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Q uanto abbiamo scritto e detto a proposito della Giornata della Memoria e dell’8 marzo e della necessità di dar luogo a una riflessione che non sia circoscritta a queste due date, vale anche per l’Anniversario della Liberazione. Ora più che mai, visto il clima politico e culturale affermatosi in Italia. Noi che amiamo la verità e condanniamo qualsiasi mistificazione, qualsiasi tentativo di rimescolare le carte della storia, respingiamo con sdegno l’insulto rappresentato dalla proposta di legge numero 1360 che vorrebbe mettere sullo stesso piano di dignità partigiani e repubblichini o, se preferite, combattenti per la libertà e aguzzini. In occasione di questo 25 Aprile alziamo il volume della nostra voce per dire no a tale scempio e a ogni altra minaccia alle fondamenta della nostra Costituzione. Ieri i partigiani lottavano necessariamente con le armi in pugno, ma i loro gesti erano guidati da un ideale. Oggi noi dobbiamo lottare con le armi della cul- tura e del buon senso contro la volgarità di chi in questo momento sta contribuendo significativamente al declino morale del nostro Paese. Ieri i rastrellamenti delle milizie nazifasciste, oggi il “rastrella menti” di un governo che vorrebbe cambiare la storia e i suoi significati, confondere le idee alla gente e abituarla alla menzogna. Oggi come ieri Resistenza. Una Resistenza attiva da portare avanti con le armi della cultura da tutti noi che crediamo nei valori e nel messaggio del 25 Aprile, un messaggio senza data e senza scadenza. Buona Liberazione. AURORA AURORA Editoriale www.aurorainrete.org numero 5 Anno II - aprile 2009 Periodico di informazione e cultura italiana per gli italiani residenti all’estero AURORA AURORA di Massimo Congiu di Roberto Galtieri IN QUESTO NUMERO ... ... ED ALTRO ANCORA CI SIAMO (verso le elezioni europee) di Roberto Galtieri pp. 1-2 Giornale per l’unità comunista I l simbolo della lista unitaria dei due partiti comunisti PdCI e Prc per il rinnovo del Parlamento europeo è fatto. Nelle schede elettorali troveremo una sola falce e martello. (segue in seconda) CI SIAMO L’unità dei comunisti fa un considerevole passo in avanti sempre 25 Aprile 1945 SPECIALE 25 APRILE La Festa più attuale che c’è Oggi in ItaliaESSERE ITALIANI A BRUXELLES: incontro con 6 connazionali di Roberto Galtieri pp. 14-16 UNITÀ COMUNISTA IN BELGIO E LUSSEMBURGO di Mario Gabrielli Cossellu pp. 17-18 DONNE DURANTE IL FASCISMO AL FEMMINILE non solo 8 marzo di Claudia Cimini pp. 19-20 di Massimo Recchioni pp. 10-13

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Quanto abbiamo scritto e detto a proposito della Giornata della Memoria e dell’8 marzo e della necessità di dar luogo a una riflessione che non sia circoscritta

a queste due date, vale anche per l’Anniversario della Liberazione. Ora più che mai, visto il clima politico e culturale affermatosi in Italia. Noi che amiamo la verità e condanniamo qualsiasi mistificazione, qualsiasi tentativo di rimescolare le carte della storia, respingiamo con sdegno l’insulto rappresentato dalla proposta di legge numero 1360 che vorrebbe mettere sullo stesso piano di dignità partigiani e repubblichini o, se preferite, combattenti per la libertà e aguzzini. In occasione di questo 25 Aprile alziamo il volume della nostra voce per dire no a tale scempio e a ogni altra minaccia alle fondamenta della nostra Costituzione. Ieri i partigiani lottavano necessariamente con le armi in pugno, ma i loro gesti erano guidati da un ideale. Oggi noi dobbiamo lottare con le armi della cul-tura e del buon senso contro la volgarità di chi in questo momento sta contribuendo significativamente al declino morale del nostro Paese. Ieri i rastrellamenti delle milizie nazifasciste, oggi il “rastrella menti” di un governo che vorrebbe cambiare la storia e i suoi significati, confondere le idee alla gente e abituarla alla menzogna. Oggi come ieri Resistenza. Una Resistenza attiva da portare avanti con le armi della cultura da tutti noi che crediamo nei valori e nel messaggio del 25 Aprile, un messaggio senza data e senza scadenza.Buona Liberazione.

AURORAAURORA

Editoriale

www.aurorainrete.org

numero 5Anno II - aprile 2009

Periodico di informazione e cultura italiana per gli italiani

residenti all’estero

AURORAAURORA

di Massimo Congiu

di Roberto Galtieri

in questo numero...

...ed altro ancora

CI SIAMO(verso le elezioni europee)di Roberto Galtieri pp. 1-2

Giornaleper l’unità comunista

Il simbolo della lista unitaria dei due partiti comunisti PdCI e Prc per il rinnovo del Parlamento europeo è fatto. Nelle schede elettorali troveremo una sola falce

e martello. (segue in seconda)

CI SIAMO L’unità dei comunisti fa un considerevole passo in avanti

sempre

25Aprile

1945

SpeCIALe25 AprILeLa Festa piùattuale che c’è“Oggi in

Italia”

eSSere ItALIAnI A BruxeLLeS:incontro con 6 connazionalidi Roberto Galtieri pp. 14-16

unItà COMunIStAIn BeLgIO e LuSSeMBurgOdi Mario Gabrielli Cossellu pp. 17-18

DOnneDurAnteIL FASCISMOAL

femminiLenon solo 8 marzo

di Claudia Cimini pp. 19-20

di Massimo Recchioni pp. 10-13

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(segue dalla prima – ci siamo – di Roberto Galtieri)

Il simbolo che troveremo sulle schede elettorali rappresenta esat-tamente lo stato attuale dell’unità. La bandiera rossa con falce-e-martello di Rifondazione, il tricolore sotto la bandiera rossa del simbolo del PdCI che sua volta riprendeva quello del PCI, e le scritte dei due partiti: Rifondazione e Comunisti Italiani.

La ritrovata unità comunista è già diventata polo di attrazione. Intorno al simbolo, infatti, nella fascia rossa sono inseriti i riferimenti europei dei due partiti e i due alleati in questi importantissima tornata elettorale.

Si tratta di Socialismo 2000, la corrente della sinistra dei Ds il cui leader è Cesare Salvi, ex capogruppo al Senato del Pds ed ex

ministro del lavoro dei governi D’Alema e Amato, da ultimo vice presidente del Senato. È stato, con Mussi, il fondatore di Sinistra democratica.

Anche il movimento politico italiano che nasce per la tutela dei diritti dei consumatori, i “Consumatori Uniti”, fa parte della lista. Segretario del movimento è Bruno De vita che è anche il fondatore e presidente della tv regio-nale “Teleambiente”.

Tutti condividono la scelta di appartenenza ad un unico gruppo parlamen-tare europeo, il GUE-NGL

(sinistra unitaria europea/sinistra verde nordica), il gruppo parlamentare che unisce tutte le forze anticapitaliste comuniste, di sinistra, sulla base di contenuti alternativi al progetto di Trattato di Lisbona e all’impostazione neoliberista e milita-rista dell’Unione Europea.

La sinistra europea è il riferimento all’omoni-mo partito europeo che raccoglie la metà dei partiti membri del Gue/Ngl. Partito di cui Rifondazione è membro e il PdCI osservatore.

Non si tratta dunque di un cartello elettorale ma di una lista con un programma i cui tratti distintivi sono unici ed antitetici a quelli di tutte le altre liste. La lista dell’unità comunista è l’unica lista anticapitalista. I quattro soggetti politici che si presentano sotto lo stesso simbolo hanno approvato un documento comune, una sorta di vademecum per uscire dalla crisi e per non ricadervi mai più.

“Diamo vita – si legge nel documento – ad una lista anti-capitalista che unisce una proposta politica per l’Europa. Lo facciamo insieme ad esponenti della Sinistra, del mondo del lavoro e sindacale, del mondo femminista, ambientalista e pacifista. La lista lavora per un’uscita dalla crisi fondata sulla democrazia economica, sulla giustizia sociale e sulla solidarietà”. Nell’analisi che il documento propone si sostiene che “la crisi è un prodotto strutturale dell’attuale capitalismo finanziario-speculativo, sostanzialmente favorito dal Trattato di Maastricht che in 15 anni ha peggiorato sensibilmente le condizioni di vita e lavorative della mag-gioranza della popolazione europea”. La lista sostiene che “il grande limite della Costituzione europea è il suo carattere ademocratico perché il sistema intergovernativo ha impedito qualsiasi partecipa-zione dal basso alle decisioni dell’Unione”. Il documento prospetta infine un saldo legame politico tra le quattro forze candidate con la prospettiva di farne un soggetto politico permanente.

Salvi

De Vita

DIChIARAzIone DI olIVIeRo DIlIbeRto:

Dopo tanti anni sotto la stes-

sa falce e martello c’è un ricon-

giungimento familiare. Noi del

PdCI ci abbiamo creduto molto:

è un coronamento politico

Già importanti dichiarazioni di voto.Lo storico dirigente del PCI, Pietro Ingrao, in un’intervista a l’Unità, ha dichiarato di votare per la lista unitaria dei comunisti

+ =

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La memoria è un sasso rivoltato. È un palmo di terra in attesa, una tana bruli-

cante, un germoglio bianco, un filo verde che si solleva. Nel deserto del Sahara dove non ci sono germogli, né fili d’erba, la memoria è quella patina scura sulla superficie della pietra esposta all’aria. La memoria è il fiato dei racconti, l’aria che dà vita alle storie. La memoria è la stanza delle storie. Ma anche le storie hanno bisogno di una porta e di una voce che le apra.

Mio padre e mia madre sono seduti sul mio letto con un libro. La porta si apre e le loro voci diventano alberi, animali, case, fiumi, montagne e nomi. Il bambino ascolta e piano piano si addormenta. E la storia si addormenta con lui. Il bambino si risveglia e anche la storia si risveglia. Le voci ritornano. Ritornano i boschi, le montagne, i nomi. E il bambino si addormenta di nuovo. Finché un giorno il bambino si accorge di essere diventato grande e scopre che le storie non hanno età, sono sempre con lui, nella stanza della memoria. Basta aprire la porta e co-minciare a camminare tra gli alberi, verso le montagne. Le storie non finiscono mai. Altre porte si aprono e altre storie prendono vita e si alzano in piedi come quel filo d’erba sotto il sasso.

La memoria è una macchina del tempo. Grazie ai racconti dei miei genitori, a quella voce che ora è anche la mia, ho abbracciato i partigiani di tutte le valli: Gas, Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse, Tom. Ho combattuto e sofferto con loro. Sono morto tre volte. Sono scampato per un soffio ai rastrellamenti. Sono uscito dalla tana. Ho strisciato, rotolato, sono affondato nella neve per ritornare a casa e abbracciare mia figlia Laureana. “Avevo l’amaro in bocca e il cuore gonfio. Non osai accarezzarla. Le toccai appena la punta delle dita. Era la cosa più calda sentita in tutti quei mesi”.

