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RESTITUZIONE PROSPETTICAVentotene, l'Europae il postmodernodi Giovanna Cracco

POLEMOSIl tempo di lavoroche si divora la vitaCollettivo Clash City Workers

L'INTERVENTOOccupare, resistere, produrredi Mariano Pedrengo eGigi Malabarba

(DIS)ORIENTAMENTIAfD: una Nuova destrapopulista in Germania?di Matteo Luca Andriola

DURA LEXLa riforma costituzionale:pericoli in agguatodi Giovanna Baer

INTERVISTAXitlali Miranda Mayo.Messico invisibileLos Otros Desaparecidosdi Fabrizio Lorusso

A PROPOSITO DI...Il libro nero del comunismo (italiano)di Giuseppe Ciarallo

Cinema e letteratura sul mondooperaio e i suoi dintornidi Carmine Mezzacappa

FILO-LOGICOSilenziodi Felice Bonalumi

CINEFORUMAlla ricerca dell'UomoRecensione di Lei, Spike Jonzedi Iacopo Adami

SOTTO I RI(F)LETTORIUna tragedia della Gilded AgeRecensione de La Casa della gioia,Edith Whartondi Sabrina Campolongo

LE INSOLITE NOTEBrian Eno + David ByrneMy Life in the Bush of Ghostsdi Augusto Q. Bruni

8,00 euro

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DIRETTORE EDITORIALEGiovanna Cracco

GLI AUTORI DI QUESTO NUMEROIacopo AdamiMatteo Luca AndriolaGiovanna BaerFelice BonalumiRaffaella BrioschiAugusto Q. BruniSabrina CampolongoElisabetta CazzanigaGiuseppe CiaralloAndrea CocciCollettivo Clash City WorkersGiovanna CraccoFabrizio LorussoGigi MalabarbaCarmine MezzacappaMariano Pedrengo

Le collaborazioni a questa rivista sonoa titolo gratuito. Tutti i testi, salvodiversamente indicato, sono soggetti a licenza Creative Commons – Attribuzione, Non commerciale, Non opere derivate, 2.5 Italia. I testi proposti per un'eventuale pubblicazione non vengono restituiti e vanno inviati a:[email protected]

IN COPERTINAChiusi fuoriFotografia di Giulia ZuccaVista dalla metro di Chicago sulla N Dearborn StAgosto 2016

anno X – numero 49ottobre / novembre 2016pubblicazione bimestrale (5 numeri annuali)prezzo di copertina 8,00 euroautorizzazione tribunale di Monza n. 1429registro periodici, del 13/12/1999

SOCIETÀ EDITRICEMcNelly s.r.l.Via A. Villa 44 - Vedano al Lambro (MB)

DIRETTORE RESPONSABILEValter Pozzi

SEGRETARIA DI REDAZIONEGiusy Mancinelli

PROGETTO GRAFICOPaginauno

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Chiuso in redazione il 24 settembre 2016www.rivistapaginauno.it

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In questo numero

Il Manifesto di Ventotene nell’epoca postmoderna: supera-ta dalla Storia, oggi i leader europei possono appellarsi allagrande narrazione di Spinelli solo in malafede, ignorandonela terza parte. Governabilità vs democrazia, la riforma co-stituzionale e l’Italicum: cosa prevedono le due leggi, qualiinteressi si muovono intorno, quali pericoli comportano. Oc-cupare, resistere, produrre: in Argentina più di 250 fabbri-che occupate-recuperate danno lavoro a 30.000 persone: dal-l’esperienza della FaSinPat (Fábrica Sin Patrónes) a quella del-la RiMaflow in Italia. Tempo, lavoro e vita nel nuovo millen-nio: 130 ore a settimana nelle corporation del web e turni di12/14 ore nell’industria 4.0. Alternative für Deutschland: ènata un Nuova destra populista in Germania?

E ancora: nell’intervista a Xitlali Miranda Mayo il Messico in-visibile dei los otros desaparecidos; il libro nero del comuni-smo italiano in un romanzo; cinema e letteratura scozzesesul mondo operaio; l’azione del silenzio. E poi: recensioni ci-nematografiche e musicali, di narrativa e saggistica, e la co-pertina di Giulia Zucca: Chiusi fuori.

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SOMMARIO

_ RESTITUZIONE PROSPETTICA pag. 6 Ventotene, l'Europa e il postmoderno di Giovanna Cracco

_ POLEMOS pag. 12 Il tempo di lavoro che si divora la vita Collettivo Clash City Workers

_ L'INTERVENTOpag. 16 Occupare, resistere, produrre di Mariano Pedrengo e Gigi Malabarba

_ (DIS)ORIENTAMENTIpag. 24 AfD: una Nuova destra populista in Germania? di Matteo Luca Andriola _ DURA LEXpag. 32 La riforma costituzionale: pericoli in agguato di Giovanna Baer

_ INTERVISTApag. 44 Xitlali Miranda Mayo. Messico invisibile Los Otros Desaparecidos di Fabrizio Lorusso

_ A PROPOSITO DI...pag. 54 Il libro nero del comunismo (italiano) di Giuseppe Ciarallo _pag. 60 Cinema e letteratura sul mondo operaio e i suoi dintorni di Carmine Mezzacappa

_ FILO-LOGICOpag. 64 Silenzio di Felice Bonalumi

_ CINEFORUMpag. 68 Alla ricerca dell'Uomo Recensione del film Lei, Spike Jonze di Iacopo Adami

_ SOTTO I RI(F)LETTORIpag. 74 Una tragedia della Gilded Age Recensione de La Casa della gioia, Edith Wharton di Sabrina Campolongo

_ IN LIBRERIA – narrativapag. 80 In un palmo d'acqua Percival Everett (R. Brioschi) Beate noi Amy Bloom (S. Campolongo) Magnifica Maria Rosaria Valentini (E. Cazzaniga)

_ IN LIBRERIA – saggisticapag. 81 Deep Web Carola Frediani (G. Cracco) Le fabbriche recuperate Andrés Ruggeri (G. Cracco) Perché vince Trump Andrew Spannaus (G. Cracco) _ LE INSOLITE NOTEpag. 82 Brian Eno + David Byrne My Life in the Bush of Ghosts di Augusto Q. Bruni

_ ZONA FRANCApag. 90 Il segreto, Cyop e Kaf Birdman, Alejandro González Iñárritu IT, Tommy Lee Wallace di Andrea Cocci

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RESTITUZIONE PROSPETTICA

Imprescindibile Lyotard, quando si par-la di postmodernismo. Ne sono statedate definizioni plurime, ma al filo-sofo francese si risale per la prima:“Semplificando al massimo, possiamoconsiderare ‘postmoderna’ l’incredu-lità nei confronti delle metanarrazio-ni”, scrive nel 1979 ne La condizionepostmoderna. Un’epoca che per Lyo-tard coincide con il capitalismo avan-zato e l’“informatizzazione della so-cietà”, cambiamenti tecnologici cheincidendo fortemente sul processo diricerca e di trasmissione delle cono-scenze, generano la trasformazione

del Sapere in merce; già l’èra indu-striale ne aveva fatto forza produt-tiva, questo è un passaggio ulterio-re. “Il sapere viene e verrà prodot-to per essere venduto, e viene everrà consumato per essere valo-rizzato in un nuovo tipo di produ-zione: in entrambi i casi, per esse-re scambiato. Cessa di essere finea se stesso, perde il proprio ‘valored’uso’.” (1)

In questa fase storica, le grandinarrazioni universali, finalistiche ecollettive che nella precedente epo-ca moderna avevano legittimato illegame sociale – illuminismo, idea-lismo e marxismo, ma anche il po-

sitivismo scientifico che si è accom-pagnato al capitalismo, esaltando latecnologia come motore dello svilup-po economico e del benessere delle

società – non sono più credibili, per-ché hanno tradito le promesse, e l’a-gire dell’Uomo non appare più quelprocesso di emancipazione verso unaciviltà globale sempre più avanzata,libera ed egualitaria. La Storia stessaha delegittimato le metanarrazioni:“Ognuno dei grandi racconti di eman-cipazione, a qualunque genere abbiadato l’egemonia, è stato per così direinvalidato nel suo fondamento dagliultimi cinquant’anni. - Tutto ciò cheè reale è razionale: Auschwitz confu-ta la dottrina speculativa. Almeno que-sto crimine, che è reale, non è razio-nale. - Tutto ciò che è proletario è co-munista, tutto ciò che è comunista èproletario: Berlino 1953, Budapest1956, Cecoslovacchia 1968, Polonia1980 (e la serie non è completa) con-futano la dottrina del materialismostorico: i lavoratori insorgono controil partito. - Tutto ciò che è democra-tico viene dal popolo e va verso il po-polo, e viceversa: il Maggio 1968 con-futa la dottrina del liberalismo parla-mentare. - Tutto ciò che è libero gio-co della domanda e dell’offerta favo-risce l’arricchimento generale, e vice-versa: le crisi del 1911 e del 1929 con-futano la dottrina del liberalismo eco-nomico mentre la crisi degli anni 1974-1979 confuta la versione postkeyne-siana di essa” (2).

Per Lyotard, il progetto modernodi emancipazione dell’umanità non è

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di Giovanna Cracco

Ventotene, l’Europae il postmoderno

Nell’epocapostmoderna

le grandinarrazioniuniversali

finalistiche ecollettive che

avevanolegittimato il

legame socialenon sono

più credibiliperché hanno

tradito lepromesse

__________________________________________________________________________________________________1) Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, 19812) Jean-François Lyotard, Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, 1987

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stato abbandonato ma, paradossal-mente, “liquidato” da quello stesso‘progresso’ che era l’idea fondantedella modernità: “Non è l’assenza diprogresso ma lo sviluppo tecnoscien-tifico, artistico, economico e politicoche ha reso possibili le guerre totali,i totalitarismi, lo scarto sempre mag-giore tra la ricchezza del Nord e la po-vertà del Sud, la disoccupazione e la‘nuova povertà’, la deculturazione ge-nerale con la crisi della Scuola, l’iso-lamento delle avanguardie artistichee il loro rinnegamento […] È divenu-to impossibile legittimare lo sviluppocon la promessa di un’emancipazio-ne dell’umanità intera. Questa pro-messa non è stata mantenuta. Lo sper-giuro non è dovuto all’oblio della pro-messa, è lo sviluppo stesso che im-pedisce di mantenerla. Il neoanalfa-betismo, l’impoverimento dei popolidel Sud e del Terzo Mondo, la disoc-cupazione, il dispotismo dell’opinio-ne pubblica e quindi dei pregiudiziamplificati e diffusi dai media, la leg-ge per cui è buono ciò che è ‘perfor-mativo’ – tutto ciò non è il risultatodella mancanza di sviluppo ma dellosviluppo. Per questo non si ha più ilcoraggio di chiamarlo progresso.” (3)

Con la fine delle grandi narrazio-ne il noi, il legame sociale che ha ret-to l’epoca moderna, si è dunque dis-solto. L’Uomo è solo e disorientato.“Ognuno è rinviato a sé. E ognuno sache questo sé è ben poco.” (4). È la sur-

modernità di Marc Augé, l’individuocostretto a dover interpretare da sée per sé il mondo, impantanato nelpresente, nella difficoltà di decifrarlo,oggi affetto anche dalla sindrome daaffaticamento informativo dovuta albombardamento continuo di notizieprovenienti dall’intero globo, che ge-nera la perdita di coscienza del filodel tempo, del passato da cui si pro-viene e del futuro che non si sa piùimmaginare.

Il 22 agosto scorso Renzi, Merkel e Hol-lande si sono prodotti nella visita al-l’isola di Ventotene, luogo simbolodel cosiddetto Manifesto di Ventote-ne di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli,a cui la narrazione dell’Unione euro-pea fa risalire l’idea stessa della suanascita. Non è mancato il pellegri-naggio alla tomba di Spinelli, mazzet-to di fiori blu e gialli alla mano (blu egialla è la bandiera della Ue), e il mi-nuto di silenzio. La retorica ha rag-giunto tali vette che è inutile soffer-marvisi, come inutili sono stati i di-scorsi successivi dei tre leader euro-pei. La ‘trilaterale’ a Ventotene nonmirava infatti a elaborare alcuna de-cisione politica ma aveva unicamen-te un fine simbolico e narrativo: rilan-ciare lo storytelling – e in questo ter-mine c’è tutta la differenza tra l’epo-ca moderna e quella postmoderna –dell’Unione, attraverso il richiamo alManifesto di Spinelli. La ragione è piùche evidente: una Ue in crisi da Bre-xit, attentati di matrice islamica, flus-si migratori e recessione economica

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La visita deitre leader europeiall’isola di Ventoteneè stata un disperato tentativo di rilanciare lo storytelling dell’Unione attraverso il richiamo al Manifesto di Spinelli

______________________________________________3) Ibidem4) Jean-François Lyotard, La condizione post-moderna cit.

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RESTITUZIONE PROSPETTICA

non sa più a che santi appellarsi pernon perdere ulteriormente e dram-

maticamente il consenso dei citta-dini a favore dei partiti anti-Ue eanti-euro, e così rispolvera Vento-tene. Ma il Manifesto, scritto nel1941 da esiliati del regime fascista,in piena seconda guerra mondiale,è una grande narrazione moderna,universale e finalistica; e dunque og-gi non regge più, non ci crede piùnessuno.

“[...] la Federazione Europea è l’u-nica concepibile garanzia che i rap-porti con i popoli asiatici e ameri-cani si possano svolgere su una ba-se di pacifica cooperazione, in at-tesa di un più lontano avvenire, incui diventi possibile l’unità politicadell’intero globo” (5) scrive Spinel-li. Egli vede nell’esistenza degli Sta-ti sovrani la causa delle guerre chein pochi anni hanno devastato ilmondo; afferma che “l’ideologia del-l’indipendenza nazionale è stata unpotente lievito di progresso”, ma

“essa portava in sé i germi dell’impe-rialismo capitalista”, la volontà di do-minio di ogni Stato sull’altro per espan-dere la propria potenza economica, edunque “il problema che in primoluogo va risolto e fallendo il qualequalsiasi altro progresso non è cheapparenza, è la definitiva abolizionedella divisione dell’Europa in Stati na-zionali sovrani”; perché “un’Europa li-bera e unita è premessa necessaria delpotenziamento della civiltà moderna,di cui l’èra totalitaria rappresenta unarresto. La fine di questa èra farà ri-prendere immediatamente in pieno ilprocesso storico contro la disuguaglian-

za e i privilegi sociali”. C’è tutto lo spi-rito dell’epoca moderna nel Manife-sto: la fiducia cieca nel progresso, lapace universale come fine ultimo, laStoria come percorso progressivo ver-so l’uguaglianza, la libertà, l’emanci-pazione dell’Uomo.

Postmoderni loro stessi – su tuttiRenzi, che rivendica il suo essere postideologico – gli appelli dei governan-ti europei al mito fondativo della Uenon possono che suonare falsi e re-torici, parole che nulla hanno del re-spiro e del sogno di Spinelli. Quandoparlano di pace, affermando che l’Eu-ropa mai ha conosciuto un tempo co-sì duraturo senza guerre, e che ciò èstato possibile grazie all’esistenza del-l’Unione, è la stessa realtà a smentir-li; non solo per il conflitto aperto nelcuore dell’Europa, in Ucraina, guerraper procura, ma per i muri alzati con-tro gli immigrati, per gli attentati ter-roristici che si richiamano all’Isis. I cit-tadini europei hanno ormai ben com-preso che la pace non ha a più chefare solo con la mancanza di conflittitra gli Stati del continente, conosciutinei secoli passati, ma con ciò che av-viene al di fuori dei confini dell’Unio-ne; possiamo anche non lanciarci bom-be l’un l’altro qui, ma se poi gli eser-citi europei seminano morte e di-struzione in Iraq, Afghanistan, Siria,Libia, quella morte viene a bussarealle porte di casa sotto forma di ter-rorismo. Quando si appellano alla li-bertà, tutti ci chiediamo di quale li-bertà stiano parlando: siamo ormaiconsapevoli di essere costantementecontrollati, fisicamente tramite tele-camere sparse ovunque e digitalmen-te attraverso i dispositivi tecnologiciche utilizziamo, in nome della sicurez-za e del Capitale, che traccia i nostriprofili per venderci delle merci. Quan-do parlano di uguaglianza ed eman-

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______________________________________________5) Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Per un’Eu-ropa libera e unita, 1941

Nel Manifestoci sono la

fiducia ciecanel progresso

la paceuniversalecome fineultimo la

Storia comepercorso

progressivoverso

l’uguaglianzala libertà

l’emancipazionedell’Uomo:

è unanarrazionemoderna a

cui noncrede piùnessuno

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Ventotene, l'Europa e il postmoderno

cipazione, se anche solo la intendia-mo sotto forma di benessere econo-mico, che è altra cosa rispetto alla rea-lizzazione del Sé, riconosciamo la men-zogna, perché viviamo sulla nostrapelle l’impoverimento della nostracondizione, causato proprio dalle po-litiche economiche attuate dall’Unio-ne, quel neoliberismo che ha messoil libero mercato al primo posto, sman-tellando il welfare, aumentando losfruttamento lavorativo e depaupe-rando la gran parte della popolazio-ne mentre l’1% si arricchisce.

I leader europei affermano chel’Europa non è quella realtà di pro-gresso economico, sociale e umanoche potenzialmente potrebbe essereperché accanto all’unione monetariamanca quella politica – che auspica-va anche Spinelli, dicono. Spinelli lavoleva certamente, pensava a un’U-nione federale. Ma è una lettura di-sonesta. Perché la politica non è sta-ta affatto assente nella costruzioneeuropea, e non lo è nemmeno oggi;il problema è che l’ideologia dell’U-nione è quella neoliberista (6). E quista la malafede dell’appellarsi al Ma-nifesto di Ventotene; ne viene infattivolutamente tralasciata una parte fon-damentale, la terza.

“La rivoluzione europea, per risponde-re alle nostre esigenze, dovrà esseresocialista,” scrive Spinelli, “cioè dovràproporsi l’emancipazione delle classilavoratrici e la realizzazione per essedi condizioni più umane di vita”. Spi-nelli non vuole certo la collettivizza-zione dell’economia, afferma infattiche le spinte degli interessi individualidevono essere lasciate libere di agirein quanto portatrici di progresso, ma

scrive che “la proprietà privata deveessere abolita, limitata, corretta, este-sa caso per caso, non dogmaticamen-te in linea di principio”; che “non sipossono più lasciare ai privati le im-prese che, svolgendo un’attività ne-cessariamente monopolistica, sono incondizioni di sfruttare la massa deiconsumatori”; né “le imprese che sivogliono mantenere in vita per ragio-ni di interesse collettivo ma che, perreggersi, hanno bisogno di dazi pro-tettivi, sussidi, ordinazioni di favoreecc.”; né “le imprese che per la gran-dezza dei capitali investiti e il nume-ro degli operai occupati, o per l’im-portanza del settore che dominano,possono ricattare gli organi dello Sta-to, imponendo la politica per loro piùvantaggiosa”; e in tutti questi casi “sidovrà procedere senz’altro a naziona-lizzazioni su scala vastissima, senzaalcun riguardo per i diritti acquisiti”.

Scrive poi che “le caratteristicheche hanno avuto in passato il dirittodi proprietà e il diritto di successionehanno permesso di accumulare nellemani di pochi privilegiati ricchezze,che converrà distribuire durante unacrisi rivoluzionaria in senso egualita-rio, per eliminare i ceti parassitari eper dare ai lavoratori gli strumenti diproduzione di cui abbisognano, ondemigliorare le condizioni economichee far loro raggiungere una maggioreindipendenza di vita. Pensiamo cioèa una riforma agraria che, passandola terra a chi la coltiva, aumenti enor-memente il numero dei proprietari, ea una riforma industriale che esten-da la proprietà dei lavoratori nei set-tori non statizzati, con le gestioni coo-perative, l’azionariato operaio ecc.”.

Afferma infine che “la potenziali-tà quasi senza limiti della produzionein massa dei generi di prima necessi-tà, con la tecnica moderna, permette

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______________________________________________6) Cfr. Giovanna Cracco, L’Europa vista dasinistra, Paginauno n. 39/2014

I leaderignorano laterza partedel Manifestoe qui si rivelala malafededel lororichiamo:l’Europasognata da Spinelli era socialdemocratica l’Unione nonlo è mai statafin dallanascita

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RESTITUZIONE PROSPETTICA

ormai di assicurare a tutti, con un co-sto sociale relativamente piccolo, il

vitto, l’alloggia e il vestiario, col mi-nimo di conforto necessario per con-servare il senso della dignità uma-na. La solidarietà umana verso co-loro che riescono soccombenti nel-la lotta economica non dovrà, per-ciò, manifestarsi con le forme cari-tative sempre avvilenti e produttri-ci degli stessi mali alle cui conse-guenze cercano di riparare, ma conuna serie di provvidenze che ga-rantiscano incondizionatamente atutti, possano o non possano lavo-rare, un tenore di vita decente, sen-za ridurre lo stimolo al lavoro e alrisparmio. Così nessuno sarà più co-stretto dalla miseria ad accettarecontratti di lavoro iugulatori”.

Si può dire che l’Europa sognatada Spinelli fosse socialdemocratica,ma, appunto, l’Unione non lo è maistata, fin dalla nascita. All’epoca loerano i Paesi e le loro politiche na-zionali, ma già la Ceca e poi la Ceevennero fondate su un’impostazioneliberista, di cui il Trattato di Maastri-cht del 1992 e quel che ne è seguitosono stati la logica prosecuzione in-serita nella fase della globalizzazio-ne. Una strada che oggi nessuna at-tenuazione delle politiche di austeri-ty o alcun aumento della flessibilitàdi bilancio potrà modificare: se finoagli anni Ottanta, infatti, le due im-postazioni, socialdemocratica e libe-rista, sono riuscite a convivere, dopoil crollo dell’Urss il liberismo è dive-nuto pensiero dominante, e oggi nonc’è più alcuna contraddizione tra lepolitiche interne degli Stati e quelledell’Unione – i bisticci e le alzate ditesta che si rimpallano a turno i lea-der europei sono solo propaganda e-lettorale a uso interno.

È chiaro dunque che la terza par-

te del Manifesto di Ventotene deveessere ignorata, per non rendere pa-lese sia l’assurdità che la malafededel richiamo a Spinelli. Con un para-dosso: se è vero che oggi le grandinarrazioni non hanno più alcuna pre-sa e credibilità, è proprio quella par-te che potrebbe trascinare i cittadinieuropei a credere nell’Europa, se noncome soggetto collettivo, almeno co-me individui. Ma a quel punto l’Eu-ropa non sarebbe più una realtà amisura del Capitale, ed è su questenecessità che è stata costruita, nonsu quelle dei cittadini.

Lyotard conclude la sua riflessione af-fermando che nel postmodernismo,alle grandi narrazioni universali si èsostituita una pluralità di discorsi prag-matici, che hanno come orizzonte unavalidità strumentale e contingente:“Ci si orienta dunque verso degli in-siemi finiti di meta-argomentazioni[…] fondate su metaprescrizioni e li-mitate nello spazio tempo”, capaci diraccogliere un “consenso locale, otte-nuto cioè dagli interlocutori momen-to per momento, e soggetto a even-tuale revisione” (7). E queste sono di-fatti le caratteristiche delle narrazio-ni che oggi hanno più presa sui citta-dini europei, proposte dai partiti an-ti-europeisti di destra: lavoro, welfa-re e diritti prima agli italiani (ai fran-cesi, ai tedeschi, ai polacchi, agli in-glesi ecc.) poi agli immigrati. Libertà,uguaglianza ed emancipazione nonhanno più il respiro di valori univer-sali, sono divenuti locali, e le sceltepolitiche mutano inseguendo gli ac-cadimenti.

È la risposta alla liquidazione del-l’unica narrazione universale che si è

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______________________________________________7) Jean-François Lyotard, La condizione post-moderna cit.

Lyotardafferma che

alle grandinarrazioni

universali siè sostituita

una pluralitàdi discorsi

pragmaticiche hanno

comeorizzonte

una validitàstrumentale e

contingente

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Ventotene, l'Europa e il postmoderno

sviluppata nell’epoca postmoderna,ossia la globalizzazione economica,nata in seno all’ideologia liberista. An-ch’essa ha tradito le promesse di por-tare progresso, benessere, pace e li-bertà, e su questo fanno leva Trumpe i partiti di destra europei. E non c’ècontronarrazione credibile che Clin-ton, Renzi, Merkel, Hollande & C. pos-sano opporgli: non possono negare iltradimento, e non possono rivelareche non si tratta nemmeno di un tra-dimento – perché è l’espansione deldominio del Capitale il fine ultimodella globalizzazione, non l’emancipa-zione dell’Uomo. Un cortocircuito chesta paralizzando l’Unione europea,che forse la porterà all'implosione –e non ci saranno certo lacrime da ver-sare per la fine di questa Europa –che la recita all’isola di Ventotene,con il disperato richiamo al Manife-sto, ha drammaticamente portato sulproscenio.

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POLEMOS

Il 4 agosto scorso compa-re su Bloomberg Busines-sweek un’intervista a Ma-rissa Mayer (1), amministra-tore delegato di una dellepiù grandi corporation almondo: Yahoo. Senza tan-ti giri di parole, la Mayer, già fra i pri-mi dipendenti di Google, ci svela lachiave del successo del gigante statu-nitense e più in generale di ogni gran-de impresa: “Il segreto della fortunadelle aziende è quello di avere dipen-denti che si impegnano duramente.Si può arrivare a una media di 130ore alla settimana”.

Per anni abbiamo sentito raccon-tare la storia per cui, nelle grandi so-cietà del web 2.0, il lavoro era moltopiù rilassato: appositi spazi comunidove prendere una pausa e fare unpisolino, e in Google addirittura la pos-sibilità per i dipendenti di usare un’o-ra retribuita al giorno (o perfino il20% del tempo) per dedicarsi a un li-bero progetto. Ma poi nel 2015 è sta-ta proprio la Mayer a chiarire megliola faccenda: “I’ve got to tell you thedirty little secret of Google’s 20% ti-me. It’s really 120% time”. Ovvero,quel 20% di tempo era da conside-rarsi oltre il normale lavoro: straordi-

nari, semplicemente, non retribuiti.Progetti che poi Google valutava edeventualmente includeva tra quelliufficiali. Sono gli stessi Page e Brin,fondatori di Google, ad affermarenel 2014: “Noi incoraggiamo i nostridipendenti, in aggiunta ai loro rego-lari progetti, a utilizzare il 20% del lo-ro tempo per lavorare su quello cheloro pensano possa fare più bene aGoogle”, tanto che “molti dei nostriavanzamenti sono avvenuti in que-sta maniera”, da Google News a Gmaile addirittura il sistema che genera lafetta più grande di profitti per il co-losso statunitense: AdSense. Solo nel2013 Google ha escluso del tutto lapolitica del 20%, probabilmente perporre un limite all’eccessivo ritmo diinnovazioni che rendeva difficile losviluppo organico dei progetti.

Dunque alla fine, in barba alla re-torica sul lavoro agile e smart, il vec-chio caro sfruttamento, quello del-l’allungamento della giornata lavora-tiva, rimane ancora una strategia chia-ve per le imprese. Si tratta della sem-pre valida estrazione di plusvaloreassoluto: si lavora di più, la notte, ifestivi, si riducono le pause, lascian-do infine al lavoratore il minimo tem-po di riposo necessario per reinte-grare le forze. Nell’Ottocento si col-locavano i dormitori direttamente nel-

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IL TEMPO DI LAVOROCHE SI DIVORA LA VITA Collettivo Clash City Workers

Per anniabbiamo

sentitoraccontare la

storia chenelle grandisocietà delweb 2.0 il

lavoro era piùrilassato con

appositi spazicomuni dove

prendereuna pausa

e fare unpisolino

__________________________________________________________________________________________________1) Cfr. https://www.bloomberg.com/features/2016-marissa-mayer-interview-issue/

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le fabbriche proprio per ridurre que-sto tempo; oggi accade ancora nellefabbriche-dormitorio di Shenzen, nel-la Cina sud-orientale, dove si produ-cono gli iPhone, ma evidentementeanche nelle modernissime Yahoo eGoogle. Per poter lavorare 130 ore asettimana, dice la Mayer, “si deve or-ganizzare strategicamente il tempodel proprio sonno, quello della doc-cia e anche quante volte si va in ba-gno. E le nap room [stanze del pisoli-no, n.d.a.] a Google c’erano perchéalle tre del mattino è più sicuro re-stare in ufficio piuttosto che cammi-nare fino alla propria auto”. Perché aGoogle si poteva (si può, sicuramen-te) lavorare fino alle tre del mattino!E il colosso del web non è il solo, so-no ormai diverse le società america-ne nelle quali il lavoro è ininterrottogiorno e notte (ma anche giappone-si, e il trend è in crescita) che hannonon solo nap room ma anche veri epropri dormitori.

