ANNO LIII NUMERO 3

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ANNO LIII NUMERO 3 • SETTEMBRE/DICEMBRE 2015Poste Italiane Spa

Sped. in abb. postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, C/RM/04/2014

PONTIFICIA FACOLTÀ DI SCIENZE DELL'EDUCAZIONE AUXILIUM

RIVISTADISCIENZEDELL’EDUCAZIONE

DOSSIERPROMUOVERE LA COMPETENZA DIGITALEDEGLI INSEGNANTIIntroduzione al DossierMaria Antonia Chinello 298-301

La competenza digitale. Significato e implicanze formativeMaria Antonia Chinello - Jothy Antony Rayappan 302-317

L’integrazione delle tecnologie nella didattica universitaria. Variabili di sistema e tratti personaliSara Tabone 318-328

I MOOC per la formazione e la didattica: percorsi possibiliPierpaolo Limone - Rosaria Pace 329-338

A experiência da rede salesiana de escolas (RSE) do Brasil. Formação dos professores na aquisição da competência digitalMaria Helena MoreiraRúbia Andréa Duarte Dos Santos 339-348

SISTEMA PREVENTIVO OGGI

Dalla prevenzione all’educazione.Verso una conversione pedagogica del concetto di saluteHiang-Chu Ausilia Chang 350-366

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ALTRI STUDILa persona tra natura e cultura: differenze e relazioniLuigi Alici 368-382

El desafío antropológico de las neurociencias.Neurociencia, filosofía y teologíaJuan José Sanguineti 383-400

I catechisti nella missione della Chiesa.Puntualizzazioni sul VII Colloquio Internazionale di Catechesi(Parigi Ispc 17 - 20 Febbraio 2015)Cettina Cacciato 401-407

ORIENTAMENTI BIBLIOGRAFICIRecensioni e segnalazioni 410-436

Libri ricevuti 437-439

INDICE DELL’ANNATA 2015 442-450

LA PERSONATRA NATURA E CULTURA: DIFFERENZE E RELAZIONI

LUIGI ALICI

1. “Il velo di Iside”«Non si sa più che cos’è l’uomo e,poiché lo si vede oggi passare attra-verso trasformazioni impensate, si èconvinti che non ci sia più una naturaumana. Per alcuni, ciò significa: tuttoè possibile all’uomo, e così ritrovanouna speranza; per altri: tutto è per-messo all’uomo, e abbandonano ognifreno; per altri infine: tutto è permessosull’uomo, ed ecco Büchenwald».1

Mounier descrive profeticamente lasfida: “trasformazioni impensate” pos-sono retroagire sull’identità dell’uma-no fino a erodere le sicurezze sullanostra conoscenza della natura uma-na oppure, al contrario, consolidaresicurezze di segno contrario sulla suainsussistenza. Il punto è esattamentela possibilità di pensare o non pensarecriticamente le nuove forme del vivere:quando tali forme conoscono modu-lazioni nuove e impensate, possiamofare un passo avanti nell’umiltà, allaricerca di un paradigma più inclusivodell’umano, oppure possiamo fare unpasso indietro nella presunzione, ar-chiviando la nozione stessa di naturaumana come un residuo culturale or-mai inservibile. Ne consegue un ambiguo rimescola-mento di carte fra il piano del tecni-camente possibile e quello del mo-ralmente lecito, in cui s’intravede ildestabilizzarsi del rapporto tra naturae cultura. Il nostro tempo non è avaro di esem-plificazioni inquietanti. Roberto Esposito apre il suo libro suBiopolitica e filosofia,2 ricordando unadecisione della Corte di Cassazionefrancese, che, ribaltando l’esito didue precedenti giudizi in appello, hariconosciuto a Nicolas Perruche, un

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bambino nato con lesioni genetichemolto gravi, il diritto di sporgere de-nuncia contro il medico, che non ave-va diagnosticato una malattia allamadre, durante la gravidanza, impe-dendole di abortire. In questo caso,osserva Esposito, in discussione nonè un errore diagnostico accertato,quanto il riconoscimento del diritto dinon nascere a un individuo che tut-tavia, se non fosse nato, non avrebbepotuto conseguire quella soggettivitàgiuridica che gli ha consentito di ri-correre in giudizio! Sancire l’obbligodi non ostacolare un diritto soggettivoimplicherebbe quindi un dovere pre-

ventivo di sopprimerlo, addirittura aprescindere persino dalla libera sceltadella madre.Un secondo esempio ci è offerto daldibattito intorno alle etiche animaliste.Secondo Peter Singer, ad esempio,principale esponente del movimentodi liberazione animale, non c’è unasostanziale differenza fra la violenzasociale e quella esercitata dall’uomocontro gli animali: la «tirannia che glianimali umani esercitano sugli animalinon umani […] ha causato e continuaancor oggi a causare una quantità didolore e di sofferenza paragonabilesoltanto a quella prodotta da secoli

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Riassunto

Il dibattito intorno al rapporto tranatura e cultura ha perso nella mo-dernità la sua originaria articolazioneclassica, divaricandosi nel postmo-derno nei paradigmi antitetici delbiocentrismo, del nichilismo e delpostumano. Questo conflitto di paradigmi, ma-scherato in senso relativistico, ali-menta forme di decostruzione an-tropologica che nascono dalla dif-ficoltà di riconoscere la differenzatra finito e infinito come costituivadell’umano. Dal rispetto di questa differenzascaturisce un doppio compito, cul-turale ed educativo, che si estendedall’orizzonte minimale del rispettodella vita all’orizzonte massimaledella promozione della persona.

Parole chiave: Natura, cultura, dif-ferenza, persona, morale

Summary

The debate regarding the relation-ship between nature and culturehas lost its original classical articu-lation during the time of Modernism,dividing itself in Postmodernism,becoming conflicting paradigms ofbio-centrality, nihilism and post-hu-man. This conflict of paradigms,masked in the relativistic sense,feeds forms of anthropological de-constructionism which grow outof difficulties in recognizing thedifference between finite and infiniteas constitutive of the human person.From respect for this differencecomes the double work, both cul-tural and educational, that extendsfrom the minimal horizon of respectfor life to the maximum horizon ofpromotion of the human person.

