge ad altezze inspe-rate, rivolgiamo, prima di chiu-dere queste righe, il salutoaffettuoso di coloro che oggi

godono del loro lavoro. Ai cooperatori sconosciuti restipure la gioia e l’orgoglio diaver cooperato. Ferrandi.”

Nell’anno forse più importan-te, per lo storico genetliaco, ilBrescia torna ancora una volta,tristemente, nella serie minoree a noi non rimane che rianda-re con la mente alle righe del-l’articolo de Lo Sport brescia-no pervase da una certa aura dinostalgia e da valori di dilet-tantismo che da tempo nonfanno più parte del calcio.

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di Mino MorandiniProfessore di Lettere Ginnasiali al Liceo Classico Arnaldo da Brescia; Socio dell’Ateneo di Brescia.

toria dell’architettura ita-liana. Da Costantino aCarlo Magno, a cura di

SIBLE DE BLAAUW, Milano,Electa, 2010, tomo I-II in cofa-netto, pp. 432, € 130, in grandeformato e tutto a colori, concentinaia di foto, disegni,mappe e cartine, consente unitinerario completo alle radicidell’architettura medievale,studiata nel suo formarsidurante il Tardoantico e l’AltoMedioevo, tra IV e IX secolo(con un’incursione nel X seco-lo nell’ultimo capitolo); parti-colare bellezza è conferita aidue tomi dalla scelta di unaforma tipografica che ricorda ilibri del primo Novecento, sianei caratteri sia nella cartalucida di un giallino tenue, chefa virare al seppia le foto,mentre i contenuti sono recen-tissimi e aggiornatissimi (giànella nota 5 dell’introduzionesi menziona un sito internet delmaggio 2010); il sommario ècome segue: Introduzione

(SIBLE DE BLAAUW), Le originie gli inizi dell’architettura cri-stiana (SIBLE DE BLAAUW),Edilizia di culto cristiano aRoma e in Italia centrale dallametà del IV al VII secolo(DALE KINNEY), Edilizia diculto cristiano a Milano,Aquileia e nell’Italia setten-trionale fra IV e VI secolo(PAOLO PIVA), Edilizia di cultocristiano a Ravenna (CAROLAJÄGGI), Edilizia di culto cri-stiano a Napoli, nell’Italiameridionale e insulare dal IVal VII secolo (GIOIA BERTELLI),Permanenze dell’architetturaantica (ROBERT COATESSTEPHENS), La città altomedie-vale: trasformazione dei centriantichi e nuove fondazioni(GIAN PIETRO BROGIOLO),Architettura monastica dagliinizi all’epoca carolingia(HENDRIK DEY), Rinascita aRoma, nell’Italia carolingia emeridionale (MANFREDLUCHTERHANDT); Apparati (acura di NELLA SCHRÖDER):

Tavole sinottiche, Bibliografiae fonti, Indice analitico. Ilrisultato è un libro ricchissimodi spunti storico-culturali, per-ché l’architettura, qui necessa-riamente indagata con l’ausiliodell’archeologia, fornisce lenozioni più concrete per lacomprensione del momentostorico e permette di darecorpo a ciò che le fonti scrittetramandano in modo non dirado astratto o idealizzato, e di

S

VISTI IN LIBRERIA:RUBRICA DI RECENSIONI LIBRARIE

Ci ostiniamo, tra bibliofili, a parlare di libri, anche solo per la sensazione di affidabilità offerta daun pacco di fogli di carta stampata, legati insieme e difesi da una copertina, un oggetto solido, chenon può svanire nelle nebbie del Mondo Virtuale per un istantaneo ammanco di elettricità o perqualsivoglia altro turbamento anche solo atmosferico, chissà dove e chissà perché: in casa basta cheil gatto, con un suo agile passaggio felino, stacchi inavvertitamente la spina, e … ‘in nulla torna quelparadiso in un momento’! Di tutto il trionfo intertestuale e multimediale evocato sul maxischermo èrestato il nero compatto e profondo, vuota voragine dove è amaro il naufragio.Con i libri c’è la fatica di girar le pagine, bisogna aprirli e metterli vicini per i collegamenti inter-testuali, e recuperare la citazione incerta comporta riletture anche ampie, quando l’indice dei nominon può giovare; ma la postilla marginale non va perduta, e riaprire un libro, già a suo tempo letto,è riaprire un pezzo del proprio passato.‘Grazie!’ quindi per questi preziosi amici, solidali nel viaggio della vita, e ‘Grazie!’ alla LibreriaResola, che ha messo a disposizione la quasi totalità dei volumi qui recensiti, e alle editrici Electa eMondadori per gli altri.

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intuire gli aspetti della realtàche esse tacciono o riguardo aiquali sono andate perdute.Esempi affascinanti sono lericostruzioni, per quanto è pos-sibile, della forma originaria(VI secolo) dei monasteri diMontecassino e Vivarium, o diSan Vincenzo al Volturno nellasua massima fioritura (IXsecolo), nonché l’ampia docu-mentazione sul complesso bre-sciano di Santa Giulia.

«Claustrum et armarium»:Studi su alcune bibliotecheecclesiastiche italiane traMedioevo ed Età Moderna, acura di EDOARDO BARBIERI eFEDERICO GALLO, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana- Bulzoni Editore, 2010, pp.334, € 27 (AccademiaAmbrosiana, Classe di StudiBorromaici, Fonti e Studi 12):a partire dal motto medievale emonastico «Claustrum sinearmario est quasi castrum sinearmamentario» (un chiostro,cioè un monastero, senzabiblioteca -ma è notevole chesi usi la parola ‘armarium’,cioè il deposito delle armi pernon farle arrugginire, l’armeriaspirituale, contro la ruggineinteriore- è press’a poco comeuna postazione militare senzanessun armamento, cioè un’as-

surdità) il professor Barbiericoordina un gruppo di ricerca-tori attorno a un tema cardineper la bibliofilia come per lastoria della cultura, il binomiobiblioteche - enti ecclesiastici.L’ambito è abbastanza vasto edall’VIII secolo (i più antichilibri noti di Montecassino)arriva al XIX, coinvolgendolocalità sia del nord Italia, siadel centro e del sud, come sievince dal sommario: Culturacristiana e biblioteche eccle-siastiche: una breve premessa(EDOARDO BARBIERI), Labiblioteca e l’archivio diMontecassino (MARIANODELL’OMO), La biblioteca diSanta Maria Incoronata inMilano (FEDERICO GALLO),Sulle tracce dei Domenicani.Dall’Archiginnasio alla biblio-teca di S. Domenico diBologna. Appunti di ricercasulle raccolte librarie antiche(GIANCARLO PETRELLA), I libridei canonici secolari di SanGiorgio in Alga nella docu-mentazione dellaCongregazione dell’Indice(GIOVANNA GRANATA), Lebiblioteche dei seminari: ungrande patrimonio bibliografi-co da conoscere e valorizzare(UGO ROZZO), La bibliotecadel Seminario patriarcale diVenezia nel secolo XIX. Notizieda una ricerca in corso(ALESSANDRO LEDDA), Gliinventari delle biblioteche deiseminari delle antiche diocesidell’alto Lazio. Resoconto diuna prima indagine (MARTINABALLARINI); Indice dei nomi. Illibro si legge come un roman-zo e sarà opportuno darne piùampio resoconto, appena pos-sibile, almeno per alcunevicende di libri e di dotti diparticolare interesse, come lastoria della bibliotecadell’Incoronata a Milano, lamigliore della città in epocaumanistica, studiata con l’an-nesso scriptorium da Mirella

Ferrari, qui ampiamente citatada Federico Gallo: all’iniziodel ‘600 Federigo Borromeone acquistò la sezione dimanoscritti e parte degli stam-pati per la futura BibliotecaAmbrosiana, dando in cambiolibri a stampa più recenti, checon tutto il resto scomparveroper la soppressione napoleoni-ca, cosicché dell’antica biblio-teca sopravvive solo quanto ègiunto in Ambrosiana.

La leggenda di Roma, III: laCostituzione, a cura diANDREA CARANDINI, Milano,Fondazione Lorenzo Valla -Arnoldo Mondadori Editore,2011, pp. 385, € 30, è il terzovolume della monumentaleopera di sintesi di mezzo seco-lo e più di lavoro arche ologi-co sulla Roma arcaica, tra VIIIe VI secolo a.C., e ricostruiscele radici più antiche, in parteeffettivamente risalenti allaprima età regia, della strutturapolitica dell’unica città-Statoantica che sia riuscita acostruire un ampio Stato terri-toriale -la prima Italia unita,dalla Calabria al Po, formatadalle antiche città italiche edalle nuove fondazioni roma-ne, le colonie, amministrativa-

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mente autonome, ma legateall’Urbe capitale da patti dilealtà politica, i «foedera»-,rapidamente assurto a fulcro diun impero che, con Augusto,raccoglieva i popoli, o megliole città, di tutto l’orbe mediter-raneo: Africa a nord delSahara, Medio Oriente finoall’Eufrate ed Europa fino alDanubio e al Reno.Anche se Roma non ebbe maiuna costituzione nel sensomoderno, la tradizione dinorme generali di diritto, gli«iura», risalenti a Romolo ocomunque ai re, come pure le«leges regiae», concernenti ildiritto privato, è accettata daCarandini come punto di par-tenza della discussione (allaquale contributi notevoli, fre-quentemente citati nelle note,vengono dagli studiosi diDiritto Romano della giovaneFacoltà di Giurisprudenzadell’Università degli Studi diBrescia, coordinati daAntonello Calore).Roma deve all’arcaica tradizio-ne italica, e in particolare etru-sca, la propria evoluzione bendiversa, e ultimamente vincen-te, rispetto alle «pòleis» gre-che, a Cartagine e agli altripotentati mediterranei: il con-cetto centrale dello Stato roma-

no è la ciceroniana «concordiaordinum», la collaborazionefra la classe dirigente e tutti glialtri ceti sociali, anche i piùpoveri, secondo un’equa ripar-tizione di diritti e doveri, basa-ta sul principio che chi più ha,più deve; il diritto fondamenta-le è un fatto giuridico, nonetnico né «razziale»: nella cit-tadinanza sono accolti non soloi figli dei cittadini, ma anchegli stranieri meritevoli e che siimpegnano a rispettare leleggi.