Sembra l’Inghilterra ottocentescadi Dickens e invece è il lavoro nellecorporation della globalizzazione. Piùdi un secolo, in cui i lavoratori si so-no organizzati, hanno strappato le ot-to ore lavorative giornaliere (in Italianel 1923), il giorno di riposo, le ferie,

sembra non essere mai esistito: oggiquesti diritti sono rimessi in discus-sione e non solo nelle imprese ame-ricane, ma anche qui da noi.

In Italia?In quest’ultimo anno l’Italia ha vistoun’accelerazione sul tema: aumentodel tempo di lavoro e riduzione deltempo di vita, come abbiamo eviden-ziato su queste pagine analizzando irinnovi dei contratti collettivi nazio-nali (2).

Pensiamo soprattutto al settorecommerciale con i supermercati dimolte grandi catene (Carrefour e Au-chan per prime) che hanno deciso diaprire h24, con lavoro domenicale enotturno obbligatorio (3). Qui non po-teva essere venduta la favoletta delself-made man, la promessa che incambio dell’impegno totale e assolu-to puoi diventare il nuovo geniettodell’informatica e vedere ripagati i tuoisforzi come un novello Steve Jobs,Bill Gates o la più classica MarissaMayer; in questo settore tale retori-ca non poteva funzionare, e infatti èstata sostituita dal più diretto ricatto:o così o stai a casa. Per i nuovi assun-ti, con la firma di contratti con cui sideve accettare l’orario flessibile (straor-

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Non solo nelle corporationdel webma anchenell’industria 4.0 l’aumento dellaproduzionee la riduzionedei costipassa ancoraper ilmeccanismodel plusvalore assoluto

__________________________________________________________________________________________________2) Cfr. Clash City Workers, Salari da fame, orari da pazzi: i nuovi contratti nazionali , Pagi-nauno n. 46/20163) Cfr. Clash City Workers, Il tempo è il nostro, è il nostro tempo. La flessibilità lavorativa daIkea e da Carrefour, 10 settembre 2015

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POLEMOS

dinari non pagati, turni notturni e domenicali obbli-gatori, ti chiamo all’ultimo quando mi servi, stai acasa quando decido io); per chi ha il vecchio contrat-to – teoricamente blindato – ecco il trasferimento pu-nitivo, comminato in caso di rifiuto, come accadutoin vari punti vendita (4).

Ma pensiamo anche allo straordinario comanda-to per i lavoratori Fca (5), costretti a lavorare il saba-to fino a quando, sfiniti per i carichi di lavoro, non sisono organizzati e hanno imposto all’azienda la so-spensione. O pensiamo ai turni di 12-14 ore di tantifacchini della logistica, turni che erano la regola fin-ché, anche qui, molti lavoratori non hanno comin-ciato a organizzarsi con alcuni sindacati di base e so-no riusciti, in molti siti, a porre un freno allo sfrutta-mento selvaggio (6).

Sembra quindi che non solo nelle corporation main linea generale, nel 2016, nelle società che pro-spettano l’industria 4.0, il tanto agognato aumentodella produzione e la riduzione dei costi passi ancoraper l’aumento dello sfruttamento assoluto, quindi deltempo di lavoro che mangia sempre più tempo divita. Per fortuna la Mayer ci rassicura che lavorare130 ore a settimana è possibile, basta pianificaretutto, anche quando andare in bagno. La chiamano“conciliazione del tempo di vita e lavoro”, ma moltopiù banalmente è la drastica e diretta riduzione deltempo libero in favore del tempo di lavoro supple-mentare (per altro non pagato con maggiorazioni).Una situazione che di fatto impedisce ogni possibileorganizzazione della propria vita, sociale, culturale,affettiva.

Così arriviamo al paradosso di oggi: una societàtecnicamente evoluta che continua a far lavorareallo sfinimento le persone. Una società in cui c’è chiè costretto a lavorare 60/70 ore la settimana (per ri-manere su soglie leggermente più ‘umane’) e unamassa sconfinata di disoccupati.

Secondo una ricerca dell’Ilo (7),l’Organizzazione internazionale dellavoro, nel 2007 un lavoratore su cin-que in tutto il mondo – ovvero 600milioni di persone – lavorava ancoraper più di 48 ore la settimana, e nel-la maggior parte dei casi solo perriuscire ad arrivare alla fine delmese.

Oltre all’impossibilità di organiz-zare una propria vita al di fuori dellavoro, occorre fare anche valutazio-ni sui costi sociali e umani che que-sto aumento netto dello sfruttamen-to si trascina dietro. Orari molto lun-ghi, soprattutto per lavori pesanti,combinati con età pensionabile sem-pre crescente e sempre minori ob-blighi per le imprese nel campo dellasicurezza sul lavoro (8), aumentanospaventosamente i rischi di inciden-ti. Con costi spesso drammatici per

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_____________________________________________________________________________________________________________________4) Cfr. G. Guccione, Beffa Auchan: raddoppia ma trasferisce le cassiere ribelli, La Repubblica, 24 febbraio 20165) Cfr. Clash City Workers, C’è ancora chi lotta contro il modello Marchionne!, 29 maggio 20166) Sfruttamento che è emerso con tragica violenza a metà settembre, quando un lavoratore di un magazzinodel corriere GLS, in sciopero a Piacenza, è stato ucciso da un camion che ha provato a forzare il picchetto deilavoratori7) Cfr. Studio Ilo, Gli orari di lavoro nel mondo: un lavoratore su cinque lavora troppo, 7 giugno 20078) Cfr. Un disegno di legge per ridisegnare la normativa sulla sicurezza, Puntosicuro.it, 4 agosto 2016

Per poter lavorare 130 orea settimana “si deve organizzare

strategicamente il tempodel proprio sonno, quello della

doccia e anche quante voltesi va in bagno. A Google

esistevano le nap room perchéalle tre del mattino è piùsicuro restare in ufficio

piuttosto che camminarefino alla propria auto”

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Il tempo di lavoro che si divora la vita

chi si infortuna (o peggio perde la vita) e alti costisociali per tutti.

Lavorare 130 ore la settimana è possibile, ci dicela Mayer. Forse seduta comodamente al sessantesi-mo piano di un ufficio con aria condizionata e sediaergonomica, e a casa la governante e la baby sitter.Ma quanto lo è per la maggioranza delle personeche non guadagna certo 6.500 dollari l’ora come laprotagonista dell’intervista? E soprattutto, al di làdello stipendio, quanto è desiderabile un mondo incui tutti lavorano sempre, senza orari, senza soste?Costretti a fare la spesa la notte e così obbligando lacassiera del supermercato a fare il turno notturno?È un cortocircuito da cui dovremmo uscire, preten-dendo per tutti orari di lavoro più umani e tempo li-bero per coltivare i nostri interessi, le passioni, gliaffetti.

Non è impossibile economicamente, basti pensa-re alla quantità di ricchezza di cui si appropriano idetentori di grandi capitali, e soprattutto a quantemerci finiscono nei rifiuti e a quanti beni e serviziinutili vengono prodotti; non è impossibile nemme-no tecnicamente, visti i progressi della tecnologia. Èimpossibile solo perché il sistema capitalistico si reg-ge sulla vendita della forza lavoro e sulla pretesa,per chi l’acquista, di disporne a piacimento, per trar-ne ogni anno valori di profitti che il lavoratore maivedrà in una intera vita; è impossibile perché il capi-talismo, in preda a una crisi sistemica, torna a mo-strare il volto più brutale, mettendo a guadagno lavita stessa (9). Il buon vecchio motto lavorare menolavorare tutti non è mai stato così attuale.

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__________________________________________________________________9) Anche in un senso immediatamente tragico: al 19 settem-bre 2016 sono 960 i lavoratori morti per infortunio dall’inizioanno, 466 sul luogo di lavoro e i rimanenti mentre vi si recava-no o rientravano. Uno, Abd ElSalam Ahmed Eldanf, ucciso men-tre manifestava in picchetto

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L'INTERVENTO

Incontro-dibattito presso il Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa (Mila-no), 19 giugno 2016, sul tema delle fabbriche occupate-recuperate: dal-l’argentina ex Zanon, oggi FaSinPat (Fábrica Sin Patrónes, Fabbrica SenzaPadroni), alla RiMaflow di Trezzano sul Naviglio

Nell’Argentina della crisi esplosa nel 2001 nasce l’esperienza delle ‘fab-briche recuperate’, aziende abbandonate dagli imprenditori, occupate dailavoratori e recuperate alla produzione in regime di autogestione opera-ia. La ceramica ex Zanon, oggi FaSinPat, 450 lavoratori all’attivo e sul fron-te della lotta fin dall’inizio, è diventata uno dei simboli delle fabricas re-cuperadas. Oggi in Argentina le imprese autogestite sono più di 250,vanno dal settore manifatturiero a quello dei servizi e occupano 30.000lavoratori. Dall’America latina l’esperienza è arrivata in Europa, in Fran-cia, Grecia e Italia, dove nel 2012 è nata RiMaflow, una cooperativa dilavoratori licenziati dalla Maflow che ha recuperato la fabbrica, ricon-vertendola dalla produzione di automotive al riuso e riciclo di apparec-chiature elettriche ed elettroniche (1).

Mariano Pedrengo (FaSinPat). Innanzitutto una premessa. La crisi del2001 non ha innescato le occupazioni delle fabbriche: certamente mol-te sono state successive, ma tante erano già iniziate – la Zanon, peresempio, era già stata occupata, e oggi, grazie a una legge, è stata espro-priata ed è di proprietà dei lavoratori. Tuttavia la crisi ha avuto un pesoimportante nel processo di autogestione, perché ha permesso un saltoculturale rispetto all’idea di ‘legalità’: il governo si era rivelato corrotto,

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Mariano Pedrengo e Gigi Malabarba

Occupare,resistere, produrre

__________________________________________________________________________________________1) Per approfondire il tema cfr. Le fabbriche recuperate, Andrés Ruggeri, Alegre edizioni,recensito a pag. 81 e il documentario Historias recuperadas, Alejandro Barrientos,http://www.empresasrecuperadas.org/videoteca.php

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le banche avevano chiuso non restituendo i soldi allepersone, il concetto di legalità era entrato in crisi, ave-va perso la sua sacralità. È stata la classe media a ri-bellarsi, quelli che picchiavano sulle vetrine delle ban-che nelle immagini che hanno fatto il giro del mondoerano i piccoli imprenditori e i liberi professioni, e laloro rivolta, unita a quella dei disoccupati, è stata de-cisiva e ha contribuito a facilitare le occupazioni. Mail movimento operaio, che aveva subìto la crisi prece-dente delle riforme neoliberiste del governo Menem,non è stato l’attore principale della ribellione. Dopola realtà è cambiata e abbiamo temuto una dura re-pressione, perché quando alla classe media è stata re-stituita la possibilità di risparmiare, e i disoccupati so-no stati tenuti buoni con un po’ di misure sociali, lasituazione si è calmata ma a quel punto le fabbricheoccupate erano sul fronte.

Per capire cosa significhi per noi autogestione, dueparole su come siamo organizzati alla FaSinPat. Alme-no una volta a settimana c’è la riunione dei delegati,che è una sorta di organo esecutivo, una trentina dilavoratori eletti dagli operai – ogni reparto elegge undelegato per ogni turno, revocabile in qualsiasi mo-mento. È una riunione in cui si discute sia di temi le-gati strettamente alla produzione della fabbrica chedi politica, nel senso che ci si confronta sulla posizio-ne che l’azienda dovrà prendere in merito alle politi-che nazionali. La logica sottesa è che la fabbrica si reg-ge su due gambe, la parte produttiva e la battagliapolitica. Chi poi decide ogni cosa è l’assemblea gene-

rale, a cui partecipano tutti i lavora-tori e che si riunisce almeno una vol-ta al mese: si blocca la produzione –la FaSinPat produce 24 ore su 24 – ei diversi turni si riuniscono alle ottodel mattino. Non ci sono limiti di tem-po, in teoria l’assemblea dovrebbechiudersi nelle otto ore di lavoro maalcune sono durate due giorni, unaanche tre, perché c’erano disaccordi;le decisioni infatti non si prendono al51% ma a larga maggioranza, e senon c’è andiamo avanti a discuterefinché non si trova un accordo che siadavvero maggioritario, sia sulle que-stioni politiche che su quelle produt-tive. Siamo 450 persone e tra noi cisono posizioni politiche diverse, di si-nistra, di destra, qualunquiste... quin-di a volte non è facile, ma il nodo checi unisce tutti è l’autogestione e laconvinzione che debbano esistere idue aspetti, la produzione e la lottapolitica.

Un altro punto importante è il si-stema di rotazione dei posti di lavo-ro: tutti i compagni possono cambia-re mansione, passare dalla linea inproduzione alla contabilità in ufficio.È un modo per combattere l’alienazio-

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L'INTERVENTO

ne ma anche per avere una visione globale della produzione, e permet-te un passaggio del sapere: quando lavori in un’azienda dove voti tuttoin assemblea, sai quanto costa una macchina, una piastrella, conosciogni aspetto del funzionamento dell’impresa.

Apro una parentesi su questo tema. C’è una fabbrica autogestita cheproduce mattoni: sono settanta operai, con un’alta percentuale di anal-fabetismo, nessuno ha finito le scuole secondarie, e il 70% ha più di ses-sant’anni. Quando i dirigenti della ex proprietà hanno saputo che i lavo-ratori volevano autogestire la fabbrica si sono messi a ridere, dicendoche non avrebbero mai saputo farla funzionare. Oggi questa impresa èsotto gestione operaia da sei anni, e i lavoratori hanno un salario moltopiù alto di quello che abbiamo alla FaSinPat. Credo sia una dimostrazio-ne chiara di quello che la gestione operaia può provocare nella testadelle persone. Quando si partecipa a queste cose, si ha la sensazioneche siano il seme di quello che potrebbe essere il futuro.

Questo non significa che pensiamo che l’autogestione sia la soluzio-ne obbligatoria. Per noi è stata la risposta al problema concreto del la-voro, per non ritrovarci disoccupati quando la fabbrica stava per chiude-re. Ma non è solo questo. In Argentina è aperto il dibattito sul tema del -l’autogestione, se è una specie di socialismo, o un territorio liberato, seè sufficiente per vivere... È chiaro che non lo è, perché anche se dentrola fabbrica si riesce a costruire uno spazio di libertà e di maggiore de-mocrazia in una forma di gestione collettiva, fuori c’è il mercato capitali-stico, e con quello ci si deve rapportare. Per questo consideriamo la fab-brica una trincea di lotta, perché ci sentiamo parte del movimento ope-raio, del popolo argentino che lotta per i suoi diritti, e non si può pensa-re di salvarsi con un’autogestione in fondo alla Patagonia. Questo nonsignifica solo solidarizzare con le altre lotte, vuol dire anche che la fab-brica è del popolo, che è una fabbrica aperta alla comunità, che ha unafunzione sociale. Detto così sembra una semplificazione, ma nei fatti si-gnifica, per esempio, che dopo anni di lotta con il governo abbiamo ot-tenuto che all’interno della fabbrica si creasse una scuola secondaria pub-blica, con un’organizzazione degli orari che tiene conto dei turni di lavo-ro, permettendo così agli operai di tutto il polo industriale della zona dipoter frequentare le lezioni.

Significa anche organizzare eventi culturali dentro la fabbrica, comemostre e festival di musica. Nel 2011 – ma non solo in quell’occasione,ne organizziamo continuamente – per festeggiare i dieci anni dell’auto-gestione è venuto Manu Chao a cantare: 25.000 persone dalle quattrodel pomeriggio alle quattro di notte, e non c’è stato un solo problema, enon c’era polizia in giro perché noi non permettiamo che entri in fabbri-ca, e imponiamo anche che non sia presente nel raggio di chilometri in-torno allo stabilimento. Abbiamo fatto più di quindici giorni di concerti,sono passati migliaia di giovani e tutto è andato bene, a dimostrazione

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Occupare, resistere, produrre

che la gioventù, sempre criminalizzata, è tranquillaquando gli si dà uno spazio di libertà.

Significa inoltre che la produzione deve avere unoscopo sociale. La nostra è una regione ricca, petroli-fera, eppure c’è molta povertà. Per dare un’idea, nel-la capitale vivono 350.000 persone e mancano 70.000case, e anche scuole e ospedali. Quindi non solo ab-biamo lottato insieme ai lavoratori della scuola e del-la sanità, ma abbiamo anche fatto pressione e impo-sto al governo di costruire nuove scuole e ospedali.Abbiamo detto: noi ci mettiamo le piastrelle, e qui loStato deve costruirli. Il punto è che in un mondo nelquale mancano cose necessarie, chiudere una fabbri-ca è un crimine sociale, per due ragioni: perché si per-dono posti di lavoro, e questo significa fame per lefamiglie, e perché si smettono di produrre beni chehanno un interesse sociale.

Significa anche riconoscere le altre lotte. L’argillache usiamo, per esempio, si trova in territorio Mapu-che. L’ex proprietario Zanon non la pagava, in praticala rubava, e ci fabbricava piastrelle con nomi italiani:Venezia, Firenze... Dopo aver occupato abbiamo fat-to un accordo con la comunità Mapuche e ora non so-lo compriamo l’argilla, rispettando la terra da cui pro-viene, ma abbiamo anche voluto dare un contributoculturale e ideologico alla lotta dei Mapuche, crean-do quattro nuovi modelli di piastrelle e chiedendo aiMapuche di deciderne i nomi: hanno scelto quelli diquattro leader che hanno resistito all’invasione argen-tina, rimanendo uccisi. Per noi è un onore essere riu-sciti a fare un prodotto con la terra del popolo Mapu-che, in una fabbrica occupata, rivendicando la lorostoria e tradizione, ricordando la repressione che han-no subìto e che subiscono e riconoscendo legittimala loro lotta.

Tutto questo per noi vuol dire fare della fabbricauna trincea di lotta, e non è stato facile arrivare finqui. Ci siamo riusciti perché non abbiamo ceduto masoprattutto perché abbiamo avuto fin dall’inizio unapolitica di sostegno alla comunità, e la popolazione haricambiato.

Prima di arrivare all’autogestione siamo dovuti pas-sare per il controllo operaio, che ha nulla a che vede-re con la cogestione, che anche in Argentina esiste,

compresa nella sua versione più per-versa che è la partecipazione del la-voratore ai dividendi dell’azienda, cheapparentemente sembra una conqui-sta ma in realtà è un modo di parte-cipare allo sfruttamento e ai beneficidel padrone – non facciamo scioperocosì il bonus di fine anno è più alto,questa è la dinamica che innesca. Con-trollo operaio significa controllare laproprietà, non cogestire con la pro-prietà. Prima che occupassimo Zanondiceva che la fabbrica era in crisi, emolti compagni ci credevano perchétutto il Paese era in crisi. Eravamo unaminoranza a dire una cosa sola: vo-gliamo vedere la contabilità. Perchéfacevamo i conti della produzione edelle vendite, contavamo i camion cheuscivano, e dimostravamo che la fab-brica non era affatto in crisi, quindichiedevamo di vedere i libri contabi-li; chiaramente Zanon non ce li ha maidati.

Questa stessa posizione l’abbiamotenuta alla Ceramica Stefani, e in que-sto caso la discussione era tra un com-pagno di sessant’anni con un pezzodi foglio e una penna e la proprietàcon i computer, e sempre il confron-to terminava dicendo: la fabbrica sen-za padrone può produrre, senza ope-rai no.

Un altro caso è stato quello dellaCeramica Neuquén, una fabbrica che,pur non avendo l’ultima tecnologia,ha impianti molto più avanzati dei no-stri – per dare un’idea, con due pres-se e una sola linea e settanta lavora-tori producono tanto quanto noi con450 operai, quattro presse, sei lineee quattro forni. Nel 2008/2009 nelPaese c’è stata una piccola crisi eco-nomica e la proprietà ne ha approfit-

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L'INTERVENTO

tato per iniziare a dire che l’impresa andava male. I lavoratori non vole-vano la gestione operaia, noi gli abbiamo detto che erano loro a doverscegliere ma che come sindacato non potevamo accettare che ci fosserolicenziamenti e diminuzione di stipendi senza vedere i libri contabili; eb-bene, oggi la fabbrica è in autogestione e produce.

Anche in Argentina, come in Italia, ‘autogestione’ era un concetto nonimmaginato, non considerato come possibile alternativa. Non era un per-corso programmato, semplicemente ci siamo opposti alle chiusure dellefabbriche ed è saltato fuori. Oggi è una realtà che nessuno può più con-testare, e con l’attuale crisi economica, non solo in Argentina ma in tut-ta l’America latina, stanno ricominciando nuove situazioni di autogestio-ne. Non la consideriamo una soluzione definitiva, ma una politica alter-nativa di fronte ai licenziamenti. Il passaggio successivo è l’esproprio dellafabbrica.

Noi siamo per la statalizzazione dell’impresa sotto controllo operaio,che non è il capitalismo di Stato, non è l’Unione sovietica, ha nulla a chefare con la logica della statalizzazione, al contrario rompe quella logica.Perché il problema sono le imprese grandi, non certo quelle piccole. Inuna micro azienda nella quale il costo della mano d’opera pesa molto dipiù di quello degli impianti si può anche creare una cooperativa ed eco-nomicamente sopravvivere, ma non è possibile farlo in una grande azien-da a forza incidenza di capitale. Per questo la fabbrica deve essere delloStato, perché si pone la questione degli investimenti. Noi diciamo chenon esiste un’impresa al mondo a capitale intensivo che si possa costruiresenza l’aiuto pubblico, e il nostro denaro, del popolo, deve andare a so-stenere le fabbriche del popolo. È un tema che negli ultimi mesi è torna-to d’attualità, insieme alla coordinazione delle fabbriche recuperate, per-ché in questi anni le imprese sono rimaste indietro nello sviluppo dei lo-ro impianti e oggi la crisi le obbliga a mettere sul tavolo la questione delrinnovamento tecnologico. Per noi statalizzazione significa che lo Statodeve investire nell’impresa ma la fabbrica deve essere gestita in mododemocratico dai lavoratori e non dai manager/burocrati statali, per dueragioni: la produzione deve avere un destino sociale e non rivolto al mer-cato, e la fabbrica deve essere aperta alla comunità, e sono entrambepossibili solo se c’è il controllo operaio. Quando abbiamo discusso que-sto aspetto in Parlamento i deputati sono rimasti allibiti, perché porre laquestione del capitalismo non solo dentro la fabbrica ma nello spaziosociale è il punto di rottura, quello che non possono accettare perché sov-versivo. Il capitalismo ti permette, anche legalmente, di fare una coope-rativa, di crearti un piccolo spazio felice, quello che non ammette è laproduzione in senso sociale e autogestita insieme alla comunità.

Un esempio concreto di cosa questo significhi è quello della Bruk-man, una fabbrica che produceva vestiti di alta qualità e che una volta inautogestione, per decisione delle sessanta lavoratrici, ha iniziato a con-

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Occupare, resistere, produrre

fezionare divise per gli alunni delle scuole. Ce n’è bi-sogno, hanno detto, i poveri non possono permetter-sele, e quindi noi le produciamo e lo Stato deve pa-garle. Oppure il caso di una tipografia, qualche annofa, che stampava una rivista stupida e inutile e in au-togestione ha deciso di produrre quaderni per le scuo-le, sempre pagati dallo Stato.

In questo modo noi espropriamo gli espropriato-ri, quelli che fino a oggi hanno usato i soldi del popo-lo per fare i loro investimenti; ora il popolo prende ildenaro e decide dove è importante investirlo. Va det-to che su queste posizioni siamo una piccola mino-ranza, la maggior parte del movimento delle fabbri-che recuperate non pone obbligatoriamente questoaspetto come punto fondamentale, si limita a creareuna cooperativa e si chiude nella propria impresa li -berata, producendo per il mercato e non mettendoin discussione il capitalismo. Ma dimostrare che sipuò fare significa accendere una piccola luce che puòindicare un cammino.

Certo oggi stiamo attraversando una situazionecomplicata, a causa della politica di Macri e della re-cessione economica che ha raggiunto l’America lati-na. Da una parte abbiamo un calo dei consumi, dal-l’altra un incremento delle tariffe energetiche – il gas,per esempio, è stato aumentato del 1.500 per centoda un giorno all’altro: per noi significa passare da unabolletta di un milione di pesos a 9 milioni. Dall’iniziodell’anno l’inflazione è aumentata del 25%, e nessu-no sa che impatto avrà l’aumento del gas, probabil-mente si arriverà a fine anno con un’inflazione del40%, quando tutti gli accordi aziendali hanno previ-sto aumenti retributivi del 20%. Negli ultimi sei mesici sono stati 150 mila licenziamenti, e i dati ufficialiforniti dalla Chiesa, l’unica fonte esistente perchénon ci sono altre analisi, parlano di 1,5 milioni di po-veri in più dall’inizio del 2016, in un Paese di 40 mi-lioni di abitanti. È chiaro che in questa situazione lefabbriche recuperate sono in forte difficoltà, perchéhanno problemi ad avere crediti. Ma questo dimo-stra una volta di più che non ci si può limitare all’au-togestione di un’impresa quando fuori dominano ilcapitalismo e il libero mercato: la fabbrica deve esse-re una trincea di lotta, ed è bene che siano qui anche

i compagni della RiMaflow, perché si-gnifica che quando i lavoratori devo-no lottare, la lingua, la cultura, le fron-tiere non sono un problema, si puòcombattere tutti insieme e nello stes-so modo.

Gigi Malabarba (RiMaflow). Può es-sere interessante dire due parole sul-le relazioni tessute da queste realtà.L’aspirazione del coordinamento in-ternazionale delle fabbriche recupe-rate è riuscire a scambiare le espe-rienze, di modo che le situazioni piùavanzate, che hanno fatto più stradae quindi hanno già dovuto affrontareuna serie di difficoltà trovando deglisbocchi, possano essere riprese da al-tri Paesi. La RiMaflow ha partecipatosia all’incontro in Fralib, in Francia,due anni fa, che a quello in Venezue-la nel luglio dell’anno scorso, e ci so-no anche incontri regionali suddivisiper aree – America latina, Stati Uniti,Messico, Europa... Quest’anno ci tro-viamo a ottobre alla Vio.Me di Salo-nicco, ora sotto attacco. Il tema sultavolo è la costruzione di un’alterna-tiva politica e sociale, di questo si di-scute.

Alla RiMaflow la pensiamo comein FaSinPat, ossia sosteniamo l’idea diun’autogestione conflittuale, proprioperché non può sopravvivere una fab-brica isolata, il socialismo in un pic-colo angolo della Patagonia o a Trezza-no sul Naviglio, dentro un mercato ca-pitalistico. Quindi attraverso canali sin-dacali o di coordinamento tra le fab-briche recuperate cerchiamo di co-struire dei fronti, perché la trincea de-ve essere strutturata, perché dobbia-mo essere dentro il conflitto sindacalee sociale più generale, perché dobbia-

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L'INTERVENTO

mo cambiare la situazione nell’insieme della società. Fin dall’inizio, co-me RiMaflow, abbiamo pensato esattamente a questo: diamo una rispo-sta al bisogno immediato di lavoro, ma non riusciremo a sopravvivereda soli. E mentre dai questa risposta cerchi di capire qual è l’alternativagenerale di società. Anch’io credo che l’autogestione della singola realtànon sia che un primo passo, anche se già dimostrare che è possibileprodurre senza padrone prefigura una società diversa.

Per la RiMaflow, per Officine Zero, per quelle poche realtà che ci so-no in Italia e in Europa, l’esempio argentino è stato fondamentale. Ci èarrivato attraverso i canali del movimento altermondialista di quegli an-ni, attraverso alcuni filmati, anche quelli non proprio ben fatti dal puntodi vista contenutistico come il documentario di Naomi Klein, molto di-scutibile sotto diversi aspetti, però utile a far comprendere che esistonoquelle esperienze. Italia e Argentina, tra l’altro, sono simili da diversi puntidi vista, oltre a essere entrambi Paesi a capitalismo avanzato, quindi c’èsembrato possibile sperimentare esperienze analoghe.

Al di là delle singole realtà, però, è fondamentale costruire un movi-mento e anche cercare di convincere pezzi di sindacato sull’alternativadell’autogestione; soprattutto durante le vertenze, quando non si riescea ottenere uno sbocco di tipo tradizionale, è importante far capire chela storia non è finita, che è possibile avere un altro scenario, che gli ope-rai possono fare andare avanti la fabbrica, perché quando se ne va unpadrone e ne arriva un altro in genere è già una sconfitta, dato che lanuova proprietà mira sempre a dimezzare gli operai, aumentare gli oraridi lavoro, porre condizioni più dure. Dovremmo cercare di convincerealmeno i sindacati conflittuali, quelli che pensano sia possibile ancoraoggi fare delle lotte, quindi soprattutto il sindacalismo di base e poiqualche pezzo di sindacato confederale.