In una notte senza luna ho abbracciato mia madre, “non stretta che non senta col petto la pistola che mi sforma una tasca”, ho

pestato i piedi per aggiustarli negli scarponi e sono andato a combattere. Ho camminato con Johnny sul ciglio dei sentieri, su e giù tra i bricchi delle Langhe, “le Langhe del mio cuore, quelle che da Ceva a S. Stefano Belbo nascondono e nutrono cinquemila partigiani”. Ho bruciato la carta d’identità, ho visto il mio primo morto fucilato nel paesino di San Rocco, ho urlato a squarciagola per farmi coraggio tra i latrati dei selvaggi, incorruttibili, cani delle colline e mi sono addormentato in una stalla, al soffio dei buoi, senza paure né sogni.

Sotto quel sasso, nella stanza delle storie che non si possono dimenticare, ho capito cosa vuol dire stare dalla parte giusta, scegliere sempre la libertà e indignarsi sempre contro il sopruso, la corruzione e la violenza del potere. In qualsiasi parte del mondo questo avvenga. E ho imparato che per diventare grandi senza perdere la meraviglia e lo stupore bisogna avere la fortuna e il coraggio di ascoltare.

Sotto quel sasso sono custodite le parole che il principe Amleto sussurra al suo amico Orazio prima di morire: “Se tu mi tieni nel cuore, appartati dalla felicità per qualche tempo e vivi e respira ancora il tuo dolore, in questo duro mondo, per raccontare la mia storia.”

Anche il cielo a volte è antifascistaLella Costa

La mia nonna materna, vedova e con sei figli, che si rifiuta di iscriversi al partito fasci-sta. La mia mamma che vola in bicicletta sul ponte del Tanaro, col cuore che fa le capriole, per portare un messaggio a un fratello parti-giano. Una mattina mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao. La mia insegnante di lettere del liceo che ci racconta di Villa Triste, e la voce le trema impercettibilmente. Io bambina nel paese di mia nonna, a un passo dalle Langhe, che ascolto zio Enzo raccontare il suo otto settembre. Una frase, folgorante, di

a cura di Mariarosaria Sciglitano

“nuOVA AntOLOgIA pArtIgIAnA”Comune di Correggio, A.N.P.I, sezione di Correggio, con la collaborazione della Fondazione ERT

LA MeMOrIA È un SASSO rIVOLtAtOGiuseppe Cederna

Giovanni Arpino (chissà, se fosse vivo oggi sarebbe “un comunista” anche lui…): “Il partigiano onesto, l’uomo onesto, è un tale che un certo giorno ha ritenuto giusto ha ritenuto giusto smetterla di rafficare, e oggi è un talaltro che rimpiange giorno e notte di non aver rafficato abbastanza”. Ma mì, ma mì, ma mì, quaranta dì, quaranta nott. Pavese, Fenoglio, ancora le Langhe. “Il sentiero dei nidi di ragno” di Calvino: il bambino Pin, il giovane comandante intellettuale e il suo “ti amo, Adriana”. Ancora, l’introduzione che Calvino scrisse per la riedizione del libro, nel ’63 – forse la cosa più bella che abbia mai letto sul clima, lo spirito, il senso di quegli anni. Ora e sempre, resistenza. Il partigiano Johnny. Humphrey Bogart in “Casablanca”, quella Marsigliese che avrebbe potuto essere Fratelli d’Italia, o l’Internazionale. E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore. Levi e Vittorini. Pertini e Ingrao. Nome di battaglia: Lia. Fate largo quando passa la brigata Garibaldi. Le manifestazioni del 25 aprile, soprattutto quella del ’94, sotto una specie di diluvio – sembrava che anche il cielo, per una volta laico e antifascista, pian-gesse lo scempio di quei risultati elettorali. Son morti sui vent’anni, per il nostro domani, son morti come vecchi partigiani. Salvador Allende che muore con la pistola in pugno. Cile, Argentina, Grecia – nuove geografie, stesso fascismo. Venite a vedere il sangue per le strade. Palestina, Irak, Afghanistan. L’Italia ripudia la guerra – l’hanno scritto loro, quelli che l’avevano appena combattuta e subita, e volevano a tutti i costi che fosse l’ultima. I revisionismi, la memoria vigliacca, il tradimento della storia. Nella Macondo di “Cent’anni di solitudine” era stato perpetrato uno spaventoso eccidio di operai, ma quando non ci fu più nessun superstite a ricordare – a raccontare – se ne smarrì del tutto la memoria. Noi siamo qui per questo, oggi: per raccogliere questa memoria, e custodirla gelosamente, e vivere per raccontarla, e raccontarla per vivere. Ora e sempre. Per sempre.

L’Elzeviro Due contributi alla memoria tratti da

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Il Futurismo viene utilizzato per aumentare l’egemonia culturale fascista?Nel 1905 nasceva l’Espressionismo e 4 anni fa, in Italia, non c’è

stata nessuna celebrazione del centenario della sua nascita. Idem per il Cubismo (1907). Adesso, invece, siamo all’esagerazione patriottica per il Futurismo che compie 100 anni; nel nostro paese ne straborda-no iniziative e celebrazioni. Perché? Ma perché fra tutti i movimenti di Avanguardia, il Futurismo è stato il solo ad essere apertamente pro-guerra, costruito a tavolino da Marinetti (interventista) e da un gruppo di scellerati fanatici guerrafondai che si identificarono, poi, anche nel fascismo.

Afghanistan e amore per la ptria necessitano di accettazione che si acquisisce con egemonia culturale che significa far avvicinare la gente alla lettura e all’esplorazione di tematiche di estrema destra.

Cos’è il futurismo? Il Futurismo è stata una corrente artistica italiana manifestatasi all’inizio del 1900; esso nasce in Italia ma, nello stesso periodo, movimenti artistici influenzati dal futurismo si svilupparono in altri Paesi, soprattutto in Russia, dove alla base non v’era, però, un concetto guerriero come quello dei futuristi, ma un’utopica idea di pace e Libertà, sia individuale (dell’artista), sia collettiva (del mondo).

Il futurismoIl centenario: un’occasione per un’analisi criticadi Roberto Galtieri

La parola “futurismo” e il movimento che a tale parola e concetto di ispira fu opera di Filippo Tommaso Marinetti che ne stabili’ la filosofia pubblicando il Manifesto del futurismo nel 1909.

Il Manifesto del futurismo (vedi a pag. 4 il testo del manifesto) fu presentato inizialmente a Milano ma ebbe la sua uscita formale sul quotidiano francese “Le Figaro”, il 20 febbraio. Il Manifesto fu pubblicato precedentemente sul quotidiano ARENA di Verona, in lingua italiana, il 9 febbraio 1909, alle pagine 1 e 2. Fu scritto in forma declamatoria per fornire una raccolta concisa di pensieri, convinzioni e in-tenzioni dei Futuristi, ma solo con la pubblicazione su “Le Figaro” ebbe la risonanza che lo fece conoscere e divulgare in tutta Europa.

Il futurismo nasce sull’on-da della rivoluzione tecnolo-gica dei primi anni del ‘900 (la Belle époque), ed esalta la

Luigi Russolo, “la rivolta” ( 1911 )

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fiducia illimitata nel progresso e decreta in maniera forte e violenta la fine delle vecchie ideologie. Tutto quanto “sà di vecchio” viene definito passatismo.

Tramite Marinetti, il padre del Futurismo, possiamo definire senza ambiguità o errori cio’ che è stato il futurismo: l’esaltazione della velocità, del dinamismo, dell’industria ma anche della guerra intesa come “igiene del mondo”. Il simbolo artistico del passatismo, dell’arte decadente e pedante era identificando nel Parsifal di Wagner (che proprio in quegli anni cominciava ad essere rappresentato nei teatri d’Europa).

Al delirio di alcune affermazioni Marinettiane a Milano i pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo, firmano il Manifesto tecnico della pittura futurista, che ne stabilisce le regole: abolizione nell’immagine della prospettiva tradizionale, a favore di una visione. Il manifesto futurista sottolinea: “Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente. Per persistenza della immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono. Così un cavallo in corsa non ha quattro zampe, ne ha venti e i loro movimenti sono triangolari “.

Nella primavera del 1910 Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo, espongono le prime opere futuriste a Milano, alla “Mostra d’arte libera” nella fabbrica Ricordi.

Il futurismo diede il meglio di sé nelle espressioni artistiche legate alla pittura, alla scultura mentre le opere letterarie e teatrali, ma anche architettoniche non ebbero la stessa capacità espressiva.

Pittura e scultura ci hanno infatti lasciato i principali segni dell’espressione più autentica del futurismo.ome tutte le attività umane il Futurismo non è astratto dalla realtà del suo tempo. Anzi, il Futurismo è intimamente legato agli avvenimenti politici e alla lotta di classe che si svolgono in Italia agli inizi del 1900 e ci entra con anima e corpo. A differenza di tutte le avanguardie del periodo, l’eccitazione marinet-tiana della velocità sfocia nel militarismo, e

Umberto Boccioni, scultura 1913

Manifesto del FuturismoLe Figaro - 20 febbraio 1909

1 . Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. 2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. 4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è ar-ricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo...un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia. 5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. 6. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali. 7. Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo. 8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbia-mo già creata l’eterna velocità onnipresente. 9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei liberatori, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. 10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il morali-smo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria. 11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le marce multicolo-ri e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le offi-cine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.

Filippo Tommaso Marinetti

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in quella detersi-nata fase storica, nell’inter-ventismo italiano nella prima guerra mondiale.

Il patriottismo antitedesco di Marinetti brilla più di altri at-teggiamenti di altri seguaci del suo movimento. Molti aderenti al gruppo si arruolarono volontari nella Grande Guerra, convinti che solo in quel modo essi potevano dare forma e sfogo alla loro coscien-za. Ma molti di essi, poi, capirono lo sbaglio e abban-donarono il Futurismo, come ad esempio Carlo Carrà che abbracciò la poetica metafisica (‘la musa metafisica’).

Anche all’interno del movimento socialista erano presenti ten-denze interventiste ma la corrente di sinistra (che più tardi, nel gennaio del 1921, fondò il Partito Comunista) era pacifista.

Certamente vi fu l’adesione al fascismo dell’ispiratore della corrente artistica, Marinetti, ma il Futurismo in quanto tale non rappresentava l’ideologia fascista. Più avanti vedremo in quale modo Antonio Gramsci percepiva il fenomeno.

Se la prima fase del futurismo fu caratterizzata da un’ide-ologia guerrafondaia e fanatica (come abbiamo detto in pieno contrasto con tutte le altre Avanguardie artistiche europee), la seconda stagione ebbe un effettivo legame con il regime fasci-sta, nel senso che si valse di speciali favori o che si piegò agli stilemi della comunicazione governativa dell’epoca. Eppure la gerarchia fascista riservò ai futuristi coevi una sottovalutazione talvolta sprez-zante. Giuseppe Prezzolini espresse chiaramente questo disagio: “Se il fascismo vuol segnare una traccia in Italia deve espellere ormai tutto ciò che vi rimane di futurista, ossia di indisciplinato e anticlassico. Sarei troppo seccante se ai miei conoscenti del movimento futurista chiedessi un franco giudizio sulle riforme classiciste del ministro Gentile?” (dall’articolo Fascismo e futurismo pubblicato il 3 luglio del 1923).

