ANNO LXIX - Giuseppe Allamano...sottofondo musicale e, spesso, anche da un coro. Il “rap”,...

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Inserto redazionale M.C., settembre 2008

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    2008

  • IInn ccooppeerr ttiinnaa - Busto del Beato Giuseppe Allamano, opera di Luigi Calderini.

    EDITORIALE 3

    ATTUALITÀ 4

    RICORDIPadre G. Piovano parla del Fondatore 9

    ERA COSÌ 13

    PREGHIAMO CON G. ALLAMANO 15

    SULLA SCIASr. Leonella Sgorbati 19

    DAI GIOVANI 23

    TRA SANTI 26

    RICORDO 29

    RICONOSCENZA 30

    RREEDDAAZZIIOONNEE ee PPOOSSTTUULLAAZZIIOONNEEIstituto Missioni ConsolataViale delle Mura Aurelie, 11-1300165 ROMATel. 06/393821Fax 06/3938.2255E-mail: [email protected]

    REDATTOREP. FRANCESCO PAVESE

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    GRAFICAP. SERGIO FRASSETTO

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    Cari amici lettori,ottobre, mese missionario, ci dà ancora

    l’opportunità di ringraziare il Signore deldono della vocazione missionaria cheabbiamo ricevuto.

    Il beato Allamano, parlando della voca-zione, va diretto al nocciolo: «Dio da tuttal’eternità ha pensato a voi. Non avevatealcun merito, eppure Egli vi ha amati. “Tiho amato di amore eterno” (Ger 31,3). Hoamato te, proprio te e non un altro o un’al-tra» (Così vi voglio, p. 57). Lui stesso, cele-brando il suo 50° anniversario di messa,insisteva sulla riconoscenza a Dio: «Vi sodire che stamattina nella meditazione (...)mi sentivo vivamente riconoscente alSignore per la vocazione che mi ha dato»(Conf. III, p. 233).

    “Corrispondere” alla vocazione è obbe-dire alla Parola di Dio, come hanno fatto iprofeti, gli apostoli e tanti santi e sante finoad oggi. Come loro anche noi, forse incertie timorosi, abbiamo seguito Gesù, e alladomanda “che cercate?” (Gv 1,38), abbia-mo risposto di voler trovare Lui, il Suovolto (cf. Sl 26,8).

    Per farlo sono necessari atteggiamenti diascolto e di obbedienza filiale. L’obbedienzapropria di chi crede è l’adesione alla Parolacon la quale Dio rivela e comunica se stes-so e attraverso la quale rinnova ogni giornola sua alleanza d’amore.

    Se il Signore ci ha chiamato alla missio-ne per predicare il Vangelo, facciamolo contutto noi stessi, con un amore intenso e

    ardente come Gesù. Così voleva il nostrobeato Allamano. Se corrispondiamo allachiamata non facciamo un favore o un attodi degnazione verso Dio. È Lui piuttostoche fa un grande dono a noi.

    La vocazione missionaria non è unanostra costruzione umana, ma un dono chericeviamo come uno spirito o un’energiache va al di là dei nostri progetti e dellenostre capacità. Il dono non dispensa dallosforzo personale. La vita è un regalo di Dioeppure è sempre un compito da svolgere.

    Così la missione non è un compito chesi concluda con il battesimo dell’ultimo noncredente. La missione è annuncio e testimo-nianza di vita vera, in un mondo attraversa-to da realtà di conflitti e miserie, di violen-za e morte. Solo la gratuità dell’amore puòvincere il non senso di queste realtà.L’amore che porta a donarsi completamenteai fratelli è l’asse discriminante che portaalla costruzione di una società nuova

    Carissimi, anche quanto facciamo inmissione, qui o lì, in un modo o nell’altro,è dono di Dio, e non il risultato dei nostrimeriti. Per questo diciamo che la gratitudi-ne è la miglior garanzia per la continuitàdella storia della salvezza. Dalla riconoscen-za nasce la possibilità di un mondo nuovoper tutti.

    Grazie perché siete con noi in Missione.Auguro a tutti/e un fruttuoso mese mis-

    sionario.P. Aquiléo Fiorentini, IMC

    Padre Generale

    Letteradel SuperioreGenerale

    EDITORIALE

    Ognuno ha il proprio dono da Dio (cf. 1Cor 7,7).

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    Dal 25 al 27 aprile ha avuto luogo il“Consolata Happening”, ovvero il tradizio-nale convegno giovanile aperto a tutti i gio-vani e “quasi” giovani che frequentano lecase e i Centri di Animazione dei Missionaridella Consolata in Italia.

    Centotrenta giovani si sono dati appun-tamento nella Casa Madre di CorsoFerrucci, Torino, e per due giorni pienihanno dato un'impronta giovanile a questiambienti. Tema dell’incontro: “Amico per lamissione”. Lo scopo prefisso era quello diriflettere sulla relazione d'amicizia fra gio-vani e missione. La missione continua achiamare e cerca nuovi amici, personecapaci di donare la vita “ad gentes”. Nellostesso tempo si voleva celebrare il 50° com-pleanno della rivista AMICO, strumentodell'animazione e per l'animazione missio-naria.

    Il programma è stato denso e ha impe-gnato non poco i partecipanti. A noi fa pia-cere constatare che, durante l’incontro,questi giovani hanno ripetutamente ricor-dato l’Allamano, che anche per loro è il“padre” da cui prendere ispirazione e inco-raggiamento.

    In particolare, la serata di sabato ha vistodue interessanti manifestazioni incentratesull’Allamano. I ragazzi di Nervesa dellaBattaglia e Vittorio Veneto (TV) hanno pre-sentato il loro recital, “Due passi di speran-za”, ispirato all'opera di due grandi santipiemontesi e compaesani, originari diCastelnuovo: san Giovanni Bosco e, ovvia-mente, il beato Giuseppe Allamano. Lefigure dei due protagonisti sono emersemolto bene e hanno catturato l’attenzionedegli spettatori. L’originalità di questo reci-tal, però, è consistita soprattutto nel fatto

    ATTUALITÀ

    CONVEGNO MISSIONARIOGIOVANILE

    I giovani di Nervesa e Vittorio Veneto durante il recital: “Due passi di speranza”.

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    ATTUALITÀche don Bosco e l’Allamano si sono presen-tati quasi come coetanei, dandosi del “tu”,confrontandosi e collaborando nei loro pro-getti apostolici. Nella realtà, però, donBosco era molto più anziano dell’Allamanoed è stato suo educatore durante quattroanni all’oratorio di Valdocco. Ma per gliideatori del recital è sembrato più caratteri-stico presentare due sacerdoti coetanei eamici. Comunque sia, non c’è dubbio chedon Bosco e l’Allamano si siano conosciuti,aiutati e apprezzati. Canti, musica e danzehanno reso molto piacevole la rappresenta-zione. Questi giovani meritano un sincero ecaloroso plauso e il loro recital merita diessere visto.

    Originale anche il “rap”, centrato sem-pre sulla figura dell’Allamano, messo inscena dal gruppo dei giovani di Torino. Il“rap” che letteralmente significa “chiacchie-ra”, è uno stile musicale molto particolare,

    sorto negli Stati Uniti negli anni ’70, ed oggidiffuso in tutto il mondo, sia pure in moda-lità diverse. Ai giovani piace molto.Consiste in una declamazione di versi,scanditi in forma ritmica da uno o più soli-sti chiamati “rapper’s”, accompagnati da unsottofondo musicale e, spesso, anche da uncoro.

    Il “rap”, presentato dal gruppo diTorino, è stato scritto e interpretato daDiego Agüilar, il quale ha saputo cogliereegregiamente i punti principali della perso-nalità dell’Allamano. Il coro è stato direttoda Cristina, sua moglie. Sono entrambi“Laici Missionari della Consolata - LMC”.

    Per ragione di spazio non è possibileriportare le dieci strofe del “rap”.Nell’imbarazzo della scelta, tuttavia, pensia-mo di far piacere ai nostri amici offrendonealcune.

    RAP SUL FONDATORE

    “SONO GIUSEPPE ALLAMANO”«Sono il canonico Giuseppe Allamano,uomo piemontese e prete diocesanoassistente in seminario e poi rettore al Santuarioe ancora fondatore d’un Istituto missionario.Ecco dieci consigli,piccole frasi che ho lasciato ai miei figli, se buoni missionari voi volete diventaresedetevi in silenzio, e state ad ascoltare.

    Uno. Elevatevi al di sopra delle idee ristrette,strette prospettive che predominano l’ambiente,parlate poco e ragionate

    con la vostra mente,e non pensate tutto quel che pensa la gente.Come Maria si alzò e andò da sua sorella,e il paralitico si alzò dalla barella,alzatevi e guardate un po’ più in là del vostro naso!Le cose che succedono, non succedono per caso.

    Ritornello.Fino agli estremi confini, la Consolata “ad gentes” vi porterà!Fino agli estremi confini, di questa terra e della vostra città!Vi voglio così, vi voglio così…

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    Tre. La mansuetudine è la strada su cui camminarese piano piano il mondo voi volete trasformare.Mansuetudine è il contrario di prepotenza,di arroganza, intolleranza e di violenza.Il mio Istituto ad una casa rassomiglia,siate fratelli come dentro una famiglia,in cui la Consolata è come fosse vostra madree in cui, se lo volete, io sono vostro padre.

    Cinque. Vi voglio molto forti, virili, con coraggio,con energia dovete dare il messaggio.Ci ha inviati come agnelli in mezzo ai lupi,semplici come colombe, come i serpenti astuti,fino agli estremi confini della terra,sempre con la pace e mai con la guerra,a portare Cristo “ad gentes”, pronti a predicarloe se non ci credete, chiedetelo a san Paolo.

