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RESTITUZIONE PROSPETTICAGlobalizzazione.L'ufficialità all'attaccoGiovanna Cracco

POLEMOSLavorare senza diritti:dal voucher al caporalatoCollettivo Clash City Workers

L'Italia Hub del gas:disastrose scelte dipolitica energeticaEnrico Duranti

Vivendi vs Mediaset:è il business, bellezza!Giovanna Baer

INCHIESTABalcani. Uranio impoverito:una storia di polvereMauro Prandelli

(DIS)ORIENTAMENTIFra Washington e Moscapassando per Tel AvivLa politica estera della Lega NordMatteo Luca Andriola

INTERVISTAMarco RovelliL'ideologia non è solo pensieroGiuseppe Ciarallo

A PROPOSITO DI...L'impegno civile delracconto realistico britannicoCarmine Mezzacappa

FILO-LOGICOEntusiasmoFelice Bonalumi

CINEFORUMUna dittatura chiavi in manoRecensione di Snowden, Oliver StoneIacopo Adami

LE INSOLITE NOTETim BuckleyStarsailorAugusto Q. Bruni

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DIRETTORE EDITORIALEGiovanna Cracco

GLI AUTORI DI QUESTO NUMEROIacopo AdamiMatteo Luca AndriolaGiovanna BaerFelice BonalumiRaffaella BrioschiAugusto Q. BruniPaolo CerboneschiGiuseppe CiaralloAndrea CocciCollettivo Clash City WorkersGiovanna CraccoEnrico DurantiCarmine MezzacappaMauro Prandelli

Le collaborazioni a questa rivista sonoa titolo gratuito. Tutti i testi, salvodiversamente indicato, sono soggetti a licenza Creative Commons – Attribuzione, Non commerciale, Non opere derivate, 2.5 Italia. I testi proposti per un'eventuale pubblicazione non vengono restituiti e vanno inviati a:[email protected]

IN COPERTINAOpera di Roberto Cracco

anno XI – numero 51febbraio / marzo 2017pubblicazione bimestrale (5 numeri annuali)prezzo di copertina 8,00 euroautorizzazione tribunale di Monza n. 1429registro periodici, del 13/12/1999

SOCIETÀ EDITRICEMcNelly s.r.l.Via A. Villa 44 - Vedano al Lambro (MB)

DIRETTORE RESPONSABILEValter Pozzi

SEGRETARIA DI REDAZIONEGiusy Mancinelli

PROGETTO GRAFICOPaginauno

ABBONAMENTO ANNUALEordinario 35,00 eurosostenitore 50,00 euroc/c postale n. 78810553 intestato Valter Pozzib/b IBAN: IT 41 V 07601 01600 [email protected]

NUMERI ARRETRATIPer ricevere i numeri arretrati scrivere a:[email protected]

STAMPAFinsol s.r.l.via Prenestina Nuova 301/C3, Palestrina (RM)www.finsol.it - [email protected]

Chiuso in redazione il 25 gennaio 2017www.rivistapaginauno.it

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In questo numero

Globalizzazione, la paura di una nuova morale colletti-va: uomini di Stato, discorso pubblico, identificazione divalori: ben oltre l’unpolitically correct Trump ha infrantoil dover-essere e l’ufficialità non sta a guardare. L’Italia delfuturo, Hub del gas: metanodotti che sventrano la peni-sola da sud a nord, stoccaggi di gas nel sottosuolo, im-pianti di rigassificazione in mare, nuove estrazioni e cen-trali a biometano: un disastroso progetto che passa sottosilenzio. Lavoro e voucher, diritti e sfruttamento: da do-ve vengono, cosa sono, quanto valgono, come funziona-no e perché le imprese li adorano. Vivendi vs Mediaset:dentro la battaglia Bolloré/Berlusconi, con ben poca italia-nità e molto mercato. Balcani, la scia di morti dell’uranioimpoverito: gli Usa sapevano? Dopo vent’anni i territorisono ancora contaminati e le popolazioni continuano amorire di tumore, e i proiettili creati con materiale tossicodi scarto sono ancora utilizzati; e se report militari ameri-cani dimostrano che tutto questo si conosceva in anticipo?La politica estera della Lega Nord: putiniana, no filoame-ricana, obamiana ma anche trumpiana: piedi per tutte lescarpe.

E ancora: intervista a Marco Rovelli; il cinema britannicoche ha raccontato il mondo del lavoro; l’entusiasmo, ieridono degli dei e oggi strumento della società dei consu-mi. E poi: recensioni cinematografiche e musicali, di nar-rativa e saggistica, e la copertina di Roberto Cracco.

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SOMMARIO

_ RESTITUZIONE PROSPETTICA pag. 6 Globalizzazione. L'ufficialità all'attacco Giovanna Cracco

_ POLEMOS pag. 12 Lavorare senza diritti: dal voucher al caporalato Collettivo Clash City Workers _ pag. 18 L'Italia Hub del gas: disastrose scelte di politica energetica Enrico Duranti _ pag. 28 Vivendi vs Mediaset: è il business, bellezza! Giovanna Baer

_ INCHIESTApag. 38 Balcani. Uranio impoverito: una storia di polvere Mauro Prandelli

_ (DIS)ORIENTAMENTIpag. 46 Fra Washington e Mosca passando per Tel Aviv La politica estera della Lega Nord di Matteo Luca Andriola

_ INTERVISTApag. 56 Marco Rovelli L'ideologia non è solo pensiero di Giuseppe Ciarallo

_ A PROPOSITO DI...pag. 62 L'impegno civile del racconto realistico britannico di Carmine Mezzacappa

_ FILO-LOGICOpag. 70 Entusiasmo di Felice Bonalumi

_ CINEFORUMpag. 76 Una dittatura chiavi in mano Recensione del film Snowden, Oliver Stone di Iacopo Adami _ IN LIBRERIA – narrativapag. 84 Il simpatizzante Viet Thanh Nguyen (P. Cerboneschi) La caduta delle consonanti intervocaliche Cristovão Tezza (P. Cerboneschi) Ora che è novembre Josephine Johnson (R. Brioschi)

_ IN LIBRERIA – saggisticapag. 85 No place to hide Glenn Greenwald (I. Adami) Tortura Donatella Di Cesare (P. Cerboneschi) La fine del capitalismo Giordano Sivini (G. Cracco) _ LE INSOLITE NOTEpag. 86 Tim Buckley Starsailor di Augusto Q. Bruni

_ ZONA FRANCApag. 92 Arriva John Doe, Frank Capra À L'intérieur, Alexandre Bustillo e Julien Maury Totò, Peppino e le fanatiche, Mario Mattoli di Andrea Cocci

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RESTITUZIONE PROSPETTICA

Nel suo corso al Collège de FranceSullo Stato (1), Pierre Bourdieu riflet-te anche sul tema dell’ufficialità edel discorso pubblico. Partendo dallaquestione cardine che può esseresintetizzata nella domanda che cos’èlo Stato? – una serie di principî checonsentono un dominio, il detentoredella violenza legittima sia fisica chesimbolica (riconosciuta come tale, edunque basata anche su un consen-so dei cittadini), un’illusione radicatanelle nostre menti, che dunque esi-

ste essenzialmente perché credia-mo che esita… – il sociologo fran-cese analizza la contrapposizionetra pubblico e privato e la conse-guente natura del concetto di uffi-cialità.

Sintetizzando il ragionamento, ilpubblico è innanzitutto ciò che sioppone al privato, che è il singola-re, il particolare, il personale ma an-che il nascosto e l’invisibile; il pub-blico dunque è il collettivo ma an-che ciò che si mostra quando ci sitrova davanti agli altri, divenendociò che è ufficiale. Da qui la conse-guente riflessione di Bourdieu sul-la nozione di morale, se ne possaesistere una privata: “Un uomo in-visibile, ossia sottratto alla pubbli-

cità, al divenire pubblico, allo svela-mento davanti a tutti, davanti al tri-

bunale dell’opinione, può rendere pos-sibile una morale? Detto altrimenti,non esiste forse un nesso indissolu-bile tra visibilità e moralità?”. Se ècosì, l’effetto dell’ufficialità porta consé sia una universalizzazione (il col-lettivo) che una moralizzazione (il pub-blico). Il delegato dunque, figura uffi-ciale che un gruppo elegge o incaricaper essere rappresentato pubblica-mente, esprime nei suoi discorsi lamorale collettiva del gruppo che rap-presenta – bene/male, giusto/sba-gliato, diritti/doveri ecc. La possiamodefinire una condivisione di valori,che non si possono rinnegare senzanegare se stessi, poiché il singolo siidentifica con il collettivo in quantomembro di quella comunità che si ri-conosce in quella morale. L’ufficialitàè quindi la messa in scena pubblica,la rappresentazione dell’immagine cheil gruppo ha di se stesso, davanti aglialtri ma anche allo specchio; è ciò chesi deve-essere.

Gli uomini di Stato esprimono lamorale in cui i cittadini di un Paese siidentificano. Una morale consideratacollettiva in quanto pubblica opinio-ne, un’entità continuamente invoca-ta che non è affatto, chiaramente,l’opinione di tutti e nemmeno dellamaggioranza, ma quella di “coloroche sono degni di averne una”, scriveBourdieu. “L’opinione pubblica è l’im-pressione su qualsiasi argomento ma-nifestata e prodotta dalle persone piùinformate, intelligenti e morali dellacomunità. Tale opinione è gradual-

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Giovanna Cracco

Globalizzazione. L’ufficialità all’attacco

Per Bourdieuil pubblico è ciò

che si opponeal privato, cheè il singolare il

particolare ilpersonale ma

anche ilnascosto el’invisibile:l’ufficialità

porta con sésia una

universalizza-zione che una

moralizzazione

______________________________________________1) Cfr. Pierre Bourdieu, Sullo Stato. Corso alCollège de France, Volume 1 (1989-1990),Feltrinelli

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mente diffusa e adottata da tutti gliindividui”. Ne consegue che “la veri-tà dei dominanti diviene quella di tut-ti”, grazie alle sfere mainstream del-l’informazione e della cultura che sifanno carico della sua diffusione dal-l’alto al basso.

Se la facciamo risalire alla nascita delWto nel 1995 – per quanto già primaerano stati avviati processi di deloca-lizzazione produttiva, accordi com-merciali come il GATT e politiche neo-liberiste – la globalizzazione è il con-cetto centrale su cui la classe diri-gente ha costruito il discorso pubbli-co negli ultimi vent’anni. Un disegnoeconomico a misura del Capitale èstato rivestito di valori morali positi-vi, perché potesse divenire pensierodominante: apertura, abbattimentodelle barriere mentali e fisiche, liber-tà di movimento, mescolanza di cul-ture, arricchimento intellettuale, e-spansione dei diritti umani e civili,connessione con il mondo; in una pa-rola, progresso dell’umanità verso unbenessere condiviso da tutti i popoli,economico e culturale. Nel mondooccidentale la narrazione ha retto fin-ché la disoccupazione e la povertà,l’abbassamento dei salari e lo sfrut-tamento lavorativo, non sono diven-tati parte del quotidiano della mag-gioranza delle persone, e per la pri-ma volta dal dopoguerra i figli hannoiniziato a vivere in condizioni peggio-ri dei padri. Sempre più individui han-no smesso di identificarsi nella mo-

rale collettiva, ma i delegati – e an-cor di più i maître à penser – nonhanno percepito quanto profondo ediffuso fosse il cambiamento in atto,e non hanno modificato la narrazio-ne etica con cui avevano infiocchet-tato la globalizzazione. La caduta èstata libera: prima la Brexit e poiTrump.

Chi ha letto nel referendum bri-tannico e nelle elezioni Usa una ri-volta anti-establishment, ha ragionein questo senso: è stata una rivoltacontro il discorso pubblico, un rifiutoche ha fagocitato, purtroppo, anche iconcetti di destra e sinistra. La situa-zione americana sarà da seguire, percomprendere se Trump si riveleràportatore di una diversa ufficialità, edunque di una nuova morale colletti-va, o se resterà qualcosa di comple-tamente differente. Perché al mo-mento la classe dominante – politi-ca, economica e culturale – che sierge ancora a rappresentante di va-lori positivi, difende la globalizzazio-ne; il protezionista Trump dunquerappresenta l’immorale, la rotturacon il dover-essere, ed è perciò il pri-vato elevato a pubblico, il personale,il censurato, il nascosto che si mostra– in una dinamica profondamentepostmoderna e nella quale la defini-zione unpolitically correct affibbiatada più parti al nuovo presidente Usaè estremamente riduttiva. Quantol’establishment non intenda rinuncia-re alla propria patente morale è evi-dente nella reazione dura e immedia-

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La globalizzazioneè il concetto su cui la classe dirigente ha costruito il discorso pubblico rivestendo di valori morali positivi un disegno economico a misura del Capitale

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RESTITUZIONE PROSPETTICA

ta, e nella scelta delle parole chiaveche – non senza arroganza e spoc-

chia – ha inserito nel suo discorso:ignoranza, populismo, post-verità.

Già il 20 maggio 2016 il Wa-shington Post pubblica un articolointitolato: “Dobbiamo sradicare gliamericani ignoranti dall’elettorato”(2). Un paio di settimane prima, il3 maggio, con il ritiro degli ultimidue competitor rimasti in corsa,Trump è divenuto formalmente ilcandidato Repubblicano alla presi-denza Usa – poi ufficializzato nellaconvention di luglio. Lo shock nellefile delle élite, sia Conservatrici cheDemocratiche, è enorme. “Mai co-sì tante persone ignoranti hannopreso decisioni che avranno conse-guenze su tutti noi”, scrive David

Harsanyi. E prosegue: “Se non aveteidea di cosa diavolo sta succedendo,avete anche il dovere civico di evita-re di sottoporre il resto di noi alla vo-stra ignoranza. Purtroppo, non pos-siamo fidarci di voi. Ora, se il voto èun rito consacrato della democrazia,come i liberal sostengono spesso, si-curamente la società può pretendereche i suoi partecipanti rispettino de-terminate aspettative minime”. L’ar-ticolo propone un test di educazionecivica per poter accedere alla cabinadel voto, e non perdona l’ignoranza

di cui accusa gli elettori americaniperché oggi, scrive Harsanyi, tutti han-no accesso alle informazioni, e quin-di, “se rinunci a informarti, non tipuoi alzare in piedi a dire al resto dinoi come vivere la nostra vita. Nonvotare”. E conclude: “Alcuni di voi miaccuseranno di spacciare rozzo eliti-smo. Ma io dico che è vero il contra-rio. A differenza di molti che dipen-dono dagli elettori ignoranti per e-sercitare e garantire il loro potere, iomi rifiuto di credere che la classe o-peraia o le persone più svantaggiatesiano meno in grado di comprendereil significato della Costituzione o i pro-fili della governance rispetto all’altez-zoso 1% dei cittadini”.

Il 23 giugno 2016, tre giorni dopoil referendum sulla Brexit, Ilya So-min, professore di Legge alla GeorgeMason University, scrive sul Washing-ton Post: “Dopo il voto della scorsasettimana, sono emerse nuove evi-denze che suggeriscono che il risul-tato è stato influenzato da una diffu-sa ignoranza politica. Nel periodo im-mediatamente successivo al voto si èregistrato un picco in Gran Bretagnanelle ricerche su internet di doman-de come: Che cosa è l’Unione euro-pea? e Che cosa significa lasciarel’Unione europea? Ovviamente, gli e-lettori ragionevolmente ben informatiavrebbero dovuto sapere le rispostea queste domande prima di andarealle urne, invece che dopo”. “Purtrop-po – continua Somin – l’ignoranza de-gli elettori britannici sui problemi del-

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Oggi Trumprappresenta la

rottura con ildover-essere e

quindi ilprivato elevatoa pubblico ma

potrebberivelarsi il

portatore diuna diversaufficialità edunque diuna nuova

moralecollettiva

______________________________________________2) David Harsanyi, We must weed out igno-rant Americans from the electorate, TheWashington Post, 20 maggio 2016

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Globalizzazione. L'ufficialità all'attacco

la Brexit è solo un esempio del feno-meno, più ampio, di ignoranza politi-ca razionale […] comune in Gran Bre-tagna, negli Stati Uniti, e in tutto ilmondo”. E conclude citando il pro-fessor Jason Brennan, definendolouno dei maggiori esperti accademicimondiali sul tema votazioni e cono-scenza politica, il quale “sostiene cheil caso Brexit suggerisce che non do-vremmo permettere che tali decisio-ni siano prese con un referendum po-polare” e che “forse sarebbe stato me-glio se la questione Brexit fosse statadecisa dal Parlamento, i cui membri,in media, hanno più conoscenza ri-spetto agli elettori, e tuttora si op-pongono in modo schiacciante allaBrexit” (3).

In casa nostra, subito dopo l’ele-zione di Trump alla Casa Bianca, Mas-simo Gramellini su La Stampa se neesce con “L’ignoranza al potere” (4),e scrive che l’ignoranza è una bruttabestia, che oggi suo nonno, come tan-ti elettori di Trump, non si vergogne-rebbe affatto di avere studiato poco,che “anzi trasformerebbe il suo com-plesso di inferiorità in una forma diorgoglio, non considerando più la cul-

tura uno strumento di crescita eco-nomica e sociale, ma il segnale di-stintivo di una camarilla arrogante diprivilegiati”, e conclude che nel votoamericano ha dominato il rancore, laricerca di un capro espiatorio e di unvendicatore per la condizione di di-sagio che l’ignorante vive.

A ruota Michele Serra, su Repub-blica (5), definisce la vittoria di Trump“sintomo solo in parte di nuovi disa-gi, e in parte molto cospicua della re-vanche anti-Obama del peggior vec-chiume reazionario di una tragica, de-primente, America bigotta, ignorantee maniaca delle armi”.

Il popolo, dunque, è ignorante.Dietro la scelta di questa accusa simuove un piano sapiente e preciso:ignorante è una persona che va edu-cata, non qualcuno a cui si riconosceun legittimo, seppur diverso, puntodi vista; l’ignorante non sa, ma unavolta istruito, saprà riconoscere la bon-tà della globalizzazione.

Parallelamente, e infilando in ununico pentolone le realtà più dispa-rate, ogni figura politica che si oppo-ne alla globalizzazione è un populista.

L’accoppiata ignoranza-populismovuole produrre l’effetto di una presaa tenaglia, dal basso e dall’alto, al fi-ne di squalificare sia la domanda chel’offerta di un qualsivoglia program-ma politico critico verso la globaliz-zazione. Una manovra che trova lasintesi nel concetto di post-verità, chel’ufficialità rappresenta come una trap-pola infida da cui il popolino, per il suo

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Quanto l’establishment non intenda rinunciarealla propria patente moraleè evidentenella sceltadelle parole chiave che ha inserito nel suo discorso: ignoranzapopulismopost-verità

______________________________________________3) Ilya Somin, Brexit, Regrexit, and the im-pact of political ignorance, The WashingtonPost, 26 giugno 20164) Cfr. M. Gramellini, L’ignoranza al potere,La Stampa, 11 novembre 20165) Cfr. M. Serra, L’Amaca, La Repubblica, 11novembre 2016

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RESTITUZIONE PROSPETTICA

bene, deve essere paternalisticamen-te protetto, al pari di un bambino la-sciato solo davanti allo schermo tele-visivo; perché nella Brexit e nelle ele-zioni Usa si è espresso a tal puntopreda delle sue emozioni e personali(ignoranti) convinzioni da mettere insecondo piano la realtà oggettiva, edirottato da fake-news che non è sta-

to in grado di riconoscere come ta-li. La nozione di post-verità dun-que, portando all’interno del discor-so pubblico una auto-assoluzioneper la classe dominante – non haalcuna colpa nell’essere stata rifiu-tata, non ha errori su cui riflettere– e una colpevolizzazione dei citta-dini-bambini, apre la porta alla pub-blica legittimazione della censuradello schermo considerato perico-loso: la rete.

A dicembre sono iniziate le pri-me mosse preparatorie. Dalla di-chiarazione di Mark Zuckerberg cheFacebook debba oggi essere consi-derata una media company, ossiauna società con responsabilità edi-toriale, e non una semplice piatta-forma veicolo di contenuti caricatidagli utenti, con la conseguente a-dozione di un sistema di controllosui post pubblicati; da Giovanni Pi-truzzella, presidente dell’Antitrust,

che in una intervista al Financial Ti-me ha proposto la creazione di unnetwork europeo anti-bufale coordi-nato da Bruxelles, “pronto a interve-nire rapidamente se l’interesse pub-blico viene minacciato” – e non è dif-

ficile immaginare che cosa possa es-sere ritenuto ‘interesse pubblico’ dalpotere di Bruxelles – perché “la post-verità è uno dei motori del populi-smo ed è una minaccia che grava sul-le nostre democrazie”; per arrivare,nel nostro piccolo giardino, ad An-drea Orlando, ministro di Giustizia,secondo il quale “qui non parliamo diFacebook, qui parliamo del futuro del-la nostra democrazia […]. Al momen-to non esiste una legge che rendaFacebook responsabile [dei contenu-ti veicolati sulla piattaforma] ma diquesto discuteremo in sede europeaprima del G7, per mettere a tema ilproblema senza ipocrisie”.

Ora: non si tratta di negare l’esi-stenza dell’ignoranza in parte dellapopolazione. Il livello culturale è pre-cipitato negli ultimi tre decenni, ed èsotto gli occhi di tutti anche senzascomodare gli studi che parlano del-la diffusione drammatica dell’analfa-betismo funzionale, ossia l’incapaci-tà a capire un testo che si legge. Ilpunto è come la classe dirigente in-tende cavalcare l’esistenza dell’igno-ranza per mantenersi al potere, pro-teggere gli interessi del Capitale epreservare le dinamiche della globa-lizzazione. Perché finché l’ignoranteha creduto alla sua narrazione, nonrappresentava un problema. Anzi: un

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L’accoppiataignoranza-

populismo è unapresa a tenaglia

che mira asqualificare sia

la domandache l’offerta di

un qualsivogliaprogramma

politico criticoverso la

globalizzazione:una manovra

che trova lasintesi nel

concetto dipost-verità enel tentativo

di controllodella rete

______________________________________________6) Cfr. Giovanna Cracco, Krisis. Il rifiuto dadestra che interroga la sinistra, Paginaunon. 50/2016

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Globalizzazione. L'ufficialità all'attacco

popolo bue è più facilmente gover-nabile di un popolo istruito. Oggi in-fatti non intende affatto istruirlo, masolo rinchiuderlo in un recinto, farein modo che non abbia possibilità diaccesso a un pensiero politico criticoverso l’esistente, che diffondendosi, etrovando delegati, possa divenire unanuova morale collettiva.

Da sinistra, la questione fonda-mentale è una: fare in modo che lanuova morale non sia di destra (6).

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POLEMOS

Ormai da mesi, ogni setti-mana i titoli dei giornali ri-portano, più o meno allar-mati, notizie e dati sul dila-gante utilizzo dei vouchernell’economia italiana. Daultimo, a far parlare del te-ma è stata la notizia dell’approvazio-ne, l’11 gennaio, da parte della CorteCostituzionale, di un referendum pro-posto dalla Cgil che intende abrogarelo strumento dei voucher (approvazio-ne, va ricordato, parallela all’accetta-zione di un secondo quesito, relativoagli appalti nella pubblica amministra-zione, e alla negazione di un terzo, cheverteva sull’articolo 18 – e quest’ulti-ma decisione ha suscitato non pocheperplessità, sul piano giuridico primaancora che su quello politico [1]).

Ora, per capire effettivamente dicosa stiamo parlando, conviene guar-dare alla storia di questo recente pro-tagonista del mercato del lavoro delnostro Paese.

La sua origine va rintracciata nel-la legge Biagi, che nel 2003 introdus-

se da un punto di vista legislativo lanozione di lavoro accessorio, inten-dendo con questo concetto le “atti-vità lavorative di natura meramenteoccasionale rese da soggetti a rischiodi esclusione sociale o comunque nonancora entrati nel mercato del lavo-ro, ovvero in procinto di uscirne”, eintroducendo i voucher (buoni-lavo-ro) come modalità di pagamento spe-cifica a esso legata.

A quest’altezza, dunque, l’acces-sorietà era data da due parametri:l’occasionalità delle prestazioni lavo-rative, e la specificità dei soggetticoinvolti (di qui l’iniziale scelta dellegislatore di limitarne la fruizione aisoli disoccupati da oltre un anno, allecasalinghe, agli studenti e ai pensio-nati, ai disabili e soggetti in comuni-tà di recupero, ai lavoratori extraco-munitari, regolarmente presenti in Ita-lia, nei sei mesi successivi alla perdi-ta del lavoro). In più, per evitare l’u-tilizzo sistematico di tale strumento,il decreto del 2003 prevedeva due li-mitazioni: una temporale, per cui leprestazioni di lavoro accessorio do-vevano essere contenute entro le 30giornate nei confini di un anno sola-re; una economica, per cui il compen-so percepito non poteva superare i3.000 euro netti ad anno solare. Pro-prio questi due parametri verrannoprogressivamente meno nel corso de-gli interventi legislativi successivi (per

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LAVORARE SENZA DIRITTI:DAL VOUCHER AL CAPORALATOCollettivo Clash City Workers

______________________________________________1) Luigi Mariucci, Jobs Act, «la bocciaturadel referendum sull’articolo 18 è un errorelogico-giuridico e un paradossale boome-rang politico», Il Fatto quotidiano, 12 gen-naio 2017 e Clash City Workers, Una deci-sione politica. La consulta boccia il quesitosull’art.18, 11 gennaio 2017

L’origine deivoucher è nellalegge Biagi che

ne prevedevalimitazioni

temporali edeconomiche e

parametri dioccasionalità e

soggetticoinvolti: la

loro natura ècambiata con lalegge Fornero e

poi il Jobs Act

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esempio, il limite delle 30 giornate sa-rà eliminato già nel 2005). L’intentodichiarato nella legge era quello difar emergere e formalizzare quellaparte di economia sommersa (lavoronero) dal carattere tendenzialmentedomestico – o comunque inserita en-tro contesti di forte prossimità socia-le (2) – e i cui protagonisti fosserosoggetti periferici del mercato del la-voro. In questo senso, il D.lgs 276/2003può essere inserito in un più ampiocontesto europeo, che vede nel cor-so del primo decennio numerosi ten-tativi di sviluppare politiche di con-trasto al lavoro sommerso e al lavo-ro domestico: in Francia, Belgio, Gre-cia, Austria vengono introdotti stru-menti analoghi ai voucher (3). Tutta-via, se già fin dall’inizio a risaltaresono più le differenze che le somi-glianze, nel corso del decennio suc-cessivo alla loro introduzione i vou-cher diventano qualcosa di profon-damente diverso rispetto tanto al-l’intento iniziale per cui erano stati

pensati quanto ai loro omologhi eu-ropei.

Questo processo avanza a piccolipassi: il sistema dei buoni lavoro di-viene operativo solo nel 2008 con de-creto del 12 marzo del Ministero dellavoro e della previdenza sociale, sisusseguono diverse piccole modificheinserite anche in contesti che ne ren-dono difficile l’individuazione (per e-sempio, nel cosiddetto Decreto sem-plificazione, la legge 133/2008), finoa culminare nella legge Fornero, conla quale scompaiono completamen-te le limitazioni date dalla specificitàdei soggetti coinvolti nell’utilizzo deivoucher. Rimane unicamente, comelimite, quello economico, innalzatoperò a 5.000 euro netti ad anno so-lare – si noti come questo limite agi-sca unicamente dal lato del lavorato-re, e non del datore di lavoro (chequindi non vede limiti nella sua pos-sibilità di utilizzare voucher). Nel 2012,dunque, la Fornero con una mano li-beralizza pressoché completamentei voucher come modalità di pagamen-to di una qualsivoglia prestazione la-vorativa, ma con l’altra fa qualcosadi non meno rilevante: opera unastretta nei confronti di altre tipolo-gie contrattuali, come i contratti aprogetto e intermittenti. Se quest’ul-timo cambiamento viene sbandiera-to come la soluzione di un problemache si stava trascinando da tempo, le

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Uno studio dell’Inps affermache più di emersionedel lavoro nero si può parlaredi “una regolarizzazione minuscola (parzialissima)in grado di occultare la parte più consistente di attività innero”

______________________________________________2) Si veda, per esempio l’elenco degli ambi-ti di utilizzo contenuti nel D.lgs 276/20033) Senza soffermarci su questo punto, riman-diamo alla prima parte dell’ottima ricercasvolta da Gianluca De Angelis e Marco Mar-rone per conto dell’Ires Emilia Romagna:“Voucher: il lavoro accessorio in Italia e inEmilia-Romagna”, consultabile online:http://www.ireser.it/administrator/compo-nents/com_jresearch/files/publications/Ri-cerca_Voucher.pdf

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POLEMOS

imprese, di fronte alle difficoltà sorte nell’impiego diquesti strumenti, si trovano spalancate le verdi pra-terie dei voucher, e non esitano ad approfittarne. Nona caso, il boom del loro utilizzo comincia a farsi regi-strare proprio dal 2012/13.

L’ultimo passo in questa direzione è compiuto dalJobs Act, che nel 2015 porta a 7.000 euro netti an-nui (ma su anno civile e non più solare) il tetto mas-simo di compenso ricevibile da un lavoratore, e con-temporaneamente stringe ancora sull’utilizzo di al-tre forme contrattuali (per esempio, l’eliminazionequasi completa dei Co.Co.Pro.). Il Jobs Act agisce an-che su alcuni aspetti che negli anni precedenti eranorisultati controversi, tra le altre cose vietando l’uti-lizzo dei voucher negli appalti, ma nel complesso nonfa altro che approfondire il solco tracciato dalle libe-ralizzazioni precedenti, sancendo la trasformazionedel voucher da ipotetico strumento di emersione dellavoro nero e di integrazione di soggetti marginali nelmercato del lavoro a effettiva modalità di pagamen-to universale; portandoci così dritti dritti agli oltre 133milioni di voucher venduti nel 2016, rispetto ai 115milioni dell’anno precedente e ai 69 del 2014 (4).

Consideriamo, ora, che cos’è un voucher: si tratta diun buono dal valore lordo di 10,00 euro e netto di7,50 euro. I 2,50 euro di trattenuta, corrispondential 25% del totale, sono ripartiti tra quota assicurati-va Inail (0,70 euro, pari al 7%), versamento dei con-tributi nella gestione separata Inps, che vengono ac-creditati sulla posizione individuale contributiva delprestatore (1,30 euro, 13%) e spese di gestione del-l’Inps, che eroga il buono (0,50 euro, 5%). Esistonoanche buoni del valore di 20,00 e 50,00 euro, a cui siapplicano le stesse proporzioni, ma il loro uso è e-stremamente poco diffuso.

Emergono subito alcuni dati interessanti: di fat-to, con i voucher viene introdotto una sorta di sala-rio orario minimo. Se la normativa non lo indica e-spressamente, essa qualifica però i buoni come ora-ri, sottintendendo che a un’ora di lavoro deve corri-spondere almeno un voucher. Se possiamo dunque

immaginare rari e fortunati casi in cuia un’ora di lavoro corrispondano piùvoucher, di fatto i 7,50 euro netti siqualificano come paga minima perun’ora di lavoro, al di fuori di qual-siasi contratto collettivo nazionale ocontratto integrativo. E, oltre alla pa-ga, c’è poco altro. Senza dubbio, in-fatti, il 13% di contributi è meglio,per un lavoratore, rispetto allo zerodel lavoro in nero, ma per il datoredi lavoro è un incomparabile vantag-gio, a fronte del 29% circa previstoper il lavoro subordinato e del 23,72%per il lavoro a progetto, per le colla-borazioni occasionali e per l’associa-zione in partecipazione (o del 17%per i lavoratori titolari di pensionediretta o indiretta o per gli iscritti adaltre forme pensionistiche obbliga-torie). La riduzione degli oneri eco-nomici prevista per il lavoro accesso-rio va inoltre insieme a un certo al-leggerimento degli oneri gestionali. In-fatti, il committente non dovrà con-segnare al lavoratore alcuna lette-ra/contratto di lavoro, non dovrà ef-fettuare alcuna comunicazione ob-bligatoria (instaurazione, proroga ocessazione) ai servizi per l’impiego,non avrà la necessità di inserire alcu-na registrazione nel Libro Unico delLavoro, non avrà l’obbligo di elabo-rare alcun prospetto paga per i com-

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Per il datore di lavoroè vantaggioso: 13% di

contributi a fronte del 29%previsto per il lavoro subordinato

e del 23,72% per il lavoro aprogetto e le collaborazioni

occasionali

__________________________________________________________________4) Per i dati completi, si veda la ricerca prodotta dall’Inps nelmaggio 2016 (valida per il periodo 2008-2015), consultabi -le online: https://www.inps.it/docallegati/DatiEBilanci/lavoro%20accessorio/Documents/VOUCHER_Presentazione.pdf

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Lavorare senza diritti: dal voucher al caporalato

pensi corrisposti al lavoratore e non sarà necessariopresentare alcun tipo di denuncia agli Istituti, né tan-to meno effettuare versamenti contributivi o di altranatura. A questo va inoltre aggiunto il 5% che trat-tiene l’Inps per il servizio: una quota che il lavorato-re non percepisce in alcun modo, né direttamentené indirettamente.