Questo benché l’osservazione dei principi autoritaristici e la poetica interventista del futurismo furono sempre presenti negli artisti del gruppo, fino a che alcuni di questinon abbracciarono altri movimenti, distaccandosi da quelle ideologie fascistoidi. Il Futurismo portò avanti anche una forma di ottimismo per favorire l’opera di mistificazione della realtà da parte della politica. Infatti, il teatro futurista non contemplava la tragedia o la rappresentazione dei problemi sociali; gli spettacoli deliranti alternavano pezzi comici a rumori (musica futurista), a sberleffi d’ogni genere e ridicole provocazioni.

Per inquadrare ulteriormente gli aderenti a questa ideologia può essere interessante riportare un’affermazione di Antonio

Gramsci: “I futuristi hanno svolto questo compito nel campo della cultura borghese: hanno distrutto, distrutto, distrutto, senza preoccuparsi se le nuove creazioni, prodotte dalla loro attività, fossero nel complesso un’opera superiore a quella distrutta: hanno avuto fiducia in se stessi, nella foga delle energie giovani, hanno avuto la concezione netta e chiara che l’epoca nostra, l’epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme, di arte, di filosofia, di co-stume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si

linee forza del pungo di Boccioni ( 1915 ), Giacomo Balla

balla

occupavano neppure lontanamente di simile questione, quando i socialisti certamente non avevano una concezione altrettanto pre-cisa nel campo della politica e dell’economia, quando i socialisti si sarebbero spaventati (e si vede dallo spavento attuale di molti di essi) al pensiero che bisognava spezzare la macchina del potere borghese nello Stato e nella fabbrica. I futuristi, nel loro campo, nel campo della cultura, sono rivoluzionari; in questo campo, come opera creativa, è probabile che la classe operaia non riuscirà per molto tempo a fare di più di quanto hanno fatto i futuristi: quando

sostenevano i futuristi, i gruppi operai dimostravano di non spaventarsi della distruzione, sicuri di potere, essi operai, fare poesia, pittura, dramma, come i futuristi, questi operai sostenevano la storicità, la possibilità di una cultura proletaria, creata dagli operai stessi.” (da “Ordine Nuovo” del 5 gennaio 1921Antonio Gramsci, Socialismo e fascismo. L’ Ordine Nuovo (1921-1922), Einaudi, Torino 1966)

Occorre rimarcare che il movimento futurista russo appoggiò la Rivoluzione d’Ottobre, seguendo quindi quelle istanze di rottura e rivoluzionarie di cui parlava Gramsci. Analogamente il futurismo italiano ha avuto al suo interno una robusta alla politicamente schierata su posizioni di sinistra, anche se la storiografia di regime ha volutamente ignorato questa componente che, del resto, è stata spesso colpevolmente trascurata anche dalla storiografia successiva.

Lo stesso Gramsci in una lettera a Trotzki ricorda come il futurismo, sia a Milano che a Torino, aveva avuto una certa popolarità presso gli operai quando la rivista Lacerba diffuse a prezzi ridotti 5 numeri fra gli operai. il carteggio fra i due rivoluzionari è riportato

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ArchitetturaAl centro dell’attenzione degli architetti futuristi c’è la città, vista come simbolo della dinamicità e

della modernità. All’inizio del 1914 Antonio Sant’Elia, il principale architetto, pubblica il Manifesto dell’architettura futurista, nel quale espone i principi di questa corrente.

Tutti i progetti creati da questi si riferiscono a città del futuro, con particolare attenzione alle innova-zioni. In contrapposizione all’architettura classica, vista come statica e monumentale, le città idealizzate dagli architetti futuristi hanno come caratteristica fondamentale il movimento e i trasporti.

I futuristi, infatti, compresero immediatamente il ruolo centrale che i trasporti avrebbero assunto succes- sivamente nella vita delle città.

Nei progetti di questo periodo si cercano sviluppi e scopi di questa novità. L’utopia futurista è una città in perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte, un continuo cantiere in costruzione, e la casa futurista allo stesso modo è impregnata di dinamicità.

Anche l’utilizzo di linee ellittiche e oblique simboleggia questo rifiuto della staticità per una maggior dinamicità dei progetti futuristi, privi di una simmetria classicamente intesa. Il Futurismo anticipa i grandi temi e le visioni dell’architettura e della città che saranno proprie del Movimento Moderno, anche se il Razionalismo italiano si perderà un po’ tra la diatriba del neoclassicismo semplificato di Marcello Piacentini e la purezza di un Giuseppe Terragni e non riuscirà ad avere il medesimo slancio innovatore, mentre sua poetica a parte esprime Angiolo Mazzoni.

La pittura futurista (Manifesto futurista,Milano, 11 aprile 1910)

Nel primo manifesto da noi lanciato l’8 marzo 1910 dalla ribalta del Politeama Chiarella di Torino, esprimemmo le nostre profonde nausee, i nostri fieri disprezzi, le nostre allegre ribellioni contro la volgarità, contro il mediocrismo, contro il culto fanatico e snobistico dell’antico, che soffocano l’Arte nel nostro Paese. Noi ci occupavamo allora delle relazioni che esistono fra noi e la società. Oggi invece, con questo secondo manifesto, ci stacchiamo risolutamente da ogni considerazione relativa e assurgiamo alle più alte espressioni dell’assoluto pittorico. La nostra brama di verità non può più essere appagata dalla Forma né dal Colore tradizionali!

Il gesto, per noi, non sarà più un momento fermato del dinamismo uni-versale: sarà, decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale.

Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai sta-bile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente. Per la persistenza della immagine nella retina, le cose in movi-mento si moltiplicanò, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello

nel libro Trotsky, Leone, Letteratura arte libertà, in un capitolo sul Futurismo e Majakovskij.)

La posizione di Gramsci in merito fu comunque articolata e da parte sua non mancarono pesanti critiche verso molti nomi di spicco del futurismo, e segnatamente verso molti dei fondatori del movimento, quando questi entrarono nei ranghi del fascismo (celebre il suo paragonarli a scolaretti che rientrano frettolosamente in classe quando il sorvegliante chiama).

Del resto allo scoppio della Prima Guerra Mondiale i principali esponenti del Futurismo sono favorevoli all’entrata in guerra dell’Italia

e si arruola volontari. Partono per il fronte: Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant’Elia e Sironi.

Anche oggi come un secolo fa la crisi di sistema no trova la sinistra pronta, né con un bagaglio culturale adeguato. Inutile par-lare di egemonia culturale saldamente espressa dal berlusconismo mediatico.

La lettura del manifesto futurista – qui sotto – può darci il segno di tempi di assenza di indirizzo rispetto al conservatorismo, al passatismo attua sulla pittura le rappresentato da Ratzinger e da Rutelli.

Carlo Carrà, la donna al balcone, 1912

spazio che percorrono. Così un cavallo in corsa non ha quattro gambe: ne ha venti, e i loro movimenti sono triangolari.

Tutto in arte è convenzione, e le verità di ieri sono oggi, per noi, pure menzogne. Affermiamo ancora una volta che il ritratto, per essere un’opera d’arte, non può né deve assomigliare al suo modello, e che il pittore ha in sé i paesaggi che vuoi produrre. Per dipinge-re una figura non bisogna farla; bisogna farne l’atmosfera. Lo spazio non esiste più; una strada bagnata dalla pioggia e illuminata da globi elettrici s’inabissa fino al centro della terra. Il Sole dista da noi migliaia di chilometri; ma la casa che ci sta davanti non ci appare forse incastonata nel disco solare? Chi può credere ancora all’opacità dei corpi, mentre la nostra acuita e moltiplicata sensibilità ci fa intuire le oscure manife-stazioni dei fenomeni medianici? Perché si deve continuare a creare senza tener conto della nostra potenza visiva che può dare risultati analoghi a quelli dei raggi X? Innumerevoli sono gli esempi che danno una sanzione positiva alle nostre affermazioni.

La pittura futurista (Manifesto futurista, Milano, 11 aprile 1910)

A. Sant’Elia, progetto di edificio

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VOTACOMUNISTA

www.pdci-europa.org

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AURORA – n. 5 – Anno II – aprile 2009

Già 64 anni sono passati da quel 25 Aprile del 1945, il giorno in cui

tutto il nord del Paese fu liberato dalle barbare sevizie nazifasciste. È questa data, il 25 Aprile, a rappresentare la vera festa di tutto il Paese. Il significato della ricor-renza del 2 giugno è ad esempio diverso, per molti anni ha diviso repubblicani e monarchici, neanche troppo distanti nel computo dei voti nel referendum del 1946. Il 25 Aprile invece no, perché nel CLN c’erano davvero tutti, comunisti, socialisti, cattolici, anarchici e altri, mo-narchici appunto compresi. Tutti meno i repubblichini insomma. C’erano tutti coloro che avevano lottato affinché dopo anni di buio totale – che aveva assunto, nel tempo, i connotati dei delitti politici, del confino, dell’olio di ricino e delle torture più raccapriccianti, dei campi di detenzione e di sterminio che erano presenti in Italia così come in Germania, delle vergognose leggi razziali, fino ai milioni e milioni di morti della Seconda

SpeCIALe25 AprILeLa Festa più attuale che c’è

Guerra Mondiale – sulla nostra intera penisola tornasse a risplendere il sole della libertà. Ma a che prezzo, però. Centinaia di migliaia di italiani uccisi o scomparsi nel nulla, fucilati sulle montagne o som-

di Massimo Recchioni

RubRica

“Oggi inItalia”

mariamente, nelle viuzze dei paesini più sconosciuti, così come negli eccidi più eclatanti e ricordati. Deportati, straziati, torturati, mutilati. Strappati alle famiglie e spariti per sempre. E quanti furono i nostri connazionali oppositori del regime ad essere deferiti ai vari Tribunali speciali e che, dopo violenti interrogatori, si videro comminare (se sopravvivevano) pene di anni di carcere o di confino? Quanti altri subirono violenze e persero il posto di lavoro perché si erano rifiutati di farsi la tessera del fascio? Quanti altri giustiziati in strada, in campagna, davanti o dentro le fabbriche, magari mentre si trovavano in osteria, solo perché “scomodi”?

Ricordiamo tutti loro certo, in questo giorno. A partire dai più famosi fino all’ul-tima delle storie. E spesso sono le storie semisconosciute ad essere quelle che si dovrebbero raccontare più spesso, prima che vengano perse o dimenticate. Perché tutte queste storie, dalla prima all’ultima, hanno contribuito in egual misura – e con

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“Oggi inItalia”

le stesse dignità ed importanza – alla Libe-razione del Paese. E non basta ricordare. Tante altre storie sono ancora sconosciute o taciute. Il lavoro per la Memoria non può venir meno, e va messo “nero su bianco” prima che la scomparsa dei protagonisti impedisca un compito del genere o almeno ne ingigantisca le difficoltà.