OVIDIO, Metamorfòsi, IV: libriVII-IX, a cura di EDWARD J.KENNEY, traduzione diGIOACHINO CHIARINI, Milano,Fondazione Lorenzo Valla -Arnoldo Mondadori Editore,2011, pp. 484, € 30, è il quartodei sei volumi previsti: fondan-dosi sul testo critico oxoniensedel Tarrant, offre una nuovatraduzione e soprattutto unaccuratissimo commento (275fitte pagine) di un’opera deci-siva non solo per capire la cul-tura romana al tramonto del-l’età augustea, ma anche per iriflessi innumerevoli nella sto-ria della letteratura (dai gran-dissimi Dante e Shakespearealla schiera infinita dei minorie dei minimi, anche solo comeprontuario di mitologia) eancor più dell’arte europeamedievale e moderna (Ovidioè forse il più pittorico dei poetiantichi), fino almeno al XVIIIsecolo, oggetto di una signifi-cativa ripresa di interesse negliultimi decenni per il temamodernissimo della metamor-fòsi, l’angoscia per il cambia-mento di identità che sembra lacifra del nostro tempo. Siincontrano qui Medea eGiàsone, Cefalo e Procri,Minosse e Scilla, Ercole eDeianira, i simpatici vecchiettiFilemone e Bauci e soprattuttoDedalo, archetipo mitico del-l’attuale, controverso connubio

tra filosofia e scienza.

Il racconto del Pellegrino.Autobiografia di sant’Ignaziodi Loyola, a cura di ROBERTOCALASSO, Milano, Adelphi,2011, pp. 108, € 16, è il rac-conto incompiuto (narrato alportoghese Gonçalves deCàmara, che ne prendevaappunti poi rielaborati e dettatiin spagnolo a scrivani, l’ultimodei quali era italiano e nellapropria lingua trascrisse laparte conclusiva, qui riportatanella forma originale) deglianni dal 1521 al 1538 del fon-datore dei Gesuiti, un ordineche, come prima i Benedettinie i Domenicani, ebbe partico-lare attenzione alle biblioteche,con maggiore apertura però,perché i Gesuiti furono fonda-tori soprattutto di collegi, cen-tri d’istruzione superiore apertianche ai laici e quindi attrezza-ti per l’insegnamento non solodelle discipline sacre e umani-stiche, ma anche delle scienzee delle arti, tanto che, ai tempidella soppressione settecente-sca dell’ordine, furono trasfor-mati spesso in università.Infatti nell’ Autobiografia sinarrano le peripezie del prota-gonista quando, a prezzo didurissime privazioni e nono-

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stante le frequenti persecuzio-ni, riuscì a compiere gli studiprima in Spagna, poi allaSorbona: la quotidianità, levisioni, i progetti, le decisionidi un’anima mistica e praticaal tempo stesso, un giovaneufficiale che, gravemente feritoin battaglia alle gambe, guari-to, ma rimasto zoppo, vollefarsele spezzare altre duevolte, per poterle avere perfettecome prima e poter riprendereuna vita mondana fatta di balli,cavalcate, battaglie e corteg-giamenti, come nei suoi amatipoemi cavallereschi; deluso inquesta (folle, data la chirurgiadel tempo) speranza, ridotto infin di vita da quell’ortopediaapprossimativa, la lettura dilibri di pietà gli fa rivolgereogni energia a mete più alte,lasciando un segno vivo ancoroggi. Nell’autobiografia egliparla di sé come delPellegrino, un uomo che devecompiere un percorso prestabi-lito, e lo compie in una prosascabra ed essenziale, esattariproduzione del parlato, uncapolavoro del ‘Siglo de Oro’.

SERGIO SOLMI, Scritti sull’arte,Milano, Adelphi, 2011, pp.470, € 45, conclude come sesto

volume la pubblicazione del-l’opera omnia di Solmi a tren-t’anni dalla morte; raccogliescritti sparsi, che l’autore nonriuscì a riordinare in un insie-me organico, come pure desi-derava, ma che nel complessorappresentano con rara profon-dità il disegno storico e alcunimomenti cardinali dell’arte ita-liana del ‘900, con rimandioltre confine e un sostanziosogruppo di studi sull’Ottocentoe sull’autunno delRinascimento (Brueghel,Michelangelo, Leonardo). Untesto estetico di estetica, unlibro di alta letteratura dedicatoall’arte; basti, come esempio,questo brano da La lezione diModigliani (1930): «Questopittore che, da vero figlio spiri-tuale di Baudelaire, ignoròsempre gli aspetti chiari e ripo-santi della natura, il volto delcielo e delle vegetazioni, hadefinito invece con estremapurezza di tocco le immaginid’una carnalità languida edesausta, ha rivelato nel suosegno flessuoso e febbrile,come nessuno ai giorni nostri,l’intimità della forma umana inabbandono. E qui bisognereb-be parlare più ampiamente diquanto io possa dei suoi indi-menticabili nudi femminili, incui la deformazione decorativaacquista un così delicato incan-to sensuale».

JACQUES CHESSEX, Un ebreocome esempio, Roma, FaziEditore, 2011, pp. 78, € 14,rievoca un atroce fatto di san-gue occorso a Payerne (canto-ne di Vaud, Svizzera) nel 1942:alcuni fanatici giovani nazistilocali, aizzati dal pastore val-dese Philippe Lugrin, attiranoin un tranello un commercianteebreo, Arthur Bloch di Berna,e lo fanno a pezzi, gettandone iresti nel lago, certi di una pros-sima ricompensa da parte deiloro finanziatori tedeschi che

presto, ne erano sicuri, avreb-bero occupato anche laSvizzera. L’autore, nato aPayerne, aveva allora 8 anni, efiltra attraverso la sua sensibi-lità di bambino ebreo i ricordidi quelle atmosfere tese epesanti, di un antisemitismodiffuso e sprezzante, un malesconfitto eppure indomabile,che inquina le radici stessedella realtà, e il lettore si con-forta a fatica leggendo lacoraggiosa e giusta sentenzache condannò all’ergastolo gliesecutori materiali del delitto.Ma non tutti; Lugrin, fuggitoin Germania, dopo la guerra fucondannato a vent’anni, ma nescontò soltanto i due terzi;l’autore lo incontra nel ’64 e lotrova ancora cocciutamentenazista, senza segni di penti-mento; la vedova di Bloch,invece, impazzisce e muorecinque anni dopo l’assassiniodel marito.

VASILIJ GROSSMAN, Il bene siacon voi, Milano, Adelphi,2011, pp. 253, € 19, recuperaper il lettore occidentale ungruppo di racconti, compostidallo scrittore dissidente russotra il ’43 e il ’63 e mai tradottifinora, di argomento vario, ma

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di un’unica, lancinante e rasse-renante bellezza. Il tema sotte-so, a lettura ultimata, si mani-festa nella contemplazionedella maestà della vita, dellasua profonda bontà costitutivae immanente che, benché indi-fesa, è infine indistruttibile,simboleggiata dalla MadonnaSistina di Raffaello, protagoni-sta dell’omonimo racconto,alla quale l’ateo Grossman(che scrive dopo averla vistaesposta nel ’55 a Mosca, quan-do il governo sovietico decisedi restituirla alla città diDresda) tributa un omaggio difede terrena e purissima, comealla sintesi delle sofferenzeinnocenti del Popolo Elettodurante la Shoah e di tutto ildolore del mondo, ricompreso,sublimato e salvato dalla bel-lezza eterna e quotidiana,umile e alta, della ragazzaebrea e di suo figlio: «Eaccompagnando con lo sguar-do la Madonna Sistina, conti-nuiamo a credere che vita elibertà siano una cosa sola, eche non ci sia nulla di piùsublime dell’umano nell’uomo.Che vivrà in eterno, e vince-rà». Erano gli anni plumbei diStalin, e poi di Bre�nev, quan-do anche solo pensare certe

cose richiedeva una forzad’animo speciale, che rendevive e simpatiche le figureumane de Il bene sia con voi:il vecchio maestro ebreo vitti-ma dei nazisti e la bambinaMaša, figlia di ‘raccomandati’del Partito, che in una brevedegenza conosce le miseriedella gente comune; la stessagente comune protagonista diuna versione in prosa ironicadei Sepolcri foscoliani,ambientata nel cimitero diVagan’kovo, e il lieto finecapitato all’orfanella adottatada E�ov, il sanguinario capodel KGB poi finito a sua voltain disgrazia; il mulo italianoGiu, preda bellica, e gliArmeni dell’ultimo racconto,che dà il nome all’intera rac-colta.

FRANCESCA PACI, Dove muoio-no i cristiani. Dall’Egittoall’Indonesia, viaggio nei luo-ghi in cui il cristianesimo èuna minoranza perseguitata,Milano, Mondadori, 2011, pp.194, € 17,50, è un precisoreportage su una delle emer-genze più preoccupanti delnostro tempo, per la sua valen-za involutiva oltre che per lasua oggettiva ingiustizia, rea-lizzato con il supporto di unaserie di interviste sui luoghistessi della discriminazione edella persecuzione (almenodove è stato possibile, perchél’autrice non è potuta entrarein Paesi particolarmente ‘duri’come l’Iran, il Pakistan e, sor-prendentemente, le Maldive,paradiso per turisti danarosidove la minoranza cristianalocale è pesantemente oppres-sa). Ci sono posti ben noti per-ché assurti all’onore delle cro-nache televisive, come l’Africasub-sahariana, dalla Somaliaalla Nigeria, e in Orientel’India e l’Indonesia, un tempopacifici laboratori di conviven-za tra religioni diverse, oggipercorse da persecutori di cri-

stiani, e poi la Cina, la Coreadel Nord (il Paese più efferatoal mondo contro i cristiani) el’Indocina, cioè quasi tutta laGrande Asia dove, complessi-vamente, p. Giulio Albanesecalcola «circa due miliardi emezzo di persone a rischio permotivi religiosi e di culto» (p.120), ma ci sono anche postidove la situazione aggiungealla tragedia l’alone dell’assur-do, come il Brasile che dà asiloal brigatista rosso Battisti, elascia ammazzare preti e suoreperché dicono agli indiosamazzonici che anche lorohanno qualche diritto, e chedifendendo gli indios si difen-de la foresta, un polmone indi-spensabile per l’intero pianeta;altri Paesi latino-americani, dalMessico alla Colombia al Perù,non sono diversi. Dai tempi diNerone e Diocleziano è cam-biato poco, dove non c’è apertaviolenza anticristiana, c’è ladiscriminazione strisciante,culturale e socio-economica(cfr., in «Mostre da vedere erivedere, da guardare e da sfo-gliare», la recensione allamostra romana su Nerone), chesi esprime soprattutto con ilcinema (ma ci sono anche filmin controtendenza, comeUomini di Dio di Xavier

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Beauvois, al quale FrancescaPaci dedica l’ultimo capitolo)e, grazie ai mass media, arrivadappertutto, corroborando ipeggiori pregiudizi, finché neimomenti di maggior crisiesplode, in cerca di un caproespiatorio, come nell’Egittoattuale contro i cristiani copti.L’unica speranza l’ha espressasenza saperlo VasilijGrossman, nel sopracitato Ilbene sia con voi.