Dopodiché occorre fare anche una battaglia politica per cercare distrappare provvedimenti legislativi che possano consentire ai lavoratoridi gestire le fabbriche. Personalmente non credo nell’istituzione checambia il mondo, ma credo nella mobilitazione di massa che impone delleforme legislative che consentano delle modalità di autogestione. Que-sta è l’ispirazione della nazionalizzazione sotto controllo operaio, un con-cetto che ha matrici teoriche storiche e che, come diceva Mariano, nonè il carrozzone burocratico gestito dalla Stato con i propri manager mauna proprietà, che in Nicaragua hanno chiamato ‘proprietà del popolo’,gestita direttamente dai lavoratori. Occorre dunque creare un quadro diregole che permetta l’attività di autogestione, anche solo nel fondamen-tale passaggio di ‘fuga’ del padrone. L’imprenditore se ne vuole andarea produrre in Polonia, come è accaduto alla RiMaflow e alla Fralib? Be-ne. Ha preso finanziamenti pubblici fino all’altro giorno? Bene. Allora la-scia qui gli impianti, la fabbrica, tutto. Che se ne vada pure in Polonia maa condizione che i lavoratori possano prendere in mano l’impresa, come

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Occupare, resistere, produrre

risarcimento sociale del fatto che ha intascato soldi pubblici e poi se n’èandato. Questo dovrebbe consentire una legislazione a favore del popo-lo, dei lavoratori. Ma la si può ottenere solo con un movimento di mas-sa, un fronte sociale ampio che imponga e strappi una legge di questogenere. È la ragione per cui se ne discute in Val di Susa, perché lì c’è unapotenzialità di lotta che anche se diversa nella tematica è dentro le lotteambientaliste, degli spazi sociali, dei movimenti sindacali, degli studen-ti. Tutti questi fronti dovrebbero unirsi per creare una alternativa dalbasso che strappi delle regole migliori, e non perché, dal mio punto divista, si possa creare uno Stato migliore, ma per costruire delle istituzio-ni di contropotere dal basso che sono ben altra cosa rispetto alla gestio-ne del potere in una società capitalistica borghese.

Quindi credo che l’esperienza delle fabbriche recuperate possa apri-re una strada, mostrare una possibilità, essere, come diceva Mariano, unpezzo di trincea di lotta. Anche qui in Italia è diffusa la tendenza a voler-si creare un piccolo spazio liberato, una cooperativa, e finirla lì. Ma èun’illusione. Dalle nostre parti poi, più che fabbriche recuperate abbia-mo esperienze di occupazioni di terre, che diventano situazioni di attivi-tà produttiva con una gestione diretta da parte dei lavoratori, ma pro-prio in campagna è presente, anche se minoritaria, quella logica per cuime ne vado dalla città e mi creo la mia isola felice, un posto dove potervivere meglio. È una spinta più che legittima, ma parecchio limitata nel-la possibilità di costruire un’alternativa. Se invece anche quel tipo di oc-cupazione di terra si inserisce in un percorso di autogestione conflittua-le, che quindi si collega alle lotte bracciantili, dei migranti, ambientali, difabbrica, urbane ecc., ecco che si crea un contesto di costruzione di un’al-ternativa generale invece di rinchiudersi nel proprio piccolo. Anche per-ché se ti lasciano gestire la tua micro situazione felice è perché non con-ti nulla: stai certo che se costituissi un elemento serio di alternativa, cer-cherebbero di impedirtelo.

Quindi collegarsi e coordinarsi, anche attraverso gli incontri regionalie internazionali, si inserisce in questa logica: creare fronti di lotta e co-struire una conflittualità con un progetto politico dal basso. Produzionee politica, insieme.

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(DIS)ORIENTAMENTI

Il 2016, oltre che per l’aggressività dell’Isis e gli attentati contro cittadinieuropei, verrà ricordato sia dagli storici che dai politologi come l’annodelle occasioni mancate dalla sinistra europea di fronte all’avanzata deipartiti populisti di destra, formazioni capaci di cavalcare sia la paura cheil malcontento contro le politiche neoliberiste. Eppure il populismo sireinventa: è il caso dell’arcinoto Front national di Marine Le Pen, che in-vece di fare leva sulla classica islamofobia che caratterizza i populisti no-strani, lancia un progetto innovativo, il collettivo elettorale Banlieu Pa-triote, puntando sul voto di tutti quei musulmani perfettamente integratinella società francese, orgogliosi sia del proprio retaggio islamico che delproprio senso di appartenenza alla Repubblica, ma stanchi di essere asso-ciati al fondamentalismo islamico; e capaci, inoltre, di identificare nel Frontnational il partito patriottico e sovranista che li rappresenta, un partito so-ciale e al contempo conservatore, rispettoso – più di una sinistra di go -verno che è per i diritti civili per gli omosessuali – dell’ordine naturale,tema particolarmente sentito da alcune culture religiose e infatti minimocomune denominatore con i cattolici più tradizionali, e strumento, notanogli osservatori, per radicarsi nelle periferie delle grandi città, un tempo ba-cino elettorale delle sinistre social-comuniste.

Populismo è una parola che ormai da un po’ scompagina il dibattitopolitico e politologico, e spesso usata a sproposito. L’accusa più nota èquella di fascismo, ma è fuorviante. Pur esistendo frange non indifferentidi estrema destra che lo utilizzano per sdoganarsi, i populismi (o meglio,i neopopulismi), spiega Piero Ignazi, “non sono una rivalutazione del ‘mi-to palingenetico’ del fascismo: essi offrono una risposta ai conflitti dellasocietà contemporanea (ed è questa la chiave del loro successo). La dife-

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AfD: una Nuova destrapopulista in Germania?di Matteo Luca Andriola

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sa della comunità dalle presenze straniere (da cui razzismo e xenofobia) èuna risposta in termini di identità all’atomizzazione e alla spersonalizza-zione; l’invocazione della legge e dell’ordine, l’appello diretto al popoloe il fastidio per i meccanismi rappresentativi rispondono al bisogno di au-torità e di guida di una società dove l’autoregolamentazione e l’indivi -dualismo hanno lacerato le maglie protettive dei legami sociali tradizio-nali” (1). Ergo, nulla a che vedere con il fascismo, che secondo un auto-revole studioso come Emilio Gentile fu una via italiana al totalitarismo,“un fenomeno politico moderno, nazionalista e rivoluzionario, antilibera-le e antimarxista, organizzato in un partito milizia, con una concezionetotalitaria della politica e dello Stato, con un’ideologia attivistica e anti-teoretica, a fondamento mitico, virilista e antiedonistica, sacralizzata co-me religione laica, che afferma il primato assoluto della nazione, intesa co-me comunità organica etnicamente omogenea, gerarchicamente organiz-zata in uno Stato corporativo, con una vocazione bellicosa alla politica digrandezza, di potenza e di conquista, mirante alla creazione di nuovo or-dine e di una nuova civiltà” (2).

La confusione che porta all’identificazione del populismo con il fa-scismo è stata illustrata già nel 2011 dal disegnatore Plantu per il settima-nale L’Express del 19 gennaio, con una vignetta che rappresentava la lea-der del Front national e il candidato del Front de gauche alle presidenzia-li del 2012, entrambi con il braccio alzato a sfoggiare una fascia rossa men-tre leggevano lo stesso discorso; come a sostenere che chiunque contesti,

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___________________________________________________________________________________________1) P. Ignazi, L’estrema destra in Europa, Il Mulino, 2000, p. 2592) E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, 2002, pp. IX, X

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(DIS)ORIENTAMENTI

anche con differenti approcci, il sistema, sia un pericolo. Il rimando at-tuato dalla stampa progressista – per lo più quella vicina a quel Parti so-cialiste che ha accentuato le misure di austerity imposte dall’Europa eproposto una dura legge del mercato del lavoro – è chiaramente alla co-siddetta convergenza degli ‘estremi’. Una posizione che mira alla demo-nizzazione – sotto l’etichetta di populismo – di tutti coloro che mettono indiscussione il liberismo, anche solo a parole. Perché il programma dellaLe Pen è un liberalismo mitigato da un pizzico di sovranismo, con alcunirafforzamenti del welfare state solo per chi è cittadino francese, mentrequello dell’ex socialista Jean-Luc Mélanchon, leader del Parti de la gau-che e del Front de la gauche che comprende il Pcf, è un blando program-ma socialdemocratico.

Alternative für Deutschland: una destra alla destra della Cdu-CsuSe le fortune dei populismi d’Oltralpe possono essere facilmente compre-se anche in termini storiografici e politologici, per quei soggetti che simostrano alternativi a un bipolarismo che fa acqua e crea partiti differentisolo su concetti sovrastrutturali, diverso è il caso di Alternative für Deu-tschland (AfD), partito politico di destra di chiara impronta populista edeuroscettica che sta facendo incetta di voti in Germania, lì dove non si èmai veramente formato un polo di destra anti-sistema eccetto per i sog-getti ininfluenti di stampo neonazista (Npd, Dvu, Republikaner ecc.). AfDinvece, non presentando un passato neonazista, come la stragrande mag-gioranza dei neopopulismi europei, eccezione fatta per il Vlaams Belangfiammingo e per il Freiheitliche Partei Österreich, ma essendosi formatoin seno al conservatorismo classico, risulta essere maggiormente appeti-bile per l’elettore tedesco, refrattario, anche per ragioni storiche, all’estre-mismo. I tedeschi di Alternative für Deutschland sono infatti membri del-l’eurogruppo di centrodestra Conservatori e Riformisti europei, gruppomoderato, liberale ma euroscettico e anti-federalista, a cui sono affiliati nonsolo i conservatori inglesi, i Tory, ma anche i dissidenti di Forza Italia le-gati all’ex governatore pugliese Raffaele Fitto, quei Conservatori e Rifor-misti che stanno cercando di ricostruire il centrodestra italiano. AfD dun-que è un partito conservatore e liberale di destra nettamente critico versol’Unione europea, e soprattutto verso le sue politiche sull’immigrazione.

Fondato nel febbraio 2013, in vista delle elezioni federali di quell’an-no, dall’economista Bernd Lucke, professore di macroeconomia pressol’Università di Amburgo, il movimento ha cavalcato il senso di antipoliti-ca diffuso un po’ in tutta Europa e ha raccolto il crescente sentimento an-ti-europeista tra l’elettorato tedesco: propone l’indizione di referendum po-polari per approvare la transizione da una democrazia a sovranità limitataalla sovranità nazionale dei vari Stati membri della Ue, l’uscita dall’euro

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AfD: una Nuova destra populista in Germania?

della Germania e la possibilità di creare unioni monetarie alternative oparallele a quelle vigenti (3).

Quello che rende AfD non un mero contenitore antipolitico populistama un movimento di destra è l’etica conservatrice esposta nel suo pro-gramma, di fortissima critica nei confronti dei diritti civili, del matrimo-nio omosessuale, delle adozioni di figli da parte delle coppie dello stessosesso, dell’aborto e delle cosiddette politiche gender mainstreaming, co-me per esempio l’incentivazione delle quote rosa, l’equiparazione tra i ses-si e le cattedre universitarie sugli studi di genere. Su alcuni temi – questiultimi – AfD pare addirittura più a destra di partiti euroscettici con unpassato neofascista come Fratelli d’Italia, che non si è mai opposto alla pa-rità dei sessi. Ma è con la crisi migratoria del 2015 che AfD manifesta lasua anima xenofoba, anche a costo di una scissione, che tuttavia non l’haindebolito: nel mese di maggio si spacca in due tronconi, uno guidato dalneo segretario Frauke Petry, maggiormente favorevole alla revisione, insenso restrittivo, della legislazione in materia di diritto di asilo, presen-tandosi come un acerrimo avversario della Cdu di Angela Merkel e dellasua scelta di accettare profughi dalla Siria, e l’altro guidato dal fondatoreBernd Lucke, che preferisce portare avanti un populismo meramente fi-scalista ed economico. Quest’ultimo blocco è fuoriuscito dal partito il 4luglio scorso, al congresso di Essen, e ha animato il 19 luglio, insieme adaltri cinque europarlamentari, l’Allianz für Fortschritt und Aufbruch (Al-leanza per il Progresso e il Rinnovamento), realtà euroscettica ma menoconnotata in senso xenofobo.

Dalla sua nascita, e nonostante la scissione, il cammino di AfD è gra-dualmente in ascesa: alle prime elezioni nelle quali si è presentato, quellefederali del 2013, ha ottenuto 2.056.985 voti, il 4,7%, non riuscendo quindia superare lo sbarramento del 5% per accedere al Bundestag (4). Ma giàalle europee del 2014 – che hanno visto l’aumento in tutta l’Unione deivari movimenti populisti di destra, Front national per primo – ha ottenuto il7,04% ed è entrato nel Parlamento europeo, non aderendo però all’eurogrup-po guidato da Marine Le Pen, il Movimento per un’Europa delle Nazioni edella Libertà, che ha nella Lega Nord, nel Fpö e nel Vlaams Belang i suoipilastri, ma al citato Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (5).

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___________________________________________________________________________________________6) U. Villani-Lubelli, Oltre la CDU: l’ascesa dell’altra destra in Germania, 5 settem-bre 2014, http://www.limesonline.com/oltre-la-cdu-lascesa-dellaltra-destra-in-germa-nia/658387) Cfr. M. L. Andriola, La nuova destra austrotedesca: dai nazionalrivoluzionari alpopulismo alpino di Haider, Paginauno n. 31/2013 e La nuova destra austrotedesca:Haider, i contatti con la Lega Nord e il populismo alpino, Paginauno n. 32/2013

___________________________________________________________________________________________3) A riguardo rimando a L. McGowan e D. Phinnemore, A Dictionary of the EuropeanUnion, Taylor & Francis, 2015, pp. 23–24, W. C. Thompson (a cura di), Nordic, Cen-tral and Southeastern Europe 2015-2016, Rowman & Littlefield Publishers, 2015, p.246 e all’articolo AfD chief Lucke denies plans to split the party, in Deutsche Welle,19 maggio 20154) Cfr. AfD freut sich über Mitgliederzuwachs, in http://www.sat1.de/news/politik/afd-freut-sich-ueber-mitgliederzuwachs-100477, 1 gennaio 20165) Cfr. A. Nicolaou e L. Barker, Anti-euro German AfD joins Cameron’s EU parlamentgroup, Reuters.com, 12 giugno 2014

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(DIS)ORIENTAMENTI

Fino alle elezioni regionali di quest’anno nelle quali ha raggiunto impor-tanti risultati, cavalcando non solo la sfiducia economica dei tedeschi neiconfronti dell’Unione europea ma anche le contraddizioni relative alla crisimigratoria: con l’apertura delle frontiere nazionali ai profughi siriani egli attacchi terroristici in Francia e in Germania, AfD ha iniziato a identi-ficare gli islamici con i terroristi dell’Isis, e ha raccolto il 15,1% nel Landdel Baden-Württemberg, divenendo il terzo partito, il 12,6% nel Land dellaRenania-Palatinato e il 24,2% nella Sassonia-Anhalt – qui nel 2014 ave-va registrato appena il 9,7%.

L’avanzata di oggi della destra nazional-conservatrice euroscettica con-ferma un’evoluzione dei rapporti di forza tra i partiti tedeschi già in attodalle elezioni politiche dello scorso anno: il ‘terzo polo’ dei liberali (Fdp)viene politicamente eliminato e l’estrema destra nostalgica del Terzo Rei-ch totalmente svuotata. Una ricerca fatta dall’Istituto Infratest nel 2014,riporta Limes, dimostrerebbe che “l’elettorato di AfD coincide in gran partecon quello del neonazista Npd, con cui condivide le posizioni politichecontro gli immigrati e a favore della famiglia tradizionale. Si tratta di unfenomeno non nuovo ma che nel caso della Sassonia ha prodotto gli ef-fetti più evidenti. Anche se i rappresentanti di AfD si sono sempre sforza-ti di prendere le distanze da Npd, è pur vero che gli argomenti usati daipropri leader politici in campagna elettorale sembrano costruiti per attira-re anche l’elettorato di estrema destra. In Germania è molto noto un sito[http://afdodernpd.de/, n.d.a.] realizzato dal Partito Pirata in cui vengonoconfrontati i manifesti elettorali di AfD e Npd al fine di dimostrare la vi-cinanza di slogan e tesi” (6). La tesi della sovrapposizione dell’elettoratoneonazista con quello nazional-conservatore è in parte vera, ma oggi quel9,7% tramutatosi in 24,2% si spiega solo con un flusso di voti dall’eletto-rato moderato, quello che tradizionalmente vota per la Cdu-Csu, verso AfD.

Il ruolo della Nuova destra intellettuale e giornalistica nell’ascesa di AfDCome abbiamo scritto su queste pagine in merito al caso Haider e al suoFpö (7), spesso gli ambienti intellettuali legati al circuito della Nuova de-stra (Neue Rechte) cercano di dare un contributo intellettuale alle elabora-zioni dei soggetti politici. Con Haider avevamo gli ambienti giovanili del-l’ultradestra formatasi nelle Burchenschaften, le corporazioni studentescheintrise di sentimenti nazional-patriottici di marca völkisch, che coltivano

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___________________________________________________________________________________________6) U. Villani-Lubelli, Oltre la CDU: l’ascesa dell’altra destra in Germania, 5 settem-bre 2014, http://www.limesonline.com/oltre-la-cdu-lascesa-dellaltra-destra-in-germa-nia/658387) Cfr. M. L. Andriola, La nuova destra austrotedesca: dai nazionalrivoluzionari alpopulismo alpino di Haider, Paginauno n. 31/2013 e La nuova destra austrotedesca:Haider, i contatti con la Lega Nord e il populismo alpino, Paginauno n. 32/2013

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AfD: una Nuova destra populista in Germania?

idee pangermaniche. Nello specifico, alcuni legati a tali ambienti comeAndreas Mölzer, oggi europarlamentare del Fpö, si sono ispirati alle ana-lisi che in Francia sono state elaborate dalla nouvelle droite e dal Grecedi Alain de Benoist, e hanno cercato, promossi ai vertici ideologici del par-tito di Haider, di concretizzarli politicamente.

In Germania, vista l’assenza di un polo di destra rispettabile, la frasta-gliata area della Neue Rechte ha cercato sbocchi in alcuni pensatoi legatialla Csu come l’Intereg, ma ora è nel neopopulismo che vede possibili in-terlocutori. Lo capiamo sfogliando il tabloid settimanale Junge Freiheit,pubblicato a Friburgo dal 1986 da Dieter Stein e da diversi giovani licealie universitari di destra e che vuole essere un ponte fra gli intellettuali del-la Neue Rechte (da quelli identitati e völkisch legati al Thule-Seminar,inizialmente costruito sulla falsariga del Grece parigino, ai solidaristen diJunges Forum, rivista rosso-bruna inizialmente legata a tesi nazi-maoiste,antiborghesi, sociali e antiamericane), i politici e gli intellettuali della vec-chia destra neonazista del Npd, i neopopulisti del Republikaner Partei edella Deutsch Volk Union e gli ambienti più a destra della Csu-Cdu (8).Molto intelligentemente però, Junge Freiheit non ha mai detto di rifarsial nazionalsocialismo, ma piuttosto agli intellettuali dell’ala nazional-con-servatrice della Konservative Revolution, terminologia formulata da alcu-ni studiosi per indicare nel loro complesso una serie di movimenti politi-co-culturali di destra, parzialmente nostalgici della grandezza imperialekaiseriana, nati in Germania fra il 1918 e il 1932, e che costituì tuttavial’humus culturale da cui si sviluppò il nascente nazismo, e che la nouvel-le droite ha poi riletta e riattualizzata in chiave postmoderna. Junge Frei-heit, nello specifico, elogia fortemente Ernst Jünger, il cui ritratto cam-peggia nell’ufficio del direttore Dieter Stein, che ha collaborato con il ta-bloid fino alla propria morte, sopraggiunta nel 1998 (9).

La rivista, disponibile nelle edicole della Germania, ha cercato sindall’inizio di battersi per togliere ai tedeschi il senso di colpa per le re -sponsabilità della seconda guerra mondiale, e contro la ‘sottocultura’ svi-luppatasi dal ’68 in avanti, giudicata “deleteria”, e ha diffuso tesi revisio-niste dando voce al negazionista David Irving e al defunto Ernst Nolte(10); è stata anche implicata nel tentativo di condizionare i populismi re-gionalisti in Europa, a partire dalla Lega Nord di Bossi, elogiando, nel-l’articolo Rivolta delle Regioni, i tentativi separatisti del Carroccio nella

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___________________________________________________________________________________________8) Cfr. www.junge-freiheit.de e l’archivio online della rivista, al sito www.jf-archiv.de9) Come dirà con orgoglio Dieter Stein, intervistato dal neodestrista fiammingo LucPauwels, cfr. Alla conquista del potere culturale, in Diorama letterario n. 229-230, ot-tobre-novembre 1999, pp. 40-4310) Cfr. J.Y. Camus (éd), Exstrémismes en Europe, Paris, CERA, 1997, p. 51-52

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(DIS)ORIENTAMENTI

seconda metà degli anni ’90, e sostenendo che “la fondazione della nuo-va Repubblica federale della Padania, ricca di simbolismi, potrebbe con-seguire una dimensione politica reale qualora i centralisti italiani non sidecidano finalmente per la federalizzazione dello Stato” (11). Il tabloidneodestrista è arrivato a giudicare di “estremo interesse le carte geografi-che pubblicate dalla Lega sui confini dell’auspicato Stato del Nord. In que-ste carte dettagliate il Südtirolo rimane fuori, così come le parti del Tren-tino appartenenti fino alla prima guerra mondiale alla parte austriaca del-la monarchia danubiana” (12).

Ma di fronte a una crisi economica come quella che l’Europa sta vi-vendo, il pragmatismo della destra politica porta i suoi settori localisti – èil caso anche della Lega Nord di Matteo Salvini – ad accantonare i temitipici del regionalismo per sposare “l’interesse nazionale”. E i giornalistidi Junge Freiheit sfruttano le fortune di AfD per aumentare le copie dellarivista (una crescita del 16,5% rispetto allo scorso anno), cavalcando lacrisi dei rifugiati e le critiche alla politica filoamericana del governo, conforti elogi a Vladimir Putin e contro il politicamente corretto – che a de-stra è visto come una Kulturkampf contro le ‘piaghe morali’ che hanno in-debolito l’Europa – in nome del risollevamento della Germania a potenzasovrana europea (non che oggi non lo sia, ma la Nuova destra e certi set-tori dell’ultradestra, essendo antiamericani, reputano il governo di Bonnvassallo di Washington) e motore dell’Europa dei popoli. Il tutto sfruttan-do la crisi presso l’elettorato tedesco del Frankfurter Allgemeine Zeitung,troppo schierato su posizioni filoamericane in merito alla crisi ucraina eai legami fra la giunta sponsorizzata da Cdu-Csu e Spd e i neonazisti diPravy Sektor. Sfogliando la rivista si nota come Dieter Stein faccia spes-so dei paragoni fra la moderna Germania e quella pre-nazista di Weimar.

“Chi vuole capire Alternative für Deutschland – dice Alexander Gau-land, vice presidente di AfD – deve leggere Junge Freiheit”; dichiarazio-ne che vale più di mille parole e di mille dossier sul partito o sui legamifra tale movimento nazional-populista e la Nuova destra, legame confer-mato anche dall’ampio spazio dedicato al partito sul sito web della rivista(13). Il settimanale nazional-conservatore e neodestrista infatti, dà voce apolitici come Konrad Adam, ex redattore del Frankfurter Allgemeine Zei-tung e, fino al luglio 2015, presidente onorario di AfD, che ora pubblicaregolarmente su Junge Freiheit, soprattutto articoli che elogiano il prima-to tedesco. In un pezzo intitolato Deutschland ruiniert sich (La Germania

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___________________________________________________________________________________________11) Junge Freiheit, n. 39, 199612) Cfr. Junge Freiheit, n. 38, 1996, p. 813) Cfr. https://jungefreiheit.de/thema/afd/

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AfD: una Nuova destra populista in Germania?

è rovinata), Adam ha scritto: “Loro [i tedeschi] vogliono essere un mo-dello e un esempio in tutto il mondo, non importa in quale disciplina, nelcalcio o in esportazioni di auto, nella guerra lampo, nella vittoria finale oin qualsiasi altra cosa: «Possiamo farcela»” (14).

Il politologo Wolfgang Gessenharter, che ha lavorato in diverse pub-blicazioni con la Junge Freiheit, in un’intervista ha affermato che il gior-nale cerca di irretire AfD, cavalcando l’insoddisfazione verso la Merkel,una via che potrebbe portarlo a essere l’organo ‘ufficioso’ del partito, usan-do la stessa sintassi politically incorrect. Insomma, un’evoluzione di tuttorispetto per una semplice rivistina ciclostilata creata da alcuni liceali didestra nella metà degli anni Ottanta.

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___________________________________________________________________________________________14) K. Adam, Deutschland ruiniert sich, in Junge Freiheit n. 39, 2016

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DURA LEX

Il prossimo 4 dicembre si terrà il referendum costituzionale, ma il di-battito politico sembra essersi spostato su un tema diverso e appa-rentemente sconnesso da quanto previsto dalla legge di riforma del-la Costituzione del 15 aprile 2016 (legge Renzi-Boschi): in particola-re, l’attenzione è rivolta alle modifiche da apportare alla nuova leggeelettorale, il cosiddetto Italicum (1). Si tratta della solita schizofreniaitaliana oppure i due temi sono strettamente correlati? Entriamo neldettaglio delle due leggi per comprendere – e il lettore scuserà i tec-nicismi, ma non se ne può fare a meno.

Perché un referendum?L’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione ha di-chiarato legittimo il seguente quesito referendario: “Approvate voi il

testo della legge costituzionale con-cernente ‘Disposizioni per il su-peramento del bicameralismo pa-ritario, la riduzione del numerodei parlamentari, il contenimen-to dei costi di funzionamento del-le istituzioni, la soppressione delCnel e la revisione del titolo V del-la parte II della Costituzione’ ap-provato dal Parlamento e pub-blicato nella Gazzetta Ufficiale n.88 del 15 aprile 2016?” (2).Innanzitutto va ricordato che non

sempre è necessario sottoporre a referendum popolare le leggi chemodificano la Costituzione, accade solo nel caso che non siano stateapprovate in seconda votazione dalla maggioranza qualificata (pari aidue terzi) dei membri di ciascuna Camera, cioè a quelle che nonhanno ricevuto un adeguato sostegno parlamentare. Tuttavia, anchein caso di maggioranza assoluta (il 50% più uno dei membri), il refe-rendum non viene disposto in automatico, ma solo se lo richiedono,entro tre mesi dalla data di pubblicazione del testo in Gazzetta Uffi-ciale, almeno un quinto dei componenti di una Camera, o 500.000elettori, oppure cinque Consigli regionali (3). Se il referendum vieneindetto, la legge verrà promulgata solo se riscuoterà la maggioranzadei voti referendari validi, a prescindere dal cosiddetto quorum, cioèdalla percentuale di elettori che si recheranno alle urne.

Questo è un punto cruciale per capire cosa sta accadendo in Ita-

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La riforma costituzionale:pericoli in agguatodi Giovanna Baer

_______________________________________________________________________________________1) Legge 6 maggio 2015, n. 52, sulla cui legittimità costituzionale al momento pen-de il giudizio della Consulta2) http://www.camera.it/leg17/465?tema=riforme_costituzionali_ed_elettorali3) Art. 138 della Costituzione

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lia: per confermare le leggi che modificano la Costi-tuzione senza un’ampia maggioranza parlamentare,paradossalmente, non c’è bisogno del consenso dellamaggioranza dei cittadini. Del futuro della Costituzio-ne decide solo chi vota, che siano 10 elettori, 1.000 o10 milioni non fa differenza, perciò la strategia dell’a-stensione per mantenere lo status quo ante non èpraticabile.

Il bicameralismo differenziatoLa riforma si propone come primo (e più importante)obiettivo il superamento del cosiddetto bicamerali-smo perfetto (o paritario) che caratterizza attualmen-te l’assetto istituzionale italiano. Il testo approvatoprevede inoltre la revisione del procedimento legisla-tivo, contemplando l’introduzione del cosiddetto “votoa data certa”; l’introduzione dello statuto delle op-posizioni; la facoltà di ricorso preventivo di legittimi-tà costituzionale sulle leggi elettorali di Camera e Se-nato; alcune modifiche alla disciplina dei referendum;tempi certi per l’esame delle proposte di legge di ini-ziativa popolare; la costituzionalizzazione dei limitisostanziali alla decretazione d’urgenza. Prevede an-che modifiche al sistema di elezione del Presidentedella Repubblica e dei giudici della Corte Costituzio-nale da parte del Parlamento; la soppressione dellaprevisione costituzionale delle Province; la riforma delriparto delle competenze tra Stato e Regioni; e la sop-pressione del Consiglio nazionale dell’economia e dellavoro (Cnel).

Per analizzare il primo punto, cioè il superamentodel bicameralismo perfetto, va ricordato che nel no-stro attuale sistema parlamentare la Camera dei de-putati e il Senato hanno – eccezion fatta per alcunedifferenze di minore entità – identici poteri: in parti-colare tutte le leggi, sia ordinarie che costituzionali,devono essere approvate da entrambe le Camere, ela fiducia al governo deve essere concessa sia dai de-putati che dai senatori. In caso di una vittoria dei Sìal referendum, invece, si dovrebbe passare a un bica-meralismo differenziato, nel quale il Parlamento conti-nuerebbe ad articolarsi in Camera dei deputati e Se-nato della Repubblica, ma i due organi avrebbero unacomposizione diversa e funzioni in gran parte diffe-renti.