    Sette. Bene, bene, fare il bene, fatelo per bene,senza rumore il bene fatelo insieme.Se volete fare il bene fatelo per bene,senza clamore il bene fatelo assieme.Nei vostri gesti non ci sia pressappochismo,né tantomeno smania di protagonismo.Fa bene il bene una persona umile e dimessa,e se non ci credete, chiedete al Camisassa.

    Nove. Dio da noi si aspetta l’evangelizzazionee non che portiamo tutti alla conversione.Noi con l’annuncio e con la testimonianza,dobbiamo dar ragione della nostra speranza.Se la missione inizia con la partenza,si realizza solo con la presenzafatta di consolazione e senza tante parolee se non ci credete, chiedetelo a Foucault.

    Dieci. Tutto quel che ho detto

    ATTUALITÀ

    Il gruppo di Torino mentre esegue il“Consolata rap”.Di spalle, in camicia bianca: Diego Agüilar, il solista.

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    ATTUALITÀdall’inizio fin’adessose non l’avessi detto sarebbe lo stesso.Senza quest’ultimo comandamento,la nostra missione non avrebbe fondamento.Prima santi, poi missionari,prima santi, poi missionari.Tutti quanti posson esser santi, anche voi ed io.E se non ci credete, chiedetelo a mio zio[S. G. Cafasso].

    Ritornello.Fino agli estremi confini, la Consolata “ad gentes” vi porterà!Fino agli estremi confini,

    di questa terra e della vostra città!Vi voglio così, vi voglio così…

    Io sono il beato Giuseppe Allamano,se mi farete santo mi sentirò un po’ strano,vi ho dato questi semplici suggerimentima - per cortesia - non sono comandamenti.Non mi resta che augurarvi buon cammino,sempre nello spirito consolatino,e per farvi questo augurio utilizzo un’espressioneche ho scritto mille volte ai missionari giù in missione:Avanti in Domino!

    Il 20 giugno 2008, i Missionari e leMissionarie della Consolata, che sono inBrasile, hanno avuto la gioia di ricevere unacopia del volume “Così vi voglio” tradottonella loro lingua. Come i lettori sanno, que-sto volume contiene una sintesi della spiri-tualità e pedagogia missionaria del nostroFondatore, il beato Giuseppe Allamano.Esso ha avuto un buon gra-dimento, in Italia, soprattut-to dai nostri giovani e anchedai laici che ci conoscono.Veramente anche noi missio-nari più anziani ritroviamo laparola genuina del nostroPadre in queste pagine e ci fapiacere risentirla. È un riccomateriale da meditare senzafretta. Il più anziano Missio-nario della Consolata ancorain attività, p. Giuseppe Caf-faratto, così scriveva al Po-stulatore Generale dell’Isti-tuto: «Sono il vecchio Padreche ha compiuto quest’anno

    il 70° anniversario di ordinazione sacerdo-tale. Nel mese di agosto, trovandomi alpaese natio per celebrare con i compaesanila festa, ho fatto un po’ di ritiro e mi sonoservito del volume “Così vi voglio”. Libroottimo sotto ogni aspetto».

    La traduzione brasiliana del volume èstata fatta dal nostro confra-tello p. Jordão MariaPessatti, al quale vanno inostri complimenti. Il titolooriginale italiano è statomodificato, con questa moti-vazione data dal traduttorestesso: «Per una migliorecomprensione dei temi trat-tati in quest’opera, crediamoopportuno tradurre il titolo“Così vi voglio - Spiritualitàe pedagogia missionaria” in“Discípulos em missão - Uncamino de espiritualidade”(Discepoli in missione - Uncammino di spiritualità)».

    TRADOTTO IN BRASILIANO

  • Una Laica Missionaria della Consolata diMachagai (Argentina), sig.na MarcelaCabral, ha immaginato l’Allamano in unasituazione particolare e lo ha disegnato acarboncino inserendolo in alcuni simboli,che per lei sono caratteristici, dando all’in-sieme un interessante significato missiona-rio. Ecco nel dettaglio:

    L’albero rappresenta la missione. È un“jacaranda”, albero tipico della regione dellitorale argentino, molto grande, con deifiori bellissimi di colore lilla chiaro, che

    sbocciano ogni sette anni. Il “jacaranda” habisogno di molto tempo per crescere e ifiori sono ammirati abitualmente dallegenerazioni che non l’anno seminato. È cosìper la missione: sono necessari anni e anniper vederne i frutti, che non sempre peròsono colti da chi ha faticato.

    Il mondo è la meta di ogni missionario,che riceve una vocazione in favore di tuttele nazioni e così farsi radice del Vangelo fracoloro ai quali è mandato. Il mondo, ovun-que ci sia un uomo o una donna, diventa il“luogo” della missione nel quale ogni mis-sionario si trova come a casa propria.

    L’Allamano è il “datore” dello spiritomissionario. È il sicuro anello di congiun-zione con l’ispirazione originaria ricevuta,come dono gratuito, dallo Spirito Santo. Èil Padre, il punto di riferimento, la guidaspirituale dei missionari, missionarie e laicidella Consolata. È lui che trasmette lo spiri-to conforme al “carisma” e che, a nome diCristo e della Chiesa, manda oggi ancora isuoi figli e figlie ad evangelizzare. Seguire lospirito dell’Allamano è una garanzia diautenticità.

    L’Eucaristia è il principio e la finalità ditutta la vita e l’azione missionaria: attraver-so l’offerta dell’Agnello immolato, è laredenzione per l’umanità che vive oggi; conla distribuzione del “Pane di vita”, è il ciboche sostenta chiunque entra nella Chiesa;con la presenza nel “Tabernacolo vivo” è l’a-mico che accompagna e incoraggia.L’eucaristia, nella convinzione dell’Allama-no, è il nucleo centrale della “spiritualitàconsolatina”, il centro della spiritualità mis-sionaria.

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    ATTUALITÀ

    UN DISEGNO SIMBOLICOL’ALLAMANO - L’ALBERO - IL MONDO - L’EUCARISTIA

  • Riconoscente e commosso. «Un anno,nell’anniversario della sua nascita, parlandodi essa, il Padre Fondatore, dopo avere resograzie a Dio, ci disse tante cose soavi sullanostra filiazione divina, ed era commosso.Mi colpirono queste parole che riferiva a sestesso: “Iddio da tutta l’eternità pensò a mecon amore”. Nel pronunciare queste parolesi sentiva che la commozione più tenera efiliale aveva fatto presa sul suo cuore pienodi riconoscenza per Dio».

    Cuore paterno. «Ricordo che quandopartirono per le missioni i padri Maletto,Calandri e Albertone, questi, a nome deiconfratelli parlò a noi, radunati attorno alPadre, che avevamo letto alcuni indirizzi diaugurio per il loro apostolato. Si era appenaterminata la funzione della partenza con laconsegna dei Crocifissi.

    Il padre Albertone disse che era conten-tissimo di partire, ma che gli rincresceva dilasciare due cose a Torino: la venerata effi-gie della SS. Vergine, nel Santuario, e ilvenerato Padre, che, data la inoltrata età,egli non avrebbe più rivisto su questa terra.

    Gli accenti di p. Albertone toccarono tal-mente il cuore del Padre, che piegando ilcapo, si faceva violenza per non lasciarscorgere il suo stato d’animo; ma non potéimpedire che alcune lacrime gli uscisserodagli occhi, cadendogli sulla mantellina».

    Pregare per tutti. «Il Padre Fondatorepregava non solo per quelli per i qualidoveva pregare, che si raccomandavano allesue preghiere. Pregava, e quanto, per quelliche non pregavano, e che vivevano lontanidal Signore. Credo che per lui la preghierafosse un bisogno dell’anima: era un uomodi preghiera, in tutto il senso della parola.Si sollevava a Dio e sollevava a Dio. Egliinstillava questo suo spirito nei figli, e vole-va che si pregasse per tutti, non limitando-ci a questo o a quello: “pregate per il pros-simo - ci ripeteva - non pensate che vadasprecata la preghiera che fate per il prossi-mo”».

    Legare le mani a Dio. «Per avvalorare laconfidenza che il Padre aveva nella preghie-ra, attesto che era sua questa frase: “Chi sa

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    RICORDI

    RICORDI DI UN FIGLIOP. GIOVANNI PIOVANO PARLA DEL FONDATORE

    P. Giovanni Piovano (1902 – 1984), nato a Cambiano (Torino), fu accolto nell’Istituto dalFondatore nel 1919. Ordinato sacerdote nel 1925, svolse tante attività nelle comunità in Italia.Fu Segretario Generale per 30 anni, dal 1939 al 1969. Uomo dalla memoria ferrea e dal cuoregrande. Esperto cultore di scienze naturali, soprattutto di botanica e di studi ecclesiastici, in par-ticolare di Diritto Canonico, di cui fu docente nel seminario teologico dell’Istituto. Fu collabora-tore di molte riviste scientifiche. Ricevette diversi incarichi e onorificenze da parte di Società,Associazioni e Commissioni italiane e internazionali. Testimoniò il Vangelo con la cultura e conla bontà del cuore sparsa a piene mani. Lasciò una lunga serie di vivaci ricordi sul Fondatore. Tradi essi, ne presentiamo alcuni, scelti tra quelli più curiosi e che presentano momenti semplici ebelli della vita del Fondatore.

  • pregare bene lega le mani a Dio”. Questafrase, anche se l’avesse desunta da qualchepio autore, la faceva sua dal modo con cuila pronunciava, facendoci capire che egli sene serviva».