Ma il problema maggiore sta alla radice: oltre agliscarsi contributi e all’assicurazione, i voucher nonprevedono niente. Niente maternità, niente ferie omalattia, niente differenze di mansioni o scatti dianzianità. Tutti gli istituti contrattuali conquistati nelcorso di decenni di lotte sociali e sindacali… sempli-cemente scompaiono! Rimane quasi unicamente ilpuro rapporto di lavoro, che neanche è riconosciutocome tale.

Il voucher, infatti, non è un contratto: non sanci-sce in alcun modo il rapporto di subordinazione traun datore di lavoro e un lavoratore, e di conseguen-za nega la ‘responsabilità’ del primo nei confrontidelle condizioni globali di vita del secondo, che pren-de la forma degli istituti sopra citati (cosa che, va ri-cordato, non deriva dalla buona volontà delle azien-de, ma principalmente dal conflitto sociale dell’ulti-mo secolo e mezzo). Tramite i buoni lavoro, gli ‘uti-lizzatori’ possono derogare in peggio ai più elemen-tari diritti dei lavoratori. E, inoltre, riescono a inde-bolire notevolmente la forza collettiva di lavoratorie lavoratrici, che si trovano frammentati e isolati, incondizioni in cui mobilitarsi per rivendicare i propridiritti risulta molto più difficile.

Entro questa cornice possiamo comprendere idati diffusi dall’Inps durante il 2016 circa i lavoratoricoinvolti nell’utilizzo dei voucher, che evidenzianocome essi siano presenti pressoché in ogni settore la-vorativo (con una netta prevalenza del turismo e delcommercio) e in ogni fascia di età o tipologia di im-piego. Anche ambiti considerati esenti dal fenomenostanno cominciando a esserne toccati, per esempioamministrazioni locali o fabbriche metalmeccaniche.

Una simile diffusione è perfettamente coerentecon il quadro che abbiamo fin qui descritto: ai datoridi lavoro è stato fornito uno strumento che permet-te di sfruttare la forza lavoro in modo molto più con-veniente che non qualsiasi altra forma di contratto,e però senza scivolare nell’illegalità del lavoro nero.

Già, il lavoro nero! Nel corso diquesta analisi l’avevamo quasi persodi vista, ma conviene tenere fermo ilpunto che i voucher sono ufficialmen-te nati proprio per combatterlo. Inuno studio dell’Inps reso pubblico al-l’inizio dell’autunno 2016, si affermatestualmente che più che di un’emer-sione del lavoro nero, si può parlaredi “una regolarizzazione minuscola(parzialissima) in grado di occultarela parte più consistente di attività innero. In questo senso si può pensareai voucher come la punta di un ice-berg: segnalano il nero, che però ri-mane in gran parte sott’acqua” (5).Ciò che si verifica, in realtà, comeevidenziano sia questa ricerca sia lostudio Ires citato in precedenza, èspesso la coesistenza, nelle forme piùdiverse, di voucher e lavoro nero.Può capitare di essere pagati parte avoucher e parte in nero, oppure cheil rapporto tra voucher e ore lavora-te non sia di uno a uno, come do-vrebbe essere. Fino a ottobre questeforme di lavoro ‘grigio’ erano facili-tate dal fatto che i datori di lavoronon erano tenuti a comunicare conprecisione quando un voucher sareb-be stato utilizzato: bastava indicareun arco di tempo entro cui la presta-zione lavorativa avrebbe avuto luo-go. Da qui i casi di voucher acquistatie tenuti nel cassetto per coprire age-volmente lavoratori in nero in casodi un’ispezione o di un infortunio. Daqui, anche, l’intervento legislativo delgoverno Renzi.

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______________________________________________5) WorkINPS Papers, Il Lavoro accessoriodal 2008 al 2015. Profili dei lavoratori e deicommittenti, pag. 57, settembre 2016. Con-sultabile online:http://anclsu.com/public/news/copertina/WorkINPS_Papers_3_ottobre.pdf

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Il 7 ottobre 2016 è stato pubblicato sulla GazzettaUfficiale il Decreto n. 185/2016, il cosiddetto Decre-to correttivo del Jobs Act. All’interno, una delle in-novazioni più rilevanti riguarda gli interventi perprevenire l’abuso dei voucher, tramite la loro ‘trac-ciabilità’. Nei fatti è previsto l’obbligo di una comu-nicazione preventiva da parte del datore di lavoroentro 60 minuti prima dell’inizio della prestazione,mediante SMS o posta elettronica, con indicazionedei dati del lavoratore, del luogo e della durata dellaprestazione. Il Decreto correttivo, che avrebbe do-vuto sostituire e migliorare quanto già in preceden-za legiferato, è risultato carente dal punto di vistapratico – inizialmente non era stata fornita alcunaindicazione precisa, indirizzo email o numero di cel-lulare, a cui inviare la comunicazione, lasciando peralcuni giorni il fai-da-te generale, con gli addetti ailavori alla ricerca di indirizzi email e il dubbio su qua-le fosse la modalità giusta per la trasmissione deidati al fine di non incorrere in sanzioni.

Dopo la diffusione dei primi dati relativi ai vou-cher venduti del 2016, molti commentatori si sonoaffrettati a dichiarare che la misura presa dal gover-no ha funzionato: negli ultimi mesi dell’anno la ven-dita dei buoni lavoro sarebbe sì aumentata rispettoal medesimo periodo del 2015, ma non così tantocome ci si aspettava, e addirittura a dicembre risultapraticamente identica (11,5 milioni rispetto a 11,4)(6). È sicuramente troppo presto per trarre delle con-clusioni, anche vista la parzialità dei dati di cui dispo-niamo (conosciamo i voucher venduti ma non quelliriscossi, tra le altre cose).

Due considerazioni però possiamo farle.Da un lato il lavoro nero, dopo l’introduzione del

decreto 185/2016, potrebbe apparire addirittura mi-gliore dal punto di vista della tutela dei lavoratori: glicorrisponde infatti, per il datore, se accertato, unamaxi-sanzione, e la possibilità per il lavoratore diaver riconosciuto il proprio effettivo status di lavo-ratore subordinato. Fino all’ottobre scorso in caso diviolazione (che certo era difficilmente accertabile)

nell’utilizzo dei voucher si applicavala stessa norma del lavoro nero, madopo il Decreto correttivo si applicasolo una sanzione pecuniaria, per al-tro di leggera entità, che alla luce delsottorganico e funzionamento (7) de-gli istituti ispettivi, non può rappre-sentare un grosso disincentivo all’a-buso.

Dall’altro lato il problema, comeabbiamo cercato di mostrare, non èl’irregolarità dell’utilizzo o l’abuso, malo strumento stesso, che introducele caratteristiche tipiche di un lavorosenza contratto, a nero, informale, incui è massimo il potere dispotico del-l’impresa, un framework di legalitàche vuole “realizzare una delle uto-pie del capitalismo, ossia quella diconsentire alle imprese di generarericchezza con il lavoro ma senza i la-voratori, o meglio, senza nessun ob-bligo nei loro confronti al di fuori del-la mera retribuzione oraria” (8). Qual-siasi misura parziale, quindi, può fun-gere da palliativo, ma senza aggredi-re il cuore della questione, ossia lalegalizzazione dello sfruttamento piùselvaggio.

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Le tre condizionifissate dalla legge sul

caporalato che stabilisconouno sfruttamento si possono

riconoscere ancheal lavoro retribuito con

voucher

_____________________________________________________________________________________________________________________6) Inps: stop corsa ai voucher con le norme sulla tracciabilità, Il Sole 24 ore, 19 gennaio 20177) L’Inps, per esempio, avendo obiettivi di bilancio precisi nell’attività ispettiva, si muove solo riguardo a me -die e grandi aziende dove può puntare a recuperare maggiori fondi evasi8) G. De Angelis, M. Marrone, Ires 2016, op. cit.

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Lavorare senza diritti: dal voucher al caporalato

Rimane da considerare un’ultima questione, che ri-guarda la legge 199/2016, in vigore dal 4 novembre2016, e che introduce nuovi strumenti di contrastoal caporalato. Una legge presentata come un grandepasso avanti in favore della lotta contro la piaga delcaporalato nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia (9).

La cosa importante è che quando si parla di ca-poralato, non si fa semplicemente riferimento al fe-nomeno del reclutamento da parte di soggetti spes-so collegati alla criminalità organizzata, di lavoratoriche vengono fisicamente trasportati sui campi o neicantieri per essere messi a disposizione di un im-prenditore. Per caporalato si intende soprattutto losfruttamento di persone che versano in stato di bi-sogno, e che quindi si piegano a condizioni di schia-vitù: turni di lavoro massacranti, disconoscimento diogni diritto previsto per legge e/o contratto colletti-vo, corresponsione di salari pari a meno della metàdei minimi tabellari. Il nuovo testo normativo preve-de che la sussistenza di una o più delle seguenti con-dizioni costituisce indice di sfruttamento: 1) La reite-rata corresponsione di retribuzioni in modo palese-mente difforme dai contratti collettivi nazionali o ter-ritoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rap-presentative a livello nazionale, o comunque spropor-zionato rispetto alla quantità e alla qualità del lavoroprestato; 2) La reiterata violazione della normativarelativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al ri-sposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alleferie; 3) La sussistenza di violazioni delle norme inmateria di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro.

Bene, i parametri potrebbero essere tranquilla-mente applicati anche al lavoro retribuito con vou-cher. Si tratta infatti di condizioni in cui si viene atrovare qualsiasi prestatore di lavoro ‘accessorio’ (10).In conclusione, il passo da compiere per definire ilvoucher come caporalato legalizzato è breve. Si ver-sano contributi previdenziali e assistenziali, ma non

vengono garantiti i più elementaridiritti in materia di diritto del lavoro.Peccato che questa legge possa tro-vare un’applicazione assai restrittivacome più volte denunciato anchedalle organizzazioni che si occupanodi bracciantato e sfruttamento neicampi.

Ritorna, dunque, la questione deireferendum su cui probabilmente sa-remo chiamati a votare nei prossimimesi. Sulla scorta del quadro che ab-biamo tracciato fin qui, abolire i vou-cher è l’unica credibile soluzione delproblema. Ma le battaglie importantinon si vincono semplicemente conpetizioni, raccolte firme, ricorso alleurne. Soprattutto se la battaglia è bel-la grossa, si vincono se si combattenel corpo vivo della società. Se nonsi rinuncia alla lotta. In primis nei po-sti di lavoro. Ma anche fuori. Se nonsi accettano le logiche di fondo delsistema. Quindi a fianco della giustacampagna di sostegno ai referendumsi riapre la necessità di dare battagliasu ogni livello disponibile, non rispar-miando critiche agli stessi proponen-ti di questi referendum, che hannofatto assai poco negli anni passati perarrestare i processi in atto e rafforza-re le lotte che pure si sono date inquesti anni.

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__________________________________________________________________9) Cfr. Clash City Workers, Dal caporalato illegale a quello le-gale, 11 agosto 201610) Oltre a quello che può dirci l’analisi dei dati e dei testi dilegge, le testimonianze abbondano: si vedano, per esempio,le interviste contenute nella ricerca citata di G. De Angelis eM. Marrone, e da ultimo: Clash City Workers, [Bergamo] «Nonparlate, non andate in bagno»: così si lavora a voucher, 13gennaio 2017

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Strategia energetica nazionale eSblocca ItaliaLe opere energetiche sono state unadelle priorità degli ultimi governi ita-liani, secondo i quali esse ricopronoun ruolo prioritario e strategico per ilPaese. L’esecutivo Monti ha elabora-to la Strategia energetica nazionale(Sen), mentre Renzi ha continuato illavoro approvando il cosiddetto Sbloc-ca Italia. Due leggi basate su un’e-ventuale riforma del titolo V della Co-stituzione, tentativo fallito per la scon-fitta registrata al referendum costitu-zionale di dicembre.

Se da una lato la Strategia ener-getica nazionale punta al rilancio de-gli stoccaggi di metano e della rigas-sificazione, lo Sblocca Italia rende leopere per l’approvvigionamento e iltrasporto del gas di carattere strate-gico e prioritario. All’art. 37 di que-st’ultimo si legge: “Al fine di aumen-tare la sicurezza delle forniture di gasal sistema italiano ed europeo del gasnaturale, anche in considerazione del-le situazioni di crisi internazionali e-sistenti, i gasdotti di importazione digas dall’estero, i terminali di rigassifi-cazione di GNL (Gas Naturale Lique-fatto, n.d.a.), gli stoccaggi di gas na-turale e le infrastrutture della retenazionale di trasporto del gas natu-rale, incluse le operazioni preparato-rie necessarie alla redazione dei pro-getti e le relative opere connesse, ri-

vestono carattere di interesse strate-gico e costituiscono una priorità a ca-rattere nazionale e sono di pubblicautilità, nonché indifferibili e urgenti”.

Per capire quanto queste operesiano strategiche occorre prendere inmano la Strategia energetica naziona-le, che contempla la creazione di uncorridoio energetico sud-nord euro-peo per il trasposto del gas. Di fatto,la nostra penisola diventerebbe unporto logistico per il passaggio e la ri-vendita del gas.

Nero su bianco, la Sen prevede:“Da un punto di vista dell’integrazio-ne e sviluppo delle reti, la Commis-sione punta ad assicurare che tuttele infrastrutture di connessione e distoccaggio ritenute strategiche perl’integrazione e la sicurezza energeti-ca europea siano completate entro il2020. In questo abito, a ottobre 2011la Commissione ha adottato la pro-posta di Regolamento Guidelines forTrans-European Energy Infrastructu-re identificando 9 corridoi prioritari e3 aree di interesse che coprono le re-ti di trasporto e stoccaggio di elettri-cità e gas, oleodotti per il trasportodel petrolio, smart grids e reti per iltrasporto e la reiniezione della CO2.La Commissione si propone di sele-zionare un certo numero di ‘progettidi interesse comune’ importanti peril conseguimento degli obiettivi ener-getici e climatici. I progetti che avran-

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L’ITALIA HUB DEL GAS:DISASTROSE SCELTE DI POLITICA ENERGETICA Enrico Duranti

Obiettivo è lacreazione in

Italia di un Hubdel gas:

stoccaggi dimetano nelsottosuolo,impianti di

rigassificazionein mare,

metanodottidi grande

portata e opereconnesse come

nuove estrazionie centrali

a biometano

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no ottenuto questa qualifica godran-no di diversi vantaggi: beneficerannodi una speciale procedura per il rila-scio delle autorizzazioni, che sarà piùsemplice, rapida e trasparente, e difinanziamenti dell’Ue nonché di in-centivi tariffari e della ripartizionecross border dei costi delle infrastrut-ture transfrontaliere (per il periodo2014 –2020 dovrebbero essere stan-ziati 5,1 miliardi di euro nell’ambitodel Regolamento Connecting EuropeFacilities-CEF). L’Italia è interessatada ben 5 corridoi (2 per l’elettricità e3 per il gas) e, come tutti gli Statimembri, dalle 3 aree tematiche prio-ritarie. In particolare, sono di inte-resse per l’Italia: 1) Per il settore e-lettrico i corridoi Nord-Sud (NSI WestElectricity e East Electricity); 2) Per ilsettore gas i corridoi Nord-Sud (NSIWest Gas, East Gas, e Southern Gas);3) Le aree tematiche di sviluppo del-le reti intelligenti, delle autostrade e-lettriche e dello sviluppo reti per iltrasporto della CO2. Il regolamentodovrebbe entrare in vigore nel corsodel 2013. Si avrà così abbastanza tem-po per compilare il primo elenco diprogetti di interesse comune a livellodell’Unione (al quale si sta già lavo-rando intensamente sulla base di cri-teri provvisori), suscettibili di esserefinanziati nel quadro del CEF che en-trerà in vigore nel 2014”.

L’obiettivo principale infrastruttu-

rale delle energie è dunque la crea-zione in Italia di un Hub del gas, si-stema composto da stoccaggi di me-tano nel sottosuolo (ex giacimenti),impianti di rigassificazione in mareper il Gas Naturale Liquefatto (GNL),metanodotti di grande portata chepercorrono la penisola da sud a norde opere connesse utili alla regolazio-ne di scambio del gas, come nuoveestrazioni o centrali a biometano (ve-di box Biometano e GNL, pag. 26). UnHub che vede la concentrazione distoccaggi in Lombardia ed Emilia Ro-magna.

Lombardia ed Emilia Romagna,terre di stoccaggioPiù del 70% del gas immagazzinatonel sottosuolo è nelle due principaliregioni del nord. Attualmente vengo-no stoccati 16 miliardi di metri cubidi metano,ma l’obiettivo finale previ-sto dalla Sen è 30 miliardi (Figura 1,pag. 20).

Un raddoppio finalizzato non adaumentare le riserve nazionali in ca-so di crisi energetica, ma esclusiva-mente a un’eventuale esportazione inEuropa, sia a ovest (Francia e GranBretagna), sia verso est. Non è un ca-so che, di fronte alla crisi russo-ucrai-na, l’ex amministratore delegato del-la Snam Carlo Malacarne dichiaravapubblicamente che l’azienda era pron-ta a trasportare gas verso i Paesi del-

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L’Hub prevede grandi metanodottiche sventranola penisola, dal salentino Tap che corre super la dorsale appenninica Adriatica (compresele zone terremotate) fino all’Emilia per poi ricollegarsialla centraledi Sergnano

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l’Est qualora la Russia avesse chiuso i rubinetti. È pro-prio il Gruppo Snam che, attraverso la partecipata Sto-git (Stoccaggi Gas Italiani), controlla l’80% del merca-to dello stoccaggio di metano.

Questo sistema complesso di Hub è possibile gra-zie all’interconnessione di grandi metanodotti chesventrano la penisola e la Pianura Padana. Quello prin-cipale è l’opera Cervignano-Zimella e Cervignano-Mor-tara, metanodotto da 1.500mm a 75 bar di pressione(un gasdotto internazionale) che permette al gas diarrivare alle ‘porte italiane’ del Tarvisio (est) e di Pas-so Gries (ovest) (Figura 2, pag. 21).

Ancora in costruzione, questo metanodotto vedecome snodo focale la costruenda centrale di compres-sione gas di Sergnano (CR), che gestirebbe in bidire-zione il gas verso l’Europa. Proprio a Sergnano si con-centrerebbe il punto finale del sistema stoccaggi me-tanodotti, ed è infatti la Lombardia a detenere il mag-gior numero di gas stoccato.

Completa l’Hub il nuovo corridoio energetico chedal metanodotto salentino Tap, che porterebbe il gas

dai Paesi caucasici, dovrebbe percor-rere tutta la dorsale appenninica A-driatica (comprese le zone recente-mente terremotate) e arrivare in Emi-lia, nei pressi dello stoccaggio di Mi-nerbio (BO), per poi ricollegarsi a Ser-gnano (Figura 3, pag. 22); a questo cor-ridoio si connetterebbero altre ope-re, come stoccaggi utili a immagazzi-nare gas e rigassificatori.

È evidente che la creazione di unasimile struttura necessiterebbe diun’unica valutazione strategica am-bientale, e invece la si è voluta fram-mentare in piccoli progetti proprio pereludere la valutazione nella sua com-plessità e unità.

Perché l’Hub? La situazionegeopoliticaIl prezzo attuale del metano è una del-

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Figura 1_____________________________________________________________________________________________________________________

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L'Italia Hub del gas

le ragioni del progetto Hub. In passato l’Italia si è ga-rantita l’importazione con contratti Take or pay prin-cipalmente dalla Russia, che forniva più del 50% delgas in Europa e del 30% in Italia. Con il progetto Sou-th Stream (gasdotto russo sud-europeo), bocciato dallaUe all’ultimo minuto, la Russia avrebbe potuto incre-mentare quasi del doppio la fornitura agli Stati del-l’Europa meridionale, scavalcando l’Ucraina, Paese concui i rapporti erano tesi da anni proprio per la que-stione del trasporto del gas. Le potenzialità del Sou-th Stream erano di 60 miliardi di metri cubi annui,quindi un metanodotto di grande portata che dalmar Nero sarebbe sbarcato alle porte italiane del Tar-visio, risalendo i Paesi balcanici. Ma in Europa non eraben visto, e altri progetti erano concorrenti. Tra questiil Nabucco e il Tap, metanodotti di portata inferiore(il Tap porterebbe 10 miliardi annui, un sesto rispet-to al South Stream), che sono stati tuttavia ritenutistrategici dalla Ue – il Tap è già stato finanziato dallaBei, Banca Investimenti Europea (Figura 4, pag. 23).

Quale la differenza tra il South Stream e il Tap?La risposta è semplice: il primo avrebbe portato gasrusso, il secondo trasporta attualmente gas dell’A-zerbaijan, e in futuro anche dagli Paesi arabi. Si trat-ta dunque di strategie geopolitiche ben precise neirapporti tra Russia e Stati Uniti e Paesi alleati. La que-

stione energetica è da anni al centrodello scontro mondiale e del clima te-so tra Usa e Russia. Una situazione frut-to della ‘rivoluzione del Fracking’ edei gas non convenzionali, che ha por-tato i prezzi dei contratti Take fuorimercato: le quotazioni spot sono in-fatti molto inferiori a quelle contem-plate nei contratti sottoscritti oltre undecennio fa, in condizioni del tutto dif-ferenti (Figura 5, pag. 24).

Con il Fracking gli Stati Uniti han-no raggiunto l’indipendenza energe-tica e sono attualmente potenziali e-sportatori tramite il sistema del GNL.Un cambiamento che ha portato a untracollo dei prezzi del petrolio e delmetano, che ha causato crisi econo-miche devastanti in molti Paesi pro-duttori per i quali, come Venezuela eRussia, il pareggio di bilancio è basa-to su prezzi petroliferi intorno ai 100dollari al barile. Con l’attuale quota-zione di circa 50/60 dollari, alcuni Sta-ti rischiano il default (Figura 6, pag.25).

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È chiaro che questo ha portato una instabilità eco-nomica e politica sul piano mondiale, con tentatividisperati per potersi salvare. Non a caso, tra i Paesiproduttori si continua a discutere se ridurre la pro-duzione, in modo da bloccare la svalutazione del prez-zo, oppure aumentarla, per rendere antieconomicoanche il gas non convenzionale da Fracking.

La questione è stata al centro del dibattito del-l’Intesa di Vienna del dicembre scorso tra i PaesiOpec e non Opec. Dopo un lungo braccio di ferro èprevalsa la posizione di tagliare la produzione, inmodo da permettere ai prezzi di risalire. Tra gli Statifavorevoli Russia e Arabia Saudita, fortemente con-trari Iran e Iraq.

È evidente che ci troviamo in una situazione disovrapproduzione di energia sul mercato mondiale,e nonostante i tentativi di accordo sulla produzionee sui prezzi la fase non è certo tranquilla. Un peggio-ramento della crisi petrolifera porterà con sé un ul-teriore peggioramento della crisi mondiale, con l’i-nevitabile scoppio di altre bolle speculative e crisisovrastrutturali delle economie anche di Paesi im-portanti come la Russia, l’Iran e le monarchie arabe.Non si può escludere nemmeno una bolla finanziaria

legata al Fracking, con il fallimento dicentinaia di aziende americane. A ciòdeve essere aggiunta anche la que-stione del Medioriente e della Siria,Paese chiave nel passaggio di corri-doi energetici, sia per le monarchiearabe che per l’Iran. Proprio il futurodell’Iran è centrale, poiché è uno de-gli Stati con il maggior potenziale digas. La sua entrata sul mercato mon-diale energetico lo porterebbe a es-sere un esportatore principale, al paridi Russia, Usa e delle monarchie ara-be – per questo il Paese era forte-mente contrario al taglio della produ-zione: un aumento porterebbe a un’ul-teriore svalutazione dei prezzi, per-mettendogli di inserirsi nel mercatoenergetico. L’instabilità dunque do-mina, e possiamo aspettarci di tuttoin termini di alleanze e scontri mon-diali.

In questo clima, tutti i Paesi chein passato hanno stipulato contrattiTake hanno chiesto a gran voce la ri-visitazione delle condizioni, con l’ab-bassamento dei prezzi. Gli Stati forni-tori non hanno però un gran marginedi trattativa, a causa dei bilanci stata-li. È il caso dell’Europa, che tra il 2012e il 2013 ha chiesto alla Russia di ri-negoziare i contratti Take, ma quest’ul-tima non ha potuto concedere gran-ché. È in questo contesto che si inse-risce lo scontro Ue-Russia con il con-flitto ucraino.

L’Europa ha dunque guardato al-trove e i rapporti con Putin sono di-ventati sempre più tesi. Sul piano e-nergetico ha rivisto l’intera strategia,nel tentativo di svincolarsi dal gas rus-so, e si è concentrata sulla rigassifica-zione e sul corridoio meridionale coni Paesi arabi, l’Azerbaijan e in prospet-tiva l’Iran. Ed è in questo contesto chesi è consumata la pace con l’Iran.

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L'Italia Hub del gas

Nello scacchiere mondiale l’Italia gioca un ruolochiave. Se da un lato la posizione europea per l’ap-provvigionamento da nord è la rigassificazione conterminali nel mare del Nord, per il sud la scelta rica-de sulla rigassificazione con Spagna e Italia, e via tu-bo principalmente su quest’ultima. Ma grosse quan-tità di metano devono essere immagazzinate e quin-di servono gli stoccaggi, con tutti i problemi ambien-tali connessi, tra cui quelli della sismicità indotta e ladeformazione del suolo (ne parleremo in prossimi ar-ticoli).

Da importatori a esportatoriPer esportare un prodotto bisogna averlo o produr-lo, a meno che non si pensi di diventare grossisti eterzisti, ma per far questo occorrono grandi magazzi-ni e una sofisticata logistica per far arrivare la mercein tempi rapidi e senza interruzioni. Da qui i rigassifi-catori, gli stoccaggi e i metanodotti, le nuove trivella-zioni e il biometano, opere non strategiche se si pen-

sa alle risorse italiane, ma progettateper divenire Hub.

L’Italia basa il proprio consumo e-nergetico sull’utilizzo del metano. Giàin passato il nostro Paese è stato con-sumatore di metano, molto prima de-gli altri Stati europei. Una scelta chesi è sempre basata su tre fattori di na-tura principalmente politica: la man-canza di nucleare, le scoperte meta-nifere dell’Eni, soprattutto con gli in-vestimenti di Mattei, e l’importazio-ne via tubo dalla Russia e dall’areanord africana.

La composizione percentuale del-le fonti energetiche impiegate per lacopertura della domanda italiana nel2015 è stata caratterizzata dal petro-lio per il 34,5%, dal metano per il32,2%, dai combustibili solidi per il

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7,8%, dall’energia elettrica per il 5,9% e dalle rinno-vabili per il 19,3%.

Il 2015 dimostra che siamo ancora un Paese im-portatore di energia, anche per la scarsità concretadi fonti rinnovabili. Quello che deve far riflettere èche comunque, in un quadro generale di diminuzio-ne di produzione nazionale di energia, diminuisce an-che la produzione di rinnovabili, con un calo del 3,7%rispetto al 2014. Aumentano invece le importazioninette, +6,4% rispetto l’anno precedente, con un au-mento delle importazioni di gas (+10%) e petrolio(+6,6%), mentre le fonti rinnovabili subiscono un for-te calo (-16% rispetto al 2014): ciò dipende princi-palmente dalla scelta politica di puntare più sui fos-sili e meno sulle rinnovabili.

Nel 2015 la domanda di gas naturale è stata co-perta per il 10% dalla produzione nazionale e per il90% attraverso il ricorso all’importazione, che è sta-ta pari a 61,2 miliardi di metri cubi, con un incre-mento del 9,8% rispetto al 2014; si è registrata inol-tre un’iniezione netta di gas nei giacimenti di stoc-caggio per circa 0,2 miliardi di metri cubi.

Le importazione via gasdotto han-no rappresentato il 90% del totale del-le importazioni di gas naturale, regi-strando un incremento di 4 miliardidi metri cubi. In particolare le forni-ture provenienti dall’Algeria (7,2 mi-liardi di metri cubi), dalla Russia (29,9miliardi), dalla Libia (7,1 miliardi) edal nord Europa (10,6). Il GNL (6 mi-liardi di metri cubi) ha visto un incre-mento del 32% rispetto al 2014. Com-plessivamente nel 2015 si è registra-to un consumo di gas pari a 67,5 mi-liardi, con un incremento del 9,1% ri-spetto al 2014, reso possibile dall’au-mento del settore civile e termoelet-trico. Per soddisfare le esigenze do-mestiche nel 2015, secondo le stimepreliminari effettuate nell’ambito deiconti ambientali dell’Istat, si è utiliz-zato per il 51% gas naturale (metano),per il 21% biomasse (in particolare le-

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gna da ardere), per il 20% energia elettrica, per il 4%gasolio, per quasi il 4% GPL e in quantità trascurabilealtri prodotti energetici.

Un dato importante riguarda l’energia elettrica,in quanto più del 60% è prodotta con fonti fossili at-traverso impianti termoelettrici tradizionali. Sul tota-le prodotto, il 40% viene da gas naturale, che dun-que diventa fondamentale per il bilancio energeticoanche nel settore elettrico.

Ma è proprio nei consumi finali di energia che sinota come il maggior uso venga dal settore civile, conun 37,6%, e dai trasporti con un 32%. Due ambiti cherappresentano il 67,6% dei consumi finali. In questocontesto il gas è pari al 30% e il petrolio al 43%. Ilnostro consumo energetico rimane dunque princi-palmente legato ai fossili.

Una scelta politicaDa questi dati possiamo trarre importanti conclusio-ni. L’Italia, essendo un Paese importatore, ha bisognodi grandi svolte per poter ridurre la dipendenza e-nergetica. E poiché il settore civile e quello dei tra-sporti sono i due principali energivori con dipenden-za da fonti fossili (gas e petrolio), solo una scelta po-litica consapevole può andare a scardinare una stra-tegia energetica antiquata. E la scelta non è certo quel-la di diventare Hub.

L’efficienza energetica delle abitazioni potrebbeabbattere drasticamente l’utilizzo di gas. Attualmen-te esistono le case passive, e un serio piano di inve-

stimento pubblico in questa direzio-ne potrebbe essere la reale soluzio-ne. Stesso discorso vale per i traspor-ti. Il continuo investimento su gom-ma e su strada è la scelta più sbaglia-ta per poter mettere mano al bilan-cio energetico, mentre un piano nelsettore del trasporto pubblico e dellariorganizzazione delle merci potrebbeabbattere drasticamente il consumodi petrolio.

L’Hub del gas, gli stoccaggi, la ri-gassificazione, il biometano, le trivel-lazioni sono al contrario scelte fina-lizzate a mantenere la situazione at-tuale, se non a peggiorarla vista la pro-spettiva di esportazione nell’area eu-ropea.

Quello che deve essere messo indiscussione è il modello di sviluppoattuale, che si basa esclusivamente sulfossile e a volte sulla speculazione an-che nel rinnovabile. Dobbiamo ragio-nare in modo differente sulla questio-ne energetica. Dobbiamo rifarci a unmodello basato sul minor impatto e-nergetico, sulla minimizzazione delconsumo, sull’efficienza. Un modelloche può essere sviluppato solo su ba-si anticapitaliste, nelle quali l’energia

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non è più riconosciuta come merce ma diventa benecomune.