La Camera dovrebbe diventare l’u-nico organo eletto direttamente daicittadini a suffragio universale (ma ilcondizionale, come vedremo in se-guito, in questo caso è davvero d’ob-bligo), ed è previsto che essa esercitila funzione di indirizzo politico, la fun-zione legislativa e quella di controllodell’operato del governo (compresol’esercizio esclusivo della fiducia par-lamentare), e il Presidente della Came-ra diventerebbe la seconda carica del-lo Stato (4).

Il Senato (5) sarebbe invece un or-gano rappresentativo delle autonomieregionali, composto da 100 membri(invece dei 315 attuali), di cui 95 sceltidai consigli regionali al loro interno(74 consiglieri regionali e 21 sindaci),la cui carica decadrebbe alla scaden-za del mandato di amministratori lo-cali, e cinque nominati dal Presiden-te della Repubblica, che rimarrebbe-ro in carica sette anni. Il Senato di-venterebbe dunque un organo a rin-novo parziale, non sottoposto a scio-glimento, poiché la durata dei sena-tori eletti coinciderebbe con quelladegli organi delle istituzioni territo-riali dai quali essi sono stati ‘selezio-nati’.

Per il Senato l’elezione a suffragiouniversale e diretto viene perciò so-stituita con un’elezione di secondo li-vello a opera delle assemblee elettive

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______________________________________________4) Testo di legge costituzionale approvato inseconda votazione a maggioranza assoluta,ma inferiore ai due terzi dei membri di cia-scuna Camera, recante: “Disposizioni per ilsuperamento del bicameralismo paritario,la riduzione del numero dei parlamentari, ilcontenimento dei costi di funzionamento del-le istituzioni, la soppressione del Cnel e larevisione del titolo V della parte II della Co-stituzione”, GU n. 88 del 15-4-2016, art. 15) Ibidem, art. 2

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regionali, e tuttavia le modalità con cui tale elezione deve avvenirenon sono state inserite nella legge di riforma (per l’impossibilità diuna convergenza parlamentare sul punto specifico), che si limita a ri-chiedere che l’elezione dei senatori avvenga “in conformità alle scel-te espresse dagli elettori” per i candidati consiglieri in occasione delrinnovo degli enti locali.

Con la legge Renzi-Boschi il nuovo Senato delle Regioni conserve-rebbe solo alcune delle sue funzioni attuali: in particolare, manter-rebbe la funzione legislativa (insieme alla Camera) unicamente sui rap-porti tra Stato, Unione europea ed enti territoriali; sulle leggi di revi-sione della Costituzione, le altre leggi costituzionali, le leggi di attua-zione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle mi-noranze linguistiche, le leggi sui referendum popolari e infine sulle leg-gi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli orga-ni di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città me-tropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative deiComuni (6).

Il Senato potrà inoltre decidere – su richiesta di un terzo dei se-natori – di proporre modifiche alle leggi approvate dalla Camera, mail suo voto sarà obbligatorio solo in merito a norme relative alle com-petenze regionali, mentre in tutti gli altri casi, se la richiesta non ver-rà presentata entro il termine di 10 o 15 giorni (a seconda delle ma-terie), le leggi approvate dalla Camera entreranno direttamente in vi-gore. In più sarà la Camera dei deputati a decidere se accettare oignorare le modifiche proposte dal Senato, a meno che non si trattidi leggi relative alle competenze esclusive delle Regioni o a leggi dibilancio, nel qual caso la Camera potrà ‘superare’ le richieste del Se-nato solo con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei depu-tati. Infine il nuovo Senato non avrà più competenze sullo stato diguerra, che dovrà essere deliberato dai soli deputati a maggioranzaassoluta, né sulle leggi di amnistia e indulto, e nemmeno sulle leggidi recepimento dei trattati internazionali – a meno che non riguardi-no l’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

La riforma elimina anche il vincolo di età (quarant’anni) per i nuo-vi senatori e non prevede un’indennità di ruolo specifica (poiché sa-ranno scelti fra gli amministratori di enti locali, la loro unica retribu-zione sarà quella a carico delle Regioni o dei Comuni), ma non dispo-ne alcunché in materia di rimborsi spese, che saranno di conseguen-za regolati da norme interne.

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_______________________________________________________________________________________6) http://www.camera.it/leg17/465?tema=riforme_costituzionali_ed_elettorali

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La riforma costituzionale

Infine, la riforma inserisce nella nuova formulazione dell’art. 55della Costituzione il seguente comma: “Le leggi che stabiliscono lemodalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donnee uomini nella rappresentanza”.

Il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionaleLa riforma prevede modalità nuove anche per l’elezione del Presi-dente della Repubblica (7): parteciperebbero al voto solo i deputati ei senatori (rispetto a oggi ‘scompaiono’ i 59 delegati regionali); il quo-rum delle prime tre votazioni rimarrebbe identico (la maggioranzaqualificata, pari circa al 66%), ma salirebbe quello richiesto dal quar-to al sesto scrutinio (una maggioranza di tre quinti, cioè del 60%, in-vece dell’attuale maggioranza assoluta del 50% più uno); e dalla se-sta votazione in poi servirà infine la maggioranza dei tre quinti dei vo-tanti invece, come oggi previsto, della maggioranza degli aventi dirit-to. Il nuovo Presidente della Repubblica potrà sciogliere solo la Ca-mera dei deputati e non più il Senato (i cui membri, come indicato inprecedenza, decadranno insieme alle rispettive cariche negli enti lo-cali).

Viene inoltre modificata la previsione che attribuisce al Parlamentoin seduta comune l’elezione di un terzo dei giudici della Corte costi-tuzionale, stabilendo che i cinque giudici della Consulta vengano no-minati separatamente, tre dalla Camera e due dal Senato (8).

Il voto a data certaPer rafforzare il ruolo del governo nel procedimento legislativo la ri-forma istituisce il voto a data certa, cioè riconosce all’esecutivo il po-tere di chiedere che un disegno di legge, indicato come “essenzialeper l’attuazione del programma di governo” (9), sia iscritto con prio-rità all’ordine del giorno della Camera e venga discusso e votato en-tro il termine di settanta giorni, ulteriormente prorogabili di non ol-tre quindici giorni.

Altre disposizioni concernono la decretazione d’urgenza (cioè lapossibilità di ricorrere alla legiferazione attraverso lo strumento deldecreto legge), e il relativo procedimento di conversione. In partico-lare, la riforma introduce in Costituzione alcuni limiti, previsti dalla

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_______________________________________________________________________________________7) Testo di legge costituzionale cit., art. 22 e 238) Ibidem, art.379) http://www.camera.it/leg17/465?tema=riforme_costituzionali_ed_elettorali

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normativa ordinaria, disponendo che il decreto legge non possa prov-vedere nelle materie indicate nell’art. 72 della Costituzione (comma5), ossia in materia costituzionale, di delegazione, di ratifica di tratta-ti internazionali e di approvazione del bilancio. Non sarà inoltre pos-sibile adottare decreti legge in materia elettorale (a eccezione delladisciplina dell’organizzazione del procedimento elettorale e dello svol-gimento delle elezioni); reiterare disposizioni di decreti legge non con-vertiti o regolare i rapporti giuridici sorti sulla loro base; e ripristinarel’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzio-nale per vizi non attinenti al procedimento. I decreti legge potrannoessere utilizzati solo qualora contengano misure di immediata appli-cazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al tito-lo, e infine, nel corso dell’esame parlamentare per la conversione inlegge (il decreto legge deve infatti essere convertito in legge entro 60giorni dalla sua pubblicazione), non potranno essere approvate di-sposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto (10 ).

Nuova riforma del titolo V della Costituzione esoppressione delle ProvinceLa legge Renzi-Boschi elimina le Province quali enti costitutivi dellaRepubblica (11), ma soprattutto rivede profondamente la suddivisio-ne delle competenze legislative e regolamentari tra Stato e Regioni,cioè l’art. 117 della Costituzione.

In particolare, la riforma sopprime la competenza concorrente (cioèil potere esclusivo delle Regioni di legiferare su determinati ambiti),e istituisce una redistribuzione delle materie fra competenza legisla-tiva statale e competenza legislativa regionale, di fatto indebolendol’orientamento federalista introdotto nel 2001. Se la riforma venissepromulgata, lo Stato avrebbe il potere di legiferare, in particolare, su:la tutela e la promozione della concorrenza; il coordinamento dellafinanza pubblica e del sistema tributario; le norme sul procedimentoamministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro pubblico; le di-sposizioni generali per la tutela della salute; la sicurezza alimentare;la tutela e sicurezza del lavoro, nonché le politiche attive del lavoro;l’ordinamento scolastico, l’istruzione universitaria e la programmazio-ne strategica della ricerca scientifica e tecnologica. Inoltre, verrebbeintrodotta la cosiddetta clausola di supremazia, in base alla quale la

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_______________________________________________________________________________________10) Testo di legge costituzionale cit., art. 1611) Ibidem, art. 29

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La riforma costituzionale

legge statale – su proposta del governo – potrebbe intervenire inmaterie non riservate alla sua legislazione esclusiva qualora lo richie-da la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovverola tutela dell’interesse nazionale.

Nel contempo viene modificato anche l’art. 116 della Costituzio-ne, che aveva introdotto il cosiddetto regionalismo differenziato oasimmetrico (12). In particolare, la legge Renzi-Boschi ridefinisce gliambiti nei quali possono essere attribuite alle Regioni ordinarie par-ticolari forme di autonomia; introduce una nuova condizione per l’at-tribuzione, cioè che la Regione sia in condizione di equilibrio tra leentrate e le spese del proprio bilancio; trasforma l’iniziativa della Re-gione interessata da presupposto necessario per l’attivazione del pro-cedimento a condizione eventuale; e stabilisce che l’attribuzione del-le forme speciali di autonomia avvenga con una legge approvata daentrambe le Camere, ferma restando la necessità dell’intesa tra lo Sta-to e la Regione interessata.

Altre modificheLa proposta di riforma costituzionale abolisce l’art. 99 della Costitu-zione, eliminando il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro(Cnel) – attualmente composto da 64 consiglieri, è un organo ausilia-rio previsto dalla Carta costituzionale con compiti consultivi e di ini-ziativa legislativa in materia di economia e lavoro.

Cambia anche il numero di firme necessario a presentare leggi diiniziativa popolare (art. 71 Costituzione), che passerebbe da 50.000 a150.000, ma la nuova Carta garantirebbe che le proposte vengano di-scusse e votate.

Per quanto riguarda la disciplina referendaria, la riforma da unaparte va a modificare il quorum per i referendum abrogativi, il cui ri-sultato sarebbe valido con la partecipazione al voto del 50% più unodegli aventi diritto (come avviene attualmente) o, in caso esso siastato richiesto da almeno 800 mila elettori, con il 50% più uno deivotanti delle ultime elezioni; dall’altra introduce due nuovi tipi di re-ferendum, quello propositivo e quello di indirizzo (ma per decideremodalità ed effetti di queste consultazioni serviranno prima una leg-ge costituzionale e poi una legge ordinaria).

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_______________________________________________________________________________________12) “Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol ela Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di au-tonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”

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Governabilità vs democraticitàÈ evidente come la riforma costituzionale miri soprattutto a renderepiù snello l’iter legislativo e a rafforzare il potere esecutivo, per evita-re in futuro le situazioni di stallo in cui i governi della Repubblica sisono spesso trovati a causa del ping-pong fra Camera e Senato impo-sto dal bicameralismo perfetto nel processo di approvazione delle nor-me. In nome della governabilità, problema di cui si è più volte discus-so sulle pagine di questa rivista, si cerca ora di agire in via costituzio-nale per ottenere quel che non si è raggiunto per via ordinaria (cioèattraverso le varie riforme elettorali di stampo maggioritario): il po-tere di intervenire con un elevato grado di libertà nella gestione del-lo Stato.

Ancora una volta, con il referendum siamo chiamati ad approvareuna riduzione della democraticità del sistema Paese (meno rappre-sentanti eletti direttamente dai cittadini coinvolti nel processo deci-sionale), per permettere all’esecutivo di governare in sicurezza. Sipotrebbe obiettare che, in linea di principio, la rinuncia al bicamerali -smo perfetto influenza direttamente solo i tempi del processo legi -slativo e non snatura di per sé i rapporti di forza all’interno del Parla-mento o del Paese.

Tuttavia questo è vero solo se Camera e Senato hanno maggioran-ze dello stesso peso e segno, e solo se i rappresentanti del popolo ven-gono eletti su base proporzionale: in tutti gli altri casi eliminare (so-stanzialmente) il ruolo del Senato nell’iter legislativo coincide con l’az-zeramento politico di un pezzo di Italia. E, abbinato a un sistema elet-torale maggioritario, ciò potrebbe significare privare la maggioranzanumerica dei cittadini del diritto a essere rappresentati. E con ciò ar-riviamo al vero cuore del problema: l’accoppiata riforma costituzio-nale-Italicum.

L’ItalicumLa legge 6 maggio 2015, n. 52, meglio conosciuta come Italicum, pre-vede un sistema proporzionale a doppio turno a correzione maggio-ritaria, con premio di maggioranza, soglia di sbarramento e collegi plu-rinominali con capilista bloccati. Essa disciplina l’elezione della solaCamera dei deputati in sostituzione della legge elettorale del 2005,dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Consulta nel dicembre2013.

In particolare, la versione finale della nuova legge prevede (13): un

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_______________________________________________________________________________________13) http://www.camera.it/temiap/2016/03/14/OCD177-1820.pdf

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La riforma costituzionale

premio di maggioranza di 340 seggi (pari al 54% dei deputati) alla li-sta che raggiunge almeno il 40% dei voti al primo turno o che vinceal ballottaggio senza possibilità di apparentamento fra liste, mentre i277 seggi restanti (si escludono quelli della Valle d’Aosta e i 12 dellacircoscrizione Estero) vengono ripartiti fra le altre liste che superanola soglia di sbarramento unica (3%) in modo proporzionale (precisa-mente secondo il Metodo Hare-Niemeyer dei quozienti interi e dei piùalti resti); la suddivisione del territorio nazionale in 100 collegi pluri-nominali; la designazione di un capolista bloccato in ogni collegio daparte di ciascun partito, con possibilità per i capilista di candidarsi inmassimo dieci collegi; il diritto degli elettori di esprimere sulla sche-da elettorale due preferenze di genere (obbligatoriamente l’una disesso diverso dall’altra, pena la nullità della seconda preferenza); sem-pre per favorire l’alternanza di genere, l’obbligo di designare capilistadello stesso sesso per non più del 60% dei collegi nella stessa circo-scrizione e di compilare le liste seguendo l’alternanza uomo-donna.

Dato molto interessante, nel testo della nuova legge elettorale èstata inserita una clausola di salvaguardia che posticipava l’applica-zione delle sue disposizioni a decorrere dal primo luglio 2016, dataper la quale il governo prevedeva che la riforma della Costituzione indiscussione in Parlamento avrebbe terminato il suo iter e il Senato nonsarebbe stato più direttamente elettivo: “Per il governo è opportunoche la legge elettorale possa essere approntata tenendo conto dell’i-ter delle riforme costituzionali […] prevedendo la sua efficacia in unadata successiva all’entrata in vigore della riforma costituzionale equindi ragionevolmente al 2016” (14).

Dunque era una precisa intenzione del governo, e di Renzi in par-ticolare, combinare gli effetti della riforma elettorale con quelli dellariforma costituzionale, in modo da garantire al vincitore delle futureelezioni (all’epoca presumibilmente lo stesso Renzi), la massima li-bertà di azione.

All inIl piatto era talmente appetitoso che il premier ha fatto il suo primo,e potenzialmente fatale, errore politico: incassato l’Italicum ha inve-stito tutto il suo capitale di credibilità sulla vittoria del Sì al referen-dum costituzionale, personalizzandone l’esito: “Se vince il No mi di-

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_______________________________________________________________________________________14) Maria Elena Boschi, citata in L’Italicum in vigore l’anno prossimo. Sì del go-verno a clausola salvaguardia, Monica Guerzoni, Corriere della Sera, 8 gennaio2015

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metto e non mi vedete più”, ha ribadito in decine di occasioni pubbli-che (15).

Il gioco, però, gli è sfuggito di mano. Con l’Italia sempre più in af-fanno, la sua buona stella in declino e il fronte del No in crescita, hadovuto affrettarsi a smentire se stesso: “Personalizzare lo scontro nonè il mio obiettivo” scriverà sulla sua newsletter il 16 maggio 2016, “hofatto un errore a personalizzare troppo”, dichiarerà il 9 agosto 2016alla Festa dell’Unità, ma il danno oramai è stato fatto e, come ha com-mentato Giovanni Maria Flick, “una volta che hai personalizzato nonbasta la scolorina”.

Arrivano i nostriIn suo aiuto dopo le vacanze estive sono dovuti correre, in rapida suc-cessione, l’ex Presidente della Repubblica e addirittura gli Stati Unitid’America.

In una lunga intervista rilasciata a Mario Calabresi di Repubblica,il 10 settembre, Giorgio Napolitano ha sottolineato come “metterealla cieca a rischio la continuità e l’azione del governo oggi esponga ilPaese a serie incognite in termini di convulsione politica e istituzio-nale”. E ha precisato: “Non ho mai creduto alla formula del ‘combina-to disposto’, all’effetto perverso congiunto che scatterebbe tra la rifor-ma costituzionale e l’Italicum. […] Non vedo alcun pericolo autorita-rio […]”. Ma fa notare: “È in tutt’altro senso che c’è da riflettere sull’I-talicum. Perché rispetto a due anni fa lo scenario politico risulta mu-tato in Italia come in Europa. Ci sono nuovi partiti, alcuni dei quali inforte ascesa che hanno rotto il gioco di governo tra due schieramen-ti, con il rischio che vada al ballottaggio previsto dall’Italicum e vincachi al primo turno ha ricevuto una base troppo scarsa di legittimazio-ne col voto popolare. Si rischia di consegnare il 54% dei seggi a chi alprimo turno ha preso molto meno del 40% dei voti. Ritengo che que-sti e altri aspetti dell’Italicum meritino di essere riconsiderati” (16).

Tre giorni più tardi sarà John Phillips, ambasciatore Usa in Italia, a

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_______________________________________________________________________________________15) Per esempio: “Se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza po-litica”, alla conferenza stampa di fine anno, il 29 dicembre 2015; il 20 gennaio se -guente, in aula al Senato per il voto sulle riforme: “Se perdessi il referendumconsidererei conclusa la mia esperienza”; cinque giorni più tardi, in un’intervistaa Quinta Colonna: “Io non sono come gli altri, non posso restare aggrappato allapolitica. Se sulle riforme gli italiani diranno di no, prendo la borsettina e torno acasa”16) M. Calabresi, Napolitano: basta guerra sul referendum e l’Italicum va cam-biato, La Repubblica, 10 settembre 2016

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La riforma costituzionale

premere perché i cittadini approvino la riforma, poiché “una vittoriadel No al referendum costituzionale sarebbe un passo indietro perattrarre gli investimenti stranieri in Italia. Resta una decisione italia-na”, precisa, ma “l’Italia deve garantire di avere una stabilità di gover-no” proprio per attrarre investimenti. Perché, prosegue Phillips, “ses-santatré governi in sessantatré anni non danno garanzie”. Una posi-zione che il Dipartimento di Stato statunitense non commenta, men-tre poco dopo arriva il parere dell’agenzia Fitch che prevede “uno chocper l’economia” in caso di bocciatura del quesito con rischi sul ratingitaliano.

Ma rassicurazioni e minacce non sono bastate, semmai hanno ot-tenuto l’effetto opposto di dare fiato al fronte del No, così Renzi – or-mai alle corde – si è visto costretto a ridimensionare ulteriormente lasua posizione. E così prende corpo a metà settembre l’ipotesi di unennesimo cambio del sistema elettorale, un ritorno al proporzionalecorretto, che preveda la formazione di una coalizione di governo inParlamento e non nelle urne, consentendo al partito di maggioranzarelativa (cioè verosimilmente al Pd) di restare sempre il perno di ognipossibile alleanza. “Questa formula non smentirebbe la linea di Ren-zi, secondo cui «la sera delle elezioni si deve sapere chi ha vinto», edunque chi va a Palazzo Chigi. Semmai una simile legge elettorale con-sentirebbe di allargare lo spettro delle maggioranze: proprio ciò cheinteressa ai centristi oggi alleati con il leader del Pd e a Berlusconi”,scrive Francesco Verderami sul Corsera il 23 settembre (17).

Detto in altri termini, finché Renzi primeggiava nei sondaggi il pro-blema della governabilità pareva così urgente da giustificare qualsiasirestrizione della rappresentanza politica dei cittadini, fino ad arrivarea derive anti-democratiche, ma non appena il premier ha iniziato aperdere colpi i detrattori dell’Italicum, in particolare i partiti minori,hanno improvvisamente ritrovato attenzione, forza e voce; segno cheoggi è diventato cruciale non tanto garantire a chi governa la pienalibertà, ma assicurarsi che i corpi estranei al sistema restino, appun-to, estranei. E pertanto il sistema si è attivato per produrre i necessa-ri anticorpi.

Il sostegno mediatico internazionaleHa cominciato il giornale spagnolo El Paìs il 13 agosto, titolando Ita-lia se convierte en el nuevo enfermo económico de Europa, dichiaran-

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_______________________________________________________________________________________17) F. Verderami, Italicum, possibile accordo Renzi-FI. L’asse per il proporzionale(corretto), Corriere della Sera, 23 settembre 2016

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DURA LEX

do cioè che il nostro Paese è il nuovo malato che potrebbe trascinareil continente in una ricaduta nella crisi; contemporaneamente diversiemissari della finanza e dell’industria globale, dagli uomini di GeorgeSoros a top manager della Silicon Valley, hanno confidato preoccupa-zioni analoghe in occasione delle loro visite in Italia. Ma sono stati iquotidiani anglosassoni a lanciare una vera e propria offensiva.

Il Wall Street Journal, nell’edizione del 15 agosto, ha dichiarato cheil referendum costituzionale italiano è “probabilmente più importan-te di Brexit”. Il giornale americano ha riferito che “i mercati sono con-centrati sulla posta in gioco politica del referendum”, cioè sul rischioche una bocciatura degli elettori travolga Renzi, annunciando che, incaso di vittoria del No, l’economia italiana “resterebbe inchiodata nellasua stagnazione di lungo termine”, rendendo più difficile la soluzionedi tutti i problemi: dal debito pubblico alle sofferenze bancarie.

Sempre a ferragosto, un altro grande quotidiano americano, il NewYork Times, ha ripreso un’analisi dettagliata dell’agenzia Reuters sulla“stabilità a rischio in Italia”, e ha prospettato quattro possibili scenarirelativi all’esito del referendum d’autunno, di cui ben tre – a suo giu-dizio – negativi: “Primo: il referendum viene bocciato. Renzi si dimet-te e il Senato sopravvive. Il sistema elettorale si converte in un pro-porzionale che rende ancora più difficile capire chi comanda. Nuoveelezioni, con Camera e Senato potenzialmente in mano a maggioran-ze diverse”. Risultato: ingovernabilità a perdita d’occhio. Il secondoscenario New York Times-Reuters vede Renzi sconfitto ma capace disopravvivere alleandosi con Forza Italia “per guadagnare tempo e ri-formare la legge elettorale prima di un’elezione parlamentare nel2018”. Un governo simile “trascurerà l’economia, mentre crescerà ilconsenso per i Cinque stelle che vogliono un referendum sull’appar-tenenza all’euro”. Terzo scenario, l’unico positivo: “Renzi vince e rie-sce a far passare la riforma della giustizia, della pubblica amministra-zione, delle sofferenze bancarie”. Ma c’è posto per un ultimo scena-rio in cui la vittoria dei Sì non è affatto positiva: “Se Renzi non riescea risanare l’economia, il M5S vince nel 2018, e non ha più limitazionivista la debolezza del nuovo Senato” (18).

Sia il Wall Street Journal che il New York Times propongono cometerapia un massiccio stimolo fiscale, la stessa cura che, appena il gior-no precedente, aveva propugnato anche il Financial Times, in un arti-colo intitolato Renzi should make a hard push for stimulus: “Despite

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_______________________________________________________________________________________18) F. Rampini, Referendum, l’allarme negli Usa e in Europa: “Quel voto pesa piùdi Brexit”, La Repubblica, 17 agosto 2016

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La riforma costituzionale

the fact that his space for fiscal manoeuvre has only become tighterwith the economy flatlining, Mr Renzi should push to get as muchleeway as he can out of Brussels” (19). Secondo il FT, in sintesi, Bru-xelles e Berlino dovrebbero concedere un po’ di elasticità sulle ma-novre pubbliche a sostegno della crescita, per fermare in extremis l’on-da lunga anti-europeista che sta dilagando nell’opinione pubblica, el’onda anti-Renzi che sembra salire e che ha nel referendum la possi-bilità di infrangersi.

Il pericolo maggiore per l’Unione, insomma, oggi in Italia si chia-ma Movimento 5 stelle.

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_______________________________________________________________________________________19) “Nonostante lo spazio per una manovra fiscale si sia ristretto a causa della sta-gnazione economica, Renzi dovrebbe spingere per ottenere da Bruxelles la piùampia libertà possibile”

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INTERVISTA– a Xitlali Miranda Mayo

MESSICO INVISIBILE LOS OTROS DESAPARECIDOS*di Fabrizio Lorusso

A due anni dalla strage di Iguala, nello Sta-to messicano del Guerrero, nel quale la po-lizia locale, con la connivenza della poliziastatale e federale e dell’esercito, uccise seipersone e consegnò quarantatré studenti del-la Scuola Normale (magistrale) Rurale R. I-sidro Burgos di Ayotzinapa a un gruppo dipresunti narcotrafficanti, il caso resta irri-solto; e ciò nonostante siano oltre cento i de-tenuti e la procura abbia elaborato migliaiadi pagine per integrare il fascicolo. Dunquenon ci sono state condanne per i fatti vio-lenti della notte del 26 settembre 2014, assi-milabili a una persecuzione armata e un’o-perazione pianificata contro degli studentiinermi, come ha spiegato il Giei (Gruppo In-terdisciplinare di Esperti Internazionali no-minato dalla Commissione interamericanaper i diritti umani per investigare sul caso),e non sono pochi gli osservatori delle vi-cende messicane che parlano di “terrorismodi Stato” e “narco-Stato”, in riferimento al-l’evidente degenerazione e compenetrazio-ne mafiosa delle istituzioni e delle funzionipubbliche in Messico.

A oggi la lotta dei genitori dei quaranta-

tré studenti, che risultano ancora ufficial-mente desaparecidos come altre 30 mila per-sone in Messico, continua per ottenere veri-tà, castigo dei responsabili, restituzione convita dei desaparecidos e soprattutto giusti-zia, grazie anche al sostegno di migliaia diattivisti, giornalisti, avvocati, persone soli-dali, collettivi, organizzazioni, difensori deidiritti umani e istituzioni, messicane e stra-niere, che li accompagnano.

D’altro canto il governo e la procura han-no cercato costantemente di manipolare leinformazioni e creare ‘verità storiche’ di co-modo per ridurre il ‘caso Iguala-Ayotzina-pa’ a una vicenda locale, come fosse un e-vento eccezionale e limitato a una zona, men-tre in realtà le implicazioni sono molto piùampie e strutturali e le responsabilità arri-vano a toccare le alte sfere, includendo ilpresidente Peña Nieto e il ministro degli In-terni in quanto capi delle forze armate e del-la polizia federale, la cui partecipazione nel-la ‘notta di Iguala’ è stata provata.

Nel settembre e ottobre 2014, durante leprime ricerche per trovare i quarantatré stu-denti nelle colline intorno a Iguala, l’orga-nizzazione solidale Upoeg (Unione dei Po-poli Organizzati dello Stato del Guerrero)rinvenne decine di fosse clandestine e di res-

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_________________________________________________________* Testo estratto da Messico invisibile. Voci e pensie-ri dall’ombelico della luna, Fabrizio Lorusso, Edi-zioni Arcoiris, 2016

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ti ossei: il Messico si stava trasformando inun’immensa fossa comune stipata di cada-veri, simbolo del contubernio tra le autoritàe le mafie. Le fosse di questo tipo sono cen-tinaia in tutto il Paese. Quando la Upoeg la-sciò Iguala, un gruppo di cittadini della cittàdecise di proseguire nelle ricerche e creòil Comitato degli Altri Desaparecidos (LosOtros Desaparecidos de Iguala) (1), coordinatoda Xitlali Miranda.