LUCIANO DE CRESCENZO,Tutti santi, me compreso,Milano, Mondadori, 2011, pp.164, € 17, è un libro fine erilassante, come sanno esseredi solito i libri di DeCrescenzo, una raccolta diminibiografie di santi senzatoni elevati, ignoti all'autore,ma neppure irriverenti, prete-sto per intarsiare episodi edifi-canti e storie di miracoli moltonoti con ricordi e aneddoti piùo meno affini, tratti dallamemoria (si vedano i commen-ti a Santa Lucia e a SanGennaro); perciò queste vite disanti sono sottilmente ironiche,

gradevoli, frutto di quella pro-fonda religiosità partenopeache l'autore ha assorbito, comedice spesso nei suoi libri, daigenitori e in particolare dallamadre, una religiosità capaceanche di grandi gesti, quand'ènecessario, perché è attenta,giorno per giorno, a cercare ilbene ed evitare il male, comeafferma l'autore stesso nellaprefazione: "sono perfettamen-te d'accordo con il grandeumanista Lorenzo Valla quan-do dice che si commette pecca-to solo quando si fa del male aqualcuno. Ora lo giuro: ionella vita volontariamente nonho mai fatto del male a nessu-no, e già questa mi sembra unabuona partenza per aspirarealla nomina di santo".Insomma un libro che fa sorri-dere, riflettere, qualche voltaanche ridere e pensare: tuttecose che non sono mai di trop-po.

JOSEPH RATZINGER -BENEDETTO XVI, Gesù diNazaret. Seconda parte: dal-l'ingresso in Gerusalemme finoalla risurrezione, Città delVaticano, Libreria EditriceVaticana, 2011, pp.347, € 20, èun libro troppo importante peressere tralasciato, ma chemette soggezione al pensiero diparlarne in sintesi: non è, el'autore lo puntualizza, unabiografia del fondatore delCristianesimo, ma intende"illustrare "figura e messaggiodi Gesù"" nella ripresa di unapproccio contemporaneamen-te storico e teologico, pervalorizzare la ricchezza deltesto evangelico, anche conl'apporto delle scienze ausilia-rie. Dal punto di vista della

cultura del libro, oggetto dellabibliofilia, resta il fatto impor-tante che i papi tornino a scri-ver libri, come ai tempi eroicidi san Gregorio Magno, affi-dando anche ai libri il propriomessaggio dottrinale, di solitoappannaggio esclusivo deidocumenti ufficiali. In prospet-tiva interna al libro stesso,conforta la perenne vitalità delNuovo Testamento, la suarisorgente, continua necessitàdi essere studiato e interpreta-to, per offrire risposte nuove eadeguate al rinnovarsi dellarealtà contingente: le ultimeparole parlano dell'Ascensionee della "ragione permanentedella gioia cristiana". Nellapremessa a questo volume,conclusivo dell'opera sullaparola e sull'agire di Gesù, ilpontefice promette, "se perquesto mi sarà ancora data laforza", un "piccolo fascicolo"sui racconti dell'infanzia diGesù.

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di Mino MorandiniProfessore di Lettere Ginnasiali al Liceo Classico Arnaldo da Brescia; Socio dell’Ateneo di Brescia.

ERONE. ROMA, COLOS-SEO, CURIA IULIA ETEMPIO DI ROMOLO AL

FORO ROMANO, CRIPTOPORTI-CO NERONIANO, “DOMUSTIBERIANA” (SCAVI IN CORSO),MUSEO PALATINO, VIGNA BAR-BERINI, COENATIO ROTUNDARoma, dal 12 Aprile 2011 al18 Settembre 2011;Catalogo a cura di MARIAANTONIETTA TOMEI eROSSELLA REA;Milano, Electa 2011, pp. 256,€ 40.«La Soprintendenza Specialeper i Beni Archeologici diRoma dedica una grandemostra a Nerone, confermandocosì un ciclo espositivo incen-trato sulle figure degli impera-tori e cominciato nel 2009 conVespasiano.La mostra si articola attraversoun suggestivo percorso che ini-zia dalla Curia Iulia con iritratti dell’imperatore e dellafamiglia e la leggenda nera:Nerone nella pittura storica,con dipinti e sculture di etàmoderna che ne dimostrano lafama nei secoli. Si proseguenel tempio di Romolo con unvideo wall dove viene proietta-ta un’antologia cinematografi-ca che ha come protagonistaNerone nelle celebri interpreta-zioni, solo per citarne alcune,di Petrolini, Peter Ustinov eAlberto Sordi. NelCriptoportico neroniano si

affronta il tema del lusso sfre-nato profuso nei palazzi nero-niani e la propaganda attraver-so iscrizioni e rilievi che neraccontano le gesta.Nel Museo Palatino è illustratala fastosità della DomusTransitoria, il palazzo costruitoda Nerone prima dell’incendio,non solo attraverso affreschi emarmi policromi, ma anche, eper la prima volta, con unvideo che ne ipotizza una rico-struzione in 3D. La mostra siconclude al secondo ordine delColosseo con la storia delgrande incendio del 64 d.C. ela costruzione della DomusAurea.

Nel percorso i visitatori, e que-sta è una vera e propria novità,potranno osservare da vicinosettori delle residenze neronia-ne ancora in corso di scavo.Come ad esempio agli OrtiFarnesiani, ove sono riemersiimportanti resti della DomusTiberiana, il Palazzo doveNerone visse insieme al patri-

N

MOSTRE DA VEDERE E RIVEDERE,DA GUARDARE E DA SFOGLIARE

Jan Styka, Nerone a Baia, olio su tela, 1900 ca.,

Polonia, collezione privata

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gno Claudio, che lo adottò, ealla madre Agrippina, e dovefu proclamato imperatore.Ancora, sulla Vigna Barberinisi potrà vedere dall’alto -eapprofondire attraverso un fil-mato - quanto resta della ipo-tizzata Coenatio rotunda, lafamosa sala da pranzo girevolenominata da Svetonio, riemer-sa dagli scavi alla fine del2009.

La mostra riunisce poco menodi 200 pezzi tra sculture, rilie-vi, affreschi, dipinti e reperti direcenti scavi».Fin qui la presentazione delcatalogo, un sontuoso ‘librodella memoria’ per chi haavuto la fortuna di vedere lamostra (e ancor più per chi nonha potuto), con centinaia diillustrazioni, per lo più a colo-ri, che narrano la valenza

metastorica di Nerone, argo-mento profondo della mostra.Nerone è il prototipo del tiran-no universale, in quanto capodell’impero universale, nemi-co, in tempo di pace o condeboli nemici esterni, dell’inte-ra umanità civile, dedito allosterminio dei buoni ben più deisuoi predecessori nella lettera-tura e nell’immaginario collet-tivo occidentale: il persianoSerse, tiranno di un imperotroppo fragile ed esotico, lon-tano nel tempo e nello spazio eda tempo scomparso, Erode ilGrande, re di una Giudea trop-po piccola e disprezzata daiRomani (ma Augusto, alluden-do al suo vizio di sopprimere ifigli e alla sua osservanza nel-l’astensione dalla carne dimaiale, aveva ironizzato «pre-ferirei essere un maiale diErode che un figlio di Erode»),e poi i tiranni greci e magno-greci, i Dionigi e i Geronimi,tiranneggianti realtà limitate,singole città o poco più, aiquali era facile sottrarsi, quan-do non ribellarsi e abbatterli(per non parlare dei tiranni sti-mati e onorati anche post mor-tem, come Gelone e i dueGeroni, e del tiranno democra-tico Pisistrato ateniese) e itirannici re ellenistici, numero-si e feroci, ma effimeri e inperenne lotta tra loro, troppointenti a salvarsi per poter dav-vero impegnarsi a far del malein grande agli innocenti (conl’eccezione di Antioco IVEpifane, primo persecutoredell’Ebraismo); l’unico model-lo convincente, al qualeNerone stesso si ispirava, ilmacedone Alessandro, uccisoredi amici e parenti (e forse

Henry K. H. Siemiradzki, Le future vittime del ColosseoOlio su tela, 1899

Varsavia, Seminario Vescovile.

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mandante dell’assassinio delpadre Filippo), reso furentedagli stravizi e protetto dalFato, da quest’ultimo era statotuttavia colpito con una morteingloriosa e precoce, per altrostoicamente affrontata, tra ilcompianto dei suoi fidi che,presto, lo rimpiangeranno.Nemmeno c’erano credibiliantecedenti romani: troppoamato dall’oligarchia senatoriaSilla, dal popolo e dall’esercitoCesare, troppo cinicamente pioAugusto, troppo seriamenteimpegnato nel bene comune ilsevero Tiberio, troppo ingenuoe fugace il folle Caligola, trop-po buffo e bonaccione l’erudi-to Claudio; solo Nerone passadalla saggia moderazione deiprimi cinque anni d’imperoalla sregolatezza successiva,che coinvolge tutti, anche ilsapiente Seneca, costretto adavallare l’imperatore matricidaper fermare le prevaricazionidi Agrippina, imperatricemadre che per far postoall’amato figlio aveva propi-ziato la morte del suo patrignoe predecessore, Claudio (e, conNerone e Seneca, non eraestranea alla precoce fine diBritannico, figlio di Claudio efratellastro di Nerone); anchel’epicureo Petronio, arbiter

elegantiarum, anche la docileOttavia e l’affascinantePoppea, e tanti altri, rei diessere troppo ricchi, come gliesponenti della nobilitas depre-dati dei loro patrimoni perfinanziare le costose manieneroniane, o troppo celebri,come il vittorioso Corbulone;tutti infine vittime del principe,che non può fare altro, perchéun potere illimitato postula ilterrore e la solitudine: e il prin-cipe è vittima di se stesso, ogniamore gli è precluso, perché loindurrebbe alla pietà e alladebolezza, per consegnarlo allaviolenza del successore.Queste impressioni suscitatedalla riflessione critica sullamostra sono in parte disattesedai curatori della medesima,che tentano di ridar fiato almito del buon Nerone, vittimadella malignità dei posteri, glistorici Tacito e Svetonio anzi-tutto, senza avvedersi che talemito nasce nell’Italietta nazio-nalista e maldestramente impe-rialista della fine Ottocento,quando Domenico Gnoli(1838-1915) lo definisce (e lafrase introduce mostra e cata-logo) «elegante nelle suevoluttà, amabile ne’ suoicapricci, quasi attraente nellasua ferocia» (l’antecedente