Anche l’utilizzo del sottosuolo pone importantiriflessioni. È tendenza diffusa considerarlo proprietàprivata, mentre è per legge un bene comune; le con-cessioni minerarie vengono infatti rilasciate con garapubblica e non con vendita del giacimento. Di fattoquello che viene concesso è la possibilità di usufrui-re dell’utilizzo del giacimento. Ecco perché con il re-ferendum dell’aprile scorso sulle trivelle si voleva in-trodurre il concetto di vita utile, che porta a decade-re la durata della concessione. La vita utile è il primopassaggio verso la privatizzazione del sottosuolo,scelta richiesta dalle compagnie petrolifere e meta-nifere. Ma il sottosuolo deve rimanere bene comu-ne, soprattutto con la scelta politica attuale di sfrut-tamento illimitato dei geopotenziali a scopi di stoc-caggio.

L’energia è alla base del progresso e del modello

di sviluppo economico. Un modelloirrazionale e illogico come quello at-tuale sarà per forza basato sul massi-mo consumo e sullo spreco. Si pensi,per esempio, allo spostamento dellemerci anche di prima necessità: im-portiamo alimenti dall’estero per po-ter coltivare i nostri campi per pro-durre energia. Nel bilancio finale e-nergetico, quanta energia viene uti-lizzata per farlo? La risposta non ècerto quella del protezionismo in chia-ve nazionale, ma un diverso modellodi sviluppo, dove l’energia è un beneda preservare nel rispetto dell’am-biente e dell’intera umanità. Attornoalla questione del sottosuolo e del-l’energia deve ripartire la battaglia perla difesa dei beni comuni.

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BIOMETANO E GNLLa creazione dell’Hub del gas passa anche attraverso l’immissione nella rete del Gas NaturaleLiquefatto (GNL) e del biometano.

Il 16 febbraio 2016 la Commissione europea che si occupa di energia dichiara l’importanzadi utilizzare lo stoccaggio sotterraneo per il GNL e per altri tipi di gas, come il biometano. Conquesta scelta si apre la rincorsa allo stoccaggio di GNL e biogas. Nel settembre 2016 nasce laPiattaforma nazionale del Biometano, lobby composta dai biogassisti con l’appoggio di Legam-biente, che propone di rendere strategico il biogas per la produzione di biometano. L’obiettivoè arrivare a produrre 8,5 miliardi di metri cubi da impianti di biogas, di cui 0,5 miliardi sola-mente da fanghi di depurazione e compostaggio. La quota è veramente alta, di fatto supere-rebbe la quantità di metano estratto dai giacimenti geologici. Viene inoltre proposto l’utilizzodel biometano anche per l’autotrazione.

Immediatamente si muove il governo Gentiloni, con il suo primo decreto. Nel dicembre2016 il Ministero dello Sviluppo economico, di concerto con quello dell’Ambiente e delle Poli -tiche agricole, emana un decreto legge riguardante l’utilizzo del biometano che apre la stradaalla sua immissione nella rete nazionale del gas, e quindi anche negli stoccaggi, e offre inoltrenotevoli incentivi ai nuovi impianti – toccheranno valori massimi prossimi al 100% – oltre allariconversione di quelli vecchi di biogas. Per la prima volta viene aperta la strada anche ai bio-carburanti per autotrazione, sia da produrre in Italia sia da importare.

Una situazione pericolosa per diversi aspetti.

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L'Italia Hub del gas

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In primis per le materie che potranno essere utilizzate. Il biometano potrà essere prodot-to, oltre con le classiche coltivazioni, anche con carcasse, parti di animali macellati e prodottialimentari non destinati al consumo umano per motivi commerciali; e con prodotti di origineanimale o prodotti alimentari contenenti prodotti di origine animale non più destinati al con-sumo umano per motivi commerciali.

Il decreto apre anche la possibilità all’utilizzo dei rifiuti. Vi si legge: “Fino all’emanazione diuna delibera dell’Autorità in accordo con il Comitato Italiano Gas (CIG) per la gestione del pe -riodo transitorio che termina con l’emanazione delle citate specifiche tecniche europee, sonoescluse le immissioni nella rete del gas naturale del biometano derivante da gas prodotto pervia termochimica, quali i processi di gassificazione di biomasse, da gas di discarica e da gas re-siduati dai processi di depurazione, da fanghi, da rifiuti urbani e non urbani indifferenziati edalla frazione organica ottenuta dal trattamento di rifiuti urbani e non urbani indifferenziati”.Si deduce che l’obiettivo è quello di produrre gas da tutti i tipi di rifiuti, anche non urbani, nonsolamente dall’umido.

Essendo classificato come rinnovabile, il biometano è direttamente legato alla questionedei certificati verdi e agli scambi di CO2. Anche nel decreto l’aspetto viene introdotto: “Al finedi consentire lo sviluppo di un mercato attivo di scambi di quote di emissione in grado di faremergere il legame di valore tra biometano ed emissioni evitate di carbonio utilizzabili nei varisettori produttivi e nella produzione di elettricità, è istituito presso il GSE il Registro nazionaledelle Garanzie di Origine del biometano [...] La Garanzia di Origine ha lo scopo di fornire alconsumatore un mezzo per comprovare l’origine rinnovabile del gas prelevato dalla rete e puòessere utilizzata anche dai soggetti tenuti agli obblighi del sistema di scambio istituito con laDirettiva 2003/87/CE, al fine di liberarli dall’obbligo di disporre di un numero di quote equiva-lenti in termini di emissioni di carbonio evitate, in ragione del consumo di biometano compro -vato dal possesso della citata Garanzia”.

La questione del biometano e dei biocarburanti pone la necessità di una discussione sul -l’intero sistema. Ha senso coltivare per produrre energia? Ha senso destinare l’intera nostraagricoltura per scopi energetici per poi dover importare alimenti? Stesso discorso vale per laquestione dei mangimi, che hanno visto un aumento dei prezzi proprio per l’importazione eper la mancanza di coltivazioni destinate all’allevamento. Siamo di fronte a una vera e propriarivoluzione agricola che potrebbe trasformare la nostra agricoltura in fonte energetica, e apri -re alla possibilità che anche i macelli siano finalizzati alla produzione di energia, basta che glianimali siano dichiarati invenduti.

Già ora con oltre 400 impianti di biogas, più della metà in Lombardia, viviamo una forte crisiagricola. La situazione non potrebbe che peggiorare. Va anche aggiunta la questione relativa aldiritto all’acqua per l’irrigazione – aspetto sempre più problematico a causa dei cambiamenti cli-matici, ed è riconosciuto che le coltivazioni per produzione di biogas (per esempio il mais) sonomolto più idrovore rispetto a quelle della classica agricoltura. Più imposteremo politiche agricolefinalizzate all’energia e più avremo problemi in tal senso. Una soluzione è andare a pescare diret-tamente in falda acquifera, compromettendo un ecosistema non rinnovabile, alterando i punti diricarica dell’acqua e l’intero ciclo delle falde. Purtroppo questa disastrosa soluzione è già attuatasia legalmente che abusivamente, proprio a causa della mancanza d’acqua. È un cane che si mor-de la coda.

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La vicendaL’8 aprile 2016 Mediaset ha annun-ciato un accordo con Vivendi, la so-cietà francese attiva nel settore deimedia e delle comunicazioni e con-trollata dal gruppo Bolloré, per lo svi-luppo congiunto di nuovi progetti in-dustriali su scala internazionale. Se-condo il comunicato stampa di Viven-di, “l’accordo con Mediaset confermal’intenzione di Vivendi di costruirsi unaposizione forte nell’Europa meridio-nale, un mercato che condivide comu-ni radici culturali latine. La presenzasignificativa di Mediaset in Italia e inSpagna, attraverso la televisione ge-neralista e i canali tematici (gratis e apagamento), rappresenta un’impor-tante tappa verso il raggiungimentodi questo obiettivo. Rappresenta an-che un passo significativo di Vivendiverso la sua ambizione di divenire ungrande gruppo internazionale con unanatura europea nel settore dei me-dia e dei contenuti” (1). L’intesa pre-vedeva che Mediaset cedesse a Vi-vendi azioni proprie per un importopari al 3,5% del capitale sociale e il100% di Mediaset Premium (la tv apagamento del Biscione gestita – mol-

to male – da Piersilvio Berlusconi), incambio del 3,5% del capitale socialedel gruppo francese.

Tutto sembrava funzionare nel mi-gliore dei modi quando il 26 luglio Vi-vendi ha comunicato alla stampa dinon volere più rispettare i termini delcontratto: secondo quanto dichiara-to dai francesi, in maggio i conti ave-vano evidenziato una perdita mai e-mersa prima di oltre 56 milioni (in pro-iezione oltre 200 milioni l’anno), e giàil 21 giugno Arnaud de Puyfontaine,Ceo di Vivendi, aveva informato il ma-nagement Mediaset di aver riscontra-to differenze significative nelle anali-si e nelle prospettive reddituali di Me-diaset Premium rispetto ai dati su cuisi era basato l’accordo. Pertanto, vi-sta la situazione e in mancanza di unasoluzione percorribile, il gruppo fran-cese non si riteneva più tenuto a ono-rare il contratto.

Mediaset, ritenendo di aver trat-tato in piena trasparenza e che Viven-di fosse consapevole di ogni aspettodell’accordo, si è rivolta alla magistra-tura per ottenerne l’esecuzione coat-tiva e il risarcimento dei danni (il 19agosto), seguita a ruota da Fininvestin qualità di maggiore azionista (il 23agosto). La vicenda si è trascinata pertutto l’autunno senza novità signifi-cative in attesa delle decisioni dellamagistratura, mentre i due contenden-ti sostenevano a mezzo stampa la pro-

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VIVENDI VS MEDIASET:È IL BUSINESS, BELLEZZA! Giovanna Baer

______________________________________________1) Comunicato stampa Vivendi, 8 aprile2016, http://www.vivendi.com/press/pres-s-releases/vivendi-forms-a-strategic-an-d-industrial-partnership-with-mediaset/

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pria campagna mediatica a colpi diaccuse e controaccuse, finché lo scor-so 12 dicembre, del tutto inaspetta-tamente (almeno per i diretti interes-sati), Vivendi ha iniziato a effettuaresul mercato massicci acquisti del ti-tolo del Biscione, decuplicando in po-chi giorni il proprio portafoglio di a-zioni Mediaset e arrivando a fine an-no a detenere il 30% del capitale,soglia-limite oltre la quale scattereb-be l’obbligo di Opa (Offerta pubblicadi acquisto di titoli, la mossa ostileper eccellenza per giungere al con-trollo di una società quotata in Bor-sa). Vivendi ha speso in pochi giornicirca 1,2 miliardi di euro, raddoppian-do quasi il corso dei titoli Mediaset,passati da 2,71 euro a 4,57 euro adazione, mentre la famiglia Berlusco-ni, proprietaria di Fininvest, cercavadi riorganizzare le proprie difese: do-po aver investito altri 120 milioni pergiungere al 39,7% dei diritti di votoin Mediaset, quota massima stabilitaper legge nel 2016 (da aprile prossi-mo potrà salire di un ulteriore 1,27%e a dicembre 2018 di un altro 3,5%),Fininvest si è rivolta alla Consob (laCommissione per le società e la Bor-sa), denunciando Vivendi per abusodi informazioni privilegiate (cioè, so-stanzialmente, per aver fatto crollaredi proposito le azioni Mediaset rom-pendo il contratto in luglio con l’obiet-tivo di rendere la società vulnerabile

a una scalata). Sulla base della notatrasmessa alla Commissione si è atti-vata anche l’Agcom (l’Autorità di ga-ranzia del settore delle comunicazio-ni), che il 21 dicembre, dopo aver av-vertito Bolloré della possibilità di fer-mare l’eventuale concentrazione dipotere determinato dall’accoppiataMediaset-Telecom Italia (di cui Viven-di detiene il 24,19%), ha deciso di a-prire un’istruttoria per verificare lapossibile violazione delle norme suiservizi di media audiovisivi e radiofo-nici, basato sulla legge Gasparri.

Il gruppo Bolloré e VivendiVincent Bolloré, classe 1952, è il pri-mo azionista di Vivendi con il 20%.Nato a Boulogne-Billancourt, appar-tiene a una famiglia di industriali bre-toni, ma ha iniziato la sua carriera nelsettore finanziario, presso la Banquede l’Union européenne industrielle etfinancière (1970) prima, e nella Com-pagnie Financière Edmond de Roth-schild (1975) poi. Nel 1981 ha presoin mano la gestione dell’azienda difamiglia, una cartiera in gravi difficol-tà finanziarie, decidendo di uscire dalcore business per investire inizialmen-te nel settore delle pellicole di plasti-ca ultrafini, e in seguito diversificarenel comparto dell’energia, nell’agroa-limentare (piantagioni di cacao e co-tone in Africa e vino in Francia), neitrasporti e nella logistica, e infine nel

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Il 26 luglio Vivendi comunica dinon volerepiù rispettarei termini del contratto su Mediaset Premiumperché i contidi quest’ultima hanno evidenziatouna perditamai emersa prima di oltre56 milioni

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settore media. Oggi il gruppo Bolloré è una delle 500più grandi società del mondo, con più di 58.000 di-pendenti, un fatturato di circa 10,8 miliardi di euro,reddito netto per 727 milioni e mezzi propri per 11,2miliardi (2). Gli interessi del gruppo sono saldamen-te in mano alla famiglia Bolloré, e “il controllo stabi-le della maggioranza del capitale consente al gruppodi sviluppare una politica di investimento a lungo ter-mine” (3).

Figura ricca di chiaroscuri, Bolloré è stato al cen-tro di numerose polemiche, sia per i suoi interessi e-conomici nella cosiddetta Françafrique (avrebbe avu-to grandi privilegi da parte dei governi degli Stati afri-cani grazie alle pressioni politiche e diplomatiche, avolte anche sfociate in interventi militari veri e pro-pri, esercitate dal governo francese presieduto dal-l’amico Nicolas Sarkozy, a cui ha più volte messo a di-sposizione il proprio jet privato e lo yacht [4]), sia peril suo comportamento con i compagni d’affari: “Hasoffiato l’impero di famiglia a una delle più blasona-te dinastie transalpine, sfilato una banca all’amico dipapà, teso agguati in Borsa ai compagni di scuola. Hascaricato senza troppe cerimonie – quando serviva –anche i consiglieri più fidati. Facendosi tanti nemici,va da sé, ma mettendo assieme quel tesoretto che gliconsente oggi di tenere sotto scacco la Fininvest” (5).

A giocare duro Vincent ha iniziato nel 1991 quan-do, per salvaguardare una sua giovane società di tra-sporti marittimi contro la rivale Delmas, ha persuasoil conte Eduard de Ribes, amico di famiglia e presi-dente storico di Banque Rivaud, a finanziare il ra-strellamento in Borsa del 5% delle azioni del rivale,mentre contattava personalmente tutti i membri del-la famiglia Vielijeux (i proprietari della Delmas) perconvincerli a cedergli le azioni, giungendo infine aottenere il controllo del gruppo. Stupito dalla spre-giudicatezza e dalla tenacia dell’imprenditore, de Ri-bes ne invoca l’aiuto in occasione della scalata ostile

da parte di Stern e Dumenil Léblé(quest’ultima di proprietà di CarloDe Benedetti) e, una volta scongiura-to il pericolo, lo chiama ad affiancar-lo nella gestione della Banque Ri-vaud. Un bel gesto che il conte è de-stinato a pagare caro: nel 1996, quan-do un dipendente accusa la societàdi evasione fiscale, Bollo coglie al vo-lo l’occasione per defenestrare de Ri-bes (che verrà indagato per “abus debiens sociaux et présentation decomptes inexacts”, letteralmente “a-buso di beni societari e falsificazionicontabili”). Alleatosi con i soci belgi eincassato il beneplacito dell’establish-ment parigino della destra gaullista(cliente storico della banca), Vincentsi è impossessato della ricchissimacassa dell’istituto di credito, ancoraoggi controllata dal gruppo Bollorétramite la Socfin (mentre de Ribes,assolto da tutte le accuse, è stato permolti anni amministratore del grup-po Bolloré, segno che negli affari isentimenti lasciano il tempo che tro-vano).

In Italia il finanziere è entrato at-traverso il ‘salotto buono’ di Medio-banca, di cui è ufficialmente socio dal2002, ed è oggi secondo azionista (inCda siede la sua ultimogenita Marie)con quasi l’8% del capitale vincolatoal patto di sindacato: da notare che il

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Il 12 dicembre Vivendiinizia ad acquistare sul

mercato azioni Mediasetarrivando a fine annoal 30%, soglia-limiteoltre la quale scatta

l’obbligo di Opa

__________________________________________________________________2) Dati dal sito www.bollore.com3) Ibidem4) Cfr. C’era una volta. La Francia in nero, documentario Rai,13 settembre 2012; Sarkozy è arrivato a Luxor con Carla Bru-ni, L’OBS, 10 gennaio 20085) E. Livini, Bolloré, il serial-raider anti-Berlusconi col vizio ditradire gli amici in Borsa, La Repubblica, 29 dicembre 2016

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Vivendi vs Mediaset: è il business, bellezza!

primo azionista è il gruppo Unicredit, con una quo-ta dell’8,56%, mentre il terzo azionista è Banca Me-diolanum del binomio Doris-Berlusconi, con il 3,34%(6).

Da Mediobanca è arrivato in Generali (di cui l’i-stituto di piazzetta Cuccia è il principale azionista),dove ha ricoperto il ruolo di vicepresidente fino a ot-tobre 2013 (del Leone ha una piccola quota di azionidirette, oltre quelle controllate attraverso Medioban-ca), e in cui la sua influenza è ancora oggi decisiva:Philippe Donnet, il manager francese Ceo e Ad di Ge-nerali dal 17 marzo 2016, ha fatto parte dal 2008 fi-no alla nuova nomina del consiglio di sorveglianza diVivendi, mentre Jean-René Fourtou, nel consiglio diamministrazione di Generali dal dicembre 2013, neè stato Ceo dal 2002 al 2005 (e ne è tuttora presi -dente onorario).

Nel 2010 ha acquistato il 5% della holding Pre-mafin di Salvatore Ligresti, ed è stato condannatodalla Consob a una multa di 3 milioni di euro e a 18mesi di interdizione per aver gonfiato il prezzo delleazioni in vista della vendita della società (operazionein seguito naufragata), al gruppo Groupama.

Nel libro soci di Telecom è entrato invece nell’e-state 2015, quando Vivendi ha venduto la brasilianaGlobal Village Telecom (GVT) agli spagnoli di Telefo-nica per 7,6 miliardi e ha ricevuto, come parte delcompenso, un pacchetto dell’8,3% di azioni della so-cietà italiana, diventandone primo azionista. In se-guito Vivendi ha aumentato la sua quota in TelecomItalia con acquisti sul mercato borsistico e oggi nepossiede il 24,9%.

In Francia, nel maggio del 2016, malgrado le ac-cuse di irregolarità e i ricorsi in tribunale, Vivendi haconquistato Gameloft, società specializzata nei vi -

deogiochi per telefonini, soffiandolaai fondatori bretoni Guillemot, cui neldicembre scorso ha tolto anche il gio-iello di famiglia Ubisoft (Rayman, Prin-ce of Persia, Assassin’s Creed, Far Cry,Just Dance).

Prima della rottura del contrattosu Mediaset Premium e della scalataa Mediaset, Bolloré era consideratovicino a Silvio Berlusconi grazie ai le-gami con l’imprenditore e produtto-re cinematografico tunisino TarakBen Ammar, amico storico di Ghed-dafi e Sarkozy e rappresentante dellafinanza francese in Italia, che siede –tra gli altri – nei Cda di Mediaset,Mediobanca, Generali, Telecom e Vi-vendi.

Il problema TelecomIl 17 gennaio l’Agcom ha fatto sape-re, al termine dei lavori preliminarisvolti dai commissari sull’affaire Vi-vendi-Mediaset (le conclusioni sonoattese per il 21 aprile), che una even-tuale Opa di Vivendi non sarebbe giu-ridicamente accettabile, ceteris pari-bus. In particolare l’Agcom fa riferi-mento al comma 11 dell’articolo 43(Posizioni dominanti nel sistema in-tegrato delle comunicazioni) del Te-sto Unico della Radiotelevisione (7),secondo il quale “le imprese, ancheattraverso società controllate o colle-gate, i cui ricavi nel settore delle co-municazioni elettroniche, come defi-nito ai sensi dell’articolo 18 del de-creto legislativo 1° agosto 2003, n.259, sono superiori al 40 per centodei ricavi complessivi di quel settore,non possono conseguire nel sistema

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______________________________________________7) Decreto legislativo, 31/07/2005 n. 177,G.U. 07/09/20056) Dati dal sito www.mediobanca.com

Bolloré è stato al centro di numerosepolemiche per i suoi interessi economici

nella cosiddetta Françafrique attivamentesostenuti dal governo francese presieduto

dall’amico Sarkozy e per il suocomportamento con i compagni d’affari

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integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10per cento del sistema medesimo”.

L’Agcom fa presente che la presenza di Vivendi inTelecom “potrebbe configurare violazione del citatoarticolo 43”, ma “è un condizionale superato dai fat-ti. Secondo i dati diffusi giovedì scorso dalla stessaAgcom, Telecom – da sola – detiene già il 44,7% delmercato delle comunicazioni elettroniche e Media-set già rappresenta il 13,3% del Sic. Un solo sogget-to, insomma, non può detenere il controllo delle dueaziende. Una delle due andrebbe ceduta a un terzosoggetto”. Non solo: “Se si appurasse che l’investi-mento di Vivendi non è meramente finanziario ma siconfigurasse anche in questa fase (ossia senza avereil controllo di Mediaset) come abuso di posizione do-minante, allora proprio in virtù dello stesso comma11, la conseguenza sarebbe ancora più radicale. Siarriverebbe a sollecitare la rinuncia a un pacchetto diazioni. Un orientamento del genere, però, non è an-cora definitivo e potrà essere formalizzato solo a con-clusione dell’indagine” (8).

Evidentemente, di fronte a una scelta netta, Bol-loré preferirebbe scaricare Telecom, con cui non haottenuto le sinergie sperate (soprattutto a causa delfallimento del progetto per la banda larga, naufraga-to per il tempo perso nella sostituzione del manage-ment e per l’ostilità del governo che ha preferitomettere in piedi l’operazione con Enel), e che sem-bra meno adatta di Mediaset per costruire il famoso“polo mediatico europeo”. Tanto più che esiste una

comoda soluzione a portata di manoche, forse, gli permetterebbe di ga-rantirsi comunque tutta la posta ingioco.

Non è un segreto infatti che Tele-com Italia fa gola a Orange S.A. (lanuova denominazione sociale di Fran-ce Télécom), la maggiore impresa ditelecomunicazioni in Francia, che con-ta 170.000 dipendenti e 230,7 milio-ni di clienti nel mondo, una capitaliz-zazione di Borsa di circa 39 miliardidi euro, e la cui quota di controllo(23,16%) è in mano pubblica. Dopole prossime elezioni presidenziali inFrancia (previste per il 23 aprile), ledue società di telecomunicazioni po-trebbero decidere di fondersi, comefortemente voluto dall’amministrato-re delegato di Orange, Stéphane Ri-chard. Vivendi cederebbe dunque lasua partecipazione in Telecom, ma ri-ceverebbe in cambio un pacchetto diazioni della controllante francese, e aquel punto potrebbe coinvolgere ilcolosso di Spagna, Telefonica, cui fasenz’altro gola un’alleanza con Me-diaset Espana: “Una bella piramide incima alla quale c’è Bolloré, saldamen-te al comando di Vivendi grazie all’al-leanza con lo Stato francese […]. Esotto un impero che spazia dalla tvalle tlc, dai videogame alla pubblici-tà. Andrà così? Non lo sappiamo, an-che se il gruppo Bolloré dispone del-la massa critica e del sostegno finan-ziario in Italia e in Francia per tenta-re l’impresa (9).

Esiste anche una seconda possi-bilità, tuttavia meno allettante: secon-

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_____________________________________________________________________________________________________________________8) C. Tito, L’assalto di Bolloré a Mediaset, Agcom pronta a un nuovo stop: «L’Opa Vivendi sarebbe nulla» , LaRepubblica, 17 gennaio 20179) U. Bertone, Ecco i veri progetti anti Murdoch di Bolloré (Vivendi) su Mediaset e Telecom , www.formiche.net,15 dicembre 2016

In Italia Bolloré è entrato attraverso il salottobuono di Mediobanca, poi è arrivato in

Generali, nella holding Premafin diLigresti e in Telecom dove conil 24,9% è oggi primo azionista

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do il Testo Unico della Radiotelevisione, “l’operazio-ne (il controllo contestuale di Mediaset e Telecom,n.d.a.) sarebbe possibile a condizione di rendere Me-diaset più snella, più piccola come perimetro indu-striale. E per questo i francesi sono pronti a gettarein mare Mediaset Premium (con i suoi 558,8 milionidi ricavi). A facilitare i francesi di Vivendi è il fattoche, da quest’anno, il nostro Garante dovrà include-re nel mercato editoriale classico (giornali, radio, tv)anche i colossi della Rete, come Facebook e Goo-gle”(10). Di conseguenza, in una definizione allarga-ta di mercato editoriale, il peso specifico di Mediaset(senza Premium) si abbasserebbe sotto la quota li-mite del 10% del Sic.

La minoranza di bloccoAnche se al momento la scalata di Vivendi a Media-set è congelata in attesa degli sviluppi legali, e nono-stante Fininvest ne possegga ancora la quota di con-trollo, la famiglia Berlusconi non è più in grado di ge-stire in libertà il Biscione: “In casa Mediaset le regoleprevedono che per il via libera ai punti all’ordine delgiorno delle assemblee straordinarie, dove si sotto-pongono al voto le decisioni più importanti, un nu-mero di azionisti pari a 1/3 dei presenti può bloccarequalsiasi decisione. E dato che le assemblee di Me-diaset non registrano quasi mai il 100% delle presen-ze è evidente che la quota detenuta da Vivendi, at-tualmente al 26,7% in termini di diritti di voto, puòbastare e addirittura avanzare per bloccare i deside-rata dell’azionista di riferimento di Mediaset, cioè Fi-ninvest. Prendendo come riferimento una partecipa-zione media a un’assemblea di Mediaset, compresatra il 60% e il 70%, a Vivendi basterebbe rispettiva-mente il 20% e il 23,3% per dire ‘no, signori, questopunto non passa’. Vivendi, tra l’altro, può richiederela convocazione di un’assemblea in modo molto age-vole visto che è necessario detenere almeno il 5%delle azioni. Nelle frecce dell’arco che Bolloré puòancora lanciare nei confronti di Fininvest ci potrebbe

essere anche la decisione di far inse-rire all’ordine del giorno di un’as-semblea l’estensione dell’attuale con-siglio d’amministrazione. Secondoquanto spiegano le stesse fonti, in-fatti, entrare nella stanza dei bottoniper i francesi significherebbe «dareun ulteriore segnale di forza». È al-trettanto vero, tuttavia, che per arri-vare alla nomina di propri consiglieria Vivendi servirebbe una quota mol-to alta di azionisti favorevoli in as-semblea. Fininvest è salita al 39,7%in sede di voto e ha rafforzato la pro-pria posizione. Certo è che se Bollorédovesse arrivare al 29,9% (come è av-venuto, n.d.a.) e allo stesso tempo riu-scire a raccogliere l’adesione di altriazionisti, la partita non sarebbe im-possibile come sembrava solo una set-timana fa” (11).

In difesa dell’italianitàBerlusconi, però, non sembra volersottomettersi senza lottare, e alla pre-sentazione del libro di Bruno Vespa, il

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Prima della rottura suMediaset Premium e dellascalata al Biscione, Bolloré

era considerato vicino aBerlusconi grazie ai legami

con l’imprenditore e produttorecinematografico tunisino

Tarak Ben Ammar

_____________________________________________________________________________________________________________________10) La mossa di Agcom per bloccare Vivendi «Se prende Mediaset deve lasciare Telecom» , La Repubblica, 16dicembre 201611) G. Colombo, Mediaset, Vincent Bolloré punta sulla minoranza di blocco per commissariare Silvio Berlusco-ni durante le assemblee, L’Huffington Post, 21 dicembre 2016

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21 dicembre scorso, si è espresso senza mezzi termi-ni contro Vivendi: “Ci hanno fatto un ricatto, un’e-storsione e quindi siamo in una battaglia di fronte aquesta scalata ostile e pensiamo di resistere. Nonmantenere la parola è qualcosa che non si può ac-cettare, noi crediamo che la magistratura debba da-re seguito alle nostre cause” (12). Il Cavaliere ‘spara’anche contro la norma che impedisce a Fininvest diacquistare azioni oltre il 5% all’anno e auspica di ar-rivare al 51% grazie “a quei comitati per la difesa del-l’italianità di Mediaset” che possono portare a rac-cogliere il voto “di circa il 20% delle azioni che sononelle mani di differenti azionisti” (13).

Sono stati diversi i commentatori e i politici chehanno invocato un intervento del governo per fer-mare la scalata di Vivendi in Mediaset in nome delladifesa dell’italianità. Tuttavia la mossa suggerita,cioè l’esercizio della Golden Power (14), non è prati-cabile: le nuove norme permettono sì allo Stato diintervenire anche su società di cui non sia azionista,“ma soltanto nel caso siano messi a rischio gli inte-ressi nazionali da operazioni di mercato che riguar-dano aziende operanti nei settori strategici della di-fesa e sicurezza nazionale o che possiedono asset dirilevanza strategica nei settori dell’energia, dei tra-sporti e delle comunicazioni (ma in questo caso gliasset strategici che giustificano un intervento delloStato sono solo le reti di trasmissione)”, e comunqueporre il veto all’adozione di delibere da parte degliorgani societari od opporsi all’acquisto di partecipa-zioni è escluso “nel caso il soggetto scalatore sia co-munitario, come la francese Vivendi” (15). E, secon-do le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo econo-mico Carlo Calenda in un’intervista a La Stampa, ilparere negativo espresso dal governo “sui metodi”dell’operazione finanziaria di Vivendi “non vuol dire

che intendiamo stravolgere le regoledel mercato o che ci sarà un inter-vento pubblico” (16). Inoltre, comeha pubblicato Mentana sul suo profi-lo Facebook, “c’è una grande manfri-na in corso attorno alla possibile sca-lata di Mediaset da parte dei france-si. È chiaro a tutti che non si può dire‘giù le mani’ dopo aver lasciate indi-fese Telecom, Tim, Omnitel, Wind, laBnl, Parmalat, Alitalia, le maggiori so-cietà di calcio (solo per fare qualcheesempio), aver fatto spazio in Medio-banca e Generali a chi bussava coisoldi in mano (sempre Bolloré, peral-tro) e dopo aver lasciato, nello stes-so settore dei media, che Sky avesseil monopolio della tv satellitare. Per-ché invece Mediaset va difesa? Altrigruppi, penso a Discovery, hanno po-tuto acquistare canali tv e aprirne al-tri. Qual è l’eccezione del Biscione? Larisposta disarmante, ma vera è: Ber-lusconi. Cioè la politica. Che quel grup-po faccia capo al patriarca del cen-tro-destra continua a far comodo alui e alla sua parte politica, com’è ov-vio, ma anche ai suoi avversari, co-me punto di forza ma anche di debo-lezza, su cui far leva quando neces-sario. È il vero motivo, del resto, percui fin da subito il centro sinistra haagitato il conflitto di interessi, salvodimenticarsi di regolarlo nei tanti an-

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__________________________________________________________________12) Mediaset, Berlusconi. Vivendi ci ha fatto un ricatto. Ag-com sulla scalata, www.agenpress.it13) Ibidem14) Cfr. http://www.dt.mef.gov.it/it/faq/faq_privatizzazioni.html#faq_0002.html15) M. Follis e A. Satta, Mediaset, Il governo sta con Berlusco-ni, Milano Finanza, 15 dicembre 201616) M. Zatterin, Calenda: «Il 2017 sarà decisivo per sconfigge-re i populismi», La Stampa, 28 dicembre 2016

Nonostante Fininvestne possegga ancora la

quota di controllocon Vivendi al 30% la

famiglia Berlusconi nonè più in grado di gestire

in libertà Mediaset

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ni in cui è stato al governo (e nell’ultimo governoProdi il ministro delle comunicazioni era un omoni-mo dell’attuale premier…)”.