Key words: Nature, culture, difference,personal, moral

di incontrastato dominio degli umanidi pelle bianca sugli umani di pellenera».3 Non solo: assumendo, se-condo un’etica di stampo utilitarista,il criterio discriminante della capacitàdi avere interessi, a cominciare dal-l’interesse basilare a non provare do-lore, e negando la sussistenza di taleinteresse agli esseri umani con gravideficit di funzionalità fisiologica, il pri-mato degli “animali umani” sugli “ani-mali non umani” può coerentementeaddirittura essere capovolto. Per questo, continua Singer, «non èvero che tutti gli esseri umani sonopersone morali, anche nel senso mi-nimale»; la ragione è esplicitata consorprendente naturalezza, in pole-mica con Rawls: «Neonati e bambinipiccoli, e adulti con gravi deficienzementali, mancano totalmente delsenso di giustizia».4 Su queste basiSinger legittima non solo l’abortoma addirittura l’infanticidio: «le ra-gioni per non uccidere le personenon valgono per i neonati».5

Un ultimo esempio può essere facil-mente desunto dagli atroci fatti dicronaca di questi ultimi mesi. La fotodi Aylan Kurdi, il bimbo siriano di treanni trovato senza vita sulla spiaggiadi Bodrum, è ancora dinanzi ai nostriocchi: nel suo corpicino, riverso sullabattigia, cioè su una linea di frontieratra il mare e la terraferma che per luisi è trasformata in un muro, non è dif-ficile vedere anche l’emblema di tuttii conflitti che oggi non siamo in gradodi gestire. Il nostro mondo industrialeavanzato, che sbandiera un’idea ditolleranza fondata sulla neutralizza-zione delle differenze e su un’esten-sione illimitata dei diritti, nei momentipiù difficili lascia venire in superficie

una forma estrema d’intolleranza, ma-lamente mimetizzata dall’indifferenza.Dinanzi a un esodo dei popoli più po-veri e affamati, in fuga da paesi inguerra spolpati dal colonialismo, dovele multinazionali delle armi continuanoa realizzare affari d’oro, il mondo oc-cidentale, libertario e inclusivo, co-mincia a rialzare muri, a chiudere lefrontiere, a rimettere in voga vagoniblindati e filo spinato. Dovremmo rileggere oggi, a quasimezzo secolo di distanza, l’enciclicaPopulorum Progressio (1967), in cuiPaolo VI metteva in guardia severa-mente sugli effetti – a lungo termineinsostenibili – di un sistema di ingiu-stizia sociale istituzionalizzata: «chei ricchi sappiano almeno che i poverisono alla loro porta e fanno la postaagli avanzi dei loro festini»6

Forse la società degli indifferenti stadiventando intollerante perché nonha risolto alla radice il problema delladifferenza. Dove c’è indifferenza nonc’è – non ci può essere – riconosci-mento delle differenze, e senza rico-noscimento si genera l’abisso del-l’estraneità reciproca: quella per cuianche un bimbo di tre anni affogatoin mare per scappare dalla guerra,alla fine dei conti, è solo un episodiomediatico di cui tra qualche giornonon parlerà più nessuno. Il confronto con Walter Palmer, il den-tista del Minnesota, che ha ucciso edecapitato il leone Cecil, icona delparco nazionale dello Zimbabwe, su-scitando in tutto il mondo veementireazioni di protesta, in qualche casoal limite dell’isteria collettiva, è imba-razzante. La differenza fra i due epi-sodi è incommensurabile e per con-dannare il primo non è necessario

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approvare il secondo: la scala moralenon è indifferenziata e perdere il sensodelle proporzioni è il primo passoverso la sua delegittimazione.Questi episodi hanno in comune unamancata elaborazione della differenzapersonale, che nasce da una disso-ciazione del rapporto tra natura ecultura; un rapporto vitale e delicato,frutto di un equilibrio che ha storica-mente dei margini di oscillazione, mache in questo caso sembra radical-mente sovvertito. Ogni epoca storica ha elaborato lapropria identità più profonda attornoa un certo modo di interpretare il rap-porto tra natura e cultura, assimilabileai due fuochi di un’ellisse attorno allaquale prende forma l’umano: quantopiù tale interpretazione è in un equi-librio stabile e condiviso, tanto più lacomunità umana dialoga in modo pa-cifico e cooperativo, addomestical’ambiente, accompagna il progressotecnico ed economico con una con-comitante elaborazione culturale, frut-to di un dialogo continuo fra arte escienza, poesia e architettura, etica ediritto, religione e politica…La tradizione classica – non solo cri-stiana – ha interpretato la polarità dinatura e cultura nella forma di unacircolarità creativa, in cui la cultura siqualifica come una forma di “coltiva-zione spirituale della natura”, graziealla quale può prendere forma nel-l’essere umano una “seconda natura”,intercettando, promuovendo e innal-zando continuamente il telos più pro-fondo della “prima natura”. Solo riconoscendo che la centralitàdello statuto personale è possibilesottrarsi al pericolo di un circolo vi-zioso; l’accesso alla natura è sempre

culturalmente mediato, così comela elaborazione culturale non nascemai in vitro.Del resto, il rapporto stesso tra naturae persona manifesta già nel mondoantico un carattere radicalmente pro-blematico, messo in luce efficace-mente da Pierre Hadot: quanto più il“velo di Iside” viene sollevato e la na-tura è spogliata da ogni alone di mi-stero, tanto più il rapporto dell’uomocon essa diviene incerto e problema-tico. Il velo di Iside, la dea egizianadella maternità e della fertilità il cuiculto ebbe grande diffusione fra iGreci, raffigura la forma mutevoledella natura, che cela ai nostri occhiuna straordinaria profondità spirituale.Hadot costruisce attorno a quest’im-magine un’interessante storia dell’ideadi natura, che prende corpo a partireda due approcci antitetici: il paradig-ma volontarista di Prometeo toglie ilvelo a una natura avvertita comeostile, cercando di carpire con laforza i suoi segreti e di dominarlagrazie alla tecnica; secondo il para-digma contemplativo di Orfeo, inve-ce, l’uomo è parte viva della natura,rispetto alla quale viene meno ogniopposizione, e l’arte ne diventa unprolungamento estetico. Mentre Pro-meteo incarna la figura di colui cheruba il fuoco agli dèi per migliorarela vita degli uomini, Orfeo è colui chepenetra nei segreti della natura conla melodia e l’armonia, rispettandoneil mistero più profondo.7