Encomium Neronis diGerolamo Cardano -1562- è unesercizio letterario nell’ambitodella polemica sul Tacitismo).Non ci vuol molto a collegarequesto decadentismo da merca-tino delle pulci alle catastrofi,purtroppo reali, provocate dal-l’arrivo degli attesi emuli diNerone, in Europa e in Italia,attraenti nella loro neronianaferocia, rossa nera o d’altrocolore non importa, e comeNerone capaci di estorcere ilconsenso alle masse, drogan-dole con un’accorta propagan-da.Resta quindi l’occasione per-duta di fare il punto sulla capa-cità corruttrice del PotereAssoluto, il tacitiano «cor-rump?re et corrumpi saec?lumvoc?tur»: dal «buon Augusto»,che giunse a far uccidere gliitalici arresisi dopo il devastan-te Bellum Perusinum, persecu-tore di uomini di cultura (daCornelio Gallo, suicida, aOvidio, morto di nostalgia nel-l’esilio tra i barbari di Tomi),capace di relegare donne dellasua stessa famiglia per infra-zioni alla morale, fino aCostantino, che fece assassina-re moglie e figlio; dagli impe-ratori bizantini ai sultani lorosuccessori in Costantinopoli (il

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Fregio con riti bacchici, Da Roma, Palatino, Domus Transitoria, Intonaco dipintoEtà neroniana

Napoli, Museo Archeologico Nazionale

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cui conquistatore, MaomettoII, promulgò la legge per cui lasalita al trono del nuovo sulta-no implicava l’eliminazione ditutti i suoi fratelli, poi mitigatada Ahmed I con la reclusionenel ‘kafes’, la ‘gabbia’, neirecessi del Serraglio) fino aglizar, bianchi e rossi, di Mosca,la Terza Roma.Nerone ha avuto molti ammi-rati imitatori, e la nostalgia perlui prende corpo, con esitigrotteschi («Per i contempora-nei e per i posteri Nerone eraal tempo stesso la misura dellimite umano e l’eroe dell’im-possibile»), nell’unilateralesaggio Nerone o dell’impossi-bile, che apre il catalogo, eritorna spesso, con gravedanno dello spessore storico

del volume; al di là di questipatetici tentativi di recupero,resta a suo carico, più dellenumerosissime vittime aristo-cratiche e dell’atteggiamentoquanto meno ambiguo in occa-sione dell’incendio dell’Urbe(dal quale trasse incontestabilivantaggi personali, edificando-si la Domus Aurea su terreniche il fuoco aveva sgombratoda case e proprietari: la maniadi credersi grandi architettirifondatori rimane un trattocomune fino ai moderni ditta-tori, da Hitler a Ceausescu),più ancora dell’atroce persecu-zione dei cristiani con il prete-sto dell’incendio (ce ne furonoaltre, ma le ‘torce neroniane’,qui illustrate dal quadro diSiemiradzki, rimasero imbattu-

te), la colpa inespiabile di averriaperto, dopo un secolo di tre-gua, la strada alle stragi frater-ne ed esiziali delle guerre civi-li, causa prima dell’indeboli-mento e della rovinadell’Impero.

Sommario del volume: Storiae leggenda: Nerone o dell’im-possibile (ANDREA GIARDINA),Fine di una dinastia: la mortedi Nerone (MARISA RANIERIPANETTA); La fortuna: Saggidi iconografia neroniana nelleAccademie italiane tra Otto eNovecento (GIACOMO AGOSTI),“Lux in tenebris”. Nerone e iprimi cristiani nelle opere diEnrico Siemiradzki e Jan Styka(JERZY MIZIO?EK), Neronesuperstar (GIUSEPPE PUCCI);L’incendio: Nerone e il grandeincendio del 64 d.C.(CLEMENTINA PANELLA);Nerone, il grandecostruttore: “Qualis artifexpereo”. L’architettura neronia-na (ALESSANDRO VISCOGLIOSI),L’attività edilizia a Romaall’epoca di Nerone (HENNERVON HESBERG), Nerone sulPalatino (MARIA ANTONIETTATOMEI), Gli atri odiosi di un recrudele (ANDREA CARANDINIcon DANIELA BRUNO e FABIOLAFRAIOLI), La DomusTransitoria: un’ipotesi di col-locazione (HEINZ-JÜGENBESTE), La Domus Aurea(ALESSANDRO VISCOGLIOSI), LaDomus Aurea nella valle delColosseo e sulle pendici dellaVelia e del Palatino(CLEMENTINA PANELLA),Domus Aurea, il padiglionedell’Oppio (HEINZ-JÜGENBESTE); L’artista e comunica-tore: Nerone e il “potere delle

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immagini” (MATTEO CADARIO),La pittura di età neroniana(IRENE BRAGANTINI), Nerone,le arti e i ludi (ROSSELLA REA),La letteratura al tempo diNerone (EMANUELE BERTI);Apparati: Regesto delle operein mostra, Cronologia (a curadi MARISA RANIERI PANETTA);Bibliografia.

ISOLE DEL PENSIERO:ARNOLD BÖCKLIN, GIOR-GIO DE CHIRICO, ANTO-NIO NUNZIANTEFiesole, Palazzo Comunale,Sala del Basolato, dal 16Aprile al 19 giugno 2011;Catalogo a cura di GIOVANNIFACCENDA;Milano, Electa 2011, pp. 160,€ 35.Per un pittore della malinconiametafisica, ontologicamentefondante il solido nulla del-l’universo, il luogo dove deci-de di attendere la morte è piùimportante del luogo dove altriavevano deciso che nascesse:così per lo svizzero ArnoldBöcklin, nato a Basilea il 19Ottobre 1827, Villa Bellagio,tra San Domenico e Fiesole,dove si trasferisce nel 1894,due anni dopo il primo ictus, eda dove scrive «Ho compratouna villa ... così finalmente houna patria, dopo aver a lungogirovagato come un vagabondosenza patria», è il luogo degliultimi dipinti, «l’estrema sta-gione umana creativa, segnatada disperazione, malinconia,un diffuso presagio dellamorte», fino al fatale 16Gennaio 1901; poco dopo, latumulazione a Firenze nelCimitero Evangelico agliAllori.

A Villa Bellagio rimasero que-ste opere ultime, comprate, apochi mesi dalla morte delMaestro, con la villa e tutto ciòche conteneva da EduardArnhold (1849-1925), unodegli uomini più ricchi diBerlino, e alla sua mortedisperse nei rivoli di diverseeredità: ora la mostra le riuni-sce e le legge in parallelo con ipittori italiani che più hannoamato, ripreso e fatto riviverela lezione di Böcklin: Giorgiode Chirico (1888-1978) eAntonio Nunziante (1956-viv.);quest’ultimo, grazie alla corte-se ospitalità della famigliaGericke, attuale proprietariadella villa, ha avuto la possibi-lità di lavorare nell’atelier cheBöcklin si era fatto costruire

‘su misura’ dal figlio Carlo,architetto, finora gelosamentecustodito e rimasto quindicom’era ai tempi del pittore.In tutto si tratta di una trentinadi opere, ed è questo il primopregio de «Isole del pensiero»:non c’è il rischio della disper-sività, anzi la concentrazionedel lettore-visitatore è stimola-ta dalla compattezza anchetematica dei tre gruppi diopere, la solitudine come datoprimo e definitivo dell’artista,che si concretizza nel silenziodella natura morta (o, permeglio dire con la traduzionedel termine tecnico tedescoStilleben, usata da de Chiricoin una delle opere esposte,«vita silente») o in tanti altrielementi simbolici celebri del-

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l’immaginario di Böcklin, dal-l’individuo -Ulisse in Ogigia-visto di spalle, un blocco mas-siccio e impotente, un enigma(de Chirico) per se stesso e pergli altri, nel rifiuto inutile diCalipso, la Dea che avvolge eimprigiona, come Aracne nellasua ragnatela, alla sorgente chesi fa strada in una fendituradella roccia, ricca di verzura epersino di una luce lontana, mastretta tra invalicabili muraglie;ma l’icona della mostra èsoprattutto l’isola, sintesi delledue immagini precedenti, isoladei morti (Böcklin ne realizzòcinque versioni, riportate ecommentate nel catalogo) e lameno nota «Die Kapelle» (ilcatalogo riproduce le due ver-sioni note), una cappella apianta quadrata, quasi unatorre, dalle alte mura già datempo sventrate dai crolli edall’incuria, su uno scoglio,ora esposto alla furia del fortu-nale marino, che la invade conle ondate e ne fa scappare per-sino i gabbiani, ultimi abitato-ri, eppure rifulge di una chiara,inspiegabile luce, come se ifulmini che l’hanno colpitaavessero lasciato lì, perenne, illoro bagliore, che spicca con-tro il livido cielo tempestoso ene illumina dall’interno latenace e infine vana resistenzaai marosi.L’isola, le isole del pensiero,sono al tempo stesso blocchi

enigmatici e solitari e scrignipreziosi di una vita interiore,miracolo fragile, sospeso traluce e ombra.

Sommario del volume (intera-mente trilingue, italiano-tede-sco-inglese): Nunziante.Pensare per immagini(CRISTINA ACIDINI), AntonioNunziante e le sue affinità conArnold Böcklin (HANSHOLENWEG), Laggiù dove tuttoè possibile (davvero) (PAOLOPARRINI), Isole del pensiero(GIOVANNI FACCENDA),Catalogo delle opere (a cura diGIOVANNI FACCENDA e NATALIASASSU SUAREZ), L’Isola deiMorti. Il celebre paesaggio diArnold Böcklin e la suainfluenza dalle origini all’epo-ca contemporanea (HANSHOLENWEG), Metafisica, sì, maquale metafisica? (PAOLOPARRINI); Note biografiche;English texts / Deutsche Texte.