ProvincialismiArnaud De Puyfontaine, Ceo di Vivendi, ha dichiara-to in una lettera aperta a La Repubblica il 13 gennaioscorso: “Siamo in Italia per realizzare un progetto am-bizioso, di lungo termine, costruito su ciò che l’Italiae la Francia hanno in comune: la vicinanza della lorotradizione latina. L’Italia, poi, ha molto da offrire, cul-tura, storia, esperienza, talento, professionalità, crea-tività, bellezza. In altre parole, voglio sottolineareche è proprio l’italianità al centro del nostro proget-to. In particolare, pensiamo che essa sia una risorsaformidabile per generare crescita sia in Italia, sia inFrancia. Ecco perché vogliamo dare più importanza evalore all’italianità delle aziende di cui siamo azioni-sti, consolidando le loro radici. Un modo per farlo èquello di dare un contesto europeo alla loro azione.Raggiungere una dimensione europea è un’opportu-nità unica per cogliere al meglio le sfide che offre unmondo ormai globalizzato”. E ancora: “Rafforzandosiin sud Europa, Vivendi sta scommettendo sulla cul-tura europea per far fronte alla concorrenza semprepiù agguerrita dei colossi anglosassoni, americani ecinesi. È per questo che siamo interessati a un’al -leanza con Mediaset, un’azienda con una forte noto-rietà, ricca di professionalità e di potenziali sinergie

con Vivendi. Basti pensare quali ri-sultati si potrebbero raggiungere seFrancia e Italia collaborassero nel cam-po del cinema e delle serie televisi-ve” (17).

La strategia di Vivendi è dunqueperfettamente chiara. Piuttosto la do-manda che sorge spontanea è: cosavorrebbe invece fare Mediaset, da so-la, nei prossimi anni?

Fra le dieci big media europee intermini di capitalizzazione Vivendi èal primo posto con 24 miliardi di eu-ro, Sky seconda con 20 miliardi, men-tre Mediaset è il fanalino di coda consoli 4 miliardi (18). Quali sono le sueprospettive future?

E le stesse considerazioni valgo-no per quasi tutte le grandi aziendeitaliane, o presunte tali, nei confrontidelle omologhe francesi: per esem-pio Orange vale più di 39 miliardi dieuro, Telecom Italia circa 16,5; Axa (cuiinteressa molto un’eventuale fusionecon Generali) capitalizza 56,5 miliar-di, il Leone sole 24 miliardi (19), estiamo citando solamente le societàin cui Bolloré ha specifici interessi.“La media company che nascerebbedall’aver messo insieme Vivendi e Me-diaset – dal punto di vista dei conte-nuti – e Orange e Telecom Italia – dalpunto di vista invece dell’infrastrut-tura – ambirebbe a fronteggiare nonsolo l’avanzata europea dell’america-na Netflix, ma a fare concorrenza,sempre nel Vecchio Continente, an-che allo strapotere di quella Sky diRupert Murdoch che qualcuno, in unprimo momento, ha tirato in ballo co-

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La strategia di Vivendi è rafforzarsiin sud Europa per far fronte alla

concorrenza dei colossi anglosassoni,americani e cinesi, non si capisce

cosa vorrebbe invece fare Mediasetda sola nei prossimi anni

_____________________________________________________________________________________________________________________17) De Puyfontaine (Vivendi): «Non siamo invasori. Con Mediaset intesa per un polo europeo», La Repubblica,13 gennaio 201718) Dati da Il Sole 24 ore, 15 dicembre 201619) Prezzi di borsa del 25 gennaio 2017

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me potenziale alleato (interessato) della famigliaBerlusconi per stoppare sul nascere le velleità di MrVivendi. Oltre alle leve dell’entertainment, la mediacompany avrebbe in mano anche il prezioso pallinodei contenuti in grado di influenzare le dinamichepolitiche non solo italiane e francesi, ma anche eu-ropee” (20).

La tanto conclamata difesa dell’italianità potreb-be in realtà rappresentare un ottuso provincialismo,che non crea valore a lungo termine e tanto menoposti di lavoro.

Come scrive Ettore Livini su Repubblica il 16 gen-naio: “La Fininvest di Silvio Berlusconi è arrivata,complice Vincent Bolloré, alla madre di tutte le bat-taglie: quella in cui dovrà decidere quale sarà il suofuturo. […] Ora la famiglia di Arcore ha davanti trestrade: la prima, impervia, è mettere l’elmetto escendere in trincea difendendo, costi quel che co-sti, il cuore televisivo dell’impero di casa. La seconda– la soluzione che la Borsa dà per più probabile – èvenire a patti con Bolloré. Sapendo che in ogni caso,vista la sproporzione di forze finanziarie in campo,sarà necessario fargli importanti concessioni. La ter-za – quella che forse qualcuno dei cinque figli di Sil-vio preferisce, oggi come nel ‘99 – è quella dellasvolta radicale: girare le tv a Vivendi, incassare i soldi(o una quota nel gruppo francese) e cambiare facciaalla Fininvest. Trasformandola da holding industrialein cui i soci – come tradizione dell’imprenditoria di

casa nostra – si occupano pure dellagestione del business in un ‘conteni-tore’ di investimenti affidati a terzi.Dove l’unico dovere degli azionisti èpassare al bancomat una volta l’an-no e incassare dividendi. La strada,va detto, imboccata negli ultimi annida gran parte delle dinastie del Vec-chio Continente (Agnelli in primis)per far fronte alla massa critica ri-chiesta dalla globalizzazione” (21).

E infatti Piersilvio Berlusconi, am-ministratore delegato del Biscione, inun meeting tenutosi a Londra duegiorni più tardi per spiegare agli ana-listi il piano 2017-2020 di Mediaset,ha dichiarato che la famiglia Berlu-sconi è aperta “a qualsiasi propostache crei valore e abbia senso indu-striale” (22).

In fondo, come chiosa argutamen-te Livini su Repubblica, se Silvio è di-sposto a rinunciare al Milan tutto puòessere possibile: “L’addio a Cologno,su cui evidentemente Piersilvio avreb-be qualcosa da ridire, trasformereb-be il Biscione. Mondadori, guidatada Marina, rimarrebbe l’unica parte-cipazione industriale. E i soldi in cas-sa potrebbero consentire di risolvereuna volta per tutte il dilemma dellagestione (lunga vita a lui) di un even-tuale dopo-Silvio. Il piatto, senza ros-soneri e tv, sarebbe più che appeti-toso. Tra riserve non distribuiti e plu-svalenze, Fininvest – al netto dellepartecipazioni che rimarrebbero inpancia – avrebbe un tesoretto da 4miliardi nel portafoglio, quanto basta

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La famiglia di Arcore ha davantitre strade: mettere l’elmetto e scendere

in trincea, venire a patti con Bolloré,o girare le tv a Vivendi incassare i soldi

e cambiare faccia alla Fininvest

_____________________________________________________________________________________________________________________20) A. Deugeni, Bollorè attacca il Salotto da UniCredit. I piani della finanza francese. Rumors ,www.affaritaliani.it, 23 dicembre 201621) E. Livini, Mediaset-Vivendi, l’ultima battaglia di Silvio tra voci di intesa e resistenza a oltranza , La Repub-blica, 16 gennaio 201722) M. Silvia Sacchi, «Da Vivendi nessuna nuova proposta ma pronti a valutarla se crea valore» , Il Corrieredella Sera, 18 gennaio 2017

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per far felice diverse generazioni di figli su entrambi irami di casa con un maxi-dividendo straordinario.Lasciando poi il resto del patrimonio a maturare ce-dole annuali per l’argent de poche. In fondo soloMediolanum – brillantemente gestita dai veri amicidella famiglia Doris – garantisce qualche decina dimilioni di cedole ogni dodici mesi. E le utopie, da-vanti ai freddi conti delle convenienze, possono sem-pre diventare realtà”.

Staremo a vedere.

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INCHIESTA

“Questo è morto di cancro, questo è morto di leuce-mia e anche quello. Gran parte delle persone in que-sto lato del cimitero sono morte di tumore, e il cimi-tero ha dovuto essere ingrandito” racconta Vido Ban-duca, personaggio politico di spicco che fin dall’ini-zio ha portato avanti le indagini sui decessi per tumo-re, indicando le lapidi del cimitero di Bratunac che ri-coprono la collina. Sullo sfondo gli scheletri delle ca-se abbandonate dai musulmani, mentre il cielo scuroe le nuvole pesanti rendono ancora più opprimentequesto paese situato a est della Bosnia al confine conla Serbia.

Qui, dopo la guerra e il Trattato di Dayton del 14dicembre 1995, hanno trovato rifugio molti serbi bo-sniaci in fuga dai territori occupati da musulmani, eviceversa, molti musulmani si sono spostati in zone amaggioranza bosniaca musulmana. Bratunac, però, hauna particolarità: molte delle persone che vi si sonotrasferite sono morte di tumore.

Hadzici, località natale di una par-te degli abitanti di Bratunac, è un pae-se a pochi chilometri a ovest di Sara-jevo. Lì, durante la guerra era stan-ziato uno dei più grandi centri di ri-parazione di armi e mezzi blindatidell’esercito iugoslavo. Nel corso del-l’operazione Nato Deliberate Force,messa in atto dal 28 agosto 1995 al20 settembre dello stesso anno a se-guito della strage del mercato di Sa-rajevo (Markale 2, 28 agosto ’95), gliaerei militari presero di mira la fab-brica e la colpirono con proiettili con-tenenti uranio impoverito (UI). Dopoil bombardamento i lavoratori torna-rono per sistemare lo stabile e alcunidi loro, trascorsi pochi mesi, comin-ciarono a morire di tumore. L’area èattualmente interdetta ai giornalisti.

All’inizio del 2001, che come ve-dremo è l’anno in cui la Nato ha con-fermato l’utilizzo di uranio impoveri-to nella guerra dei Balcani, un artico-lo della ABC News intitolato “Hun-dreds died of cancer after DU bom-bing” riporta la dichiarazione di undottore del Dipartimento di Medicinaforense dell’esercito jugoslavo, ZoranStankovic: “Quattrocento persone so-no morte a causa di svariate tipologiedi tumore negli ultimi cinque anni.Erano parte della comunità di Hadzi-ci formata da 4.000 serbi che si è spo-stata a Bratunac”.

Un caso analogo è stato riscontra-to anche a Kalinovic, paese fra le mon-

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una storia di POLVERE

Mauro Prandelli

BALCANIURANIO IMPOVERITO:

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tagne nel sud della Bosnia, dove nel 1995 furono col-pite le caserme, destinate ai rifornimenti dell’esercitojugoslavo, e la cisterna dell’acqua. I tecnici che perprimi accorsero per riparare la cisterna completamen-te sventrata morirono dopo pochi mesi di leucemia.Le caserme di Kalinovic, abbandonate dall’esercito,vengono tuttora utilizzate come stalle per le greggi dipecore, e gli animali spesso si ammalano e muoionodurante i primi giorni di vita.

Jelina Durkovic, relatore della prima Commissio-ne di Sarajevo sull’uranio impoverito, riporta che nel2005 alcuni studiosi avevano trovato tracce di conta-minazione radioattiva nei corsi d’acqua di Hadzici,ma nessuno ha fatto niente per arginare il problema.Afferma, riferendosi alla Nato: “Hanno aspettato seianni per dirci che tipo di armi avevano usato, nel frat-tempo il terreno si è cambiato, l’acqua ha trasportatole particelle di uranio e chissà dove sono finite. Alcu-ni studi condotti dai militari greci, che acquistanol’acqua dalla Bosnia, hanno rilevato strane contami-nazioni anche nell’acqua imbottigliata”. Purtroppo ilreport della Commissione di Sarajevo è stato scredi-tato da molti politici bosniaci ed è finito chiuso in uncassetto.

L’uranio impoveritoL’uranio impoverito è lo scarto del processo di pro-duzione dell’uranio arricchito utilizzato comunemen-te nelle centrali nucleari. L’uranio naturale è compo-sto per il 99,27% da uranio impoverito e dallo 0,72%di uranio arricchito. Da dieci chili di uranio naturalesi ottengono così 72 grammi di uranio arricchito e 9chili, esattamente 9.927 grammi, di uranio impoveri-to. Parte di questo materiale viene usato per scopi ci-vili, come le barriere che dividono i laboratori dei cen-tri radiologici e i contrappesi per gli aerei, ma il re-stante deve essere trattato come rifiuto pericoloso.

Negli anni Sessanta, in piena guer-ra fredda, nei laboratori dell’esercitoamericano si studia un proiettile ingrado di fermare una possibile avan-zata dei tank russi. Dapprima si testail tungsteno, materiale molto resisten-te ma con il difetto di essere costosoe reperibile principalmente nelle mi-niere cinesi. Si testa quindi l’uranioimpoverito, che offre caratteristiche su-periori anche al tungsteno.

Da un punto di vista bellico si ri-vela il materiale perfetto. Ha un’altacapacità di penetrazione, è pirofori-co, cioè ha la capacità di incendiarsi,ed è reperibile in gran quantità sul ter-ritorio americano e canadese.

In pratica viene utilizzato uno scar-to tossico per creare proiettili.

Il funzionamento è molto sempli-ce: una volta che il proiettile impattacon il bersaglio buca la corazza, e do-po averla attraversata sprigiona un ca-lore pari a 3.000°C che brucia tuttoquello che c’è nelle vicinanze. Esplo-dendo il proiettile crea un aerosol for-mato da nanoparticelle che si deposi-tano sul terreno circostante.

Nel 1978 vengono testati pressola base U.S. Air Force di Eglin i pro-iettili all’uranio impoverito, utilizzan-do un cannone automatico GatlingGAU-8 che sarà poi montato sugli ae-rei anticarro A-10 utilizzati anche neiBalcani. Il test, riportato nel docu-mento “Morfological Characteristicsof Particular Material Formed from

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INCHIESTA

High Velocity Impact with Depleted Uranium Projec-tiles with Armor Targets” (1), evidenzia la formazio-ne di nanoparticelle originate dalle alte temperaturedi combustione del diametro tra 0,1 e 0,01 μm, e av-visa: “Sono necessarie ulteriori ricerche per capire me-glio la natura fisiologica e chimica dei frammenti ge-nerati da proiettili a uranio impoverito nelle armi mi-litari. Particolare attenzione deve essere focalizzatasulla potenziale diffusione nell’ambiente e l’inseri -mento nel sistema biologico, specialmente dell’uo-mo”. E continua: “Specifiche conoscenze sono neces-sarie per poter determinare i potenziali rischi per lasalute associati all’inalazione e il deposito nei polmo-ni di aerosol generato da uranio impoverito. Le parti-celle nella gamma tra 0,1 e 0,5 μm destano molta pre-occupazione a causa della capacità di depositarsi neipolmoni”.

Dopo questo esperimento si susseguono diversi stu-di mirati alla bonifica delle aree in cui i proiettili UIsono stati usati. Già nel 1980, un documento intitola-to “Recycling/Disposal Alternatives for Depleted Ura-nium Wastes” (2) analizza come debbano essere smal-titi gli arsenali inutilizzati e la sabbia contaminata neipoligoni della base di Eglin, e prevede che “da 20 a25 milioni di proiettili (ognuno contiene circa 0,299g[3] di uranio impoverito quindi 7.500 tonnellate in to-tale, n.d.a.) verranno prodotti negli anni Ottanta. Unapiccola parte verrà utilizzata nei test dei poligoni del-le basi militari. La maggior parte verrà usata come ri-serva militare”. “Il problema dello smaltimento di UI– sottolinea la relazione – aumenterà negli anni futu-ri. I tre stati (South Carolina, Nevada e Washington)che hanno a disposizione siti commerciali per lo smal-timento continuano a restringere la quantità e le tipo-logie di rifiuti accettate”. Il documento mette a con-

fronto le diverse soluzioni, dalla crea-zione di bunker sottomarini per lo stoc-caggio al riutilizzo del materiale inprocessi alternativi; e guardando alfuturo ipotizza un utilizzo tra i centoe i centocinquanta mila proiettili diGAU-8 impiegati annualmente nei po-ligoni per essere testati, pari a unaquantità tra le 30 e le 45 tonnellate diuranio impoverito.

I test militati proseguono, e un do-cumento del 1987, “Selective dissolu-tion and recovery of Depleted Ura-nium from armor plate” (4), indaga suun sistema per decontaminare le pia-stre blindate utilizzate nei poligoni ditiro e così facilitare lo smaltimento.

Nel 1988 un altro report, “Filtra-tion System for Removal of DepletedUranium From Water” (5), si occupadi trovare una soluzione per la rimo-zione di uranio impoverito dall’acqua.

Leggendo tutti questi documenti,liberamente consultabili sui siti gover-nativi americani, è evidente quanto lapreoccupazione per un possibile in-quinamento ambientale fosse ben pre-sente all’interno dell’esercito statuni-tense, e vi fossero anche dubbi (re-port del 1978) sui rischi per la saluteumana. Ciò nonostante nel 1991 i pro-iettili UI vengono usati in dose mas-siccia nella Guerra del Golfo, e subi-to dopo l’operazione Desert Storm imilitari rientrati in patria cominciano

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______________________________________________________________________________________________________________________1) Air Force Armament Laboratory, AFATL-TR-78-117, novembre 19782) AFATL-TR-81-4 del periodo giugno/settembre 19803) Cfr. FAS, Military Analisys Network, https://fas.org/man/dod-101/sys/land/pgu-14.htm4) Air Force Armament Laboratory, SBIR A86-177, 5 maggio 19875) Air Force Armament Laboratory, AFATL-TR-87-66, febbraio 1988

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Balcani. Uranio impoverito: una storia di polvere

ad ammalarsi. Stanchezza cronica, cefalea, problemidi memoria, nausea e dissenteria, problemi respiratorie poi leucemie, linfomi e carcinomi sono solo alcunidei sintomi presentati dai veterani della guerra in Iraqche si inquadrano in quella che viene chiamata GulfWar Syndrome, Sindrome del Golfo.

In un primo momento il governo americano negala correlazione tra le patologie e l’utilizzo di armi UI,ma le linee guida per il trattamento di questi proiettilisi fanno più scrupolose. Un articolo del 2010 della Na-tional Academies of Science (6) stima che dei 700.000militari americani impegnati nella Guerra in Iraq, al-meno 250.000 soffrirebbero di sintomi riconducibilialla Sindrome del Golfo.

Nel frattempo gli studi continuano, e quello dellaU.S. Army Environmental Policy Institute (AEPI) delgiugno 1995, “Health and environmental consequen-ces of depleted uranium use in U.S. Army: TechnicalReport” (7), condotto su richiesta del Consiglio delGoverno americano, produce interessanti considera-zioni. Portato avanti, come altri in precedenza, in al-cuni poligoni dove sono stati testati i proiettili UI, trat-ta sia l’effetto sui militari che sull’ambiente.

Per quanto riguarda le possibili patologie, lo stu-dio riporta, dopo aver sottolineato: “Non ci sono datisufficienti per definire la pericolosità dell’uranio im-poverito”, che “come l’uranio naturale, anche l’uranioimpoverito possiede rischi tossici e radioattivi. Tossi-cologicamente, l’uranio impoverito è pericoloso quan-do entra nel corpo umano. Radiologicamente il rischioper la salute è rappresentato da un’esposizione ester-na e interna, anche se i rischi connessi all’esposizioneesterna sono molto bassi. L’intensità dei rischi tossici

e radiologici sono proporzionati allaquantità, la forma chimica e la via concui l’uranio impoverito entra nel cor-po umano. L’uranio impoverito puòentrare nel corpo umano attraverso l’i-nalazione, l’ingestione e le ferite. Siale situazioni di combattimento che dinon-combattimento possono portare arischi per la salute [...] Non è possi-bile identificare se una specifica tipo-logia di cancro o di problemi eredita-ri siano causati naturalmente o dal-l’esposizione alle radiazioni”.

Relativamente all’ambiente e la suabonifica, il rapporto sottolinea comedebba essere operata, cioè attraverso“escavazioni e movimento del terreno,separazione fisica, separazione chimi-ca e stabilizzazione in loco”, proce-dure, come vedremo, di difficile at-tuazione soprattutto sui campi di bat-taglia.

Viene inoltre prestata attenzione acome le particelle generate dai pro-iettili possono essere veicolate: “L’ac-qua è il meccanismo principale per iltrasporto di tutti i metalli, compresol’uranio impoverito che si può veico-lare sia attraverso corsi d’acqua su-perficiali che falde sotterranee”; vie-ne inoltre fatto notare che “la risospen-sione delle particelle può essere peri-colosa poiché le polveri contaminateda uranio impoverito potrebbero es-sere ingerite o inalate”.

In merito all’inquinamento am-bientale, vi si legge: “Utilizzare UI sulcampo di battaglia può creare poten-ziali conseguenze sull’ambiente. Laquestione è come proteggerlo riducen-do così i rischi per i soldati e le po-polazioni locali. Si stanno facendo

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___________________________________________________________________6) The National Academies of Science, Engineering, and Me-dicine, Gulf War Service Linked to Post-Traumatic Stress Di-sorder, Multisymptom Illness, Other Health Problems, ButCauses Are Unclear, 9 aprile 2010, http://www8.nationalaca-demies.org/onpinews/newsitem.aspx?RecordID=128357)https://www.researchgate.net/profile/Francisco_Tomei_Tor-res/publication/263890814_Health_and_Environmental_Con-sequences_of_Depleted_Uranium_Use_in_the_US_Army/links/54bf9f4a0cf2acf661ce1caf.pd

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sforzi per comprendere il destino e gli effetti dell’ura-nio impoverito sull’ambiente. Anche una decisione u-nilaterale degli Stati Uniti per bandire le armi conte-nenti UI non eliminerà quest’arma dai campi di batta-glia: Gran Bretagna, Russia, Turchia, Arabia Saudita,Pakistan, Thailandia, Israele, Francia e altri Stati, han-no sviluppato o stanno sviluppando armi contenentiuranio impoverito, e le munizioni sono anche disponi-bili sul mercato mondiale”.

AEPI sottolinea infine come sia da prendere in con-siderazione non solo il costo di produzione degli ar-mamenti ma quello relativo all’intero ciclo vitale, fi-no allo smaltimento e alla bonifica dei territori.

Come riportato in molti studi, la pericolosità ra-diologica è inferiore a quella dell’uranio arricchito, ei limiti annuali di esposizione alle radiazioni sono ri-spettati; il problema si presenta quando le particelle diUI o l’aerosol generato dall’esplosione dei proiettilientra a contatto con gli organi interni. Una serie di sli-de, “A Review of Depleted Uranium Biological Ef-fects: In vitro studies” (8) pubblicate a novembre 2010da Alexandra C. Miller, PhD Uniformed ServicesUniversity, Armed Forces Radiobiology Research In-stitute, illustra come le cellule umane vengono influen-zate dalle radiazioni emesse dalle nanoparticelle inge-rite. Lo studio in vitro, quindi in ambiente controllatoe isolato, ha dimostrato che le particelle UI, a contat-to con le cellule, “inducono trasformazioni neoplasti-che (creazione di carcinomi), mutagenicità e genotos-sicità in vitro. L’UI è coinvolto in instabilità genomi-ca uranio-indotta (alterazione del genoma). Le parti-celle Alpha sono sufficienti a trasformare le cellule.Gli effetti delle radiazioni sono coinvolti nelle trasfor-mazioni neoplastiche e instabilità genomica uranio-in-dotta”. Anche in vitro quindi, viene confermata la pe-ricolosità dell’uranio impoverito.

Nonostante tutti questi numerosi studi, facilmentereperibili in rete su portali specializzati o negli archi-

vi statunitensi, anche le Nazioni Uni-te hanno recentemente affermato l’in-sufficienza di prove per poter stabili-re che l’uranio impoverito è dannosoper la salute. Nella risoluzione A/RES/71/70 (9) redatta il 14 dicembre 2016si legge: “Considerato che gli studicondotti finora da istituti di rilevanzainternazionale non hanno fornito unasufficiente e dettagliata misura del pe-ricolo a lungo termine per la salute u-mana e l’ambiente connesso all’uso diarmamenti e munizioni contenenti ura-nio impoverito”, è necessario appro-fondire lo studio dei rischi connessi, e“prendendo in considerazione i po-tenziali effetti nocivi dell’uso di ar-mamenti e munizioni contenenti ura-nio impoverito sulla salute umana esull’ambiente, e le preoccupazioni de-gli Stati interessati e delle comunità,gli esperti in tema di salute e la so-cietà civile su tali effetti [...] [si] invi-ta il Segretario Generale a richiederealle organizzazioni internazionali l’ag-giornamento e il completamento deglistudi e delle ricerche inerenti gli ef-fetti sulla salute umana e sull’ambien-te connessi all’utilizzo di armamenticontenenti uranio impoverito”. E in-fine: “Si invitano gli Stati che hannofatto uso di armamenti UI a fornireinformazioni agli Stati colpiti [...] quan-to più accurate possibili, indicandoluogo e quantità degli armamenti uti-lizzati”. La risoluzione è stata appro-vata dalla maggioranza dei Paesi mem-bri, con l’astensione di alcuni Stati eu-

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______________________________________________________________________________________________________________________8) http://www.dtic.mil/get-tr-doc/pdf?AD=ADA5398099) http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/71/70

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ropei e il voto contrario di Stati Uniti, Inghilterra,Francia e Israele (10).

La posizione delle Nazioni Unite purtroppo nonstupisce: nelle risoluzioni inerenti l’utilizzo di armi chepossono avere un effetto a lungo termine sulla salutee sull’ambiente, non viene infatti preso in considera-zione l’uranio impoverito.

Bonifica e screeningNel 1995, nei Balcani, la Nato impiegò armamenti UIin sedici località bosniache e qualche anno dopo, nel1999, durante la guerra in Kosovo, furono presi dimira sei siti nel sud della Serbia, 89 in Kosovo, unoin Montenegro. Solo nel 2001 ammise di aver usatoquesto tipo di arma, dopo che i militari, tra cui quelliitaliani, al rientro dalle missioni cominciarono a mo-rire di tumore. Un video del 1995 dell’esercito ameri-cano, reperibile in rete (11), illustra come approcciar-si a un campo di battaglia contaminato con uranioimpoverito; il video fu però tenuto riservato, lascian-do che i soldati alleati gestissero la situazione senzale adeguate protezioni e gli abitanti dei siti colpiti con-tinuassero a vivere come se niente fosse accaduto.

Nello stesso anno, il Programma delle Nazioni U-nite per l’ambiente (UNEP) predispone screening e bo-nifica nelle aree contaminate da UI. Parte della boni-fica era già stata effettuata dall’esercito jugoslavo. Ireport UNEP, disponibili online, prendono in consi-derazione il livello radioattivo dei detriti rinvenuti sulcampo, ma non considerano il pericolo tossicologico.Visitando alcuni siti colpiti, ci si rende conto che nonè possibile portare a termine una bonifica accurata. Lastessa UNEP nelle sue relazioni azzarda scenari ipo-tetici sul numero di proiettili sparati e sulla loro di-spersione nell’ambiente: se un proiettile non colpisce

il bersaglio, infatti, può penetrare nelterreno per più di 80 cm, divenendodifficilmente recuperabile, oppure puòimpattare sulle rocce, polverizzandosi.

Un altro aspetto che l’UNEP pren-de in considerazione è la rapida ossi-dazione in natura: questo procedimen-to porta alla dissoluzione del proietti-le molto più velocemente rispetto adaltri materiali, e l’ossido di uranio sidisperderebbe così nel terreno, poten-do intaccare le falde acquifere.

La bonifica inoltre è particolar-mente difficoltosa perché il terreno bo-sniaco è rigoglioso e coperto in parteda boschi. Così ad Han Piezac, dovefu presa di mira una delle più grandicaserme dell’esercito jugoslavo; l’e-dificio è situato a bordo della bosca-glia, ed è ormai abbandonato, mentrequest’ultima è disseminata di clusterbomb e mine, e un cartello rosso neproibisce l’accesso. C’è dunque dachiedersi come sia possibile adden-trarsi in questi territori per recuperarei proiettili, e attuare un programma dibonifica come suggerisce l’AEPI nelreport del 1995.

L’UNEP conclude le sue analisiconsigliando di recintare alcune dellearee prese in esame, e segnalare il pe-ricolo di una possibile contaminazio-ne. Precauzioni che non verranno maiattuate.

Secondo le direttive, i proiettiliinesplosi rinvenuti dall’UNEP dovreb-bero essere depositati presso il Cen-tro di stoccaggio di Vinca, nei pressidi Belgrado (Serbia). Stando però alleanalisi fin qui fatte, è logico doman-darsi come sia possibile che migliaiadi chilometri quadrati di terreno con-

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___________________________________________________________________10) Cfr. International Coalition to Ban Uranium Weapons, UNGeneral Assembly recognises ongoing concerns over health ri-sks from depleted uranium, 5 dicembre 2016, http://www.ban-depleteduranium.org/en/un-general-assembly-recognises-du-health-concerns11) https://www.youtube.com/watch?v=YYwZyjR6dDY

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taminato possano essere immagazzinati in un hangarnei pressi della capitale serba. Secondo alcuni testi-moni incontrati non sempre è stato attuato un pianodi bonifica, e quando è stato fatto ci si è limitati a pre-levare la superficie del terreno, caricarla su rimorchinon sigillati e depositarla nei fiumi o in altre zone lon-tane dai paesi abitati. Occorre però sottolineare chequeste testimonianze non sono state confermate daicomandanti dell’esercito jugoslavo contattati, i qualisi occuparono della bonifica a inizio degli anni 2000.

In merito ai danni per la salute umana, la dotto-ressa Antonietta Gatti, fisico e bioingegnere che da an-ni si occupa di studiare gli effetti delle nanoparticelle,collaborando anche con la Commissione Uranio im-poverito, sottolinea che cercare solo la contaminazio-ne radiologica è superfluo. Le nanoparticelle che hariscontrato durante alcune autopsie fatte su militari de-ceduti per cancro hanno dimostrato che spesso non èpossibile rinvenire tracce di uranio impoverito; la mag-gior parte delle nanoparticelle sono composte da le-ghe sconosciute formatesi durante la combustione almomento dell’esplosione del proiettile. Le particellesono molto simili per dimensione, formazione e for-ma a quelle riscontrate nei test presso la base di Eglinnel 1978. La dottoressa specifica che è potenzialmen-te sufficiente una sola particella respirata o ingerita chenon viene espulsa dall’organismo per dare inizio a unapatologia.

Uno studio durato vent’anni e pubblicato nel giu-gno 2016 dalla European Hematology Association(EHA) (12) conclude che “i parametri clinici mostra-no un’incidenza maggiore di leucemia mieloide acutapresso i siti contaminati con uranio impoverito. Sononecessarie ulteriori indagini per chiarire le possibilicause di forte aumento di neoplasie mieloidi in zonaHadzici”.

Il primo ottobre 2016 un nuovo progetto di scree-ning è stato avviato dalla dottoressa Lamija Tanovic,

docente presso l’Università di Scien-ze e Tecnologie di Sarajevo. Lo stu-dio, supportato da un team di biologi,chimici e fisici, mira ad approfondirela situazione dell’inquinamento nelterritorio di Hadzici. “Questa ricercaè preparatoria per poter accedere aifondi europei del programma Hori-zon 2020. Il nostro obiettivo è capirese lo stato di salute della popolazioneè messo a rischio dalla radioattivitàdei proiettili all’uranio impoverito o,come sostiene la dottoressa Gatti, dal-la formazione di nanoparticelle duran-te l’esplosione del proiettile”, affer-ma la dottoressa Tanovic. E prosegue:“Vogliamo analizzare l’influenza su-gli animali che abitano quelle zone esulle mutazioni genetiche vegetali chepotremmo trovare. Inoltre vogliamocondurre degli studi sugli abitanti diHadzici e su chi ha vissuto in quellezone durante la guerra, poiché le par-ticelle che possono venire inalate sifermano nel corpo per anni, e possia-mo analizzarle nei reni, nel fegato, nel-la vescica e nei polmoni”. Studio chepotrebbe essere utile anche per farmaggior chiarezza sulla situazione delpoligono militare di Quirra, in Sarde-gna, dove si verificano incidenze dipatologie simili a quelle riscontrate neiBalcani.

Nonostante la mole di studi e a-nalisi a oggi prodotti, non è tuttaviaancora possibile collegare scientifica-mente l’utilizzo di UI con i decessidei militari e dei civili che abitavanonei pressi dei siti colpiti, e il silenziodelle istituzioni non facilita la ricer-ca. Molte persone contattate si sonorifiutate di parlare per paura di ritor-

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___________________________________________________________________12)http://learningcenter.ehaweb.org/eha/2016/21st/132490/amina.kozaric.clinical.characteristics.of.acute.myeloid.leukemia.-patients.from.html?f=m2s430367

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sioni; il governo bosniaco ha inibito l’accesso alla zo-na di Hadzici ai giornalisti, e la Serbia protegge i re-port sui decessi di tumori spostando i referti dagliospedali civili agli archivi militari. La situazione po-litica che si sta venendo a creare mira a proteggerel’immagine della Nato, dato che è prevista per i pros-simi anni l’entrata di Bosnia e Serbia nell’AlleanzaAtlantica e nell’Unione europea.