Con la nascita della scienza modernae la ricerca di nuovi modelli di razio-nalità si assiste, sempre secondo Ha-dot, a una estremizzazione di tale an-tinomia. Una natura interamente “sve-lata” si ridurrà quindi a un oggetto

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muto nelle mani dell’uomo moderno,costretto a pagare il prezzo del propriopotere prometeico con uno spaesa-mento e una solitudine cosmica, chel’estetica romantica cercherà di vin-cere, contrapponendovi la celebra-zione di un’autenticità espressiva cheè unicamente misura a se stessa. Da un lato, il Seicento sta sotto il se-gno di Prometeo; per Francesco Ba-cone, ad esempio, la missione dellascienza è essenzialmente quella direstituire all’uomo i suoi diritti sullanatura: con il peccato originale lacreatura umana ha perso l’intelligenzae il potere sulla natura: la religionecristiana aiuta a riparare la prima per-dita, la scienza la seconda.8

Da un altro lato, invece, la meccaniz-zazione del mondo provoca, dallafine del Settecento, un’«angoscia ascoppio ritardato»9 e si avverte il bi-sogno di opporre a questo processoun approccio estetico alternativo, davon Humboldt a Baumgarten, daRousseau a Goethe, fino a tutto ilricco e variegato filone romantico. In realtà, il senso di quell’angosciatospaesamento esistenziale era statogià ben esplicitato da Pascal: «Nelconsiderare tutto l’universo muto, el’uomo senza luce, abbandonato ase stesso, e come smarrito in que-st’angolo dell’universo, senza saperechi ve l’abbia messo, cioè che v’è ve-nuto a fare, cosa diventerà morendo,incapace di ogni conoscenza, co-mincio a provare una grande paura,come un uomo che sia stato portatoaddormentato in un’isola deserta espaventosa e che si svegliasse senzasapere dove si trova e senza mezziper uscirne».10

Dalla divaricazione tra natura e artificio

inizia un pendolarismo inquieto chearriva fino ai nostri giorni e che la cul-tura postmoderna cercherà di depo-tenziare e assorbire in un amalgamasincretistico.

2. Equivoci postmoderni

Un tratto comune – quasi uno stereo-tipo - della nostra società dei “post”,nelle sue più svariate declinazioni(postmoderno, postsecolare, postme-tafisico, postmorale, postumano...),si manifesta come congedo disin-cantato dalla modernità e dalle sueverità troppo “forti”, attraverso unprocesso di erosione delle differenze,che prende di mira anzitutto la rela-zione tra natura e cultura, e quindi tranatura e artificio. La destabilizzazione dell’ellisse puòconoscere vie diverse: o aggiornandol’antica tentazione di una sovrappo-sizione dualistica, oppure assolutiz-zando l’uno o l’altro dei due fuochi, oancora sognando di fonderli in unaunità superiore. In questa luce possiamo leggere ilsovrapporsi di tre diversi paradigmiculturali del nostro tempo: biocentri-smo, nichilismo, postumano.Il biocentrismo, nelle sue diverse va-rianti (Shallow Echology, Deep Echo-logy, Movimento di liberazione ani-male) guarda con sospetto a ogni“artificio” culturale come responsabiledi un potenziamento antropocentricoche avrebbe agito come un’arma mi-cidiale nei confronti della biosfera.Rispetto a una natura ritenuta intrin-secamente normativa, l’umano deveessere riportato all’indietro, verso l’in-fraumano come la sua vera patria.Cultura, storia e tradizione sono una

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forma di prevaricazione specista dacui liberarsi.L’assolutizzazione della dimensioneculturale è invece l’esito estremo delnichilismo postmoderno, che riduce,insieme a Nietzsche, tutti i fatti a in-terpretazioni, accettando una ver-sione dello storicismo moderno ra-dicalmente indebolita e priva di qual-siasi utopia secolaristica di emanci-pazione collettiva. Ormai smarrito iltitanismo nietzscheano della volontàdi potenza, il nichilismo veste oggipanni minimalisti, autorizzando un“individualismo delle preferenze” ap-parentemente inoffensivo ma nonmeno letale, che pretende d’innalzarein modo insindacabile la bandieradei diritti sulle ceneri di un ordinenaturale interamente annullato. Nella sua forma estrema nichilismosignifica questo: prima della libertànon c’è – letteralmente – nulla. Ex ni-hilo: proprio come Dio.La prospettiva del postumano si col-loca invece in una posizione in uncerto senso intermedia, che combinainsieme natura e artificio. Attribuendo alla materia intelligenzae capacità di auto-organizzazione, siprospetta la possibilità di un poten-ziamento indefinito dell’umano, fruttodi una ibridazione tra bios e techne,per cui natura e cultura non si possonopiù distinguere, risolvendosi l’unanell’altra. Il senso dell’umano in questocaso è nell’ultraumano; non è l’in-compiutezza che ci contraddistinguema la ridondanza, fonte inesauribiledi sempre nuove identità plurali.In questi tre orientamenti, suggeriti informa schematica e puramente esem-plificativa, riemerge puntualmente unnodo non risolto, proprio intorno al

rapporto tra natura e cultura: ne risultain ogni caso, anche se per vie diverse,una decostruzione del senso originariodell’umano da cui dipende un so-stanziale abbandono di qualsiasi for-ma di umanesimo. Gli esiti sono, a volte, schizofrenici,oscillando in modo incoerente tral’assolutizzazione acritica – e quindila semplificazione ideologica – dellanatura come una dimensione valorialeoriginaria e, al contrario, un illimitatopotenziamento libertario del soggetto,che può manifestarsi nella celebra-zione nichilistica della volontà indivi-duale o nella fuga in avanti verso un“oltreuomo”, affidato alle promessedella tecnologia. Il riflesso nel vissutoquotidiano è immediato: ad esempio,si può difendere il ricorso alla pro-creazione assistita, finalizzato all’ado-zione da parte di persone dello stessosesso (legittimando persino una derivaeugenetica), e combattere nello stes-so tempo una battaglia “politicallycorrect” contro l’introduzione in agri-coltura di organismi geneticamentemodificati (OGM).Allo stesso modo, la difesa della omo-sessualità nella maggior parte deicasi è legittimata invocando una ten-denza naturale (non si “sceglie” diessere gay…), mentre varie formequeer di transessualismo rivendicano,al contrario, la plasticità indeterminatadel culturale, rispetto a cui ogni pre-sunta rigidezza del naturale dev’es-sere sottoposta a un’opera di radicaledemistificazione e decostruzione. Lostesso dibattito sul gender, guardatoperaltro con sospetto dalla linea dipensiero femminista più impegnata erigorosa, che ha a cuore il tema delladifferenza sessuale, è in un certo sen-