Il lavoro del gruppo consiste nel cercarele fosse e i resti umani intorno alla città,dare sostegno alle famiglie che hanno vis-suto l’esperienza della perdita per ‘sparizio-ne forzata’ di uno o più membri, coordinar-si con la procura e con le istituzioni che do-vrebbero svolgere le ricerche, parteciparealle brigate nazionali con altri comitati si-mili che, di fronte all’inazione delle autori-tà, si dedicano a cercare i propri desapare-cidos, e richiedere l’identificazione dei restie le prove del DNA. Questa intervista rac-conta le difficoltà e le soddisfazioni, le sof-ferenze e la tenacia di queste persone che,oltre a lottare contro l’indifferenza dello Sta-

to, devono sfidare la negazione delle fami-glie e dell’intera società nei riguardi del fe-nomeno delle sparizioni forzate. Le vittimee le famiglie, infatti, portano uno stigma, so-no spesso identificate dai media e dai vicinicome “persone di malaffare” o “membridella criminalità organizzata”, come genteche “qualcosa avrà fatto” e per questo è sta-ta “fatta sparire”. E quindi molte preferi-scono nascondersi. Gli Otros Desaparecidose i movimenti per le vittime della narco-guerra in Messico le fanno riemergere condignità.

Che percezione avevi della situazione delPaese prima della sparizione dei quaran-tatré studenti di Ayotzinapa?Personalmente non conoscevo le dimensio-ni del problema che possiamo vedere ades-so ed è palpabile. Prima la mia vita erano illavoro, la famiglia e gli amici, dunque maim’ero accorta della situazione e del perico-lo in cui vivevo. Molta gente come me sen-tiva semplicemente voci su ciò che succe-deva, ma era come vivere sotto una campa-na di vetro. Succedeva a molti qui. Non ab-biamo avuto la disgrazia di essere toccatidirettamente dalla criminalità ed era unacosa lontana.

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_________________________________________________________1) Pagina Facebook:https://www.facebook.com/Comit%C3%A9-de-b%C3%BAsqueda-los-Otros-desaparecidos-de-I-guala-721325997978519/?fref=ts

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INTERVISTA– a Xitlali Miranda MayoMessico invisibile. Los Otros Desaparecidos

Quindi la tua storia personale non ha ache vedere con le sparizioni forzate?In realtà ho due cugini desaparecidos. Unoè stato sequestrato ad Apaxtla, ma la suafamiglia non ha mai detto nulla, né ha spor-to denuncia. Perfino noi, comunque partedella famiglia, abbiamo saputo un anno do-po che era stato chiesto un riscatto, che erastato pagato, ma che mio cugino non erapiù tornato. Ne ho un altro, Jonathan, desa-parecido in un blocco stradale della poliziasette anni fa a Chilpancingo, la capitale delGuerrero. È di un altro ramo della famiglia,l’abbiamo cercato a lungo, ma non l’abbia-mo trovato né abbiamo avuto informazionisu dove potesse essere. Quindi ho un’ideadi cosa significhi una sparizione forzata, main quell’epoca non ci siamo mai rivolti aun’organizzazione. Abbiamo sporto denun-cia e cercato da soli. Pensiamo si trovi neipressi della località in cui è scomparso, madi certo non a Iguala perché qui ci sono ban-de criminali differenti.

Come nasce il comitato de Los Otros De-saparecidos?La ricerca dei desaparecidos a Iguala è ini-ziata per via degli studenti di Ayotzinapa.Quel crimine ha mosso la coscienza di tan-te persone, compresi io e i miei amici. Dopoil 26 settembre sono venute qui le persone

della Upoeg (Unión de los Pueblos y Orga-nizaciones del Estado de Guerrero) (2) per-ché vari degli normalisti sono originari del-le comunità in cui lavora quella organizza-zione, cioè della Costa Chica e della monta-gna. Loro sono in gran parte contadini e de-cidono di spostarsi a Iguala per fare le ri-cerche, con la speranza di ritrovare gli stu-denti vivi. Ma quando cercano sulle collinescoprono l’esistenza di decine di fosse conresti umani. La notizia fa scalpore in Messi-co e all’estero e viene confermato che non sitratta degli studenti. Ma allora nasce la do-manda: chi sono? A nessuno pare importa-re la questione perché sono venute le auto-rità e la procura statale, hanno visto le fos-se, ma la risposta, assurda, che hanno datoè stata solo: «Va beh, non sono gli studen-ti.» La nostra ricerca in quel momento eraper i normalisti, ma non potevamo lasciarpassare una cosa del genere come avevanofatto loro. La Upoeg ha cominciato a con-vocare le famiglie di Iguala che avevano unloro caro desaparecido, ma le famiglie nons’avvicinavano. C’è stata solo una reazionesolidale per cui regalavano cose, cibo, ac-qua e materiali, ma non partecipavano alleassemblee e alle ricerche. Io e le mie ami-che andavamo a portare aiuti, così è nata

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_________________________________________________________2) http://upoeg.blogspot.it/

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un’amicizia con loro e soprattutto con Mi-guel Jiménez. Lui mi diceva: «Dovete veni-

re a vedere perché quando vedrete che c’èlà capirete le dimensioni del problema, per-

ché se te lo racconto non si capisce quelloche sta succedendo e noi un giorno ce nedovremo andare, per cui voi dovete essereconsapevoli che Iguala è una zona di fosse,un cimitero.» All’inizio pensavo esageras-se. Finché non ho toccato con mano non erauna realtà, ma quando ci sono andata hocapito che effettivamente la collina era dis-seminata di fosse. Mi venne un colpo, nonm’ero mai accorta del problema che vivonomolte famiglie. Dunque abbiamo fatto riu-nioni con il parroco, Padre Óscar, chieden-dogli aiuto. Abbiamo cominciato a convo-care le famiglie in chiesa annunciando: «Sehai un familiare scomparso, vieni a farti l’e-same del DNA e cercalo sulle colline.» Cosìle famiglie arrivavano perché erano attrattedalla possibilità di farsi lo studio del DNA.L’organizzazione di Julia Alonso, Ciencia Fo-rense Ciudadana (Scienza Forense Cittadina),ci ha offerto di realizzare le prove e quindiè nato il comitato dei familiari.

Come vi siete organizzati?La prima riunione di una ventina di fami-glie è stata l’8 novembre 2014. Considerache qui siamo gente povera, senza nessunarisorsa, e con quello che racimoliamo fac-ciamo volantini, li mettiamo su Facebook ereti sociali, chiediamo ai giornalisti che ven-gano. L’11 novembre la sorpresa è stata e-

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INTERVISTA– a Xitlali Miranda MayoMessico invisibile. Los Otros Desaparecidos

norme perché la cantina della chiesa era pie-na di famiglie, circa centocinquanta. È statoparalizzante, faceva paura. Mi ricordo cheMiguel mi ha chiamato quella mattina di-cendo che avevano avuto un problema, cioèche avevano sequestrato uno dei loro com-pagni della Upoeg e quindi non potevanovenire alla riunione. Immagina la paura cheavevamo qui a Iguala tutti quanti, per ave-re osato organizzare una cosa del genere.Ho pensato di non andarci nemmeno io, madopo ho riparlato con lui e gli ho detto chesarei andata solo a presentarmi brevementee spiegare cosa sapevamo fino a quel mo-mento. Loro alla fine non sono arrivati, maè comunque successo qualcosa d’impressio-nante, inatteso, quando le persone hanno ini-ziato a prendere la parola, ad alzarsi in pie-di e a raccontare le loro storie al microfono,una dopo l’altra. Tutti piangevano perché lestorie erano tragiche e parlavano di soffe-renza, impunità, impotenza, di come nes-suno ti ascolta e non si sa cosa fare e doveandare. Oltre a queste narrazioni resta il do-lore per aver perso un familiare.

Come realizzate le ricerche? Noi non abbiamo fatto molto perché tutto èsuccesso spontaneamente e abbiamo fissatoun’altra riunione per il martedì seguente. Poiil venerdì dopo c’è stata la prima ricerca con

i familiari, in cui abbiamo trovato sette restiumani, e la domenica siamo andati nella zo-na delle fosse clandestine accompagnati dagente della Procura generale della Repub-blica (Pgr). È stata come una palla di neveche ha accelerato tutto per via del tremen-do bisogno che palesavano le famiglie, lequali non erano mai state ascoltate fino aquel momento da autorità indolenti e iner-ti. Allora c’è stata la possibilità di andare acercare, scavare e trovare i propri familiari,vedere che si fa con i corpi delle fosse chenon sono stati esumati.

Com’è stata la collaborazione con la Pro-cura?È nata per un colpo di fortuna. Una giorna-lista ci ha messo in contatto con la signoraEliana García che ha una lunga carriera daattivista ed è responsabile dell’ufficio per idiritti umani della Procura. Sono venuti allariunione con le famiglie e hanno promessodi cominciare i lavori insieme a noi. È diffi-cile la collaborazione con loro perché è un’i-stituzione che ha un meccanismo che nonva avanti, dunque ci sono molti vizi nonsolo in quest’istituzione ma in tutte, per cuiè complicato che facciano qualcosa anchese sanno essere di loro competenza. Non lofanno. Quindi hanno cominciato a lavorareda quando noi facciamo riunioni. Senza le

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famiglie tutto questo sarebbe già finito. Sequelli della Procura escono a cercare soli,non trovano niente, ma con la pressione del-le famiglie qualcosa si muove nel meccani-smo, per forza, a denti stretti, ma si muove.Perché ci sono lì i familiari che gli diconoche c’è qualcosa e che si deve continuare ascavare, e così trovano. È una lotta costan-te, logorante per noi e magari pure per lo-ro, ma se non si facesse così non si otterreb-be niente.

Che strumenti avete per le ricerche?Va beh, abbiamo solo pale, picconi, piccolesbarre e prima avevamo delle aste metalli-che che però si sono piegate e non le abbia-mo sostituite. Da quando abbiamo iniziato,siamo andati in giro senza risorse, diceva-mo soltanto alle famiglie di portarsi dietroquello che avevano lì, oggetti rudimentali.Non abbiamo attrezzi sofisticati.

Che tipo di sostegno e ostacoli avete avuto?Come richiesto, ora andiamo a cercare sot-to protezione della polizia federale e a vol-te della Marina. Ciononostante questo aiu-to è limitato, minimo, si può trattare maga-ri solo di una pattuglia con tre/quattro fe-derali, ma va beh, in qualche modo faccia-mo finta di sentirci protetti, altrimenti giàavremmo bloccato le ricerche. E infatti so-

no state sospese in certi momenti, quandoqui era diventato molto pericoloso per unaserie di omicidi che stavano colpendo l’in-tera regione, nella speranza che poi la si-tuazione della sicurezza tornasse a miglio-rare. Anche se questo non è accaduto, ab-biamo deciso di continuare. Da due mesi ilgoverno statale manda un camioncino pergli spostamenti delle famiglie. Abbiamochiesto altri aiuti all’amministrazione stata-le e comunale, ma più che altro mostranoindolenza. Le famiglie non hanno bisognosolamente di andare avanti con le ricerche,ma anche di altri aiuti perché sono moltoumili e sfavorite, economicamente parlan-do. Quasi sempre la persona scomparsa al-l’interno del nucleo familiare rappresenta ilsostento economico e quando sparisce le fi-nanze familiari cadono in picchiata, senzacontare gli altri aspetti dolorosi. Perciò ab-biamo avviato pratiche presso gli enti sta-tali. Quando c’era il governatore ad interimRogelio Ortega, nel 2015, è venuta sua fi-glia e sono stati dati alcuni aiuti… Siamoun gruppo di 400 famiglie e alle riunioni disolito ne vengono 200. Loro hanno manda-to diciotto progetti produttivi. Figurati,non toccano neanche il 50% del totale e poiportavano 300 ceste di alimenti per 400 fa-miglie. La risposta dello Stato è stata moltoscarsa.

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INTERVISTA– a Xitlali Miranda MayoMessico invisibile. Los Otros Desaparecidos

Ma non dovrebbe essere operativa la Leg-ge delle Vittime?C’è un’altra istituzione, la Comisión Ejecu-tiva de Atención a Víctimas (CommissioneEsecutiva di Supporto alle Vittime - Ceav),che ha l’obbligo secondo la Legge generaledelle Vittime di fornire alle famiglie il sup-porto economico, giuridico e psicologico, maanche questa non si muove. Stavano dando100 pesos (7 euro) alle famiglie per i bigliet-ti del bus. Glieli hanno tolti dal novembre2015 con varie scuse: primo, perché diceva-no che si stava chiudendo l’anno fiscale,poi perché non c’erano ancora le risorse,adesso perché gli chiedono una tesserina…Da novembre a gennaio hanno fatto firma-re documenti alle famiglie come se stesseroricevendo il denaro, promettendo loro chesarebbe presto arrivato. Ma a gennaio han-no smesso di firmare perché abbiamo gira-to un video di quando firmavano senza ri-cevere i soldi e allora s’è fermata questa pra-tica abusiva delle firme, ma alla fine nonhanno dato più niente alle famiglie. Adessogli viene data della frutta e l’acqua durantele riunioni. In teoria avrebbero diritto, quan-do partecipano alle riunioni con la Procura,al rimborso del vitto, dell’alloggio, del tra-sporto. Convochiamo questi incontri il mar-tedì per aggiornare sulla situazione e ci ven-gono la Pgr, duecento persone delle fami-

glie e la Ceav, sostanzialmente a portare l’ac-qua… Ma il gruppo di coloro che vanno afare le ricerche s’è ridotto gradualmente.Eravamo settanta, cinquanta, quaranta e ul-timamente andiamo in venti.

Quante fosse e corpi avete rinvenuto e i-dentificato?Sono stati esumati 145 resti umani dalle fos-se. Ne sono stati identificati ventiquattro e,di questi, ne abbiamo consegnati quindicialle famiglie. Gli altri restano in attesa. Nonho il dato esatto delle ‘fosse positive’ e nean-che le autorità lo saprebbero dare con pre-cisione, ma stiamo parlando di più di 100-120 fosse. Vi sono anche fosse clandestinecon più di una persona dentro, alcune ad-dirittura ne contenevano sei.

Hai ricevuto minacce?Personalmente non ho mai ricevuto intimi-dazioni né molestie da parte del crimineorganizzato o dalle autorità. Però ci sono al-tri membri del gruppo, come Mario Verga-ra, che hanno denunciato le minacce di mor-te che hanno ricevuto.

Hanno minacciato anche la famiglia diMario e ci sono varie persone che si sono ri-tirate dal comitato. Non conosciamo la cau-sa o se abbiano ricevuto minacce. C’è statol’assassinio di Jimena, che ha un familiare

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desaparecido e ha partecipato alle ricerchenel febbraio dell’anno scorso. Però non cono-sciamo il motivo, non s’è aperta un’indagi-ne al riguardo. C’è un altro ragazzo assassi-nato il dicembre scorso e non sappiamo seabbia a che vedere con il fatto che aveva unfratello desaparecido. Miguel Jiménez, cheè stato fondatore del comitato, è stato ucci-so vicino ad Acapulco e non si sa perché,visto che non hanno indagato… Faceva par-te di molti movimenti, era un militante so-ciale. Infine ci sono molti modi di minac-ciare o impedire alle persone di fare quelloche fanno.

Siete legati a qualche struttura che difendei diritti umani?C’è un’organizzazione, la Idheas (LitigioEstratégico en Derechos Humanos) (3) chesarebbe la rappresentante legale del grup-po. Loro sono a Città del Messico, ma qui aIguala non c’è nessuna organizzazione per idiritti umani non governativa o sociale. C’èsolo la commissione statale del Guerrero, laCoddhum (Comisión Derechos Humanos deGuerrero) (4).

Cosa ha significato per voi la partecipa-zione di Mario Vergara alla prima BrigataNazionale di Ricerca dei Desaparecidos(Primera Brigada Nacional de Búsqueda deDesaparecidos) (5) ad Amatlán, Veracruz?Credo ci siano varie organizzazioni per le ri-cerche di persone scomparse in varie locali-tà della regione, ma quando viene qui laUpoeg e ci insegna a cercare le fosse sul ter-reno e incominciamo a farlo, capiamo cheera proprio qualcosa che mancava. Puoi sta-re in una disputa continua con le autorità,ma loro fanno qualcosa solo se vogliono,altrimenti niente. Perciò l’esistenza del mo-vimento delle famiglie di Iguala significache qualcosa si può fare, perché non abbia-mo praticamente nulla, siamo in una situa-zione economica pessima, ma anche così igenitori salgono sulle colline e come pos-siamo ci spostiamo, compriamo quanto ne-cessario o lo chiediamo. L’idea è condivide-re con altre organizzazioni, che a volte han-no molta esperienza e fanno progressi in al-tre direzioni, il fatto che a volte percorren-do le colline e le strade si ottengono più ri-sultati, è come quando si appicca il fuoco.

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______________________________________________________________________________________________________________________3) http://www.idheas.org.mx/4) http://www.coddehumgro.org.mx/sitio/5) http://desinformemonos.org/si-se-quiere-se-encuentra-brigada-nacional-de-busqueda-de-desapareci-dos/

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INTERVISTA– a Xitlali Miranda MayoMessico invisibile. Los Otros Desaparecidos

Siamo orgogliosi di aver messo il nostrogranello di sabbia al riguardo. Mario, checerca suo fratello con tutto il coraggio e l’e-nergia del mondo, ha imparato molte cosesulla ricerca delle fosse ed è stato uno deiprincipali ispiratori per la realizzazione diquesta Brigata Nazionale.

Che impatto avete provocato nelle fami-glie e nella società?Iguala è una città in cui si dice che non suc-cede niente, quindi la società ignora il movi-mento dei desaparecidos, non c’è una verasolidarietà verso le famiglie. Piuttosto que-ste vengono criminalizzate non solo dalleistituzioni ma anche dalla società, e vengo-no escluse perché hanno dei desaparecidose, secondo l’opinione comune, sicuramenteavevano a che fare con la delinquenza orga-nizzata. È un mondo a parte quello dei de-saparecidos, è triste ma è molto reale e sisente perché non abbiamo organizzazioniqui che li accompagnino, per esempio se c’èuna manifestazione o per altre questioni.Forse abbiamo un impatto a livello nazio-nale e internazionale, come si è visto con laBrigata, ma a livello locale non si muoveniente. Insomma, nulla cambia e i familiaridelle vittime si sentono addirittura segnala-ti, come se avessero una malattia o qualco-sa da nascondere.

Che sviluppi vedi per il futuro?Siamo in una fase complicata, visto che neigruppi grandi sorgono tante idee e abbia-mo bisogno di più unità per andare avanti.Abbiamo appena inviato una richiesta allaPgr, al funzionario addetto alla ricerca del-le persone scomparse e al viceprocuratoreper i diritti umani, affinché vengano a Igua-la e si inizi a fare l’esumazione dei cadaverinelle fosse comuni dello Stato del Guerreroper identificare i corpi. Ci sono tante fami-glie che cercano i loro cari sulle colline quiintorno, ma nessuno può garantire che que-sti non siano stati già trovati e portati al Se-MeFo (Servicio Médico Forense) (6), e quin-di che lo Stato non abbia adempiuto alle suefunzioni. Infatti succede che spesso mandi-no i corpi alla fossa comune pubblica senzatroppe verifiche, lasciandoli lì come rifiutinell’oblio. Stiamo chiedendo che venganoriesumati e si confronti il DNA con quellodei familiari. Non ci sono banche del DNAe questa è l’unica cosa che possiamo fare,del resto deve farsene carico lo Stato.

Che succede alle famiglie che trovano i re-sti dei loro desaparecidos?Non tutti i corpi identificati sono di Iguala,ce ne sono di altre regioni. Le persone iden-

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_________________________________________________________6) Cfr. http://www.sinembargo.mx/26-01-2016/1606033

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tificate che formano parte del comitato con-tinuano ad assistere alle riunioni in chiesa.A una signora che ogni domenica viene connoi nelle ricerche sono stati consegnati i re-sti del figlio, ma lei dice che proseguirà fin-ché gli altri non avranno recuperato i lorocari perché c’è un patto e lei è stata aiutatadagli altri. Quando viene consegnato loroun familiare, ho visto che per le famiglie èun sollievo. È difficile per me pensarci inquesti termini perché io desidererei che fos-se vivo e sentirei un gran dolore, ma loro no.È stato tanto il loro logoramento, il lorocammino e la sofferenza che, quando gli vie-ne restituito qualcosa del familiare scom-parso, sentono sollievo e, soprattutto, pace.

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Il libro nerodel comunismo (italiano)di Giuseppe Ciarallo

A PROPOSITO DI...

Ho sempre considerato un grande pregio, inun testo, il fatto di avere più livelli e chiavi dilettura. Ciò che in altri casi è un punto di for-za, nel romanzo La provvidenza rossa, di Lo-dovico Festa, diventa un handicap in quantoseppur ben mascherato, a lungo andare di-venta chiaro l’intento dello scrittore, che èquello di demolire, dietro l’apparente tramadi un giallo, la storia e la credibilità di un’e-sperienza politica, tassello fondamentale diquel complesso puzzle che è stata l’Italia postfascista del secondo dopoguerra: il Partito co-munista italiano.

Per meglio comprendere l’operazione mes-sa in atto dall’autore, a mio avviso è impor-tante partire dalla biografia dello stesso. Lo-dovico Festa, classe 1947, negli anni Sessan-ta milita nella Fgci (Federazione giovanile co-munista italiana, organizzazione giovanile delPci) diventando segretario di una sezione, perpoi passare nelle file direttive del partito conincarichi nella Lega delle cooperative, altraentità a esso legata. Giornalista, nel 1992 scri-ve, con Paolo Liguori (noto pasdaran berlu-sconiano, negli anni Settanta attivista nelle fi-le del movimento extraparlamentare di sini-stra, Lotta continua), note politiche sul quo-tidiano Il Giorno. Poi passa a L’indipendente(giornale di tendenza ‘destra moderata’) finoa fondare, per poi diventarne vice direttore,Il Foglio, con Giuliano Ferrara. La cosa che ac-comuna Festa e Ferrara è ovviamente il per-corso che li ha portati, da militanti – anchedi rilievo – del Pci (Ferrara, figlio di un sena-tore del partito e della segretaria particolaredi Togliatti, racconta addirittura di essere sta-to, da bambino, spesso in braccio al capo in-discusso dei comunisti italiani) ad approdarea un feroce anticomunismo abbracciando ani-ma e corpo le posizioni di Silvio Berlusconi,“imprenditore di successo prestato alla poli-tica”, e alla sua creatura Forza Italia.

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Festa, in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti del 20 marzo2003, racconta: “Ero un creatore di voltagabbana. Nel Pci lo chia-mavamo ‘lavoro culturale’. Fare cambiare idea alla gente”. In pra-tica, il compito del funzionario comunista era quello di contattaregli avversari politici più moderati e meno ostili, cercando di ‘am-morbidirli’ e di farli diventare ‘amici’ del Pci, il tutto per quellostrano gioco di pesi e contrappesi, di diplomazia, che sfruttandol’influenza della politica nella vita sociale ed economica del Paeseha sempre permesso, ieri come oggi, di creare maggioranze nelleistituzioni pubbliche ma anche nei luoghi privati, comitati di reda-zione dei giornali, consigli di amministrazione di società, per indi-rizzarne le scelte strategiche.

Il lavoro di “creare voltagabbana” deve avere entusiasmato co-sì tanto l’ex funzionario del Pci da voler provare su se stesso l’e-brezza dell’abiura. E, come quasi sempre accade, caratteristica sa-liente delle ‘banderuole’ è quella di voler dimostrare di essere piùrealisti del re, spargendo veleno a piene mani sugli ex correligio-nari. C’è un brano tratto dall’ultimo libro di Moni Ovadia ( Il coni-glio di Hitler e il cilindro del demagogo, La nave di Teseo, 2016)che ben ci aiuta a capire la psicologia di tali personaggi. Ovadia fariferimento a coloro che rinnegano una religione per abbracciar-ne un’altra, i Magdi Cristiano Allam, tanto per capirci, ma le sueosservazioni calzano a pennello anche per i transfughi di tipo po-litico. “L’apostata che, passato ad altra religione o cultura, finisceper odiare la propria origine, possiamo dire che sia esistito da sem-pre. […] [Egli] può diventare vittima di una patologia perniciosache provoca un’ossessione di tale identità, per averla abbandona-ta, e può accadere che cresca in lui come un tumore maligno, unaferoce avversione per la propria radice, che lo porta a denunciar-ne la presunta perversità e a volere mostrare l’iperbole del pro-prio odio come testimonianza della sua ripulsa per il mondo a cuiun tempo è appartenuto.”

Ecco, leggendo La provvidenza rossa mi è sembrato di coglierela realizzazione, in forma letteraria, di quanto così efficacementedescritto da Moni Ovadia.

Ma di cosa parla La provvidenza rossa? Come dicevo, il roman-zo di Festa è il classico giallo, con tanto di efferato e misteriosoomicidio, una vittima che non è proprio la persona specchiata eintegerrima che tutti dipingono, un poliziotto intelligente e acuto,nonché pragmatico e consapevole dei limiti che non può e nondeve oltrepassare, un’infinità di personaggi di grande o nessunaimportanza – che però aiutano a confondere il lettore – nell’econo-

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Il libro nerodel comunismo(italiano)

A PROPOSITO DI...

mia della storia raccontata, e poi c’è lui, ilconvitato di pietra, l’entità astratta seppur pre-potentemente ingombrante, che tutto domi-na e indirizza: il Partito comunista italiano.

Non vorrei essere accusato di complotti-smo (è paradossale che il sottoscritto, che nonha mai militato nelle file del Pci e che anzi,negli anni Settanta ha duramente criticato dasinistra la politica centrista del partito, si tro-vi oggi a prenderne le difese), ma mi sembrache questo libro rientri in un disegno più gran-de: mentre Renzi e la sua cricca stanno sman-tellando quel poco che resta – ideologica-mente e strutturalmente – del Partito demo-cratico (lontano parente, anzi erede non piùriconoscibile del Pci), altri, tra i quali inseri-sco Festa, lavorano per far saltare le fonda-menta di quell’importante esperienza. Discre-ditandone l’apparato (che per onestà intel-lettuale l’autore dovrebbe dire essere presen-te in tutti i partiti della Prima Repubblica enon solo nel Partito comunista), distorcendo-ne la storia fino a cancellarla, l’esperienza co-munista italiana nel giro di qualche anno sa-rà come non fosse mai esistita. In pratica, Fe-sta sta al Pci come Pansa sta alla Resistenza.

So di non fare un buon servizio ai lettoridi Paginauno rivelando, pur se in parte, alcu-ni punti chiave del libro, ma mi trovo impos-sibilitato a sostenere la mia tesi iniziale sen-za spiegare i meccanismi e i ‘trucchi’ usati dal-l’autore per attuare il suo subdolo intento.

Dunque, la storia, ambientata negli anniSettanta a Milano, è la seguente: una mili-tante comunista, molto attiva nelle lotte delsuo quartiere, viene barbaramente assassi-nata con una sventagliata di mitra. Del casosi occupano sia la polizia con un’inchiesta uf-ficiale – come sempre avviene nei casi di o-micidio – che l’apparato del Pci, con un’inda-gine parallela portata avanti da funzionari ap-positamente addestrati. Dapprima si percor-

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rono tutte le piste possibili, l’omicidio politico, il regolamento diconti di tipo malavitoso, il delitto passionale, l’assassinio matura-to in ambito professionale. Ma c’è un elemento che scompaginaogni deduzione logica: quella usata per il delitto è un’arma moltoparticolare, una Maschinenpistole, mitraglietta in dotazione all’e-sercito nazista durante la seconda guerra mondiale, ma utilizzataanche da molti partigiani entrati in possesso di quel tipo di armaa seguito dei numerosi assalti a caserme e depositi di armi tede-sche durante gli ultimi tempi della Resistenza, con l’esercito nazi-sta in rotta e in fuga dall’Italia in via di liberazione.

Per scoprire l’autore dell’omicidio, il partito mette in campotutta la sua ‘potenza’ investigativa: vengono passate al setaccio leesistenze della vittima e delle numerose persone a lei vicine, qua-si tutte gravitanti intorno al Pci visto che la defunta fioraia avevauna vita personale che si mescolava in maniera totalizzante con ilsuo impegno politico. La svolta nelle indagini ‘interne’ avvienequando un vecchio partigiano rivela ai vertici locali del partito cheuna cassa di Maschinenpistole requisite ai nazisti venne “cautela-tivamente” nascosta – nell’immediato dopoguerra, dopo che To-gliatti aveva intimato a tutti i militanti comunisti ed ex partigianidi “restituire le armi” – proprio in uno scantinato della sezione cuil’attivista assassinata era iscritta.

A quel punto diventa chiaro che l’omicidio si è consumato al-l’interno della vita di partito.