COLLEZIONE CHRISTIANSTEIN: UNA STORIA DEL-L’ARTE ITALIANALugano, Museo Cantonaled’Arte, dal 12 Marzo 2011 al15 Maggio 2011;Catalogo a cura di JEANLOUIS MAUBANT e FRANCISCOJARAUTA;Milano, Electa 2011, pp. 350,€ .La mostra raccoglie una sele-zione di circa cento opere tra

quelle costituenti la collezioneraccolta da Margherita Stein,alias Christian Stein (nata aTorino e ivi scomparsa il 29Aprile 2003, aveva assuntocome pseudonimo nome ecognome del marito, di originetedesca), dal 1966, quandoapre la propria galleria d’arte aTorino (in via Teofilo Rossi, 3fino al 1972; poi in piazza SanCarlo 206), al 1996, quando lachiude e si ritira a vita privata(nel frattempo, dal 1985, erastata aperta un’ulteriore sede invia Lazzaretto 15, poi in corsoMonforte 23, a Milano, tuttoraattiva, da lei affidata alla dire-zione di Gianfranco Benedetti,che più tardi associò, a NewYork, la Galleria ChristianStein con Barbara Gladstonenella SteinGladstone Gallery;dal 1991 la Stein apre aMilano la seconda casa-galle-ria in via Amedei, 1), e docu-menta l’evoluzione dell’arteitaliana in quel periodo, chepress’a poco coincide con lanascita e l’espansione dellacosiddetta «arte povera» e dialtri gruppi e movimenti arti-stici d’avanguardia, dalloSpazialismo al gruppo Zero

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NIMALI FANTASTI-CI: I miti del mondogreco, romano ed etru-

sco» ATTUALIZZATI ECOMPRESI IN UN VOLU-ME ILLUSTRATO IDEATOA BRESCIA.PRESENTAZIONE DELVOLUME A CURA DIPAOLO LINETTI «ANIMALIFANTASTICI»: IL PRIMOBESTIARIO COMPLETODELLA MITOLOGIA CLAS-SICA1Presentato lunedì 6 Giugno2011, alle ore 18,nell’Auditorium di SantaGiulia in via Piamarta 4 aBrescia.

Non è da tutti realizzare (ad unprezzo assai contenuto, acces-sibile anche a tasche studente-sche... e insegnantizie) unvolume da bibliofili, splendi-damente illustrato da disegni asanguigna che sembrano uscitida qualche sconosciuto bro-gliaccio di un ignoto pittorerinascimentale, se non spuntas-se qua e là quel tratto guizzan-te e ironico che denuncia lafrequentazione delle moltepliciscuole ‘manga’ giapponesi,come se Leonardo fosse arriva-to a giungere fin là ... non è datutti, ma ancor più è raro, edegno della bibliofilia, che ilsuddetto volume illustrato con-tenga un testo di prim’ordineper erudizione e acribia, per«fare ordine e chiarezza nelprimo bestiario completo sullamitologia greca, romana edetrusca, senza confonderledove sono affini, ma distinte».Merito del regista della vicen-da, Paolo Linetti, e dei suoi

complici di Studio Ebi(«abbiamo vinto la scommessadi stare in equilibrio tra il pre-concetto che le tematiche seriesiano pesanti e quello che ilfumetto sia cosa fatta per i

bambini»), Lucia Botta conAlessandro Gazzoli e la colla-boratrice esterna FrancescaBrizzi, archeologa e insegnan-te: come per i precedenti volu-mi illustrati, Che santo è?

di Mino MorandiniProfessore di Lettere Ginnasiali al Liceo Classico Arnaldo da Brescia; Socio dell’Ateneo di Brescia.

“A

DIARI BRESCIANI“ANIMALI FANTASTICI, I mit i del mondogreco, romano ed etrusco”

PAOLO LINETTI, Animali fantastici. I miti del mondo greco, romano ed etrusco, Milano,Silvana Editoriale, 2011, pp. 160, € 15; in questa recensione riprendo in parte un arti-

colo apparso sul «Giornale di Brescia

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Iconografia dei santi in stilemanga e Seven Spirits of God(dedicato ai sette Arcangeli),erano andati a scomodare, oltreagli storici dell’arte medievalee discipline afferenti, priori eabati e teologi, ora hanno chie-sto lumi ad alcuni tra i piùimportanti professori italianinell’ambito dell’antichistica:Maurizio Harari, docenteall’Università di Pavia diCollezionismo dell’arte antica,etruscologia e archeologia ita-lica, nonché di Mitologia clas-sica e iconografia, ElenaSmoquina, dottore di ricerca inStoria e civiltà delMediterraneo antico sempre aPavia, Massimo Cardosa,docente di Valorizzazione deiBeni Archeologiciall’Accademia di Brera, TeresaMorettoni, direttore del MuseoDiocesano di Assisi, MarinaRubinich dell’Università degliStudi di Udine, Marina Cavallidel Dipartimento di Letteraturateatrale della Grecia antica(Università Statale di Milano),Francesca Morandini deiMusei Civici d’Arte e Storia diBrescia, Francesco Tibonidell’Associazione ItalianaArcheologi Subacquei, LauraSanna, archeologa e collabora-trice della Soprintendenza per iBeni Archeologici di Venezia,Giuseppe Fusari, docente diIconografia e Iconologiaall’Università Cattolica delSacro Cuore, e poi studiosi eamici, come Flavio Bonardi,Andrea Crescini, Sara Dalena,Gabriella Pagani Cesa, DanielaBoselli, Luisa Ruggeri e FabioRolfi, vicesindaco di Brescia,che hanno dato una mano nellavoro per le schede o per larealizzazione del volume (conil contributo della FondazioneASM -che ha acquistato unbuon numero di copie da dif-fondere nelle scuole- e delMuseo Diocesano di Brescia, ilPresidente del quale, LodovicoCamozzi, è tra i prefatori delvolume, con Maurizio Harari e

Aracne. Molte trasformazioni raccontate dal mito sono sono legate ad amori impossi-bili o non corrisposti; quella di Aracne, invece, è causata da una contesa di tipo

potremmo dire 'professionale', ambientata in Lidia, in quell'Asia Minore luogo di pro-duzione di lane e tessuti riccamente istoriati e di filati tinti con la porpora. Qui, in una

piccola cittadina, Ipepe, abitava una fanciulla di umili origini, figlia di un tintore,Idmone di Colofone, e famosa per la sua maestria nelle arti della tessitura e del rica-mo. Ovidio, che nel VI libro delle sue Metamorfosi (vv. 5-145) ci offre la descrizione

più ampia e particolareggiata della vicenda, ci parla di una fama degna di memoria("nomen memorabile") e di opere che suscitavano meraviglia ("opus admirabile"); per-

fino le ninfe delle campagne (delle vigne e delle acque) accorrevano ad ammirarle.Aracne era giustamente orgogliosa della sua arte ma si rifiutava di ammettere che fosse

dovuta ad una particolare protezione divina, ritenendola un'abilità derivante soltantodal proprio talento. Anzi, sfidava apertamente Atena, la dea della ragione e delle attivi-

tà femminili della filatura e della tessitura, a gareggiare con lei. La dea, presentatasisotto le spoglie di una vecchia, cercò dapprima di farla pentire, ma, insultata, apparve

in tutta la sua maestà e accettò la sfida. Il tessuto realizzato da Atena era splendido, maquello di Aracne di fatto lo superava e la dea lo distrusse, squarciandolo, e colpì più

volte la giovane con la spola di legno. Il racconto di Ovidio ci suggerisce che l'ira divi-na fu causata soprattutto dai soggetti scelti da Arachne per la sua opera: i"caelestia cri-mina", e cioè le molte violenze perpetrate, sotto mentite spoglie, dagli dèi più potentidell'Olimpo (Zeus, Poseidone, Apollo, Dioniso e Crono-Saturno) a danno di fanciulle

mortali e anche divine. Un'insolenza insopportabile per Atena, che invece aveva esalta-to la manifestazione della potenza divina nella contesa da lei sostenuta contro

Poseidone per il possesso dell'Attica davanti ai dodici dèi olimpi e nella punizionedivina di alcuni mortali che avevano osato sfidare per orgoglio le divinità, contestando

l'ordine cosmico delle cose. Anche per Aracne la punizione fu terribile: indotta adimpiccarsi dai colpi di spola della dea, la giovane fu aspersa con il succo di erbe magi-che (erbe di Ecate, la dea delle streghe e della magia); la vediamo perdere i capelli, il

naso e le orecchie, e rimpicciolire nella testa e nel corpo mentre il ventre si ingrandiscea dismisura, le gambe sono sostituite da zampe sottili e dal cappio intorno al collo si

sviluppa il filo per una nuova tela, infinita ma priva di ogni colore. Nasce così il ragno,animale inviso a Minerva, come ci dice Virgilio nelle Georgiche (IV, vv. 246-247), e

anche a molti degli uomini, tanto che la metamorfosi di Aracne risulta un soggetto pra-ticamente ignoto alle arti figurative di età greco-romana. È rimasto però fin quasi ainostri giorni un suggestivo legame antropologico tra il morso velenoso del ragno (la"taranta") e l'espressione, senza alcuna inibizione e soprattutto da parte di personalitàfemminili, di pulsioni intime e altrimenti inconfessabili, che scardinano in un certosenso l'ordine delle cose così come fece Aracne denunciando i "crimina" degli dèi.

MARINA RUBINICH, ricercatore presso il dipartimento di Archeologia dell'Università diUdine.

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Stefano Zuffi), e StefanoBombardieri, scultore brescia-no, che ha realizzato l’Arpia daesporre nella mostra in allesti-mento.Insieme hanno affrontato illungo lavoro propedeutico:setacciare tutti i testi antichi incui si parla di creature mitolo-giche, anche i più rari e com-plessi, come Nonno diPanopoli, Licofrone, Manilio,Ctesia e Filostrato, e affiancar-ne gli elementi descrittiviestratti alle raffigurazioni rica-vate dagli studi archeologici,quasi sempre prive di iscrizioniepigrafiche che possano funge-re da didascalia, per ricostruirel’aspetto o gli aspetti più pro-babili di queste creature.Fermandosi qui, ne sarebbescaturito uno dei tanti lavorienciclopedici, che poi restanosepolti negli schedari deglispecialisti che l’hanno scritto otutt’al più naufragano nellesegreterie delle case editrici,tra le tante proposte irrealizza-bili per il costo eccessivo, eanche se si arriva a trovare ilmagnate appassionato di mito-logia, che allarga generoso icordoni della borsa, ne sarebbesortito un eruditissimo volu-mone, pronto a raccoglieresecoli di polvere negli scaffalidelle pochissime bibliotechespecialistiche che possono per-mettersi di acquistarlo, il restorimanendo all’editrice, in atte-sa dell’immancabile macero,perché anche lo stoccaggio inmagazzino ha, oggi, costi proi-bitivi (vicende del genere ren-dono da qualche decenniosempre più attuale il motto cal-limacheo «un libro grosso è ungrosso guaio»).Ma qui sono entrate in azionele risorse figurative di StudioEbi ed ora «Animali fantastici»rifulge nell’immediatezzacomunicativa del disegno (unasettantina di tavole a tuttapagina, più vari disegni mino-ri) e nella razionale disposizio-ne diacronica della materia:mostri ancestrali di prima

generazione, come Tifone eAcheloo, e di seconda genera-zione, come Cerbero e laChimera; razze mitologiche(Giganti, Centauri, Sirene ...alate, ben diverse dalleTritonesse, metà donna e metàpesce); umani mutati in mostri,come Medusa e Scilla; animali

fantastici (Pegaso, la Fenice),anzi creature, come l’automaTalos, tutto di bronzo; e infinei mostri della mitologia etru-sca, come Charun, Vanth, ilicantropi, le sirene e Scillaetrusche.La causa prima e fatale -con-fessa Paolo Linetti- sono stati

Le Tritonesse. Nel mondo greco-romano le Tritonesse non hanno miti che le menzio-nino direttamente. Sono assai rare anche le loro rappresentazioni: sono noti pochi

esemplari a tutto tondo e alcune raffigurazioni su mosaici o vasi apuli, ove spesso unaTritonessa è associata, in posizione araldica, a un Tritone.