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so la conferma di un groviglio di equi-voci sui quali il mondo cattolico ha laresponsabilità di esercitare una vigi-lanza critica, documentata e dialogica:per un verso, va respinto il tentativodi operare una dissociazione totale diqualsiasi nesso tra costituzione so-matica e identità di genere, per la suapretesa di negare uno strato originariodi vita naturale, contrapponendole ilmito di una autenticità disincarnata;11

per altro verso, tuttavia, bisogna evi-tare anche la reazione opposta di chiimmagina di rifugiarsi - in modo chiusoe non meno ideologico – in un meroriduzionismo naturalistico, rischiandodi delegittimare il valore della matu-razione psicologica, affettiva e moraledella persona umana. In tal caso sipuò correre il pericolo opposto di unbiologismo deterministico, avallandopersino un vero e proprio “darwinismosociale”, che attribuisce valore nor-mativo al principio della lotta per lasopravvivenza del più forte. Comespesso accade in questi casi, le uni-lateralità di segno opposto finisconoper potenziarsi reciprocamente, di-ventando complici di una involontariaalleanza, in cui si perde di vista latensione e l’implicazione reciproca dinatura e cultura.

3. Differenze e relazioni

La difficoltà di articolare correttamente– distinguere senza separare, direbbeMaritain – il rapporto tra natura e cul-tura è il sintomo più vistoso della dif-ficoltà ancor più originaria di ricono-scere la questione della differenza.Ogni epoca incontra tale questione,sia pure elaborandola con categoriediverse: differenza fra l’uno e i molti

nella filosofia greca; tra creatore ecreatura nel pensiero cristiano; tramediazione razionale e immediatezzaempirica nel pensiero moderno, tra-ducendosi nella oscillazione ricordatatra il primato illuministico del logos equello romantico del pathos. Una eredità ingombrante che oggidilaga a tutto campo, destrutturandonon solo differenze di ordine culturale,politico, religioso (in cui rischia di es-sere smarrito il confine tra pluralismoe relativismo), ma anche, a livello di-verso, il senso stesso della riflessioneepistemologica, etica e antropologica,fondata sulla differenza tra vero e fal-so, buono e cattivo, giusto e ingiusto,maschile e femminile, natura e per-sona, essere e nulla, finito e infinito.12

Nell’ammonimento durissimo rivoltonell’Apocalisse alla Chiesa di Laodi-cea «Conosco le tue opere: tu nonsei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Mapoiché sei tiepido, non sei cioè néfreddo né caldo, sto per vomitartidalla mia bocca»(Ap 3,15-16) si puòleggere non solo la denuncia di ognirisposta troppo tiepida all’appelloesigente della Parola, ma anchel’esito letteralmente indigeribile deltentativo di “mangiare la differenza”,cioè di incorporarla, consumarla edespellerla, che segna il peccato com-messo in origine attingendo al «fruttodell’albero che sta in mezzo al giar-dino» (Gen 3,3). La disarticolazione delle differenzepuò avvenire in modi diversi: trasfor-mandole o in un muro insuperabile o,al contrario, in un flatus vocis insigni-ficante. In entrambi i casi, a dire ilvero, la differenza viene negata: o pereccesso, quando il muro contro muro

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s’innalza fino al cielo, degenerandoin una logorante guerra di posizione;oppure per difetto, quando arriva atrasformarsi in vera e propria indiffe-renza alle differenze, che è in un certosenso la formula stessa del relativi-smo. In una deriva ancora più estrema,oggi si arriva a relativizzare persinotale dilemma, alternando di volta involta atteggiamenti di inclusione em-patica nel circuito micro dei “rapporticorti”, in cui le differenze sono effimereproiezioni del desiderio, e atteggia-menti di esclusione sospettosa nelcircuito macro dei “rapporti lunghi”,in nome di una paura indifferenziata.13

Il risultato di questo complesso pro-cesso di disarticolazione è in ognicaso preoccupante: nell’ipotesi mi-gliore, comporta un’opzione a favoredi un soggetto nomade e plurale, im-pegnato a vivere l’orizzontalità apertadelle differenze antropologiche e so-ciali senza la verticalità metafisicadella differenza, come in alcune formeprovocatorie di filosofia al femminile;14

nel peggiore, può degenerare in formeregressive di tribalismo, che «abbina– come rileva Sennett – la solidarietàper l’altro simile a me con l’aggressivitàcontro il diverso da me».15

All’origine sta in ogni caso lo smarri-mento di una razionalità capace di in-terrogarsi criticamente sui fini e quindidi riconoscere la differenza autenticacome relazione (intesa come limite[Grenze], avrebbe detto Kant, cioècome frontiera che delimita rispettoa un orizzonte di ulteriorità, e non co-me confine [Schranke], inteso soprat-tutto come barriera e ostacolo). Inogni caso, alla ragione che rinuncia asporgersi al di là del limite e a ricono-scere l’ulteriorità del religioso (sempre

sulla base di un atto di ragione, avreb-be precisato Pascal), non rimane checedere le armi dinanzi all’immedia-tezza delle pulsioni, mentre la tecno-scienza rivendica il monopolio esclu-sivo di una razionalità strumentale,dimenticando che quest’ultima può(forse) dare quello che desideriamo,ma non può certo dire che cosa dob-biamo desiderare.