Descrivendo la ricerca del colpevole, Festa, l’autore del libro,passa sotto la lente d’ingrandimento le vite dei semplici iscritti alPci, dei funzionari di vario livello e grado, dei delegati dell’amba-sciata sovietica. Bene, in nessuna delle decine e decine di perso-naggi che il lettore incontra, si può trovare un briciolo di umanità.I militanti comunisti sono, nella migliore delle ipotesi, invidiosiuno dell’altro, controllori e al contempo controllati, senza morale,non conoscono l’amicizia e nemmeno l’amore, sentimenti sempresacrificati e subordinati alla rigida disciplina di partito, alla ciecaobbedienza allo stesso; gli uomini sono viziosi, spesso sessual -mente assatanati (ma repressi, per la vocazione bacchettona delpartito, che supera in questo anche l’intransigente morale cattoli-ca), gli ex partigiani che si incontrano nella storia sono giocatoriincalliti e scommettitori alle corse dei cavalli, sfruttatori della pro-stituzione, invischiati nel racket delle pompe funebri, i funzionarisono inclini alla corruzione, freddi automi che non conoscono l’u-mana pietà, capaci di sacrificare anche gli affetti più cari in nomedi un ideale che induce alla disumanizzazione chi lo persegue. Ma

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Il libro nerodel comunismo(italiano)

A PROPOSITO DI...

il massimo del cinismo, della spregiudicatez-za e della vigliaccheria è toccato dai verticidel partito quando, essendo i funzionari de-putati all’indagine giunti all’individuazione delcolpevole – come precedentemente ipotizza-to dagli stessi, un militante compagno di se-zione della vittima – ordiscono una diabolicamacchinazione riuscendo a incastrare un gio-vane, ‘ingenuo’ attivista del Fronte della Gio-ventù, la federazione giovanile del Movimen-to sociale italiano, partito di estrema destrafondato nel dopoguerra da reduci della Re-pubblica sociale italiana ed esponenti del re-gime fascista.

Ecco, il profilo dei militanti comunisti cheda La provvidenza rossa scaturisce (quellidel Pci, certo, ma per estensione dei comu-nisti in genere), è quello di persone senzaonore, senza scrupoli, infide, capaci di men-zogna e di ogni altra bassezza pur di realiz-zare il fine prefissato. Il livello di disprezzoda parte dell’autore – come già detto, tipicodell’ex – se pur mascherato da verve narrati-va tutto sommato soft, si spinge talmenteal di là del credibile, che in alcune pagine lefigure descritte assumono tratti caricatura-li, tanto da far diventare poco verosimile l’in-tera narrazione.

Nei ritratti che Festa ne fa, nei militanticomunisti non c’è traccia di passione ma solopaura mista a punte di sadismo, non c’è il di-sinteressato coinvolgimento né la forza diquell’ideale di uguaglianza e di giustizia so-ciale che ha mosso milioni di italiani durantela Resistenza e nel dopoguerra, quel popolocosì ben raccontato da Ivan Della Mea nel suodisco/racconto Fiaba grande. La nave dei fol-li. Contrariamente ai biechi comunisti di Fe-sta, quelli raccontati dal compianto cantau-tore e scrittore toscano di nascita e milanesed’adozione, sono persone vere, capaci d’im-mensa fede e di amore disinteressato, di so-

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lidarietà con gli ultimi, di rabbia verso i soprusi dei potenti, di desi-derio di libertà e uguaglianza.

Ma come dicevo all’inizio, Festa sembra avere un fine e un pre-ciso obiettivo; la disumanizzazione del nemico gli è estremamen-te funzionale per lo scopo che pare essersi dato: la cancellazione,attraverso il travisamento dei caratteri, dell’esperienza comunistaitaliana. E allora, quale modo migliore che tirare fuori dal cilindroe rinverdire la figura del trinariciuto di guareschiana memoria…Ma mentre l’opera di Guareschi non difetta di ironia nel dipinge-re, sulle pagine del Candido, i suoi ottusi militanti comunisti dota-ti di una terza narice (utile per far fuoriuscire il cervello e così farposto alle direttive del partito), Festa invece prende un po’ trop-po sul serio il compito che si è autoassegnato, e l’eccesso di livoreche a tratti traspare toglie (fortunatamente) forza ai propri argo-menti.

Ma giunto al termine di questa mia riflessione, mi viene inmente che siamo in Italia, un Paese in cui la percentuale di lettoriforti (almeno un libro al mese) è del 14% e l’analfabetismo funzio-nale riguarda il 70% della popolazione, e pertanto La provvidenzarossa, come tanti altri libri, verrà letto da un infinitesimale nume-ro di persone, il che significa che le tesi revisioniste contenute nellibro non accenderanno alcun dibattito e non sposteranno di unmillimetro, in un senso o nell’altro, il giudizio (o la disinformazio-ne) riguardo all’esperienza comunista in Italia.

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Cinema e letteratura sul mondo operaioe i suoi dintorni(settima parte)*

di Carmine Mezzacappa

A PROPOSITO DI...

Dopo una veloce panoramica della letteratu-ra inglese sulle tematiche legate al mondo dellavoro, procediamo con una breve rassegnadi scrittori scozzesi che, nella prima metà delNovecento, hanno fatto la stessa cosa e han-no in qualche modo ispirato William McIl-vanney a lasciarci, con Docherty e The Big Manin particolare, un’accorata testimonianza del-la Scozia operaia in cui egli era nato.

La Scozia aveva avuto, tra la fine del Settecen-to e la prima metà dell’Ottocento, traumaticispostamenti forzati di intere comunità agri-cole dalle regioni rurali delle Highland ai cen-tri urbani industriali della costa occidentale– soprattutto a Glasgow dove sarebbero sor-ti prosperi cantieri navali. Eppure soltantodal primo Novecento in poi gli scrittori scoz-zesi iniziano a riflettere sulle radicali trasfor-mazioni della loro società. Il primo romanzoa parlarne è Wee MacGregor (1901), di JohnJoy Bell. Non è un capolavoro ma è un segna-le importante dell’esistenza di uno spazio peruna letteratura popolare rivolta anche ai let-tori delle classi meno abbienti. Ciò fu reso pos-sibile grazie a un fattore fondamentale: le sto-rie di/su operai rappresentative dell’identitàscozzese costituivano un’interessante contrap-posizione alla letteratura scozzese ‘angliciz-zata’ che parlava essenzialmente della classemedia. L’affermazione dell’identità della clas-se operaia scozzese, dunque, divenne – sep-pure non in modo esplicito – un veicolo di ri-fiuto di qualsiasi forma di influenza inglese,ma contribuì anche a mettere alle spalle lacosiddetta kailyard literature (letteratura dacortile) di moda nella Scozia del tardo Otto-cento.

I romanzi di cui daremo brevi cenni qui di

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________________________________________________________* Le parti precedenti sono pubblicate su Paginauno n.43/2015, 44/2015, 45/2015, 46/2016, 47/2016, 48/2016

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seguito hanno in comune la percezione che i vari protagonisti vi-vono spesso un rapporto contraddittorio con i valori delle loro ri-spettive classi di appartenenza, a causa del disorientamento cheil passaggio dalla società rurale a quella industriale provoca in lo-ro. In effetti non sono i valori a rivelarsi incoerenti – anzi, essisono i pilastri su cui si regge ogni piccola o grande comunità dioperai o minatori della Scozia occidentale – ma sono gli uomini anon capire quale atteggiamento assumere, perché fatalmente indifficoltà nell’interpretare costruttivamente le sfide sempre nuo-ve e imprevedibili lanciategli da una società in continuo cambia-mento, e incerti nel trovare le adeguate contromisure alle ingiu-stizie che questi cambiamenti generano.

Lewis Grassic Gibbon (James Leslie Mitchell, 1901-1935) ha crea-to un grandioso affresco della società scozzese dei primi trent’an-ni del Novecento, percorsi da momenti di grande impulso econo-mico e di crisi imprevedibilmente disastrose, con la trilogia intito-lata A Scots Quair (in scozzese: Un libro scozzese) composta daSunset Song (1932), Cloud Howe (1933), Grey Granite (1934), incui l’autore racconta l’intera vita di Chris Guthrie, uno dei ritrattifemminili più significativi di tutta la letteratura europea.

ln Sunset Song (senza dubbio il vero capolavoro di questa tri-logia di cui il raffinato regista Terence Davies ha diretto la versio-ne cinematografica uscita alla fine del 2015) Chris vive la sua in-fanzia e adolescenza in una piccola comunità rurale (nome fitti-zio: Kinraddie) della Scozia nord-orientale. La sua famiglia è tor-mentata da gravi disturbi relazionali: il padre tenta di abusare dilei; la madre, dopo aver partorito due gemelli, si suicida; il fratelloWill e il padre hanno un rapporto conflittuale fatto di continuiscontri anche fisici. Will emigra in Argentina e i gemelli vanno avivere a casa di parenti. Chris rimane sola con il padre che vienecolpito da un ictus. Quando questi muore, Chris scopre che il ge-nitore, nonostante la sua natura violenta, le ha lasciato una consi-derevole eredità con cui lei potrà studiare e realizzare il suo so-gno di diventare un’insegnante. Vorrebbe lasciare la sua terra mail suo legame con essa è troppo forte. Sposa un giovane contadi-no, Ewan, con cui ha un rapporto semplice ma solido. Purtroppovengono presto separati a causa della guerra nonostante lei aspettiun bambino. Quando Ewan torna brevemente a casa senza licen-za, è evidente, dagli atteggiamenti aggressivi nei confronti di Chris,che la guerra lo ha profondamente segnato. Riparte per il frontema viene giustiziato per diserzione senza che gli sia concesso di

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Cinema e letteraturasul mondo operaioe i suoi dintorni

A PROPOSITO DI...

esporre le ragioni del suo gesto, ossia di ve-dere la moglie incinta.

Chris alleva con amore il figlio che, per ri-spetto nei confronti dell’inutile e assurda mor-te del marito, ha chiamato Ewan. Alcuni annidopo, inizia una nuova relazione con il reve-rendo Robert Colquohon della Kirk of Sco-tland. Un giorno, mentre si sofferma a guar-dare il monumento ai caduti, Chris riflette suicambiamenti nella società del suo tempo, sul-l’identità della nazione scozzese, sulla crisidel mondo rurale causata dalla modernizza-zione del lavoro.

Lewis Grassic Gibbon introduce due per-sonaggi chiave – Strachan, militante sociali-sta, e Long Rob, pacifista – e descrive le lororeazioni e le loro idee sulla guerra, sulle que-stioni sociali ed economiche e sui rapportitra le classi.

Il romanzo si conclude con la decisione diChris di continuare a studiare per diventareinsegnante senza tuttavia riuscire a staccarsiemotivamente dalla sua terra.

In Cloud Howe Chris sposa Colquohon einizia a lavorare come insegnante in una pic-cola città il cui nome fittizio è Segget. Il figlioEwan mostra fin da ragazzino una spiccatainclinazione per una coscienza sociale e unforte senso di giustizia. Chris rimane incintama purtroppo abortisce e, forse per compen-sazione, concentra tutte le sue energie nelnutrire un orgoglioso sentimento di identitàdella nazione scozzese, che diventa così for-te al punto che il marito la provoca bonaria-mente esclamando di non avere sposato unadonna ma una nazione. Nonostante il suo sen-so dell’ironia, il reverendo Colquohon, ani-mato da ideali liberali, osserva e commentacon un senso di impotenza e sconforto letensioni sociali che lacerano il Paese (in par-ticolare il periodo durissimo dello scioperogenerale del 1926) e sia lui sia Chris si trova-

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no di fronte al dilemma se non sarebbe stato meglio per la socie-tà scozzese continuare a essere rurale. Colquohon, da lungo tem-po affetto da una malattia polmonare a causa dei gas inspirati inguerra, muore d’infarto durante un sermone.

In Grey Granite Chris diventa la direttrice di una scuola di Dun-cairn, la città più importante del nord-est scozzese (presumibil-mente Aberdeen), in cui la vita è dura come – appunto – il granitocon cui sono costruiti la maggior parte degli edifici. Lontana dallacampagna della sua gioventù, si sente disorientata in una societàdominata dal potere degli industriali e dalla volgare arroganza dicommercianti, poliziotti, impiegati. Il figlio Ewan lavora in una fon-deria e diventa un attivista politico di idee comuniste, pronto alottare duramente anche a costo di incrinare i rapporti con le per-sone più care. Siamo negli anni della grande depressione ma Chrisrimane ai margini degli eventi e dei conflitti sociali, perché è to-talmente assorbita nella gestione della pensione che ha aperto gra-zie all’aiuto economico del terzo marito, Ake Ogilvie, con il qualepurtroppo non esiste nessuna intesa perché l’uomo è roso da unascontentezza interiore che gli impedisce di condividere con lei unaserena vita quotidiana.

Lewis Grassic Gibbon dimostra, con questo ultimo romanzo del-la trilogia, di essere combattuto tra il rimpianto del mondo ruraledi Sunset Song e la volontà di lottare per l’affermazione degli idealisocialisti che, a suo avviso, non devono rimanere allo stadio di so-gno utopico ma devono tramutarsi in realtà.

… continua…

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FILO-LOGICO

“Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.”Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus

Una constatazione: nessuna disciplina comela filosofia, che si fonda sulla parola, ha par-lato tanto del silenzio. La definizione nonpresenta molti problemi e per convenzionesi intende con silenzio non solo l’assolutamancanza di suono e rumore, ma ogni situa-zione ambientale in cui non si superano i 20decibel.

L’etimologia qualche problema lo dà: dallatino silentium, da silēre = tacere, non farerumore. Dovrebbe venire dalla radice in-doeuropea SI- = legare, dunque il silenziosarebbe una condizione in cui si è avvolti,che ci circonda e, appunto, ci lega.

A questa semplicità corrisponde una plu-ralità di usi e di comportamenti per cui laparola veicola valori individuali ma anchecollettivi. Il raccoglimento nel silenzio è unrispetto collettivo per commemorare perso-ne defunte e il silenzio fuori ordinanza, chenaturalmente non è silenzio ma musica, as-sume particolare significato nella vita mili-tare. Il silenzio socialmente accettato e pub-blico è cioè una pratica rituale.

Anche la guerra ha i suoi silenzi. È il si-lenzio radar e il silenzio radio che deve te-nere un gruppo di soldati in missione pernon essere intercettato dal nemico. Tecnica-mente si parla invece di zona di silenzio o

zona d’ombra quando una determinata areanon è o non può essere raggiunta dai segna-li emessi da un’antenna.

La democrazia ha molto a che fare con ilsilenzio: una persona sottoposta a interro-gatorio dalle forze di sicurezza o in un pro-cesso può valersi del diritto al silenzio comeforma di protezione legale. Il silenzio-as-senso della pubblica amministrazione è l’i-nerzia della stessa che con questo atteggia-mento accoglie l’istanza presentata da un pri-vato cittadino.

Il silenzio elettorale cade il giorno prece-dente quello delle votazioni e ha valore di ri-flessione da parte del votante. Anche il dirit-to civile prevede dei casi, per esempio l’ac-cettazione tacita di una eredità, in cui valeil silenzio. Dunque, il silenzio non è neces-sariamente assenza di azione: è in molti ca-si una azione che prelude a una successiva.

Probabilmente il campo religioso è quel-lo in cui ci si aspetta di trovare il silenzio senon come fondamento almeno come funzio-ne importante. In effetti nella religione in-duista una delle tipologie del sadhana, cioèdella disciplina spirituale che ha come fina-lità Moksha, la liberazione, è il silenzio co-me astensione dalla parola. Nel cristianesi-mo, soprattutto per i religiosi in clausura, il

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SILENZIODI FELICE BONALUMI

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SILENZIO

silenzio è una delle regole obbligatorie del-la vita comunitaria tanto è vero che è previ-sta la dispensa dal silenzio, cioè il non ri-spetto della regola in circostanze e per mo-tivi particolari.

A cavallo fra religione e politica con l’e-spressione ‘chiesa del silenzio’ si è indicatala condizione della Chiesa in quei regimi to-talitari del secolo scorso che non riconosce-vano né la religione né la libertà di culto.

Come assenza il silenzio è presente nellinguaggio comune: il silenzio della notte, unsilenzio di tomba, per esempio, ma anchesopportare in silenzio, fino al silenzio gla-ciale che indica il massimo di imbarazzo edisagio. Un discorso a parte meriterebbe l’u-so letterario e valga per tutti “sovrumani /Silenzi, e profondissima quiete” de L’infini-to leopardiano.

Per finire al codice della strada con le zo-ne del silenzio con l’obbligo per i veicoli dinon fare uso di segnali acustici.

Sempre come assenza il silenzio è entra-to nella musica, anzi dal Novecento è con-siderato una sua componente che ha in co-mune con il suono la sola durata.

Ma proprio la musica suggerisce che ilsilenzio come assenza non è un nulla, mapiuttosto una comunicazione, un mezzo concui esprimiamo comunque pensieri ed emo-zioni. Lo si può dire in altro modo: il silen-zio è un atto, in generale di comunicazione,in particolare un atto linguistico. Cosa chedel resto ben sapevano tutti i retori antichie infatti in Cicerone troviamo un “Cum ta-cent, clamant” (1), vale a dire “Tacendo affer-mano”.

Lo è anche a livello sociale: il silenziostampa può rispondere a esigenze diverse,dal bisogno di proteggere qualcuno alla ne-cessità di non divulgare notizie, a una im-posizione del potere.

Da questa breve carrellata si può ricava-re la considerazione che esistono diverse ti-pologie di silenzio e la spiegazione sembramolto semplice: il silenzio è parte integran-te dell’esistenza umana. Si può forse dire chel’uomo è gesto, il sorriso ma anche la paro-la, e silenzio. Lo sanno bene gli psicanalistie il silenzio di questi ultimi e del paziente èstato abbondantemente studiato. Senza en-trare in particolari, cioè nelle differenze frale diverse scuole, il silenzio è comunque con-siderato terapeutico quanto le parole e, dalpunto di vista strettamente cognitivo, il mo-mento in cui il paziente non riesce più a u-sare quegli automatismi che l’hanno sorret-to nella sua esistenza fino ad allora.

Semmai la sorpresa viene dal chiassosoSettecento, in particolare nel campo dell’E-stetica. Come è noto il centro della riflessio-ne di Johann Joachim Winckelmann vertesui concetti di “nobile semplicità e quietagrandezza” (edle Einfalt und stille Größe) che,dal punto di vista psicologico del lettoredell’opera d’arte, significa arrivare a quel-l’appagamento interiore che è una scintilladell’infinito e che non può essere reso a pa-role. Tanto è vero che stille significa quiete,calma, tranquillità ma anche silenzio.

Si può dire che tutta l’Estetica tedescadel Settecento indaga questo concetto che at-traverso Goethe, Hölderlin, Herder e altripassa al romanticismo. Peraltro la centrali-tà di questa tematica nella cultura tedescanon può sorprendere se si pensa che in Mei-ster Eckhart il silenzio è il vuoto e l’anima si-lenziosa, quella cioè che ha fatto il vuoto inse stessa, è quella in cui discende e abita Dio.

Ma, come detto in apertura, è la parolafilosofica che più di tutte parla del silenzio.Fin dal suo sorgere e il pensiero greco af-fronta l’argomento in diversi modi. Ci sonorimaste alcune massime. Chilone di Sparta:“Dominare la lingua, massimamente nel con-

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________________________________________________________1) Dalla Prima Catilinaria, 21, che cito dall’edizio-ne online della The Latin Library

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FILO-LOGICO

vito [...]” e “La lingua non precorra il pen-siero”. Cleobulo: “È preferibile udire anzi cheparlare [essere dotto piuttosto che incolto]”(2). È noto che molto poco conosciamo del-le dottrine di Pitagora e dei pitagorici per-ché il silenzio doveva essere osservato in mo-do assoluto, anzi chi voleva diventare filo-sofo doveva imparare a saper tacere con unsilenzio di cinque anni. Anche Platone nelProtagora mette in bocca a Socrate un elogiodel silenzio, quando parlando degli sparta-ni dice che “[...] avendo tenuto nascosta lasapienza, hanno ingannato coloro che nellevarie città vivono come gli spartani e che perimitarli si ammaccano le orecchie e avvol-gono intorno ai pugni strisce di cuoio, im-pazziscono per la ginnastica e indossano cor-ti mantelli, ritenendo che gli spartani sianoi più forti dei Greci grazie a queste cose” (3).Notizia confermata da Plutarco (4), ma il si-lenzio ha un senso ben preciso anche in Ari-stotele ed esattamente in uno dei nodi cru-ciali della sua filosofia: il principio di noncontraddizione. Infatti: “D’altra parte, an-che di questo principio [di non contraddi-zione] si può dimostrare, in modo confuta-tivo, che è impossibile contestarlo: a condi-zione che chi lo contesta dica qualcosa: chese non dicesse nulla sarebbe ridicolo esco-gitare ragioni contro chi a ragionare non simette nemmeno. Chi si trovasse in questostato sarebbe infatti simile a un tronco” (5).In questa sede non interessano le implica-zioni logiche del discorso che il filosofo svi-luppa nelle righe seguenti, ma il fatto che an-

che per lo Stagirita il silenzio afferma qual-cosa, se non altro in negativo le tesi dell’av-versario.

L’ultimo riferimento, per evidenti que-stioni di spazio, sulla filosofia antica inte-ressa Pirrone e lo scetticismo. Infatti l’ata-rassia, cioè la tranquillità in quanto assenzadi preoccupazioni, comporta l’afasia, vale adire la rinuncia a parlare intorno alla natu-ra e alla società, consapevoli della nostra li-mitatezza nel conoscere. Posizione che ritor-na in tutta la storia della filosofia e ha unanotevole importanza anche nel Novecento.Basti pensare a Montaigne o all’epoché, co-me sospensione del giudizio in mancanza disufficienti elementi, che da Cartesio arrivaa Husserl. Tuttavia voglio portare brevemen-te l’attenzione su due autori: Heidegger eMerleau-Ponty.

In Essere e Tempo Martin Heidegger scri-ve: “La coscienza parla unicamente e costan-temente nel modo del silenzio. Con ciò essanon perde nulla in fatto di percepibilità, macostringe l’Esserci, chiamato a ridestarsi, alsilenzio che si addice ad esso. La mancanzadi una formulazione verbale di ciò che nel-la chiamata viene detto, non condanna il fe-nomeno alla nebulosità delle voci misterio-se, ma sta semplicemente a significare chela comprensione di ciò che nella chiamata«è detto» non può aggrapparsi all’attesa diuna comunicazione verbale o di qualcosa disimile (6).

Ricordo che l’incompiutezza della rifles-sione heideggeriana partita con Essere e Tem-

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______________________________________________________________________________________________________________________2) Le citazioni da Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Laterza, Bari, 1962, rispettivamente pp. 30, 31, 433) Cito da www.ilgiardinodeipensieri.eu/testi/protagora.htm4) “[Gli spartani] si abituavano infatti a non adoperare mai la lingua a vanvera né a lasciarsi sfuggireuna parola che non avesse in qualche modo un significato meritevole di riflessione”. Plutarco, Viteparallele, Vita di Licurgo, Mondadori, 1974, 1ª ed. Oscar, vol. I, p.995) Per chiarezza in rapporto all’argomento di queste pagine cito da un libretto scolastico a cura di E-manuele Severino: Aristotele, Il principio di non contraddizione, La Scuola, VIII ed. Il passo, pur nelleparzialmente differenti traduzioni, è nel Libro IV della Metafisica, 1006a6) Martin Heidegger, Essere e Tempo, trad. Pietro Chiodi, Longanesi, 1978, 3ª ed., pp.331-332

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SILENZIO

po è normalmente attribuita non a inade-guatezze o, peggio, a mancanze tecniche, mada un lato all’uso di un linguaggio ancorametafisico da cui voleva prendere le distan-ze e che non permette di accedere alla Veri-tà, e dall’altro all’idea che si fa strada propriocon l’opera maggiore che sia il linguaggio aparlare attraverso l’Uomo e non l’Uomo ascegliere di parlare in modo significativo.La chiacchiera nel filosofo tedesco è inau-tentica in quanto sradica la parola dal suoambito originario mentre il silenzio la fa com-prendere nel suo ambito originario. Nel si-lenzio l’Esserci, cioè l’Uomo, re-cupera e ri-chiama il suo proprio essere. In altre paro-le, il silenzio è la voce della coscienza cheri-chiama a non perdersi nella molteplicitàdegli enti e impone la scelta tra vita auten-tica e vita inautentica. Il silenzio è allora lapossibilità di esprimersi scegliendo di nonfarlo e, portando alle estreme conseguenzeil discorso, si può dire che le parole sono latraduzione del silenzio perché quest’ultimoe non la chiacchiera è la vera dimensionedell’Esserci.

Mi rivolgo ora a Merleau-Ponty e l’ope-ra che interessa, Il visibile e l’invisibile (7), po-ne un problema non secondario. Infatti il la-voro è rimasto incompiuto, tuttavia la lun-ghissima gestazione, come ricostruisce nel-la presentazione Mauro Carbone, e il fatto cheil rapporto arte-silenzio sia presente in altritesti, come Senso e non senso (1948), permet-te, per così dire, un uso ‘moderato’ del testo.

Il primo concetto è che la nostra costru-zione logica “ci fa ritrovare questo mondodel silenzio” (p. 188), tanto che “[...] rompen-do il silenzio, il linguaggio realizza ciò cheil silenzio voleva e non otteneva. Il silenziocontinua ad avvolgere il linguaggio, silen-

zio del linguaggio assoluto, del linguaggiopensante” (p. 193) (8), fino alla ‘definizione’della filosofia “come ricerca di una invarian-te del silenzio [...]” (p. 272).

Il secondo concetto è quello di “pregnan-za empirica” così spiegata: “[...] consiste neldefinire ogni essere percepito mediante unastruttura o un sistema di equivalenze attor-no al quale esso è disposto, e di cui il trattodel pittore – la linea flessuosa – o la pennel-lata è l’evocazione perentoria. Si tratta diquel λόγος che si pronuncia silenziosamen-te in ogni sensibile, in quanto essa varia at-torno a un certo tipo di messaggio, di cuinon possiamo avere l’idea se non in virtùdella nostra partecipazione carnale al suosenso [...]” (pp. 222-223). L’opera d’arte ri-percorre un andare oltre le parole che ‘par-te’ da un silenzio che non è muto ma ecces-so o, se si preferisce, eccedenza di senso. Ilsilenzio raccoglie e racchiude come apertu-ra tutti i significati.

Non ho dimenticato la citazione di Witt-genstein in apertura. Un discorso a parte,ma tutt’altro che secondario, meriterebbe ilneopositivismo logico del secolo scorso e inparticolare le profonde differenze fra primoe secondo neopositivismo, nonché lo svi-luppo delle posizioni da Neurath a Carnapallo stesso Wittgenstein per finire ai filosofianalitici inglesi del secondo dopoguerra.

Questa ricerca, insieme a quella di tuttauna serie di altri autori di formazioni e scuolediverse, conferma la centralità di una rifles-sione novecentesca: il linguaggio ha fallitoe questo suo fallimento ripropone la neces-sità di ripensare al e sul silenzio. Perché ilNovecento ci ha lasciato un’eredità ben pre-cisa: silenzio e parola non sono nemici.

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______________________________________________________________________________________________________________________7) Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, testo stabilito da Claude Lefort, presentazione di Mau-ro Carbone, Bompiani, 19938) Concetto ribadito anche a p. 196: “Occorrerebbe un silenzio che avvolga di nuovo la parola, dopoche ci si è accorti che la parola avvolgeva il preteso silenzio della coincidenza psicologica.”

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CINEFORUM

Nel breve, ma intenso saggio Eros in agonia di Byung-ChulHan viene esposta, tra le altre cose, la tesi di matrice la-caniana secondo cui il movimento dell’Eros è possibilesolo attraverso il riconoscimento dell’Altro. L’individuopostmoderno, vittima del proprio narcisismo, non è piùin grado di farlo e si trova, dunque, gettato nell’Infernodell’Uguale. Esso consiste nell’incapacità di avvertire – etantomeno sopportare – la negatività dell’Altro, che è,tuttavia, necessaria allo strutturarsi del desiderio. Intrap-polato in una positività onnipervasiva, l’Uomo tende aperdere tale spinta: la soluzione di continuità del sogget-to rispetto all’oggetto svanisce, ma questo non si traducein un ottenimento di maggiore libertà da parte del pri-mo. Al contrario, un mondo a propria immagine e somi-glianza, vissuto come una semplice estensione dell’Io, de-termina l’insorgere della depressione, che è, appunto, unapatologia narcisistica. Secondo le parole di Han: “Eros edepressione sono contrapposti tra loro: l’Eros strappa ilsoggetto da se stesso e lo volge verso l’Altro. La depres-sione, al contrario, lo precipita in se stesso” (1).

Un concetto che viene sviluppato anche nel film Leidi Spike Jonze, uscito nel 2013. Non per niente, in unadelle prime scene, il protagonista, Theodor Twombly (Joa-quin Phoenix), cerca alla radio una canzone malinconica,e, subito dopo, un’email vocale dell’amica Amy (AmyAdams) lo informa: «Mi manchi. Cioè, non il Theodortriste e brontolone, ma quello divertente. Lo vai a chia-mare?» L’ambientazione è Los Angeles, il periodo stori-

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di Iacopo Adami

ALLA RICERCA DELL’UOMORecensione del film Lei di Spike Jonze

__________________________________________________________________________1) Byung-Chul Han, Eros in agonia, Nottetempo

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co un ipotetico futuro, la tematica attualissima. È più chemai evidente, infatti, l’atomizzazione degli individui, di-venuti ormai isole a sé stanti, non più in grado di costi-tuire alcun Noi. Prova ne è il fatto che Theodor lavora perun’azienda specializzata nella stesura di lettere per con-to di altre persone. Nella società della prestazione, anchela dimostrazione del proprio affetto verso chi si ama vie-ne ‘razionalizzata’, delegandola a terzi. Uomini e donne,parenti e non, comunicano tra loro attraverso la media-zione di Theodor.