Non solo per questa ragione, il 25 Aprile reca con sé anche un senso di ma-linconia e sconforto che rischia di essere frustrante se non viene tramutato in nuove rabbia e passione, in continua vigilanza, in costante lavoro di ed impegno. Perché è anche il termometro di un sogno che a volte sembra interrotto o lontanissimo nel tempo. Quanti di quegli ideali e di quei valori si sono concretizzati o sono almeno – oggi – percepiti come “attuali”? C’è un problema culturale e neanche piccolo. Già nel dopoguerra il fatto che responsabili e complici del regime girassero indisturbati aveva creato parecchi malumori. Dopo le elezioni del 1948 si era addirittura scoper-to come i comunisti – in un Paese ancora non ufficialmente nel Patto atlantico ma comunque già assegnato di fatto a quel blocco – dessero più “fastidio” che non i criminali repubblichini che venivano pian piano rimessi in libertà. Cominciava un periodo della nostra storia in cui i parti-giani si trovarono addirittura a provare un senso di imbarazzo se non vergogna e di colpa. Tant’è vero che le carceri comincia-rono ad esserne popolate, mentre tutti i

criminali del regime e i loro complici ne uscivano. I giu-dici, infatti, nella maggior parte dei casi erano rimasti gli stessi ed erano chiamati

a giudicare i loro commilitoni. Col risultato descritto. Ora la situazione è diversa. Partigiani nelle carceri non ce ne sono ovvia-mente più, ma si continua, come allora, nell’opera di decontestualiz-zazione e di depo-liticizzazione delle azioni della guerra di Resistenza – strappandole alla loro collocazione

storica per ridurle al rango di azioni cri-minali comuni. Il tentativo che è ora in atto – a differenza di quanto accadeva prima – è, se possibile, più grave. Da anni, per esempio, si è eliminato lo studio dell’educazione civica dalle scuole. Pur-

troppo – senza l’intervento dei genitori – quanti giovani non sanno neanche cosa sia la nostra Carta costituzionale? Ecco, il piano da tempo in essere è proprio questo. Non conoscere aiuta ad abbattere.

ecco il piano!E l’abbassamento del livello culturale

generale è quindi funzionale a un regime strisciante, di tipo nuovo, che si fonda – naturale conseguenza della mancanza di conoscenza – sulla mancanza di dissenso. La Resistenza – con i suoi principi di libertà e di antifascismo – era infatti destinata, fin da allora, a diventare il valore fondamentale dei valori della nostra libertà riconquistata. Avrebbe dovuto esserlo anche dal punto di vista legislativo. Così sanciva – e sancisce tuttora – la nostra amata Costituzione – forse la più bella opera incompiuta del mondo. Il fatto è che Essa – tirata per la giacchetta da tutte le parti da innumere-

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voli leggi che, nel corso degli anni, hanno cercato di storpiarla nella sua natura, è diventata un’altra cosa rispetto a ciò che avrebbe voluto e dovuto essere. Certo, se fosse davvero ispirata a principi sovietici come alcuni sostengono solo per l’intento di denigrarla, costoro sarebbero già da anni a lavorare gratuitamente al servizio dello Stato in campi di rieducazione, invece di usare le leggi dello Stato al loro servizio e per la loro incolumità. E forse su questo la Costituzione è stata fin troppo tenera, ovvero la verifica di costituzionalità delle leggi approvate nel corso degli anni è stata troppe volte effettuata in modo blando e superficiale, se è vero che la storpiatura dei valori costituzionali è stata resa possibile in tanti, troppi passaggi cruciali. Vediamone alcuni.

Dal lavoro, valore fondante della nostra Repubblica, sancito nel primo articolo, alla solidarietà politica, eco-nomica e sociale, “dovere inderogabile” della Repubblica, sancita nel secondo articolo.

Il terzo sancisce la pari dignità sociale dei cittadini – sì, proprio così, anche di coloro che vivono con pochi euro di pensione e a 70 anni rubano nei supermercati – e l’uguaglianza degli stessi di fronte alla legge. E allora ci

si chiede come sia stato possibile promulgare tutti i “lodi” che questo principio lo hanno nei fatti stravolto. O come

la certezza della pena venga richiesta per i reati dei disadattati sociali, ma non si parla di chi ha messo sul lastrico – con truffe colossali davanti alle quali sono stati chiusi entrambi gli occhi – migliaia di famiglie. E magari ora – come Tanzi – ricomincia “da capo” e con dedizione e impegno a “farsi da sé”. O di chi è stato accusato – nei vari anni – di innumerevoli violazioni del Codice penale e non solo grazie ai suddetti lodi è sempre riuscito a stralciare la sua posizione all’interno dei processi, ma si trova ora niente di meno che nel ruolo di presidente del consiglio (!), carica dall’alto della quale non ci risparmia quotidiane picconate alla nostra povera “Carta”.

Il quarto articolo torna a riconoscere il diritto indiscriminato e universale al

lavoro. Fare degli esempi oggi su un tema del genere è come sparare sulla Croce Rossa, per poi continuare la carrellata sugli articoli 7 e 8, che sanciscono uno la laicità dello Stato e la sua indipendenza dalla Chiesa cattolica, l’altro l’eguaglianza e la libertà di tutte le professioni religiose. Nell’articolo 9 si dice che la nostra Repub-blica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Uno dei più disattesi, il livello culturale nel nostro Paese è ora, infatti, ai minimi storici (altrimenti certi attacchi ai nostri valori e alla Costituzione stessa non passerebbero) e i finanziamenti alla ricerca – materia così basilare per il futuro del Paese – vengono, anno dopo anno, tagliati e sono nei fatti ridotti allo zero. E così – articolo per articolo – fino ad arrivare alle Disposizioni finali. La dodicesima delle quali impedisce – “sot-to qualsiasi forma” – la ricostituzione del disciolto partito fascista. Al di là di quanto detto sopra sugli avvenimenti del “dopo Liberazione” per quanto concerne l’aspetto giudiziario, stenderemo anche su questo un velo pietoso, perché organiz-zazioni dichiaratamente fasciste in Italia operano di fatto dal 26 Aprile del 1945, hanno operato negli anni, si chiamassero Movimento sociale o Forza nuova o in tanti altri modi. Sulla disamina di tutti gli articoli della Costituzione si potreb-be andare avanti per ore, trasformando questo articolo sulla Liberazione in un articolo sulla Costituzione, rischiando di andar fuori tema. E invece no, non si andrebbe fuori tema comunque. Perché è proprio la Costituzione, il frutto della nostra libertà ritrovata, ed è lì che sono

racchiusi i valori per cui tanti italiani hanno combattuto e sono morti. Valori, come si è visto, in gran parte disattesi se non addirittura traditi.

Per questo il grido di “Ora e sem-pre Resistenza” non è mai stato – né mai potrebbe essere ridotto a tale – solo un retorico slogan. La Festa, per fortuna, c’è ancora, certo, e guai a chi si azzarda a toccarla; ma è la lotta per quei valori che non può invece mai considerarsi conclusa. Per non rischiare di tornare a quegli anni bui e a quella vergogna. Per continuare a godere del sole della libertà. Viva il 25 Aprile !

“Oggi inItalia”

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LA SCAnDALOSA prOpOStA DI Legge 1360Non c’è limite alla vergogna e alla manipolazione della storia. La proposta di legge numero 1360 – che per ora giace nei cassetti parlamentari in lista d’attesa – vorrebbe istituire un ordine onorifico denominato “del Tricolore”. L’ordine dovrebbe esser presieduto, secondo il disegno di legge stesso, dal Presidente della Repubblica in persona. Gli aberranti articoli prevedono che venga riconosciuta l’onorificenza anche a coloro che abbiano militato - per sei mesi almeno - nella Repubblica sociale italiana! E l’assegnazione di tale onorificenza comporterebbe una pensione da parte dello Stato italiano fondato – in teoria - sui valori dell’antifascismo. Ancora una volta, in un Paese che non ha mai fatto i conti col suo passato, si cerca vergognosamente di far passare la pacificazione nazionale “per legge”, confondendo in questo modo chi era dalla parte giusta e chi dalla parte degli aguzzini. Questo non ha senso, non è possibile. La riconciliazione non può prescindere dal riconoscimento dei ruoli e delle colpe. E – ciò che è mancato nel nostro Paese – dalla espiazione delle stesse. Non sono possibili “colpi di spugna” a cuor leggero, perché se c’è una cosa che quegli anni hanno insegnato a noi e al mondo è che non si deve e non si può dimenticare. È l’unico modo per non ripiombare nelle tenebre.

ee OLtRE IL PONtE (Italo Calvino) DaLLE bELLE CIttà (III brigata Garibaldi)

o ragazza dalle guance di pesca, Dalle belle città date al nemico o ragazza dalle guance d‘aurora, fuggimmo un dì su per l’aride montagne, Io spero che a narrarti riesca cercando libertà tra rupe e rupe, la mia vita all‘età che tu hai ora. contro la schiavitù del suol tradito. Coprifuoco: la truppa tedesca lasciammo case, scuole ed officine, la città dominava. Siam pronti. mutammo in caserme le vecchie cascine, Chi non vuole chinare la testa armammo le mani di bombe e mitraglia, Con noi prenda la strada dei monti. temprammo i muscoli ed i cuori in battaglia.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte Siamo i ribelli della montagna, oltre il ponte che è in mano nemica viviam di stenti e di patimenti, Vedevam l‘altra riva, la vita, ma quella fede che ci accompagna tutto il bene del mondo oltre il ponte. sarà la legge dell’avvenir. tutto il male avevamo di fronte, Ma quella legge che ci accompagna tutto il bene avevamo nel cuore, sarà la fede dell’avvenir. A vent‘anni la vita è oltre il ponte, oltre il fuoco comincia l‘amore. Di giustizia è la nostra disciplina, libertà è l’idea che ci avvicina, Silenziosi sugli aghi di pino, rosso sangue è il color della bandiera, Su spinosi ricci di castagna, partigian della folta e ardente schiera. Una squadra nel buio mattino Sulle strade dal nemico assediate Discendeva l‘oscura montagna. lasciammo talvolta le carni straziate. la speranza era nostra compagna sentimmo l’ardor per la grande riscossa, Ad assaltar caposaldi nemici sentimmo l’amor per la patria nostra. Conquistandoci l‘armi in battaglia Scalzi e laceri eppure felici. Siamo i ribelli della montagna, Avevamo vent‘anni e oltre il ponte ... viviam di stenti e di patimenti, ma quella fede che ci accompagna non è detto che fossimo santi, sarà la legge dell’avvenir. l‘eroismo non è sovrumano, Ma quella legge che ci accompagna Corri, abbassati, dài, balza avanti, sarà la fede dell’avvenir. ogni passo che fai non è vano. Vedevamo a portata di mano, Dietro il tronco, il cespuglio, il canneto, l‘avvenire d‘un mondo più umano e più giusto, più libero e lieto. Avevamo vent‘anni e oltre il ponte ...

ormai tutti han famiglia, hanno figli, Che non sanno la storia di ieri. lo son solo e passeggio tra i tigli Con te, cara, che allora non c’eri. e vorrei che quei nostri pensieri, Quelle nostre speranze d’allora, Rivivessero in quel che tu speri, o ragazza color dell’aurora. Avevamo vent’anni e oltre il ponte ...