    Nessun rimorso. «Parole delFondatore: “Dopo 50 anni di Messa, sonocontento. Ho nessun rimorso (regret) d’a-verla detta male, e questo non lo dico persuperbia, perché questa sarebbe santasuperbia. Le cerimonie le ho sempre com-piute bene e, se per caso me ne sfuggisseuna, me ne accorgerei. E questo mi conso-la. Ho tante miserie, ma la Messa ho semprecercato di dirla bene. Prima impiegavo 27minuti, ora ne impiego 20-30, e nella genu-flessione voglio andare fino a terra, proprio

    come faceva S. Alfonso. La prima genufles-sione mi costa, perché sento che le gambesono dure, poi le altre mi riescono più facil-mente”».

    Paternità spirituale. «Al Padre Fon-datore piaceva tanto quello che si legge inGiobbe, quando pregava per la sua famigliae per essa faceva i suoi sacrifici a Dio e peressa espiava. Questo, secondo lui, era ilprogramma di un responsabile: dal mattinoalla sera pregare e supplicare il Signore peri suoi figli, e domandare ogni sera perdonoper essi, caso mai l’avessero offeso, perristabilire subito la pace nella famiglia.Questa era la sua ultima preghiera per i suoifigli e per le sue figlie, e che chiudeva colmandare loro la sua benedizione».

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    RICORDI

    Un gruppo di missionari accanto al sarcofago del beato Allamano. Il primo a destra è p. G. Piovano.

  • Sacra Scrittura. «Un giorno il Padre midiceva che sentendo leggere i viaggi diLivingstone era stato colpito dal fatto cheegli ogni giorno leggeva e meditava la SacraScrittura, e mai ne aveva trascurata la lettu-ra durante i suoi lunghissimi viaggi. Se quelmissionario protestante trovava la sua con-solazione nel leggere la Sacra Scrittura, checosa non dobbiamo fare noi che abbiamoquesti libri proprio per nostra edificazione eper nostra consolazione?».

    Regali importanti. «Ricordo che ilPadre aveva regalato un Breviario al sacer-dote Domenico Ponzo, e da questi seppiche ne aveva regalato altri a diversi sacerdo-ti. Ricordo pure che distribuiva ai seminari-sti e ai sacerdoti non poche copie del-l’Imitazione di Cristo; però non distribuìmai ad alcuno la copia che aveva da semi-narista, copia che ancora possedeva nel1924 e che teneva a portata di mano sul suotavolino. Il Padre aveva fatto un compendiodell’Imitazione di Cristo durante il tempoin cui era addetto alla direzione del semina-rio, mettendovi quanto maggiormente lointeressava. Egli se ne serviva ogni giorno,come ci diceva, e nell’inverno del 1923 loaveva presso di sé nel Santuario dellaConsolata, e lo teneva ancora».

    Fortezza d’animo. «Il dono della fortez-za mi pare che fosse ben radicato nell’animadel Padre Fondatore. Il pensiero della mortegli era sempre presente, e non lo spaventa-va. Il Padre considerava la morte non tantocome “stipendio del peccato”, ma come unmezzo a sua disposizione per poter pagarela ribellione del peccato per sé e per gli altri,come il mezzo che gli avrebbe spalancato ilParadiso, ponendolo faccia a faccia con Dio,che quaggiù contemplava per mezzo dellafede. Egli non aveva paura di morireimprovvisamente, anzi viveva in modo tale

    da dimostrare che il Signore era padroneassoluto di presentarsi quando meglio gra-diva. Difatti un giorno nel 1923, quandoandammo a visitarlo alla Consolata, ed eglinon si trovava bene in salute, ci dissetestualmente: “Se la morte mi cogliesseall’improvviso, spero di risvegliarmi in unposto migliore”».

    Una delicatezza. «Nell’agosto del 1919,entrato da pochi giorni nell’Istituto, mi tro-vavo al Santuario di S. Ignazio per il perio-do di ferie estive. Il Padre era venuto perfesteggiare con noi la solennità dell’Assun-zione di Maria SS. E rimase una decina digiorni. Vedevo che ogni giorno ricevevaqualcuno, una volta mi recai pure io a tro-varlo. Era verso sera ed egli si preparava peril passeggio. Mi accolse benevolmente, s’in-formò della mia vita e delle cose mie. Midiede pure alcuni consigli.

    Egli se ne stava in piedi, accanto al tavo-lino, su cui si trovavano una trentina divolumi degli esercizi spirituali del BeatoCafasso, che egli aveva fatto radunare colà,perché l’edizione era esaurita. Teneva tra lemani un bastoncino comune, intagliatonella corteccia con arte montanara. Vistoche tenevo gli occhi fissi sul bastoncino, minarrò che ogni volta che andava a passeggioper il monte, doveva portarlo per far con-tento un vecchietto che glielo aveva donato.

    “Un giorno - mi disse - camminavolungo il sentiero e, per aiutarmi a salire,usavo un bastone che avevo trovato per via.Alla sera venne a trovarmi un vecchietto,che mi aveva visto in quel giorno salire alSantuario, e mi regalò questo bastone,dicendomi che quello che avevo usato nonera fatto per me: A l’è nen da chièl!” [non èda lei]. E così, per far contento il donatore,usciva sempre col suo bastone nel salirel’erto sentiero al Santuario».

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    RICORDI

  • Buon senso. «Durante gli esercizi spiri-tuali ai sacerdoti a S. Ignazio, il CardinalRichelmy, un anno, predicava le Istruzioni,mentre le meditazioni erano dettate da unpadre Cappuccino. Trattando il Cardinaledella brevità della predicazione, forsevolendo dare agli uditori un esempio delfastidio che recano al popolo quelle predi-che che non finiscono mai, protrasse la suaistruzione oltre il tempo fissato, in modoche il termine coincideva quasi con l’iniziodella meditazione. Il Padre Fondatore, chedirigeva gli esercizi, aveva concesso alcuniminuti agli esercitandi perché prendesseroun po’ di sollievo.

    Il predicatore, visto che il suo tempoveniva ridotto, andò a protestare, forse per-ché non si stava all’orario fissato. IlFondatore lasciò che quel Cappuccinodicesse tutto quello che doveva dire, e poigli rispose: “Bisogna bene che ci mettiamod’accordo; altrimenti come faranno gli eser-citandi ad ascoltare due prediche, una diseguito all’altra, senza prendersi un po’ disollievo!”».

    Deo gratias. «Nel 1922, avevamodomandato l’elemosina alla porta delSantuario della Consolata in favore dellemissioni; ma quella sera, a causa di unasolennità che ricorreva in quel giorno altro-ve, il Santuario non fu tanto frequentato.Ognuno aveva portato il suo ricavato alPadre, ma le borse erano assai modeste aparagone dell’anno precedente. Pensavamoche il Fondatore dimostrasse il suo disap-punto; invece, come al solito, ripeté forte“Deo gratias!”, cavandosi il berretto, nondimostrando nulla, né di essere scontento,né di godere. Poi ci disse: “Se il Signore nonli manda [i denari] per la finestra, vuol direche li manda per la porta!”.

    Difatti, mentre diceva queste cose,

    venne il domestico e recò la posta della seragiunta allora. Il Padre cominciò a svolgerla.In una lettera vi era un assegno per alcuniBattesimi; in un’altra vi erano intenzioni diSS. Messe; in un’altra dei denari. Noirestammo stupiti. Il Padre, dopo aver aper-to alcune lettere, ci ripeté quello che tantevolte diceva: che il Signore, in un modo o inun altro, deve pensare a provvederci ilnecessario».

    Fiducia nella Provvidenza. «Un anno,mi pare nell’inverno del 1921, quando eronovizio, il Ven.mo Fondatore doveva paga-re una fattura di dieci o quindici mila lire enon aveva il necessario. Si trovava presentel’economo della Casa Madre, p. G. Gallea,per ricevere l’importo, essendo urgente ilpagamento. La cassa era vuota. Il Sig.Rettore chiama l’economo e lo porta con séal Santuario della Consolata, per vedere senella cassetta delle elemosine riservate allemissioni, ci fosse qualche cosa. Entrati,dopo aver pregato presso l’altar maggiore, sirecano alla cassetta: anche questa è vuota.

    Il Fondatore, senza scomporsi, chiamal’economo con sé e lo porta nuovamenteinnanzi alla SS. Vergine, all’altar maggiore, ecolà rimane assorto brevemente in preghie-ra. Terminata (il Fondatore disse di avererecitato un’Ave Maria) si riporta deciso allacassetta visitata poco prima. L’apre e vi trovaun involto. In esso vi erano tutti i soldinecessari per pagare la fattura; nessuno inpiù e nessuno in meno.

    Il Ven. Fondatore, commentando ilfatto, ci disse che la SS. Vergine non cilascerà mai mancare il pane, se noi compi-remo il nostro dovere, e se mancherà la fari-na ci manderà il pane già fatto».

    Saper vedere il bene. «Nella vita del

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    RICORDI

  • Padre Fondatore si deve porremolta attenzione ad un puntoimportantissimo. Egli racco-mandava di frequente di stareattenti al prossimo per nonvedere che il bene. Esortava diprendere da tutti quello che tro-vavamo di buono. Da uno unadata cosa, una pratica, unavirtù; da un altro un’altra cosa.Egli praticava questo metodo, eda tutte le persone che avvicina-va sapeva trarne vantaggio per ilprofitto della sua anima, peravanzare nella virtù».

    P. Giovanni Piovano imc

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    ERA COSÌ

    P. G. Piovano durante una visita in Kenya mentre era segretario generale dell’Istituto.

    L’Allamano soleva ripetere la famosadomanda che S. Bernardo rivolgeva a sestesso: «Ad quid venisti? – Perché sei venu-to?». Per il Fondatore questo era un modopratico per mantenere i suoi giovani nelprimo fervore ed evitare che cadessero nellamonotonia della vita e perdessero la vogliadi impegnarsi.