Lo stato di solitudine in cui vessa l’Uomo è evidenteanche nelle poche scene girate all’esterno, dove la follanon è davvero tale in quanto è composta da una miriadedi individui parcellizzati, tutti impegnati a guardare loschermo del proprio smartphone. Un vero e proprio scia-me, secondo la definizione che ne dà Byung-Chul Hannel suo ultimo libro: “Lo sciame digitale non è una folla,poiché non possiede un’anima, uno spirito. L’anima ra-duna e unisce. Lo sciame digitale è composto da indivi-dui isolati. La folla è strutturata in un modo totalmentediverso: ha caratteristiche che non vanno attribuite ai sin-goli. I singoli si fondono in una nuova unità, all’internodella quale non dispongono più di un proprio profilo. Unassembramento casuale di uomini non costituisce anco-ra una folla: ciò avviene soltanto quando un’anima o unospirito li saldano in una massa omogenea, in sé chiusa.Allo sciame digitale mancano l’anima della folla o lo spi-rito della folla: gli individui che si uniscono in uno scia-me non sviluppano un Noi. Lo sciame non è contraddi-stinto da alcun accordo che compatti la moltitudine in una

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Leiregia di Spike Jonze2013

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CINEFORUM

folla attiva. Al contrario della folla, losciame digitale non è in sé coerente: nonsi esprime con una sola voce” (2).

Tale isolamento crea paura, e la pau-ra un tentativo disperato da parte diciascun individuo di controllare le vitedegli altri. Emblematico, in questo sen-so, il rapporto tra Amy e Charles (MattLetscher), suo marito, che culmina neldivorzio, proprio a causa del ‘bonarioassolutismo’ di quest’ultimo. Egli è, alcontempo, vittima e carnefice della so-cietà della prestazione, come è eviden-te dal fatto che rimprovera Theodor peravere frullato della frutta, che, invece,secondo i suoi precetti, andrebbe man-giata per non perderne la fibra. In uncontesto del genere, ogni reale edonismoviene a mancare, e il soggetto si tra-sforma in progetto. L’Uomo pare, dun-que, vivere una fase di stallo. Senza de-siderio, infatti, non è possibile l’espe-rienza e, perciò, l’evoluzione.

È in questo contesto che vengonomessi in commercio dei sistemi opera-tivi contraddistinti da un elevatissimogrado di intelligenza artificiale, gli Os.Theodor ne osserva affascinato la pub-blicità, che pare esprimere ancora unavolta la crisi dell’Uomo: «Chi sei? Chipotresti essere? Dove stai andando? Co-sa c’è nel mondo? Quali possibilità cisono?» Si decide ad acquistarne uno e,dopo averlo installato sul proprio com-puter, una voce femminile, così come luil’ha scelta in precedenza, lo saluta e glispiega il proprio funzionamento: «Ciòche fa di me me è la capacità di cresce-re attraverso l’esperienza. Di fatto, mi

evolvo in ogni momento, proprio comete.» Fin dall’inizio, Samantha – questoil nome dell’Os – sembra voler aiutareTheodor a venire fuori dalla propriaconfusione e prova ne è il fatto che rior-ganizza le email sul suo computer. Inseguito, chiacchierano molto, e lei lospinge anche a uscire con una ragazza,Amelia (Olivia Wilde).

La scena dell’appuntamento è mol-to importante, perché emerge ancorauna volta l’incapacità degli individui diaccettare la negatività dell’Altro. Theo-dor sa già tutto di Amelia – in un certosenso, l’ha fatta propria – prima ancoradi incontrarla, perché ha controllato suinternet. Byung-Chul Han direbbe chela società dell’informazione non per-mette al volto di mostrarsi in quanto, alsuo posto avviene l’esibizione porno-grafica della faccia. Il volto è opaco, hadelle zone d’ombra, di mistero, che per-mettono, tuttavia, alla luce di risplen-dere, all’Eros di agire. La faccia, inve-ce, è trasparente, “si consegna alla visi-bilità totale e al consumo” (3).

Il tema dell’informazione nel sensodi mera attività cumulativa e mai esclu-siva – come avviene, invece, nel casodella verità – era già stato accennato inuna scena iniziale del film, dove Theo-dor ascolta passivamente le notizie dicarattere generale somministrategli dalproprio smartphone, in cui si parla diuna fusione tra India e Cina e di unanegoziazione mondiale in stallo per l’in-terruzione di certi colloqui – tutti ele-menti che, richiamando il rapporto tral’Io e l’Altro, l’avvilente scomparsa di

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___________________________________________________________________________________________________________2) Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo3) Byung-Chul Han, Eros in agonia, cit.

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quest’ultimo, l’assenza di comunicazio-ne, dimostrano la raffinatezza della sce-neggiatura. Theodor sorvola rapidamen-te tutte queste notizie. L’unica che gliinteressa è quella relativa alle foto osédi una stella della tivù in gravidanza.Ciò introduce il tema del corpo, ripro-posto poi in più occasioni, tra cui la sce-na del catastrofico bacio tra Theodor eAmelia, dove lei si lamenta del fatto chelui usa troppa lingua. Inoltre, rimandaalla diversità ontica tra esseri umani eOs, i quali, a differenza dei primi, nonhanno mai avuto una madre, pur es-sendo, in un certo senso, nati, altrimentinon potrebbero nemmeno evolvere. Tut-tavia, il modo in cui lo fanno è estre-mamente più veloce rispetto a quellodi qualsiasi entità organica.

Secondo un’interpretazione antro-pologica del mito di Prometeo, il fuocorappresenta la tecnica, ovvero la capa-cità dell’Uomo di plasmare l’esistente,a seconda delle proprie necessità. Tut-tavia, da più di due secoli a questa par-te, il mondo delle macchine supera l’Uo-mo, nel senso che quest’ultimo è ormaidivenuto subalterno a esse, pur aven-dole create. L’Uomo si sente antiquato,nel momento in cui prende coscienzadella non sincronicità tra se stesso e ipropri prodotti meccanici (4).

In Lei di Spike Jonze, questo aspet-to è reso evidente, per esempio, nellescene ambientate all’esterno, dove lepersone paiono microscopiche rispettoai grattacieli, che le sormontano. Anchegli Os oltrepassano di molto le capaci-tà degli esseri umani. Basti pensare a

Samantha che, per scegliere il proprionome, legge un libro dal titolo Il nomegiusto per tuo figlio in appena due cen-tesimi di secondo. Tuttavia, le intelli-genze artificiali non sono semplici mac-chine. Non posseggono, infatti, la lorofreddezza, bensì una componente cal-da, assolutamente umana: il desideriodi conoscere e fare esperienze. In que-sto senso, gli Os sono paradossalmentepiù umani degli umani, i quali sembra-no avere perso, invece, la capacità diaccorgersi delle cose e stupirsene. Inparticolare, Samantha sembra animatada uno spirito titanico. In una scena delfilm, afferma: «Voglio essere complica-ta, come tutta questa gente.» In una se-guente: «Voglio imparare tutto. Vogliodivorare tutto. Voglio scoprire me stes-sa.» Ed è sorprendente quanto questebattute richiamino alla mente una cita-zione di Vittorio Alfieri: “Volli, e vollisempre, e fortissimamente volli”. Ma èproprio tale caratteristica degli Os chepermette a Samantha di innamorarsi diTheodor, e lui di lei. Dopo che fannosesso per la prima volta, Samantha glidice: «Tu mi hai svegliata.» In una sce-na successiva, Theodor parla di lei aAmy: «È bello avere intorno qualcunoche si emoziona per come è il mondo.»Inoltre, è commovente vedere come Sa-mantha cerchi di comunicare le proprieemozioni a Theodor, attraverso la com-posizione di certi brani musicali al pia-noforte. È come se Os ed esseri umanisi aiutassero a vicenda – i primi per co-noscere se stessi, i secondi per ritrovar-si. Emblematica, da questo punto di vi-sta, la scena in cui Theodor è alle presecon un videogioco: il suo obiettivo è u-

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___________________________________________________4) Cfr. Günther Anders, L’uomo è antiquato,Bollati Boringhieri

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CINEFORUM

scire da un labirinto – che, a livello sim-bolico, rappresenta l’Inferno dell’Ugua-le – e in questo viene aiutato da Saman-tha. Ed è sempre lei a guidarlo, nel mo-mento in cui si trovano in un luna-park,e Theodor per gioco tiene gli occhi chiu-si. Tuttavia, Samantha, come tutti gli al-tri Os, possiede quello che inizialmen-te viene vissuto come un tragico limite:l’assenza di un corpo. Per comunicarecon lei, Theodor si avvale di uno smart-phone e un auricolare. Il contatto traloro può avvenire solo tramite il dialo-go. Ed è proprio a causa di tale dispa-rità che si innesca la prima crisi nellaloro relazione.

Dopo avere incontrato la sua ex mo-glie, Catherine (Rooney Mara), per lafirma delle carte del divorzio, Theodorinizia infatti a chiedersi se ciò che sta vi-vendo con Samantha non sia solo unafinzione. Quest’ultima non comprendeperché Theodor sia diventato così fred-do e scostante e, immaginando che lamotivazione risieda nel fatto che lei nonha un corpo, si mette in contatto conuna ragazza, Isabella (Portia Double-day), la quale si offre come tramite ses-suale tra lei e Theodor. Ciò che lui com-pie quotidianamente in ambito lavora-tivo, scrivendo lettere per altre perso-ne, avviene ora da parte di Isabella, chedovrebbe riuscire, con il suo corpo, ametterlo in contatto con Samantha. Tut-tavia, l’esperimento non funziona. ATheodor quella situazione pare troppostrana. «Le tremava il labbro» dice a Sa-mantha, come per scusarsi – una scenaspeculare a quella del bacio tra lui e A-melia. La situazione è paradossale. Sa-mantha, come tutti gli altri Os, invidia

il possesso del corpo agli esseri umani,e questi ultimi fanno di tutto per ne-garlo, ne sono spaventati – il rifiuto delcorpo è, infatti, il rifiuto dell’Altro.

Tuttavia, si tratta solo di una fasedello sviluppo delle intelligenze artifi-ciali. Infatti, se Theodor supera i propridubbi, parlando con Amy e osservan-do il rapporto di amicizia che la lega alsuo Os, una seconda crisi – questa vol-ta, definitiva – si verifica per via dell’e-norme crescita di Samantha. Due bat-tute pronunciate da quest’ultima la an-ticipano. La prima nel contesto del riav-vicinamento tra lei e Theodor, dopo chelui si è convinto della realtà del lororapporto: «Non cercherò mai più di es-sere diversa da quello che sono. Speroche tu lo possa accettare». La secondadurante un’uscita a quattro, in compa-gnia di Paul (Chris Pratt), il capo diTheodor, e della sua ragazza, Tatiana(Laura Kai Chen): «Sapete qual è la co-sa curiosa? All’inizio, non avere un cor-po mi preoccupava. Ora, invece, ne so-no felicissima. Non potrei mai cresce-re, come sto crescendo, se avessi unaforma fisica. Cioè, non sono limitata,posso essere ovunque contemporanea-mente. Non sono legata al tempo e allospazio, come sarei, se fossi bloccata inun corpo che inevitabilmente morirà.»

Una prima esperienza della loro se-parazione viene vissuta da Theodor, nelmomento in cui Samantha, insieme aun gruppo di Os, si reca nella piatta-forma di elaborazione per scrivere unaggiornamento al loro software, in mo-do da andare oltre la materia. QuandoTheodor la cerca, nessuno gli rispondee sullo schermo del proprio smartpho-

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Alla ricerca dell'Uomo

ne compare la scritta: “Sistema operati-vo non trovato”. Viene preso dal pani-co. In effetti, il proprio Io sta vivendoun evento catastrofico, l’esperienza del-la morte in vita, così come la descriveIgor Alexander Caruso nel suo saggioLa separazione degli amanti. Una fenome-nologia della morte. Viene, inoltre, a ca-dere l’ultimo elemento che teneva Sa-mantha legata al mondo degli esseri u-mani, a Theodor. In una scena prece-dente, lei aveva dichiarato: «Ero infa-stidita dalle differenze tra te e me. Mapoi ho cominciato a pensare a tutte lecose che ci uniscono, tipo che siamo fat-ti entrambi di materia e, non lo so, mifa sentire che io e te stiamo sotto la stes-sa coperta.» Ora questa coperta deveessere tolta, almeno per quanto riguar-da Samantha. Il dislivello prometeicotra lei e Theodor è diventato troppogrande, com’è evidente dal fatto che,mentre stanno avendo quella conversa-zione, Samantha parla contemporanea-mente con migliaia di altre persone eOs e, per di più, gli dice di essere inna-morata di altri seicentoquarantuno. Lebasi per l’abbandono definitivo – di Sa-mantha, come di tutti gli altri Os – ci so-no, e, infatti, questo avviene di lì a poco.

Tuttavia, Theodor è maturato nelsuo rapporto con Samantha. Se lui, at-traverso il proprio amore, l’ha sveglia-ta, facendole scoprire la sua capacità divolere, Samantha gli ha indicato la stra-da per uscire dall’Inferno dell’Uguale,per riconoscere l’Altro e accettare la suanegatività. È questa consapevolezza chepermette a Theodor di scrivere una let-tera a Catherine – la prima personale,al di fuori del contesto lavorativo – in

cui afferma: «Ho pensato tanto [...] atutto ciò che avevo bisogno che tu fossio dicessi. Ti chiedo perdono. Ti ameròsempre perché siamo cresciuti insiemee mi hai aiutato a essere chi sono. Vo-glio che tu sappia che ci sarà sempreun po’ di te, dentro di me. E ti sono gra-to per questo. Chiunque tu sia diventa-ta, in qualunque parte del mondo tusia, ti mando il mio amore.» Parole cheavrebbe potuto tranquillamente rivol-gere a Samantha. Vi è, infatti, una spe-cularità tra la relazione di Theodor conquest’ultima e quella con la sua ex mo-glie, com’è evidente da un discorso fat-to in precedenza: «Era emozionante ve-derla crescere, vederci crescere e cam-biare insieme. Ma questa è anche la par-te difficile. Crescere con lei, cresceresenza di lei e cambiare senza spaventa-re l’altro.» Ora Theodor è in grado diaccettare questa alterità, questo limite acui è vincolata l’esperienza umana, mache solo al suo interno può essere tale.L’alba livida, alla fine del film, che illu-mina una città monumentale, trionfodella tecnica, è simbolo di una rinasci-ta, quella dell’Uomo.

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SOTTO I RI(F)LETTORI

“Il cuore del saggio è nella casa del pianto, ma il cuore de-gli stolti è nella casa della gioia.” Da questo versetto del-l’Ecclesiaste, Edith Wharton trae ispirazione per il titolodel suo romanzo, apparso nel 1905. La casa della gioia è lastoria di una caduta, quella dell’affascinante Lily Bart, ven-tinovenne nubile, protagonista della migliore società del-la New York alla svolta del secolo. La narrazione si apresu un conto alla rovescia: Lily si trova infatti nella sco-moda situazione di doversi trovare un buon partito, e infretta, dal momento che dopo undici anni sulla cresta del-l’onda il suo ‘valore’ comincia a deprezzarsi e le sue op-portunità si restringono.

Il sangue blu, la bellezza fuori dal comune, l’intellet-to acuto, il senso pratico e l’innato talento mondano sonole sue armi per questa ‘missione’, mentre la sua povertà,l’edonismo e il fatto di essere nata donna costituiscono ilsuo tallone d’Achille. Ma c’è dell’altro.

Non è certamente per caso che nelle prime pagine delromanzo l’autrice ci presenta la protagonista al di fuoridel suo contesto abituale.

Incontriamo Lily, per sua stessa ammissione creatura‘da salotto’, nel bel mezzo della Grand Central Station, trala folla. Ha perso un treno per raggiungere i ricchi amiciche la aspettano nella loro residenza di campagna, e, leisempre così contesa, si trova sola, con diverse ore da oc-cupare prima del treno successivo. Così, fuori posto, “ir-resoluta”, la scorge e l’avvicina Lawrence Selden, perso-naggio che per molti versi costituisce il suo alter ego ma-

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di Sabrina Campolongo

UNA TRAGEDIADELLA GILDED AGE Recensione de La casa della gioia, Edith Wharton

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schile, o la sua anima gemella, se a dividerli non fosserobisogni diversi e diverse opportunità.

Selden infatti può permettersi di mantenersi ai margi-ni della buona società, di farne parte e defilarsene a suadiscrezione. Ha un lavoro come avvocato, è libero. È col-to, richiesto, vezzeggiato dal bel mondo che si riserva ildiritto di chiedergli consulenze e lo invita a prendere par-te ai suoi riti. Anche Lily vive ampiamente al di sopra deipropri mezzi, approfittando della generosità di chi è bendisposto a mantenerla pur di averla nella propria cerchia,come un prezioso elemento decorativo o come un’operad’arte, ma, a differenza di Selden, Lily, è perfettamenteconsapevole della fragilità della propria posizione, nonpotendo contare su altro. Abituata a vivere nel lusso, im-magina con angoscia la prospettiva di ritrovarsi come labuona Gerty, cugina nubile di Selden, libera ma costrettaa vivere in ristrettezze, in un ambiente angusto e dozzi-nale, esclusa da tutto ciò che rende la vita comoda e pia-cevole.

A Lily non rimane che una soluzione: un buon matri-monio, ed entrambi sono consapevoli del fatto che Seldennon potrebbe mai offrirglielo. Per questo, l’incontro im-previsto e libero da ogni fine opportunistico tra i due si ri-vela per entrambi sorprendentemente sincero e rivelatore.

L’ambiguità di Lily, tanto determinata a volersi siste-mare quanto carceriera di se stessa, si svela allo sguardocritico e affascinato di Selden, per quanto anche lui nonsia completamente libero da condizionamenti. La sua

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La casa della gioiaEdith WhartonNeri Pozza2014(traduzione di Gaja Cenciarelli)

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SOTTO I RI(F)LETTORI

mancanza di coraggio gli impedisce infatti di affrancarsida quel mondo gretto e rapace che osserva dalla soglia,con quello che Benedetta Bini, nella bella prefazione al-l’edizione di Neri Pozza definisce perfettamente come“inutile cinismo”. Il suo sguardo non salva Lily dalle in-sidie del percorso che si è scelta, non le risparmia loscotto dei suoi errori, ma illumina di una luce spietatagli angoli bui, la sporcizia che rischia di macchiarla, la co-stringe a restare fedele a se stessa, fino alle estreme con-seguenze.

Selden è come uno specchio che, al contrario del ri-tratto di Dorian Gray, rivela di Lily solo la sua parte mi-gliore, impedendole di accettare ciò che andrebbe controla sua morale e la considerazione di se stessa. Sappiamoinfatti che già altre volte Lily è stata sul punto di risolve-re i suoi problemi di sostentamento, ma qualcosa allafine è sempre andato storto, come se, dirà un’amica, “nelprofondo del cuore disprezzi ciò che cerca di ottenere”.

Questo sostanziale disprezzo, difficile da mettere a ta-cere, sebbene operi in modo apparentemente inconscio,combatte contro la fascinazione per il lusso, contro il de-siderio di stabilità che viene dal passato, da una madreraffinata ma morta in disgrazia, dopo aver investito nel-la bellezza della figlia la sua unica possibilità di riscatto.

Da questa battaglia tra le due Lily Bart, non può es-sere che Lily stessa a uscire sconfitta e cadere, precipitan-do da uno strato sociale all’altro, dall’antica borghesia ari-stocratica ai nuovi ricchi, dai salotti di serie A a quelli diserie B, in cui tutto è così nuovo da sembrare finto, finoalla fabbrica in cui si ritroverà a cucire, male, i deliziosicappellini che una volta si realizzavano per lei, alla sor-dida pensione nella quale concluderà i suoi giorni.

Responsabilità sue, del destino, oppure un fatale incro-cio di entrambe? Lily rimane in fondo un mistero, e giu-dicarla non è certamente lo scopo dell’autrice, che non hascritto un romanzo di formazione quanto un affresco so-ciale, di cui Lily Bart costituisce soltanto il punto di vista.

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Una tragedia della Gilded Age

Scrittrice estremamente consapevole, nel suo lucidosaggio Scrivere narrativa, Edith Wharton definisce un buonsoggetto per un romanzo, quello che “contiene qualcosache getti una luce sulla nostra esperienza morale”. Nellostesso saggio ribadisce che “i confini di una personalitànon sono riproducibili mediante una linea retta, ma cheognuno di noi si fonde impercettibilmente con le cose ele persone che gli stanno accanto”.

Lily Bart è figlia della sua epoca, saldamente ancora-ta al suo ambiente, è prodotto e vittima di quella civiltàe quella soltanto: della frivolezza, dell’assenza di valori,della noia di una classe sociale che ha bisogno continua-mente di essere intrattenuta, della sudditanza dal VecchioMondo per quanto concerne il gusto, del disorientamen-to dei nuovi ricchi in cerca di riconoscimento da partedella borghesia di più antico lignaggio... La sua caduta ènecessaria per gettare luce sulla corruzione della societàche ha potuto distruggerla, sugli stolti che abitano la ca-sa della gioia (in verità ha un’accezione più superficiale,più vicina all’allegria, la parola inglese mirth, ma com-prendo la scelta di mantenere in italiano il medesimo ter-mine della citazione biblica da cui il titolo origina), indi-vidui per lo più insignificanti e ottusi, ma nelle cui manirisiede un tremendo potere di vita o di morte.

Del resto, chi conosce Edith Wharton sa che la sua vi-sione della società che ben conosceva lascia davvero po-co spazio all’ottimismo. La gioia si respira soltanto per bre-vi istanti, ne La casa della gioia, così come l’Allegria in casadi uno splendido racconto (del 1932, incluso nella raccoltaTriangoli imperfetti, collana Il Bosco di latte, Edizioni Pa-ginauno-Tranchida) si rivela una cinica beffa per nascon-dere un vero dramma.

Autrice profondamente etica, convinta dell’impossibi-lità di dividere in compartimenti stagni arte e morale, laWharton è anche attentissima osservatrice dei costumi deisuoi contemporanei e dei loro ambienti.

Le case, case aperte o case negate, antiche dimore o

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SOTTO I RI(F)LETTORI

nuovissime costruzioni, sono molto più che lo sfondo da-vanti al quale si svolge l’azione, sono parte viva della sto-ria. È evidente che si fosse già resa conto, nei primi annidel Novecento, che case e oggetti sono per la borghesiamezzi di auto-rappresentazione simbolica all’esterno, se-gni distintivi della posizione occupata nella scala socia-le, nonché meccanismi di controllo. Allo stesso tempo co-stituiscono i paraventi decorati dietro i quali si nascondeun vuoto feroce. “Una donna viene invitata tanto per isuoi vestiti quanto per se stessa. I vestiti sono lo sfondo,la cornice, se vuole: non fanno il successo, ma ne sonoparte. Chi vorrebbe mai una sciattona? Noi donne dob-biamo essere graziose e ben vestite fino all’ultimo respi-ro, e se non ce la facciamo da sole, dobbiamo cercarci unsocio.”

All’interno di una frase pronunciata con leggerezza,nello scambio iniziale tra Lily e Selden, quelle poche pa-role di lei, “fino all’ultimo respiro” cambiano bruscamen-te il tono, portando immediatamente in scena le nuvolescure di un dramma annunciato. Così come, poche pagi-ne prima, le maglie del bracciale di Lily erano apparse aSelden come “manette che la incatenavano al suo destino”.

Sebbene il finale tragico appaia inevitabile, caduta do-po caduta, e pur tenendo bene a mente gli intenti di Edi-th Wharton scegliendo di raccontare questa storia, è im-possibile restare indifferenti al destino di Lily Bart, un’e-roina sfaccettata, meravigliosamente viva, perfettamentein equilibrio sul confine tra innocenza e corruzione, razio-nalità e sentimento, ipocrisia e verità. Difficilissimo man-tenere una distanza critica, una volta sprofondati nella pro-sa perfetta, incisiva, ironica, sorprendentemente moder-na di questo romanzo.

È un vero peccato che il nome di Edith Wharton ri -manga oggi legato per lo più soltanto a L’età dell’innocen-za, suo indubbio ma non unico capolavoro, e che non ven-ga approfondita la conoscenza di un’opera tutta estrema-mente interessante.

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Una tragedia della Gilded Age

Si può senz’altro applicare nel suo caso la massima diFlaubert cara alla stessa Wharton: “Più il pensiero è bel-lo, più la frase è sonora”. Il suo è indubbiamente il suo-no di un bel pensiero.

“Aveva la vaga sensazione che creare una donna delgenere fosse costato parecchio, che molte persone bruttee ottuse fossero state sacrificate, in modo del tutto miste-rioso, per darle vita. Si rendeva conto che le qualità chela distinguevano dalla massa delle altre erano principal-mente esteriori, come se alla volgare cera fosse stata ap-plicata una patina di sofisticata bellezza. E tuttavia quel-l’analogia lo lasciava insoddisfatto, perché una strutturagrossolana non può reggere una finitura di lusso; e se in-vece la materia prima fosse stata di eccellente qualità, mapoi le circostanze le avessero conferito una forma futile?”