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O ggi è stata una di quelle giornate rigide dell’inverno che sembra non andarsene più via. Salvatore, questa sera,

è tutto stretto nella sua giacca. Fuori fa ancora freddo. Non siamo potuti arrivare con molto anticipo rispetto all’inizio dell’incontro perché ci troviamo nel mezzo della settimana, alla fine di una faticosa giornata lavorativa; e, anche metten-do il termosifone al massimo, il locale della sezione dove ci incontriamo non si riscalda immediatamente. Riusciamo ad ambientarci dopo un po’ e ci leviamo i cappotti, Salvatore no, il freddo ce l’ha dentro: “Ho lavorato tutto il giorno fuori, ho ancora freddo” dice stringendosi nel giaccone. Quando accumuli tanto freddo ce ne vuole per riscaldarsi e se il locale non è ben riscaldato neanche una birra ti aiuta. Con la scusa di aiutare Salvatore tutti ci facciamo una birra ed iniziamo così a parlare della situazione di Bruxelles. Ci sono Carmelo, Giuseppe, Marco, Massimo, Pino e Salvatore. Nessuno di loro appartiene alla parte di collettività italiana privilegiata che lavora alle istituzioni dell’UE. Ognuno dice la sua, non è possibile riassumere in poche righe due ore di “chiaccherata/intervista” citando singolarmente ognuno. Poiché ognuno aggiunge il suo punto di vista all’altro, si sovrappongono e si completano.

Nessuno interviene sul freddo, perché è questione ben nota a tutti, in particolare per chi lavora all’aperto. Questione nota a tutti noi che veniamo da paesi caldi e questa non è la solita retorica, ma vissuto profondo. È una di quelle cose che hai

dentro, che condividi autonomamente, “a prescindere” si potreb-be dire, e che ti accom-pagna anche in tutte le relazioni sociali.

La “chiacchierata” fa allora, subito, af-fiorare i paragoni tra i 19, diversi comuni che compongono la capitale belga. Bruxel-les è, infatti, formata da 19 municipalità indipendenti (fino a qualche anno fa ogni Comune aveva anche

eSSere ItALIAnI A BruxeLLeS:incontro con 6 connazionalidi Roberto Galtieri, bruxelles

la sua propria polizia...). Ogni comune ha dunque un suo sindaco, i suoi assessori ed una sua propria amministrazione comunale. Esiste un organismo amministrativo che riassume tutti i 19 comuni e qualche altro limitrofo; si chiama “region de Bruxelles capitale”, ma i connazionali parlano delle con-dizioni di vita nei comuni dove loro vivono: in questo caso Molembeek, Anderlecht, Koelkelberg, Schaerbeek. Non sono comuni ricchi questi, come, per esempio, quello di Uccle. Sono comuni i quali, tranne una parte di Schaerbeek, non

sono abitati da quella parte di connazionali che lavorano nelle istituzioni dell’UE. I comuni in questione sono comuni popolari, un insieme di culture, lingue, nazionalità, europee e non che hanno in comune la condizione sociale proletaria. Sono comuni la cui popolazione è composta da brussellesi, da vecchia emigrazione “europea” (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), la seguente “extracomunitaria” (magrebina, turca, etc.) e quella più recente proveniente dai paesi dell’est europeo. La convivenza tra le diverse culture spesso evidenzia problemi di relazioni sociali. Per quanto ci riguarda, le collettività italiana e araba sono nettamente separate tra di loro. Ad un orecchio Carmelo.

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disattento gli accenti riservati alla descrizione delle relazioni con gli arabi parrebbero sembrare astiosi; invece, paradossalmente, si tratta di autodenuncia, da parte dei nostri connazionali, dell’incapacità di organizzarsi.

“Se vai dal CPAS (vedi scheda) è sicuro che l’arabo riceve tutti i sussidi possibili, e l’italiano no!”.

“Non è sempre così”.“Certo che è così, ho chiesto al CPAS il sostegno per i

miei genitori e non me l’hanno dato, invece all’arabo con 8 figli sí”.

“Avresti dovuto averne diritto”.“No, tu non ne avevi diritto, perché i tuoi vivevano con

te, che lavori”. “Non lo sapevo”.“Gli arabi invece sanno sempre tutto!”“È per questo che riescono ad ottenere tutto quello che

richiedono”“E certo! Noi italiani siamo individualisti a pensare per

sé; loro invece sono sempre uniti”, e il concetto è rafforzato da una gestualità eloquentissima, ancora maggiore che non l’espressione del concetto: le due mani si congiungono e le dita si compenetrano. Emerge dunque con forza quello che è il pro-blema principale della collettività italiana a Bruxelles. Non c’è comunanza e condivisione delle esperienze e dei problemi. C’è la ricerca dell’amico “importante” che ti può aiutare piuttosto che l’organizzazione del disagio sociale e la creazione di una rete di solidarietà che permetta la condivisione delle informazioni,

del sapere e quindi – a tutti – la pos-sibilità di accedere ai servizi sociali laddove ce ne sia necessità e la rela-tiva possibilità di usufruirne.

Né il patrona-to storico di Bru-xelles, al quale si rivolge questa par-te della collettività di connazionali, l’INCA-CGIL, è più in grado di

svolgere quella qualità di servizio che in precedenza veniva fornito. Troppo spesso, infatti, anche fuori dalle dichiarazioni dei sei connazionali in questioni, ricevo segnalazioni di errori nello svolgimento delle pratiche, assenze, negligenza, pressap-pochismo. Un quadro desolante, che statisticamente non può più essere imputato solo ad una casualità di soggetti che ab-biano subito errori nello svolgimento delle loro pratiche. L’ulteriore assen-za di questo che era un punto di riferimento fonda-mentale peggiora le condizioni ma-teriali e di solida-rietà.

E invece “gli arabi sanno tutto”. Sono organizza-ti, mantengono la loro cultura, la loro lingua, sono solidali e penetrano con capacità e forza il tessuto urbano comunale. Hanno più ascolto presso i borgo-mastri (i sindaci) perché si presentano uniti, propongono loro candidati alle elezioni comunali nelle varie liste dei partiti in cui si riconoscono. Questi candidati sono votati e portano voti alla lista; dunque conseguono il risultato visibile del loro peso numerico e politico, in una parola: “contano”.

“È quello che dobbiamo fare anche noi”.“Dobbiamo innanzi tutto far iscrivere gli italiani nelle liste

elettorali comunali” quale momento concreto di partecipazione e forza negoziale. Sono moltissimi, infatti, i connazionali che

Giuseppe.

Pino.

Cos’é il C.P.a.S.?

Il Centro Pubblico d’Azione Sociale, presente in ogni Comune, assicura assistenza sociale per garantire un salario minimo a coloro i quali dispongono di mezzi economici insufficienti al fabbisogno quotidiano. Chiun-que viva e risieda legalmente in belgio può accedere ai servizi del CPAS.

Interventi del CPaS :

– Sostegno finanziario– Alloggio– Sostegno per le spese mediche e cure a domicilio– Ricerca di lavoro– Mediazione sui debiti– Sostegno psicologico– Sostegno psicosociale– Assistenza giuridica– Accoglienza di crisi– Accompagnamento e assistenza finanziaria per le

fatture energetiche– Assegni culturali per favorire la partecipazione sociale

e culturale

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non sono iscritti nelle liste elettorali comunali (va ricordato che in Belgio i cittadini comunitari godono del diritto elet-torale attivo – possono candidarsi – e passivo – votano – per le elezioni comunali).

Ci sono italiani eletti nei comuni o nelle altre istituzioni politiche belghe, ma sono ex italiani, figli magari di minatori, come il presidente del Partito socialista, uno dei principali uo-mini politici del Belgio. Ma sono di fatto belgi per lingua, per cultura. Sono italiani di nome, di storia, forse di passato, ma non nel presente o nel futuro. “Dobbiamo andare nei consigli comunali, così potremo contare anche noi”.

“E contare, in questa fase di crisi, in una città dove la disoc-cupazione è al 20%, è e sarà decisivo per non essere emarginati e esclusi”.

La presenza attiva o l’assenza nella gestione politico-ammistrativa comunale del tessuto urbano tocca la vivibilità sociale del comune di residenza. Aiuta o meno a stabilizzare un rapporto con una collettività che si potrebbe trasformarsi in comunità. Permetterebbe dunque di ricucire positivamente un tessuto di relazione anche con le altre comunità.

In questo ambito ogni problema di-venterebbe un problema solvibile e non solo materia di lagnanza. La sporcizia dei comuni, strade, marciapiedi, spazi verdi non sarebbe più un raffronto tra pulizia nei differenti comuni, ma problema da risolvere.

“Ovvio che Uccle (il comune “bene” della città, ndr) sia più pulito”. La discus-sione sulla pulizia dei comuni di residenza porta con sé quella del carico di lavoro degli addetti alle pulizia, e degli straordinari. E il discorso va sul lavoro degli addetti comunali e sul proprio, e ancora, sulle differenza tra comune e comune. Era inevitabile il passaggio, a questo punto, importante, del proprio quotidiano.

Ci si dilunga su questo aspetto, negligendo quello per il quale ci siamo incontrati.

Eppure anche le questioni non affrontate sono elementi interessanti. Come per la ricerca scientifica è importante

anche un progetto di ricerca fallito poiché indica una strada da non percorrere; così, riflettere sui punti non toccati induce a riflessioni importanti sulla presenza italiana a Bruxelles.

I belgi denominano i loro problemi tra fiamminghi e valloni: “problemi comunitari”. Questi sono rilevanti; hanno portato alla paralisi governativa nazionale per ben 9 mesi dopo le scorse elezioni. Il governo alla fine formatosi è caduto. La riforma costituzionale dello stato non c’è stata. Alcuni comuni facenti parte della regione di Bruxelles (il Belgio, stato federale, è diviso in Vallonia, Fiandre, regione di Bruxelles, e regione germanofonica) hanno annunciato che non organizzeranno le prossime elezioni per protesta per la mancata autonomia richiesta. Questi comuni, che fanno parte della regione di Bruxelles ma sono di lingua fiamminga, vogliono staccarsi dalla regione che è maggioritariamente francofona. In altri comuni limitrofi i borgomastri eletti sono francofoni ed il governo della regione fiamminga non permette loro di eser-

citare il mandato elettivo poiché parlano la loro lingua e non il fiammingo. Insomma il Belgio è immerso in una grave crisi isti-tuzionale ed ora anche economica. Ebbene dalla prima, la collettività italiana si sente estranea. Come se la questione non la ri-guardasse. Prova di un autoghettizzazione che aumenta i problemi di isolamento e mancata integrazione, pur non mante-nendo la cultura e la lingua italiane come riferimento primo del proprio essere.

Significativa, dunque, l’assenza di que-ste tematiche; ed elemento di intervento culturale e politico tra i primi.