4. La persona come differenzasussistente

Il banco di prova che consente di mi-surare concretamente questa sortadi “eclisse della differenza” ci è offertodalla perdita o – peggio ancora –dalla rinuncia alla nozione di identitàpersonale a favore di un’enfasi sul-l’impersonale, che accomuna larghisettori del pensiero contemporaneo.Secondo Parfit, ad esempio, ogniquestione intorno all’identità perso-nale è irrilevante, essendo semprepossibile «descrivere la nostra vita inmodo impersonale»,16 in quanto ridu-cibile a mera connessione fra eventi.Dennett aggiunge che «non c’è ununico e definitivo “flusso di co-scienza”, perché non c’è un QuartierGenerale centrale, un Teatro Car-tesiano dove “tutto converge” peressere attentamente scrutinato daun Autore Centrale… Migliaia di semi, nella maggior partetrasportati dal linguaggio, ma ancheda “immagini” senza parole e altrestrutture di dati, stabiliscono la lororesidenza in un cervello individuale,forgiando le sue tendenze e trasfor-mandolo quindi in una mente».17 Sipotrebbe ricordare anche Metzinger:«Siamo macchine dell’io, ma non ab-

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biamo un sé».18 La differenza fra per-sonale e impersonale è disinvolta-mente aggirata da tutte le forme dinaturalismo e di “ultra-darwinismo”,per le quali, ad esempio secondoDawkins, «noi, e tutti gli altri animali,siamo macchine create dai nostrigeni»,19 cioè «macchina da soprav-vivenza, robot semoventi program-mati ciecamente per preservarequelle molecole egoiste note sotto ilnome di geni».20

A queste scomposizioni antropologi-che corrisponde puntualmente il di-sgregarsi di un orizzonte morale altoe condiviso: «L’uomo – ha scritto Mo-nod – sa di essere solo nell’immensitàindifferente dell’Universo da cui èemerso per caso. Il suo dovere, co-me il suo destino, non è scritto innessun luogo».21 Il risultato è unadecostruzione senza residui del les-sico personale, accantonato in fa-vore dell’impersonale o risemantiz-zato in forme bizzarre e arbitrarie,favorite dal venir meno non solo delriferimento teologico, ma anche diquello ontologico: la persona nondice più l’essere creato a immaginedi un Dio Trinità, ma nemmeno l’es-sere in senso vero (anche se non insenso pieno) dell’umano. Separata da tali orizzonti, teologici eontologici, l’idea di persona, ridotta aun attributo fenomenico estrinseco, èsoggetta a una duplice metamorfosi:per un verso, può essere estesa anchea individui non-umani (naturali, comei mammiferi superiori, in quanto dotatidi autocoscienza, secondo non pochianimalisti, e artificiali, come in futuropotrebbero essere gli organismi bionicio cyborg, di forma umanoide, com-posti di organi artificiali e biologici);

per altro verso, un essere umano nonè più considerato persona quandomanca di alcuni requisiti funzionali,che secondo alcuni sarebbero assentinei feti, nei bambini cerebrolesi, neglihandicappati gravi, nei malati terminali,per cui in questi casi si dovrebbe par-lare di individui umani non-persone.Non è difficile demistificare questi ri-duzionismi fuorvianti. La differenzafra personale e impersonale ha la suaespressione più immediata nella dif-ferenza – evidente e semplicissimanei suoi “fondamentali” – fra umanoe disumano: la stessa che intercorretra pietà ed empietà. Dinanzi alla violenza, alla sofferenza,all’ingiustizia l’empietà tace, si voltadall’altra parte o addirittura aggredi-sce; la pietà no: la pietà soccorre epresta aiuto; se serve, presta anchela voce a chi non ha più fiato in gola.L’umano si distingue dal disumanoperché dinanzi al male può ma nondeve: può commetterlo ma non devefarlo; può chiudersi nell’indifferenzama non deve chiudersi. Questa differenza originaria è la lineadi frontiera tra bene e male dinanzialla nostra libertà: dinanzi al benepossiamo e dobbiamo, dinanzi almale possiamo e non dobbiamo.La vera questione è assumersi la re-sponsabilità di vivere sulla “soglia didue mondi”, senza scissioni o re-gressioni né in senso naturalistico néin senso culturalistico. Anche secondo Stoppa, l’invito os-sessivo a reinventare continuamentela propria identità, sullo sfondo di uninsuperabile relativismo, può alimen-tare una pericolosa «malattia della di-pendenza» che assume i connotati diun incubo, proprio «per la difficoltà di

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trovare gli strumenti di pensiero adattia istituire una forma sufficientementecreativa di legame con l’altro: una re-lazione, in altri termini, nutrita dalsentimento della vita».22

Oltre a questo, ogni spinta riduzionistasi espone alla spada di Damocle diuna contraddizione performativa: iltentativo di disconoscere l’identitàpersonale, come equilibrio dinamicoe perfettibile tra “prima” e “secondanatura”, è contraddetto dall’atto stes-so di tale negazione. Siamo così rin-viati a una domanda cruciale: l’identitàpersonale può essere validamentedifesa attraverso una fuga, più o menodichiarata e metodica, dalle differenzeo, al contrario, dev’essere guadagnataproprio nel crocevia delle differenze,se non addirittura “geneticamente”costituita dalla differenza?Un paradosso abita la persona umanacome soggetto di libertà: la sua iden-tità più alta è costituita da una condi-zione di cui la persona stessa nonpossiede la radice. «Radicem radicisquaerere non possum»,23 direbbeAgostino. In quanto inaudita capacitàdi cominciare da se stessa, la libertàè «una strana causa – aggiunge Ri-coeur –, poiché mette fine alla ricercadella causa»;24 solo un essere tra-scendente è capace di donare taleradice, senza che il dono leghi a sécolui che lo riceve, trasformandosi inun vincolo soffocante. Nessun uomo, ci ricorda Kierkegaard,può rendere completamente liberoun altro: «soltanto l’onnipotenza puòriprendere se stessa mentre si dona,e questo rapporto costituisce appuntol’indipendenza di colui che riceve».25

Nella libertà è racchiusa quindi unadifferenza irriducibile, attraverso la

quale traspare la vocazione infinitadell’essere umano: la differenza fraquanto la persona, come soggetto almondo, riceve da esso e quanto, co-me soggetto nel mondo, essa puòrestituire; una restituzione che com-porta la possibilità di una eccedenzainfinita. Nel bene e nel male: si puòscegliere – anche in condizioni diestrema fragilità e vulnerabilità – l’in-finito del bene, al quale il credente ri-conosce un volto personale, ma an-che, nonostante la gratuità immeritatadei doni ricevuti, restituire un eccessoabissale di male. Solo nell’orizzonte del bene, tuttavia,la persona umana può raggiungere ilvero compimento, che incremental’ordine ontologico edificando un“nuovo” ordine morale.26