Le certezze sono che ci troviamo davanti a un di-sastro ambientale incalcolabile, e che le armi all’ura-nio impoverito continuano a essere utilizzate indiscri-minatamente. L’ultimo caso documentato è la guerrain Siria dove il Pentagono (13), tra conferme e smen-tite, afferma di aver usato proiettili UI durante gli at-tacchi di novembre 2016.

Domandarsi perché questo tipo di armamento nonsia stato messo al bando o non sia considerato un’ar-ma di distruzione di massa – visto le patologie che siriscontrano per anni sulle popolazioni vicine ai siti dibattaglia – rischia purtroppo di rivelarsi un peccato diingenuità (l’unico tribunale ad aver condannato Geor-ge W. Bush per crimini contro l’umanità in relazioneall’invasione dell’Afghanistan e all’utilizzo di proiet-tili UI è quello di Tokyo, che essendo un tribunalepopolare non ha alcun valore giuridico). L’uso di ura-nio impoverito per scopi bellici risponde alla pura lo-gica capitalistica, ottenere il risultato prefissato al co-sto minore; in questo caso utilizzando materiale discarto tossico, senza curarsi delle conseguenze sugliesseri umani e sull’ambiente. Con il beneplacito deigoverni dei Paesi, senza distinzione tra quelli chebombardano e quelli che vengono bombardati.

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___________________________________________________________________13)Cfr. International Coalition to Ban Uranium Weapons, Uni-ted States confirms that it has fired depleted uranium in Syria,21 October 2016, http://www.bandepleteduranium.org/en/uni-ted-states-confirms-fired-du-syria

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(DIS)ORIENTAMENTI

L’analisi della politica estera dei partiti politici e dei rapporti che questiintrattengono con movimenti ‘fratelli’ o con certi Stati è da sempre unasorta di cartina al tornasole che permette di capire con chi si ha a chefare. Il Carroccio però, pescando da un elettorato ‘bianco’ ed essendo ra-dicato in quella parte della penisola italiana dov’era forte la Dc e il Pen-tapartito, formazioni moderate, sin dagli albori ha avuto altalenanti cam-biamenti sia in politica interna che in quella estera, con fasi di radicaliz-zazione e di moderazione. Oggi si lega a realtà come il Front national, ilVlaams Belang, il Fpö ecc., i quali, in nome di una profonda critica ai ver-tici dell’eurocrazia di Bruxelles, allineata da sempre agli Stati Uniti, guar-derebbero alla Russia di Vladimir Putin. Questo non significa che dentrotali partiti tutti siano allineati su questa posizione, che non coinvolge soloi rapporti con il Cremlino ma anche i giudizi sul Medioriente, come suIsraele. Il tutto, però, va analizzato alla luce dei rapporti di forza interni alCarroccio e allo scontro fra una vecchia Lega a trazione localista, interes-sata a mantenere il partito su posizioni moderate e sempre vicina al cen-trodestra, e una nuova Lega Nord di stampo sovranista e filolepenista.

Gianluca Savoini: un putiniano antimondialista alla corte di SalviniTutti i quotidiani hanno sottolineato con una certa apprensione l’interessedi Matteo Salvini per la Russia di Vladimir Putin il quale, in questa nuo-va fase di scontro geopolitico con gli Stati Uniti, è arrivato a finanziare ea supportare numerosi partiti euroscettici, diversi dei quali di destra. Il Sun-day Telegraph, nel gennaio del 2016 ha pubblicato un’inchiesta che rive-lerebbe – ma le accuse sarebbero da provare – che il Cremlino starebbesistematicamente “infiltrando i partiti politici” in Europa. Il quotidiano

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Fra Washington e Moscapassando per Tel AvivLa politica estera della Lega NordMatteo Luca Andriola

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britannico svela che James Clapper, direttore della National Intelligence,ha disposto “una vasta verifica” sui flussi di denaro spediti da Mosca alleprincipali capitali europee negli ultimi dieci anni, accennando a finanzia-menti occulti al partito di estrema destra ungherese Jobbik, ai nazisti diAlba Dorata in Grecia e alla Lega Nord in Italia (che però avrebbe smen-tito tutto), oltre, naturalmente, al Front national della Le Pen, coinvolta nelprocesso sui finanziamenti elettorali nel 2012 e nel 2014 e beneficiaria di“nove milioni di euro di prestito da una banca di Mosca” e quindi, manon ufficialmente, dal governo russo.

È però un dato di fatto che la nuova dottrina del Cremlino per il supe-ramento dell’egemonia americana e un più stretto legame euro-russo siaalla costante ricerca di agenti politici e culturali. E la Lega Nord di Salvi-ni, dall’avversione per le unioni civili e il gender al contrasto militaredell’immigrazione, per finire al recente viaggio del segretario federale aMosca, è il partito italiano che oggi meglio ricalca i valori forti putiniani.Secondo il Telegraph infatti, la strategia di Putin alimenterebbe “la cre-scente preoccupazione di Washington sulla determinazione di Mosca disfruttare le divisioni europee in modo da minare la Nato, bloccare i pro-grammi di difesa missilistica e revocare le sanzioni imposte dopo l’an-nessione della Crimea”. La recente elezione di Trump, critico verso la rus-sofobia di Hillary Clinton, è stata plaudita da via Bellerio per tali motivioltre che per la sconfitta Democratica in sé.

La stretta di mano fra il presidente della Federazione Russa e il segre-tario federale del Carroccio è il coronamento della strategia politica dellaLega Nord che ha radici molto profonde, che si intrecciano a quelle delmensile nazional-rivoluzionario Orion, come precedentemente accennato

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(DIS)ORIENTAMENTI

sulle pagine di Paginauno (1). Una russofilia, quella leghista, che non na-sce oggi, con Putin al Cremlino, ma negli anni ’90, quando Umberto Bossivolò in Russia per incontrare Zirinovskij, uno dei pochi politici interna-zionali che all’epoca riconobbe ufficialmente l’indipendenza della Pada-nia proclamata dal senatur e che verrà invitato al Parlamento Padano. Bos-si, come oggi Salvini, visiterà il 25 aprile 1998 la capitale russa come ospi-te d’onore.

È una fase politica particolare quella del Carroccio, quando il partitodel Sole delle Alpi, in pieno momento secessionista e di isolamento poli-tico, non solo denuncerà sia il Polo che l’Ulivo, ma si aprirà ad alleanzedi piazza contro il mondialismo, l’immigrazione e l’americanizzazionecon l’estrema destra di allora, da Fiamma tricolore a Forza Nuova, ben pri-ma dell’abbraccio con CasaPound (2); e difenderà il leader serbo Milose-vic attaccato dalla Nato, facendo trovare sullo stesso fronte antiamerica-no l’estrema sinistra e l’estrema destra (3).

Ieri come oggi, il trait d’union tra il partito di via Bellerio e la Russiaè Gianluca Savoini – maroniano contro i bossiani e salviniano contro imaroniani quando questi sosterrà Flavio Tosi, ma profondamente vicino aMario Borghezio – ex direttore dell’ufficio stampa della Regione Lom-bardia, ex giornalista de La Padania e ora de Il Populista, Il Giornale, Li-bero, uomo vicino a Maurizio Murelli, il direttore di Orion titolare delleEdizioni Barbarossa, e ora presidente dell’associazione Lombardia-Rus-sia, che ha una comunanza valoriale con “idee che combaciano pienamentecon la visione del mondo enunciata dal Presidente della Federazione Russanel corso del meeting di Valdai 2013 e che si possono riassumere in treparole: Identità, Sovranità, Tradizione”. L’associazione è molto attiva nelpromuovere non solo relazioni economiche fra aziende italiane e russeper aggirare le sanzioni contro Mosca, ma soprattutto le idee dell’ideolo-

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___________________________________________________________________________________________1) Cfr. M. L. Andriola, Alle radici del fascioleghismo. Gli anni ‘80: dalle leghe allaLega, Paginauno n. 44/20152) Cfr. M. L. Andriola, Alle radici del fascioleghismo. Gli anni ‘90: il Carroccio e laNuova destra franco-italiana, Paginauno n. 45/20153) Stefano Vaj, ex esponente del Grece avvicinatosi all’associazione leghista Terra In-subre, scriverà che “potrebbe [...] piacevolmente sorprendere l’assoluta unanimità concui praticamente tutte le forze al di fuori dalla più immediata area culturale occidenta -lista e mondialista – da Rifondazione comunista al Front national, dalla Lega Nord aSinergie europee al Grece alla Fiamma tricolore – hanno mostrato di percepire imme-diatamente strumentalità e reale significato dell’attacco degli Usa alla Serbia di Slo-bodan Milosevic”; S. Vaj, Processo alla Serbia, in L’Uomo libero, n. 54, ottobre 2002.Sull’organo leghista furono ospitati interventi di Alain de Benoist e Guillaume Faye,anch’egli noto esponente del Grece e amico di Vaj. Cfr. A. de Benoist, Kosovo e Kur-distan, due pesi e due misure, La Padania, 2 aprile 1999; Id., Si è aperto il vaso diPandora, ivi, 6 aprile 1999; G. Faye, I governi europei battano un colpo, ivi, 19 aprile1999

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Lega Nord: fra Washington e Mosca passando per Tel Aviv

go del neo-eurasismo russo Dugin. Sin dal febbraio del 2014, quando na-scerà Lombardia-Russia, gli scritti antimondialisti di Dugin – vicino allanouvelle droite ed ex penna di Orion – sono apparsi tra i post del sitowww.lombardiarussia.org.

Lo studioso, filosofo e cultore di geopolitica all’Università di Mosca,è stato ospite il 4 luglio 2014 a una conferenza pubblica organizzata dal-l’associazione filoleghista e ad altri incontri, sempre nella capitale mene-ghina (4). Fu sempre Savoini – all’epoca giornalista de L’Italia settima-nale, testata di destra vicina al Msi e poi ad An diretta da Marcello Vene-ziani – a occuparsi della Consulta per la politica estera leghista, che setti -manalmente si riuniva in via Arbe a Milano. “Dopo l’incontro con Ziri -novskij – spiega Savoini a L’Huffington Post – Bossi tuttavia si concen-trò su altre questioni e per qualche anno non si parlò più della Russia inseno al partito. Io però ho mantenuto i miei contatti con Mosca e quandoMatteo è stato eletto sapevo grazie alle mie fonti che stava per scoppiarela questione Ucraina e che questa avrebbe portato al tentativo di dividereMosca dall’Europa, così ho chiesto al neo-segretario se era interessato ariallacciare i rapporti con il Paese dell’Est” (5). Le simpatie antimondiali-ste di Savoini, mutuate da una lunga vicinanza con gli ambienti nazional-bolscevichi di Orion e Synergies européennes, sono evidenti da certi pas-saggi su La Padania. È lì infatti, quando la Lega farà una politica contro-corrente appoggiando Milosevic e aprendosi alla destra radicale, che Sa-voini, il 26 marzo 1999, dopo la visita di Bossi a Belgrado, intervisterà ilsegretario federale leghista nell’articolo In marcia contro i massoni, di-chiarando: “Non sapevo ci fossero dei massacri dei serbi nei confronti de-gli albanesi sicuramente c’erano per la pubblicistica americana”.

Le visite proseguirono fino al febbraio 2000, con delegazioni padaneal congresso del partito nazionalcomunista serbo, almeno fino all’arrestodel leader serbo. Sarà Savoini, sulla Padania, a recensire nel novembre1998 il saggio del leader comunista russo Gennadij Zjuganov, Stato e Po-tenza, edito dalle Edizioni all’insegna del Veltro di Claudio Mutti (6), e-sponente di spicco dell’area nazionalbolscevica ed ex teorico nazi-maoi-sta; nel libro si sintetizza patriottismo, comunismo stalinista ed eurasiati-smo, tanto esaltato sulle pagine della rivista di Murelli, e sarà sempre lui,sull’organo leghista, a reintrodurre massicciamente non solo l’antiameri-

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___________________________________________________________________________________________4) Cfr. Eliseo Bertolasi, Aleksandr Dugin a Milano: La sfida eurasiatica della Russia,Lombardia-Russia associazione culturale, 7 luglio 20145) F. Bisozzi, Lega e Russia, una storia di rapporti lunga 15 anni. Intervista a Gian-luca Savoini, l’uomo di Salvini che tiene i fili, L’Huffington Post, 17 dicembre 20146) Cfr. G. Savoini, Ziuganov comunista anomalo, in La Padania, 20 novembre 1998

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(DIS)ORIENTAMENTI

canismo e l’antimondialismo (7) ma anche un cavallo di battaglia nazio-nalbolscevico, la geopolitica, ovviamente declinata in chiave eurasiatica,per animare l’Eurasia dei popoli a trazione russa sulle idee di Dugin e diJean Thiriart, l’ex SS belga fondatore negli anni ’60 di Jeune Europe, incui militeranno i giovani Mutti e Borghezio, e i cui scritti circolerebberonegli ambienti giovanili più radicali del Carroccio (8).

L’attivismo di Savoini lo ha portato a promuovere in tutto il nord Ita-lia una rete di associazioni filorusse come Lombardia-Russia e a stringe-re un accordo con La Voce della Russia, un ‘megafono’ del Cremlino,con il Ministero dell’informazione della Crimea, che è nelle mani diDmitriy Polyanskiy, e con l’agenzia filorussa Crimea Inform, il tutto perfare controinformazione antiamericana in un’epoca in cui la stampa èschierata con Washington.

Fra i punti forti del sodalizio filorusso abbiamo l’ex parlamentare le-ghista Claudio D’Amico, che come ricostruito dal Fatto Quotidiano è vi-

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___________________________________________________________________________________________7) Cfr. G. Savoini, Non dobbiamo essere una colonia Usa, La Padania, 26 marzo 1999:“«Come friulani avvertiamo molto da vicino i pericoli legati alla guerra lanciata dallaNato contro la Serbia. Come Governo della Padania siamo convinti che la sottomis-sione totale dell’Italia ai diktat americani non potrà che causare danni a tutti i padani».Alessandra Guerra, ministro degli Esteri della Padania e consigliere regionale leghistain Friuli, evidenzia come questa guerra dimostra ancora una volta la prepotenza degliStati Uniti d’America e l’intenzione di Washington di incunearsi direttamente nei Bal-cani, per impedire una possibile saldatura tra il blocco europeo e russo”. In un’intervi-sta che Savoini farà a Claudio Risé, questi dirà che la guerra balcanica è stata “unaguerra mondialista. Ufficialmente [...] motivata con l’intento di appoggiare un movi -mento di radicamento, quello cioè degli abitanti albanesi del Kosovo per una maggio-re autonomia da Belgrado, dalla quale li divide la religione, l’etnia, la cultura, insom-ma tutto. Nella realtà ci si dimentica che la realtà del Kosovo presentava tensioni cro-niche da decenni. È stata però la falsa notizia della pulizia etnica in atto nella regionee la guerra scatenata ufficialmente per evitarla che hanno dato via libera a Milosevicper procedere alla deportazione contro i kosovari, ormai resi ufficialmente nemici inquanto alleati dell’aggressore Nato”; G. Savoini, Parla Claudio Risè, docente di Pole-mologia. «Chi non obbedisce agli Usa è massacrato», La Padania, 26 marzo 19998) In un documento presentato dall’associazione filoleghista Il Talebano – il circolo didestra aderente alla Lega che inviterà Alain de Benoist a discutere con Matteo Salvininel dicembre 2013 (cfr. M. L. Andriola, Alain de Benoist e Matteo Salvini: una LegaNord “al di là della destra e della sinistra”, Paginauno n. 36/2014) – come contributoal dibattito congressuale della Lega Nord, si legge che “alcuni decenni or sono JeanThiriart elaboro la teoria geostorica dell’Eurasia. Il geopolitico belga era convinto chela strada da seguire fosse quella di unire le terre comprese tra Lisbona e Vladivostokin un’unica nazione, uno spazio continentale che prende ragione della sua esistenzadal momento della caduta dell’U.R.S.S. Tale nazione, nella prospettiva di Jean Thi-riart, dovrà essere uno stato politico, un sistema aperto e in espansione che sia espres-sione di uomini liberi verso un futuro collettivo e condiviso. Noi partiamo da questavisione per proporre l’Europa delle Patrie in cui siano i popoli a decidere del loro fu-turo. Un grande territorio i cui tutti i popoli saranno padroni di decidere seguendo leloro tradizioni come la loro cultura millenaria. Mille patrie in un’unica nazione, quellaeuropea. Vogliamo costruire un’Europa dei popoli federata ad una grande Russia”;https://iltalebano.files.wordpress.com/2014/07/documento-di-idee_iltalebano.pdf

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Lega Nord: fra Washington e Mosca passando per Tel Aviv

cino al deputato putiniano Aleksej Puskov; Gianmatteo Ferrari, analistainformatico, che si occupa di sistemi di sicurezza ed esperto delle vicen-de russe, amico di Žirinovskij; Luca Bertoni, che segue la comunicazioneaziendale, il marketing e gli interessi bancari. Altro fronte di questo soda-lizio è Irina Osipova, presidente del movimento Rim Giovani Italo-Russi,candidata alle ultime amministrative romane per Fratelli d’Italia e presen-tatasi come “putiniana doc”, che ha accompagnato gli uomini del Carroc-cio e di Lombardia-Russia in diversi viaggi in Russia e in Crimea, e si èattivata a favore della popolazione russa in Ucraina e in Crimea a se-guito dell’Euromaidan. Notiamo che alcuni nomi che appaiono oggi ac-canto a Putin apparivano anche nel corso pro-Milosevic del Carroccio.Non c’è da stupirsi se analizziamo il background di Savoini, mai rinne-gato. Ed è un avvicinamento che passa attraverso anche la segreteria delFront national (9).

Cablo e Tel Aviv: una Lega filoamericanaL’analisi del viaggio di Salvini in Israele nel marzo 2016, uno dei baluar-di dell’occidentalismo, sembra stravolgere quanto detto, dato che anchenel populismo europeo – analizzeremo quello francese perché è uno deimodelli del segretario leghista – molti leader, come la stessa Marine LePen, si barcamenano fra posizioni ora filorusse e filoarabe (magari facen-do il tifo un tempo per Saddam Hussein e Mu’hammad Gheddafi e oraper Bashar Al-Assad), ora filoamericane e filosioniste. Ma il populismoeuropeo, cavalcando la crisi della sinistra, è in piena mutazione genetica,

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___________________________________________________________________________________________9) Nel Front il fronte pro-Putin è guidato dal deputato Christian Bouchet, ex neode-strista espulso dalla sezione del Grece di Nantes per “estremismo” ed ex leader delmovimento nazionalbolscevico Nouvelle résistance (poi Unité radicale), gemellatocon Nuova azione, l’espressione politica di Orion, sezione francese di quel Fronte eu-ropeo di liberazione fondato da Murelli nel 1989 a cui appartenevano realtà nazional-rivoluzionarie come gli inglesi di Third way, gli spagnoli di Alternativa europea, i te-deschi del Sozialrevolutionäre Arbeiterfront, i polacchi di Przclom Narodowy e i belgidel Parti communautaire national-européenne (Pcn), erede di Jeune Europe; Cfr. J.-Y.Camus, Une avant-garde populiste: ‘peuple’ et ‘nation’ dans le discours de NouvelleRésistance, in Mots, n.55, giugno 1998, pp. 128-138 e N. Lebourg, Stratégies etpratiques du mouvement nationaliste-révolutionnaire français: départs, desseins etdestin d’Unité Radicale (1989-2002), in Le Banquet, n. 19-20, febbraio 2004, pp.381-400. Un altro è Aymeric Chauprade, geopolitico di 47 anni, docente a Paris I ecollaboratore di Éléments, organo del Grece, ora vicinissimo al Front national, pontefra Front e il Cremlino, ospite alla Duma di Mosca nel 2013 http://www.agerecontra.it/public/pres30/?p=11770. La stessa nouvelle droite francese, un tempo europeista, daalcuni anni è eurasiatista, come dimostra il numero 131 del trimestrale grecista Élé-ments, dell’aprile-giugno 2009, dedicato alla Russia, con un dossier dal titolo Demainles Russies!, dove la questione del ruolo geopolitico del colosso dell’Est viene affron-tata facendo il tifo per Mosca nel ruolo di liberatrice dei popoli europei dalle tenaglieunipolari calate sul globo dal 1991 in poi.

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(DIS)ORIENTAMENTI

e assume posizioni sociali che il progressismo non fa più sue (10). Mari-ne Le Pen, segnalava Panorama il 6 dicembre 2011, è “volata a New Yorkai primi di novembre e ha incontrato per venti minuti l’Ambasciatore diIsraele all’Onu, Ron Prosor. E il quotidiano Haaretz le concede una pos-sibilità, purché la condanna dell’antisemitismo sia chiara e forte. A PalmBeach, Marine ha cenato con 200 repubblicani del Tea Party di Bill Dia-mond, finanziatore ebreo di Rudolph Giuliani. E per un soffio non è stataaccolta da vip al Museo della Shoah a Washington. Che il secondo turnosia dietro l’angolo?”.

Perché in effetti, una delle peculiarità di tali viaggi – si pensi a Gian-franco Fini – è quella di facilitare lo sdoganamento, risultando presenta-bili e moderati, anche nei confronti dei referenti internazionali. Il passatoinsegna: il flirt coi serbi, che isolò la Lega dal resto del centrodestra, nonfruttò consensi a Bossi, e una parte dei vertici attorno a Salvini temonooggi che presentarsi da soli e facendo il tifo per Assad, Putin o la Coreadel Nord non frutti consensi, e quindi optano per un nuovo centrodestra,magari a trazione leghista, ma con la presenza dei vecchi compagni distrada di Forza Italia. Uno di questi è Roberto Maroni, presidente dellaRegione Lombardia, che se ha un modello europeo, non è il Front natio-nal che guarda Putin, ma la moderata Csu bavarese (11).

Israele, dove l’attuale governo guidato da Netanyahu è probabilmenteil più a destra degli ultimi quarant’anni anni e sopravvive con un solovoto di maggioranza, appeso al contributo di partiti ultraortodossi, è as-sieme agli Stati Uniti d’America la tappa basilare per sdoganare il Car-roccio agli occhi dell’opinione pubblica. L’arrivo nello Stato ebraico nelmarzo 2016, però, dove Salvini ha scaricato CasaPound (“È da febbraiodell’anno scorso che non abbiamo più contatti con loro”, assicura [12]),non è avvenuta con la consueta compagnia che attorniava Salvini a Mo-sca. A Tel Aviv non c’erano Savoini e altri russofili ma i due vicesegretari

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___________________________________________________________________________________________10) I vertici del Front national “trent’anni fa si definivano liberali e raeganiani”, os-serva il teorico della nouvelle droite francese Alain de Benoist, intervistato da BrunoGiurato per Lettera43.it. “Al giorno d’oggi, dopo che Marine Le Pen è succeduta alpadre [...] lo stesso movimento milita contro il libero scambio, reclama l’introduzionedi un certo protezionismo, e denuncia con vigore la deregulation economica”; A. deBenoist, intervista rilasciata a B. Giurato, Perché la vera decrescita oggi è politica,non economica, Lettera43.it, 25 aprile 201311) Nel suo libro-manifesto del 2012, Il mio Nord. Il sogno dei nuovi barbari, Maroniscrive: “Il nostro obiettivo politico (della Lega, n.d.a.) è quello di diventare il primopartito in tutte le regioni del Nord, sul modello della Csu bavarese [...] Questo assuntoci colloca a grandissima distanza dai partiti e dai movimenti neonazionalisti. Insom-ma, è ora di finirla con i soliti stereotipi: noi non siamo i nipotini di Le Pen”, R. Maro-ni, Il mio Nord. Il sogno dei nuovi barbari , con C. Brambilla, Sperling & Kupfer,2012, pp. 3, 412) A. Longo, Salvini sbarca in Israele «Il mio modello». Il leader leghista a Gerusa-lemme scarica CasaPound: «Nessun contatto con loro», La Repubblica, 30 marzo 2016

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federali Giorgetti e Fontana – uomini della vecchia Lega – il capogruppoleghista in Commissione esteri Gianluca Pini, e il giornalista varesottoMax Ferrari, ex mezzobusto di TelePadania. Quest’ultimo, espulso dal Car-roccio nel 2006 dopo diciassette anni di militanza dura per contrasti conl’allora cerchio magico bossiano e per la sua fedeltà alla battaglia indipen-dentista, venne riammesso da Salvini, ed è indicato come l’ex ideologo diLombardia-Russia (si occuperà poi di geopolitica su La Padania, collabo-rando con la redazione italiana della Voce della Russia, lanciando una ver-sione russa del proprio blog); ruppe però poi con Savoini sposando, oltrea posizioni filoamericane e il sostegno a Israele, una forte islamofobia.

Uomini diversi e moderati, quindi, perché dietro le quinte – ma nean-che tanto velatamente – c’è chi vorrebbe tornare alla vecchia Lega e nonmanomettere gli equilibri geopolitici che disturbano chi in Italia ha unforte peso, ossia gli Stati Uniti. Nella Lega, infatti, alcuni settori intratten-gono rapporti con la diplomazia americana. Ora, con un Trump alla CasaBianca che pare essere contro la russofobia clintoniana, le strategie pos-sono bilanciarsi, ma ieri, con Obama, parevano divergere. A confermaretali contatti con gli Usa sono ben quattro cablo pubblicati fra aprile e ago-sto 2009 su WikiLeaks.

Il primo, del 28 aprile 2009, si riferisce a un pranzo fra il console ame-ricano a Milano e i leghisti Calderoli e Giorgetti, in occasione delle euro-pee del giugno di quell’anno: “Calderoli e Giorgetti concordarono sul fat-to che le elezioni europee di giugno sono di secondaria importanza per ilpartito. Purtuttavia, la Lega Nord sta chiaramente tenendo d’occhio la com-petizione. Giorgetti ha fatto notare che i sondaggi mostrano un incremen-to della forza della Lega, ma paradossalmente il leader della Lega, Um-berto Bossi è preoccupato dell’eccessivo successo. Ulteriore guadagno elet-torale a scapito del Pdl potrebbe sconvolgere l’equilibrio della coalizionee potrebbe indurre il Pdl a cercare di screditare la Lega a ogni occasioneprima delle elezioni del 2010. Giorgetti ha detto che la strategia della Le-ga, nel breve periodo, è tenersi strettamente abbracciati a Berlusconi. «SeBerlusconi dice rosso, noi diciamo rosso. Se dice nero, nero pure per noi»”(13). Notiamo nella conversazione il tono confidenziale con cui Giorgettie Calderoli interloquiscono col console, svelandogli strategie elettorali.

Il cablo n. 2, successivo alle europee, descrive una Lega Nord che in Par-lamento inizia a presentarsi contraria al finanziamento delle missioni inAfghanistan. Tutta una bufala, certifica il documento: “La tempistica del-la sparata di Bossi ha più a che fare con un calcolo politico interno. Conil G8 e le elezioni europee alle spalle, la Lega Nord e il Pdl di Berlusconi

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___________________________________________________________________________________________13) https://wikileaks.org/plusd/cables/09MILAN95_a.html, 28 aprile 2009, pubblicatoin italiano in http://ilcappellopensatore.it/2015/08/lega-nord-diplomazia-usa-pt-1/, Urlconsultato nell’ottobre 2016

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sono in competizione per agganciare gli stessi elettori per le elezioni re-gionali di marzo 2010. A seguito dell’affermazione elettorale alle elezionieuropee, Bossi sta dimostrando la sua indipendenza da Berlusconi per ot-tenere un maggiore peso all’interno della coalizione. Mentre l’Afghani-stan è un ‘non problema’, per il nocciolo duro della Lega, Bossi sta cercan-do di adescare i voti della classe lavoratrice che, nel passato, in questoambito ha sostenuto le agitazioni dei partiti di sinistra. Assume la posi-zione anti-militarista per tirarsi a lucido. La maggior parte dei Presidentidi Regione verranno rinnovati la prossima primavera e Bossi è intenzio-nato ad assicurarsi che la Lega abbia i margini per avere i posti chiave ri-spetto ai partner del Pdl. Ricordare a Berlusconi, col quale lavora benissi-mo, il suo crescente potere relativo lo aiuta” (14). E infatti il rifinanziamentoverrà approvato dal Senato esattamente il 3 luglio, con la legge 108/2009;la Lega, nei successivi rifinanziamenti, tacerà votando a favore, basti ve-dere come votò per la missione in Afghanistan il 2 dicembre 2009.

I cablo 3 e 4 invece, dell’agosto 2009, indicano nelle regionali dell’an-no successivo uno snodo basilare per i rapporti fra Carroccio e Stati Uni-ti, visto che sono in ballo ben tre importanti regioni contese fra Pdl e Le-ga Nord: la Lombardia e il Piemonte, al centro di vasti interessi economi-ci, e il Veneto, che ospita la base militare Dal Molin di Vicenza. Ma i dub-bi cadono sui candidati: Zaia, allora ministro dell’Agricoltura, o il sinda-co di Verona, Flavio Tosi? Il secondo, “la cui condanna per aver incitatoall’odio razziale è stata confermata in appello a luglio”, crea “divisioni ed[è] difficile da far digerire al Pdl e ai membri moderati della Lega”, maviene riconosciuto come “essere un amministratore efficiente. È chiara-mente intenzionato a diventare governatore e sta provando a tirarsi a luci-do favorendo relazioni con gli Stati Uniti (rendendosi egli stesso disponi-bile a incontrare diplomatici Usa e pubblicizzando il nostro viaggio a Ve-rona sui media locali) e rafforzando la sua immagine di figura locale mo-derata, rispettata e influente. Nonostante sia verbalmente duro sull’immi-grazione, ha anche dichiarato pubblicamente che gli immigrati che lavo-rano sono una parte necessaria dell’economia. L’esito della competizionein Veneto è particolarmente importante per gli interessi Usa in quanto laregione ospita la base militare di Vicenza” (15).

È normale, quindi, che si tema per la successione di Bossi, specie difronte alle citate fasi antiamericane – condizionate da consiglieri e sodali-

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___________________________________________________________________________________________14) https://wikileaks.org/plusd/cables/09ROME877_a.html, 30 luglio 2009, pubblica-to in italiano in http://ilcappellopensatore.it/2015/08/lega-nord-diplomazia-usa-pt-1/, Urlconsultato nell’ottobre 201615) https://wikileaks.org/plusd/cables/09MILAN173_a.html, 13 agosto 2009, pubblicatoin italiano in http://ilcappellopensatore.it/2015/08/lega-nord-diplomazia-usa-pt-2/, Urlconsultato nell’ottobre 2016

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zi provenienti dal radicalismo di destra – che potrebbero intaccare gli inte-ressi Usa. I papabili potrebbero essere quelli della “prima linea di colon-nelli sulla cinquantina, inclusi Maroni. Calderoli e Castelli, che rivendi -cheranno la leadership quando Bossi andrà via. Tuttavia, il disegno a lun-go termine dipenderà anche da quei giovani leader che sono stati idoneiper i posti influenti”. Sono Giorgetti, Tosi e Zaia, anche se gli ultimi duevengono esclusi perché in corsa per le amministrative: “Tosi è in primalinea (insieme a Luca Zaia [...]) per le elezioni regionali in Veneto nelmarzo prossimo. Questo è importante per gli Stati Uniti in quanto il Ve-neto è uno dei centri economici italiani e ospita la base militare di Vicen-za (il quartier generale della componente militare del comando africanodegli Stati Uniti e presto sede della ri-consolidata 173ª brigata aerotra -sportata)”. Vi è poi Salvini, giovane rampante della Lega a Milano, all’e-poca consigliere comunale, che pubblicamente “è sempre sulle posizionipiù radicali, ma non ha mai messo in pratica le sue politiche perché nonha mai ricoperto ruoli amministrativi oltre che consigliere comunale. Tut-tavia è la musa ispiratrice del nucleo della Lega Lombarda ed era presen-te alla fondazione della Lega Nord. Con un po’ di esperienza politica, ora,è probabile che Salvini possa giocare un ruolo più importante all’internodel partito” (16). Salvini, quindi, non desta alcuna preoccupazione all’am-ministrazione Usa, nonostante sia visto – come infatti avverrà – come unodei papabili.