Abbiamo dunque parlato di Bruxelles. Di come sono inseriti o meno gli italiani che vi risiedono e non fanno parte della

parte privilegiata che lavora nelle istituzioni dell’Unione europea.

Non è stata affrontata la questione relativa al Consolato italiano a Bruxelles ed ai suoi servizi. Questo sarà oggetto di un’inchiesta ulteriore, anche perché per i connazionali è palese che si tratta di un ente inutile ai bisogni, foriero più di problemi e di scortesia che altro.

Massimo. Salvatore.

Marco.

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Il Festival des migrations, des cultu-res et de la citoyenneté, giunto alla

26° edizione, è ormai un appuntamento classico e sempre molto partecipato, orga-nizzato dal Comité de Liaison des Associa-tions Étrangères (CLAE) del Lussemburgo come espressione della multiculturalità e multietnicità nel cuore dell’Europa. Con il titolo “Una comunità di destini” Anche quest’anno, centinaia di organiz-zazioni ed associazioni politiche, sociali e culturali, nazionali ed internazionali, si sono ritrovate nei padiglioni di LuxExpo, nell’area di Kirchberg, dove sono affluiti migliaia di visitanti attirati da un nutrito programma di spettacoli, conferenze, dibattiti, incontri letterari e di poesia, etc. (come eventi collaterali e strettamente collegati al Festival si svolgono anche il “Salone del libro e delle culture” e la “Fe-sta della musica”). E naturalmente richia-ma tanta gente anche l’ampia e variata offerta di buon mangiare e buon bere!, con molta gastronomia da tutto il mondo e specialmente mediterranea – italiana, portoghese, greca, turca, nordafricana… – sempre con molto successo.

Anche la presenza italiana è molto forte e significativa, per l’importante presenza di connazionali in Lussembur-go – sia dell’emigrazione tradizionale per lavorare nelle zone minerarie e in-dustriali intorno a Esch-sur-Alzette, sia della più recente espatriazione legata alle istituzioni comunitarie e ai nuovi settori produttivi e di servizi nazionali e internazionali. Ma anche per la posizione centrale e strategica del Lussemburgo, vicino a paesi come Francia, Germania e Belgio, e per il ben meritato prestigio del Festival, che richiama l’attenzione e le visite di tanta gente da fuori. E quindi, erano tantissimi gli stand italiani, come

rIFOnDAzIOne COMunIStA e COMunIStI ItALIAnI DeL BeLgIO e DeL LuSSeMBurgOinsieme al 26° Festival des migrations, des cultures et de la citoyenneté: Lussemburgo, 14-15 marzo 2009di Mario Gabrielli Cossellu, segretario Prc – belgio

quelli di associazioni culturali e regionali, e di organi di stampa nel Lussemburgo; e anche quelli di organizzazioni politiche e sociali, in generale più orientate a sinistra, dato che evidentemente sono quelle più attente e interessate ai fenomeni delle migrazioni e della multiculturalità.

Tra le organizzazioni politiche, non potevamo mancare noi della sinistra comunista e alternativa italiana: come già negli anni scorsi, anche quest’anno le compagne e i compagni del Lussembur-go, con l’appoggio di quelli del Belgio, sono stati presenti al Festival, con uno stand comune tra Rifondazione Co-munista e Comunisti Italiani. Ubicati in una felice posizione ampia e centrale (e vicino ad un punto di ristoro italiano molto frequentato!), abbiamo issato le nostre bandiere di Partito e quelle co-muni della Pace, della Sinistra Europea e del Che Guevara “Hasta la victoria siempre!” (al Che Guevara è intitolato il locale Circolo del PRC/SE) e abbia-mo presentato e diffuso libri, giornali e materiali vari, magliette, gadgets, etc. Con questo abbiamo potuto incontrare e

Per informazioni e contatti:• a Lussemburgo: – Circolo PRC/Se “Che Guevara” lussemburgo: http://it.geocities.com/cheguevaraprclux – Sezione PdCI lussemburgo: http://www.pdci-europa.org/sezioni/lu/index-lu.htm

• in belgio: – Circolo PRC/Se “enrico berlinguer” bruxelles: http://www.rifondazione.be – Sezione PdCI belgio: http://www.pdci-europa.org/sezioni/be/index-be.htm

parlare con un gran numero di visitanti, specialmente della numerosa comunità italiana del Lussemburgo e dei paesi vici-ni, e anche tanti altri di varie nazionalità ma comunque interessati a saperne di più delle vicende economiche e sociali dell’Italia e della sinistra comunista che si prepara, unita, alle prossime elezioni europee di giugno.

Insieme con i compagni del Lus-semburgo, capeggiati dal membro del Com.It.Es. locale per il PRC/SE, Maria Pia Natalino, e dal responsabile locale del PdCI, Ornelio Cancellieri, sono stati presenti Carlo Cartocci, responsabile del Dipartimento Italiani nel Mondo; Piero Carta, già candidato nella circoscrizione Europa alle scorse elezioni politiche, dalla Vallonia; Mario Gabrielli Cossellu, segre-tario del Circolo di Bruxelles-Belgio e membro del Coordinamento Europeo del PRC/SE; più tanti altri che in un modo o nell’altro hanno validamente contribuito al lavoro di questi due intensi giorni a Lussemburgo. Da notare poi gli incontri fraterni e ricchi di possibilità di lavoro comune con le altre organizzazioni della

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nelle foto: una panoramica della posizione dello stand PRC-PdCI, e una foto di gruppo con Piero Carta, Mario Gabrielli Cossellu, ornelio Cancellieri e Maria Pia natalino.

Sinistra Europea presenti, come i com-pagni del Déi Lénk lussemburghese e di Izquierda Unida e il Partido Comunista spagnolo (PCE), così come con gli atti-vissimi compagni del Partito Comunista Lussemburghese (KPL); abbiamo anche scambiato qualche idea e impressione sulle ultime vicende italiane con dei rappresentanti del Partito Democratico, di Sinistra Democratica e del Partito Socialista, anch’essi presenti con degli stand al Festival. E poi con gli amici del giornale italiano in Lussemburgo “Pas-saparola”, con l’Associazione “Libera” in un incontro-dibattito per presentare i risultati dell’antimafia sociale, etc.

E così, questa presenza comune in Lussemburgo è stata sicuramente un successo in tutti i sensi, dando un bilancio positivo in termini di presenza e visibilità, di visite e di contatti, di diffusione e anche di vendite e ricavi: un altro bell’esempio insomma di lavoro comune “dal basso” tra le compagne e i compagni dei due partiti comunisti italiani in Europa, nella prospettiva di migliori risultati all’insegna dell’unità e della chiarezza di idee e di contenuti.

La presentazione del 26° Festival des migrations, des cultures et de la citoyenneté: “Une communauté de destins”(dalla pagina web del CLAE: www.clae.lu)

Dalla migrazione alla cittadinanza, dai diritti politici e sindacali ai diritti di tutti i cittadini del paese, il Festival delle mi-grazioni, delle culture e della cittadinanza, dopo quasi trent’anni, dà testimonianza della vita delle persone venute in emi-grazione nel Granducato. Non essendo l’immigrazione un divenire, numerose associazioni di migranti si sono formate, e insieme ad altre, sensibili alla diversità delle culture e attente alla definizione di un’identità multiple, definiscono il Lus-semburgo mondo o piuttosto il mondo del Lussemburgo. Da allora, una comuni-tà di destini, eredità di tutte le migrazioni vecchie e nuove, prende forma in questo paese, e si iscrive nella nostra manifesta-zione: dalla sua creazione, il Festival parla della necessità di essere del Lussemburgo e della contingenza della relazione con il paese d’origine. Il Lussemburgo sarebbe

multiculturale, plurale: ma quale paese, quale cultura non lo è? La singolarità del Festival non è più il mostrare la diversità o i colori del paese, cose evidenti oggi riconosciute da tutti; è l’identità che oggi ridiventa plurale, che è cambiante e costituita da una gioiosa mescolanza di riferimenti culturali senza un legame diretto e assoluto con una nazionalità, una terra d’origine, una terra d’accoglien-za. La qualità del Festival è accogliere e lasciar sentire, tra i corridoi degli stand associativi, sullo scenario, nel salone del

libro e delle culture, nei punti di ristoro, il tessuto di una cultura comune che si sta formando in questo paese: l’insieme dei progetti e della programmazione del Festival mette in evidenza una rete di convivialità ereditata dalla memoria delle rivendicazioni e delle culture contadine e operaie dei paesi d’emigrazione. Raf-forzando una convivialità antica che si sviluppa nelle nostre terre industriose e riflessive, creano una lingua franca di una nuova cultura lussemburghese. È a questo dialogo che vi invitiamo a partecipare.

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Per sottomettere la volontà delle donne e relegarle ad un ruolo as-

solutamente necessario alla società e voluto quindi dallo stato, quello non solo di madre, ma di madre fascista, la campagna del regime, proprio perché indirizzata ad una “minoranza” non numerica – stiamo parlando di piú del 50% della popolazione – doveva far leva sulla volontà stessa delle donne affinché non solo scegliessero remissi-vamente la condizione di madre, ma la desiderassero come unica possibilità in cui potersi realizzare come individui di sesso femminile. La sovrap-posizione del ruolo di donna a quello di madre, la totale identificazione della “essen-za femminile” con quella di madre – affinché le donne stesse scegliessero volonta-riamente e “naturalmente” il ruolo subalterno relegato all’ambito domestico della riproduzione e accudimento di tutti i membri della fa-miglia – venne incoraggiato da un insieme di incentivi economici e sociali che solo apparentemente favorivano e aiutavano la donne, ma che praticamente le condanna-vano a mere riproduttrici, non solo di figli, ma di ruoli sociali e culturali.

La “missione” della don-na era fare figli, molti figli, i futuri soldati da dare della patria. La maternità era per la donna ciò che la guerra era per l’uomo, una missione cui aspirare e un dovere morale nei confronti dello stato.

DISCrIMInAzIOnI SeSSISte DurAnte IL VentennIO

di Claudia Cimini

ALfemminiLenon solo 8 marzo

RubRica

La campagna demografica iniziò nel 1926 con una imposta sul celibato. Questa fu l’unica misura, solo apparen-temente, a sfavore degli uomini. Nel “Primo e secondo libro del fascista”, utilizzati nelle scuole per “formare” le nuove generazioni, leggiamo : “la legge fascista colpisce moralmente e material-mente il celibato ingiustificato con una tassa sui celibi e una serie di disposizioni, per le quali i celibi non possono ricoprire cariche pubbliche”.

L’utilizzo di metodi anticoncezionali e l’interruzione di gravidanza erano vie-

tati, l’educazione sessuale inesistente, la condanna morale-religiosa che ricadeva sulle donne che facevano scelte sulla propria sessualità e sul proprio corpo non in linea con il moralismo di un patriarcato totalitario della famiglia italiana, assoluta e denigrante.

Cominciò invece una politica di aiu-to alle famiglie e soprattutto alle famiglie numerose: esenzioni fiscali per padri di famiglie numerose, prestiti concessi in casi di matrimoni e nascite, congedi e previdenze statali in caso di maternità. Inoltre nacque l’ONMI (l’Opera Nazio-

nale Maternità ed Infanzia), che si occupava delle donne e dei bambini e delle bam-bine che non rientravano nelle “normali” strutture familiari.