    Concretamente, questo interrogativoveniva suggerito come medicina in diverse

    situazioni: quando si presentavano difficol-tà da superare; quando faceva capolino lanostalgia e si era presi da un velo di tristez-za; quando si affievoliva la voglia di impe-gnarsi. «Perché sei venuto?» era unadomanda che ognuno doveva porsi e allaquale dare una risposta concreta, operativa.Secondo l’Allamano, la risposta non potevaessere che questa: «per farmi santo missio-nario».

    UN CHIODO FISSO«AD QUID VENISTI?»

  • È praticamente impossibile documenta-re compiutamente come e quante voltel’Allamano abbia valorizzato questo interro-gativo come metodo pedagogico. Le volte ele situazioni in cui lo ha pronunciato sonoincalcolabili e molto differenti, dall’inizioalla fine della sua attività formativa.

    Più che ad una metodologia pedagogica,credo che questa domanda vada riferitaall’esperienza personale dell’Allamano, per-ché anche lui doveva mantenersi semprenel fervore iniziale. Ascoltiamo qualche suaespressione.

    Come criterio di vita per chi vuole esse-re missionario sul serio: «Darsi interamentealla propria santificazione: non un giornoessere fervoroso e domani per terra.Quando si è scoraggiati, domandarsi comeS. Bernardo: “Ad quid venisti?” - Perché seivenuto? Incoraggiamoci così: dopo tantisacrifici fatti, avere abbandonato tutto…».

    Come ricordo ai missionari partenti il 14febbraio 1912: «Solamente facendo voisanti e grandi santi, potrete ottenere ilsecondo fine, proprio del nostro Istituto:salvare, salvare molte anime infedeli. Voiripeterete sovente a voi medesimi “l’ad quidvenisti” di S. Bernardo. E ciò rammentereteal mattino nella meditazione e dopo la S.Comunione, e più volte al giorno, special-mente quando qualche pena vi assale; allo-ra come faceva S. Bernardo vi scuoterete eprenderete nuovo coraggio».

    Incoraggiamento ai militari congedati diritorno dalla guerra, l’8 settembre 1918:«Ed ora ritornati al caro nido dell’Istituto ènecessario che ripensiate al giorno delvostro primo ingresso, e meditiate le paroledi S. Bernardo: Ad quid venisti… Così scuo-terete la polvere degli anni passati, e diretecon tutta volontà: Nunc coepi - adesso inco-mincio. A che fine siete venuti in questacasa? Per farvi santi missionari della

    Consolata».

    Raccomandazione alle suore di ritornodalla campagna: «S. Bernardo aveva ragioned'interrogare se stesso; ogni tanto si diceva:Ad quid venisti? Perché sei entrato in questaCertosa? Sei venuto per farti santo, per farsanto te e gli altri, dunque su! - Dice chequando lo prendeva lo scoraggiamento,perché la sua era una vita piuttosto peni-tente (voi altre potrete aver malinconie edaltre cose), ebbene, in quei momenti chie-deva a se stesso: Ad quid venisti? Perché seivenuto qui dentro? Certo si rispondeva:Sono venuto per farmi santo; ed allora nonguardava più a niente altro, non badava piùall'amor proprio ecc.

    E così anche quelle che da anni ed annisono qui, non fanno nessun male ad inco-minciare di nuovo. Bisogna proprio dire:Voglio incominciare di bel nuovo, come seentrassi adesso nell'Istituto. Incominciateadesso - anche le più anziane - il Signore vidarà la grazia di incominciare di proposito.Ciascuna dica a se stessa: Io devo farmisanta».

    Sintesi del suo pensiero. Raccoman-dando ai giovani di avere sempre motiva-zioni chiare e precise, l’Allamano fa la clas-sica domanda e, a nome loro, dà la risposta:«Ad quid venisti? Non venni all'istituto per-ché qui non si paga pensione, o perchéaltrove non sarei ricevuto. Venni perchéchiamato da Dio, ed intendo di offrirmi alui perché mi formi secondo il Suo Cuore...Questa è la mia intenzione e non altre:farmi santo e santo missionario. Ecco ciòche bisogna avere davanti agli occhi dellamente tutti i giorni, tutte le ore e per quan-to è possibile tutti i momenti. Dio mi vede:la presenza di Dio resaci familiare ci aiuteràa purificare la nostra intenzione, facendoogni cosa bene per amor di Dio, dal matti-no alla levata».

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    ERA COSÌ

  • PREGHIAMO

    PAOLO, APOSTOLO DI GESÙ CRISTO

    Il 28 giugno 2007, nella basilica di S. Paolofuori le Mura in Roma, Benedetto XVI si rivolgeva ai fedelipresenti con queste parole: «Questa sera il nostro sguardo sivolge a san Paolo, le cui reliquie sono custodite con grandevenerazione in questa basilica. All’inizio della Lettera aiRomani, come abbiamo ascoltato poco fa, egli saluta lacomunità di Roma presentandosi quale “servo di CristoGesù, apostolo per vocazione” (1,1). Utilizza il termineservo, in greco “doulos”, che indica una relazione di totale eincondizionata appartenenza a Gesù, il Signore, e che tra-duce l’ebraico “ebed”, alludendo così ai grandi servi che Dioha scelto e chiamato per un’importante e specifica missione.Paolo è consapevole di essere “apostolo per vocazione”, cioènon per autocandidatura né per incarico umano, ma sol-tanto per chiamata ed elezione divina».

    Il beato Giuseppe Allamano, cent’anni prima, parlandoai suoi missionari affermava: «Amore, energia, zelo! Perquesto bisogna amare molto Nostro Signore, amarlo svisce-ratamente, come lo amò San Paolo. Non dobbiamo maidimenticare l’Apostolo delle genti. È nostro Protettore natu-rale».

    Lasciamoci accompagnare dal beato Allamano in questanostra preghiera all’Apostolo delle genti, affinché in questoanno giubilare a lui dedicato, possiamo ottenere dal Signorezelo apostolico in cui egli seppe particolarmente eccellere.

    Dalle Lettere di Paolo«Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei

    fratelli, miei consanguinei secondo la carne (Rm 9,3). «Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la perse-

    cuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tuasiamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte que-ste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persua-so che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altez-za né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in CristoGesù, nostro Signore» (Rm 8,35-39).

    «Per conto mio mi prodigherò volentieri, anzi consumerò me stesso per le vostre anime.Se io vi amo più intensamente, dovrei essere riamato di meno?» (2Cor 12,15).

    2

    Chi ciseparerà

    dall’amoredi Cristo?

    Rm 8,35

    1

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    a cura di p. Piero Trabucco

  • 16

    - Energia: «Paolo, senza nulla concedere alla carne e alsangue, mise il suo carattere ardente a disposizione diNostro Signore, per la propagazione della fede… Quantaenergia aveva!... Noi dobbiamo imitare San Paolo. Nonessere testardi, no, ma tenaci; o, se volete, avere una santatestardaggine. Coloro che sono tenaci fanno molto delbene. Dovete essere tenaci di carattere. Abbiamo bisognodi gente energica. Chi è energico si santifica… Potete farvisanti senza fare miracoli, ma non senza lavorare».

    - Amore: «Basta leggere certi versetti delle sue lettereper conoscere l’amore sviscerato che egli portava a NostroSignore. “Chi mi separerà da Nostro Signore?” andava egliripetendo… E non erano solo parole, perché difatti non siperdette di coraggio di fronte alle persecuzioni, alle flagel-lazioni, alla lapidazione, ai pericoli per terra e per mare,alle insidie dei suoi nemici. Il Signore lo fece passare pertutte le peripezie, e lui sempre fermo! E lanciava l’anate-ma a chi non avesse amato Nostro Signore!... È così che siprova l’amore: lavorare, affaticarsi, sacrificarsi per Lui;non lasciarsi separare da Lui da nessuna tentazione, danessuna prova, da nessuna difficoltà; tutto riferire a lui eniente a noi stessi. Ecco l’amore che dobbiamo chiedere aS. Paolo: amore ardente, fattivo, costante».

    - Zelo: «Basta un rapido sguardo alle sue Lettere, perfarsi un’idea dello zelo che aveva per la conversione degliEbrei. Uno zelo tale che non solo lo faceva pronto a darper essi la propria vita, ma altresì tutte le consolazioni diNostro Signore. “Vorrei essere io stesso anatema e separa-to da Cristo per i miei fratelli”. C’è qui il più alto eroismodella carità e dello zelo… Ed è proprio questo amoreardente verso Nostro Signore che lo spingeva a farsi tuttoa tutti, come se fosse stato debitore verso tutti. Chi amaopera; chi non ha zelo è perché non ha amore».

    3Ascoltiamola paroladel beatoGiuseppeAllamano.

    PREGHIAMO

    Parlando del grande Apostolo delle genti, GiuseppeAllamano fa uso di questi tre passi presi dalle sue lettere, persottolineare tre atteggiamenti importanti per ogni cristiano eparticolarmente per un apostolo.

  • Prego spontaneamente, oppure utilizzo alcune delle seguentiespressioni paoline per chiedere al Signore, per intercessionedell’Apostolo delle genti, il dono dello zelo apostolico:

    «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, adoffrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito aDio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla

    PREGHIAMO

    17

    «Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo avantaggio dei miei fratelli». L’energia di Paolo è il “fuoco” di cuisovente parla l’Allamano. Mi interrogo: è la mia vita mossadalla “passione” per Cristo e per il prossimo, oppure rischio dicondurre un’esistenza a “fuoco lento”? Quando la mia vitaperde gusto e pare diventare noiosa e senza senso, mi sforzo diriappropriarmi delle necessarie forze positive che ridanno“sprint” alle mie giornate? Le ricerco dove l’apostolo Paolo lesapeva trovare? L’energia e la passione ci fanno intraprenderecammini faticosi e a volte anche dolorosi, ma sempre arric-chenti: li ricerco e sono fedele nel percorrerli?