Siamo così rinviati, interrogando lostatuto antropologico sul filo delladifferenza, alla nozione di coscienzaintesa come relazione intrapersonale,intesa come irrinunciabile punto disnodo fra relazionalità orizzontale,chiamata all’edificazione di una buonareciprocità, e relazionalità verticale,in cui finito e infinito paradossalmentesi toccano. L’autorelazione attesta una messa adistanza dell’io rispetto a se stesso,costituita da una tensione indissolu-bile fra autonomia e responsabilità,che sono le due facce della libertàpersonale. Come sostiene Taylor,l’adozione del “punto di vista di primapersona… porta in primo piano untipo di presenza a se stessi insepara-bilmente legato al fatto che siamoagenti di esperienza, cioè realtà al-l’accesso alle quali è asimmetrico».27

Per il suo carattere attivo e ultima-mente non delegabile, questa auto-

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relazione pratica acquista una inne-gabile valenza autoimplicativa: «quan-do sondo la profondità della memoria,non mi limito a riprodurre un ordineche era già là, ma partecipo alla suacostruzione».28

Viene in primo piano, a questo punto,la « differenza che io sono rispetto ame stesso […] È l’alterità che io sonoma, dal momento che di alterità sitratta, io nel contempo non lo sono»;29

precisamente alla luce di questa pro-spettiva l’identità personale è questadifferenza, nella forma di una tensioneirriducibile in cui si riassume la suagrandezza e miseria. Secondo Kierkegaard, questa identitàparadossale scaturisce dal fatto che«l’uomo è una sintesi d’infinito e di fi-nito, di tempo e di eternità, di possi-bilità e di necessità, insomma unasintesi». Solo lo spirito, cioè il terzo,riesce ad essere il luogo di questasintesi dell’eterogeneo, che nessunaacrobazia concettuale sarebbe ingrado di contenere. L’infinito non èuna dimensione “esterna”, alla qualeun io compiutamente autosussistentepuò aprirsi, se vuole correre un’av-ventura metafisica opzionale. L’io quindi non può essere testimonepassivo di tale rapporto, ma è il«terzo positivo», in quanto «il rap-porto si mette in rapporto con sestesso».30

In tale prospettiva la differenza infinitadiventa per l’essere umano origine ecompito. Al fondo dell’io s’intravederiflessivamente – per speculum – unaenigmatica anomalia antropologica:nell’incontro di incompiutezza ed ec-cedenza, di limite e ulteriorità, di fi-nitezza e trascendenza la coscienzariconosce la sproporzione della per-

sona umana, sempre in bilico tragrandezza e miseria. Ultimamente,tutto si riporta al cuore della diffe-renza infinita che l’essere umano è ase stesso, dove solo può trovare lasua identità più propria: origine ecompito. Anche per questo, para-frasando Rosmini,31 si potrebbe forseidentificare la persona come la “dif-ferenza sussistente”.

5. Dare forma all’umano

«Ogni uomo – ha scritto Kierkegaard– è una sintesi di corpo e anima, de-stinata ad essere spirito, questa è lacasa; ma l’uomo preferisce stare incantina, cioè nella determinazionedella sensualità. E non solo preferiscestare in cantina, ma l’ama fino alpunto da montare sulle furie se unogli vuol proporre di occupare il pianodi sopra ch’è vuoto e a sua disposi-zione perché la casa in cui abita èsua».32 Questo testo anticipa in modoefficace la crisi profonda dell’umane-simo, che è come il superattico diuno splendido edificio, in cui perònessuno sembra più voler vivere. Oggi quell’edificio ci appare diroccatoe le macerie hanno invaso persino lacantina. L’intera città sembra ridottaa uno spazio desolato e invivibile. Isuoi abitanti sono diventati nomadi:diffidano non solo della cantina, mapersino dell’idea stessa di una casacomune, solida, abitabile e ospitale.Sotto molti aspetti hanno ragione:negli ultimi secoli in nome della pro-messa di un uomo nuovo sono staticostruiti nuovi quartieri, che alla finesi sono ridotti a un lager gigantesco.Per questo, probabilmente, l’uomonomade e spaesato diffida dell’uma-

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nesimo, soprattutto quando è elabo-rato da chi non è in grado di conveniresui fondamentali dell’umano. L’umanesimo è un orizzonte culturale,frutto di una elaborazione condivisadell’umano, in cui convergono un’ar-ticolazione fondamentale del sensodella vita, un modello di convivenzacivile e un progetto di futuro.Oggi è il senso più elementare del-

l’umano che abbiamo bisogno primadi tutto di restaurare; è inutile sognarel’arredamento di un superattico quan-do persino la cantina è sommersadalle macerie. Ritrovare la forma, lamisura dell’umano è il primo passoper poter dare forma alla vita. Secondo Taylor la nostra cultura oc-cidentale ha ereditato dalla modernitàprincipi alti in tema di diritti, giustizia,benevolenza; tuttavia «i principi ele-vati richiedono fonti forti»,33 attingonocioè a una sorgente del bene allaquale non possiamo risalire percor-rendo la strada della sensibilità indi-viduale o limitandoci a ripetere for-mule vuote e velleitarie. Non possiamo dare forma alla vitapensando di viaggiare in prima classecon un biglietto di terza.«La posta in gioco – secondo Ford –è la forma stessa da dare al propriovivere. Impegnarsi in questo, mentresi sperimenta l’eccedenza, non è que-stione da poco».34

È questa, in ultima analisi, la ragioneultima di ogni autentica responsabilitàeducativa: «Compito principale del-l’educazione – ci ricorda Maritain – èsoprattutto quello di formare l’uomo,o piuttosto di guidare lo sviluppo di-namico per mezzo del quale l’uomoforma se stesso ad essere uomo».35