Nell'arte romana la loro raffigurazione è considerevolmente più frequente.Presentano un corpo muliebre fino alla vita, che assume un aspetto pisciforme là dove

ci aspetteremmo i fianchi e le gambe. Possono essere dotate di una o due code. Gliesemplari a due code potrebbero derivare dall'iconografia dei Giganti a doppia coda

serpentiforme del Grande Altare di Pergamo. Le Tritonesse non sono molto diffuse in quanto, nel mondo antico, ai Tritoni tradizio-nalmente non erano associate delle donne-pesce, ma le Nereidi, ninfe delle acque, cheavevano però un aspetto completamente umano. Soprattutto in età tardo-ellenistica e

romana, si vollero creare, anche per il solo scopo di "stupire" lo spettatore, nuovi esse-ri allo scopo di arricchire il corteo del dio del mare, ed è possibile che a tale epoca si

debba l'"invenzione" della Tritonessa. Del resto si è in un periodo in cui anche Tritoneha ormai perso la sua originaria identità di dio, figlio di Poseidone e Anfitrite ed è

andato a moltiplicarsi in una serie di personaggi, talora uomini-pesce, talora Ittiocentauri, usati spesso come semplici riempitivi, o, al massimo, per guidare il carro

trionfale del dio del mare. La figura della Tritonessa è comunque significativa, perchè costituisce l'antecedente

iconografico per la sirena medievale.FRANCESCA BRIZZI

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gli «orrori», nel senso piùedulcorato e melenso del ter-mine, delle riduzioni televisiveo cinematografiche, nipponi-che o disneyane, realizzate ingenere con la tecnica del carto-ne animato, con protagonistimitologici solo di nome, mache niente avevano in comunecon il furente Ercole di Seneca,già vincitore dell’Idra di Lernae del Leone Nemeo, o conl’Apollo «arco d’argento»omerico, che saetta la peste nelcampo acheo e canta a Delfi ilpeana sul trafitto serpentePitone, o con le crudeli astuzie,fucine di guerre atroci e tragi-che metamorfosi, della castaArtemide, alla quale è sacra laCerva di Cerinea dalle cornad’oro, e dell’aurea Afrodite,moglie infedele dello zoppoartefice Efesto e madre del-l’alato e spietato Cupìdo,secondo quanto ne narranoOvidio e Virgilio.Vedere i propri nipotini che sipascevano avidi di inconsisten-ti «leggende metropolitane»pseudomitologiche (un sinteti-co campionario esemplare èraccolto in calce al volume)l’ha indotto a tentare una«restitutio» al tempo stessofilologica (raccogliere i profilidei personaggi mitologicidirettamente dai testi classici)ed etica: il mito non è una rac-colta di favolette insulse pertenere occupati i pargolidavanti alla tivù; il mito portaverità talmente grandi, scomo-de e profonde che non si pos-sono esprimere con le parole econ le immagini della quotidia-nità, ma che hanno bisogno diesseri fantastici, di natura mol-teplice, divina e demoniaca,eroica e bestiale, nel bene e nelmale sempre eccedenti l’uma-na misura, e «Animali fantasti-ci» è solo l’avanguardia, allaquale seguiranno quanto primagli Dei e le Dee, le Eroidi e gliEroi che con loro convivono,lottano o si fuggono nel temposenza tempo che precede l’uo-mo e la sua storia.

Charun. Charun era il principale demone etrusco, la personificazione stessa dellamorte o, come scriveva Franz de Ruyt, “è il viso della morte”. Corrispettivo di

Caronte, è anche una sua terrificante e spaventosa deformazione, infatti non ha nulladel saggio e tranquillo nocchiero dello Stige. Egli accompagnava i defunti nell’ultimo

viaggio (a piedi, a cavallo o su un carro) verso l’oltretomba, conducendoli verso lameta finale dell’uomo: l’Ade.

Una delle sue più celebri raffigurazioni si trova nella Tomba della Quadriga infernalea Sarteano. Talvolta Charun è rappresentato a protezione dell’ingresso degli Inferi,

come nella Tomba dei Caronti e nella Tomba degli Anima di Tarquinia, o in connessio-ne con la morte con quella François di Vulci. E’ spesso accompagnato dalla Dea alataVanth, anch’essa associata al mondo infero, come nelle ultime due tombe sopra ricor-date. Charun portava indosso un mantello ed era sempre armato di un potente e pesan-te martello, simile all’ascia bipenne romana, con cui colpiva la trave che bloccava la

porta degli inferi, provocandone lo slittamento. Fissava così immutabilmente il destinodegli uomini, facendovi entrare i defunti e impedendo loro di tornare nel mondo dei

vivi. Era rappresentato solitamente come un demone alato di grandi dimensioni: se neindicano la lunga barba bianca e irsuta che scende dal mento, i capelli incolti costituitida serpenti, gli occhi come due braci immobili e fiammeggianti, le orecchie aguzze e

allungate, il naso grosso e adunco. E’ sempre colto con un ghigno sulle labbra chelascia scoperti i denti. Nelle pitture si distingue dai moltali anche per il suo colore

bluastro: quello della carne in putrefazione. In alcune stele funerarie, Charun trascinadietro di sé una fauna assortita in cui si mescolano sfingi, grifoni, ippocampi, mostri

marini e leoni in atto di divorare.TERESA MORETTONI

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L’obiettivo è ridare dignità cul-turale alla meditazione icono-logica sul mito, secondo lanobile lezione di Aby Warburg,citato da Fusari nella presenta-zione del libro, e riportarenella scuola la mitologia comeprodromo alla comprensionedel mondo antico, della suaperenne giovinezza simbolica edelle sue laceranti contraddi-zioni interiori, rappresentate inmodo arcano e stupendo, peresempio, dal mito di Aracne, latessitrice perfetta, che se nevanta e sfida a duello al telaioAtena, dea della sapienza edelle arti femminili, compien-do così una deprecabile‘hybris’, un atto di tracotanza;ma il peggio deve ancora veni-re: Aracne vince, la sua tela èpiù bella, ma aggiunge ‘hybris’a ‘hybris’ perché il soggettorappresentato è un’antologia dinefandezze di Zeus e altri Deiai danni di innocenti fanciulle(v. più avanti Lamia), mortali eanche immortali (da parte suala vendicativa dea, per altro,aveva scelto un soggetto nonproprio privo di spunti polemi-ci e minacciosi: l’esaltazionedella sua potenza che avevavinto Poseidone nella contesasul dominio dell’Attica, e lepunizioni divine inflitte aimortali che avevano osato sfi-dare gli Dei, contestando l’or-dine cosmico).Comunque alla vista del mani-festo protofemminista dellatemeraria e indomita Aracne, lasedicente dea della saggezza(Atena-Minerva è nata appuntodal cranio di Zeus, ma senzamadre, e quindi è priva di ognidolcezza, puro razionalismogelido) non trova di meglioche l’invidia violenta di unraptus distruttivo, lacera l’ope-ra della rivale e prolunga lareazione isterica fino a marto-riare di botte, con la spola, lapovera Aracne, tanto da spin-gerla al suicidio medianteimpiccagione, dal quale la suadivina ferocia la salva, asper-gendola con un magico succo

che trasforma Aracne in unripugnante e gigantesco ragno,condannato a tessere per sem-

pre la sua squallida e appicci-cosa tela.Riaffiora così il lato oscuro

Vanth. Dea etrusca dell’oltretumba, era spesso raffigurata in associazione con Charun.A differenza di quest’ultimo però, Vanth non presentava un aspetto mostruoso e defor-me, ma compariva come una figura demoniaca femminile. Alcune delle sue caratteri-

stiche la rendono simile alla Chere e alle Eumenidi. La dea Vanth rappresentava l’ine-luttabilità e l’implacabilità del fato e dominava come le Moire greche i destini degli

uomini. Era onniscente messaggera di morte per gli uomini. Sconosciuta è l’origine delsuo nome citato in alcune iscrizioni provenienti dai siti archeologici di Tarquinia,

Orvieto, Chiusi e Vulci. La terninazione in -nth, che si incontra in altre figure mitolo-giche(Leinth, Aninth) starebbe a indicare “colei che fa”, evidenziando pertanto il suoruolo di “agente”. L’iconografia è spesso caratterizzata da una o due serpenti che le si

attorcigliavano intorno alle braccia; sono frequenti anche la torcia, che serviva arischiarare il cammino verso gli abissi dell’oltretomba, il rotolo scritto (simbolo del

destino), la spada, le chiavi dell’Ade e qualchevolta il martello. La dea Vanth è raffigu-rata con grandi ali e vestita di un corto chitone color ocra con le bretelle incrociate

all’altezza del petto,che lasciano scoperto il seno. Spesso la sua immagine non è facil-mente distinguibile da quella di altri demoni alati legati al mondo dell’oltretomba, checompaiono nella mitologia etrusca con una certa frequenza e sono raffigurati su urne enei dipinti delle tombe. L’identificazione sicura, perchè accompagnata dall’iscrizione

del nome, si trova in alcuni dipinti murali della tomba François nella necropoli diVulci, dove Vanth è rappresentata con ali ulticolori mentre accompagna nell’oltretom-ba i troiani sacrificati da Achille. Inoltre la troviamo raffigurata in vari manufatti su

specchi, urne funerarie e statuette bronzee, la più nota delle quali, conservata al BritishMuseum di Londra, risale all’inizio del V secolo a.C.