Ed ecco che qualche mese prima di partire, Salvini spiega all’Huffing-ton Post il suo tour in Israele, rassicurando tutti sui rapporti con Casa-Pound: “I problemi di Israele sono ben altri, dall’Iran alla Turchia che fapoco contro l’Isis. CasaPound è l’ultimo dei problemi. Io vado come se-gretario della Lega. Punto. E non incontrerò certo i filopalestinesi”. E inmerito al futuro viaggio negli Usa: “Per noi la reaganomics resta un rife-rimento fondamentale sui temi delle tasse, della concorrenza. Il nostro ri-ferimento è chi pensa a una economia di questo tipo. I miei incontri sa-ranno con esponenti del partito Repubblicano”. E su Giorgetti, per Salviniuna “colonna portante” in un eventuale governo con la Lega nonostante sianotoriamente filoamericano mentre lui guardi alla Russia, il segretario fe-derale afferma: “Meglio così, ci sono sensibilità diverse. Io sono l’amicodello zar, se c’è qualcuno amico degli altri tanto di guadagnato...” (17).

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___________________________________________________________________________________________16) https://wikileaks.org/plusd/cables/09MILAN176_a.html, 19 agosto 2009, pubblicatoin italiano in http://ilcappellopensatore.it/2015/08/lega-nord-diplomazia-usa-pt-2/, Urlconsultato nell’ottobre 201617) A. Carugati, Matteo Salvini annuncia all’HuffPost un tour estero in autunno: daNigeria e Russia a Usa e Israele. Presto un Congresso Lega , L’Huffington Post, 14agosto 2015

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INTERVISTA– a Marco Rovelli

L’IDEOLOGIA NON È SOLO PENSIERO di Giuseppe Ciarallo

“Se non posso ballare,non è la mia rivoluzione!”Emma Goldman

Marco Rovelli è uno degli artisti più polie-drici in circolazione. Musicista e cantautore(è del 2015 l’album Tutto inizia sempre, secon-do disco solista dopo Libertaria, del 2009 e l’e-sperienza con i Les Anarchistes), dramma-turgo, scrittore (Lager italiani, Rizzoli 2006,Servi, Feltrinelli 2009, La parte del fuoco, Bar-bès 2013, Il contro in testa, Laterza 2013) hada poco pubblicato il suo ultimo libro Laguerriera dagli occhi verdi (Giunti 2016), ro-manzo ambientato nei luoghi della lotta diresistenza del popolo curdo alla ricerca dipatria e libertà. Tratto caratteristico dell’e-spressione artistica di Rovelli è la continuaricerca e il recupero della memoria e dellastoria – soprattutto quella del movimentoanarchico e libertario – attraverso un impe-gno civile di cui le sue opere sono testimo-nianza diretta.

Dunque Marco, quando e come nasce l’i-dea di dedicare un romanzo alla ‘tua’ guer-rigliera della resistenza curda? E soprattut-to perché hai sentito l’esigenza di narrarequesta storia?

Da almeno vent’anni sentivo parlare del-la questione curda, ma non l’avevo mai fo-calizzata come una questione decisiva e cen-trale. La lotta contro l’Isis nel Rojava, il Kur-distan siriano, l’ha portata alla ribalta an-che mediatica, facendoci immaginare quel-la regione come un luogo dove si sta svol-gendo una lotta che riguarda tutti. Che nonè però la lotta tra Occidente liberale e Isisbarbaro, visto che i curdi del Rojava non rap-presentano affatto le istanze dell’Occidente,ma cercano di costruire una società nuova,diversa dal capitalismo. Loro parlano di ‘con-federalismo democratico’, ciò che potremmotradurre come una democrazia radicale, dalbasso, socialista, libertaria, ecologista, dovenessuna etnia, nessuna lingua, nessun gene-re, nessuna religione vengano discriminate.Perciò ho deciso di farne romanzo. “Roman-zo storico ed esistenziale”, è stato di recentedefinito in una recensione, ed è esattamentequello che volevo fare: raccontare l’epica diun popolo attraverso la storia della trage-dia di un singolo (e dico tragedia in sensoproprio, nel senso della tragedia greca, do-ve si è costretti a essere quel che si è, a com-piere il proprio destino). Volevo raccontarel’anima di una persona, il suo itinerariopsichico, il suo sguardo sul mondo – e ve-dere se questa geografia psichica raccon-tasse qualcosa dell’umano in quanto tale.

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Ricorre di frequente, nelle parole di varipersonaggi, un rimprovero, anzi, meglio,un’accusa verso l’esercito oppressore, diaver costretto alle armi un popolo per na-tura pacifico e lavoratore...

Non credo che vi siano popoli pacifici‘per natura’, e se ci sono di certo i curdinon sono tra questi: la loro storia è fatta diepopee belliche, di grandi guerrieri (il Sala-dino, per esempio, era curdo), di scontri con-tinui tra clan. Chi viene costretto alle armi,se mai, è il singolo individuo, il quale nonavrebbe voluto scegliere la via dei monti.Se tu neghi la mia libertà, se neghi la possi-bilità di avere un’infanzia serena, se uccidimio padre, mio fratello, un amico – stai co-stringendomi a reagire, e a consegnare lamia vita a un ineluttabile.

La questione della lingua. Al di là deldualismo strettamente identitario ‘lingua/terra’, secondo te ci sono altri motivi per iquali un sistema dittatoriale debba sentir-si minacciato da un popolo che del tuttonaturalmente si esprime nel proprio idio-ma? Nei Paesi Baschi succede la stessa co-sa e la Spagna è una democrazia occiden-tale e non una satrapia come la Turchia diErdogan. La faccenda mi ricorda tanto lafavola del lupo e dell’agnello...

Lo si capisce mettendo la questione inprospettiva storica. L’Impero Ottomano erasovranazionale, come tutti gli imperi che so-no durati per secoli. Di fronte alla sua crisi,ci fu all’inizio del Novecento un’accentua-zione della componente turcomanna, e laprogressiva riduzione degli spazi di agibili-tà per le altre etnie: il genocidio degli arme-ni va visto su questo sfondo. La Turchia mo-derna si forma proprio sulla turchizzazionedello Stato di nuova formazione, che del re-sto si ingloba subito i territori che in un trat-tato del 1920 erano destinati a uno Stato cur-do, mai formato. Di lì in avanti, la riduzio-ne al silenzio dei curdi è una spirale di re-pressione e rivolte. Peraltro questo divietodi lingua – che è una violenza enorme – vie-ne praticato anche negli altri due Stati arti-ficiali che hanno inglobato i territori curdidopo la dissoluzione dell’Impero Ottoma-no, ovvero Siria e Iraq. E lo stesso è anchein Iran.

Nel romanzo compare la figura di ‘Apo’Abdullah Öcalan, capo della guerrigliacurda e del Pkk (Partito dei Lavoratori delKurdistan), considerato padre della patriada quel popolo. Durante la tua permanen-za in Kurdistan che giudizio hai ricavatoriguardo alle responsabilità italiane nella

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INTERVISTA– a Marco RovelliL’ideologia non è solo pensiero

cattura e conseguente detenzione del loroeroe nazionale?Anzitutto, io credo che tra decenni pense-remo a Öcalan come oggi pensiamo a Man-dela: ambedue spacciati come pericolosi ter-roristi comunisti, in realtà due persone chehanno saputo immaginare una nuova con-figurazione sociale. Poi, certo, è da vedersise la nazione curda riuscirà a farsi, e al mo-mento la situazione è disperante, quanto allasua parte turca almeno. Quanto alla sua cat-tura, che ne ha fatto un sepolto vivo nel car-cere di Imrali, a me pare chiara la responsa-bilità negativa del nostro governo di allorache non ebbe il coraggio di dare le dovero-se garanzie a qualcuno a cui peraltro, dopola sua cattura, un tribunale ha riconosciutoil diritto allo status di rifugiato. Così è an-che per alcuni dei curdi con cui ho parlato.Altri, invece, mi dissero che in fondo D’A-lema non poteva fare diversamente, essen-do interno a un campo imperialista: dicia-mo che nelle loro affermazioni ho visto uneccesso di ideologismo.

La figura della donna, fondamentale al-l’interno della società, socializzazione deiservizi dentro le comunità, giustizia socia-le... Sembra che il Kurdistan stia diven-tando un laboratorio di comunismo liber-tario che se dovesse funzionare mettereb-be in crisi e demolirebbe le basi sulle qualisi fondano non solo l’autoritarismo turco,

ma anche le sedicenti democrazie occiden-tali basate sulla disuguaglianza e sullaframmentazione sociale. Forse è per que-sto che la resistenza curda non ha molti‘amici’...

Certamente sì. Il Pkk è nella lista delleorganizzazioni terroriste, e i curdi di Siriadel Pyd sono di fatto un tutt’uno col Pkk.La loro prospettiva è inaccettabile per tuttii loro vicini. Se del resto nessuno ha mai da-to loro le armi pesanti di cui avrebbero bi-sogno, questo è il motivo (e nonostante que-sto, ha contrattaccato vittoriosamente le ban-de dell’Isis).

Tornando al tuo romanzo, ho una curiosi-tà ‘tecnica’. So che come titolo del libronon sempre viene accettato quello propo-sto dall’autore, anzi, quasi sempre è l’edi-tore a sceglierne uno che abbia maggiorpotenzialità commerciale. La guerriera da-gli occhi verdi è il titolo che tu avevi pen-sato di dare al tuo lavoro?

Per i miei libri, ogni volta è stato diffe-rente. In questo caso, io non avevo trovatoun titolo che mi convincesse. Questo lo haproposto l’editore, segnatamente AntonioFranchini, e, dopo averci riflettuto, mi è par-so sintetizzasse una questione di fondo, ov-vero lo sguardo: perché per me si trattavadi far vedere il mondo attraverso gli occhidi Avesta Harun. E perché dire ‘occhi’, perme, significa dire ‘anima’: perché, al con-

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trario del detto comune, l’anima è lo spec-chio degli occhi.

Ti ho fatto questa domanda perché il tito-lo del tuo libro mi ha rimandato all’episo-dio della morte di Asia Ramazan Antar,

da tutti i giornali definita “l’Angelina Jo-lie curda”, per la vaga somiglianza con lafamosa attrice. In quel caso il puntare lalente sull’aspetto fisico della persona ave-va ottenuto l’effetto di sviare l’attenzionedel lettore dal fatto che la ragazza fosseuna guerrigliera, in lotta contro i macellaidell’Isis e consapevole che la sua giovanevita era in costante pericolo. Più che la bel-lezza si sarebbe dovuto esaltarne il corag-gio, la generosità, la coerenza…

Ma infatti il titolo del mio libro mica di-ce che la guerriera è bella. Forse che tutte ledonne con gli occhi verdi sono belle? Erasemplicemente – come raccontano tutti isuoi compagni partigiani, e te lo dicono tuttiquelli che l’hanno conosciuta, e nella narra-zione questa cosa torna diverse volte – lasua caratteristica più evidente. E mi parevabello un titolo che specificasse un concettouniversale come ‘guerriera’ (e non, appun-to, ‘guerrigliera’, che è meno universale) conuna caratteristica che la singolarizzasse, chela rendesse concreta, ‘proprio questa qui’.Insomma a me pare proprio il contrario del-l’esempio che citi, in cui l’universale, invecedi essere tutt’uno con l’individuale, scom-pare.

C’è una frase molto bella all’interno dellibro che mi ha fatto riflettere. “L’ideolo-gia [... ] non è solo pensiero [...]. L’ideolo-gia è anche come stai seduto, come mi guar-

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INTERVISTA– a Marco RovelliL’ideologia non è solo pensiero

di, come mi parli. Senza la vita concreta,non c’è ideologia: il pensiero scollegatodalla vita non ha alcun valore”. Io la pen-so esattamente così. Eppure il sentire co-mune vuole che le ideologie siano il re-taggio di un tempo che non c’è più, che leideologie siano morte...

Sì, l’ideologia, così come la vedono loro,è profonda unità di pensiero e azione. Pen-siero e azione sono due facce della stessamedaglia, insomma, due attributi della me-desima sostanza. Peraltro sanno bene che leideologie – ovvero un sistema di rappre-sentazione del mondo – non possono nonesistere (semmai il punto è se e quanto essesiano aperte o chiuse), e che nel mondo cheafferma la fine delle ideologie c’è una solaideologia trionfante, quella del liberalismo.

Un altro aspetto che riguarda l’identità diun popolo è quello legato alla danza. Fi-liz, la bambina che in seguito diventeràguerrigliera col nome di battaglia Avesta,e suo fratello Tekin, agli esordi del loroimpegno politico nel movimento dei gio-vani curdi vogliono che la loro famiglia,padre, madre, fratelli e sorelle imparino aballare, perché attraverso la danza smetta-no di vergognarsi di essere curdi, smetta-no di avere paura...

La danza, e in generale il riprendere efar rivivere le tradizioni, è fondamentaleper il senso di appartenenza e di solidarie-

tà. E non solo: per chi sta anni e anni in car-cere la danza è una forma di sopravvivenzaeccezionale alla durezza dell’isolamento,delle deprivazioni e della torture, sonorealmente una forma di meditazione e ditrascendimento di sé. Mi pare interessanteriflettere su cosa sia l’identità che i curdi co-struiscono, visto che ‘identità’ è una parolaambigua, scivolosa, pericolosa. L’identitàcurda affermata dal Pkk è un’identità aper-ta, dinamica: non si tratta di recuperare unimmaginario passato tale e quale, un’im-maginaria tradizione, ma immaginarsi una‘nuova tradizione’, selezionando il passato,usando il passato per costruire una societànuova. L’identità dei curdi non vuole affer-mare il ritorno alla società curda tradizio-nale, dove vigeva il ‘feudalesimo’ dei clan,il patriarcato, il maschilismo, il codice dellavendetta, ma emanciparsi da essa, costruireuna società diversa valorizzando gli aspettipositivi propri di quella tradizionale (la so-lidarietà dei villaggi, per esempio), trasfor-mandola.

Come ho scritto nelle note di presentazio-ne una peculiarità della tua scrittura è lacontinua ricerca e il recupero della memo-ria storica, impegno al quale non ti seimai sottratto. E ora? Dopo La guerrieradagli occhi verdi cos’altro bolle in pento-la?

In questo momento sto scrivendo un pic-

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colo romanzo storico-biografico su LouiseMichel, la grande pasionaria della Comunedi Parigi, e sto rimettendo mano a un ro-manzo (un romanzo puro, intendo) che ave-vo lasciato inconcluso diversi anni fa. Di la-vori che nascano da viaggi, in questo mo-mento non ne ho all’orizzonte, diciamo cheda questo punto di vista mi sono preso unanno sabbatico...

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L’impegno civile del racconto realisticobritannico(nona parte)*

di Carmine Mezzacappa

A PROPOSITO DI...

Negli articoli precedenti abbiamo propostouna veloce panoramica delle letterature in-glese e scozzese del Novecento in cui vengo-no affrontate tematiche legate al mondo dellavoro, e abbiamo presentato un doveroso o-maggio alla memoria di William McIlvanney,lo scrittore scozzese mancato il 5 dicembre2015, che nella sua poetica narrativa ha rac-contato la Scozia delle comunità minerarie trala fine dell’Ottocento e i governi conservato-ri di Margaret Thatcher.

Passiamo ora a presentare una rassegnadi film britannici sul tema del lavoro in pre-parazione all’opera cinematografica di KenLoach.

I documentari britannici occupano uno spa-zio importantissimo nella prima metà del No-vecento grazie all’opera di registi prestigiosicome John Grierson (1898-1972), autore diDrifters (1929), Industrial Britain (1931), TheFishing Banks of Skye (1934); Paul Rotha(1907-1984), autore di The Face of Britain(1935); John Taylor (1914-1992), autore di TheLondoners (1937): e infine Humphrey Jen-nings (1907-1950), il più poetico di tutti, au-tore di I Was a Fireman (1940), una testimo-nianza sulla coraggiosa opera svolta dai pom-pieri londinesi all’inizio della seconda guerramondiale. Tutti si avvicinano a Dziga Vertov,il maestro del documentario politicamente im-pegnato.

Uno spazio speciale, nel periodo che essitrascorsero in Gran Bretagna, ebbero il brasi-liano Alberto Cavalcanti (1897-1982), autoredi Coal Face (1935) e Four Barriers (1936); el’americano di origine irlandese Robert Fla-herty (1884-1951), autore di The Man of Aran(1934).

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________________________________________________________* Le parti precedenti sono pubblicate su Paginaunon. 43/2015, 44/2015, 45/2015, 46/2016, 47/2016,48/2016, 49/2016, 50/2016

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I risultati eccellenti ottenuti da questi registi consistono, gra-zie al montaggio, nell’avere reso poetica la narrazione realistica. Illoro obiettivo estetico aveva molti aspetti in comune con i princi-pi zavattiniani del Neorealismo: l’osservazione e la registrazioneoggettiva degli avvenimenti della vita ‘vera’ era supportata dallarecitazione di attori non professionisti che, con la loro spontanei-tà, offrivano un’interpretazione del mondo contemporaneo con-vincente e coinvolgente.

Grierson sosteneva che il documentario doveva rielaborare ilmateriale autentico in modo creativo e artistico. Il documentario,senza rinunciare all’arte, doveva manifestare un punto di vista sullarealtà filmata.

Al cinema documentaristico degli anni Trenta-Quaranta si collegaidealmente, negli anni Cinquanta-Sessanta, il British Free Cinema(oppure British New Wave, in risposta alla Nouvelle Vague france-se) che condivide con la letteratura e il teatro degli Angry YoungMen (quasi tutti giovani autori nativi del nord dell’Inghilterra in-dustriale) l’interesse per il racconto del mondo operaio.

In questi anni è alto il numero di romanzi adattati per lo scher-mo e, come viene magistralmente illustrato dagli studi di Ray-mond Williams e Richard Hoggart sull’accesso della cultura ancheai ceti meno abbienti, vengono infrante numerose barriere: nonsolo viene rotto l’isolamento tra le contee del benestante sud (eLondra) e quelle operaie del centro e del nord, ma vengono ridi-segnati i profili e le caratteristiche delle classi sociali delle comu-nità urbane e contadine.

The Family Way (1966) di Roy Boulting (1913-2001), basato sullacommedia All in Good Time (1963) di Bill Naughton (1910-1992),è un ritratto della classe operaia del nord Inghilterra attraverso ilracconto delle difficoltà di consumare della giovane coppia, Jennye Arthur che, dopo il matrimonio, è andata a vivere a casa dei ge-nitori di lui. Presto si sparge la voce che mette in dubbio le tenden-ze sessuali del ragazzo ma circolano anche strane voci su altri com-ponenti delle famiglie dei due giovani sposi, in un crescendo di ri-dicoli pettegolezzi che mettono in risalto la mentalità rigida e tra-dizionale della gente dei ceti più modesti.

I’m All Right, Jack (1960), di Roy Boulting, è una rappresenta-zione satirica della società industriale britannica negli anni Cin-quanta: tutti i personaggi – sindacalisti, operai, dirigenti – sonotratteggiati in modo impietoso e ognuno, nel proprio campo, dimo-

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L’impegno civile del racconto realistico britannico

A PROPOSITO DI...

stra di essere incompetente, disinteressato aun dialogo costruttivo ma pronto a corrom-pere e a lasciarsi corrompere. L’operaio e sin-dacalista Fred Kite, interpretato da Peter Sel-lers, è sicuramente il personaggio più com-plesso e contraddittorio. È uno dei primi film– insieme a The Angry Silence (1960), di GuyGreen (1913-2005), la storia di un operaio,magistralmente interpretato da Richard At-tenborough, che riceve l’incarico da un diri-gente sindacale di organizzare uno scioperoma questa responsabilità lo porta ad averecontrasti con i colleghi e a condizionare ne-gativamente la sua vita familiare – a rappre-sentare sia il sindacalismo di fabbrica, sia irapporti tutt’altro che limpidi tra l’industriabritannica e un Paese del Medio Oriente quan-do viene firmato un contratto a una cifra tal-mente gonfiata da permettere a entrambe leparti di intascare la propria tangente.

La trilogia (My Childhood, 1972; My Ain Folk,1973; My Way Home, 1978) di Bill Douglas(1934-1991), regista scozzese di Edimburgo,si pone nel solco della poetica del cinema do-cumentaristico degli anni Trenta. Un autenti-co capolavoro.

Nella prima parte, Douglas racconta la do-lorosa esperienza di un ragazzo, Jamie, cheva a vivere, in condizioni di estrema povertà,con la nonna materna dopo la morte dellamadre. Jamie soffre anche di disturbi emoti-vi a causa dell’indifferenza del padre e fini-sce inevitabilmente in un istituto di correzio-ne minorile.

È solo quando va a fare il servizio milita-re, nella seconda parte, che Jamie si sente fi-nalmente libero di pensare con maggiore se-renità a se stesso. Grazie all’amicizia con uncommilitone di estrazione medio-borghese,Robert, che lo aiuta a scoprire il piacere del-la lettura, comincia a credere in un futuro mi-

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gliore e a programmare con fiducia la ricerca di un lavoro che glirestituisca dignità e stima in se stesso.

Nell’ultima parte della trilogia, Jamie manifesta il desiderio didiventare un artista e dedicarsi alla pittura e al cinema nonostan-te l’opposizione ottusa del padre e del fratello.

Lewis Gilbert (1920), più noto per avere girato tre film della seriedi James Bond (You Only Live Twice, The Spy Who Loved Me, Moon-raker), ha proposto un appassionante ritratto di donna in cerca diuna sua identità: Educating Rita (1983), una giovane parrucchierache vuole fuggire dalla propria vita incolore e, dopo essersi iscrit-ta alla Open University per seguire un corso di letteratura inglese,inizia un dialogo con il suo docente, un Michael Caine profonda-mente amaro e deluso del proprio lavoro. Rita imparerà a espri-mere in modo più articolato le sue idee e ad avere una percezio-ne più accurata di sé e dell’ambiente in cui vive. Come spesso ac-cade alle persone di estrazione sociale modesta che si avvicinanoalla cultura, Rita non si sentirà a suo agio nel mondo della bor-ghesia intellettuale (nel quale, comunque, non sente il bisogno dientrare) ma, purtroppo, non riuscirà più nemmeno a frequentare(e questo le procurerà non poca sofferenza) l’ambiente operaiosconfitto e rassegnato in cui è nata e cresciuta. Pur avendo acqui-sito una migliore consapevolezza delle proprie potenzialità, conti-nuerà a lavorare come parrucchiera, ma dovrà faticare molto percostruirsi una nuova identità e un nuovo ambiente di amicizie cheselezionerà affidandosi alla maggiore fiducia in se stessa acquisitagrazie agli studi superiori. Una cosa che, tuttavia, la renderà felicee orgogliosa di sé, sarà quella di aiutare Michael Caine a staccarsida un ambiente accademico che lo aveva intristito e demotivato ea partire per un altro Paese in cerca di nuovi stimoli.

Mike Leigh (1943) è, insieme a Ken Loach, uno dei maggiori espo-nenti della grande tradizione del realismo britannico. Il nonno pa-terno, un emigrante russo di religione ebraica che si chiamava Lie-bermann (il cognome fu trasformato in Leigh negli anni Quarantaper proteggerlo delle persecuzioni razziali naziste), gli trasmette lapassione per l’arte mentre uno zio lo avvicina all’anarchia e al comu-nismo. Abbandonata la Royal Academy of Dramatic Arts, studia di-segno e pittura, scenografia e recitazione alla London Film School.Il suo personale metodo di regia consiste nell’approfondimentodei personaggi insieme agli attori, durante le prove, per arrivaresolo in un secondo momento alla stesura di un testo definitivo.

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L’impegno civile del racconto realistico britannico

A PROPOSITO DI...

Nel 1971 realizza Bleak Moments, operasospesa tra documentario e finzione che nonottiene un’adeguata distribuzione. Privo di unatrama, ambientato in un sobborgo di Londra,racconta di una situazione di disagio e isola-mento provocata dalla mancanza di comuni-cazione tra la gente. Su tutti, emerge la figu-ra di Hilda, disperatamente sola a causa del-la sua condizione di disabile. Ma non è l’uni-ca. Molti altri sono incapaci di aprirsi. Leighsi limita a presentare situazioni commoventiin cui non succede nulla di ingiusto o di trau-matico e, tuttavia, l’atmosfera in cui sono con-finati i personaggi è opprimente per l’immo-bilismo senza speranza che si avverte a ogniinquadratura.

Meantime (1983) è il suo primo film daicontenuti più esplicitamente politici, in cuiviene rappresentata la vita quotidiana di unafamiglia operaia in cui, però, l’unica personacon un lavoro fisso è la moglie mentre il ma-rito e i figli ricevono il sussidio di disoccupa-zione. Leigh si concentra soprattutto sui duefratelli: Mark, ribelle, disilluso, cinico, sarca-stico, provocatorio, in guerra con tutti; Colin,timido, lento, impacciato, si tiene lontano daqualsiasi rapporto con la gente. Mark sem-bra prendere continuamente in giro Colin malo fa solo perché vuole proteggerlo, soprat-tutto quando il fratello si lascia trascinare daun amico skinhead. Dopo alcuni contrasti coni genitori in cui è Colin ad assumere un atteg-giamento polemico e aggressivo, i due fratel-li si allontanano ma in realtà quel momenta-neo distacco serve a entrambi per ridefinire ipropri spazi pur rimanendo fortemente lega-ti l’uno all’altro.

Nel 1988 gira High Hopes, un quadro col-lettivo di vita quotidiana nell’Inghilterra del-la Thatcher attraverso le storie di tre coppieborghesi: Laetitia e Rupert, benestanti that-cheriani ottusi e banali; Martin e Valerie, vol-

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gari nouveaux riches; e infine Cyril e Shirley i quali, timidamentelaburisti in un ambiente sempre più becero e intollerante versovalori come la solidarietà, visitano spesso la tomba di Marx nel ci-mitero di Highgate. È una commedia anti-thatcheriana, caustica,a volte caricaturale più che satirica, sostenuta da una ‘rabbia po-sitiva’ che ridicolizza vizi e difetti della piccola e media borghesiabritannica.

Nel 1990 realizza Life Is Sweet, un quadro di ‘ordinaria tensio-ne’ in un ambiente familiare di modesta condizione economica manon indigente. La crisi esplode quando il padre – che non si rendeconto di avere una figlia bulimica – decide di comprare un furgon-cino per la vendita all’aperto di hot dog e gelati. La moglie devearmarsi di infinita pazienza per riuscire a ricomporre i pezzi di unafamiglia che solo in apparenza era unita e in cui ognuno covava, nelproprio intimo, risentimenti e frustrazioni generati dalla distortapercezione dei loro rapporti.

Nel 1992 Leigh gira Naked, storia di emarginati in una Londracupa. Arrivato da Manchester, Johnny, un ribelle che non è a suoagio nemmeno nell’ambiente operaio in cui è nato, vagabonda perla città e incontra personaggi allo sbando. Johnny cova un rancoresordo di cui lui stesso non sa spiegare la causa, e che manifesta infrequenti scoppi d’ira verso le persone che gli sono vicine. La suarabbia non è politica, non ha un vero bersaglio su cui sfogare ilsuo livore, è solo una disperata ricerca di una propria identità chesi risolve in una penosa accettazione della propria sconfitta in unadesolata Londra sottoproletaria.

Nel 1996 Leigh gira Secrets And Lies, forse il suo film più noto.Alla morte dei genitori adottivi, una giovane donna nera decide dicercare la madre naturale. Scopre che è una donna bianca, fragi-le, con un’altra figlia ventenne, infelice e aggressiva, e un figliosbandato. La sua comparsa nella vita di questa famiglia scombina-ta fa emergere problemi da lungo tempo irrisolti. È un drammapsicologico raccontato con compostezza, una rappresentazione deldolore priva di interpretazioni pseudo-psicanalitiche che aggiraogni forma di pregiudizi – soprattutto quelli legati al colore dellapelle.

Nel 2004, Leigh gira Vera Drake, storia ambientata nella Lon-dra degli anni Cinquanta. La protagonista fa la donna delle pulizie,vive un’esistenza modesta ma serena con il marito e i due figli,tutti operai. Vera, però, ha un’attività non retribuita che svolge perdare sostegno e solidarietà a ragazze che, a causa di una gravidanzanon voluta, non sanno a chi rivolgersi per abortire. Consapevole

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L’impegno civile del racconto realistico britannico

A PROPOSITO DI...

dei rischi medici e legali, Vera accetta quel com-pito ingrato pur di non lasciare nella dispera-zione giovani donne abbandonate.

Il cinema di Mike Leigh è popolato di gen-te comune che si scontra con i problemi veridel lavoro e dello sfruttamento in una socie-tà malata. È un cinema dai toni sommessi masempre attento alla realtà

Alan Clarke (1935-1990), purtroppo scompar-so prematuramente, inizia il suo tirocinio diregista insieme a Ken Loach. Viene ricordatosoprattutto per la sua trilogia sulla violenzagiovanile in Gran Bretagna: Scum (1977), ri-tratto sconvolgente di due giovani disadatta-ti dopo essere stati in un carcere minorile;Made in Britain (1983), storia di Trevor, skin-head sedicenne con il tatuaggio di una sva-stica sulla fronte, il cui unico obiettivo è com-piere furti e aggredire coetanei appartenentia minoranze etniche: totalmente refrattarioa qualsiasi tentativo di dialogo con l’assisten-te sociale che cerca di recuperarlo alla socie-tà, il ragazzo è intelligente e sa esporre coninattesa dialettica le ragioni della sua rabbiaesistenziale; The Firm (1988), la vicenda di Bis-sell, un giovane appassionato di calcio che siscatena il sabato in atti di violenza alla finedelle partite senza un motivo reale, dato cheè un agente immobiliare benestante: il suoimpulso a colpire il prossimo trova un alibi inuna moralità distorta, favorita dal mito delsuccesso e dall’istinto di sopraffazione sdo-ganati dall’era thatcheriana, ma Bissell ne pa-ga le conseguenze venendo ucciso, senza unaragione, da un hooligan appartenente a unabanda nemica.

Di Stephen Frears (1941) ricordiamo in que-sta rassegna soprattutto un film che propo-ne un quadro provocatorio della società con-servatrice thatcheriana degli anni ‘80: My

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Beautiful Laundrette (1985). Omar, figlio di un giornalista pakista-no che vive a Londra ma odia la politica estera britannica, trova piùfacile dialogare con lo zio, qualunquista ma attivissimo imprendi-tore all’interno della comunità asiatica di Londra, che gli affidal’incarico di gestire una lavanderia. Quando Omar viene aggreditoda estremisti di destra xenofobi, uno del gruppo cambia atteggia-mento e si mette dalla sua parte per difenderlo: è un suo vecchiocompagno di scuola, Johnny, con il quale Omar aveva avuto un rap-porto omosessuale. I due si riavvicinano e, a questo punto, Frearssoffia sul fuoco della polemica per vedere la reazione dell’opinio-ne pubblica operando un provocatorio ribaltamento dei ruoli so-ciali: Omar, figlio di immigrati dalle ex colonie britanniche ormaitranquillamente integrato nella società inglese, propone a John-ny, giovane disoccupato finito forse non per sua volontà in un mo-vimento fascista e xenofobo, di lavorare con lui. Questa collabora-zione non viene vista di buon occhio da nessuno. In effetti, anchei pakistani non sono inclini alla mediazione. Salim, parente di Omar,disprezza gli operai britannici e un giorno tenta di investirne alcu-ni. Un gruppo di ragazzi punk decidono di punire Salim ma Johnnylo soccorre nonostante il reciproco disprezzo. La spirale di rappre-saglie non si ferma e gli amici xenofobi di Johnny decidono di pu-nire anche lui ma arriva Omar a salvarlo dal pestaggio. Il film fini-sce con i due giovani che si curano amorevolmente le contusionie rovesciandosi gioiosamente addosso dell’acqua.

… continua...

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FILO-LOGICO

Il termine entusiasmo, dal greco antico en-thusiasmòs, è formato da en (in) e theos (dio).Si può tradurre: con Dio dentro di sé, o con ilfilosofico-religioso indiamento, che propria-mente significa il far parte della natura divi-na, o ancora invasamento divino.