Il compito che corrisponde a questa

condizione liminare consiste quindiessenzialmente nel riconoscere – eattraversare – la porta che noi stessisiamo, nella nostra insuperabile epreziosa fragilità,36 senza illudersi diavere in pugno un “grado zero” del-l’umano, che in un colpo solo possaazzerare la domanda ontologica del-l’origine e la domanda etica del com-pito. Può essere chiamata porta dellafede per chi l’attraversa lasciandosiprendere per mano, ma anche portadell’infinito per chi la riguarda solodal lato di una finitezza aperta.La ricaduta educativa e pastorale èevidente: anziché “giocare in difesa”nei confronti di una deriva culturaleche pone la libertà più grande “al dilà del bene e del male”, occorre re-cuperare l’idea di una vita morale con“il piede sull’acceleratore”. La moraleè per il morale, nel senso che aiuta a“star su di morale”, sviluppandosi nelsegno del sì: “Tu puoi fare di più, puoiessere di più: più buono, più libero,più felice…” (che sono, in ultima ana-lisi, la medesima cosa). L’apertura infinita della libertà su unorizzonte di trascendenza non avvienea scapito della finitezza: la distanzainfinita del creatore rispetto alla crea-tura – nell’ordine dell’essere, non inquello dell’amore – non rappresentaun peso antropologicamente inso-stenibile, che limita o schiaccia la no-stra libertà. Al contrario, il finito che implica unanegazione dell’infinito si trasformaimmancabilmente in bene ultimo,esponendo l’essere umano al pericolodi soffocare nel circuito mortificantedelle piccole cose e quindi alla ditta-tura di assoluti terrestri non solo ester-ni ma anche interni: le pulsioni istin-

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tuali, i bisogni immediati, le voglieche si travestono da desideri… Essereschiavi di se stessi, a volte, è il rischiopiù grande.Una grande stagione si apre davantia noi. Anziché accontentarci di sche-matismi irrigiditi e ostili, che nasconodall’arroccamento, dalla paura o piùsemplicemente dalla perpetuazionedi una apatia soddisfatta, si tratta diintercettare nomadismo inquieto – fi-sico e simbolico, naturale e culturale– di donne e uomini concreti, facen-doci compagni di strada esigenti emisericordiosi, nell’ordine della rifles-sione critica e della testimonianzapratica, capaci di trasmettere percontagio un messaggio molto sem-plice: Non rinunciate all’infinito! Nonrinunciate a scavare nella profonditàinesauribile del vissuto, verso l’origi-nario, in quell’incrocio di natura ecultura che per gli umani è limite e ri-sorsa, fragilità e avventura, orizzontedi grandi domande e di grandi compiti,ma anche di umiliante vulnerabilità edi indecenti bassezze…Come ci ha indicato in modo profeticopapa Francesco nella sua enciclicaLaudato si’. Sulla cura della casa co-mune, c’è un primato della personasulla natura che non ha nulla a chefare con un antropocentrismo domi-nativo, certamente inaccettabile; unprimato che non si configura in terminidi potere, ma di responsabilità e per-sino – un cristiano dovrebbe aggiun-gere – di amore e di cura. La via individuata dal personalismocristiano e maturata in dialogo con ilpensiero classico resta quindi più chemai attuale: nella correlazione di na-tura e cultura s’intravede qualcosadel mistero della persona umana, che

ha la capacità straordinaria non solodi adattarsi all’ambiente e di adattarea sé l’ambiente, ma di dar vita – informe cooperative e condivise – ad-dirittura a una “seconda natura”, coe-rente con la prima e capace di riflet-tere, in forme fragili e perfettibili, l’al-tezza della trascendenza di cui è chia-mata ad essere testimone. Scaturisce da qui almeno un doppiocompito, culturale ed educativo: essosi estende dall’orizzonte minimale delrispetto della vita, come dovere pri-mario, all’orizzonte massimale dellapromozione della persona, come va-lore ultimo. Il primo imperativo nascecome risposta doverosa al bene dellavita: un bene originario che siamo te-nuti a rispettare, in senso relativo, intutte le forme organiche in cui si ma-nifesta, e in senso assoluto in ogniessere umano. Tale attenzione al mondo della vita sirealizza anzitutto contrastando, se-condo la logica minimale del divieto,ogni forma di strumentalizzazione osfruttamento della persona, a comin-ciare dalla sfera della corporeità edella salute (una difesa della personanon solo dagli altri, ma che in casiestremi potrebbe spingersi a difen-derla anche da se stessa); a un livelloulteriore, si delinea quindi l’orizzontedi una cultura ispirata alla logica mas-simale della promozione, dove l’im-pegno – eminentemente culturale ededucativo – è rivolto al miglioramentoqualitativo delle condizioni di eserciziodella libertà e alla edificazione delbene comune da cui dipende l’innal-zamento dell’ethos condiviso. In una lettera di Gustav Flaubert silegge: «Più i telescopi saranno perfettie più numerose saranno le stelle».37

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Tocca a noi, chiamati a vivere nellapenombra di questo “tempo di mez-zo”, continuare umilmente a offrire ilnostro servizio in quella “fabbrica ditelescopi” deludente e magnifica che,nonostante tutto, continua ad esserel’università, per far brillare sopra dinoi un cielo altrimenti sempre troppoopaco e spento.

NOTE1 MOUNIER Emmanuel, Il personalismo, a curadi Giorgio Campanini e Massimo Pesenti, Ro-ma, AVE 2004, 137.2 Cf ESPOSITO Roberto, Bios. Biopolitica e filo-sofia, Torino, Einaudi 2004, VII.3 SINGER Peter, Liberazione animale. Il libroche ha ispirato il movimento mondiale per laliberazione degli animali, a cura di Paola Ca-valieri, Milano, Mondadori 1991, 3. 4 Ivi 27.5 SINGER Peter, Etica pratica, trad. it. di Giam-paolo Ferranti, Napoli, Liguori 1989, 127.