Ferdinando Loffredo nel suo libro “Politica della famiglia” esprime chiara-mente le sue idee rispetto alla donna, al suo ruolo nella società e al modo di raggiun-gere questa condizione di subordinazione femminile:” La donna deve ritornare sotto la sudditanza assoluta dell’uomo, padre o marito; sudditanza e, quindi, infe-riorità spirituale, culturale ed economica”. Continua Loffredo sulle metodologie da utilizzare per raggiungere questa condizione ”Gli stati che vogliono veramente eliminare una delle cause più notevoli di alterazione del vincolo familiare ... de-vono adottare una misura veramente rivoluzionaria:

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riconoscere il principio del divieto dell’istruzione professionale media e superiore della donna, e, quindi, mo-dificare i programmi d’istruzione, in modo da impartire alla donna un’istru-zione (elementare, media ed anche universitaria, se occorre) intesa a fare di essa un’eccellente madre di famiglia e padrona di casa”.

La riforma in tal senso arrivò con Giovanni Gentile che, anni prima, in una lettera aperta al Ministro dell’edu-cazione pubblicata sul Resto del Carlino del maggio 1918, scriveva: “le donne non hanno e non avranno mai né quell’originalità animosa del pensiero, né quella ferrea vigoria spirituale, che sono le forze superiori, intellettuali e morali, dell’umanità, e devono essere i cardini della scuola formativa dello spirito superiore del paese”. Nascono i licei femminili per le giovani della piccola-media borghesia senza aspirazio-ni, perché questi licei, a differenza degli altri, non preparavano al lavoro e non permettevano di accedere all’università, ma garantivano alla donna un’educazio-ne adeguata al ruolo di buona madre e buona moglie.

Nel 1927 vennero raddoppiate le tasse scolastiche così da scoraggiare quelle famiglie in cui le figlie volevano studiare e quindi favorire la formazione dei figli maschi.

Nell’ambito universitario, nonostan-te una diffusa riluttanza nell’accettare le donne come compagne di studi così come dimostrava una canzone del pe-riodo che cantava Noi non vogliamo le donne all’università, ma le vogliamo nude distese sul sofà, il numero delle iscritte nel decennio tra il 1936 al 1946, passò dal 16,2% al 25,1%.

Se il lavoro era indispensabile per creare una identità maschile solida e un riconosciuto rispetto sociale, secondo le parole di Mussolini per la donna “il la-voro distrae dalla generazione, fomenta un’indipendenza e conseguenti mode fisiche – morali contrarie al parto”.

Nell’ambito lavorativo, si cercò sem-pre di mantenere la donna nei ruoli per lei piú consoni. Si creò una tassonomia dei lavori a lei piú adeguati rispetto alle

sua doti “innate” e alle sue qualità “femminili”. Si crearono immagini ste-reotipate, dalla mondina

alla segretaria, uscire al di fuori della quali divenne quasi impossibile, non solo per motivi di ruoli sociali difficili da eliminare, ma anche e soprattutto per limitazioni legislative che andavano a limitare sempre di più le donne. Il la-voro, del resto, così come affermato nel Primo Congresso sul lavoro femminile del 1940, “costituisce per la donna non una meta bensì una tappa della sua vita, da risolversi il prima possibile con il rientro nell’ambiente domestico”.

L’insegnamento e la cura dei figli era considerato il lavoro fuori casa della donna per eccellenza; nonostante ciò – quasi ogni anno – una legge nuova limitava l’im-piego delle donne negli ambiti scolastici; in particolar modo, ovviamente, per quegli incarichi che avrebbero apportato maggior prestigio e remunerazione e quin-di indipendenza.

Nel 1923 le donne furono escluse dalla carriera di direttrici nelle scuole superiori.

Nel 1926 non poterono piú insegnare latino, storia, greco nelle scuole superiori.

Nel 1929 le tasse scolastiche degli istituti magistrali erano inferiori per gli alunni maschi, rispetto a quelle per le alunne femmine.

Nel 1938 si pose al 10% la quota massima di donne da poter impiegare sia in strutture pubbliche che private.

Nel 1936 la percentuale di donne che lavoravano fuori casa passò dal 32,5% al 24%. Le donne che continuarono a lavorare del resto non erano ben viste, molto diffuse erano barzellette e vignette denigratorie in cui si ridicolizzavano aspetti prettamenti seduttivi di una don-na totalmente incapace di lavorare, il cui solo ruolo era essere oggetto di adorno e piacere in un ambiente maschile e maschilista per antonomasia.

Per poter lavorare era necessario esser iscritte/i al partito. Per le donne però che volevano insegnare, e accedere al concorso, era assolutamente impre-scindibile un altro importante requisi-to: una lettera del prefetto riguardo la condizione economico-familiare e lo

stato civile, ma soprattutto che potesse fornire assicurazioni sulle sue doti mo-rali e rispetto alla condotta nella vita pubblica. Molte le donne cui venne preclusa la carriera di insegnanti proprio perché considerate non sufficientemente virtuose e morali. Nel 1939, un prefetto stroncò con queste parole la carriera di una futura insegnante di storia: “la sua condotta morale è alquanto discussa in qualche ambiente dove sono note relazioni intime da lei coltivate nel passato”.

Ricordiamo ancora alcune donne a cui venne preclusa la carriera accademica perché il valore della loro conoscenza non venne valutato per il fatto di non esser uomini.

Teresa Labriola, figlia del filosofo Antonio, nel 1919 prima donna avvo-cata che, nonostante un brillante inizio di carriera come prima libera docente di filosofia del diritto donna presso l’Università di Roma, non riuscì mai ad essere titolare di cattedra.

Ginestra Amaldi, fisica e astronoma, cui venne impedito di continuare la sua attività di ricercatrice perché donna in un ambito prettamente maschile, l’Istituto di Ricerca di Fisica di Via Panisperna.

Angelina Levi, nel 1929 abilitata alla docenza di Farmacologia, doppiamente penalizzata da un sistema antisemita e sessista.

ALfemminiLenon solo 8 marzo

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I l premier Mirek Topolanek ha presentato le proprie dimissioni al presidente V. Klaus. Topolanek, dei Civici Democratici

(Ods), che parlando al Parlamento europeo, aveva attaccato il giorno prima i provvedimenti economici di Obama – “una stra-da per l’inferno” – ha detto che la sua caduta non minaccerà la presidenza Ue ora ricoperta dalla Repubblica ceca. Così il vento inarrestabile della crisi si abbatte sui fragili governi dell’Est Europa. Dopo la caduta degli esecutivi in Lituania e in Ungheria, tocca alla Repubblica Ceca, un paese che osservatori disattenti davano per sufficientemente stabile e al riparo dagli scossoni virulenti della debacle economico-finanziaria. Il governo di centrodestra, guidato da Mirek Topolanek e sostenuto da Ods, Unione cristiano-democratica e Verdi, è stato costretto alle dimissioni dopo la mozione di sfiducia del Parlamento votata da 101 deputati su 200. Ai partiti d’opposizione (socialdemocratici, Cssd, e comu-nisti, Kscm) si sono aggiunti quattro deputati della maggioranza: due del Partito civico democratico (Ods) e due dei Verdi (Zs). Quanto accaduto si presta a diverse letture. C’è chi ne vede la causa nella ormai stonata dissonanza del governo di Praga rispetto al nuovo clima internazionale e alla svolta di Obama negli Usa. La compagine di Topolanek era l’interprete più fedele in Europa delle politiche neoliberiste e di guerra dell’Amministrazione Bush. Il compito che la dirigenza ceca si era assegnato, soprattutto con la decisione di aderire al progetto americano dello scudo spaziale consentendo l’installazione del radar nella zona collinare di Brdy a poche decine di chilometri dalla capitale, mirava all’inasprimento dei rapporti tra Russia e Occidente, frapponendosi in tal modo gli sforzi distensivi della stessa Unione Europea interessata ad un rapporto di buon vicinato con la Russia. Una politica tutta interna all’ideologia dello scontro di civiltà, che Praga ha continuato a perseguire con ostinazione, anche in contrasto con le nuove aper-ture di Obama. Il governo Topolanek ha recentemente venduto un grosso quantitativo di armi a Georgia e Israele, dopo essersi apertamente schierato dalla parte di questi due paesi nei rispettivi conflitti in Ossezia del sud e nella striscia di Gaza. C’è poi la grave situazione economica, che il governo ha teso fin qui a minimiz-zare, assicurando che essa avrebbe solo toccato marginalmente la Repubblica Ceca. Ma la precipitazione di queste ultime settimane disegna un quadro del tutto diverso, con l’evidenza degli scandali legati ai ricatti interpartitici, alle pressioni sulla magistratura e alle malversazioni degli uomini dell’apparato di potere di Topolanek, a partire dal braccio destro Marek Dalìk. Una realtà torbida e cor-rotta, da “casta”, che corrisponde ad un clima di diffuso disincanto. La scelta negli anni Novanta di liberalizzare e privatizzare tutto svela oggi la sua miopia. Un paese, la cui economia era considerata la più solida nell’est europeo, con una propria base industriale e con una produzione agricola efficiente, è stato di fatto svenduto alle multinazionali e consegnato alla speculazione immobiliare delle società occidentali. La conseguenza è che le industrie occidentali chiudono in primo luogo i propri siti produttivi