    «Chi mi separerà dall’amore di Cristo?»: come Paolo, sonoanch’io convinto che l’amore è dono dello Spirito Santo e forza intima che mi per-mette di essere cristiano e di vivere da missionario? Sono persuaso che il Vangelo diCristo è un progetto di vita che consiste fondamentalmente nell’attuazione dell’a-more in tutte le dimensioni dell’esistenza umana? Come l’Apostolo delle genti sonopoi capace di concretizzare queste convinzioni nel mio vivere quotidiano, dandopriorità alla ricerca e all’attuazione della volontà di Dio? Dall’amore di Cristo ricevoforza per superare le inevitabili difficoltà e gli immancabili ostacoli che mi impedi-scono di condurre una vita coerente con il Vangelo e fedele alla mia vocazione?

    «Per conto mio mi prodigherò volentieri, anzi consumerò me stesso per le vostreanime»: il termine “zelo” indica una profonda tensione affettiva, un fervore versoqualcuno o qualcosa: quali sono le persone o le realtà che mi appassionano e versocui provo una profonda tensione affettiva? Lo zelo di Paolo è esercitato in un conte-sto di comunione compromessa per l’infedeltà della comunità di Corinto e di impe-gno di ricostruzione della stessa comunione: so dimostrare zelo nel ricostruire ciòche è andato in rovina o nel sollevare chi è caduto? Verso me stesso, esercito zelo inun agire libero e senza calcoli, che non lesina sforzi e non tollera mezze misure? Piùavanti, nella seconda Lettera ai Corinti, Paolo paragona il suo zelo verso i suoi fra-telli alla gelosia di carattere sponsale: ardo anch’io di tale zelo quando nei miei impe-gni di carattere pastorale o nei servizi ai fratelli mi rendo conto che ne va di mezzola loro fedeltà a Cristo e al Vangelo?

    4

    Interrogo me stessoin silenziosapreghiera.

    5Trasformiamo la riflessionein preghiera.

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    O Vergine santissima, Madre di Cristo e Madre della Chiesa,con gioia e con ammirazione,ci uniamo al tuo Magnificat,al tuo canto di amore riconoscente.

    Vergine del Magnificat,riempi i nostri cuoridi riconoscenza e di entusiasmoper la nostra vocazione e missione.

    Tu che sei stata,con umiltà e magnanimità,«la serva del Signore»,donaci la tua stessa disponibilitàper il servizio di Dioe per la salvezza del mondo.Apri i nostri cuorialle immense prospettivedel Regno di Dioe dell'annuncio del Vangeload ogni creatura.

    Vergine coraggiosa,ispiraci forza d'animoe fiducia in Dio,perché sappiamo superaretutti gli ostacoli che incontriamonel compimento della nostra missione.

    Vergine Madre,guidaci e sostienici perché viviamo semprecome autentici figli e figliedella Chiesa di tuo Figlioe possiamo contribuire a stabilire sulla terrala civiltà della verità e dell'amore,secondo il desiderio di Dioe per la sua gloria. Amen.

    (Da: Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 64)

    Chiediamo a Maria il dono del coraggio e dello zelo apostolico

    PREGHIAMO

    mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, perpoter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm12, 1-2).

    «La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene;amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda.Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore.Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, sol-leciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità» (Rm 12, 9-13).

    «Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevicon quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel piano… Non ren-dete a nessuno male per male, cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomi-ni. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm12, 14-17).

    « Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbon-diate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15, 13).

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  • 20 giugno 1994, festa della SS.Consolata: «In questo giorno, 80 anni fa,un drappello di giovani Missionarie dellaConsolata celebrava questa festa in terra dimissione qui in Kenya per la prima volta.Con lo sguardo del nostro cuore di sorelle efiglie cerchiamo di vedere, di percepire conquali sentimenti questa “festa del cuore”,come la chiamava il Fondatore, fu vissutaallora dalle sorelle e dal Fondatore stesso.

    Quanta gioia riconoscente, quanta pre-ghiera e trepidazione devono essere sgorga-te dall’animo del Fondatore che dal “coret-to” offriva a Maria Consolata queste sue

    prime figlie così lontane, eppure così pre-senti. Dalle sue conferenze trapela il deside-rio, l’ansia santa che queste sue figlie siano“corredentrici”, immagine della Consolata,presenza viva, incarnata di Maria Consolatain terra di missione.

    Dalle sue lunghe ore di contemplazionedavanti a Maria Consolata prende vita l’im-magine della Missionaria che Lui “vuole” (isuoi “voglio”) - vera figlia della Consolata eperciò sua immagine - “come Maria primaMissionaria”. Questa Missionaria dellaConsolata secondo il suo cuore, lui la intra-vede: una donna veramente e profonda-

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    SULLA SCIA

    UNA FIGLIA “SPECIALE” DELL’ALLAMANOSr. LEONELLA SGORBATI

    Il 17 settembre 2008 cade il secondo anniversario del martirio di sr. Leonella Sgorbati,Missionaria della Consolata, uccisa a Mogadiscio il 17 settembre 2006. Ho usato la parola “mar-tirio”, perché la sua uccisione è stata proprio a causa della sua condizione di missionaria. Sì, sr.Leonella è martire anche perché, come Gesù, mentre moriva ha implorato il perdono per i suoiuccisori. Chi non ricorda quel suo triplice “perdono, perdono, perdono”, pronunciato con un filodi voce mentre stava spirando?

    Anche il Santo Padre Benedetto XVI, ha ricordato più di una volta pubblicamente sr. Leonellainserendola nel numero dei martiri del tempo attuale. E durante l’Angelus del 24 settembre 2006,ha descritto il significato del suo martirio con queste parole: «Questa suora, che da molti anni ser-viva i poveri e i piccoli in Somalia, è morta pronunciando la parola “perdono”; ecco la più auten-tica testimonianza cristiana, segno pacifico di contraddizione che dimostra la vittoria dell’amoresull’odio e sul male».

    Durante il suo servizio di Superiora Regionale delle Missionarie della Consolata in Kenya,negli anni 1993 - 1999, sr. Leonella ha scritto diverse lettere circolari alle consorelle. Da questelettere emerge bene il suo attaccamento al Fondatore. Lei è una di quelle figlie che non hannoincontrato personalmente il “Padre” durante la sua vita terrena, ma che lo hanno spiritualmenteconosciuto e profondamente amato. Riporto alcuni brani scelti dalle lettere circolari, invitando anotare soprattutto questi aspetti: sr Leonella ricorda il Fondatore molto spesso in congiunzionecon la Consolata; inoltre, più che riportare la dottrina del Fondatore, lo fa presente nella vita; infi-ne dalle sue parole ricorre di frequente l’invito alle consorelle a donarsi con amore, per il benedella gente, “fino alla fine”, fino a “donare la vita”. Questo era l’atteggiamento che stava a cuoreall’Allamano e che lei ha vissuto in modo cruento alcuni anni dopo, su una strada assolata diMogadiscio.

  • mente femminile, con quell’intuizione diDio e della persona che viene da un cuorepuro, libero, innamorato di “Dio solo”.Perciò questa missionaria è forte della suaforza, dell’amore vero, sa veramente donarela vita… con il Figlio, Agnello mansueto,donando solo il bene, la bontà, l’accoglien-za; vive con il Figlio la stra-da del Calvario, donandoamore e comprensione achi lo crocifigge e rivelandocosì l’amore infinito delPadre.

    Sorelle carissime, inquesta festa giubilare del-l’ottantesimo di missione,mettiamoci davanti al Fon-datore, davanti alla Conso-lata in preghiera profonda ein sincera ricerca, in fedel-tà, in onestà».

    10 novembre 1994: «Tutte abbiamocollaborato alla Conferenza Regionale con ilnostro contributo di presenza, di preghiera,di sacrificio e di fedeltà al carisma. Sì, vera-mente dobbiamo dire che lo spirito delnostro beato Padre Fondatore era presentecon noi e le decisioni prese sono state unarisposta fatta di coraggio e di sincera fedel-tà.

    A conclusione di questo “Anno dellaMissione” prendiamo in mano la nostra vitadi Missionarie della Consolata con unariflessione semplice e sincera che ciascunadi noi è chiamata a fare e domandiamoci:“Quando Padre Fondatore mi guarda, rico-nosce in me i tratti di quella sua figlia chelui aveva sognato e desiderato ad immaginedella Consolata?

    Le nostre prime Sorelle, guardandomi,mi riconoscono una di loro? Possono guar-darmi con gioia e speranza, vedendomicamminare nell’Amore che va fino alla fineper annunciare la Consolazione del Padre?”.

    Coraggio, carissime, la nostra povertà

    personale che ci accomuna e ci aiuta adiventare miti e misericordiose l’una conl’altra e con i fratelli, sarà il trampolino dilancio per riscoprire e vivere sempre più inpienezza il nostro essere Missionarie dellaConsolata vere Figlie del Fondatore».

    20 giugno 1995, festadella SS. Consolata: «Conprofonda gioia vengo a cia-scuna di voi in questa festatanto cara della “nostraMadonna”, come solevachiamarla il nostro beatoFondatore, per porgere in-sieme al Consiglio il mioaugurio più fervido.

    In questo anno dedicatoalla donna - questo annoche per noi è l’ottantacin-

    quesimo di Fondazione - guardiamo atten-tamente con amore alla Consolata - la vera“Donna Maestra di Pace”.

    Mettiamoci dinanzi a Maria Consolata,nostra Madre, che ci genera oggi, consape-voli che, se veramente siamo sue figlie,scorre nella nostra carne, nella nostra linfala sua vera vita. Lasciamoci generare “figlienel Figlio”, noi che abbiamo per missionespecifica di annunciare l’Amore incondizio-nato del Padre, il Figlio che è in noi e nelquale noi siamo.