6 PAOLO VI, Lettera enciclica sulla questionesociale: Populorum Progressio n. 83 (26 marzo1967), in http://w2.vatican.va/content/paul-v i / i t / e n c y c l i c a l s / d o c u m e n t s / h f _ p -vi_enc_26031967_populorum.html (18-11-2015).7 Cf HADOT Pierre, Il velo di Iside. Storia dell’ideadi natura, trad. it. di Davide Tarizzo, Torino, Ei-naudi 2006, 93-95.8 Cf BACONE Francis, Novum Organum, II, § 52(cit. da HADOT, Il velo di Iside 127).9 Cf LENOBLE Robert, Histoire de l’idée denature, Paris 1969, 317 (cit. da HADOT, Il velodi Iside 259).10 PASCAL Blaise, Pensieri, 693 (Chevalier),trad. it. di Adriano Bausola e Remo Tapella,Milano, Bompiani 20094, 215.11 Come ha affermato papa Francesco, a pro-posito della differenza sessuale, «la rimozionedella differenza […] è il problema, non la so-luzione» (FRANCESCO, Discorso all’Udienza ge-nerale, 15 aprile 2015, in http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/do-cuments/papa-francesco_20150415_udien-za-generale.html) (18-11-2015). Citato anchenella Relazione finale del Sinodo dei Vescovial Santo Padre Francesco, 24 ottobre 2015,n. 8, in https://press.vatican.va/content/sala-stampa/it/bollettino/pubblico/2015/10/24/0816/01825.html (18-11-2015).12 Su questo aspetto rinvio al mio libro Cielodi plastica. L’eclisse dell’infinito nell’epocadelle idolatrie, San Paolo, Cinisello Balsamo2009.13 Ho cercato di sviluppare la differenza tra“rapporti lunghi” e “rapporti corti” nel miolibro Il terzo escluso, San Paolo, Cinisello Bal-samo 2004.14 Ad esempio, secondo Rosi BRAIDOTTI, «ilsoggetto postumano nomade è materialista evitalista […] polimorfo e relazionale e perfet-tamente comprensibile all’interno dell’ontologiamonista, attraverso le lenti di Spinoza, Deleuzee Guattari, delle teorie femministe postcolo-niali» (ID., Il postumano. La vita oltre l’individuo,oltre la specie, oltre la morte, trad. it. di AngelaBalzano, Roma, DeriveApprodi 2014, 197).Per questo occorre evitare ogni dicotomia ri-gida: «La distinzione sesso/gender non fa cheperpetuare la divisione natura/cultura che co-stituisce l’aspetto peggiore dell’eredità carte-

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siana di de Beauvoir» (BRAIDOTTI Rosi, Femmi-nismo, anche con altro nome…, DWF 26-27[1995] 53. Ma il rifiuto della dicotomia alla finesi rovescia in un continuum tra natura-cultura,che consentirebbe di ipotizzare un processodi totale metamorfosi postumana, in cui «ilsoggetto è un’entità trasversale, pienamenteimmersa in e immanente a una rete di relazioninon umane (animali, vegetali, virali)» (ID., Il po-stumano 202).15 SENNETT Richard, Insieme. Rituali, piaceri,politiche della collaborazione, trad. it. di AdrianaBottini, Milano, Feltrinelli 2012, 14.16 PARFIT Derek, Ragioni e persone, trad. it. diRodolfo Rini, Milano, Il Saggiatore 1989, 279.17 DENNETT Daniel Clement, Sweet dreams: il-lusioni filosofiche sulla coscienza, trad. it. diAntonino Cilluffo, Milano, Cortina 2006, 283-284.18 METZINGER Thomas, Il tunnel dell’io. Scienzadella mente e mito del soggetto, trad. it. diMatteo Baccarini, Milano, Cortina 2010, 237.19 DAWKINS Richard, Il gene egoista, trad. it. diGiorgio Corte e Adriana Serra, Milano, Mon-dadori 2004, 4.20 Ivi VIII. Per un’analisi documentata e critica-mente vigile sulla questione rimando all’operadi Luca GRION, Persi nel labirinto. Etica e an-tropologia alla prova del naturalismo, Milano –Udine, Mimesis 2012.21 MONOD Jacques, Il caso e la necessità, trad.it. di Anna Busi, Milano, Mondadori 1986,171-172.22 STOPPA Francesco, La restituzione. Perchési è rotto il patto tra le generazioni, Milano, Fel-trinelli 2011, 207.23 C. Fort. 21. 24 RICOEUR Paul, La semantica dell’azione. Di-scorso e azione, a cura di Antonio Pieretti, Mi-lano, Jaca Book 1986, 83.25 KIERKEGAARD Sören, Diario, a cura di CornelioFabro, I, Brescia, Morcelliana 1962, n. 1017,513.26 Rinvio su questo punto al mio libro Filosofiamorale, La Scuola, Brescia 2011.27 TAYLOR Charles, Radici dell’io. La costruzionedell’identità moderna, trad. it. di Rodolfo Rini,Milano, Feltrinelli 1993, 172.28 Ivi 184.

29 MEYER Michel, Piccola metafisica della dif-ferenza. Religione, arte e società, trad. it. di S.Crapiz, Genova, Il melangolo 2009, 25. Sempresecondo Meyer «la differenza si è imposta...come problema stesso dell’uomo o, in altritermini, dell’umano come problema. Negoziarela differenza è la sola strada praticata dall’ioper costruire se stesso. Con ciò ne va dell’in-dividuo come della società» (Ivi 31).30 KIERKEGAARD Sören, La malattia mortale,trad. it. di Cornelio Fabro, Firenze, Sansoni1970, 215.31 «Se dunque la persona è attività supremaper natura sua […] si deve trovare nell’altrepersone il dovere morale corrispondente dinon lederla, di non fare pure un pensiero, untentativo volto ad offenderla o sottometterla,spogliandola della sua supremazia naturale[…] la persona ha nella sua natura stessa tuttii costitutivi del diritto: essa è dunque il dirittosussistente, l’essenza del diritto» (ROSMINI An-tonio, Filosofia del diritto, Padova, Cedam1967, 192).32 KIERKEGAARD Sören, La malattia mortale, inOpere, trad. it. Cornelio Fabro, Firenze, Sansoni1972, 642.33 TAYLOR Charles, Radici dell’io. La costruzionedell’identità moderna, trad. it. di Rodolfo Rini,Milano, Feltrinelli 1993, 626.34 FORD David F., Dare forma alla vita. Sugge-rimenti spirituali per la vita quotidiana, trad. it.di C. Frescura, Magnano, Qiqajon 2003, 14.35 MARITAIN Jacques, Per una filosofia dell’edu-cazione, a cura di Giancarlo Galeazzi, Brescia,La Scuola 2001, 60.36 Rimando in proposito al mio libro Il fragile eil prezioso. Bioetica in punta di piedi, Brescia,Morcelliana (in corso di stampa).37 FLAUBERT Gustave, 142. A Mademoiselle Le-royer de Chantepie (6 giugno 1857), ne L’operae il suo doppio. Dalle lettere, trad. it. di FrancoRella, Roma, Fazi 2013.

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