LA MItteL

di Jakub Hornacek e Claudio buttazzo

installati qui. La disoccupazione è cresciuta, in soli sei mesi, da 4,5% al 7% e si prevede che, entro il 2009, tocchi la soglia del 10%. La privatizzazione del sistema bancario ha fatto il resto. Le banche occidentali (tra cui l’italiana Unicredit) hanno praticato una politica del credito quantomeno allegra, alimentando un consumismo tanto sfrenato quanto artificialmente supportato. Dapprima, hanno fatto salire il valore della corona ceca (fino a tre mesi fa occorrevano 22 corone per un euro), spingendo un gran numero di persone a preferire i prestiti in euro. Poi, ne hanno fatto improvvisamente precipitare il valore. Sicchè, oggi, chi ha stipulato un mutuo in euro è costretto a pagare quell’euro a oltre 28 corone. Una terza lettura riguarda il ruolo del presidente della Repubblica, l’euroscettico Klaus, leader storico del partito del premier Topo-lanek (l’Ods), il contestatore, da destra, del Trattato di Lisbona, sostenitore del libero mercato senza regolazioni statali, men che meno da parte di Bruxelles. I due deputati dell’Ods che hanno votato la sfiducia la governo molto legati a Vaclav Klaus. C’è chi vede, dietro di loro, la longa manus del Presidente della Repub-blica. Un «avvertimento» a Topolanek proprio nel bel mezzo della sua presidenza di turno dell’Ue e alla vigilia del G20 di Londra. In quest’ottica va letto l’attacco del premier ceco ad Obama e all’interventismo statale in economia, con cui Topolanek si sa-rebbe riallineato all’iperliberismo di Klaus, anche nella speranza di riottenere l’incarico di governo. D’altra parte gli stessi social-democratici di Jiri Paroubek dimostrano di non essere interessati allo scioglimento del Parlamento e ad elezioni anticipate. Non vogliono contraccolpi negativi in Europa durante il periodo della presidenza ceca della Ue. Sono disponibili a dare fino a giugno un appoggio tecnico a un governo guidato dall’Ods, cioè fino alla scadenza della presidenza europea di Topolanek, per poi andare ad elezioni anticipate in autunno. Quindi prendono tempo, al fine di dare corpo all’obiettivo di Paroubek di coalizzare, anche attraverso l’ introduzione del maggioritario, uno schieramento più ampio, attrattivo anche per parte dei Verdi e dei comunisti. Si comincia infatti a guardare con attenzione all’esperienza dei socialdemocratici slovacchi del premier Fico. Un partito socialde-mocratico, unico nel panorama Est europeo, che abbia seriamente svolto una politica di contrasto al neoliberismo, ponendo un alt alle privatizzazioni, rilanciando lo stato sociale, facendo crescere salario minimo e pensioni, anche in tempo di crisi economica. Che gode di un consenso crescente e che in politica estera ha mostrato una spiccata autonomia, tra l’altro non riconoscendo l’indipendenza del Kossovo, ritirando i propri soldati dall’Iraq e criticando Praga per il sì al mega-radar, parte dello scudo anti-missile Usa. I comunisti (Kscm), terzo partito ceco con il 15% dei consensi, diffidano delle manovre di Paroubek: dicono no al sistema maggioritario e non sostengono un governo a termine fino a giugno. Chiedono un governo di intesa nazionale, che li legittimi e li immetta pienamente nel gioco politico. Hanno votato la sfiducia con la Cssd, ma marciano su strade separate.

Attualità

EUROPEA

CrISI D’eurOpA

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Inca – Istituto Nazionale Confederale di Assistenza è stato costituito l’11 Febbraio 1945, durante il primo Congresso

della Cgil.L’Istituto nasce per difendere i diritti dei lavoratori dei citta-

dini, contribuire a riformare la legislazione sociale, per realizzare un sistema si sicurezza sociale, basato sui principi di eguaglianza e libertà. Nel 1947 una Legge dello Stato ha riconosciuto il ruolo e la funzione degli Enti di patronato.

Sei decenni dedicati alla difesa dei diritti sociali dei lavoratori, delle loro famiglie, in Italia e all’estero, per il rispetto e la piena applicazione delle leggi da parte degli Enti Previdenziali, perade-guare la legislazione ai rischi delle nuove tecnologie.

La legge 152 del 2001 ha aggiornato la “disciplina” degli Istituti di patronato, confermandone le funzioni e prevedendo nuovi campi di intervento.

Oggi Inca Cgil è il primo patronato in Italia e all’Estero, una grande organizzazione per la difesa dei diritti alla quale si rivolgono ogni anno 5 milioni di persone in Italia e 600 mila all’estero.

Inca Cgil è componente essenziale del Sistema Servizi Cgil.Inca con Inas Cisl, Ital Uil e al patronato Acli, fa parte del

Ce.Pa.Il centro patronati è la sede unitaria, costituita dai maggiori

patronati italiani di emanazione sindacale, per l’elaborazione di proposte migliorative del sistema previdenziale e di welfare, per il confronto con gli Istituti di previdenza.

Un ruolo decisivo per ottenereil riconoscimento dei diritti anche fuori dall’Italia

È nei primi anni ’50 che INCA, a seguito dei consistenti flussi migratori del dopoguerra, organizza la tutela dei nostri conna-zionali all’estero. Gli operatori di Inca hanno sempre sostenuto gli italiani emigrati. Il loro lavoro e la loro professionalità hanno agevolato i processi di integrazione sociale. Inca all’estero ha ri-cercarto i rapporti di collaborazione con le Autorità diplomatiche e consolari, con gli Enti previdenziali e con i Sindacati locali.

Un ruolo, quello del patronato, che anche al di fuori dell’Ita-lia oltre a fornire consulenza e tutela nelle tradizionali materie previdenziali ha saputo adeguarsi alle specificità delle domande e dei bisogni di assistenza nei vari Paesi.

a cura di Massimo Congiu

Particolarmente apprezzato è il lavoro che Inca svolge con i Consolati e con le Ambasciate per il disbrigo di numerose pratiche relative alla cittadinanza, al rinnovo o al rilascio del passaporto, alle richieste di prestazioni assistenziali.

Inca è presente in quattro continenti con 62 sedi e 28 presenze settimanali in altrettante città: America, Australia, Europa, Africa e più precisamente in Canada, Usa, Argen-tina, Brasile, Cile, Venezuela,Uruguay, Australia, Nuova Zelanda, Belgio,Croazia,Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna,Lussemburgo, Norvegia, Slovenia, Svezia, Svizzera, Senegal, Marocco.

Così come, il Patronato Inca Cgil si è adoperato per i no-stri connazionali che emigravano, altrettanto sta facendo per i cittadini extracomunitari che sono venuti a vivere e a prestare il loro lavoro nel nostro Paese. Inca, recentemente si è posta il problema di aprire uffici nei paesi di provenienza, delle comunità più numerose presenti in Italia.

60 AnnI DeDICAtI A DIFenDere I DIrIttI

e I BISOgnI DeLLe perSOneun impegno costante nella società per migliorare lo Stato sociale

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Patronato

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Questa attività è particolarmente utile per fornire tutte le informazioni necessarie a chi si appresta a venire in Italia e per garantire un aiuto all’atto dei loro rientri.

La tutela dei diritti è il nostro lavoro. Dalla tutela individuale alla consulenza, un punto di riferimento per milioni di italiani nel nostro Paese e all’estero

La tutela dei diritti individuali è la funzione assegnata ai patronati da leggi dello Stato, intervenute dal lontano 1947 ai giorni d’oggi.

Inca ha sviluppato un’immensa attività di informazione, consulenza, tutela dei diritti previdenziali, sociali, assistenziali.

Questo è il lavoro che Inca svolge tutti i giorni in favore di migliaia di cittadini, lavoratori, pensionati, in Italia e all’estero.

Nel corso del tempo s’è andato caratterizzando come Consu-lente di parte, capace di fornire gli strumenti idonei per realizzare percorsi personalizzati di garanzia e di tutela previdenziale.

Dalla sua costituzione, Inca ha sviluppato il massimo dell’iniziativa nel campo della previdenza pubblica e privata. Fondamentali le battaglie svolte da Inca per preservare la salute negli ambienti di lavoro, realizzate in stretto collegamento con i Sindacati di categoria della Cgil.

Possono essere definite storiche alcune delle sentenze dell’Arta Corte e della Cassazione promosse da Inca, in materia di pensioni e di malattie professionali.

Grande attenzione ha posto il patronato Inca alle problema-tiche assistenziali e alle prestazioni del welfare e della sanità, senza trascurare interventi di solidarietà e di aiuto a fronte di calamità naturali o di eventi particolarmente drammatici.

approvato il regolamento ex art. 13 Legge 152/2001 “Ci sono voluti sette anni di pressioni perché si arrivasse all’approvazione del nuovo regolamento dei patronati. Sette anni di sollecitazioni e di impegno di tutti quei patronati che operano seriamente per rendere esigibili i diritti sociali”. Secondo Raffaele Minelli, presidente dell’Inca Cgil, l’atto del Ministro del lavoro consente non soltanto di “definire regole certe rispettose delle leggi vigenti, ma contribuisce a fare chiarezza tra chi veramente opera seriamente nell’ambito delle tutele individuali e chi invece è ispirato soltanto da logiche di mercato.” “Ci auguriamo – ha precisato Minelli - che presto il Ministero del lavoro provveda celermente ad approvare i decreti attuativi della riforma dei patronati del 2001 perché ciò permetterà ai grandi patronati di svolgere un lavoro di maggiore qualità e trasparenza per una migliore tutela individuale degli interessi dei lavoratori e dei pensionati”. ved. Italian network

terzo Rapporto della Fondazione Migrantes

Inviano sempre meno risparmi in Italia, non hanno più il sogno di tornare a vivere nel loro Paese, non parlano più solamente italiano e tendono a frequentare più la chiesa locale che la missione cattolica italiana. Questa la fotografia dei quasi quat-tro milioni di nostri connazionali all’estero, così come emerge dalla terza edizione del “Rapporto italiani nel mondo”, promosso dalla Fondazione Migrantes per raccontare la realtà dell’emigrazione italiana in un’epoca in cui si parla sempre più di immigrazione e sempre meno di emigrazione. Ma chi sono esattamente i 3.734.428 connazionali oltre confine? Il Rapporto ci aiuta a tracciare un identikit piuttosto pre-ciso: solo 59 italiani su 100 sono effettivamente emigrati dall’Italia, mentre più un terzo (34,3%) è nato all’estero e il 2,5% ha acquisito la cittadinanza italiana. Accanto a questi non bisogna dimenticare, però, i 60 milioni di discendenti di origine italiana. Quanto ai Paesi di destinazione, l’emigrazione italiana è soprattutto euro-americana, anche se gli italiani all’estero sono presenti in ogni continente: sono 2.116.564 (56,7%) in europa, 1.414.013 (37,9%) in America, 125.172 (3,4%) in oceania, 49.168 (1,3%) in Africa e 29.511 (0,8%) in Asia. Inoltre, gli italiani residenti all’estero sono principalmente meri-dionali: poco più di 2 milioni sono originari del Sud e delle Isole, poco più di 1 milione delle regioni settentrionali e 540 mila circa vengono dalle regioni centrali. In particolare, a fare la parte del leone sono la Sicilia, la Campania e la Calabria. Uno ogni 5 residenti all’estero ha un’età superiore ai 65 anni. Detto in altri termini gli anziani sono circa 700 mila e, ormai giunti all’età della pensione, pensano solo raramente di rimpatriare e preferiscono visitare l’Italia durante le vacanze estive. Inoltre, contrariamente a quanto generalmente si pensi, sono più i celibi e le nubili che i coniugati: 52,8% di quelli non sposati contro il 39% degli sposati. le donne sono numerose quasi quanto gli uomini: 1.774.677, pari al 45,5% del totale. le ultrasessantacinquenni sono più numerose delle minorenni (il 19,3% contro il 16,6%), registrando livelli di invecchiamento maggiori di quelli riscontrabili non solo tra i maschi residenti all’estero ma anche tra le donne che vivono in Italia. Inoltre, tra le classi di età intermedie, le più numerose sono le donne che hanno già compiuto i 40 anni.

LE RISORSE UMaNEInca si avvale di 1728 tra dirigenti ed operatori specializzati in Italia, 135 tra dirigenti ed operatori bilingue all’estero, 425 volontari, 275 medici legali, 428 legali (tratto da www.inca.it <http://www.inca.it/>. Per trovare gli uffici InCA CGIl in europa visitare il sito: www.inca.it/dovetrovarci.htm?nat=eur <http://www.inca.it/dovetrovarci.htm?nat=eur>)

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AURORA: giornale per l’unità comunista

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