    Questa nostra chiamata ad essere figlievere della Consolata, oggi, donne nuovegenerate dall’Amore per generare alla Vita,che cosa comporta in pratica? Il Fondatoreci illumina: “Il bene fatto bene, con amore,nel silenzio, con umiltà, per Dio solo”!

    La persona che ci avvicina oggi è asseta-ta di pace, di amore, di comprensione; habisogno di incontrare in noi la somiglianzacon la nostra Madre, la sua bontà materna,la sua comprensione verso le miserie epovertà umane, la sua delicatezza e tenerez-za che guariscono le ferite del cuore e dellospirito, e fanno crescere».

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    SULLA SCIA

  • 27 dicembre 1995: «Il giorno 16 feb-braio ricorrerà il settantesimo anniversariodella santa morte del nostro Padre Fon-datore. Il nostro Padre aveva un amore tuttospeciale per noi sue figlie, accudiva e for-mava le nostre prime sorelle con cura e sol-lecitudine paterna trasmettendo a loro ildono carismatico ricevuto da Dio.

    Il Padre plasmava le sue figlie guardan-do la Consolata. Ci sognava “straordinarienell’ordinario: voi dovete essere suore spe-ciali, non comuni”. Ci sognava donne forti.Donne che danno la vita. Ci voleva “sacra-mentine”, donne di contemplazione. IlPadre ha promesso il suo spirito, il dononostro carismatico a chi glielo chiede.

    Sorelle carissime, in questo settantesimoanniversario della sua morte rivolgiamoci alui come figlie vere, come figlie che deside-rano essere fedeli e lo pregano di renderlepartecipi della sua eredità santa: vivere ildono carismatico della Consolazione!

    Insieme mettiamoci davanti al Padre

    Fondatore; chiediamogli se ci riconoscecome sue figlie; chiediamogli di implorareper noi da Dio il dono dell’esperienza dellaConsolazione per poter essere testimonicredibili di “quello che i nostri occhi hannovisto e le nostre mani hanno toccato”.

    Per celebrare questo avvenimento e perimpetrare dal nostro Padre Fondatore ildono del suo spirito, invito ogni comunitàa prepararsi con una novena che inizierà ilgiorno 7 febbraio e si concluderà con lasanta messa del beato Fondatore.

    I nostri confratelli Missionari dellaConsolata stanno organizzando loro pure dicelebrare con solennità il settantesimo.Sarebbe bello, dove è possibile, celebrarequesto giorno insieme.

    Unite nello stesso carisma che ci rendefamiglia vera in cammino sulle strade delmondo per vivere e annunciare l’Amore,così come il Padre Fondatore ci volle, soste-niamoci portando i pesi e le fatiche l’unadell’altra».

    21

    SULLA SCIA

    Sotto: Suor Leonella alla prima promozione di infermieri nella scuola di Mogadiscio.

  • 20 giugno 1996, festa della SS.Consolata: «Con profonda riconoscenza aDio, nostro Padre, il cui Nome è “Tene-rezza” e “Misericordia” come ci ha fatto pre-gare la liturgia di questi giorni, vengo a voiin questa festa così cara, così “nostra” perfare giungere a ciascuna, anche a nome delConsiglio, un augurio carico di tanto frater-no affetto, preghiera e desiderio di una sem-pre più forte unione nel cammino verso diLui, nostro unico ideale e ragione unicadella nostra vita di “Famiglia missionaria”come ci ha volute il Fondatore.

    E dinanzi all’icona della Consolata,infatti, il Fondatore ci ha dato un volto,quello della Madre; ci ha dato un cuore,quello della Vergine più tenera e umile; ciha dato una missione, portare laConsolazione, Gesù, Amore del Padre, a chinon l’aveva mai conosciuta!

    Contempliamo la Consolata nell’attitu-dine di donarci il Figlio. Questa Madre chediventa “Tabernacolo e Calice”, affinchénutrendoci di questo Figlio, che Lei ciporge, diventiamo davvero “Figlie nelFiglio”. Il Fondatore passava ore a contem-plare la Madre, passava ore ad adorare ilFiglio reso Pane spezzato per noi! È così chenoi diventiamo consapevoli e “capaci per

    l’energia stessa del nostro carisma, di darerisposte d’amore coraggiose alle sfide dioggi, perché l’umanità riscopra la sorgentedella sua identità e felicità”. E allora, andan-do dai nostri fratelli, potremo immergercinella loro sofferenza, accogliere il loro dolo-re ed il nostro, camminare con loro portan-do insieme lo stesso dolore. Così diventere-mo anche noi la tenerezza e misericordiadel Padre, e allora il Fondatore, guardando-ci, riconoscerà in noi l’icona dellaConsolata».

    20 giugno 1998, festa della SS.Consolata: «In questo anno dedicato inmodo speciale allo Spirito Santo, la festadella nostra “Madre tenerissima”, comesoleva chiamarla il Padre Fondatore, ciporta una luce nuova, luce che viene dalloSpirito Santo stesso. La Vergine accoglie nelsuo seno il Creatore. Il Consolatore generain lei la Consolazione stessa - Gesù - ren-dendola “la Consolata”.

    Noi Missionarie della Consolata siamochiamate ad annunciare la Buona Novellache la Consolazione è veramente statadonata al mondo, e chiamate anche a testi-moniare con la nostra vita di ogni giornoche il dono della Consolazione è ciò che fa

    la differenza nellavita ed è dono pertutti. Siamo noipersone che lagente può avvicina-re senza sentirsiintimidita o umilia-ta alla nostra pre-senza, ma ci sen-te… Allamano, ac-cessibili?».

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    SULLA SCIA

    Le Missionarie della Consolataattorno alla tomba della loroconsorella, sr. Leonella Sgorbati.

  • Dimensione spirituale. Da quanto sipuò evincere dai “Regolamenti di vita” delseminarista Allamano, come pure dei suoiappunti di propositi, emerge un giovanecon una spiritualità intensa e convinta.Indubbiamente era un giovane di fede, inintima relazione con Dio. Il seminario, conil suo ritmo di vita e di preghiere non haindotto l’Allamano a cadere nella tentazionedi automatismo. Era convinto che «non è lostare in seminario che faccia santi, ma il faretutte le opere del seminario come si deve».

    Non c’è spazio per la mediocrità nellasua vita; tutto è chiaro e preciso nei suoiregolamenti. Ecco un esempio di propositifatti nel 1871: «Seguirò le solite pratiche dipreghiera, e massime quelle del Crocifisso,mio libro; - Dividerò il giorno tra ringrazia-mento della Comunione e preparazione allasuccessiva; - Ogni settimana leggerò un po’delle prediche degli esercizi spirituali; -Ogni sera, nell’esame di coscienza, osserve-rò in che cosa sono caduto, specialmentesui propositi fatti».

    23

    DAI GIOVANI

    L’ALLAMANO GIOVANE VISTO DA UN GIOVANECOSÌ SI È PREPARATO AL SACERDOZIO

    Nel numero precedente di questa rivista (pp. 22 - 24), abbiamo pubblicato una prima punta-ta dello studio fatto da un nostro giovane seminarista, il quale ha voluto focalizzare la sua atten-zione sull’Allamano “giovane”, come fosse suo coetaneo, per rendersi conto dell’ambiente in cui siè preparato al sacerdozio. Ora pubblichiamo una seconda puntata, nella quale sono prese inesame quelle che si usano definire le “dimensioni” della formazione. In concreto, si tratta di vede-re come sono maturati gli aspetti fondamentali della sua personalità.

    Il cortile interno dell’antico seminario di Torino,dove il beatoAllamanosi è preparatoal sacerdozio.

  • Il “Regolamento di vita” per le vacanzeconferma la sua coerenza con quanto vivein seminario: «La prima domenica di ognimese, ritiro mensile; - Ogni sabato sacra-mento della penitenza; - Quattro voltealmeno la Comunione ogni settimana; -Un’ora abbondante di studio, indi un po’ diSacra Scrittura prima di pranzo; - Ricordatial mattino di offrire tutto al Cuore di Gesùe, a mezzogiorno, l’ora di guardia».

    La sua meditazione giornaliera dà la pre-cedenza alla Sacra Scrittura, seguitadall’Imitazione di Cristo, che lui - comediceva - “masticava” e “ruminava”. Cosìpure seguiva l’andamento dell’AnnoLiturgico: «Mi impegnerò per uniformarmiallo spirito della Chiesa nei vari tempi del-l’anno. Per quanto starà da me, la medita-zione, nell’Avvento sino all’Epifania, verseràsul mistero del Natale; in Quaresima sullapassione di Nostro Signore Gesù Cristo; nelmese di maggio sulle virtù di Maria».

    Dimensione umana. L’Allamano è ungiovane a cui piace il raccoglimento, ilsilenzio e la serietà, ma non è un malinco-nico. Il suo compagno G.B. Ressia dirà cheegli era il più allegro di tutti, gentile e ami-chevole. Siccome non è un tipo di grandidiscorsi o un oratore, il suo vero campo dicontatti è la conversazione.

    Negli anni giovanili porta avanti unacalorosa amicizia con un suo compagno deltempo di Valdocco, certo Pietro Cantarella,anche egli in cammino verso il sacerdozio.Nell’abbondante corrispondenza, si vedeche si tratta di un’amicizia vera, come emer-ge anche da parole semplici come queste:«Coraggio, caro Pietro; credimi che conser-vo sempre per te un’affezione fraterna,accresciuta ogni più dalla lontananza».Come emerge dalla corrispondenza, i dueamici condividono tutte le vicende della

    vita, quali la morte dei genitori, la vita diseminario, gli studi, ecc.