La parola nella storia della cultura hapreso connotazioni diverse anche se oggi,indubbiamente, il primo riferimento quan-do si parla di entusiasmo va a Nietzsche e aDioniso. In tutta la cultura greca antica lacondizione essenziale è una esaltazione fi-sica e psichica di chi afferma e/o mostra diessere posseduto da un dio. Ciò rendeva lapersona folle e infatti la follia non era con-siderata un male o non lo era necessaria-mente, ma era ritenuta un dono degli dei.Un esempio è la follia delle Sibille che pro-fetavano ispirate da un dio.

La complessità dell’argomento è affron-tata anche da Platone che nel Fedro parla didelirio o, in altre traduzioni, di mania. Leforme di delirio sono due, “[...] uno prodot-to dall’umana debolezza, l’altro da un divi-no straniarsi dalle normali regole di condot-ta”, e quattro sono i tipi di delirio divino:l’ispirazione profetica attribuita ad Apollo,quella mistica a Dioniso, alle Muse l’ispira-zione poetica e il delirio d’amore, “il più al-

to”, attribuito ad Afrodite e a Eros (1). Quel-lo dionisiaco ha la funzione, in Platone enon solo, di evasione temporanea dall’ordi-ne costituito o, se si preferisce, dalla nor-malità per ritrovare la salute e con ciò rein-tegrarsi nell’ordine stesso.

Per altro le tesi di Platone, in particolarei temi legati all’ispirazione poetica, ebberolarghissima fortuna e hanno avuto una lun-ga storia, tanto che si ritrovano nell’Anoni-mo Il Sublime, quindi in Plotino e da lì nelneoplatonismo umanistico-rinascimentale.Anzi, proprio la triade entusiasmo-arte-i-dee caratterizza il pensiero del Quattrocen-to e del Cinquecento e passa ai secoli suc-cessivi (2).

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ENTUSIASMODI FELICE BONALUMI

_________________________________________________________1) Citazione e riferimenti da Platone, Fedro, La-terza, 2000, 3ª ed, 265a-265b. Per altro se è in-dubbio che nella storia del pensiero è Platone ilpunto di riferimento, egli non è il primo a parla-re di entusiasmo e, per esempio, così il fram-mento 18 di Democrito: “Bello è assai tutto ciòche un poeta scrive in stato di entusiasmo e agi-tato da un afflato divino”, I Presocratici. Testimo-nianze e frammenti, Laterza, 1986, 3ª ed, tomo II,p. 7562) Come semplice indicazione, tra i tanti autoriforse Marsilio Ficino è il più interessante e com-plesso in quanto unisce l’entusiasmo platonico equello aristotelico o, forse meglio, a quei testi al-lora attribuiti ad Aristotele

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Così l’Anonimo che, ricordo, venne ri-scoperto nel corso del Cinquecento: “Nonesiterei infatti ad affermare che nulla con-tribuisce alla grandezza dell’espressionequanto una nobile passione nel momentoopportuno, come se una divina follia eun’ispirazione esaltata animassero le paro-le, quasi riempiendole del soffio divino diFebo” (3).

Alla scarsa importanza che l’entusiasmoha in Aristotele (4), corrisponde una analo-ga freddezza nella cultura latina in genera-le e anche in Orazio, per esempio, coincidecon l’ispirazione poetica. Semmai è Plutar-co che, recuperando il Fedro platonico, in unmomento di ripresa storica del santuario diDelfi, cerca da un lato di salvare e dall’altrodi riproporre la centralità e la grandezzadell’ispirazione profetica ai suoi tempi (acavallo tra il I e il II secolo d.C.), non più inversi ma in prosa. Così ne Gli oracoli della

Pizia: “Se i responsi fossero scritti anzichépronunciati, non vorremmo certo conside-rare le lettere stesse opera del dio, e critica-re poi che siano scritte in modo meno ele-gante delle epistole regali. Non al dio ap-partengono infatti la voce, la pronuncia, lostile e il metro, bensì alla donna. Egli si li-mita a suscitare in lei le visioni, e fa lucenell’anima sua riguardo al futuro: questo èl’invasamento profetico. [...] Alle profetesseantiche rinfacciate di avere composto versimediocri, e a quelle moderne di pronuncia-re vaticini in prosa e con espressioni cor-renti [...]” (5).

Il tema dell’entusiasmo torna con il cri-stianesimo attraverso il concetto di riempi-mento, definito più correttamente battesimoo discesa dello Spirito Santo. Viene anchedata una tecnica: la preghiera continua, lepratiche ascetiche e la contemplazione por-tano a essere ispirati dallo Spirito Santo che

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______________________________________________________________________________________________________________________3) Anonimo, Il Sublime, a cura di Giulio Guidorizzi, Mondadori, 1991, VIII, p.554) Nel filosofo greco è più importante la meraviglia. L’entusiasmo, per esempio, trova spazio nellaPolitica con riferimento alla musica, in particolare in VII, 5 e così in VII, 7: “Tutto il delirio dionisiacoe tutta l’agitazione di tal sorta trova espressione tra gli strumenti soprattutto negli auli, e tra i modimusicali prende quel che gli conviene nei canti frigi [...]”, cito da www.centrogramsci.it/classici/pdf/politica_aristotele.pdf5) Plutarco, Gli oracoli della Pizia, in Dialoghi delfici, Adelphi, 1983, pp. 170-171

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FILO-LOGICO

scaccia lo spirito malvagio o demoniaco chetrova posto in ogni uomo dopo il peccatooriginale. Ma queste posizioni riguardanosoprattutto gruppi come il Montanismo (o-riginario della Frigia in Anatolia nel II se-colo, ma sopravvissuto seppure in zone iso-late fino all’VIII secolo) e i Messaliani (con-dannati come eretici al concilio di Efeso nel431), mentre nel pensiero cristiano ortodos-so prevale l’esperienza mistica che si presen-ta come più complessa (6).

Con la definitiva uscita dal Medioevo ela nuova cultura fra ‘500 e ‘600 il tema del-l’entusiasmo torna ad avere un ruolo menomarginale, inizia a prendere anche conno-tazioni negative e, soprattutto, viene com-pletamente laicizzato. All’inizio di questoprocesso si può porre Giordano Bruno,perché l’eroico furore rivolto alla vita con-templativa implica un impegno attivo delsoggetto, una ricerca interiore: “Non certoè [...] alzar alto le mani, menar i passi altempio, intonar l’orecchie de simulacri […]ma venir al più intimo di sé, considerandoche Dio è vicino, con sé e dentro di sé, piùch’egli medesimo essere non si possa [...]”(7).

L’uomo al centro dell’agire è anche il te-ma di tutta la filosofia dei secoli XVII eXVIII e nel momento in cui l’agire è rivolto

esclusivamente alla conoscenza, anzi, aiconfini delle possibilità di conoscere, l’en-tusiasmo viene sentito come un ostacolo,tanto che John Locke nel quarto libro delSaggio sull’intelletto umano al capitolo XIXintitolato Dell’entusiasmo, scrive: “Per quan-to non sia fondato né sulla ragione né sullarivelazione divina, ma nasca dalla presun-zione di una testa calda e arrogante, agisce,una volta che ha preso piede, sulle persua-sioni e le azioni degli uomini più potente-mente della ragione o della rivelazione o dientrambe [...]” (8).

Entusiasmo, fantasie, errori da questomomento vanno di pari passo. Viene salva-ta l’ispirazione poetica e, più in generale,un modus operandi positivo rivolto a una de-terminata azione o a un determinato ramodel sapere, come la capacità retorica piutto-sto che l’interesse verso la filosofia. Così ènella Lettera sull’entusiasmo di Shaftesburyche alla domanda: “Come mai quel tono en-tusiasta, che appare così grazioso in un an-tico, sia così insipido e goffo in un moder-no”, risponde: “[...] la verità è la forza piùgrande del mondo, tanto che perfino i pro-dotti della fantasia devono essere guidatida essa, e possono piacere solo in quanto lerassomigliano” (9).

Insomma, un entusiasmo moderato ca-

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______________________________________________________________________________________________________________________6) Almeno tre sono le dimensioni dell’esperienza mistica, soprattutto nel primo cristianesimo: la di-mensione biblica che fa riferimento alle Sacre Scritture e alla loro interpretazione nascosta o allegori-ca; la dimensione liturgica, cioè il mistero della presenza di Cristo nell’Eucarestia; e la conoscenza diDio contemplativa o esperienziale. Ricordo che il termine misticismo significa nascondere7) Giordano Bruno, De gl’eroici furori, parte seconda, dialogo primo, IV, p. 130, in www.letteraturaita-liana.net/pdf/Volume_5/t113.pdf8) John Locke, Saggio sull’intelletto umano, libro IV, cap. XIX, 7, p. 7969) Per comodità cito da Shaftesbury, Lettera sull’entusiasmo, a cura di Eugenio Garin, Fussi, 1948, p. 28

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ENTUSIASMO

ratterizza i nuovi tempi ed è quello che tro-viamo negli Illuministi ma anche in Kant.Se in Voltaire “è soprattutto il retaggio del-la religiosità male intesa” ed “è come ilvino: può suscitare tanto tumulto nei vasisanguigni e così violente vibrazioni neinervi, che la ragione ne viene ottenebrata”(10), in Diderot la condanna è più esplicitae totale, tanto che anche un grande attore,per il filosofo francese, deve essere un ra-zionalista: “[...] e a teatro, con quello che sichiama sensibilità, entusiasmo, passione, sipotranno fare una o due buone tirate, e fal-lire in tutto il resto; abbracciare nel suo in-sieme una parte di rilievo [...] mostrarsicoerenti [...] riuscire vari nei particolari [...]questo è opera di una mente fredda, di unaprofonda intelligenza, di un gusto squisito,di uno studio faticoso, di una lunga espe-rienza, di una memoria straordinariamentetenace” (11).

Da parte sua Kant distingue fanatismoed entusiasmo e lo fa, per esempio, in unanota delle Osservazioni sul sentimento delbello e del sublime: “Il fanatismo deve sempreesser distinto dall’entusiasmo. Il primo cre-de di sentire una comunione diretta e straor-dinaria con una più alta natura, questo

esprime lo stato di un uomo per qualcheragione eccitato fuori dalla norma conve-niente” (12).

Ci si potrebbe aspettare un ritorno del-l’entusiasmo in ambito romantico, che in-vece lo interpreta come un residuo dell’ir-razionalità ancestrale mai completamenteannullata dalla ragione. Insomma, i primi-tivi bestioni di vichiana memoria devonoancora oggi usare la ragione per moderarel’entusiasmo. Rimane, anzi per Schelling èindispensabile, nell’arte (13), e così difendela poesia Shelley: “La poesia non è come laragione, una capacità che si esercita secon-do la determinazione della volontà; un uo-mo non può dire: «Io voglio comporre poe-sia». Neanche il più grande poeta può dir-lo; la mente nella fase creativa è come uncarbone che si sta spegnendo, al quale qual-che influenza invisibile, come un vento in-costante, restituisce una luminosità passeg-gera; questo potere sorge di dentro [...] e leparti coscienti della nostra natura non pos-sono predire né quando viene né quandova” (14).

L’Ottocento è naturalmente segnato daNietzsche e dal suo La nascita della tragedia.Senza entrare nella storia che Dioniso e il

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______________________________________________________________________________________________________________________10) Voltaire, Dizionario filosofico, alla voce Entusiasmo. Con la conclusione della necessità di un “entu-siasmo ragionevole [che] è il dono dei grandi poeti”11) Denis Diderot, Paradosso dell’attore, in Scritti di estetica, a cura di Guido Neri, Feltrinelli, 1957, p.64. Diderot in questo testo sottolinea più volte l’ineguale resa “degli attori che recitano di sentimen-to” (p. 6) perché la “sensibilità non è mai disgiunta da una certa debolezza di organizzazione” (p. 9)12) Immanuel Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, Rizzoli, 2006, 7ª ed., p. 132, nota17. Corsivi nel testo13) “Non l’arte, ma l’entusiasmo musicale fa l’artista”, Frammenti sulla poesia e sulla letteratura, V, 36, inFriedrich Schelling, Frammenti critici e poetici, a cura di Michele Cometa, Einaudi, 1998, p. 11714) Percy Bysshe Shelley, Difesa della poesia, Rusconi, 1999, p. 131 e p. 133

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FILO-LOGICO

dionisiaco hanno nell’evoluzione del pen-siero di Nietzsche (15), i tre temi con cui ilfilosofo tedesco affronta l’intero argomentosono la sopportazione del dolore, l’estasi ela rinascita. La seconda ha la funzione di li-berazione verso il superamento del princi-pium individuationis. L’ebbrezza dionisiaca,che è il riappropriarsi della vita, rimanesempre in Nietzsche il fondo abissale del-l’esistenza ed è ciò che Socrate ha tentato diuccidere. Per evidenti ragioni di spazio unasola citazione: “L’estasi dello stato dionisia-co con il suo annientamento delle barrieree dei limiti abituali dell’esistenza contieneinfatti, mentre dura, un elemento letargicoin cui si immerge tutto ciò che è stato vis-suto personalmente nel passato. Così, perquesto abisso di oblio, il mondo della realtàquotidiana e quello della realtà dionisiacasi separano” (16).

Una lunga storia il cui risultato è tuttavial’espulsione della parola entusiasmo dal lin-guaggio filosofico (17). Rimane, con unruolo tutto sommato molto marginale, inpsicologia dove la personalità entusiasta èdefinita come particolarmente eccitabile,sempre indaffarata e piena di energia. Conun rischio: il suo eterno attivismo può ma-scherare la paura di essere deluso e per

questo il soggetto tende a non approfondi-re mai i propri interessi. In altre parole:l’entusiasta è vicino alla sindrome di PeterPan. Gli viene associato anche un colore edè il giallo.

Poco interessante scientificamente, mol-to nella comunicazione, soprattutto genera-lista dove la parola è ampiamente usata, an-zi stra-usata, ed è una sorta di sinonimo e diconferma che viviamo nel migliore dei mon-di possibili e che tutto va bene. Non man-cano i siti con consigli per mantenere vivol’entusiasmo nella coppia o per ritrovarlonella monotonia della routine quotidiana evia dicendo.

Devo ora scoprire le mie carte. Avevoun file di appunti sul concetto di entusia-smo, di cui in realtà mi ero dimenticato;poi navigando in rete sono capitato sul sitodi Nutella alla pagina https://www.nutella.com/it/it/un-amore-da-record dove, con pa-recchie foto, viene raccontato un nuovo ca-pitolo de La storia più dolce e più lunga delmondo! Un’operazione di marketing che u-nisce la baguette, il pane più famoso delmondo – e in questo caso la sua lunghezzaè stata di 122 metri – e la Nutella, il tutto il18 ottobre 2015 all’Expo di Milano. Quelloche mi ha colpito è l’abbondante uso, in po-che righe, della parola entusiasmo, a co-

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______________________________________________________________________________________________________________________15) I tre testi da prendere in considerazione sono per lo meno, oltre a La nascita della tragedia, Umano,troppo umano, L’Anticristo e i Frammenti del 187016) Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, in Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M.Montinari, Adelphi, 1976, 2ª ed, vol. III, tomo I, p. 55. Corsivo nel testo17) Basti quanto scrive alla voce Entusiasmo il Dizionario critico di filosofia della Società francese di filo-sofia, rivisto da André Lalande, ISEDI, 1926 in edizione francese e 1971 in edizione italiana: “Questotermine si usa attualmente solo per indicare una viva ammirazione, o un grande slancio morale ver -so la realizzazione di una idea. Ha perduto ogni carattere tecnico in filosofia”

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ENTUSIASMO

minciare da “un dream team di panettieriitaliani e francesi che con il loro entusia-smo [...]” fino al raggiungimento di “un nuo-vo, entusiasmante primato!”.

Laicizzato e indirizzato verso un obiet-tivo concreto e unico, non rimane che ac-cettare che la nostra vita sia un insieme diazioni entusiasmanti, come vuole il miglio-re dei mondi possibili!

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CINEFORUM

Il 3 maggio 2013 Glenn Greenwald, giornalista del Guar-dian, e Laura Poitras, documentarista, si trovano a HongKong per incontrare Edward Snowden, agente esternodella NSA (National Security Agency) deciso a denuncia-re il controllo di massa perpetuato per anni dall’intelli-gence statunitense nei confronti di tutto il mondo. Il 5giugno successivo viene pubblicato il primo di una seriedi articoli, avente come oggetto i rapporti tra la societàdi telecomunicazioni Verizon e la NSA. Il tribunale Fisa(Foreign Intelligence Surveillance Act) aveva infatti emes-so un’ordinanza segreta che obbligava la prima a cederealla seconda i tabulati telefonici di tutti i suoi clienti ame-ricani. Subito si mette in moto la macchina mediatica, eil giorno seguente il Washington Post anticipa di pochiminuti il Guardian, facendo uscire un articolo su Prism,un programma di sorveglianza elettronica attivo dal 2007,in grado di catturare e raccogliere miliardi di dati e me-tadati in transito per il web (contenuto delle email, indi-rizzi di posta elettronica, numeri di telefono, chat, smsecc.). Ciò è reso possibile dalla complicità delle impreseprivate che hanno permesso alla NSA di accedere ai loroserver, tra cui Facebook, Google, Apple, Youtube, Skype,Microsoft, Yahoo! e Aol. Del 7 giugno è invece l’articoloche rende nota una segretissima direttiva presidenziale,firmata da Obama nel novembre 2012, in cui si ordina alPentagono e ad altre agenzie di prepararsi a condurreuna guerra telematica in tutto il mondo. Sempre sulle pa-gine del Guardian, l’8 giugno è la volta di Boundless In-formant, un programma che permette l’archiviazione dimiliardi di telefonate ed email effettuate attraverso le strut-

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Snowdenregia di Oliver Stone

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Iacopo Adami

UNA DITTATURA CHIAVI IN MANORecensione del film Snowden di Oliver Stone

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ture di telecomunicazione americane – una prova del fat-to che i portavoce della NSA avevano mentito al Con-gresso, sostenendo che quei dati non venivano catalogatie perciò il loro numero non poteva essere calcolato. Infi-ne il 9 giugno viene pubblicato un approfondimento suSnowden, unitamente a un’intervista filmata e una con-versazione per iscritto con Ewen MacAskill, altro giorna-lista del Guardian unitosi al trio in seguito all’inizialecontatto tra Snowden, Greenwald e Poitras.

Svelare l’identità della propria fonte può sembrareuna decisione assurda, ma in accordo con le intenzionidi Snowden. Infatti, così facendo, si conferisce più po-tenza al messaggio in quanto assume il significato di unasfida aperta alle istituzioni statunitensi. Secondo le paro-le di Greenwald nel suo libro vincitore del premio Puli-tzer 2014 No place to hide. Sotto controllo: “Nel corso degliultimi dieci anni il governo statunitense aveva lavoratosodo per dimostrare l’estensione illimitata del suo pote-re. Aveva scatenato guerre, torturato e incarcerato gentesenza precisi capi di imputazione, bombardato obiettivicon i droni per eliminare persone scomode senza proces-so; e nessuno poteva sentirsi al sicuro se parlava di quel-le cose: il governo aveva vessato e processato le talpe cheavevano fatto trapelare informazioni, e più di un giorna-lista era stato arrestato e minacciato. Trasmettendo unben calibrato messaggio di intimidazione a chiunque po-tesse decidere di remare contro, il governo si era adope-rato in ogni modo per dimostrare ai cittadini di tutto ilmondo che il suo potere era assoluto e senza vincoli le-gali, etici, morali o costituzionali: guardate che cosa possia-

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“Un cellulare è un congegno di rintracciamento chefa anche telefonate.”Julian Assange,Internet è il nemico

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CINEFORUM

mo fare e faremo a chi ci mette i bastoni trale ruote. Snowden aveva sfidato a visoaperto quella logica intimidatoria” (1).

Vi è inoltre un’altra motivazione diordine etico: Snowden non voleva checerti suoi colleghi fossero sospettati eindagati, così si era preoccupato, nelmomento in cui scaricava i documentisu delle chiavette USB, di lasciare unatraccia elettronica dei suoi accessi allarete della NSA, in modo da permetterea quest’ultima di risalire subito a lui.Tuttavia la sua intenzione non è certofinire in una prigione della Cia, dovelo attenderebbe un processo al di fuoridella legge. È ben consapevole di que-sta possibilità, ma è comunque deciso anon farsi arrestare. Dopo alcuni giorni,avendo come destinazione l’Ecuador,Snowden si imbarca su un aereo conscalo in Russia, ma a questo punto gliStati Uniti gli revocano il passaporto, elui resta bloccato a Mosca, che gli offreasilo.

La sua storia, le motivazioni che lohanno spinto a sacrificare la propria vi-ta alle Hawaii, dove lavorava come col-laboratore della Booz Allen Hamilton(azienda privata specializzata in tecno-logia informatica e servizi per la dife-sa, consulente della NSA), molti detta-gli inerenti al contenuto dei documentiportati all’attenzione dell’opinione pub-blica sono stati descritti, oltre che dagliarticoli di Greenwald e MacAskill, an-

che dal bellissimo documentario Citi-zenfour girato da Laura Potrais proprionel corso dei suoi giorni a Hong Kongin compagnia di Snowden. Mancavatuttavia sul grande schermo un’operadi ampio respiro, che mostrasse il suopercorso di coscienza maturato nell’ar-co di nove anni, dal 2004, quando si tro-vava al campo di addestramento mili-tare Fort Benning e aveva intenzione dientrare nell’esercito per andare a com-battere in Iraq, alla sua decisione nel2013 di denunciare le operazioni segre-te della NSA. In questo senso, il film diOliver Stone, con Joseph Gordon-Le-vitt nella parte di Snowden, costituisceun’importante riflessione sull’aspetto u-mano della vicenda.

Naturalmente, oltre alla ricostruzio-ne storica, sono presenti anche alcuneinvenzioni narrative, che servono a sin-tetizzare determinati momenti della tra-ma o evidenziare in chiave simbolicacerti aspetti tematici. È il caso della tro-vata molto efficace di battezzare Cor-bin O’Brian (Rhys Ifans) il mentore ne-gativo di Snowden, l’istruttore capopresso il centro di addestramento dellaCia a The Hill, Virginia. O’Brian è in-fatti anche il nome del principale anta-gonista di Winston Smith in 1984 diGeorge Orwell. Anche in questo casola sua funzione è ambigua: se da unaparte è un fervente sostenitore dellaNSA e della sorveglianza globale – ba-sti pensare alla sua massima: “La se-gretezza è sicurezza, e la sicurezza èvittoria” – dall’altra aiuta indirettamen-te Snowden ad aprire gli occhi su mol-

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___________________________________________________1) Gleen Greenwald, No place to hide. Sottocontrollo, Rizzoli, 2014

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Una dittatura chiavi in mano

te cose, a distinguere l’etica ufficiale daquella non ufficiale.

Fin dal primo colloquio tra i due –quando Snowden, in seguito a un inci-dente durante un’esercitazione milita-re, viene considerato non idoneo a quel-la carriera, e fa allora domanda per en-trare nella Cia – questo rapporto risul-ta evidente. Quando gli viene chiesto ilmotivo per cui avrebbe voluto arruo-larsi nelle forze speciali, Snowden ri-sponde: “Adoro il loro motto: De op-pressor liber”. La reazione di O’Brian èsarcastica: “Questo spera di fare connoi? Liberare gli oppressi?”. Sempre inquesto ambito è contenuto inoltre unchiaro indizio sul carattere di Snow-den e la sua futura scelta di denuncia-re la NSA. Alla domanda su quali sia-no le sue figure di riferimento, men-ziona, tra gli altri, Ayn Rand. SubitoO’Brian ne cita una frase: “Un solouomo può fermare il motore del mon-do”. Snowden dichiara di esserne con-vinto.

In un’altra scena, O’Brian gli parlaschiettamente dei veri obiettivi dellaguerra in Iraq e quelli del controllo glo-bale esercitato dalla NSA: “Tra ven-t’anni l’Iraq sarà un buco nero di cui anessuno importerà. Il terrorismo è unaminaccia a breve termine. Le vere mi-nacce arriveranno da Russia, Cina, Iran,sotto forma di attacchi informatici emalware. Senza menti come la tua, que-sto Paese verrà fatto a pezzi nel cyber-spazio. Non voglio rischiare di perder-ti per qualche guerra insulsa per sab-bia e petrolio”. Un discorso tanto più

carico di implicazioni, se si pensa cheper anni l’attività di spionaggio dell’in-telligence statunitense è stata giustifi-cata in base al Patriot Act emanato do-po l’11 settembre 2001. Ma basta dareun’occhiata a certi documenti della NSAriportati nel sopracitato libro di Green-wald per convincersi che le cose stan-no in tutt’altro modo.

A titolo di esempio, uno datato a-gosto 2010 prova che gli Stati Unitispiavano otto membri del Consiglio disicurezza dell’Onu, ottenendo così in-formazioni preziose sulle intenzioni divoto dei Paesi da essi rappresentati –tra cui Francia, Brasile, Giappone e Mes-sico, generalmente considerati amici –in previsione di una successiva risolu-zione su altre sanzioni da destinare al-l’Iran. Si capisce dunque come, dietroallo specchietto per le allodole dellaguerra al terrorismo, si nascondanomotivazioni economiche, diplomatichee militari volte a ottenere un vantaggiodegli Stati Uniti su tutto il resto delmondo. Come afferma lo Snowden diOliver Stone: “Ti ordinano anche di se-guire i maggiori leader mondiali o capidi industria. Segui da vicino accordicommerciali, scandali sessuali, dispac-ci diplomatici per dare agli Stati Unitiun vantaggio nei negoziati G8 o unaleva da usare nelle compagnie petroli-fere brasiliane o per aiutarli a far cade-re un leader del Terzo mondo che nonsta al gioco. E, alla fine, la verità si fastrada e capisci che non importa qualegiustificazione ti dai. Il terrorismo nonc’entra. Il terrorismo è la scusa. Qui si

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parla del controllo economico e socia-le. E l’unica cosa che stai davvero pro-teggendo è la supremazia del tuo go-verno”.

Alla luce di ciò, pensare di essereesenti da tale sorveglianza perché si èuna persona comune, non si è mai fat-to nulla di male e non si ha niente danascondere sarebbe un’ingenuità. Sem-pre citando le parole di Snowden: “Di-ciamo che il tuo bersaglio è un equivo-co banchiere iraniano che opera daBeirut, okay? Tu tieni sotto controllotutte le sue cose, ma stai sorvegliandoanche tutte le persone con cui parla,compreso – che ne so – suo cugino cheè solo un dentista che vive a Buffalo. Eallora tu devi sorvegliare anche tutti isuoi contatti. E, quando arrivi al terzopassaggio dal tuo obiettivo iniziale, staisorvegliando una barista che chiac-chiera di Botox con la madre. Perché atre passaggi da chiunque abbia, dicia-mo, quaranta contatti, stai controllan-do due milioni e mezzo di persone. Earriva un momento in cui improvvisa-mente sei colpito dalle dimensioni del-la cosa. La NSA sta veramente trac-ciando tutti i cellulari del mondo. Nonimporta chi sei: ogni giorno della tuavita sei dentro un database, pronto per

essere spiato. Non soltanto terroristi,nazioni o grandi aziende, ma tu”.

Non per niente, nel film di OliverStone il percorso di coscienza di Snow-den giunge a completa maturazionequando O’Brian gli fa capire che persi-no lui e Lindsay Mills (Shailene Wood-ley), la sua ragazza, si trovano sottosorveglianza tattica – dunque, non rac-colta passiva, ma spionaggio integrale,compresa la possibilità di avere dellecimici in casa (2). Molto suggestivo inquesta scena il fatto che il colloquio traSnowden e O’Brian si svolga attraver-so lo schermo di una sala riunioni.Quando O’Brian avvicina il volto allatelecamera sembra un gigante rispettoall’essere umano in carne e ossa, e ciò,oltre a richiamare i teleschermi orwel-liani, suggerisce il carattere titanico del-l’impresa di Snowden: un solo indivi-duo contro la NSA e il governo degliStati Uniti, come Davide contro Golia.

A ogni modo, prima di questo mo-mento decisivo, ce n’erano stati altri incui Snowden aveva espresso un atteg-giamento critico nei confronti della NSA.Basti pensare a quando viene a sapereche un programma di backup da luiideato per prevenire crolli catastroficidei siti, Epic Shelter, viene ora utilizza-

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___________________________________________________________________________________________________________2) Come spiega Andy MüllerMaguhn in Internet è il nemico. Conversazione con Jacob Appel-baum, Andy Müller-Maguhn e Jérémie Zimmermann (Julian Assange, Feltrinelli, 2013): “[...] itermini più usati per descrivere i capisaldi del settore sono approccio ‘tattico’ e approccio‘strategico’. Tattico significa in questo momento, in questa riunione dobbiamo piazzare delle cimi-ci sul posto, dobbiamo inserire qualcuno con un microfono o un giubbotto con i fili, oppure installa-re su un’auto sistemi di sorveglianza GSM (Global System for Mobile communications) in grado diintercettare al volo quel che dice la gente senza bisogno di interagire con l’operatore di rete, ottenereun mandato o roba del genere, senza procedure legali, basta farlo . L’approccio strategico è farlo didefault, registrare tutto e poi setacciare usando strumenti analitici”

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Una dittatura chiavi in mano

to negli attacchi coi droni. L’antennamontata su questi ultimi permette in-fatti di geolocalizzare qualsiasi trasmis-sione radio. In pratica, chiunque stiautilizzando un cellulare in determinatezone calde del pianeta, come per esem-pio l’Iraq, può diventare un bersaglio.Impossibile sapere se si tratti effettiva-mente di un militare o un civile, maquesto è irrilevante per i capi di Snow-den. Gli attacchi si svolgono come inun videogioco, ed è proprio questa lacaratteristica più disumana dell’utiliz-zo di droni in guerra: il distacco che sicrea tra l’uccisore e la vittima, degra-data a semplice figurina che si muovesu uno schermo. Da quella distanza, èimpossibile sentire il rumore delle esplo-sioni e le grida di chi agonizza colpitoa morte.

Ciò serve a introdurre nel film diOliver Stone un altro tema di centraleimportanza, quello della responsabili-tà. Non per niente, durante una festa,Snowden ricorda ad alcuni suoi colle-ghi il processo di Norimberga. Se è ve-ro che nel primo vennero impiccati sol-tanto i capi nazisti, nel secondo a esse-re condannati a morte furono giudici,poliziotti, medici, avvocati, guardie ecc.“Persone normali che facevano il lorolavoro eseguendo gli ordini” precisaSnowden. “Da qui i principî di Norim-berga che l’Onu ha fatto diventare leg-ge internazionale, nel caso che lavoriordinari diventino criminali di nuovo”.Una riflessione affrontata anche da Zyg-munt Bauman in Modernità e Olocausto,dove, citando Herbert C. Kelman, af-

ferma: “[...] le inibizioni morali che im-pediscono di commettere atrocità vio-lente tendono a essere erose in presen-za di tre condizioni, prese singolarmen-te o nel loro insieme: quando la violen-za è ‘autorizzata’ (da ordini ufficiali pro-venienti da istanze investite di autoritàlegale), quando le azioni violente sono‘routinizzate’ (da pratiche rispondentia norme e da una precisa definizionedei ruoli) e quando le vittime della vio-lenza vengono ‘disumanizzate’ (graziea una definizione e a un indottrinamen-to di carattere ideologico)” (3). Ed è mol-to pregnante, a livello simbolico, il fat-to che nella scena sopra descritta alcu-ne persone si stiano divertendo con undrone giocattolo, richiamo a quelli mi-litari, e che questo precipiti improvvi-samente, in seguito al discorso di Sno-wden.

Altre fasi precedenti della sua pre-sa di coscienza riguardano l’utilizzo dicerti programmi della NSA, comeXKEYSCORE e OPTIC NERVE. Il pri-mo consiste in una sorta di motore diricerca, ma anziché trovare solo ciò cheè pubblico permette di accedere ai datipersonali di chiunque. Il secondo, idea-to dal GCHQ (Government Communi-cation Headquarters), corrispettivo bri-tannico della NSA, consente di attivarequalsiasi webcam senza che la spia diquest’ultima si accenda e il proprieta-rio del computer possa dunque accor-

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___________________________________________________3) Zygmunt Bauman, Modernità e Olocausto,1989 (ed. italiana Il Mulino, 2010)

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gersene. In seguito, mentre è a letto conLindsay, Snowden non può che sentir-si osservato dal Grande Occhio dellaNSA.