TERESA MORETTONI

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della classicità, troppo spessooccultato in mala fede dal pre-valere astorico e acritico diun’inesistente «Grecia daibianchi templi» ... quando si sache erano tutti colorati!Vampirismo e magia nera tor-nano nell’annotazione a pag.102 su Lamia, collegata con«la pratica dell’infanticidio e ilbisogno di estrarre sangue egrasso dai neonati come sacri-ficio in alcuni riti pagani»; lelamie greche sono dette ‘stri-ges’ in latino, cioè streghe:«l’orrore suscitato dalle stre-ghe nel Medioevo ha spinto unsecolo dominato dal razionali-smo, com è stato l’Ottocento, ariconoscere loro solo innocueattività officinali, negando undato storico spesso taciuto, mache oggi affiora con sempremaggiore forza nei fatti di cro-naca legati ad infanticidi e arituali satanici».Questa e similari proposteinterpretative, spunti di rifles-sione sempre affascinanti, tal-volta audacemente innovativirispetto alla ‘communis opi-nio’, sono inseriti nella schedaesplicativa.Perciò in «Animali fantastici»rinasce la natura ambigua delmito, la sua superiorità sul‘logos’ (da ‘lego’, il verbogreco del dire come raccoglie-re, col-legare), razionalitàautolimitantesi a descrivere ciòche appare ‘hic et nunc’: il‘mythos’ è lo strumento perandare oltre e dire l’indicibile,la parola più vera del vero,l’intuizione assoluta, privaperò di spessore spaziale etemporale, nata nella Storia,ma incapace di tornarvi.

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La cerva di Cerinea. La Cerva di Cerinea era uno splendido animale con gli zoccolidi bronzo (o argento, secondo altre versioni) e sfavillanti, straordinarie corna d'oro. La Cerva Cerinitide era sacra ad Artemide, la dea vergine per eccellenza, simbolo di

castità, dea della caccia e della luna; altre quattro cerve simili a questa erano a disposi-zione della dea per il traino del suo carro e le guidava con redini d'oro. Toccare un

simile animale era considerato un intollerabile sacrilegio. La cerva incantava i cacciatori inducendoli ad inseguirla, suscitando in essi il desideriofatale di catturare quella rara fiera e trascinandoli così al di là del territorio conosciuto,

in un paese lontano dal quale non avrebbero più fatto ritorno.Secondo le fonti letterarie, Eracle, per ordine dell'oracolo di Delfi, dovette recarsi da

Euristeo, re di Micene, e mettersi al suo servizio: Euristeo lo obbligò a compiere dodi-ci imprese, note tradizionalmente come "le fatiche". Secondo una fra le redazioni degliantichi mitografi la terza impresa fu quella di catturare viva la cerva dalle corna dorateche abitava sulla rupe di Cerinea, in Arcadia. Eracle non poteva assolutamente uccider-la, poiché essa era una cerva sacra, e quindi l'eroe si limitò a inseguirla fino al paese

degli Iperborei, indicato con il nome di Istria, dove sorgeva un tempio di Artemide. Lafrenetica corsa durò circa un anno, sconfitto in ogni tentativo di raggiungerla, non gli

rimase altra scelta che ferire leggermente l'agile cerva con una freccia che s'insinuò trale ossa e i tendini, ma senza spargere neanche una goccia del suo sangue; l'eroe riuscìcosì a catturarla, legò insieme i piedi della preda, se la caricò sulle spalle e attraversò

con questa l'Arcadia. Altre fonti riferiscono invece che Eracle, nell'inseguimento, giun-se ancora più lontano, fino ai confini dell'aldilà, nel giardino delle Esperidi, le dee-

notte custodi dell'albero delle mele dorate. Solo qui poté raggiungere la cerva e cattu-rarla (o semplicemente prenderne le corna d'oro).Lungo la strada del ritorno s'imbattéin Artemide, che infuriata con lui lo accusò di aver ucciso un animale a lei sacro: maEracle riuscì a placare la sua collera, mostrandogli che portava a Micene la cerva feri-ta, ma viva, ed ottenendo dalla dea il permesso di portarla da Euristeo. Dopodiché al

leggiadro animale venne consentito di tornare a correre libero nelle foreste.TERESA MORETTONI Consigliere Nazionale A.M.E.I. e Direttore del Museo Diocesano

di Assisi.

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a rubrica tratta del titolodel testo che comparesulle diverse parti di una

legatura, a seconda del periododi esecuzione: esso esplica unafunzione identificativa, per-mettendo di conoscere il conte-nuto del libro senza aprirlo. L'argomento riguarda manufat-ti anche arcaici, come illustrala più antica coperta nota cheriveste un gruppo di tavolettecon scrittura cuneiforme assiradell'VIII secolo a. C. La por-zione del volume in cui indica-re il titolo è diretta funzionedella sua collocazione e varianel tempo. Durante il Medioevo, a frontedel volume collocato orizzon-talmente sul quadrante anterio-re, il titolo si manifesta suquello posteriore, mentre versola fine di questo stesso perio-do, il libro viene custodito sulpiatto posteriore con la conse-guente intestazione che cam-peggia sul quadrante anteriore.Se nella prima metà delQuattrocento, il titolo compareinciso sulle coperte prodotte inarea tedesca a formare unampio riquadro, nella secondasi afferma la consuetudine direalizzare la scritta con l'utiliz-zo di singole lettere seguendoun andamento orizzontale,verosimilmente dovuta allacomparsa del frontespizio. Nell'ultimo quarto del secolo

XV, si concretizza in area ger-manica, specie nelle legatureprodotte o fatte eseguire dallabottega del prototipografoAnton Koberger, l'intestazioneimpressa in testa del piattoanteriore con il compositoio,attrezzo in bronzo nel qualevengono inseriti, da destra asinistra, i caratteri dell'alfabetoda imprimere a secco o in oro.Consente di eseguire una lineaintera per volta ottenendo conprecisione allineamento e spazitra le lettere, risultato impossi-bile da conseguire con le sin-gole lettere a punzone. Nellealtre nazioni europee, si con-

ferma in genere fino al secoloXVIII, l'uso del titolo impres-so, anche sul dorso, lettera perlettera con caratteri a punzone.Non è difficile differenziarequest’ultimo da quello eseguitocon il compositoio: il primopresenta delle lettere mai per-fettamente allineate fra loro,mentre il secondo evidenziatutti i caratteri bene allineati eottimamente distanziati traloro.Esso può anche non esserescritto direttamente sul cuoio,ma su un cartellino pergame-naceo (Figura 1), talvolta cir-condato da una cornicetta

L

Figura 1. Legatura del secolo XV, eseguita in Italia, Cremona, Biblioteca statale, Ms. Aa.1.72. Dettaglio del piatto posteriore.

L’ANGOLO DELLE LEGATUREI L T I T O L O S U L L A L E G A T U R A

di Federico MacchiBibliofilo, esperto in Legature Storiche

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metallica (lunetta), riscontrabi-le sul piatto posteriore nellelegature italiane. L'iscrizione sul taglio, pure inauge, fornisce informazioni sulmodo in cui sono posizionati ivolumi: un titolo su quello ditesta, anteriore o di piede(Figura 2), indica che essi pog-giano su uno dei piatti.Nel secolo XVI, con la collo-

cazione verticale, i libri comin-ciano ad essere riposti vertical-mente negli scaffali, con ildorso rivolto verso l'esterno,posizione riscontrabile a tut-t'oggi. Non mancano tuttaviaeccezioni, come illustra laBiblioteca dell'Escorial(Madrid), voluta da Filippo IIe completata nel 1584, in cui ivolumi conservati in piedi,

sono disposti con il tagliorivolto verso l'esterno e con lascritta su quello di gola (Figura3). Fissare una precisa data apartire dalla quale il nuovoposizionamento si afferma,appare irrealistico in quantonon solo non tiene conto dellediverse aree culturali e geogra-fiche, ma anche delle datazionicontrastanti entro una stessa

90Figura 3. Serie di legature rinascimentali provviste del titolo sul taglio anteriore, El Escorial, Monastero (Madrid).

Figura 2. Legatura della fine del secolo XV, verosimilmente eseguita nell'Italia centrale, su Oratio in commentarios rerum ab divoFrancisco Sphortia gestarum, Mediolani, Antonius Zarottus, 1486, Cremona, Biblioteca statale, Ab.6.4.

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Figura 4. Legatura del secondo quarto del secolo XVI, eseguita a Bologna dalla bottega di "Pflug & Ebeleben", attiva dal 1535(?)al 1570 circa, su CICERONE, De Philosophia volumen secundum, Venetiis, 1540, Londra, British Library, Davis 796.

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Figura 5. Legatura del secondo quarto del secolo XVI, prodotta a Venezia dal "Maestro Fugger", in attività dal 1535 al 1555 circa,Londra, British Library, su CICERONE, Orationes, Venetiis, 1540, Davis 764.

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regione, considerati l'ambientedi conservazione e la funzionedei volumi nelle biblioteche incui erano conservati. Si afferma la tendenza a scri-vere o a imprimere la diciturasul piatto anteriore (e congiun-tamente sul dorso), orizzontal-mente e abbreviata, utilizzandodelle singole lettere capitalistampate a punzone e taloraaccordata con il circostantedecoro. In Italia, il titolo com-pare prevalentemente in oro,

talora anche senza troppaattenzione per la sillabazione,su una o più righe (Figura 4),in testa o entro una cartellacentrale del piatto anteriore(Figura 5); nei manufatti piùsemplici, non mancano degliesempi nei quali esso si mani-festa manoscritto, direttamentesul supporto ligneo (Figura 6).Da segnalare una rara legaturacinquecentesca fiorentina(Figura 7), la cui ornamenta-zione allude al contenuto del

libro, circostanza inusuale chesi protrae fino al secolo XIX. In Francia, le legature rinasci-mentali presentano il titolo sulpiatto anteriore, anche entro uncartiglio (Figura 8), come inItalia. Giova evidenziare le dif-ficoltà che incontrano i legatoridi questo periodo, talora anal-fabeti, costretti a scrivere cor-rettamente i titoli sulle coperteper soddisfare le esigenze deicommittenti. A queste forchecaudine, sfuggono gli artigiani

Figura 6. Legatura del primo quarto del secolo XVI, eseguita nell'Italia settentrionale, su ALPHONSO DE TOLEDO, Opera, Venetijs,Paganinus de Paganinis, 1490, Cremona, Biblioteca statale, Aa.5.9.

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Figura 7. Legatura del terzo quarto del secolo XVI, eseguita a Firenze, su CONRADI GESNERI Historiae Animalium Liber III, Tiguri, Christoph Froschoverius, 1555, Pisa, Biblioteca universitaria, Hortus Pisanus A 2.

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Figura 8. Legatura del secondo quarto del secolo XVI, creata a Parigi.

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del Seicento e Settecento,periodi che ne registrano latendenziale assenza. Il fastosodecoro barocco occupa infattidi solito l'intero spazio dispo-nibile, mentre quello rococò,nome scherzoso derivato dalfrancese "rocaille" che signifi-ca roccia, di cui questo stileimita gli aspetti bizzarri eimprevedibili sotto forma di

modelli mossi e sinuosi, tendea fondersi con l'ornamentazio-ne degli ambienti in cui i volu-mi sono custoditi.Nell'Ottocento, compaionodelle proposte diametralmenteopposte, secondo cui alcunicommittenti desiderano unabreve iscrizione, altri lunga.Sulle legature in cuoio, le dici-ture appaiono direttamente

sulla costola, più o menoabbreviate, sin dal secolo XVI,stampate in oro, in carattericapitali, disposti orizzontal-mente. La difficoltà di compor-re le scritte con delle lettere,allineate una ad una, ha com-portato la necessità di ricorreread abbreviazioni che rendonoincompleti e talvolta incom-prensibili le opere. Le più anti-

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Figura 9. Serie di dorsi di legature rinascimentali francesi eseguite per Francesco I.