    La salute del seminarista Allamano èpiuttosto precaria. Già nel primo anno diseminario deve stare a letto oltre un mese,come scrive al Cantarella: «Oltre al mio fre-quente, piccolo sì, mal di capo, non mi fudato di terminare l’anno scolastico». Cosìpure deve interrompere il terzo anno distudi «per un totale sfinimento di forze»,come lui stesso fa sapere all’amico. Dopol’ordinazione sacerdotale, a seguito deglisforzi per il conseguimento del dottorato inTeologia, cade nuovamente ammalato e cosìcommenta: «Caro mio, alle prove succedo-no le prove, che senza speciale aiuto di Dionon potrei sopportare». In seguito dirà agliallievi missionari: «Io da giovane ero moltopiù debole di salute che non ora; ogni quin-dici giorni, un’emicrania che non mi lascia-va più fare nulla».

    Dimensione intellettuale. L’Allamanostudente è straordinariamente preciso.Riesce sempre bene negli esami, soprattuttograzie al suo impegno. Il Ressia afferma che«se l’Allamano non è sempre stato il primodella classe, fu il primo per impegno». Sipreparava alle lezioni leggendo prima lamateria che sarebbe stata spiegata, e poiprendeva appunti. Questi appunti nonsono stati distrutti e sono serviti, in seguito,anche ad altri compagni per sostenere gliesami, per fare il catechismo.

    Per comprendere la serietà del-l’Allamano nello studio, oltre a quanto pro-pone nel “Regolamento di vita”, è significa-tivo il suo programma quando, già sacerdo-te, si preparava al conseguimento della lau-rea: «Ogni giorno un’ora di morale; marte-dì venerdì e sabato: un’ora di filosofia e teo-logia scolastica; domenica: liturgia e canto;mercoledì: un’ora di predicazione; ogni

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    DAI GIOVANI

  • sera: mezz’ora di Sacra Scrittura; al mattino:pochi minuti sull’Imitazione di Cristo».

    Durante il periodo degli studi non sonomancate le difficoltà. Lui stesso osserverà:«So che cosa vuol dire studiare; so i difetti,le lacune che c’erano e gli sforzi che faceva-mo. Avevamo tre spiegazioni: il trattato, ilprofessore, il ripetitore, tre idee diverse».Nonostante la salute, egli riesce bene neglistudi, seguendo questo metodo: impegno,costanza, precisione e ordine.

    Dimensione missionaria. La vocazionemissionaria dell’Allamano nasce negli annitrascorsi all’oratorio di Don Bosco. Il sognodi diventare missionario non lo lascerà mai.Durante gli anni di seminario, cerca di con-cretizzare questo sogno chiedendo di entra-re nel Collegio missionario “Brignole Sale”di Genova, ma i superiori lo dissuadono permotivo di salute. Egli stesso dirà ai suoimissionari: «Oh sì, io ero chierico e pensa-vo già alle missioni e il Signore, nei suoiimperscrutabili disegni, ha aspettato il gior-no e l’ora». Il suo sogno si realizzerà nonnel modo da lui immaginato, ma secondoquanto Dio aveva prestabilito, con la fonda-zione degli Istituti dei Missionari e delle

    Missionarie della Consolata.

    Conclusione. Durante gli anni della suapreparazione al sacerdozio, l’Allamano nonha preso niente per scontato, non ha messoin discussione niente, ma ha saputo leggerela volontà di Dio in tutto e far sì che tutto siorientasse per il bene. Così è riuscito, non-ostante le difficoltà, a formarsi una persona-lità equilibrata e armonica.

    Gli anni successivi della vita sarannoanni nei quali raccoglierà, e non solo lui, ifrutti del seme piantato durante il periododella formazione. Guardandolo come semi-narista, si comprende chiaramente che lasua santità è autentica, frutto di un proces-so e di una graduale maturazione. La suasantità non si presenta come il frutto di unaconversione improvvisa e drammatica. Ilsuo cammino spirituale è analogo a quelloche fanno tutti coloro che riescono a matu-rare la loro vita in Cristo, giorno dopo gior-no.

    Ecco perché l’Allamano poté dire:«Quando uscii dal seminario ero moltotranquillo, ero preparato, sapevo quello chedovevo fare».

    Nicholas Muthoka Nyamasyo

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    DAI GIOVANI

    CHI DESIDERA AVERE QUALCHE IMMAGINE CON RELIQUIA DELLʼALLAMANO PUÒ RIVOLGERSI A:Postulazione Istituto Missioni Consolata,Viale Mura Aurelie 11/13 – 00165 ROMATel. 06/393821

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    L’Allamano padre spirituale di DonReffo. L’inizio di veri rapporti del Reffo conl’Allamano si può far risalire all’indomanidella morte di San Leonardo Murialdo,quando l’Allamano consigliò i Giuseppinidi raccogliere le memorie del loroFondatore, in vista di iniziare la causa dibeatificazione. Lo afferma lo stesso DonReffo: «Il Canonico Giuseppe Allamanoconfortando alcuni dei nostri Confratellinella dolorosissima perdita, espresse il suointimo pensiero, che al Teol. Murialdo sisarebbe col tempo fatto il processo ed esor-tò a raccogliere con diligenza tutte lememorie che si possono avere di lui, com-pendiando in una sola frase il suo elogio,col dire di lui quello che si disse di DonGiuseppe Cafasso: “Era un uomo straordi-nario nell’ordinario”». Ancora, nella“Cronistoria” della Congregazione, sottol’anno 1910, il Reffo scrisse: «Fin dall’annoscorso, per invito del Rev.mo Can.coGiuseppe Allamano, Rettore della Basilicadella Consolata, si erano incominciate trat-tative preliminari al processo informativoed ordinario diocesano per la Causa diBeatificazione del nostro Fondatore, Servodi Dio Teol. Leonardo Murialdo».

    Attraverso questi contatti, in Don Reffomaturò una profonda venerazione perl’Allamano, al punto che, venuta a mancarela sua guida spirituale, il filippino P.Domenico Peretti, scelse l’Allamano comeconfessore e direttore spirituale. Per oltre12 anni, ogni sabato, si recava al santuariodella Consolata per la confessione settima-nale e per ricevere consigli dall’Allamano.

    Ammirazione dell’Allamano per DonReffo. L’Allamano parlò molte volte di DonReffo con vera ammirazione, al punto daparagonarlo al Murialdo. Un giorno disse adue Giuseppini: «Baciate la terra dove passaDon Reffo. Egli è un santo».

    Ci sono molte belle testimonianze chemanifestano la stima dell’Allamano per DonReffo. Tra le tante, ne scegliamo tre: laprima è del nostro p. L. Sales, che ebbe adire: «Non ho conosciuto personalmenteDon Reffo, ma ne sentivo parlare soventedal nostro Fondatore, can. Allamano, comedi un santo. Metteva soprattutto in risalto lagrande devozione del Reffo alla Consolata».

    La seconda è del p. Spegno, giuseppino,

    TRA SANTI

    L’ALLAMANO PADRE SPIRITUALEDI DON EUGENIO REFFO

    Il Servo di Dio Don Eugenio Reffo (1843 - 1925), confondatore della Pia Società di S.Giuseppe (Giuseppini) fu il principale collaboratore di San Leonardo Murialdo anche per ilCollegio degli Artigianelli. Fu pure superiore generale dal 1912 e dal 1919, e “ad honorem” finoalla morte in concetto di santità. Ebbe stretti e filiali rapporti con l’Allamano, ampiamente illu-strati, su richiesta del nostro storico p. C. Bona, dal Giuseppino Giovanni Milone C.S.I., in unapprofondito articolo, apparso su questa rivista, quando si intitolava “Il Servo di Dio GiuseppeAllamano, Tesoriere della Consolata”, nel n. 3 del 1982, pp. 17-30. Lo stesso p. Bona ha purevalorizzato lo stesso articolo per un’altra sua opera sul Fondatore, intitolata “La fede e le opere- Spigolature e ricerche su Giuseppe Allamano”, del 1989, pp. 407-423. Da queste fonti attingia-mo molte delle notizie che riportiamo.

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    TRA SANTIio quale scrisse di avere avuto un colloquiocon l’Allamano e che questi, «dopo unaccenno alla causa allora in corso della bea-tificazione del Murialdo, passò a parlare delp. Reffo e affermò che il p. Reffo, in fatto disantità, non era da meno del Murialdo; checi dessimo d’attorno a introdurre anche perlui la causa; di mettere da parte le cose suee i suoi scritti. Proprio colui [l’Allamano]che si era sollecitato per l’esaltazione delMurialdo, si sentiva impegnato a promuo-vere l’esaltazione del suo figlio di predile-zione».

    La terza testimonianza e quella del giu-seppino p. M. Chamossi: «[Don Reffo] erasi può dire appena sepolto, che recatici allaConsolata col Superiore Generaleper averne conforto e lume,incontravamo sulla soglia dellasacrestia il can. Allamano, che cidice: - Veramente la congregazio-ne vostra ha fatto una gravissimaperdita; ma tenete gran conto ditutte le cose e gli scritti di d. Reffo,ché egli non è meno santo e menofondatore per voi dello stesso teo-logo Murialdo». E aggiunse que-sto commento: «La parola delcanonico Allamano, che avevaconosciuto bene il Murialdo, maancor meglio d. Reffo, è certo delmassimo peso».

    Lo stesso Allamano, nelle sueconversazioni con gli aspirantimissionari, nominò più volte ilReffo, manifestando sempre molta

    stima. Anche qui solo due esempi: il 1 giu-gno 1916, alla chiusura del mese di maggio:«il Superiore dei Giuseppini, D. Reffo fa ilcinquantesimo anniversario della sua primamessa. È una festa bellissima! È un uomo diDio, quello! Sapete. Tanto buono. Adesso fail suo cinquantesimo di Messa. Cinquantaanni di Messe dette da un uomo così!». E il2 luglio successivo: «Così il bravo D. Reffo,Superiore dei Giuseppini, il quale è già vec-chio, e cieco… Dice: Mi pare di essere inuna profonda torre, il Signore mi sostienema ho una malinconia…! È un sant’uomo,certo, ma lotta contro la malinconia. Nonpuò più scrivere, lui che prima scrivevatanto. Adesso non può più far niente. Perme se il Signore avesse voluto che sceglies-

    L’amabile volto di don Reffo in uno schizzo moderno.