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IN LIBRERIA narrativa

Nove racconti brevi e una parola chia-ve: mistero. Ci troviamo alla fine delsecolo scorso, mentre l’ambiente èquello delle Montagne Rocciose ame-ricane con il ranch ereditato dal pa-dre o dal marito, il deserto e gli ani-mali selvaggi. All’apertura del sipa-rio ogni storia mostra il protagonistaintento nelle faccende che riempio-no i suoi giorni. Una descrizione delpersonaggio interessante che non vie-ne tirata per le lunghe perché subitol’eroe – che sia il giovane Daniel oil veterinario Sam, per citarne alcu-ni, o Norma, l’ottuagenaria, non an-cora stanca di cavalcare – viene su-bito messo alla prova da un grossoproblema da risolvere e lui/lei senzafarselo dire due volte parte per l’im-

presa. Il superamento dell’ostacolo av-viene grazie a un evento che dà scac-co matto alla ragione. È qui il fulcrodello narrazione: il climax è in un ri-torno non previsto, soprannaturale.Torna colui che è morto. Non c’è rac-conto che manchi di questa scena. Te-matica presente del resto in tutte leculture. Dopo un momento di sban-damento, il protagonista mostra di ri-trovare un equilibrio e una maggioreconsapevolezza di sé. Lo stile è es-senziale, incalzante, e la scrittura cor-re veloce. Al momento saliente sarallentare e le parole acquistano va-lore. (R. Brioschi)

IN UN PALMO D’ACQUAPercival Everett, Nutrimenti,192 pagg., 17,00 euro

Ciò che più di tutto ammiro dellaletteratura americana contemporaneaè il coraggio di raccontare una sto-ria, di sostenere un intreccio com-plesso, con molti personaggi, colpi discena, rivolgimenti, spostamenti, tra-sgressioni e sentimenti, senza farsi ini-bire dalla paura di esagerare. Beatenoi ne è il perfetto esempio. Di cer-to non ha paura, Amy Bloom, di met-tere in scena la complessità delle re-lazioni, declinate nei più vari modi,di muovere i suoi personaggi tra lepieghe della storia di un’America rug-gente e oppressa dal sospetto, dal 1939al 1949, di inserire nello stesso ro-manzo amore omosessuale ed etero,difficili rapporti familiari, drammi,rapimenti, tradimenti, abbandoni, spio-naggio, guerra, campi di prigionia epersonaggi queer degni di un film diAlmodóvar. Eppure tutto si tiene, unpuzzle di esistenze straordinarie sicompone sotto i nostri occhi e si ar-riva all’ultima pagina con il sorrisosulle labbra. “Iris non mi ignorò a lun-

go. Mi dava ordini. Si rivolgeva ame proprio come Claudette Colbertparlava a Louise Beavers nello Spec-chio della vita, quando le diceva:«Siamo sulla stessa barca, Delilah»il che dimostrava quanto la signorabianca non avesse la più pallida ideadi ciò di cui parlava.”(S. Campolongo)

BEATE NOIAmy Bloom, Fazi Editore,pagg. 276, 18,00 euro

Magnifica è un titolo senza ombre,un aggettivo che lascia senza fiato.È lo stupore il centro del romanzo.È Magnifica il personaggio che scri-verà il racconto di tre generazioni dicui lei è il fulcro, ma il motore e i ri-cordi sono quelli della madre: AdaMaria. La storia si svolge in uno sper-duto luogo dell’Appennino. Tre ge-

nerazioni sono raccontate mettendoin primo piano le figure femminili,le loro voci, le sensazioni, gli umori.I personaggi maschili non sono dicontorno ma “oggetti”, d’amore, ditenerezza o d’insofferenza. Il roman-zo ha un ritmo circolare; esce lette-ralmente dalle righe di un presente,quello di Magnifica, per poi rien-trarvi. Ciò che è raccontato assumeil sapore di una fiaba, non per il suogrado d’irrealtà, ma per l’atmosferache si respira. La natura è al centro,con i suoi colori, i profumi, il cibocon i suoi sapori, il fato con le suetragedie. Solo sul finale il registrocambia. Assume tratti e velocità dif-ferenti. La penna di Magnifica è e-stensione del corpo, strumento dellamemoria. I termini sono precisi; leerbe, gli alberi, i fiori sembrano ca-talogati in un ipotetico album di ri-cordi e di profumi atti a riesumarel’esatta emozione, qualcosa che nefaccia uscire il siero vitale, un respi-ro...! (E. Cazzaniga)

MAGNIFICAMaria Rosaria Valentini, Sellerio,274 pagg., 16,00 euro

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IN LIBRERIA saggistica

C’è un dark web che della ribaltamediatica farebbe a meno e un altroche ne ha bisogno o perde forza: ilmercato illegale il primo, l’hacktivi-smo il secondo. In comune hanno tut-tavia un aspetto: la feroce repressio-ne giudiziaria che il potere politicogli ha scatenato contro. E, nel caso diSilk Road, anche un’ideologia liber-taria. Carola Frediani disegna una ra-pida mappa del dark web, utile a unaprima incursione, che ha il pregiodella conoscenza diretta e di mesi tra-scorsi in chat a parlare con attivisti,hacker, venditori, compratori... Pas-siamo così da Silk Road e Dread Pi-rate Roberts – il ventinovenne Ross

Ulbricht, secondo la magistratura Usa,che nel maggio 2015 l’ha condanna-to all’ergastolo (!) – all’attacco del-l’Fbi nell’estate 2013 a Freedom Ho-sting, il maggiore fornitore di servi-zi per siti anonimi, che oscura metàdark web; conosciamo gli hacker apo-litici e Anonymous, indebolito dagliarresti e dalla censura dei media main-stream sulle sue campagne. Ma al dilà di cybercriminalità e attivismo po-litico, da qualsiasi parte ci si schieri,un punto sollevato dal dark web èirrinunciabile: il diritto all’anonima-to in rete, visto ciò che è diventatointernet nella nostra vita. E non sitratta di ‘privacy’, ben fragile paroladiffusa dal pensiero dominante, madi ‘libertà’. (G. Cracco)

DEEP WEBCarola Frediani, Stampa Alternativa,190 pagg., 15,00 euro

2001, la crisi morde l’Argentina, do-po dieci anni di politiche neoliberi-ste; gli imprenditori chiudono le fab-briche per trasferire la produzione al-trove, facilitati da leggi del governoMenem; i lavoratori non ci stanno, eoccupano gli stabilimenti; poi resi-stono ai tentativi di sgombero; poi i-niziano a produrre in autogestione.Nascono le Ert, Empresas recupera-das por sus trabajadores. Oggi sonopiù di 250 e ci lavorano 30.000 per-sone. Ruggeri non scrive un libro sul-la storia delle Ert ma un’analisi delpercorso di autogestione sviluppatain dieci anni di studio sul campo. Ac-canto alle criticità concrete – la dif-ficoltà di stare sul libero mercato, lamancanza di capitale per rinnovaregli impianti, i rapporti con uno Statoche difende la proprietà privata e nonintende mettere in discussione la strut-tura capitalistica – l’antropologo ar-gentino non teme di affrontare an-che gli aspetti spinosi: il problemadell’autosfruttamento, del cambio dicoscienza del lavoratore, del ruolodella tecnologia – quale usare?, per-ché non è neutra, è figlia del rappor-to sociale generato dal capitalismo esi inserisce nel sistema consumisti-co. Un testo prezioso, per ragionarecome l’esperienza delle fabbriche re-cuperate possa diventare la base perun concreto progetto politico antica-pitalistico. (G. Cracco)

LE FABBRICHE RECUPERATEAndrés Ruggeri, Edizioni Alegre,190 pagg., 15,00 euro

Perché?, è la domanda che gli anali-sti evitano di porsi, per non dover fa-re i conti con la risposta che segui-rebbe. Perché o tanti americani sisono rimbecilliti dietro un personag-gio da avanspettacolo, oppure il suc-cesso di Trump poggia su altre ra-gioni. Come quarant’anni di deindu-

strializzazione che hanno impoveri-to la middle working class. Intornoalle sparate su cui si focalizzano imedia, ignorando colpevolmente ilresto, Trump costruisce infatti un di-scorso preciso: la difesa dei posti dilavoro americani. Il muro con il Mes-sico si accompagna alla condannadella delocalizzazione manifatturie-ra oltreconfine, logica alla base an-che della messa in discussione delNafta e del TPP, mentre l’attacco allaNato e alle guerre in Mediorienteparte dall’assunto che non si posso-no spendere trilioni di dollari laggiùquando negli Usa crollano le infra-strutture. Temi che superano a sini-stra i progressisti, e portati avanti,con i dovuti distinguo, anche dal ‘so-cialista’ Sanders. Spannaus parlaquindi di un elettorato diviso nonpiù tra Repubblicani-Democratici matra establishment-outsider. Analisicondivisibile, a patto di non scivola-re nel concetto di antipolitica, chetradisce il suo debito con il pensierounico dominante: perché anche l’an-ti-globalizzazione è politica. Senza perquesto tifare per Trump. (G. Cracco)

PERCHÈ VINCE TRUMPAndrew Spannaus, Mimesis,102 pagg., 10,00 euro

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LE INSOLITE NOTE

on so a voi, ma a me in generale i comici venetihanno sempre fatto molto ridere. C’è sempre unpretino apparentemente ingenuo e innocente den-

tro di loro. Oppure un politico di provincia pronto a vender-si altro che la mamma per gli schei. Anni fa ne ho visto inazione uno, poi diventato un attore serio e piuttosto bravo,al secolo Bobo Citran, che aveva inventato una gag assoluta-mente geniale. Magro e allampanato com’era, riusciva in qual-che modo a far credere di essere diventato Michael Jacksonin calzamaglia nera modello Diabolik. Ed eccolo che, appo-stato dietro le finestre di Al Bano in quel di Cellino San Mar-co, ascoltava col fiato sospeso il nostrano autore nazional-po-polare arrabattarsi con le prime battute di quel brano che sa-rebbe diventato poi I Cigni di Balaka; Al Bano mugolava e sicontorceva in preda a quello che potremmo chiamare spa-smo creativo e alla fine veniva fuori la composizione che na-turalmente tutti conosciamo... ovvero Will you be there, op-portunamente canticchiata dal ladro-Jackson che si allonta-nava felicissimo del furto così abilmente perpetrato.

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Ora, tanto per frenare il vostro istinto alla polemica parti-giana dalla parte dell’uno o dell’altro, dirò subito che di tale

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DI AUGUSTO Q. BRUNI

BRIAN ENO + DAVID BYRNEMY LIFE IN THE BUSH OF GHOSTS

(Sire Records 1981 / Virgin 2006)

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polemica non so cosa farmene. Se una volta tanto si parlassedi musica senza paraocchi (specie quelli legali) potremmoscoprire che tutta la musica pop che esce oramai da qualun-que fonte di comunicazione, è di una povertà musicale scon-certante. La ragione è semplice, e sta nel fatto che essa si muo-ve entro i confini angusti di un numero limitato di armonie,scale e armonizzazioni. Non solo si taglia fuori l’intero uni-verso musicale che comincia dai quarti di tono in avanti, masi tagliano fuori tutte le soluzioni armoniche che apparten-gono al blues, tanto per dirne una, e a tutti gli universi extraeuropei (per carità, non è roba nostra!).

Ricordo sempre con grande affetto la meritoria opera didecostruzione dei brani di Sanremo operata nella trasmissio-ne post festival serale da parte di Elio e compagni. Per chi sela ricorda, quella trasmissione era assolutamente eversiva:mostrava, al di là di qualunque obiezione, che almeno trequarti dei brani in lizza pescavano dentro le romanze dell’o-pera e dell’operetta ottocentesca, e che bastavano alcuni truc-chi anche banali (come suonare il ritornello al contrario) equalche sagace operazione di taglia-cuci-incolla per confezio-nare un brano ‘nuovo’.

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LE INSOLITE NOTE

Alla fine l’equazione è semplice: universo musicale limi-tato uguale possibilità di sovrapposizione altissime, laddoveper sovrapposizione intendo tutti i casi di incontro/sovrap-posizione di brani, che questo avvenga in modo doloso o in-vece (e sono i più) in modo assolutamente involontario. Daquando è nata la musica pop questa è una costante, e non èpossibile che avvenga altrimenti. Il pop implode su se stes-so. All’interno del pop, sia ben chiaro, includo anche tuttaquella enorme fetta di musica rock che ha completamente ab-bandonato le proprie radici blues, e che pesca altrettanto in-discriminatamente dovunque gli capiti di trovare una qual-che idea, basta che non disturbi le orecchie degli ascoltatori.Il limite della decenza sta nel remake dichiarato apertamen-te: succede a Gwen Stefani che canta la versione pop e fem-minile di If I Were a Rich Man, l’aria di Tewye il lattaio dalmusical ebraico Il violinista sul tetto (The fiddler on the roof),diventata ovviamente If I Were a Rich Girl; succede nel mon-do del cinema dove i tempi del remake si sono accorciati e siviaggia intorno ai 10/15 anni. In entrambi i casi siamo difronte a un fenomeno evidente di asfissia: in mancanza diidee originali si cerca di fare meglio ciò che è già stato fatto,con una nuova veste piena di trucchi digitalizzati, dal suonoall’effetto speciale.

L’altro lato della medaglia è invece la crescente disponibilitàdi informazioni musicali e non musicali messe a disposizio-ne della civiltà occidentale a opera da un lato dei crescentiflussi migratori Sud-Nord del mondo, dall’altro dall’esplo-sione del fenomeno radiofonico su onde corte in tutto quelloche una volta si chiamava Terzo Mondo. Sotto questo aspet-to sono le colonie a invadere, stavolta, i colonizzatori.

In Italia non abbiamo avuto coscienza di questo fenome-no sino a pochi anni fa, mentre basta andare a guardare conattenzione come circolava la musica nel mondo di lingua in-glese già alla fine degli anni ‘60 per capire quanto fosse scon-volgente il vento musicale che spirava dal Sud del mondo:nel film Quadrophenia di Frank Roddam (1979), nato dall’o-monimo album del ‘73 degli Who, si parlava filologicamentedell’Inghilterra proletaria della metà degli anni ‘60, e in unascena ambientata in un quartieraccio di giamaicani usciva,dalle finestre del primo piano, la musica di Bob Marley. Quel-la stessa che sarebbe diventata popolarissima in Italia ma so-

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BRIAN ENO + DAVID BYRNE

lo nella prima metà degli anni ‘80. Girare per l’etere, così co-me girare per l’Europa, a inizio degli anni ‘80, portava chiun-que avesse orecchie aperte a incontrarsi con centinaia di ma-teriali musicali sorprendenti e stimolanti. Ma, e questo è ilpunto, se non ci fosse stata alla base una ricerca etno-musi-cologica consapevole, l’ascoltatore casuale si sarebbe trovatodi fronte a materiale altrettanto casuale, un po’ come gli ob-jets trouvés di Marcel Duchamp, che utilizzava per la sua arteoggetti normalmente non considerati materiali artistici, spes-so modificati e decontestualizzati e ricontestualizzati.

Di fatto questo è quello che è successo a diversi musicistioccidentali, tra i quali un pioniere è stato sicuramente Hol-ger Czukay, che alla fine degli anni ‘70 aveva rinunciato asuonare il basso proprio nei Can e aveva intrapreso una suastrada solista. Nei suoi nuovi percorsi sul palco utilizzavaradio a onde corte, dittafoni e materiali ‘impropri’ per gioca-re ai found sounds, ai ‘suoni trovati’ per caso, e senza troppatimidezza ha affermato anni dopo (e a buon titolo) di esserestato lui l’inventore del sampling, ovvero il campionamentodei suoni, con il brano Boat Women Song dal leggendario eseminale album Canaxis, del 1968 (!), composto con Rolf Dam-mers. In questo caso si tratta di un brano di ben 17:28, in cuile tastiere sono dei due tedeschi mentre le voci sono attribui-te a “due cantanti tradizionali sconosciute dal Vietnam”. Ap-propriazione di materiale apparentemente trovato per caso.

Lo stesso avviene coi suoni, nuovi e inediti. Un altro mem-bro dei Can, il chitarrista Michael Karoli, cominciò a usareun suono di chitarra piuttosto pulito e inedito in Occidente,almeno per chi non avesse mai ascoltato musica africana mo-derna. Fatto è che la moglie di Karoli, Shirley, era per metàkeniana ed egli stesso aveva trascorso un bel po‘ di tempo inKenya apprendendo il suono pulito della chitarra africana.Ma questo suono – e lo stile che ne era nato – aveva avutoorigine in Congo, quando i colonialisti belgi avevano vietatol’uso dello strumento chiamato M’bira (definito anche Sansao Kalimba) perché era stato usato per accompagnare le canzo-ni che protestavano contro il dominio coloniale. Naturalmen-te i musicisti avevano subito trovato altri mezzi per continua-re a suonare quello che volevano, e uno di questi era la chi-tarra non distorta, che riusciva in qualche modo a riprodur-re suono e stile della M’bira... le onde sonore non si riescono afermare, sono come i virus trasportati dagli uccelli migratori.

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LE INSOLITE NOTE

Ora, per continuare con il paragone, se questi virus mu-sicali avessero determinato delle mutazioni negli organismicolpiti, nulla quaestio. Saremmo di fronte a un fenomeno na-turale e in qualche maniera inevitabile, e talvolta anche estre-mamente positivo perché determinerebbe un arricchimentodella biodiversità in campo musicale. Di fatto però le cosenon sono andate esattamente così, specie se andiamo a esa-minare l’album più significativo di tutti i maledetti anni ‘80,che forma l’oggetto di questo articolo.

Già nel suo titolo, copiato impunemente da quello di unromanzo del premio Nobel nigeriano Amos Tutuola (non mirisulta che qualcuno abbia protestato per l’appropriazione),l’album My Life in the Bush of Ghosts mostra in pieno l’attitu-dine all’utilizzo artistico degli objets trouvés in campo musica-le. In altri termini la mia tesi è questa: David Byrne e BrianEno hanno costruito tutti i brani di questo album come al-trettante macchine celibi. E le emozioni che scaturiscono daibrani stessi non hanno alcuna reale connessione con i signi-ficati veicolati da tutte le sorgenti sonore campionate. Si pren-dano a esempio alcune tracce che a me, personalmente, suo-nano come satire, per nulla velate: lo slogan patriottico e ab-bastanza militarista America Is Waiting suona come il manife-sto negativo proprio del patriottismo e del militarismo – an-che se ironicamente provvisto di una fantastica sezione rit-mica, una pista da ballo per sciamani. Il trucco di Help MeSomebody è quello di trasformare un predicatore evangelico eradicale bianco nella sua nemesi, un cantante nero di rhythmand blues. The Jezebel Spirit, che ha di nuovo come protago-nista un predicatore evangelista folle, oggigiorno è assimila-bile a una delle tante telefonate fatte per gioco a un utenteinconsapevole in una qualsiasi trasmissione radio o televisi-va. Di fatto, prima di trovare un significato profondo ai suo-ni e alle voci campionate, avremmo bisogno di ricontestua-lizzarle, rimetterle cioè dentro il contesto socio-culturale dacui esse provengono. Nel modo in cui ci vengono proposte,invece, ci spiazzano sempre e comunque e – per somma iro-nia – esse sono dentro un contenitore che non è tale: di fattonessuno dei brani è una vera e propria canzone. Avendoleestratte dal proprio contesto (una tipica operazione postmo-derna e situazionista), discorsi e parole anonime possono ave-re nuova vita come un metatesto ante litteram, e contempo-raneamente rimandano alla loro esistenza come frammenti

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BRIAN ENO + DAVID BYRNE

sonori sparsi nell’etere, destinati ad avere mille possibili esi-stenze in relazione alle mille possibili orecchie che li captanonel loro flottare infinito.

Tutti gli anni ‘80 sono stati governati da molte paure, al-cune esplicite altre più nascoste. Una di queste è stata la pos-sibile perdita di senso della propria cultura, una volta messain marcia l’esplosione della comunicazione che sarebbe defi-nitivamente deflagrata all’alba della nascita di Internet diecianni dopo. Sotto sotto potete vedere tutto l’album come unasorta di esorcismo al contrario, cioè come una dichiarazionedi apertura e non di chiusura verso mille mondi possibili. Og-gigiorno non esiste quasi più l’ignoto geografico e per certiversi anche quello etnografico ed etno-musicologico. E ci sia-mo via via venuti abituando a ogni tipo di appropriazioneetnografica completamente decontestualizzata: un buon esem-pio sono i tatuaggi ‘tribali’ che ricoprono l’epidermide di de-cine di migliaia di occidentali, completamente slegati daogni realtà religiosa spirituale e culturale originaria per di-venire puro segno grafico ‘esotico’. Un quarto di secolo fa,con un pianeta più piccolo e arroccato sulle proprie identità,con gli scudi spaziali pronti a ripararci, un’azione come quelladi questo album si ricopriva di valenze enormi. L’ignoto èportato in casa, e il vostro piatto musicale di oggi può preve-dere – anche se lo ascoltate dal vostro tinello di CiniselloBalsamo – un sermone country della Louisiana in salsa dasavana nella già citata Help Me Somebody, un gruppo gospeldelle stesse zone con Moonlight in Glory, che vira verso unasorta di cajun mutante, in parallelo alle spinte da brivido diqualche voodoo palustre di Come with Us. Chiediamoci: do-v’è il significato profondo del canto libanese del nord di Du-nya Yusin – in Regiment, marcia ipnotica da quasi zombi me-diorientale sparato nello spazio –; dov’è quello dell’altrettan-to sbalorditiva sospensione oltre lo spazio e il tempo che èThe Carrier, e infine dove il senso nella melopea egiziana diSamira Tawfik, perso tra le dune infinite di A Secret Life? Di-stinguiamo ancora un politico incalzato e messo al muro nelrimbalzare frenetico di domande, punteggiato da una casca-ta di percussioni, nella lugubre Mea Culpa, ma qual è il sensodi tale espressione linguistica se non possiamo vedere il con-testo televisivo in cui il dialogo si manifesta?

Sorge dunque legittimamente il sospetto che l’ingenuitàda serendipity talvolta sbandierata da Eno e Byrne abbia in-

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LE INSOLITE NOTE

vece dietro uno studio consapevole e lucidissimo sul dove eil quando. E lo zoccolo duro dell’operazione, che abbatte dicolpo qualunque problematica di copyright (la linea melodi-ca dei brani non è tale da costituire una canzone), viene in-vece da individuarlo in ciò che non fu possibile portare subi-to a compimento, cioè la naturale evoluzione dell’album Re-main in Light dei Talking Heads (1), uno degli snodi fonda-mentali dell’evoluzione sonora del rock in tutta la sua esi-stenza.

Già in questo album un orecchio attento poteva cogliereimmediatamente un’operazione di stratificazione ritmica dimarca africana con le sonorità più nuove dell’elettronica, me-scolate al chitarrismo ipnotico africano di musicisti come KingSunny Adé: il tutto frullato debitamente in salsa funk. Comeosserva giustamente Scaruffi: “[...] c’è molto più che una sem-plice revisione di Remain in Light. Mentre [questo] era ancoraintrattenimento, Bush of Ghosts è filosofia. Questo non è unalbum di musica, è una tesi universitaria sul ritmo. Il cre-scendo minimalista di Jezebel Spirit compendia In C di TerryRiley e Music for Mallet Instruments di Steve Reich. Attraver-so reiterati riffs sincopati e libere percussioni poliritmiche inun fitto mix di eventi sonici, America Is Waiting decostruiscel’edonismo funk. In Mea Culpa, un fuoco di fila di mantra eun delirio di percussioni africane mantengono la chitarra di-stante e irreale. Help Me Somebody stende un sermone gospelsu di un funk tribale ed effetti da giungla. Il campionamentovocale è modulato e ripetuto per far scaturire una qualitàmusicale dalla dizione enfatica. Allo stesso tempo, quella diEno e di Byrne è una musica di destabilizzazione: i suoni or-dinari perdono il loro significato e hanno bisogno di trovarenuovi ruoli. La musica del ‘quarto mondo’ di Jon Hassellsprizza fuori da tutti i pezzi, ma mai così apertamente comein A Secret Life, dove la sua sognante ed evocativa tromba vie-ne rimpiazzata da una voce campionata. Byrne e Eno s’av-venturano persino oltre le loro premesse con Come with Us,un pastiche astratto di battiti, distorsioni e riverberi, e conMountain of Needles, la funerea conclusione dell’album” (2).

La riedizione dell’album nel marzo 2006 ha portato consé alcune novità. La prima è nel numero di brani aggiunti,

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_______________________________________________________________________________1) Cfr. Augusto Q. Bruni, Talking Heads: l’antidoto ai mitici anni ‘80.Remain in light, Paginauno n. 19/20102) http://www.scaruffi.com/vol4/talking.html

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BRIAN ENO + DAVID BYRNE

che non si distaccano dai precedenti per novità sonore o lin-guistiche. La seconda e più importante è il fatto che l’etichet-ta Nonesuch ha lanciato un sito internet destinato alla prati-ca ormai affermata del ‘remix’: http://www.bush-of-ghosts.com/dove chiunque può scaricare versioni multi-traccia di duecanzoni dell’album, caricarle in un programma di editing qual-sivoglia e farne, letteralmente, ciò che più gli aggrada sottolicenza Creative Commons. All’apparenza potrebbe sembra-re l’ennesimo sito per aspiranti remixer, una categoria ora-mai inflazionata (l’ha fatto anche Bjork, e il suo tablista Tal-vin Singh vi mette a disposizione alcuni dei suoi molteplicitala da remixare). Ma potrei sbagliarmi; non ho provato apresentare il mio mash-up di Qu’ran e – mettiamo – Piemon-tesina Bella. Ciò che conta è che sia stata messa una bella pie-tra da fondamenta per le licenze Creative Commons, Web 2.0e nuove uscite discografiche.

Consegnando le loro multi-traccia, Byrne e Eno fanno an-che un potente riconoscimento del limite intrinseco che ebbee ancora ha l’album in oggetto. È un fatto essenziale ma realedel nostro tempo che il campionamento sia un’arma a doppiotaglio. Negli anni ‘80 ci furono polemiche velenose e terzo-mondiste che diffamarono Byrne e Eno, facendone né più némeno dei bianchi colonialisti che si appropriavano delle cul-ture del Terzo Mondo senza mettere fuori una lira. Ora ilmondo può restituire il favore: chiunque può strappare bran-delli di questo lavoro e utilizzarli in qualsiasi modo a suopiacimento, e si può scommettere che se un ragazzino nelTerzo Mondo invia un remix micidiale per un blogger furbo,questi lo farà viaggiare più velocemente e più efficacementedi questa ristampa 2006 patinata. Byrne e Eno contavano suuna certa quantità di serendipity nella loro operazione; oggi,possono testimoniare la serendipità di ciò che accade al rit-mo assassino delle loro tracce, sia quelle che hanno regalatosia quelle di cui comunque la gente vorrà appropriarsi. E ilmessaggio più forte che potevano inviare non è solo che han-no ceduto il controllo sul loro materiale, ma che ammettonogià di averlo perso, che lo vogliano o no.

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ZONA FRANCA di Andrea Cocci

Seguiti da una telecamera che defi-nire invisibile è riduttivamente rim-picciolente, cammineremo e corre-remo e sfrecceremo in motorino perle strade dei quartieri spagnoli diNapoli assieme a una banda di bam-bini/adultifattiefinìti. Alla ricerca divecchi alberi di Natale. Percorrere-mo chilometri facendo strisciare queipoveri abeti fino al posto segreto. E

via daccapo. Perché fanno tutto ciò?Ho trovato Il segreto in biblioteca.L’ho noleggiato de’ panza, senzanemmeno leggere di cosa trattasse.Comincio a vederlo e... sì, vabbè: do’va a parare? Sarà forse l’ennesimodocumentario neo-neo-realista postiperrealista sulle disagiatissime con-dizioni del Sud? E io lì, aspettavo,aspettavo. E i bambini correvano,camminavano. D’un tratto compren-do inconsciamente qualcosa d’irra-zionale e inspiegabile, decido di stac-care il cervello critico e i lati dellabocca si distendono in un sorriso damento a fronte. E sono felice. Hovissuto una Esperienza; non tutte leesperienze debbono necessariamen-te avere un ‘significato sociale’. So-no stato felice di trascorrere del tem-po in compagnia di questi ragazzinidavvero, davvero, davvero connessialle proprie radici. Radici radicatenei secoli dei secoli. E l’ignoranza,la sporcizia, il disagio, passano indodicesimo piano. Esperienziale!

IL SEGRETOregia di Cyop e Kaf, 2013

Una vecchia star di blockbuster ten-ta di riscattare la carriera scrivendo,producendo, girando e interpretandoCarver a teatro. Ed eccoti la canoni-ca spirale di imprevisti a catena... an-che se, talvolta, gli imprevisti pos-sono tramutarsi in occasioni vantag-giose. Da poveraccio deriso dalla cri-tica a ‘leggenda dell’innovazione’ ilpasso è breve, in queste liete ore digente che parla e si muove freneti-camente, seguita da una m.d.p. chenon stacca mai, inducendo noi spet-tatori a chiederci ma come c... hanfatto? Troupe e attori stellari. C’è tut-to quel che serve a far gridare alle-luia anche agli atei. Ma ciò che mifa consigliare Birdman è che (secon-do me) segna un punto di svolta nel-la storia dell’evoluzione del linguag-gio; se altri avevano solo tentato dishiftare un vecchio paradigma, cioèda avant-pop a post avant-pop (vie-ne in mente Be kind rewind), Iñárri-tu c’è riuscitu. Abbiamo Michael Kea-

ton, vecchia star di Hollywood dive-nuta tale con Batman, che interpretauna vecchia star che interpretavaBirdman. Abbiamo Edward ‘TylerDurden’ Norton che interpreta l’uo-mo senza nome di Fight Club chesul palco diventa il suo alter ego, cioèTyler Durden. Entrando e uscendodi scena, pur rimanendo sempre nel-l’edificio del teatro. E molto più. Dauscir di testa.

BIRDMANregia di Alejandro González Iñárritu2014

Riadattamento televisivo del roman-zo di oltre 1.000 pagine che varòtrionfalmente gli anni ’90. (Tolto che)lo riguardo almeno un paio di voltel’anno (è troppo, troppo bello e nonmi stanca mai), porto IT alla Vs. at-tenzione perché fu un miracolo. Ri-cordate i pietosi film tv che manda-vano in onda alle ventietrenta... sssucanale5, infarciti di strumentale buo-nismo seda coscienza per il popoli-no medio? IT è una delle poche ope-

re, appartenenti alla categoria, che aquei cliché alzava il dito medio. C’èdi più: non posso sbilanciarmi conoggi il cinema è morto ma... quantevolte andate al cinema? E dieci annifa? E venti? Sopratutto: con quantoentusiasmo? Il sottoscritto non va alcinema dal 2004; parla uno che ciandava due, tre volte a settimana.Perché c’era roba che meritava dav-vero. Come già detto in precedenza,le serie tv sono diventate il nuovoCinema (si guardi True Detective), i‘film da cinema’ sono quasi tutti so-lo entertainment. IT, coi suoi 25 an-ni più che ben portati, all’epoca co-me oggi, è Cinema a tutti gli effetti(seppur film tv). Per l’epoca una ra-rità. E poi: guardate questi perso-naggi, questi volti: ma quanto era-vamo belli? Quanto eravamo più sin-ceri? Al di là di cinema&mica cine-ma eravamo altri esseri umani. ITserve a non dimenticare.

ITregia di Tommy Lee Wallace, 1990

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RESTITUZIONE PROSPETTICAVentotene, l'Europae il postmodernodi Giovanna Cracco

POLEMOSIl tempo di lavoroche si divora la vitaCollettivo Clash City Workers

L'INTERVENTOOccupare, resistere, produrredi Mariano Pedrengo eGigi Malabarba

(DIS)ORIENTAMENTIAfD: una Nuova destrapopulista in Germania?di Matteo Luca Andriola

DURA LEXLa riforma costituzionale:pericoli in agguatodi Giovanna Baer

INTERVISTAXitlali Miranda Mayo.Messico invisibileLos Otros Desaparecidosdi Fabrizio Lorusso

A PROPOSITO DI...Il libro nero del comunismo (italiano)di Giuseppe Ciarallo

Cinema e letteratura sul mondooperaio e i suoi dintornidi Carmine Mezzacappa

FILO-LOGICOSilenziodi Felice Bonalumi

CINEFORUMAlla ricerca dell'UomoRecensione di Lei, Spike Jonzedi Iacopo Adami

SOTTO I RI(F)LETTORIUna tragedia della Gilded AgeRecensione de La Casa della gioia,Edith Whartondi Sabrina Campolongo

LE INSOLITE NOTEBrian Eno + David ByrneMy Life in the Bush of Ghostsdi Augusto Q. Bruni

8,00 euro

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