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che intestazioni sembra sianocomparse a Venezia o comun-

que nell'Italia settentrionaleverso il 1535. In Francia, il

titolo sul dorso appare quasicontemporaneamente, intorno

Figura 10. Legatura vuota del secondo quarto del secolo XVI, realizzata a Roma, Malta, Biblioteca nazionale, Cab 9.

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Figura 11. Legatura del secondo quarto del secolo XX, eseguita a Parigi. Decoro riferibile a Pierre Lucien Martin, Londra, BritishLibrary, Davis 414.

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al 1540 (Figura 9). La presenzadi un titolo sul dorso di unvolume edito prima della metàdel Cinquecento, è infrequente

e si riscontra generalmentesolo in Italia e in Francia. Iltitolo (Figura 10) e/o il nomedell'Autore possono anche

essere infrequentemente situativerticalmente lungo la costa,tra i nervi, a costituire unacaratteristica delle legature

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Figura 12. Calligramme di GUILLAUME APOLLINAIRE.

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rinascimentali romane.In Francia, la dicitura impressa

orizzontalmente, conforme-mente all'uso moderno nel

secondo compartimento deldorso, si palesa in modo siste-

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Figura 13. Legatura del secondo quarto del secolo XX, prodotta a Parigi. Decorazione ideata da Paul Bonet su Calligrammes,GUILLAUME APOLLINAIRE, litografie di Giorgio de Chirico, mercato antiquario.

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matico con il bibliofiloJacques-Auguste de Thouverso il 1585 e in Inghilterrasolo a partire dallaRestaurazione, periodo caratte-rizzato dal ritorno dell'esiliatoCarlo II che regna dal 1660 al1685: proprio in tale nazione,sembra tuttavia che il primolegatore ad imprimere il titolosul dorso sia stato VincentWilliamson, attivo nei primidecenni del Seicento. L'uso si diffonde quindi ingenerale a partire dal secoloXVII, anche tramite dei tasselliin cuoio dal colore contrastanterispetto al materiale di copertu-ra circostante, applicati suldorso. Ogni tassello che sitrovi su un libro con legatura

anteriore a questo evo, deve farsospettare che sia stato appostoin data posteriore. Nel corso diquello successivo, nel secondocompartimento sottostante iltitolo, compare un secondolembo, in genere di colorediverso, con l'indicazione delnumero progressivo del volu-me. Di origine verosimilmentetedesca è l'uso, a partire dalsecolo XIX, di caratteri capita-li differenti tra il primo e ilsecondo tassello o nello stessotassello. Sempre in quest'ultimo perio-do, in particolar modo nellelegature editoriali, il titoloricompare sul piatto anteriore,oltreché sul dorso; inoltre, adifferenza delle abbreviazioni,

talvolta scorrette, adottate neisecoli precedenti, esso vieneriportato quanto più possibilein forma completa. Nelle lega-ture d'amatore ottocenteschefrancesi, s'iniziano ad apporresul dorso, oltre al titolo, ancheil luogo e l'anno d'edizione dellibro. In queste legature, ilnumero progressivo dei volumiè talvolta contraddistinto dastelline in luogo dei numeri. Nelle coperte del secolo XX, ititoli costituiscono spesso l'ele-mento portante dell'ornamenta-zione. È da ricordare in propo-sito, il decoro realizzato grazieall'utilizzo delle lettere dell'al-fabeto. Fu adottato in Franciadagli stilisti Pierre Legrain(1888-1929), Pierre-Lucien

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Figura 14. Legatura del secondo quarto del secolo XX, creata a Parigi. Decoro proprio di Paul Bonet su Calligrammes, GUILLAUMEAPOLLINAIRE, litografie di Giorgio de Chirico, mercato antiquario.

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Martin (1913-1985-Figura 11)e Paul Bonet (1889-1971), delquale ricordo la forse più cele-bre realizzazione: iCalligrammes. Parola formatadalla contrazione di calligrafiae di ideogramma, ideata dal

poeta transalpino GuillaumeApollinaire (1880-1918) cheriguarda un poema la cuidisposizione grafica sulla pagi-na, forma un disegno, general-mente in rapporto con il testo(Figura 12): per essi, Bonet ha

eseguito ben trenta diverselegature (Figura 13, 14).

102Sirena Etrusca. Da ANIMALI FANTASTICI, I miti del mondo greco, romano ed etrusco, Silvana Editoriale, 2011.

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NORME PER GLI AUTORI

1. TESTO1.1 Il testo degli articoli deve pervenire alla rivista sia dattilo-scritto che inciso su floppy-disc (formato Word).1.2 Prima della pubblicazione i testi sono sottoposti all'esame delComitato Scientifico e della Direzione della rivista. I manoscrit-ti ricevuti non verranno restituiti, anche se non pubblicati.1.3 Nella stesura dei testi si raccomanda di attenersi a quantosegue: utilizzare le maiuscole solo nella forma corrente (a menoche non si tratti di citazioni, ove fa testo l'originale); evitare disottolineare le parole, ma adottare accorgimenti diversi (corsivo,virgolette, apici).1.4 Le citazioni testuali si pongono tra virgolette uncinate doppie(«...») precedute dai due punti (:). Eventuali citazioni interneandranno poste tra apici ("..."). Se nelle citazioni si omette qual-cosa, indicare la soppressione con le parentesi quadre e i tre pun-tini ([...])1.5 Tutte le espressioni in lingua non italiana (ad es. a priori, iter,status quo), dialetto compreso, vanno in corsivo. Unica eccezio-ne è rappresentata dalla citazione testuale, ove fa fede l'originale.I nomi stranieri degli autori vanno scritti nella grafia originale enon italianizzati; per la trascrizione di nomi in alfabeti non latinisi raccomanda di adottare la grafia scientifica o, in difetto, unagrafia vicina all'uso corrente.1.6 I titoli delle opere citate all'interno del testo vanno scritti incorsivo, senza virgolette o apici.1.7 L'uso delle abbreviazioni è sostanzialmente libero, purché siponga una tabella esplicativa in un luogo appropriato del testo.Non è necessario spiegare le abbreviazioni di uso comune e uni-versalmente note come, ad es.: vol./voll., p./pp.' cod./codd., f./ff.e altro.Nella tabella esplicativa dovranno invece essere svolte le siglerelative agli Enti che conservano il materiale documentariosegnalato nel testo. A titolo d'esempio si segnala una delle formepossibili: BBQ = Brescia, Biblioteca Queriniana; MBE =Modena, Biblioteca Estense; MBA = Milano, BibliotecaAmbrosiana, ecc.1.8 Riferimenti alle note, in numero arabo, vanno scritte inapice. Es.: 11.9 Per i riferimenti ad un testo già citato in precedenza si adottiquesto schema: Cognome (in maiuscoletto, senza nome), primeparole del titolo in corsivo, pagine. Si omettano espressioni deltipo: "cit.", "op. cit.", e altro.Es.: DAMIANI, La città medievale, p. 23.3.3 Nel testo le figure vanno citate tra parentesi in formato: (Fig. 1).

2. NOTE E BIBLIOGRAFIALe note vanno poste alla fine di ciascun articolo, con interlineasingola e a corpo ridotto rispetto a quello del testo. Per le citazioni bibliografiche in nota si tenga conto delle seguen-ti indicazioni:2.1 Monografie: Nome (puntato) e cognome (maiuscoletto), tito-

lo in corsivo, luogo di edizione, editore, data in cifre arabe, lepagine a cui eventualmente si riferisce la citazione.Es.: M.WEBER, Storia economica, Roma, Donzelli, 1993, pp.143-144.2.2 Articoli di riviste: Nome (puntato) e cognome (maiuscoletto),il titolo della rivista posto tra virgolette uncinate doppie «...»,annata, anno (tra parentesi), pagine. Si raccomanda di scrivere ititoli delle riviste per esteso: «Commentari dell'Ateneo di Bresciaper l'anno 1997», e non Comm. At. Bs 1997 o simili.Es.: M. PETRUCCIANI, Espansione demografica e sviluppo econo-mico a Roma nel Cinquecento, «Studi Romani», 44 (1996), pp.21-47.2.3 Saggi all'interno di miscellanee: Nome (puntato) e cognome(maiuscoletto), titolo in corsivo, espressione "in", titolo colletti-vo del volume in corsivo, nome (puntato> e cognome (tondo) deicuratori preceduti dall'espressione "a cura di", indicazione ditomi o parti (in numero romano, preceduto da "t." o "P."), luogodi edizione, editore, data, pagine.Es.: G. DAMIANI, La città medievale e le origini del capitalismo,in Albertano da Brescia. Alle origini del razionalismo economi-co, dell'Umanesimo civile, della Grande Europa, a cura di F.Spinelli, Brescia, Grafo, 1996, pp. 19-26.2.4 Miscellanee, enciclopedie, ecc., da citare nella loro globalità:vanno citati a partire dal titolo, e non con espressioni quali"AA.VV.", "Autori vari" o simili.Es.: La stampa in Italia nel Cinquecento, Atti del convegno,Roma 17-21 ottobre 1989, a cura di M. Santoro, Roma, Bulzoni,1992.2.5 Manoscritti: la citazione di fonti documentarie manoscrittedeve essere sempre corredata dall'indicazione dell'Ente che con-serva il manoscritto (per esteso o con abbreviazione), dall'espres-sione "ms.", dalla segnatura e dall'eventuale indicazione dellecarte a cui si fa riferimento.Es.: A. CORNAZZANO, Vita di Cristo, BBQ (oppure: Brescia,Biblioteca Queriniana), ms. A VI 24.

3. FIGURE E DIDASCALIE3.1 Le immagini che formeranno le figure nel testo vanno nume-rate. Se una figura contiene più immagini al numero farà seguitola lettera a, b, c e via di seguito in sequenza con uno schizzo sullaposizione di ogni immagine nella figura.3.2 Le immagini che formaranno le figure nel del testo vanno for-nite in fotografia formato massimo cm 13x18 oppure in scansio-ni digitali a 300 dpi in formato “numerofoto.TIF” con il latominore non inferiore ai 5 cm.3.3 Ogni citazione all’interno della didascalia seguirà le indica-zioni grafiche come nel testo.