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    si un sacrificio, non avrei scelto quello. Èuna prova terribile».

    Ammirazione reciproca. Una specialetestimonianza, che manifesta il legame spi-rituale e l’ammirazione reciproca tra il Reffoe l’Allamano, è quella di Luigi Falda, fratel-lo laico dei Giuseppini, che aveva fattoparte della prima spedizione dei quattroMissionari della Consolata in Kenya, rima-sto poi sempre molto affezionato al nostroFondatore.

    Mentre si trovava a Torino per assisteredon Reffo anziano e ammalato, fu richiestodall’Allamano per un po’ di compagnia ledomeniche pomeriggio, quando era solo.Ecco quanto riferì: «Il mio Rev.mo P.Superiore allora (generale) P. E. Reffo cheassistevo e che ai miei occhi e credo dinan-zi a Dio pareggiava in virtù e santità ilVeneratissimo Canonico [Allamano] (seb-bene di indole assai diversa) mi parlavasovente di lui e dovendolo accompagnareanche per via perché cieco del tutto, in unadi quelle fervorose visite al Santuario dellaConsolata dove si faceva condurre ogni set-timana, volle salutare il suo Direttore ePadre Spirituale il Sig. Rettore (il Servo diDio G. Allamano) perché voleva fare l’ulti-ma sua confessione e prendere il congedo,presentendo che non lontano era il giornodella separazione finale, e dopo un piùlungo trattenimento in cui quelle dueanime si comunicavano reciprocamente ibeni e illustrazioni di cui erano favoriti dalcielo, ebbe luogo la scena più commoventeche mai si ripete se non dai santi e che forseebbe luogo nella separazione di S.Benedetto e S. Scolastica.

    Usciti dalla camera e presso la Sacrestia,l’uno e l’altro abbracciandosi e abbassando-

    si per baciare la mano al più degno, anda-vano come prostrati l’uno all’altro in modosì tenero e commovente da strappare lelacrime, ben sapendo che uno era cieco ecol capo tutto curvo sul petto come S.Alfonso de’ Liguori e l’altro dolorante peidolori alle giunture e costretto a reggersicon difficoltà».

    Il clima che si è venuto a creare tra que-sti due santi sacerdoti è ben espresso in unatestimonianza del sacerdote giuseppino O.Todescato, che, da giovane, ebbe più volte ilprivilegio di accompagnare don Reffo allaConsolata: «Ogni volta il can. Allamano melo accompagnava fuori con segni di grandevenerazione; e almeno un paio di volte midisse sottovoce: “Abbiate cura, avete unareliquia”. Una di queste volte, di ritorno, midisse don Reffo: “Che buono, che animasanta il can. Allamano!”. A me scappò adire: “Già, tra voi vi conoscete!”. Non parlòpiù».

    Concludiamo con un giudizio sinteticoche l’Allamano ha formulato del Reffo,senza volerlo, iniziando il commento alleCostituzioni del nostro Istituto, nella confe-renza agli allievi del 18 gennaio 1920 : «Ungiorno un santo religioso, don Reffo, (scri-veva bene) mi domandò che cosa dovessefare; ed io gli ho detto di scrivere un com-mento alle sue costituzioni.

    Egli mi ha risposto: “Se sono chiare! Seson concise!”. “Ne faccia un commento”.Poi un giorno mi è venuto a trovare e midiceva: “Aveva ragione! Se il Signore miaiuta lo voglio fare!” - Sicuro! - Era quasifondatore, era la mano destra del Superioree quindi era pratico, aveva lo spirito, leintenzioni del Fondatore».

    P. Francesco Pavese imc

    TRA SANTI

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    RICORDO

    I Sig.i Giorgio e Teresa Ferrari, attraver-so la Sig.a Silvia Perotti, Presidente degli“Amici Missioni Consolata”, ci hanno gen-tilmente donato la tessera della“Compagnia della SS. Vergine dellaConsolata”, intestata al Sig. Mermoz e data-ta il 13 aprile 1916, «affinché sia conserva-ta tra i cimeli e i documenti del passato». Ildono ci è stato fatto perché la Tessera è fir-mata dal nostro Fondatore, quale direttoredella Compagnia.

    Si tratta di un cartoncino, a quattro fac-ciate (cm 7x12). Nella prima facciata, chefunge da copertina, si ammira una delicataimmagine della Consolata, che qui riprodu-ciamo. Nella seconda e terza vengonoriportati i dieci punti del Regolamento,approvato dal Card. A. Richelmy il 21 apri-le 1903. Sono gli impegni che gli associatisi assumono per vivere la spiritualità maria-na. Nella quarta, ci sono le indulgenze con-cesse dal Papa S. Pio X il 25 luglio 1912.

    Si tratta della “Nuova sezione dellaCompagnia della Consolata”. Al riguardo, ilp. L. Sales, nella prima biografiadell’Allamano, ci offre queste notizie: «Findal 1527 era stata canonicamente eretta nelSantuario la “Primaria Compagnia dellaConsolata”, rifondata poi nel 1589. Ma iregolamenti che limitavano dapprima a 72e poi a 101 il numero dei Confratelli edelle Consorelle, ed i gravi oneri loroimposti, fecero sì che soltanto poche perso-ne delle più elevate classi sociali potessero

    TESSERA DI APPARTENENZA ALLA“COMPAGNIA DELLA CONSOLATA”

    ...continua a pag. 31

    In alto: la tessera della “Compagnia della Consolata”.

    Sotto: l’intestatario della tessera, con la firma del beato Allamano.

  • La Sig.ra Maria Arcaro ci manda unbreve messaggio da Buenos Aires,Argentina, con il quale desidera esprimerepubblicamente la propria gratitudine allaSS. Consolata e al beato Giuseppe Allamanoper avere assistito il figlio durante un lungoprocesso fino a quando gli fu riconosciutal’innocenza.

    La Sig.ra Maria, con la sorellaMagdalena, è da molto tempo legata allacomunità della nostra casa regionale nellacapitale argentina. Entrambe sono moltodevote della SS. Consolata e del beatoAllamano, ai quali affidano con fiducia ogniloro situazione e necessità. Esse sono leresponsabili del gruppo di signore che, ognisettimana, si riuniscono per confezionarevestiti da inviare nelle parrocchie povere delNord argentino. Durante l’anno organizza-

    no pure la “feria de platos”, che è una ven-dita di commestibili in favore delle missio-ni. Il “miracolo” di cui la Sig.ra Maria, parlanel suo messaggio è di carattere morale econsiste nel fatto che è stata dimostrata intribunale l’innocenza del figlio Carlos.

    Ecco il breve messaggio tradotto dallospagnolo: «Vergine Consolata, ti esprimo lamia infinita gratitudine per avere accolto larichiesta che il beato Giuseppe Allamano tiha rivolto in favore dell’onore del mio figlioCarlos Gatto.

    La grazia ottenuta consiste nell’assolu-zione di mio figlio da una grave calunniache gli era stata fatta. Il giudizio durò cin-que anni e, dopo prove e investigazioni,dato che era innocente, la sentenza funecessariamente pronunciata in favore dimio figlio. Grazie. Maria Arcaro».

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    RICONOSCENZA

    RICONOSCIUTA L’INNOCENZA

  • appartenervi.Il Can. Allamano, venendo incontro ad

    un vero e sentito bisogno spirituale delpopolo subalpino, ideò e attuò la fonda-zione di una nuova sezione dellaCompagnia della Consolata, affatto distintadall’antico sodalizio ed autonoma, portanteoneri a tutti accessibili. Con decretodell’Arcivescovo di Torino, in data 21 apri-le 1903, la nuova Compagnia veniva cano-nicamente eretta ed era tosto dal SommoPontefice arricchita da copiose indulgenze.Il numero dei Confratelli e delleConsorelle fu subito imponente, ed oggi sicontano a centinaia di migliaia».

    Riportiamo i due primi punti delRegolamento, dai quali si comprende lanatura della Compagnia e gli oneri che siassumevano gli iscritti: «1. Nella

    Compagnia della SS. Vergine dellaConsolata, è stabilita una speciale Sezioneper accogliere tutte le persone devote diMaria Santissima che intendono promuo-verne il culto e la devozione sotto il titolodella Consolata, e di assicurarsi per talmodo le sue speciali consolazioni in vitaed in punto di morte.

    2. Le persone iscritte a questa Sezionesi faranno un impegno di onorare MariaSantissima Consolata, invocandola ognigiorno colla giaculatoria: “SantissimaVergine della Consolata, pregate per noi”,ne porteranno indosso la medaglia, la visi-teranno sovente nel suo Santuario e ne ter-ranno in casa l’immagine, facendola ogget-to di speciale venerazione».

    Dopo tanti anni, questa Compagniacontinua ad esistere ed ha delle iniziativesoprattutto di carattere spirituale.

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    RICONOSCENZA

    ...viene da pag. 29

    CHI DESIDERA PROCURARSI IL VOLUME “COSÌ VI VOGLIO”SULLA SPIRITUALITÀ E PEDAGOGIA MISSIONARIA DELL’ALLAMANO PUÒ RIVOLGERSI A:Istituto Missioni Consolata (Adrema), Corso Ferrucci 14 – 10138 TORINOTel. 011/4400400

    La targa in ringraziamento alla Consolata e al beato Allamano per il favore ottenuto.