Già Günther Anders nel secondovolume de L’uomo è antiquato parla del-la perdita della dimensione privata, nonnel senso di proprietà, bensì di conse-gna di uomini al mondo: “[...] noi tutti sia-mo virtualmente mangiatori e al tem-po stesso cibo per altri. Per questo lasituazione è cannibalesca. Nessuno chenon tenga conto contemporaneamentedi entrambi questi processi cannibale-schi – il mangiare e l’essere mangiato –può farsi un’idea completa della nostraesistenza attuale” (4).

Impossibile non pensare in questitermini alla galassia dei social network.Le persone rendono pubbliche volon-tariamente parti generose della propriavita, e ciò può risultare certo inquie-tante da un punto di vista sociologico,ma la NSA e le sue agenzie gemelle sispingono oltre, pretendono di conosce-re tutto di tutti a loro insaputa. Si assi-ste così a una sempre più marcata se-parazione tra gli individui divenuti tra-

sparenti e i governi che agiscono nel-l’ombra, al riparo dei loro provvedi-menti top secret – una situazione tantopiù pericolosa in quanto viene impedi-ta qualsiasi forma concreta di dissensoe si blocca così il processo storico. Pro-prio per questo motivo, come giusta-mente rileva Renato Curcio (5), è fuor-viante utilizzare la metafora del Panop-ticon benthamiano. Esso prevede daparte dei controllati la consapevolezzadi esserlo, mentre la maggior parte de-gli utilizzatori di internet non è ancorain grado di capire il suo funzionamen-to e non sa dove vanno a finire i propridati.

Se oggi è possibile il dibattito pub-blico, è grazie a persone come EdwardSnowden. Persone che, come suggeri-sce il film di Oliver Stone, non costitui-scono casi isolati, ma un gruppo nu-meroso: basti pensare a personaggi co-me Gabriel Sol (Ben Schnetzer), la cuiironia sottende un atteggiamento criti-co nei confronti dell’attività di spionag-gio, Patrick Heynes (Keith Stanfield),un preziosissimo alleato, ma soprattut-to Hank Forrester (Nicolas Cage), il

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___________________________________________________________________________________________________________4) Günther Anders, L’uomo è antiquato, 1956 (ed. italiana Bollati Boringhieri, 2003)5) Cfr. Renato Curcio, Colonizzazione dell’immaginario e controllo sociale, Paginauno n. 47/20166) Mark Klein era un tecnico della AT&T, un’importante azienda di telecomunicazioni ame-ricana. Nel 2006 fece da teste nel processo Hepting contro AT&T e in una sua deposizionegiurata denunciò l’esistenza di una “stanza 641A” utilizzata per intercettazioni strategicheper conto della NSA. William Binney, ex funzionario di alto grado della NSA, ha valutatol’esistenza di circa venti strutture del genere in punti chiave della rete di telecomunicazionistatunitense. Chelsea Manning (prima del cambio di sesso, battezzata Bradley) è l’analistadell’intelligence che, mentre era impegnata in Iraq, ha trafugato centinaia di migliaia di do-cumenti relativi all’uccisione indiscriminata di civili da parte dei soldati americani, nonchéaltrettanti cablogrammi diplomatici in grado di incrinare i rapporti tra Stati Uniti e restodel mondo. Nel 2010 Wikileaks li ha pubblicati, suscitando un forte scandalo

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Una dittatura chiavi in mano

mentore positivo di Snowden, colui ilquale lo inizia al cubo di Rubik, simbo-lo della capacità di ragionare sul sensodelle proprie azioni. Sono tutti esempidi possibili whistleblower, come già losono stati Mark Klein, William Binney,Chelsea Manning (6), individui che de-cidono per questioni etiche di denun-ciare dall’interno le attività di governi,organizzazioni, esercito, aziende – vi-rus nei software di quella che Snow-den definisce una “dittatura chiavi inmano”.

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IN LIBRERIA narrativa

Alla fine di aprile del 1975 l’Eserci-to Popolare del Vietnam del Nord li-bera Saigon. Civili e militari ameri-cani, assieme a un numero conside-revole di vietnamiti riparano negliUsa. Tra questi un Generale della Po-lizia del Vietnam del Sud e il suo fe-dele Capitano che, però, è una spiacomunista. Avvezzo al sentimento diestraneità perché nato da una vietna-mita e da un prete francese, recita ilruolo di assistente del superiore, al-l’interno della comunità di fuorusci-ti, spietato coi compatrioti sospettatidi simpatizzare per il comunismomentre scambia informazioni cifratea favore dei vecchi compagni di lot-ta rimasti in Patria. Fenomenologia diun uomo sradicato, dalla doppia men-

te, i cui pensieri non riposano mainell’adesione a un modello di vita.Né quando, in pagine memorabili ditagliente ironia, è alle prese con i va-lori portanti di una nazione ammala-ta di narcisismo, in cui anche il Gran-de Autore, regista hollywoodiano concui collabora e si scontra, promuoveuna narrazione stereotipata del po-polo orientale che soddisfa i pregiu-dizi del pubblico americano e l'indu-stria dello spettacolo; né nelle cruderighe in cui, tornato in Vietnam, èchiuso in un campo di rieducazionee torturato da un Inquisitore che pre-tende da lui la confessione perfetta euna risposta inattingibile.(P. Cerboneschi)

IL SIMPATIZZANTEViet Thanh Nguyen, Neri Pozza,512 pagg., 18,00 euro

Qual è il bilancio esistenziale del pro-fessor Heliseu, docente in pensionedi Filologia Romanza? È ciò che an-ch’egli cerca, mentre compone il di-scorso di ringraziamento per l’ono-rificenza attribuitagli. Ha condotto unatranquilla vita borghese punteggiatadi soddisfazioni, aggrappato alla co-noscenza della materia che domina,al cui nucleo si trova il fenomeno lin-guistico eponimo che identifica, tra Xe XI secolo, la separazione dallo spa-gnolo della nascente lingua portoghe-se, e sembra che abbia sorvolato in-denne sopra fallimenti famigliari esconvolgimenti politici del Brasile. Larealtà, però, è diversa e O professor,nel breve giro di un mattino, si con-fronterà con essa rievocando una pas-serella di figure che popolano anco-ra la sua memoria, ciascuna delle qualiincarna uno iato tra i suoi riferimen-ti valoriali e l’effettualità degli even-ti, uno spazio vuoto in cui si rinno-vano le stesse tragedie e i fallimentidenunciano un’inadeguatezza immu-

tabile. Costruita sul filo di repentiniscarti temporali e flussi di coscien-za, narrata da una voce che si spostacome uno zoom sul protagonista, que-sta piccola spietata Recherche ha ilmerito di non sfociare in una visio-ne nichilistica ma di restituire il sen-so di un’esperienza esistenziale com-piuta e accettata. (P. Cerboneschi)

LA CADUTA DELLECONSONANTI INTERVOCALICHECristovão Tezza, Fazi Editore,238 pagg., 17,50 euro

È la storia di una famiglia america-na, che diventa contadina dopo lafuga dalla città per fallimento. Lavoce della secondogenita Marget rac-conta le fatiche e le paure del lavoronei campi coprendo un arco di diecianni. Gli ostacoli non vengono solodalla Natura – nel romanzo è sia ma-dre che matrigna, nel doppio ruolo di

elemento che consola e perseguita –ma anche dalle Istituzioni. I duegrandi ostacoli che gli Haldemarnedevono affrontare sono infatti la sic-cità e l’ipoteca sulla terra. Nonostan-te la situazione diventi ogni annopiù disperata, di pioggia nemmenol’ombra e le tasse sempre più gravo-se, ciò che li aiuta è la solidarietàmostrata dagli altri contadini, quelleuova o quei muli prestati senza vo-ler nulla in cambio. La condivisionerende più sopportabile, dopo la lun-ga attesa, la delusione del mancatocambiamento come nell’episodio dellatempesta, dove tutti i personaggi so-no in scena, simboli degli uomini chesperano e lottano. L’individualità ce-de il passo all’universalità in unascrittura efficace, ricca di paragoni ecorrelativi oggettivi; il senso dellavista è la via privilegiata per descri-vere il dentro e il fuori. E anche nel-la tragedia lo sguardo non si fermaal ramo morto, corre più in là, allenuvole. (R. Brioschi)

ORA CHE È NOVEMBREJosephine Johnson, Bompiani,181 pagg., 17,00 euro

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IN LIBRERIA saggistica

La sorveglianza di massa spiegata dalgiornalista che il 3 giugno 2013 incon-trò Edward Snowden a Hong Kongper farsi consegnare i documenti incui veniva provata la disposizione daparte della NSA di una “rete a stra-scico” in tutto il mondo per racco-gliere i dati in transito dalle più im-portanti aziende telematiche. Verizon,Facebook, Yahoo!, Apple, Microsoft,Skype, Aol, Youtube, Google sono so-lo alcuni dei marchi coinvolti nelloscandalo. In questo modo, vengonoarchiviati nei server della NSA mi-liardi di chat, sms, numeri di telefono,indirizzi email, registrazioni vocali ecc.L’obiettivo non è certo contrastare il

terrorismo sulla base del Patriot Act,così come vuole la versione ufficia-le, bensì fornire agli Stati Uniti in pri-mis e poi agli altri membri dei FiveEyes (Australia, Canada, Nuova Ze-landa e Regno Unito) un vantaggio e-conomico, militare e diplomatico incommerci, guerre e negoziati. Il li-bro di Greenwald è diviso in cinqueparti in cui, oltre a essere descritto ilsuo contatto con Snowden e i diecigiorni a Hong Kong trascorsi insie-me a lui, vengono riportati i dettagliinerenti a moltissimi documenti. Inol-tre, è presente una suggestiva rifles-sione sul ruolo del giornalismo di in-chiesta nei confronti del potere. Un’o-pera essenziale per capire il mondodi oggi. (I. Adami)

NO PLACE TO HIDEGlenn Greenwald, Rizzoli,378 pagg., 15,00 euro

È possibile parlare di tortura nel ci-vilissimo terzo millennio e farne af-fiorare il significato dallo spazio di ri-mozione nel quale l’ha confinata l’i-pocrita coscienza degli Stati moder-ni? Amnesty International informache almeno 122 Paesi hanno tortura-to nel 2015. Il libro è ricostruzionestorica, descrizione del fenomeno especulazione teoretica. Se è vero chel’ignobile pratica è stata proibita dal-la Dichiarazione Universale dei Di-ritti Umani dell’Onu e poi da altriorganismi internazionali, è indubbioche, lungi dall’essere abbandonata,dopo l’11 settembre 2001 e la guer-ra al terrorismo seguente, si è assi-stito alla sua recrudescenza. Ambi-gua giacché accendendo il dibattitopubblico circa la sua legalizzazioneha conservato il carattere della nega-bilità. L’esercizio della sovranità, cuiè connessa, deve suscitare politicheemergenziali per renderne illimitatal’applicazione e, al contempo, inven-tare la figura di unlawful combatant,categoria straordinaria di nemico il-legale escluso dai diritti democratici.Da Guantanamo ad Abu Ghraib, da-gli anni di piombo a Regeni, da Tor-quemada a Scilingo, la tortura ha av-vicendato luoghi, vittime e carnefici,contro gli ordinamenti che pure l’han-no messa al bando. Indigna sapereche in Italia la legge in merito è de-liberatamente fumosa. (P. Cerboneschi)

TORTURADonatella Di Cesare, BollatiBoringhieri, 218 pagg., 11,00 euro

È realistico pensare che il capitalismopossa finire, e se sì in che modo? Sa-ranno le sue contraddizioni interne aportarlo all’implosione o serve unsoggetto antagonista che ponendosiin modo conflittuale lo sospinga nelbaratro? E nel caso, chi è questo nuo-

vo soggetto? Sivini raccoglie le tesidegli studiosi che hanno indagatoquesta prospettiva da differenti pun-ti di vista, e le propone senza intro-mettere la propria voce – salvo nelleconclusioni, dove aggiunge una suaanalisi. Troviamo quindi Arrighi eWallerstein, i cicli sistemici, le crisidi egemonia e l’economia-mondo;Streeck e Harvey, il neoliberismo, glispiriti animali lasciati liberi di agiree le contraddizioni interne, e un nuo-vo soggetto rivoluzionario; Postonee Kurz, la Critica del valore, la terzarivoluzione industriale e il venir me-no del lavoro; Gorz, Mason e Rif-kin, l’economia della conoscenza, laliberazione dal lavoro e il reddito u-niversale, il general intellect e la so-cietà dei Commons. Ne risulta un te-sto teorico – non può essere diversa-mente – che ha tra i suoi maggioripregi la stessa concezione, l’idea dimettere insieme e in qualche modofar dialogare le diverse tesi; se neesce senza certezze, ma con il qua-dro dello stato dell’arte. Da lì, la ri-flessione continua. (G. Cracco)

LA FINE DEL CAPITALISMOGiordano Sivini, Asterios,128 pagg., 15,00 euro

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LE INSOLITE NOTE

’è un problemino che vorrei sottoporvi: incontrateun ventenne che sta ascoltando Song to siren cantatada Elisabeth Fraser dei This Mortal Coil e vi dice

estasiato che non ha mai ascoltato niente di più bello. È giu-sto fargli presente che della suddetta canzone esistono oramaimillanta cover (dall’improbabile Pat Boone del 1969, che anti-cipò Starsailor, a Robert Plant a George Michael, attraverso Si-néad O’Connor, Bryan Ferry, David Gray, John Grant, SheilaChandra, Brendan Perry dei Dead Can Dance, Half Man HalfBiscuit... fino alla meravigliosa versione della nostra Maria PiaDe Vito in Songs from the underground) e che, semmai, sareb-be opportuno ascoltasse e studiasse a memoria la versioneoriginaria del povero Tim Buckley?

C

La questione, come potete intuire, è piuttosto delicata, giac-ché coinvolge non solo una sempre necessaria e seria criticamusicologica (non estetica!) sul confronto tra originale e ver-sione (non semplice cover, cioè copia e riesecuzione pedisse-qua) ma anche e soprattutto il problema dello studio della sto-ria della musica, anche di quella pop, e della Storia tout court.

Anni fa, da studente, chiesi a un mio amato professorecosa ne sarebbe stato delle future generazioni che affronta-

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DI AUGUSTO Q. BRUNI

TIM BUCKLEYSTARSAILOR

(Straight Records, 1970)

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vano il programma di Storia, lamentandomi che fossimo sem-pre ingolfati nell’antichità e non si riuscisse mai a studiareun poco di contemporanea. «Se tutto va bene, ridurranno eriassumeranno lo studio di tutto quello che viene prima delRinascimento per limitarsi a studiare bene quello che vienedopo» rispose il prof. La profezia si sarebbe avverata. Ahimè,ne avrebbero fatto le spese non solo la comprensione dei grandimeccanismi e delle grandi idee trascinatesi nella contempo-raneità, ma soprattutto la qualità dello studio della Storia.Essa venne sottoposta all’attacco feroce della destra berlu-sconiana col pretesto che i libri di testo erano troppo di sini-stra... Già quarant’anni fa la Storia si studiava generalmentemale in Italia; adesso è meglio stendere il solito pietoso velo.

Sulla musica andiamo ancora peggio: a parte il ruolo ine-sistente che essa ha nell’educazione, c’è anche una carenzaspaventosa della scuola sul versante del filtro organizzatoper ridurre il ‘rumore di fondo’ prodotto dall’immensità del-la produzione/offerta musicale dovuto a internet. Sicché quan-do Sorrentino in This must be the place fa incontrare l’ex pop-star Cheyenne (Sean Penn) e un bambino decenne che vuolegli venga suonata l’omonima canzone che lui crede degli Ar-

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LE INSOLITE NOTE

cade Fire, fa un’opera di giustizia. Il bambino, ovviamente, non puòsapere che il brano è originariamente dei Talking Heads (glielo diràCheyenne, con gran stupore del bimbo stesso) ma è anche estrema-mente verosimile che anche un ventenne di oggi (classe 1997) nonsappia da dove arriva quella canzone (1983). Non c’è soltanto il do-loroso problema della mancata comunicazione tra generazioni, sem-bra dire Sorrentino: c’è anche e soprattutto la mancanza di coscien-za storica di cosa sia la musica. Cosicché il povero Cheyenne rischiadi sembrare una mummia quando magari avrebbe ancora qualcosada dire, e il bambino può andare orgoglioso invece del suo essereup-to-date di fronte agli amici. Chi spiegherà al bambino, ma an-che e soprattutto al ventenne che citavo all’inizio, che ci sono can-zoni – entrate oramai nelle gemme preziose della corona del rock –da ascoltare assolutamente nella esecuzione originaria prima di fis-sarsi in una versione successiva?

Nel nostro caso specifico, diciamo la verità, Song to siren ha co-nosciuto fama presso le giovani generazioni solo grazie allo spot del-la Breil (2007), oppure grazie al film Lost Highways (Strade Perdute)di David Lynch o al remake di The Texas Chainsaw Massacre o a TheLovely Bones di Peter Jackson. I giovani che l’hanno ascoltata in queicontesti, e hanno avuto la curiosità di sapere chi la cantasse, hannoavuto una risposta univoca: Elisabeth Fraser dei Cocteau Twins, enon sono andati oltre. Da dinosauro brontolone quale sono preten-derei, se ne avessi la possibilità, che su ogni brano che sia versioneo cover di uno precedente, venisse indicato a chiare lettere che perl’appunto di versione o cover si tratta, e altrettanta chiarezza per ilnome dell’autore/esecutore originario.

Perdonate la pedanteria, ma mi è capitato tempo fa di avere ache fare con un fan romano di Bobby Solo. L’incauto ma tutto som-mato simpatico fan sosteneva a spada tratta la fama universale delsuddetto divo, fama a suo dire arrivata molti anni fa oltreoceano.Dunque erano stati in alcuni casi gli italiani a influenzare gli ameri-cani, e non viceversa come comunemente si crede: prova ne era lacover pedissequa di Alla fiera del perdono intitolata Scarborogh Faired eseguita da Simon e Garfunkel... (1).

Ciò detto, veniamo al brano originario. Song to siren compare ori-ginariamente nell’album più difficile e controverso di Buckley, ov-vero Starsailor (1970). Buckley aveva già scritto il brano tre anni pri-ma, ma insoddisfatto dei risultati in sala di registrazione rimandò

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________________________________________________________________________________________1) La canzone è contenuta nell’LP Bobby Folk (Dischi Ricordi SMRL 6065,novembre 1969) assieme a diverse altre cover di canzoni americane

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TIM BUCKLEY

l’incisione sino al 1970. In realtà il pubblico aveva già conosciuto ilbrano in una scarna e meravigliosa esecuzione, ospite nel Tv showa puntate dedicato ai Monkees (25 marzo 1968): qui Buckley si accom-pagnava con la 12 corde acustica in perfetta solitudine, mentre sul-l’album il brano verrà eseguito con la chitarra elettrica, piena di ri-verberi e con un sottofondo di voci in tonalità altissima, inseritoprobabilmente proprio per suggerire il canto delle sirene del mitogreco – un esplicito contributo del paroliere Larry Beckett, la cuicultura classica faceva da ottimo pendant alle visioni psichedelichedel suo ex compagno di scuola. Anche se questa versione lo-fi ri-scuote il mio personale apprezzamento, è solo contestualizzando laversione contenuta in Starsailor che il brano acquista pienamente ilsuo significato.

Prima di tutto, nonostante il materiale musicale generale di tut-to il disco affondi le sue radici nel folk, è indubbio che il nostro ab-bia ascoltato attentamente il Miles Davis della svolta elettrica co-minciata con Bitches Brew (30 marzo 1970, circa otto mesi prima diStarsailor): praticamente nessuno dei musicisti di quegli anni ha po-tuto fare a meno di confrontarvisi. Buckley registra tutto il lavoro inpochi giorni (10-21 settembre 1970) con musicisti del tutto nuovi alsuo fianco, imposti da Herb Cohen, suo manager e direttore dell’e-tichetta Straight (fondata con Frank Zappa), in una sorta di tentati-vo di svolta, date le ben poco soddisfacenti soddisfazioni di vendi-ta. Al pari di Davis, il nostro fornisce pochissime ma solide indica-zioni ai musicisti, e soltanto prima di entrare in sala: dovranno fareuna sorta di atto di fede, data anche la poca abitudine all’improvvi-sazione dei non-jazzisti.

Già nel primo brano, Come Here Woman, una serie di accordi ri-petuti della chitarra elettrica consentono al basso qualche funam-bolismo, preparando l’ingresso quasi recitato e piuttosto teatrale diBuckley. Lungi dal prendere forma, sopra e oltre un abbozzo di me-lodia Buckey impone una serie di vocalizzi del tutto sperimentali einquieti, pieni di acuti stridenti, tra accelerazioni e rallentamenti. IWoke Up procede più o meno allo stesso modo, dove una chitarraarpeggiata vorrebbe richiamare il lamento di qualche cetaceo impi-gliato in una rete balene arenate sulla spiaggia, doppiato dalla trom-ba e dalla voce, impegnata in una struggente malinconia sospesa.Monterey è una sorta di lunga, deragliata improvvisazione elettrica,mentre Buckley sembra andare per conto suo, animale lunatico inuno zoo allucinato.

Non è possibile alcuna identificazione con ciò che si conosce: nérock, né folk, né tantomeno pop, forse un’attrazione non strutturata

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LE INSOLITE NOTE

verso Miles Davis e un poco verso il free-jazz di Albert Ayler. Sevolessimo essere indulgenti dovremmo attribuire a Buckley un ane-lito di sperimentazione a seguito dell’ascolto di musicisti colti comePierre Boulez, Messiaen e Pendereckji. Dovremmo dire che ha vo-luto esplorare la vocalità umana e i suoi rapporti con suono e paro-la, timbro e movimento, semantica e psicologia della musica, cosìcome fecero i coniugi Luciano Berio e Kathy Barberian. Dovremmosupporre che questo materiale di studio lo ponga sullo stesso pianodi Demetrio Stratos. Sarebbe un grave errore, per il solo fatto che ilpovero Buckley non aveva conoscenza dei suddetti, salvo Davis equalche altro grande americano. Che appigli sono dunque offerti aun ascoltatore disponibile ma sconcertato?

Jungle Fire è una ragnatela a due facce: una è fatta di declama-zione teatrale ‘in aria’, mentre l’altra vive di angoli vivi e movimen-tati, appoggiati sugli ostinati pedali di chitarra elettrica. Arriviamoalla title track, condensato di tutta la sperimentazione contenuta neldisco: costruita a tavolino da Tim e John Balkin da una poesia diBeckett, Starsailor è un temerario esercizio per sola voce. Nello spi-rito decostruttivo di Beckett sono presenti una serie di parti vocalisovraincise cambiando la velocità dei nastri: un mosaico esploso incui ognuno dei pezzetti sonori evoca chissà quali connessioni conspiriti arcani. Nulla è risparmiato nella vocalità umana, trasportatada una nave stellare sino a un punto di non ritorno verso l’ignoto.The Healing Festival, al paragone con il brano precedente, sembra untentativo di tornare a dare forma terrestre e strumentale al ‘viaggio’precedente, ma attraverso lo strumento di un nuovo caos. Ma Star-sailor è probabilmente uno Zenith insuperabile, e neanche il magni-fico attacco della tromba nella successiva e conclusiva Down By TheBorderline è utile per intraprendere un nuovo volo di Icaro.

Avrete capito che in fondo l’intero album si regge – ad avvisodel sottoscritto – più che sulla title track proprio su Song to Siren,forse l’unico brano strutturato e ‘terrestre’ di tutto l’album: schema-tico e semplice negli accordi, tutto ruota attorno alla voce e al testo.Evidente il richiamo al mito omerico. Meno evidente il fatto che c’èuno spostamento di senso tra il mito e la canzone. Mentre nell’O-dissea l’inarrestabile sete di conoscenza è ciò che spinge Ulisse a ri-schiare la morte pur di ascoltare il canto delle sirene (Ulisse si fa le-gare all’albero della sua nave), la sirena evocata da Buckley è unasorta di donna angelicata e scevra di passioni terrene, un’amore ‘al-to’ ma dalla fine invariabilmente tragica. La sirena di Tim Buckley(e del suo paroliere Larry Buckett, i cui versi originali sono stati inparte rimaneggiati dall’artista californiano) è la donna e l’amore nella

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TIM BUCKLEY

quale è fatale e inevitabile perdersi, verso i quali ogni difesa è im-possibile. Alla deriva in mari deserti / facevo del mio meglio per sorridere/ fino a che le tue dita e i tuoi occhi ridenti / non mi hanno attirato versola tua isola e tu cantavi: / “Fai vela verso di me, fai vela verso di me, la-scia che ti stringa tra le mie braccia, io sono qui, io sono qui, ti sto aspet-tando per averti. / È stato un sogno o tu sognavi me? / Eri tu la lepre e ioero la volpe? / Ora la mia stupida barca sta accostando / innamorati infe-lici (si sono) infranti suoi tuoi scogli / perché tu canti “non toccarmi, nontoccarmi, ritorna domani / oh il mio cuore, oh il mio cuore rifugge dal do -lore. Nell’ultima strofa c’è il timore e quasi la consapevolezza dellafine, ma anche la decisione di correre comunque il rischio e andareverso l’incontro: Sono confuso come un bimbo appena nato / sono turba-to di fronte alla marea: / Rimarrò tra quelli che si sono infranti? / Mistenderò con la morte come mia sposa? / Puoi ascoltarmi cantare: “Nuotaverso di me, nuota verso di me, lascia che ti stringa tra le mie braccia / tisto aspettando per averti”.

Starsailor fu un flop clamoroso e rimase incompreso al grandepubblico per anni, continuando ad accumulare quello che vienechiamato ‘pubblico di nicchia’ – singolarmente questo pubblico pa-re possedere misteriosi canali di comunicazione intergenerazionaliche funzionano quasi per osmosi. Di fatto il brano riemerse dall’o-blio come sappiamo grazie a un’iniziativa commerciale (lo spot Breil)e a una interpretazione che ancora oggi a me par difficile identifi-care come la molla esclusiva del successo: il colpo di glottide dellaElisabeth Fraser e la sua intonazione lamentosa, detta come va det-ta, per me rimangono un deterrente all’ascolto. Riascoltare ad annidi distanza il timbro maschile e onirico a uno stesso tempo di Buc-kley invece, mi conforta sul fatto che ci siano ancora degli originalidi gran lunga migliori di qualunque altra versione successiva. Ecome ha detto un blogger italiano: “È anche per questi pochi minu-ti firmati Timothy Charles Buckley III che per il sottoscritto è sem-pre stato difficile comprendere il di lui figlio Jeff in un paragoneimpietoso ma senza storia. Perché, dopo aver assaporato la gran-dezza del Padre, risulta difficile apprezzare il Figlio. Checché nedica lo Spirito Santo”.

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ZONA FRANCA di Andrea Cocci

Una giornalista di cronaca rosa – conbollette e anziana madre a carico –sta per essere licenziata. Con una pi-stola alla tempia, l’uomo sa diventa-re sia bestia sanguinaria che geniocreativo; sicché, ispirandosi al diariodel defunto padre – uomo di estre-ma bontà – la Nostra scrive una let-tera fittizia, dai toni epici, in cui sifinge un uomo disperato che ha per-

so tutto e che sta per uccidersi. Do-podiché farà un provino per trovarequalcuno che incarni lo stereotipodell’uomo qualunque e porterà avantiuna farsa che diverrà fenomeno me-diatico di portata nazionale. E suc-cederà quel che – secondo me – suc-cede da (almeno) 2000 anni. Impec-cabile (presente Frank Capra? Ec-co!) e appagante. Gary Cooper po-trebbe bucare lo schermo anche dazitto e muto. Però: in verità ho scel-to di recensirlo perché è un’Operache mostra esplicitamente come ilSistema – alle prese con fenomenoculturale partito dal basso (e non crea-to da Esso stesso) – agisca sistema-ticamente: vi si insinua e lo manipo-la, innescando una controrivoluzio-ne ai danni dei cittadini/sudditi chel’avevano iniziata, senza che essi sene accorgano. Col pretesto di narra-re una vicenda umana che (poi) di-venta strumento politico, A.J.D. il-lustra come veniamo fottuti dalla not-te dei tempi col nostro pieno con-senso.

ARRIVA JOHN DOEregia di Frank Capra, 1941

Quattro mesi dopo aver provocato l’in-cidente nel quale ha perso la vita ilfidanzato, Sarah decide di trascorre-re la notte della vigilia di Natale so-la, nella sua grande casa, ingannan-do le poche ore che la separano dalpartorire il primogenito... sempre cheriesca a sopravvivere alla visita diuna donna che non le darà un attimodi respiro. Dialoghi al midollo del-l’osso, fotografia artico antartica, vio-lenza esplicita oltre ogni limite e per-petua suspense. 90 min. esperienzia-li. Molti non sono riusciti ad arriva-re manco a metà; è davvero troppis-simo brutale. E non c’è morale, me-tafora o pseudo sottotesto sociale agiustificarne l’esistenza: solo una lot-ta all’ultimissimo sangue tra donne(tornate) allo stato brado. E sebbenealla fine venga svelato il ‘perché’ anoi non fa caldo, ma solo un gelo dellamadonna. Perché consiglio un’atro-cità simile: se vi schiaffate in poltro-na con l’emisfero sx del cervello stand-

byizzato vivrete un’esperienza chenon potrei che definire ‘atavica’. AV-VERTENZE: se avete attorno bam-bini o persone che non aspettano al-tro che trovare una scusa per farvi fa-re un TSO, prima di ‘vivervelo’ aspet-tate che non ci sia nessuno nei pa-raggi. E, anche in quel caso, v’invi-to a vederlo rigorosamente in cuffia.Non vorrei che vi ritrovaste poliziottiin salotto!

À L’INTÉRIEURregia di Alexandre Bustilloe Julien Maury, 2007

Esasperati dalle mogli, due poverac-ci raccontano al direttore di un ma-nicomio le ossessioni delle proprieconsorti... che però sono anche le pro-prie manie. In cinque episodi – alcu-ni da sganasciarsi – ritroviamo nonsolo i miti del boom economico maanche le stesse minchiate attorno allequali il (defunto) popolo italiano hafocalizzato i propri desideri e ambi-zioni nei decenni a venire. Sì, negliultimi numeri di Paginauno mi sono

fissato con la tiritera del... ce l’ave-vano già detto anni fa, eppure… maboh, non capisco perché (sincronismi?karma?) mi ritrovo a vedere vecchifilm mostranti realtà che tutt’oggi vi-gono immutate. Registi, sceneggia-tori, scrittori, artisti che per decennihanno detto Questo è quanto, e lo sa-pete benissimo. Continuare così, è ilcaso?, e nonostante ciò abbiamo con-tinuato a commettere i medesimi er-rori senza nemmeno tentare di risor-gere da essi. Questo è un film ‘di mas-sa’, massacrato dalla critica dell’e-poca (come al solito; anche se un’o-pera ha del potenziale ma non è ‘in-tellettuale’ la critica demolisce) mail messaggio rimane... e rimane vali-do. Quando accetteremo che (oramai)i film sono la realtà reale mentre la‘realtà reale’ è solo inconsapevole,maldestra emulazione? Quando co-minceremo a domandarci: Acheccaz-zo serve l’Arte? Serve? Mah...

TOTÒ, PEPPINOE LE FANATICHEregia di Mario Mattoli, 1958

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RESTITUZIONE PROSPETTICAGlobalizzazione.L'ufficialità all'attaccoGiovanna Cracco

POLEMOSLavorare senza diritti:dal voucher al caporalatoCollettivo Clash City Workers

L'Italia Hub del gas:disastrose scelte dipolitica energeticaEnrico Duranti

Vivendi vs Mediaset:è il business, bellezza!Giovanna Baer

INCHIESTABalcani. Uranio impoverito:una storia di polvereMauro Prandelli

(DIS)ORIENTAMENTIFra Washington e Moscapassando per Tel AvivLa politica estera della Lega NordMatteo Luca Andriola

INTERVISTAMarco RovelliL'ideologia non è solo pensieroGiuseppe Ciarallo

A PROPOSITO DI...L'impegno civile delracconto realistico britannicoCarmine Mezzacappa

FILO-LOGICOEntusiasmoFelice Bonalumi

CINEFORUMUna dittatura chiavi in manoRecensione di Snowden, Oliver StoneIacopo Adami

LE INSOLITE NOTETim BuckleyStarsailorAugusto Q. Bruni

8,00 euro

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